PCONOSCERE SAN PAOLO (4)
[F. Pratt, S. J.: la Teologia di San Paolo; S.E.I. Ed. Torino, 1945]
Corrispondenza con Tessalonica (2).
I. LA PRIMA AI TESSALONICESI.
1 . TIMORE DEI NEOFITI. — 2. PROSPETTIVA PROSSIMA DELLA PARUSIA. — 3. LA SORTE DEI VIVI.
1. Fu una gran gioia per l’Apostolo, perseguitato di città in città dall’odio degli Ebrei, ancora dolente dell’insuccesso di Atene e sofferente nel suo isolamento a Corinto, il sapere che i neofiti di Tessalonica, lasciati da lui esposti alla persecuzione, sostenevano coraggiosamente gli assalti di una furiosa tempesta (Act. XVII, 14-16; XVIII, 5; I Tess. III, 1-6) . Si vantava dovunque la loro fede, la loro costanza nella prova, il loro ammirabile fervore, la loro carità fraterna (I Tess. I, 3-6). Tuttavia nel quadro vi era un’ombra: essi s’impietosivano oltre misura su la sorte dei loro fratelli privati dalla morte del privilegio di assistere al ritorno trionfante del Cristo che, evidentemente, essi giudicavano prossimo. Il vero scopo di Paolo nello scrivere a loro è di correggere la falsa idea che essi avevano dello stato d’inferiorità dei cristiani defunti, in confronto con i vivi; ma prima di venire al punto principale, egli espande il suo cuore e pare voglia esaurire il vocabolario dell’affetto. – Che belle parole gentili e pittoresche gli detta l’amore! Ora è il padre che esorta, incoraggia e rianima ciascuno dei suoi figli; ora è la madre che riscalda con le sue ardenti carezze il bimbo prediletto. Appassionato per loro, egli vorrebbe dare a loro non soltanto la verità e la gioia, ma la stessa sua vita e l’anima sua (I Tess. II). I più sublimi insegnamenti del dogma e della morale, che si alternano con le parole affettuose, si perdono, per così dire, in quell’effusione di tenerezza paterna. Tutta la prima parte della lettera è un canto di riconoscenza e un inno di ringraziamento, ed è questo appunto che ne forma l’unità e ne stabilisce il disegno: ringraziamenti per la maniera con cui i Tessalonicesi hanno accolto e fatto fruttificare il Vangelo, ringraziamenti per la buona riuscita della sua predicazione, per il felice ritorno di Timoteo e per le buone notizie che egli porta. Disegno molto semplice il quale si presta assai bene ad evocare ricordi e che fa di questa lettera, in cui i « voi ricordate, voi sapete » si ripetono a profusione, una vera conversazione da lontano. Eco fedele della predicazione di Paolo, la prima Epistola ai Tessalonicesi è piena di allusioni al Giudice che deve venire, al regno dei cieli che è oggetto delle nostre speranze, alla collera divina pronta a scatenarsi sopra gli Ebrei infedeli (I, 10; II, 12; II, 16), alla severità dei giudizi di Dio. La parusia del Signore (33) è nominata quattro volte ed è essa appunto, a parere di tutti, che forma l’argomento principale della lettera. E assai probabile che l’Apostolo risponda a una domanda formale dei Tessalonicesi dei quali forse Timoteo era l’intermediario. Il passaggio repentino e la formola rigida ripetuta due volte: «riguardo ai dormienti … riguardo al tempo e alle circostanze », ricorda esattamente le risposte ai dubbi dei Corinzi. – Tra le due parti di questo consulto teologico vi è questa differenza, che la seconda si accontenta di appellarsi ai ricordi dei neofiti e non ci lascia sperare nessun insegnamento nuovo, mentre la prima promette una rivelazione « in nome del Signore ». Non vogliamo poi, o fratelli, che siate nell’ignoranza riguardo a quelli che dormono, affinché non vi rattristiate come gli altri che non hanno speranza. Se infatti crediamo che Gesù morì e risuscitò, nello stesso modo ancora Dio condurrà con lui coloro che in Gesù si sono addormentati. Poiché vi diciamo su la parola del Signore, che noi che siamo vivi, che siamo riserbati per la venuta del Signore, non preverremo quelli che si addormentarono. Poiché lo stesso Signore al comando e alla voce dell’Arcangelo, e al suono della tromba di Dio, scenderà dal cielo, e quelli che in Cristo sono morti risorgeranno i primi. Quindi noi che siamo vivi, che siamo superstiti, saremo con essi trasportati sopra le nubi in aria, incontro al Signore, e così saremo perpetuamente col Signore. Consolatevi dunque scambievolmente con queste parole. Intorno poi ai tempi e ai momenti non avete bisogno, fratelli, che noi vi