GNOSI, TEOLOGIA DI sATANA:
Errori in ROSMINI (3)
[Dom P. Benoît: Revue du monde catholique, 1° Apr. 1889]
XI
ERRORE SULLA CADUTA ORIGINALE
54. Rosmini professa sulla caduta originale una teoria così bizzarra e lontana dal dogma cattolico. Secondo lui, satana era padrone, per un vero possesso, del frutto proibito; mangiato dall’uomo, questo frutto si cambiò nel suo corpo: da ciò, il demone possessore del frutto, divenne padrone dell’uomo. I demoni, dice Rosmini, essendo in possesso del frutto, pensarono di introdursi nell’uomo se questi ne mangiasse, perché essendo assimilato il nutrimento dal corpo animato dell’uomo, essi potessero entrare liberamente nell’animalità, cioè nella vita soggettiva di quest’essere e così disporre di lui secondo le loro intenzioni [(Cum dæmones fructum possederint, putarunt se ingressuros in hominem si de illo ederet; converso enim cibo in corpus hominis animatum, ipsi poterant libère ingredi animalitatem, id est in vitam subjectivam hujus cutis, atque ita de eo disponere sicut proposuerant, (Prop. XXXIII)]. » Rosmini fa consistere il peccato originale in una sorta di possessione demoniaca. Il primo uomo è caduto perché si è messo sotto la potenza del demonio, perché ha mangiato e convertito nella sua sostanza una mela posseduta dal demonio, di modo che il demonio ha esteso il suo dominio della mela ad Adamo. Poi siccome la semenza di tutti gli uomini è in Adamo, si è costituito padrone di tutti gli uomini: i discendenti del primo uomo nascono così nel peccato originale, perché sono formati da una semenza che il demonio possiede ed essi stessi sono l’oggetto di una possessione diabolica.
55. L’insegnamento della Chiesa è molto differente. I Dottori della Chiesa fanno consistere il peccato originale nella privazione della grazia: l’uomo, dopo la caduta, è peccatore, perché non ha la grazia che dovrebbe avere secondo il disegno di Dio nella sua creazione. Il primo uomo ha perso la grazia perché ha trasgredito il precetto del Signore con una disobbedienza volontaria, perché egli ha commesso un peccato mortale, incompatibile per sua natura con il dono soprannaturale della carità. I suoi discendenti ne sono privati, perché Dio aveva stabilito una unione morale tra padre e figlio, che la fedeltà o l’infedeltà del capo era la fedeltà o l’infedeltà nella perseveranza stessa o la perdita di questa. Tutti gli uomini nascono privi della grazia, perché Adamo l’ha persa non solo per lui, ma pure per loro. Questa privazione originale della grazia, ecco il peccato originale. Senza dubbio l’uomo decaduto è nella potenza del demonio, perché il “vinto, dive S. Paolo, è soggetto al vinvitore”. Ma la dominazione di satana sulla natura umana è l’effetto del peccato, non ne è l’essenza. – in seguito, questo dominio, almeno in generale, non dovrebbe essere chiamatouna “possessione del corpo”. Il demonio ha il potere di agire sull’immaginazione con dei fantasmi; egli possiede certe otenze sull’aria e gli altri elementi di questo mondo, sul corpo stesso dell’uomo; ma questo impero generale e molto imperfetto sull’universo deve essere scrupolosamente distinto da questa dominazione particolare e stretta che si chiama la possessione diabolica.
XII
ERRORE SULL’IMMACOLATA CONCEZIONE DI MARIA
56. Rosmini insegna sull’Immacolata Concezione della Santa Vergine un errore che deriva dalla sua falsa teoria concernente il peccato originale, secondo lui, lo vedremo appunto, il demonio ha esteso il suo dominio dal frutto all’uomo, dal corpo del primo uomo, alla semenza di tutti i suoi discendenti racchiusi nel corpo del padre: come è caduto il primo uomo, così sono caduti in lui tutti gli uomini. « Tuttavia, egli aggiunge, una particella estremamente tenue della semenza racchiusa in Adamo è stata negletta da satana; questa particella è stata trasmessa da generazione in generazione ed è arrivata, libera dal possesso demoniaco, negli ancestri immediati di Maria; lù, Dio ne ha formato il corpo della futura Madre di suo Figlio. Così Maria si è trovata esente dal peccato originale. Per preservare la Beata Vergine Maria dalla macchia del peccato originale, era sufficiente che la minima parte di semenza restasse incorruttibile nell’uomo (il primo uomo), semenza forse negletta dal demonio stesso, affinché, da questa parte intatta, trasmessa da generazione in generazione, nascesse, a suo tempo, la Beata Vergine Maria [(Ad perseservandam Beatam Virginem Mariam a labe originis, satis erat ut incorruptum maneret minimum semen in homine, neglectum forte ab ipso dæmone; e quo incorrupto semine, de generatione in generationem transfuso, suo tempore oriretur Virgo Maria. (Prop. XXXIV)].
57. Non è certamente così che la Chiesa intende l’Immacolata Concezione di Maria. Dionon ha sottratto al possesso del demonio una particella del corpo di Adamo, per formarne più tardi la Madre di suo Figlio; Egi l’ha, in vista dei meriti del Salvatore futuro, riscattata dal peccato con una giustificazione preventiva, che non ha lasciato ai flutti dell’iniquità il tempo di sommergere questa Creatura privilegiata, ma rivestendo la sua anima, nella sua stessa creazione, della pienezza della grazia. Dal lato della sua origine Maria era soggetta al peccato; ma con una operazione straordinaria della misericordia divina, Ella ne è stata liberata prima di esserne coinvolta: Ella aveva il debito del peccato, ma è stata preservata dal peccato stesso: habuit debitum peccati, non actum.
XIII
ERRORE SULLA GIUSTIFICAZIONE
58. Lutero pretendeva che l’uomo caduto in peccato sia incapace di ridiventare giusto per una giustizia propria ed intrinseca. Il peccatore, secondo lui, è sostanzialmente malvagio; il libero arbitrio è distrutto in lui; egli non è capace di un buon desiderio; più si sforza di agire bene, più pecca: perché da un albero cattivo, cosa può uscire se non un frutto cattivo? Ecco perché, secondo Lutero, la giustificazione non consiste in ciò che i peccati siano rimessi o cancellati, ma che siano coperti, e non siano più imputati. Il mantello dei meriti di Gesù-Cristo viene gettato sul peccatore e ricopre le immondizie della sua anima; ma queste immondizie sussistono in lui dopo la giustificazione, come prima.