scriviamo. Poiché voi stessi sapete benissimo che i l giorno del Signore verrà come un ladro di notte. Poiché quando diranno pace e sicurezza, allora sopraggiungerà loro repentina la perdizione, come i dolori del parto a donna gravida, e non avranno scampo. Voi però, o fratelli, non siete nelle tenebre, onde quel dì v i sorprenda a guisa di ladro: infatti voi tutti siete figliuoli della luce e figliuoli del giorno: non lo siamo della notte né delle tenebre. Non dormiamo dunque come gli altri, ma vegliamo e siamo sobri. Poiché quelli che dormono, dormono nella notte, e quelli che s’inebriano, s’inebriano nella notte. Ma noi che siamo (figliuoli) del giorno, siamo sobri, rivestiti della corazza della fede e della carità, e dell’elmo della speranza della salute. Poiché Dio non ci ha destinati all’ira, ma all’acquisto della salute per il Nostro Signore Gesù Cristo il quale è morto per noi, affinché sia che vegliamo, sia che dormiamo, viviamo insieme con Lui. Per la qual cosa confortatevi gli uni gli altri e siate di edificazione l’un l’altro come pur fate (IV, 13; V, 11). – L’ultimo paragrafo non annunzia nessuna nuova rivelazione: « intorno ai tempi e ai momenti », i fedeli sanno tutto ciò che devono e possono sapere, « che il giorno del Signore arriva di notte come un ladro ». Ogni curiosità a questo riguardo è vana e inopportuna. Il giorno del Signore non è noto a nessuno, dicono i Sinottici — neppure al Figlio, aggiunge San Marco (XIII, 32) — ma arriverà improvviso, quando meno si aspetterà. Il paragone del ladro notturno era classico; è adoperato da San Matteo, da San Luca, da San Giovanni, da San Pietro e da San Paolo, e doveva entrare in tutti i discorsi su la parusia (I Tess. V, 4). L’immagine della donna partoriente è presa dai profeti; nella descrizione drammatica del Giorno del Signore, essa era una parte obbligata; passò poi nello stile apocalittico e dipinge a meraviglia il sopraggiungere improvviso della sorpresa, del dolore e dell’abbattimento (Matt. XXIV, 8; Marc. XII, 8). Riguardo alla pratica, i Tessalonicesi non hanno bisogno di consigli, poiché, secondo il precetto evangelico, sono vigilanti e armati: vigilanti contro gli assalti notturni, armati contro i malfattori. Le tre virtù teologali servono loro di armatura: la speranza come elmo, la fede e la carità come corazza. Vegliando essi continuamente, per loro non vi è notte, essi sono « figliuoli del giorno e della luce »; il ladro potrà venire, ma non li sorprenderà. – Mentre questa seconda parte non esce dal disegno ordinario delle prediche escatologiche, la prima ci presenta una rivelazione che l’Apostolo non aveva ricevuto prima o che non aveva creduto opportuno di comunicare fino allora. Paolo l’attribuisce espressamente a una « parola del Signore » (I Tess. IV, 15), o a una parola pronunziata da Gesù nella sua vita mortale e non registrata dagli evangelisti, oppure a una parola interiore attribuita al Maestro con la certezza dell’ispirazione. « Nel giorno della parusia, i viventi non precederanno i morti »; questo è il messaggio che egli ha incarico di comunicare. I neofiti s’immaginavano che, all’arrivo del giudice supremo, i vivi avessero qualche vantaggio sui morti; ma egli distrugge tale illusione. Nell’ultimo giorno i morti non invidieranno I vivi, né i vivi compiangeranno i morti: morti e vivi compariranno insieme dinanzi al Signore, gli uni con il loro corpo attuale trasfigurato e trasformato, gli altri con il loro corpo dì una volta, ricostituito e glorificato; insieme essi saranno trasportati per lo spazio; insieme raggiungeranno il loro capo e incominceranno con lui un regno senza fine. Se vi è differenza, questa è piuttosto in favore dei morti, perché essi risusciteranno prima, prima che la presenza del Cristo glorioso abbia trasformato i vivi. – Il trasalire della natura, la nube che serve di cocchio o di trono al Giudice, il corteo degli Angeli, le grida dei presenti, il suono della tromba, sono tratti comuni a tutto le apocalissi, presi dalla terribile apparizione di Jehovah sul Sinai, la quale aveva impresso nella fantasia nazionale un ricordo incancellabile. In quale misura queste allusioni al passato si verificheranno nell’avvenire! Quale può essere in esse la parte dell’immagine e del simbolo? Questo è il segreto di Dio.
2. È un fatto innegabile, che i cristiani dell’età apostolica si credevano vicini alla fine del mondo, e San Pietro si vedeva costretto a spiegare i lunghi indugi del Cristo (II Piet. III, 9 ). Il loro errore, fatto in parte di desiderio e di speranza, dipendeva anche dal pregiudizio universale degli Ebrei di quel tempo, dall’apprezzamento pessimistico degli avvenimenti contemporanei, forse da una falsa interpretazione di una parola del Signore: « Non passerà questa generazione senza che tutto questo avvenga (Matt. XXIV, 34) ». Si continuava ostinatamente a credere che certi privilegiati, come il discepolo prediletto, sarebbero vissuti fino a quel giorno; persino il nome di parusia (presenza) col quale si soleva indicare il ritorno trionfale del Cristo, ridestava l’idea di una venuta prossima, ed è cosa nota che i profeti, soliti a proiettare sopra un solo schermo gli avvenimenti futuri, sembrano far coincidere il principio dell’era messianica con la fine del mondo. Paolo partecipò egli pure alla comune illusione? Da principio, non vi è nulla che vi si opponga, poiché l’ispirazione non dà la scienza di tutte le cose e in ogni caso non poteva dare la conoscenza dell’ultimo giorno, che il Padre celeste ha riservata per sé. Eccetto la verità di cui è depositario, lo scrittore sacro può ignorare, esitare, appoggiare un’opinione sopra probabilità o verisimiglianze, mettersi alla ricerca della verità con i mezzi di cui dispongono gli altri uomini: tutto sta che egli non insegni l’errore. – Paolo, sapendo meglio di altri, che la data dell’ultimo giorno non entra nell’argomento della rivelazione, non insegna che il mondo è prossimo a finire, dichiara formalmente che la fine non ne è imminente, ma in mancanza di lumi speciali, si attiene alla parola del Vangelo (Matt. XXIV, 34; Mc. XIII, 30; Luc. XXI, 32). Tuttavia sembra che egli non veda dinanzi a sé una lunga serie di secoli. Certamente quelle parole: « Noi che siamo vivi, che siamo superstiti, andremo incontro al Signore (I Tess. IV, 17) », non pregiudicano nulla, perché la Chiesa non muore, e tutti i cristiani si possono identificare con essa, come se dovessero assistere, in un lontano avvenire, ai suoi trionfi e alle sue prove. Tuttavia l’Apostolo parlerebbe così, se avesse l’intuizione precisa, che migliaia di anni lo separano dall’ultimo giorno? In seguito la prospettiva si allontanerà; quanto più durerà il mondo, tanto più si farà l’abitudine di vederlo durare; l’idea della parusia diventerà più rara, e la parola stessa andrà perduta. Quello che noi non possiamo ammettere, con certi esegeti moderni, è che lo spirito di Paolo si sia evoluto nel breve lasso di tempo che passa tra le due lettere ai Corinzi ai quali tiene sempre, fino alla fine, lo stesso linguaggio tenuto con i Tessalonicesi.