59. La Chiesa ha condannato questa dottrina al Concilio di Trento. Ora Rosmini la rinnova in parte. A sentirlo ci sono dei peccati che sono solo coperti, mentre altri sono propriamente rimessi; ce ne sono alcuni che cessano dall’essere imputati, senza essere cancellati, altri sono effettivamente cancellati. « Più si esamina l’ordine della giustificazione nell’uomo, egli dice, più ci appare conveniente il modo di parlare delle Scritture, dicendo che Dio nasconde certi peccati o non li imputa più. Il Salmista pone una differenza tra le iniquità che sono rimesse ed i peccati che sono nascosti: i primi, come sembra, sono le colpe attuali e libere; i secondi sono i peccati non liberi di coloro che appartengono al popolo di Dio, e ai quali, solo per questo, non causano alcun danno (Quo magis attenditur ordo justifîcationis in homine, eo apitor apparet modus dicendi peripturalis quod Deus peccata quædam. tegit aut non imputat. — Juxta Psalmistam discrimen est inter iniquitates quæ remittuntur et peccata quæ teguntur: illæ ut videtur, sunt culpæ actuales et libéræ, hæc veto sunt peccata non libéra eorum qui pertinent ad populum Dei, quibus propterea nullum afteruut nocumentum. (Prop. XXXV)]. »
60. Quali sono questi “peccati non liberi”? Innanzitutto e senza dubbio, il peccato originale, poiché questo non è stato commesso dalla volontà personale, ma è stato trasmesso con la natura dlle leggi stesse della generazione. Bisogna dunque ammettere, secondo Rosmini, che il peccato originale non è rimesso, ma solo nascosto; che non è cancellato, ma cessa di nuocere. Ecco qualche conseguenza. La grazia non viene data al Battesimo, perché la grazia è incompatibile con l’esistenza del peccato originale; la giustificazione non apporta alcun cambiamento intrinseco nelle profondità dell’anima, poiché la macchia del peccato non è tolta. Noi non vediamo come Rosmini possa sfuggire a queste consiguenze. Ma ecco degli errori ancor èiù gravi: essi sono il ribaltamento di tutta l’economia soprannaturale.
XIV
ERRORI SULL’ORDINE SOPRANNATURALE
61. « Il consenso unanime della Chiesa Cattolica, dice il Concilio Vaticano, ha sempre ritenuto, e ritiene, che vi sono due ordini di conoscenza, distinte non solo dal loro principio, ma ancora dal loro oggetto; dapprima per il loro principio, perché noi conosciamo nell’uno con la luce naturale della nostra ragione, e nell’altro per la fede divina; per il loro oggetto poi, perché oltre alle cose he la ragione naturale può comprendere, vi sono proposti alla nostra credenza dei misteri nascosti in Dio, che noi non possiamo conoscere se Dio non li rivela. – Ecco perché l’Apostolo, che attesta che Dio è stato conosciuto dai gentili per le sue opere, quando disserta della grazia e della verità che ci ha portato Gesù-Cristo, esclama: « Noi predichiamo la Sapienza di Dio in mistero che è rimasto nascosto, che Dio ha predestinato, preparato prima di tutti i secoli a nostra gloria, che nessuno dei principi di questo mondo ha conosciuto, ma che Dio ci ha rivelato con il suo Spirito-Santo: perché lo Spirito penetra tutto, anche le profondità di Dio. Ed il Figlio unico di Dio rende al Padre suo questa testimonianza, che ha nascosto questi misteri ai saggi ed ai prudenti, e li ha rivelati ai piccoli ( De fide cath., cap. IV), ». Secondo questo insegnamento, l’ordine naturale consiste essenzialmente nela conoscenza mediata ed indiretta di Dio, vale a dire nella conoscena di Dio per mezzo delle sue creature. L’ordine soprannaturale consiste essenzialmente nella conoscenza immediata e diretta di Dio, cioè nella conoscena di Dio in se stesso, ossia quaggiù nella conoscenza oscura ed imperfetta di Dio attraverso le ombre della fede, sia in cielo nela conoscenza chiara ed intuitiva di Dio nello splendore della sua luce. – Rosmini, che confonde l’essere generale con l’essere divino, fa consistere l’ordine soprannaturale nella piena manifestazione dell’essere nella pienezza della sua forma reale [(Ordo supernaturalis constituitur manifestatione esse in plenitudine suæ formæ realis. [Prop. XXXIV)]. »
62. Ma se noi diventiamo soprannaturalmente beati con una piena manifestazione dell’essere, come siamo naturalmente intelligenti con una prima manifestazione di questo stesso essere, bisognerà dire che la conoscenza soprannaturale e la conoscenza naturale non differiscono quanto all’oggetto, come intende il Concilio Vaticano, ma solo per il grado, attraverso il quale l’una e l’altra raggiungono lo stesso obiettivo, ma inegualmente. Che potrebbe rispondere Rosmini?
63. Ma se l’oggetto delle due conoscenze è sostanzialmente lo stesso, può il principio differirne? «L’effetto di queste manifestazioni o comunicazioni » dell’essere nella pienezza della sua forma reale, dice Rosmini, « è un sentimento deiforme che, cominciato in questa vita, costituisce la luce della fede e della grazia e, completata nell’altra vita, costituisce la luce della gloria [(Cujus communicatumis seu manifestationis effectua est sensus (sentimento) deiformis, qui iochoatus in bac vita constituat lumen fidei et gratiæ, complétas in altéra vita construit lumen gloriæ, (Ibid.)].» La luce della fede e della grazia è la virtù naturale con la quale l’anima conosce Dio quaggiù; la luce di gloria è la virtù soprannaturale con la quale conosce Dio nella vita futura: « Ora, dice Rosmini, questo principio della conoscenza naturale o “deiforme” che produce nell’anima la manifestazione dell’essere nella pienezza della sua forma reale. » Ma l’essere, secondo Rosmini, era già conosciuto in se stesso dalla ragione naturale. Siccome la conoscenza soprannaturale non eleva che ad una conoscenza più perfetta di uno stesso oggetto, sarà sufficiente per questa nuova conoscenza di una perfezione nuova, data allo stesso principio, non avrà bisogno di un nuovo principio. In altri termini, la facoltà o il principio è proporzionato all’oggetto; poiché l’oggetto della conoscenza soprannaturale è sostanzialmente lo stesso di quello della conoscenza naturale, cioè l’intuizione dell’essere, perché ci vorrebbero per i due rdini di conoscenza, dei principi differenti? Il principio non dovrebbe essere lo stesso nella dottrina cattolica, poiché l’anima, per conoscenza naturale, conosce Dio solo nello spettacolo delle creature, mentre la conoscenza soprannaturale lo conosce in se stesso. Ma per Rosmini, che considera l’intuizione dell’essere divino come oggetto della conoscenza naturale tanto di quella soprannaturale, è impossibile la differenza tra il principio dell’una e dell’altra. Rosmini può designare con dei nomi nuovi il principio della conoscena naturale; egli può chiamarlo, come in effetti fa, luce di grazie e luce di gloria; ma poiché l’oggetto è sempre l’intuizione dell’essere divino, è sempre, anche se con nomi nuovi, uno stesso principio (L’arte di ogni gnostico di ogni epoca, è stata sempre questa: cambiare il nome alle cose, ai concetti, confondere ed intorbidire le acque del pensiero, per trarre in inganno e spacciare le insanie gnostiche come verità! – N.d.r.].
64. Tuttavia la dottrina della Chiesa sulla differenza tra gli oggetti dei due ordini di conoscenza è troppo manifesta, perché Rosmini non cerchi di distinguere l’uno dall’altro. « La prima luce che rende l’anima intelligente è l’essere ideale; l’altra prima luce è anche l’essere, non più tuttavia puramente ideale, ma sussistente e vivente: questa, velando la sua personalità, non mostra che la sua obiettività; ma chi vede l’altra, che è il Verbo, vede Dio, benché in uno specchio per riflessione ed enigma [(Primum lumen veddens animam intelligentem est esse idéale; alterum primum lumen est etiam esse, non tamen mere idéale sed subsistens ac vivens: illud abscondens suam personalitatem ostendit solum suam objectivitatem: at qui videt alterum (quod est Verbum), etiamsi per spéculum et in enigmate, videt Deum. (Prop. XXXVII)]. » Così, secondo Rosmini, la ragione natural conosce l’essere semplicemente ideale, la luce della fede e della Gloria conoscono l’essere ideale sussistente e vivente: l’essere semplicemente ideale differisce dall’essere ideale sussistente: dunque, l’oggetto della conoscenza soprannaturale differisce dall’oggetto della conoscenza naturale.
65. Ma come l’essere divino potrebbe essere visto nella sua idealità e non essere visto nella sua sussistenza? Appartiene all’essere divino, nota San Tommaso, essere subsistant prima di essere ideale, vale a dire essere una forma assoluta, prima di essere una forma rappresentativa. « Si conosce un oggetto in se stesso, dice il santo Dottore, prima di conoscerlo nelle sue relazioni con ciò che non è Lui; non si può conoscere Dio come idea, senza conoscerlo nella sua essenza assoluta [(Non est antera possibile quod aliquis videat rationes creaturarum in ipsa divina essentia, ita quod eam non videat: tum quia ipsa divina essentia est ratio omnium eorum quæ fiunt; ratio autem realis non addit supra divinam essentiam nisi respectum ad creaturam; tum quia prius est aliquid cognoscere in se, quod est cognoscere Deum ut est objectum beatitudinis, quam cognosepre illud per comparationem ad alierum, quod est cognoscere Deum secundum rationes rerum in ipso existentes. (Sum. Theol. IIa IIæ, q. CLXXIII, a. 1)]. Se dunque Dio è conosciuto dalla ragione natural nella sua oggettività o sua intellegibilità, è necessariamente conosciuto nella sua sussistenza. Ed allora sparisce questa pretesa differenza tra l’oggettività e la sussistenza dell’essere ideale, ogni intuizione dell’essere divino deve essere proclamata soprannaturale. Secondo la dottrina cattolica, in effetti, la conoscenza soprannaturale di Dio, consiste in una conoscenza diretta ed immediata dell’essere divino. Se dunque lo spirito umano percepisce l’essere divino in se stesso, con una intuizione diretta, quand’anche, per assurdo, non ne percepisce la sua sussistenza, ne ha una conoscena soprannaturale. Rosmini dice: « La prima luce che rende l’anima intelligente è l’essere ideale. » Noi gli chiediamo: « Questo essere ideale è realmente l’essere divino? » Si, risponde Rosmini. Dunque, concludiamo noi, questa conoscenza essendo immediata, è soprannaturale. Rosmini attribuisce alla natura ciò che è al di sopra delle forze della natura. Egli dice bene: « Questo essere divino vela la sua sussistenzae non mostra la sua oggettività. » Ma ancora una volta, questo essere, nascondendo la sua personalità, si scopre in se stesso? Sì, poiché mostra la sua oggettività, che è una forma dell’essere divino, che è qualcosa di Dio, che è Dio. Dunque, ancora, voi pretendete, o filosofo, che la ragione conosca immediatamente l’Essere divino: voi attribuite alla natura ciò che è della grazia! – Bisogna forse aggiungere che tutta questa teoria sia stata misconosciuta ai Padri ed ai Teologi? Qual Dottore cattolico ha dato alla ragione naturale, fin dalla vita presente, l’intuizione dell’Essere divino? Qual maestro di dottrina ha posto differenza tra la conoscenza naturale e sonoscenza soprannaturale nella percezione dell’idealità del’Essere divino nell’una e la sussistenza nell’altro? Rosmini si separa da tutti i Padri e da tutti i Teologi; dunque tutti i Padri e tutti i Teologi lo condannano.
66. Ma non abbiamo finito con gli errori di Rosmini sull’ordine naturale. Abbiamo appena visto vederlo dare al filosofo l’intuizione dell’Essere divino in se stesso. D’altro canto egli nega che l’eletto trovi la sua beatitudine nella sola visione di Dio. « Dio, egli dice, è l’oggetto della visione beatifica, come autore delle opere “ad extra” (prodorre all’esterno) [(Deus est objectum visionis beatificæ, in quantum est auctor operum ad extra. (Prop. XXXVIII.) » – « Le vestigie della saggezza e della bontà che brillano nelle creature sono necessarie ai beati, perchè queste vestigie, runite nell’esemplare eterno, ne sono la parte che può essere vista dai beati ed è loro accessibile; essi sono inoltre il motivo delle lodi che i beati cantano eternamente in onore di Dio [(Vestigia sapientiæ ac bonitatis quæ in creaturis relucent, sunt comprehensoribus necessaria; ipsa enim in æterno exemplari collecta sunt ea Ipsius pars quæ ab illis videri possit (che è loro accessibile) ipsaque argumentum eræbent laudibus, quas in æternum Deo Beati concinunt. (Prop. XXXIX.)]. Tutti I Dottori Cattolici insegnano che la beatitudine dell’eletto consiste nella visione di Dio in se stesso; Rosmini dice al contrario, che « le vestigie delle perfezioni divine, tali come brillano nelle creature, sono necessarie ai beati ». Tutti i Dottori professano che gli eletti contemplano e cantano per sempre la bellezza increata vista in se stessa; Rosmini pretende che le influenze degli attributi divini in seno all’universo siano l’oggetto proprio la cui contemplazione li rende felici e che essi celebrano con i loro inni. Tutti i Cattolici credono che la visione di Dio sazi tutti i desideri dell’uomo. Senza dubbio gli eletti vedono in Dio tutto l’insieme dell’universo; ma la loro beatitudine è essenzialmente l’effetto della visione di Dio, talmente che se, per assurdo, essi cessassero dal conoscere tutte le creature, la felicità resterebbe perfetta: « Felice, dice S. Agostino, colui che vi conosce, o Dio mio, quand’anche ignorasse tutto il resto! [(Beatus est qui te scit, etïam si illas, id est creaturas, nesciat. (Conf., lib. V, c. IV) ». – Rosmini al contrario crede che l’eletto non abbia la beatitudine se non per effetto della conoscenza delle creature.
67. Ancor più, egli giunge fino a pensare che Dio non possa farsi vedere all’eletto, faccia a faccia, nella sua essenza, al di fuori delle sue relazioni con le creature. Conoscere Dio nella sua essenza, percepita indipendentemente dai suoi rapporti con gli esseri finiti è, secondo lui, al di sopra delle forze, anche soprannaturali, di una natura creata. L’intelligenza finita, a credergli, non può donoscere Dio che nelle sue manifestazioni esteriori. « Siccome Dio non può, anche con la luce della gloria, comunicarsi totalmente agli esseri finiti, non ha potuto rivelare e comunicare la sua essenza ai beati che secondo un modo adattato alle intelligenze finite, e questo modo è il seguente: Dio si manifesta ad essi intanto che è in relazione con essi, come loro creatore, loro provvidenza, loro redentore e loro santificatore [(Cum Deus non possit, nec per lumen glorie, totaliter se communicare entibus flnitis, non potuit essentiam suam comprehensoribus revelare et communicare nisi eo modo qui finitîs intelligentes sit accomodatus: scilicut Deus se illis manifestat quatenus cum ipsis revelationem habet ut eorum creator, provisor, redempior, sanctificator. (Prop. XL)] ». Così Rosmini, che attribuisce all’intelligenza naturale il potere di conoscere l’essere stesso del Verbo, nega all’intelligenza elevata dai doni soprannaturali, la facoltà di vedere Dio in se stesso nella sua essenza assoluta. Secondo lui, l’ordine della conoscenza naturale va fino all’Essere divino, racchiuso, è vero, nei limiti delle creature; al contrario, l’ordine della conoscenza soprannaturale non può elevarsi fino all’Essere divino preso assolutamente. Dopo aver esaltato la natura fino ad attribuirle gli effetti della grazia, egli abbassa la grazia fino a rinchiuderla nei confini della natura. Ancora uno stesso principio si nasconde sotto questi errori diversi. Rosmini resta l’entusiasta ammiratore dell’essere, di questo essere in generale che confonde con l’Essere divino. È questo essere, ai suoi occhi così grande e così universale, che è l’oggetto di ogni conoscenza, della conoscenza soprannaturale così come della conoscena naturale: il bambino che si desta alla ragione la conosce già; l’eletto arrivato alla consumazione della gloria, non conosce che se stesso.