3. Egli non mutò neppure il suo insegnamento, che l’ultima generazione dei giusti sarà rivestita d’immortalità senza passare per la morte: « Quelli che in Cristo sono morti, risorgeranno i primi; quindi noi che siamo vivi, che siamo superstiti, saremo con essi trasportati sopra le nubi in aria, incontro al Signore, e così saremo perpetuamente col Signore ». Sant’Agostino confessava di non aver mai potuto leggere attentamente queste parole, senza trovarci il significato, che l’ultima generazione dei giusti sarà esente dalla morte. E quello che qualche volta lo metteva in imbarazzo, era precisamente il testo che avrebbe dovuto confermarlo di più in questo sentimento, che era il sentimento comune dei Padri della Chiesa, se invece dell’inesatta traduzione latina: « Noi risusciteremo tutti », avesse conosciuto il vero testo di San Paolo: « Noi non morremo tutti, ma tutti saremo trasformati… Sonerà la tromba, e i morti risusciteranno incorruttibili, e noi saremo trasformati (I Cor. XV, 51) ». È impossibile comprendere queste parole in senso diverso da quello in cui le compresero gli stessi Corinzi i quali incominciarono a desiderare il privilegio degli ultimi superstiti del mondo. La morte ci fa orrore perché è un castigo e perché spezza violentemente i vincoli naturali del composto umano. Anche noi vorremmo, come i Corinzi, rivestire l’immortalità senza subire la morte. Questo desiderio è legittimo, risponde l’Apostolo, se non ha nulla di sregolato; è soprannaturale, purché non tolga nulla alla nostra fiducia e alla nostra rassegnazione; è effettuabile, purché la seconda venuta del Cristo ci trovi ancora in vita: Si tamen vestiti non nudi inveniamur. Questo sarà il privilegio dei pochi; ma che importa? Sia che viviamo, sia che moriamo, noi siamo del Signore (II Cor. V, 1-9). Come mai affermazioni così chiare, tre volte ripetute, possono aver dato luogo al dubbio? Già l’abbiamo detto, la causa ne è l’antica versione latina che leggeva: Omnes resurgemus, oppure: Omnes moriemur, supponendo in un modo e nell’altro la morte universale. L’Ambrosiastro, pensando di conciliare le due sentenze, immaginò di far morire e risuscitare i giusti, testimoni della parusia, durante il loro rapido trasporto per aria (Comm. I Tess. IV, 14 (XVII, 450). Sant’Agostino che conobbe questa ipotesi, fu tentato di accettarla, senza osare di adottarla fermamente, e scrisse nelle sue Ritrattazioni la confessione della sua invincibile incertezza: « O essi non morranno, oppure passeranno dalla vita alla morte e dalla morte alla vita così rapidamente, che non sentiranno la morte ». Il Maestro delle Sentenze, citando San Gerolamo e l’Ambrosiastro, che egli scambia con Sant’Ambrogio, ricusa di pronunziarsi, come se le due autorità si neutralizzassero a vicenda. San Tommaso, pure mantenendo la probabilità delle due opinioni, trova già che quella dell’Ambrosiastro è più sicura e più comune. Dal secolo decimoterzo in poi, l’opinione dei Padri perdette sempre più il credito, tanto che Soto e Catarino la chiamano temeraria; ma essi pure sono apertamente tacciati di temerità dal Suarez, per il loro giudizio esagerato. Ma la lezione della Volgata lasciava sempre luogo alle difficoltà, e quasi soltanto ai nostri giorni si è ripresa, con la sana esegesi di San Paolo, la tradizione patristica di Tertulliano, di San Gerolamo, di Sant’Epifanio, di San Gregorio Nisseno, di San Giovanni Grisostomo, di Teodoreto, di Primasio e di molti altri. Poche tesi teologiche hanno subito vicende più singolari. – Questo ritorno al passato ha la sua ripercussione sul modo di spiegare il settimo articolo del Simbolo. Invece di cercare nei morti e nei vivi i peccatori e i giusti (Sant’Agostino), oppure i morti e i vivi in un momento qualunque della durata del mondo (San Tommaso), oppure i morti e i vivi relativamente a chi recita il Simbolo (Suarez), s’intendono semplicemente, per morti e per vivi, i morti e i vivi che l’arrivo del Giudice troverà su la terra.
III. LA SECONDA AI TESSALONICESI.
1 . NUOVI TERRORI. — 2. L’OSTACOLO ALL’APPARIZIONE DELL’ANTICRISTO.
1. Erano passati alcuni mesi appena dopo la prima lettera ai Tessalonicesi, quando nacque un nuovo malinteso. Ben rassicurati ora riguardo ai loro morti, i neofiti erano più che mai convinti dell’imminenza della parusia, e tale convinzione, invece di eccitarli al bene, li turbava e li paralizzava. Alcuni anzi, trascurando i doveri del loro stato, andavano errando di porta in porta, nella pigrizia e nell’inoperosità, come persone i cui giorni sono contati. Di dove provenivano i loro stolti terrori? San Paolo lo lascia capire chiaramente dal consiglio che rivolge a loro: Ora noi vi preghiamo, o fratelli, riguardo la venuta del Signore nostro Gesù Cristo e la nostra riunione con lui, che non vi lasciate smuovere sì presto dai vostri sentimenti, né atterrire o da spirito, o da parola, o da lettera come mandata da noi, quasi sia imminente il giorno del Signore (II Tess. II, 1-2). Ci potevano essere di mezzo tre cause: una rivelazione supposta o male compresa, una parola attribuita, a torto o a ragione, a San Paolo o forse a qualche altro personaggio ragguardevole, una lettera apocrifa dell’Apostolo o una lettera autentica male intesa. Non era la prima ai Tessalonicesi che si fosse prestata all’equivoco, e le parole « come mandata da noi » sembrano proprio indicare una falsificazione. Per finirla una buona volta con le frodi, Paolo aggiungerà d’ora innanzi di suo pugno il saluto finale che servirà di firma. L’abitudine allora generale di dettare le lettere, rendeva necessaria tale precauzione. Noi pensiamo che lo « spirito » a cui alluda, sia una manifestazione del genere dei carismi. Nelle loro preghiere estatiche, i glossolali dovevano ripetere spesso: Maranatha Etiam, venio cito! Ancora poco esperti nel discernimento degli spiriti, gli uditori avevano potuto prendere quelle parole non come pii desideri, ma come profezie destinate ad avverarsi a breve scadenza. L’origine del malinteso del resto importa poco; l’Apostolo si difende dall’avervi dato occasione con i suoi discorsi o con i suoi scritti; no, la fine non è tanto prossima. “Nessuno vi seduca in alcun modo, poiché (ciò non sarà) se prima non sia seguita la ribellione, e non sia manifestato l’uomo del peccato, il figliuolo di perdizione, il quale si oppone e s’innalza sopra tutto quello che si dice Dio e si adora, talmente che sederà nel tempio di Dio, spacciandosi per Dio. Non vi ricordate che quando ero ancora presso di voi, vi diceva tali cose? E ora voi sapete ciò che lo rattiene, affinché sia manifestato a suo tempo. Poiché il mistero d’iniquità opera già, solamente che chi ora lo rattiene, lo rattenga fino a che sia levato di mezzo. E allora sarà manifestato quell’iniquo (che il Signore Gesù ucciderà col fiato della sua bocca e lo annichilirà con lo splendore di sua venuta); l’arrivo del quale è per operazione di satana con tutta potenza e con segni e prodigi bugiardi” (II Tess. II, 3-12). Paolo qui altro non fa che ricordare a mezze parole alcuni tratti della sua predicazione orale. Egli suppone i Tessalonicesi familiari con le sue idee, perché le istruzioni date ai neofiti comprendevano sempre un capitolo sui novissimi, raggruppati intorno alla parusia. L’Apostolo si accontenta di rinfrescarne la memoria. Già da tempo egli ha insegnato a viva voce e ripete ora per iscritto, ma in termini il cui laconismo è per noi enigmatico, che l’ultimo giorno dev’essere preceduto da due grandi crisi, l’apostasia e l’apparizione dell’Anticristo. Egli parla dell’una e dell’altra come di cose note che non occorre spiegare. L’apostasia indica certamente una defezione religiosa, una ribellione contro Dio e i suoi rappresentanti; essa appare strettamente legata con l’azione e con i prestigi del grande avversario. Questi, formalmente distinto da satana che gli dà il suo aiuto e se ne serve come di suo ministro, è descritto con le fattezze e i caratteri dei personaggi di cui è l’antitipo. Egli s’innalzerà sopra tutto ciò che è Dio o si chiama Dio, come Antioco Epifane; si farà passare per Dio e vorrà essere trattato come Dio, come il principe di Tiro in Ezechiele, e il re di Babilonia in Isaia; sederà nel tempio stesso di Dio, come l’abbominazione della desolazione predetta da Daniele. Queste reminiscenze non sono tanto profezie, quanto piuttosto allusioni a testi antichi, e non è necessario aspettarne l’avveramento letterale; sono simboli che si possono avverare secondo una legge di proporzione che ci sfugge. Quando leggiamo che il Signore Gesù « distruggerà l’Iniquo con un soffio della sua bocca », queste parole ci fanno pensare al modo con cui il Figlio di Davide, secondo Isaia, deve annientare l’empio; ma che cosa possiamo conchiudere del modo vero con cui avverranno le cose? Quello che è detto senza figure, è che l’Anticristo opererà falsi miracoli, prodigi e prestigi, che sedurrà un gran numero di anime, che provocherà un laceramento nella Chiesa, che finalmente sarà vinto e che la sua caduta sarà il segnale della parusia.