XV
ULTIME OSSERVAZIONI
68. Tali sono i principali errori di Rosmini. Altri errori meno importanti sono conseguenza di questi citati. La Santa Sede li menziona e li riprova in generale, senza segnalarli nei particolari; essa vieta ai Cattolici però di interpretare il suo silenzio al riguardo come prova di una qualsivoglia approvazione [(Propositions quæ sequuntur in proprio Auctoris sensu reprobandas, damnandas ac proscribendas esse indicavit, prout hoc generali decreto reprobàt, damnât, proscribit; quin exinde cuiquam deducere liceat ceteras ejusdem Auctoris doctrinas quæ per hoc decretum non damnantur ullo modo adprobari. [Decretum S. Cong. )]. Non vi sono, in effetti, questioni filosofiche, e non poche questioni teologiche che il Rosmini non abbia cercato di risolvere e nelle quali non si sia ingannato in soluzioni contrarie alle dottrine della Scuola.
69. In fondo a tutti gli errori teologici di Rosmini, in fondo a tutti gli errori filosofici, si riconosce sempre uno stesso errore: la confusione tra l’essere generale e l’essere divino. Questa confusione è il fondamento del panteismo di Fichte, di Shelling e soprattutto di Hegel; la stessa confusione è il fondamento del sistema rosminiano. Rosmini, come Hegel, si persuade che le cose siano in se stesse, il modo stesso di essere che nell’intelligenza. Siccome l’essere è conosciuto sotto una forma astratta, questi due dotti realizzano nell’ordine ontologico un essere realmente esistente con i caratteri di astrazione che ha nello spirito. Rosmini, non più di Hegel, non conosce questa verità elementare della filosofia cristiana, e cioè che l’essere non è univoco, che l’Essere divino e l’essere non hanno una medesima ragione, ma sono solamente analoghi l’uno all’altro. Rosmini, come Hegel, ha confuso i trascendentali di cui parlano i filosofi con i generi supremi. Egli ha fatto del primo dei trascendentali, l’essere in generale, un genere supremo di cui la ragione conviene allo stesso modo alla sostanza divina che alla sostanza creata. Se Rosmini non professa apertamente il panteismo, anche se è guidato dagli stessi principi nel suo sistema, è solo perché ne è allontanato dalla sua fede. Come Cristiano, egli cerca di sfuggire a conseguenze alle quali le conduce la sua filosofia: egli lotta contro di esse, lotta contro i suoi principi. Ma in questa lotta, respinge le affermazioni più grossolane del panteismo, prendendone le formule essenziali. Il suo linguaggio è molte volte smile a quello dei panteisti, e sebbene si protestasse altamente di essere figlio sottomesso della Chiesa Cattolica, poteva essere ben considerato come un filosofo rivoltato contro di essa.
70. E terminiamo con un’ultima riflessione. La diffusione presente degli errori rosminiani come, da qualche anno, quello degli errori di Lamennais, attesta uno strano indebolimento del senso filosofico, un’incredibile diminuzione delle verità filosofiche. Così non è senza una grande intelligenza delle necessità attuali della Chiesa, che il grande Papa Leone XIII, applica tutti i suoi sforzi nel resuscitare nel mondo la filosofia cristiana, ad invitare la generazione presente alle lezioni della Scuola, particolarmente di colui che ne è il Dottore principale. Possano tutti i maestri di Italia, docili alle direttive del Capo della Chiesa, abbandonare Rosmini ed attaccarsi all’Angelo della Scuola!
[Questo augurio purtroppo non si è realizzato, perchè le bislacche tesi rosminiane, … apparentemente bislacche, in realtà guidate da una precisa volontà destabilizzante, di matrice gnostico-cabalistica, sono state riesumate, come cadavere fetido, nella falsa chiesa dell’uomo, dalla setta del “novus ordo” ed addirittura esaltate dagli gnostici marrani usurpanti il Trono di S. Pietro. Per noi Cattolici Romani, è importante aver cognizioni delle tesi gnostiche rosminiane, benchè ripugnanti e fastidiose, per poterle decodificare e “scansare” accuratamente nel modernismo satanico attuale che, come tutti gli inganni gnostici da sempre perpetrati, si presenta con la maschera bonaria del lupo travestito, pronto ad azzannare e condurre al fuoco eterno, chiunque, volutamente o inconsapevolmente, si avvicini ad esso, sia pure solo sfiorandolo. Attenti quindi a questo altro lupo che, sotto l’aspetto di un sacerdote pio ed umile, come angelo vestito di (falsa) luce, spaccia veleno gnostico mortale. Che Dio ce ne guardi, e la Vergine Maria, che da sola distrugge tutte le eresie, ci protegga e ci conduca alla salvezza.
A. Rosmini,
… uno gnostico stroncato dalla “vera” Chiesa Cattolica, riabilitato nella chiesa universale dell’uomo, la sinagoga si satana, il satanico Novus Ordo, gestito dai modernisti-marrani infiltrati, usurpanti e sostenuti dalle sette eretiche dei “gallicani fallibilisti”, dei “gallicani tesisti”, e delle molteplici “settuncole” sedevacantiste pseudo-tradizionaliste!
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Decreto del Sant’Uffizio
POST OBITUM
[Testo latino e traduzione italiana
– Progetto Barruel- ](*)
(*) Il sito del progetto Barruel, è un sito a-cattolico paramodernista scismatico, che pubblica documenti della Chiesa Cattolica “ante-golpe” del 1958. La traduzione che riportiamo è però funzionale agli articoli ed utile nella comprensione, in lingua vernacolare, del documento citato.
Feria IV die 14 decembris 1887.
Post obitum Antonii Rosmini Serbati quædam eius nomine in lucem prodierunt scripta, quibus plura doctrinae capita, quorum germina in prioribus huius Auctoris libris continebantur clarius evolvuntur atque explicantur. Quae res accuratiora studia non hominum tantum in theologicis ac philosophicis disciplinis præstantium, sed etiam Sacrorum in Ecclesia Antistitum excitarunt. Hi non paucas propositiones, quae catholicæ veritati haud consonæ videbantur, ex posthumis præsertim illius libris exscripserunt, et supremo S. Sedis indicio subiecerunt.
Porro SS.mus D. N. Leo divina providentia Papa XIII, cui maxime curæ est ut depositum catholicæ doctrinæ ab erroribus immune purumque servetur, delatas propositiones Sacro consilio E.morum Patrum Cardinalium in universa christiana republica Inquisitorum Generalium examinandas commisit.
Quare, uti mos est Supremæ Congregationis, instituto diligentissimo examine, factaque earum propositionum collatione cum reliquis Auctoris doctrinis prout potissimum ex posthumis libris elucescunt, propositiones quae sequuntur, in proprio Auctoris sensu reprobandas, dainnandas ac proscribendas esse iudicavit, prout hoc generali decreto reprobat, damnat, proscribit; quin exinde cuiquam deducere liceat ceteras eiusdem Auctoris doctrinas quæ per hoc decretum non damnantur ullo modo adprobari.
Facta autem de his omnibus SS. mo D. N. Leoni XIII accurata relatione, Sanctitas Sua decretum E.morum Patrum adprobavit, confirmavit, atque ab omnibus servari mandavit.