2. Sopra un punto solo Paolo va più innanzi degli altri che lo hanno preceduto: egli ci parla di un ostacolo che si oppone all’irruzione immediata dell’Anticristo e ce ne dà questa descrizione: È una persona o una cosa personificata (ὁ κατέχων al maschile), ed è nel tempo stesso una forza fisica o morale (κατέχον al neutro). L’ostacolo è già in attività e frena il mistero d’iniquità; gl’impedisce di lasciar passare l’Iniquo (ὁ ἅνομος). Appena scomparirà, il campo resterà libero all’Anticristo, la cui apparizione (παρουσία = parusia) precederà di poco, sembra, l’apparizione (παρουσία) del Figlio di Dio. Qual è questo ostacolo? I Tessalonicesi lo avevano saputo dalla bocca di Paolo, ma noi ora non lo sappiamo, e tutto ci fa credere che non lo sapremo mai. L’oscurità proverbiale di questo passo ha dato luogo a innumerevoli sistemi. Con unanimità fraterna, catari, valdesi, ussiti, discepoli di Wiclef, di Lutero e di Calvino, angligani antichi e moderni, quasi fino ai nostri giorni, hanno veduto nell’Anticristo il Papa e, nell’ostacolo che si oppone al trionfo dell’Anticristo, prima l’imperatore romano, poi l’imperatore tedesco. Nel 1518, quando già fermentavano in lui le prime idee della ribellione, Lutero ebbe un leggero sospetto, che il Papa potesse benissimo essere l’Anticristo: nel 1519, lo diceva all’orecchio di un confidente; al principio del 1520 ne era quasi sicuro e, alla fine del medesimo anno, quando la rottura con Roma fu completa, ne era divenuto affatto sicuro. Dieci anni dopo si sdegnava perché la confessione di Augsbourg non avesse espresso un articolo di fede così fondamentale; ma l’errore fu riparato a Smalkalde dove si definì che « il Papa è il vero Anticristo il quale s’innalza contro il Cristo e sopra di lui. La sola divergenza tra i protestanti, è che parecchi ammettevano due Anticristi, uno per l’Oriente, Maometto e l’Islamismo, e l’altro per l’Occidente, il Papa e il Papato. Un commentatore più audace ha persino scoperto che se il Papa è sempre l’Anticristo, naturalmente il mistero d’iniquità è il gesuitismo, il tempio di Dio è la pura dottrina luterana, e l’ostacolo che si oppone alla venuta, non dell’Anticristo, come vuole il testo di San Paolo, ma di Gesù, è ancora il Papa. Non è molto tempo che luterani, calvinisti e anglicani hanno rinunziato a questa esegesi, per loro più sacrosanta che non sia per noi la più solenne definizione di fede. Tanto sono difficili a sradicare i pregiudizi di setta e di casta, rafforzati dall’abitudine e dall’educazione! In quanto ai razionalisti, essi affermano tutti, che la profezia di San Paolo non si è avverata e non si dovrà mai avverare, essendo un sogno dell’Apostolo. Ma quando si tratta di precisare l’oggetto di questo sogno, sono così divisi, che non è possibile trovarne due del medesimo parere. Parecchi, ritornando all’idea di Grozio, cercano l’avveramento dell’enunciato apocalittico negli avvenimenti contemporanei all’autore, e allora la profezia non sarebbe che una predizione ex eventu o una previsione a breve distanza. L’Anticristo potrebbe essere Caligola, l’empio sarebbe Simon Mago, e l’ostacolo, Vitellio (Grozio); oppure l’empio sarebbe Tito, e l’Anticristo Nerone, mentre l’ostacolo rappresenterebbe la guerra civile dell’anno 70 (Wetstein); oppure l’Anticristo sarebbe ancora Simon Mago, la defezione, l’eresia gnostica, l’ostacolo, l’unione temporanea del giudaismo e del Cristianesimo (Hammond). Per altri, l’ostacolo sarebbe o San Paolo stesso (Koppe, Schott, e Grimm), oppure tutti gli Apostoli e specialmente San Giacomo (Bohme), oppure il profeta Elia (Ewald), oppure il filosofo Seneca (Kreyber)! E non andiamo oltre! (53). – Non si può dire neppure che siano d’accordo i commentatori cattolici; però, nonostante mille differenze nei particolari, essi considerano quasi tutti la parusia come il ritorno personale di Gesù Cristo che verrà a giudicare i vivi e i morti; nell’anticristo vedono un individuo, benché Sant’Agostino pensi piuttosto a una tendenza; nell’apostasia, una defezione e una ribellione, o religiosa o politica, o religiosa e politica insieme; nel mistero d’iniquità, o Nerone e i persecutori, o gli eretici e i scismatici; nel tempio di Dio, o il tempio di Gerusalemme ricostruito o la Chiesa cristiana; nell’ostacolo finalmente o l’impero romano o lo Stato cristiano erede dell’impero. Ma qual è oggi lo Stato che oppone una diga all’invasione del male! In mancanza di meglio, parecchi opinano per la fede ancora vivente nel cuore di molti, o per il decreto divino di far predicare il Vangelo nel mondo intero. Non solo l’ostacolo non è ancora trovato, ma crediamo che non si sia mai cercato nella direzione giusta. San Paolo si mantiene sul terreno dell’escatologia ebraica e cristiana; come Daniele, come San Giovanni, egli descrive una lotta del male contro il bene, la quale ha un’eco su la terra, ma che si svolge altrove. È infatti satana che la ingaggia e la sostiene, dando al suo ministro tutta l’energia del suo aiuto. L’antagonista deve essere una potenza dello stesso ordine. Nella profezia di Daniele, è il condottiero dell’esercito celeste, il capo del popolo di Dio, Michele, che prende la difesa della nazione santa, specialmente al tempo della gran tribolazione e alla vigilia della risurrezione dei morti (Dan. X, 12). In San Giovanni, è ancora Michele con i suoi Angeli, che combatte contro il Drago, l’antico serpente, Lucifero, il diavolo, satana, e che finisce con assicurare la vittoria al Cristo (Apoc. XII, 7-8). La lotta di Michele e di Satana continua attraverso i secoli. Non occorre interrogare gli apocrifi — il libro di Enoch, il Testamento dei dodici patriarchi, l’Apocalisse di Mosè — per sapere la parte capitale che dovrà sostenere Michele nell’ultimo giorno. Egli, secondo San Paolo — la cosa non è quasi messa in dubbio — darà il segnale della risurrezione e del giudizio. Non sarebbe egualmente lui, il protettore della Sinagoga prima, e poi della Chiesa, che con le sue milizie chiuderà il passo alle potenze dell’inferno fino alla pienezza dei tempi? Tutte le parti della descrizione di Paolo gli si adattano: essere personale (ὁ κατέχων), comanda a un esercito e rappresenta una forza (τό κατέχον); è immortale, e la sua lotta contro satana, ingaggiata fino dall’età apostolica (ᾄρτι), si prolunga attraverso la storia per toccare alla fine il suo apogeo. Se la sua momentanea disparizione (ἒως ἐκ μέσου γένηται) significasse una sconfitta, questo carattere non le sarebbe più applicabile, ma le parole dell’Apostolo non hanno questo senso, e non vi è nulla che ci obblighi a sottintenderlo. Finché gli esegeti ridotti à mal partito abbiano trovato una soluzione migliore, noi cercheremo là l’ostacolo misterioso che ritarda l’apparizione dell’Anticristo. Tutto ci lascia credere che le inquietudini riguardo all’imminenza della parusia si calmarono presto, e non vediamo che si siano manifestate altrove; sia che a Tessalonica dipendessero da circostanze locali, sia che l’Apostolo, istruito dall’esperienza, avesse d’allora in poi procurato di prevenire qualunque malinteso.