Feria 4° il dì 14 Decembre 1887.
[Dopo la morte di Antonio Rosmini Serbati uscirono alla luce, sotto il nome di lui, alcuni scritti, nei quali vengono più chiaramente svolti e spiegati parecchi capi di dottrina, i cui germi erano contenuti nei libri precedenti di questo Autore. Le quali cose mossero a fare studii più accurati non solo uomini prestanti nelle filosofiche e teologiche discipline, ma anche i Sacri Pastori della Chiesa. Questi estrassero dai libri di lui, specialmente postumi, non poche proposizioni, le quali non sembravano conformi alla verità cattolica, e le sottoposero al supremo giudizio della Santa Sede.
Quindi il SS.mo S. N. Leone per divina provvidenza Papa XIII, a cui sopra tutto è a cuore, che il deposito della dottrina cattolica si conservi immune e puro da errori, diè incarico di esaminare le denunziate proposizioni al Sacro consiglio degli E.mi Cardinali, Inquisitori Generali in tutta la Repubblica Cristiana.
Pertanto, come è costume della Suprema Congregazione, impreso un esame diligentissimo, e fatto il confronto di quelle proposizioni con le altre dottrine dell’Autore, massimamente secondo che risultano chiare dai libri postumi; giudicò doversi riprovare, condannare, nel proprio senso dell’Autore, come di fatto con questo generale decreto riprova, condanna e proscrive le seguenti proposizioni: senza che, per questo, sia lecito a chicchessia di inferire, che le altre dottrine del medesimo Autore, che non vengono condannate per questo decreto, sieno per veruna guisa approvate. Fatta dipoi di tutto ciò accurata relazione al SS.mo S. N. Leone XIII, la S. S. approvò, confermò il decreto degli E.mi Padri, ed ingiunse che fosse da tutti osservato.
Ecco le proposizioni condannate:
I. In ordine rerum creatarum immediate manifestatur humano intellectui aliquid divini in se ipso, huiusmodi nempe quod ad divinam naturam pertineat.
1. Nella sfera del creato si manifesta immediatamente allo umano intelletto qualche cosa di divino in se stesso, cioè tale che alla divina natura appartenga — (Teosof. Vol. IV. n. 2, pag. 6).
II. Cum divinum dicimus in natura, vocabulum istud divinumnon usurpamus ad significandum effectum non divinum causae divinae; neque mens nobis est loqui de divinoquodam quod tale sit per participationem.
2. Dicendo il divino nella natura, non prendo questa parola divinoa significare un effetto non divino di una causa divina. Per la stessa ragione non è mia intenzione di parlare di un divino che sia tale per partecipazione — (Ivi).
III. In natura igitur universi, idest in intelligentiis quæ in ipso sunt, aliquid est, cui convenit denominatio divini non sensu figurato sed proprio. Est actualitas non distincta a reliquo actuelitatis divinæ.
3. Vi è dunque nella natura dell’universo, cioè nelle intelligenze che sono in esso, qualche cosa a cui conviene la denominazione di divino non in senso figurato, ma in un senso proprio — (Teosofia, vol. IV, Del divino nella natura, n. 15, p. 18.) — È una… attualità indistinta dal resto dell’attualità divina, indivisibile in sè, divisibile per astrazione mentale — (Teosofia, Vol. III, n. 1423, p. 344).
IV. Esse indeterminatum, quod procul dubio notum est omnibus intelligentiis, est divinum illud quod homini in natura manifestatur.
4. L’essere indeterminato (essere ideale), il quale è indubitatamente palese a tutte le intelligenze (è quel divino che) si manifesta all’uomo nella natura — (Teosofia, Vol. IV, nn. 5 e 6, p. 8).
V. Esse quod homo intuetur necesse est ut sit aliquid entis necessarii et æterni, causæ creantis, determinantis ac finientis omnium entium contingentium: atque hoc est Deus.
5. L’essere intuito dall’uomo deve necessariamente essere qualche cosa di un ente necessario ed eterno, causa creante, determinante e finiente di tutti gli enti contingenti; e questo è Dio (Teosof. Vol. I, n. 298, p. 241).
VI. In esse quod præscindit a creaturis et a Deo quod est esse indeterminatum, atque in Deo, esse non indeterminato sed absoluto, eadem est essentia.
6. Nell’uno (essere che prescinde dalle creature e da Dio, e che è l’essere indeterminato) e nell’altro essere (che non è più indeterminato, ma Dio stesso, essere assoluto) c’è la stessa essenza — (Teos. Vol. II, n. 848, p. 150).
VII. Esse indeterminatum intuitionis, esse initiale, est aliquid Verbi, quod mens Patris distinguit non realiter sed secundum rationem a Verbo.
7. L’essere indeterminato della intuizione… l’essere iniziale… è qualche cosa del Verbo, che ella (la mente del Padre) distingue non realmente, ma secondo la ragione, dal Verbo (Teosof. Vol. II. n. 848, p. 150; Vol. I. n. 490, p. 445).
VIII. Entia finita quibus componitur mundus resultant ex duobus elementis, idest ex termino reali finito et ex esse initiali quod eidem termino tribuit formam entis.
8. Gli enti finiti che compongono il mondo risultano da due elementi, cioè dal termine reale finito e dall’essere iniziale che dà a questo termine la forma di ente — (Teosof. Vol. I n. 454, p. 396).
IX. Esse, obiectum intuitionis, est actus initialis omnium entium. Esse initiale est initium tam cognoscibilium quam subsistentium: est pariter initium Dei, prout a nobis concipitur, et creaturarum.
9. L’essere, oggetto dell’intuito… è l’atto iniziale di tutti gli enti ( Teosof. Vol. III n.1235, p. 73). — L’essere iniziale dunque è inizio tanto dello scibile quanto del sussistente… è egualmente inizio di Dio, come da noi si concepisce, e delle creature — (Teosof. Vol. I n. 287 p. 229; n. 288, p. 230).
X. Esse virtuale et sine limitibus est prima ac simplicissima omnium entitatum, adeo ut quælibet alia entitas sit composita, et inter ipsius componentia semper et necessario sit esse virtuale. — Est pars essentialis omnium omnino entitatum, utut cogitatione dividantur.
10. L’essere virtuale e senza termini (Divino in sè stesso appartenenza di Dio) è la prima e la più semplice delle entità, per cosi fatto modo che qualunque altra entità è composta, e tra i suoi componenti c’è l’essere virtuale sempre e necessariamente. — L’essere virtuale è parte essenziale di tutte affatto le entità, per quantunque col pensiero si dividano — (Teosof. Vol. I p. 221; n. 281, p. 223).
XI. Quidditas (id quod res est) entis finiti non constituitur eo quod habet positivi, sed suis limitibus. Quidditas entis infiniti constituitur entitate, et est positiva; quidditas vero entis finiti constituitur limitibus entitatis, et est negativa.
11. La quiddità (ciò che una cosa è) dell’ente finito non è costituita da cio che egli ha di positivo, ma dai suoi limiti… La quiddità dell’ente infinito è costituita dall’entità, ed è positiva, e la quiddità dell’ente finito è costituita dal limiti dell’entità, ed è negativa — (Teos. Vol. I n. 726, p. 708-709).
XII. Finita realitas non est, sed Deus facit eam esse addendo infintitæ realitati limitationem. Esse initiale fit essentia omnis entis realis. Esse quod actuat naturas finitas, ipsis coniunctum, est recisum a Deo.