# # #
[Alla luce dei recenti avvenimenti (iniziati con il colpo di mano del 26 ottobre 1958), pensiamo che la parole di San Paolo si siano in pieno dimostrate esatte, essendo naturalmente ispirate dalla Luce divina dello Spirito Santo. Il Kathecon (ὁ κατέχων = o catékohn) effettivamente è il Vicario di Cristo, il Santo Padre, il Papa, che con l’infallibilità assicuragli da Gesù Cristo, (il Papato: τό κατέχον) ha frenato nel corso dei secoli, con la sua energica e puntuale azione, il mistero di iniquità, (τό μυστήριον τἥς ἀνομίας = to musterion thes anomias), cioè la penetrazione della gnosi-cabalistica, la teologia di satana (che già ai tempi di San Paolo era attiva … poiché il mistero d’iniquità opera già … come vera e propria sinagoga di satana – si pensi ai protomassoni adoratori del sole-lucifero: gli Esseni – opposta totalmente e sostituitasi progressivamente alla Sinagoga di Mosè). Questo fino al 26 ottobre del 1958, giorno in cui il Kathecon (cioè il Papa neo-eletto Gregorio XVII) fu imprigionato ed impedito nella sua Autorità (“ … levato di mezzo”), – prigionia ed impotenza in cui si trova anche l’attuale Pontefice Gregorio XVIII – e sostituito da un fantoccio nelle mani della cricca kazaro-giudaica, il massone 33:. Angelo Roncalli, che provvide poi a promuovere cardinale, per la successiva investitura a Pontefice massimo, il giudeo “patriarca degli illuminati” Giovanbattista Montini, discepolo “eletto” di satana e della sua conventicola. A questo punto l’Apostasia ha cavalcato a briglie sciolte portando tutta la terra nella confusione morale, sociale e spirituale attuale, guidata da altri “eletti del dragone” i kazari “illuminati” della sinagoga di satana, (… il teosofo polacco, il nuovo patriarca degli illuminati ed il suo buffone…) che sono oramai in procinto di consegnare il trono usurpato all’anticristo, come profetizzato dal profeta Daniele e dall’Apostolo in II Tessal. Tutto è stato descritto con meticolosa precisione e appropriatezza di termini, come una cronaca vista e riportata. Tutto coincide alla perfezione, non ci resta che aspettare, nella situazione in cui ci troviamo adesso ( … ribellione, e manifestazione dell’uomo del peccato, il figliuolo di perdizione, il quale si oppone e s’innalza sopra tutto quello che si dice Dio e si adora, talmente che sederà nel tempio di Dio, spacciandosi per Dio … il baphomet-lucifero, il “signore dell’universo” del novus ordo), l’avvento dell’anticristo in carne ed ossa, la feroce persecuzione dei residui cristiani, ed il … non prævalebunt, … ecco apparirà il Signore Gesù (παρουσία), in tutta la sua maestà … … e allora sarà manifestato quell’iniquo (che il Signore Gesù ucciderà col fiato della sua bocca e lo annichilirà con lo splendore di sua venuta); l’arrivo del quale è per operazione di satana con tutta potenza e con segni e prodigi bugiardi”. Allora interverrà l’Arcangelo Michele, il Capo della milizia celeste, a restaurare la Chiesa di Cristo, in luogo della fetida falsa “chiesa dell’uomo”, abominio della desolazione, e la Vergine Maria scenderà a schiacciare la testa del serpente maledetto, come era stato annunziato addirittura già nel giardino dell’Eden .. et Ipsa conteret caput tuum! – La Scrittura divina non fallisce e … neppure uno iod andrà perso, come il divin Maestro ci ha assicurato, tutto si svolgerà come annunziato da secoli dai santi Profeti del Vecchio e del Nuovo Testamento, ispirati dallo Spirito Santo; e San Paolo è stato una bocca fedele ed una mano guidata dalla Sapienza divina, dalla Sapienza incarnata: il Nostro Signore Gesù-Cristo. – ndr. -].