12. La realtà finita non è, ma egli (Dio) la fa essere coll’aggiungere alla realità infinita la limitazione — (Teosof. Vol. I. n. 681, p. 658). — L’essere iniziale… diventa l’essenza di ogni ente reale — (Ivi Vol. I. n. 458, p. 399). — L’essere che attua le nature finite, a questo congiunto, essendo reciso da Dio… (Ivi Vol. III. n. 1425, p. 346).
XIII. Discrimen inter esse absolutum et esse relativum non illud est quod intercedit substantiam inter et substantiam, sed aliud multo maius; unum enim est absolute ens, alterum est absolute non-ens. At hoc alterum est relativum ens. Cum autem ponitur ens relativum, non multiplicatur absolute ens; hinc absolutum et relativum absolute non sunt unica substantia, sed unicum esse; atque hoc sensu nulla est diversitas esse, imo habetur unitas esse.
13. La differenza che passa tra l’essere assoluto e il relativo non è quella di sostanza a sostanza, ma una molto maggiore…; perocchè s’ha differenza di essere in questo senso che l’uno è assolutamente ente, l’altro è assolutamente non-ente. Ma questo secondo è relativamente ente. Ora col porre un ente relativo non si moltipica assolutamente l’ente; sicchè rimane, che assolutamente l’assoluto e il relativo sia non già una sostanza sola, ma bensì un essere solo, e in questo senso non v’abbia diversità di essere anzi unità di essere — (Teosof. Vol. V. cap. IV, pag. 9).
XIV. Divina abstractione producitur esse initiale, primum finitorum entium elementum; divina vero imaginatione producitur reale finitum, seu realitates omnes quibus mundus constat.
14. Coll’astrazione divina abbiamo veduto come sia stato prodotto l’essere iniziale, primo elemento degli enti finiti; coll’imaginazione divina, abbiamo pure veduto come sia stato prodotto il reale finito — tutte le realità di cui consta l’universo — (Teosof. Vol. I. n. 463, p. 408).
XV. Tertia operatio esse absoluti mundum creantis est divina synthesis, idest unio duorum elementorum: quæ sunt esse initiale, commune omnium finitorum entium initium, atque realefinitum, seu potius diversa realia finita, termini diversi eiusdem esse initialis. Qua unione creantur entia finita.
15. La terza operazione dell’essere assoluto creante il Mondo è la sintesi divina, cioè l’unione dei due elementi, l’essere inizialeinizio comune di tutti gli enti finiti, e il realefinito, o per dir meglio i diversi reali finiti, termini diversi dello stesso essere iniziale. Colla quale unione sono creati gli enti finiti — (Ivi).
XVI. Esse initiale per divinam sythesim ab intelligentia relatum, non ut intelligibile sed mere ut essentia, ad terminos finitos reales, efficit ut existant entia finita subiective et realiter.
16. Riferito dall’intelligenza per mezzo della sintesi divina, l’essere iniziale, non come intelligibile, ma puramente come essenza, ai termini reali finiti, fa che esistano gli enti finiti subiettivamente e realmente — (Teosof. Vol. I. n. 464, p. 410).
XVII. Id unum efficit Deus creando, quod totum actum esse creaturarum integre ponit: hic igitur actus proprie non est factus, sed positus.
17. Quello che fa Iddio (creando) è unicamente di porre tutto intero l’atto dell’essere nelle creature: dunque quest’atto non è propriamente fatto, ma è posto(Teos. Vol. I. n. 412, p. 350).
XVIII. Amor quo Deus se diligit etiam in creaturis, et qui est ratio qua se determinat ad creandum, moralem necessitatem constituit, quæ in ente perfectissimo semper inducit effectum: huiusmodi enim necessitas tantummodo in pluribus entibus imperfectis integram relinquit libertatem bilateralem.
18. Vi ha una ragione in Dio stesso per la quale ei si determina a creare; e questa ragione è di novo l’amore di se stesso, il quale si ama anche nelle creature. Quindi la divina sapienza, come meglio altrove esporremo, trova esser cosa conveniente la creazione, e questa semplice convenienza basta a far sì che l’Essere perfettissimo vi si determini. Ma non si deve confondere questa necessita di convenienza con quella necessità che nasce della forma reale dell’essere, e che necessita fisica si suol chiamare. La necessità di convenienza è una necessità morale, cioè veniente dall’Essere sotto la sua forma morale; e la necessità morale non sempre induce l’effetto che ella prescrive; ma lo induce solo nell’essere perfettissimo, e non negli esseri imperfetti (a molti de’ quali rimane perciò la libertà bilaterale), perchè l’Essere perfettissimo è insieme moralissimo, cioè ha compiuta in sè ogni esigenza morale (Teosof. Vol. I n. 51, p. 49-50).
XIX. Verbum est materia illa invisa ex qua, ut dicitur Sap. XI 18, creatæ fuerunt res omnes universi.
19. Il Verbo è quella materia invisada cui dice il libro della Sapienza (XI. 18) che furono create le cose tutte dell’universo (Introd. del Vangelo seconde Giov. lez. 37, pagina 109).
XX. Non repugnat ut anima humana generatione multiplicetur, ita ut concipiatur eam ab imperfecto, nempe a gradu sensitivo, ad perfectum, nempe ad gradum intellectivum, procedere.
20. Niente ripugna che il soggetto, di cui si parla si moltiplichi per via di generazione — (Psicolog. I. 4, n. 656). — Noi abbiamo già detto che la generazione dell’anima umana si può concepire per gradi progressivi dall’imperfetto al perfetto, e pero che prima ci sia il principio sensitivo, il quale, giunto alla sua perfezione colla perfezione dell’organismo, riceva l’intuizione dell’essere, e cosi si renda intellettivo e razionale — (Teosof. Vol. I. n. 646, pag. 619).
XXI. Cum sensitivo principio intuibile fit esse, hoc solo tactu, hac sui unione, principium illud antea solum sentiens, nunc simul intelligens, ad nobiliorem statum evehitur, naturam mutat, ac fit intelligens, subsistens atque immortale.
21. Rendendosi l’essere intuibile al detto principio (sensitivo), con questo solo toccamento, con questa unione di sè, il principio prima solo senziente, ora anco intelligente, si solleva a più alto stato, cangia natura, rendesi intellettivo, sussistente, immortale — (Antropol. I. 4. c. 5, n. 819). — Quindi si offre alla mente l’espressione che il principio sensitivo sia divenuto principio razionale, che si sia convertito in un altro, avendo subito veramente una tale permutazione — (Teosof. Vol. I. n. 646, p. 619).
XXII. Non est cogitatu impossibile divina potentia fieri posse ut a corpore animato dividatur anima intellectiva, et ipsum adhuc maneat animale: maneret nempe in ipso, tanquam basis puri animalis, principium animale, quod antea in eo erat veluti appendix.
22. Quanto poi alle appendici di cui parliamo, cioè al corpo animato, non è certo impossibile il pensare, che dalla potenza divina possa esser da lui divisa l’anima intellettiva, ed egli tuttavia rimanersi nella qualità di animale, rimanendo il principio animale, che prima esisteva come appendice, siccome base del novo ente, cioè del puro animale che rimarrebbe — (Teosof. Vol. I. n. 621, pag. 591).
XXIII. In statu naturali, anima defuncti existit perinde ac non existeret: cum non possit ullam super seipsam reflexionem exercere, aut ullam habere sui conscientiam, ipsius conditio similis dici potest statui tenebrarum perpetuarum et somni sempiterni.
23. Questa (l’anima del defunto) esiste certamente, ma e come se non esistesse — (Teodicea, Appendice, art. 10, p.638). — Nel quale stato (di natura) non essendo a lei (all’anima separata) possibile alcuna riflessione su di se stessa, nè alcuna coscienza, la sua condizione si potrebbe rassomigliare ad uno stato di perpetue tenebre, e di sempiterno sonno — (Introduz. del Vangelo secondo Giov. lez. 69, p. 217).
XXIV. Forma substantialis corporis est potius effectus animæ, atque interior terminus operationis ipsius: propterea forma substantialis corporis non est ipsa anima. Unio animæ et corporis proprie consistit in immanenti perceptione, qua subiectum intuens ideam affirmat sensibile, postquam in hac eius essentiam intuitum fuerit.
24. La forma sostanziale del corpo è piuttosto un effetto dell’anima e il termine interno delle sue operazioni; e però non è l’anima stessa che sia la forma sostanziale del corpo (Psicol. Par. II, 1. I, c. II, n. 849). — L’unione dell’anima col corpo consiste propriamente in una percezione immanente, per la quale il soggetto intuente l’idea afferma il sensibile dopo averne in questa intuita l’essenza — (Teosof. Vol. V. c. LIII, art. II, § 5, V. 4°, p. 377)
XXV. Revelato mysterio SS. Trinitatis, potest ipsius existentia demonstrari argumentis mere speculativis, negativis quidem et indirectis, huiusmodi tamen ut per ipsa veritas illa ad philosophicas disciplinas revocetur, atque fiat propositio scientifica sicut ceteræ: si enim ipsa negaretur, doctrina theosophica puræ rationis non modo incompleta maneret, sed etiam omni ex parte absurditatibus scatens annihilaretur.
25. Il mistero della Triade… dopo che fu rivelato, esso rimane bensì incomprensibile nella sua propria natura… ma ben… si può conoscere quella (l’esistenza) d’una Trinità in Dio in un modo almeno congetturale con ragioni positive e dirette, e dimostrativamente con ragioni negative ed indirette; e che, mediante queste prove puramente speculative dell’esistenza di un’augustissima Triade, questa misteriosa dottrina rientra nel campo della filosofia. — Questa esistenza (della SS.ma Trinità) diventa una proposizione scientifica come le altre. — Qualora si negasse quella Trinità, ne verrebbero da tutte le parti conseguenze assurde apertamente… O conviene ammettere la divina Triade, o lasciare la dottrina teosofica di pura ragione incompleta non solo, ma pugnante d’ogni parte seco medesima, e dagli assurdi inevitabili straziata a del tutto annullata — (Teos. Vol. I, nn. 191, 193, 194, pp.155—158.)
XXVI. Tres supremæ formæ esse nempe subiectivitas, obiectivitas, sanctitas, seu realitas, idealitas, moralitas, si transferantur ad esse absolutum, non possunt aliter concipi nisi ut personæ subsistentes et viventes. Verbum, quatenus obiectum amatum, et non quatenus Verbum idest obiectum in se subsistens per se cognitum, est persona Spiritus Sancti.
26. L’essere nelle tre forme (subbiettività, obbiettività, santità,o per dirlo altramente: realità, idealità, moralità) è identico. — Le tre forme poi dell’essere, ove si trasportino nell’Essere assoluto, non si possono più concepire in altro modo, che come persone sussistenti e viventi (Vol. I, numeri 190, 196, pp. 154, 159). — Il Verbo in quantoè oggetto amato, e non in quanto è Verbo, cioè oggetto sussistente per sè cognito, è la persona dello Spirito Santo (Introduzione del Vangelo secondo Giov. Lez. 65, p. 200).
XXVII. In humanitate Christi humana voluntas fuit ita rapta a Sp. Sancto ad adhærendum Esse objectivo, idest Verbo, ut illa Ipsi integre tradiderit regimen hominis, et Verbum illud personaliter assumpserit, ita sibi uniens naturam humanam. Hinc voluntas humana desiit esse personalis in homine, et, cum sit persona in aliis hominibus, in Christo remansit natura.
27. Nella umanità di Cristo la volontà umana fu talmente rapita dallo Spirito Santo ad aderire all’essere oggettivo, cioè al Verbo, che ella cedette intieramente a lui il governo dell’uomo, e il Verbo personalmente ne prese il regime, cosi incarnandosi, rimanendo la volontà e le altre potenze subordinate alla volontà in potere del Verbo, che, come primo principio di quest’essere Teandrico, ogni cosa faceva, o si faceva dalle altre potenze col suo consenso. Onde la volontà umana cesso di essere personale nell’uomo, e da persona che è negli altri uomini rimase in Cristo natura… Il Verbo poi, incarnato cosi per opera dello Spirito Santo, estese la sua unione a tutte le potenze ed alla carne stessa — (Introduz. del Vangelo secondo Giov. lez. 85, pag. 281).
XXVIII. In christiana doctrina, Verbum, character et facies Dei, imprimitur in animo eorum qui cum fide suscipiunt baptismum Christi. – Verbum, idest character in anima impressum, in doctrina christiana est Esse reale (in finitum) per se manifestum, quod deinde novimus esse secundam personam SSmæ Trinitatis.
28. Insegno dunque il Cristianesimo che il Verbo, carattere e faccia di Dio, come viene anche sovente chiamato nelle Scritture, s’imprime nelle anime di quelli che colla fede ricevono il battesimo di Cristo (Introduz. alla Filosofia, n. 92). — Il Verbo dunque, ossia il carattere impresso nell’anima, secondo il cristiano insegnamento è l’essere reale (infinito) per sè manifesto, il quale dipoi sappiamo essere una persona, la seconda della divina Trinità. (Ivi nota).
XXIX. A catholica doctrina, quæ sola est veritas, minime alienam putamus hanc coniectu ram: In eucharistico Sacramento substantia panis et vini fit vera caro et verus sanguis Christi, quando Christus eam facit terminum sui principii sentientis, ipsamque sua vita vivificat: eo ferme modo quo panis et vinum vere transubstantiantur in nostram carnem et senguinem, quia fiunt terminus nostri principii sentientis.
29. Non crediamo aliena dalla dottrina cattolica, che solo è verità, la seguente conghiettura (cioè che nell’Eucaristico Sacramento) la sostanza del pane e del vino ha cessato intieramente d’essere sostanza del pane e del vino, ed è divenuta vera carne e vero sangue di Cristo, quando Cristo la rese termine del suo principio senziente, e così l’avvivo della sua vita, a quel modo come accade nella nutrizione, che il pane che si mangia e il vino che si beve, quando è, nella sua parte nutritiva, assimilato alla nostra carne e al nostro sangue, egli è veramente transustanziato, e non è più come prima pane o vino, ma è veramente nostra carne e nostro sangue, perché è divenuto termine del nostro principio sensitivo. — (Introduzione del Vang. secondo Giov. lez. 87, pp. 285-286).
XXX. Peracta transubstantiatione, intelligi potest, corpori Christi glorioso partem aliquam adiungi in ipso incorporatam, indivisam pariterque gloriosam.
30. Avvenuta la transustanziazione, si può intendere che al corpo glorioso (di G. Cristo) si sia aggiunta qualche parte in esso incorporata ed indivisa e del pari gloriosa. — (Ivi).
XXXI. In Sacramento eucharistiæ, vi verborum corpus et sanguis Christi est tantum ea mensura quæ respondet quantitati (a quel tanto ) substantiæ panis et vini quæ transubstantiantur: reliquum corporis Christi ibi est per concomitantiam.
31. Appunto perché il corpo di Cristo è unico ed indiviso, egli è necessario che dove si trovi una parte si trovi tutto…; ma non tutto quel corpo diviene termine del suo principio senziente, ma unicamente quella parte che corrisponde a quel tanto che v’aveva di sostanza di pane e di sostanza di vino nella transustanziazione. Ancora ne verrebbe che in virtù delle parole divine questa sostanza del pane e del vino si transustanziasse in carne e sangue del Salvatore ; ma il rimanente del corpo e del sangue vi rimanesse unito per concomitanza; il che non par contrario alla dottrina cattolica — (Ivi, p. 286, seg.).
XXXII. Quoniam qui non manducat carnem Filii hominis et bibit eius senguinem, non habet vitam in se; et nihilominus qui moriuntur cum baptismate aquæ, sanguinis aut desiderii certo consequuntur vitam æternam: dicendum est, his, qui in hac vita non comederunt corpus et sanguinem Christi subministrari hunc coelestem cibum in futura vita, ipso mortis instanti. – Hinc etiam Sanctis V. T. potuit Christus descendens ad inferos seipsum communicare sub speciebus panis et vini, ut aptos eos redderet ad visionem Dei.
32. Se dunque chi non mangia la carne del Figliolo dell’uomo, e bee il suo sangue, non ha la vita in se stesso, e tuttavia chi muore col battesimo d’acqua, o di sangue o di desiderio, è certo che acquista la vita eterna; convien dire che quella comestione della carne e del sangue di Cristo, che non fece nella vita presente, gli verrà somministrata nella futura al punto della sua morte e cosi avra la vita in sè stesso… Anche a’ Santi dell’antico Testamento, quando Cristo discese ai Limbo, potè Cristo communicare se stesso sotto la forma di pane e di vino, e così… renderli atti alla visione di Dio. — (Introd. del Vang. secondo Giovanni, lez. 74, p. 238).
XXXIII. Cum dæmones fructum possederint, putarunt se ingressuros in hominem si de illo ederet; converso enim cibo in corpus hominis animatum, ipsi poterant libere ingredi animalitatem, idest in vitam subiectivam huius entis, atque ita de eo disponere sicut proposuerant.
33. (I demonii) impossessatisi di un frutto pensarono che entrerebbero nell’uomo, quando egli, spiccatolo dall’albero, ne mangiasse; giacchè, il cibo convertendosi nel corpo animato dell’uomo, essi potevano entrare a man salva nell’animalità, ossia nella vita soggettiva di questo essere, e farne quel governo che si proponevano. — (Introduz. del Vang. secondo Giov. lez. 63, p. 191).
XXXIV. Ad præservandam B. V. Mariam a labe originis, satis erat ut incorruptum maneret minimum semen in homine, neglectum forte ab ipso dæmone; e quo incorrupto semine, de generatione in generationem transfuso, suo tempore oriretur Virgo Maria.
34. Preservò (Iddio) dal peccato originale una donzella…; alla quale preservazione dall’infezione originale bastava che rimanesse incorrotto un menomo seme nell’uomo, trascurato forse dal demonio stesso, dal quale seme incorrotto passato di generazione in generazione uscisse a suo tempo la Vergine — (Ivi, lez. 64, p. 193).
XXXV. Quo magis attenditur ordo iustifcationis in homine, eo aptior apparet modus dicendi scripturalis quod Deus peccata quædam tegit aut non imputat. — Juxta Psalmistam discrimen est inter iniquitates quæ remittuntur et peccata quæ teguntur: illæ, ut videtur, sunt culpæ actuales et liberæ, hæc vero sunt peccata non libera eorum qui pertinent ad populum Dei, quibus propterea nullum afferunt nocumentum.
35. Più che altri considera questo ordine della giustificazione dell’uomo, più troverà acconcia la maniera scritturale di dire che Dio cuopre certi peccati o non gl’imputa. Infatti col battesimo non si distrugge la mala volontà naturale, ma le se n’aggiunge una soprannaturale, che cuopre, per così dire, la naturale, e impedisce che quella perda l’uomo. Onde il Salmista dice: Beati, quelli le iniquità dei quali furono rimesse, e i peccati de’ quali furono coperti; dove si fa la differenza fra le iniquità che si rimettono, e i peccati che si cuoprono, e sembra che per quelle si vogliano intendere le colpe attuali e libere, e per questi i peccati non liberi di quelli che appartengono al popolo di Dio, e che pero non ne ricevono più danno alcuno — (Trattato della coscienza morale, l. I, c. 6. a. 2).
XXXVI. Ordo supernaturalis constituitur manifestatione esse in plenitudine suæ formæ realis; cuius communicationis seu manifestationis effectus est sensus (sentimento) deiformis qui inchoatus in hac vita constituit lumen fidei et gratiæ, completus in altera vita constituit lumen gioriæ.
36. L’essere (essenziale) si comunica a noi nella sola forma ideale per natura, e questo costituiscel’ordine naturale; l’essere stesso si manifesta a noi altresì nella pienezza della sua forma realeper grazia, e questa è comunicazione e percezione vera di Dio, e costituisce l’ordine soprannaturale…. l’effetto della comunicazione soprannaturale è un sentimento deiforme, di cui non abbiamo a principio coscienza, come non l’abbiamo di ogni sentimento nostro sostanziale e fondamentale. Or poi il sentimento deiforme, di cui parliamo, è incipiente in questa vita, nella quale costituisce il lume della fedee della grazia; compiuto nell’altra, nella quale costituisce il lume della gloria — (Filosof. del Diritto, Part. II. nn. 674, 676, 677).
XXXVII. Primum lumen reddens animam intelligentem est esse ideale; alterum primum lumen est etiam esse, non tamen mere ideale sed subsistens ac vivens: illud abscondens suam personalitatem ostendit solum suam obiectivitatem; at qui videt alterum (quod est Verbum) etiamsi per speculum et in ænigmate, videt Deum.
37. Il primo lume che rende l’anima intelligente è l’essere ideale ed indeterminato ; l’altro primo lume è ancora l’essere, ma non puramente ideale, ma ben anche sussistenze e vivente…. L’idea adunque è l’essere intuìto dall’uomo, ma non è il Verbo; chè non quella ma questo è sussistenza: quello è l’essere che occulta la sua sussistenza e lascia solo trasparire la sua oggettività indeterminata ed impersonale: nella mente che intuisce l’idea non cade la personalità dell’essere… ma chi vede il Verbo ancorchè per ispecchio ed in enimma, vede Iddio — (Introd. alla Filosofia, n. 85).
XXXVIII. Deus est obiectum visionis beatificæ, in quantum est auctor operum ad extra.
38. Sebbene Iddio senza mezzo alcuno sia oggetto della visione beatificatrice, e forma dell’intelletto dei Beati; tuttavia egli è tale in quanto è autore delle opere ad extra, le quali in un modo ineffabile sono in lui — (Teodicea, num. 672).
XXXIX. Vestigia sapientiæ ac bonitatis quæ in creaturis relucent, sunt comprehensoribus necessaria; ipsa enim in æterno exemplari collecta sunt ea Ipsius pars quæ ab illis videri possit (che è loro accessibile), ipsaque argumentum præbent laudibus, quas in æternum Deo beati concinunt.
39. I vestigii della sapienza e della bontà del creato, lungi dal divenire loro (ai comprensori) inutili, anzi riescono necessarii; perocchè questi vestigii tutti raccolti nell’esemplare eterno sono appunto quella parte di esso che è loro accessibile, onde sono tuttavia quelli che danno argomento alle lodi che a Dio eternamente tributano — (Ivi, n. 674).
XL. Cum Deus non possit, nec per lumen gloriæ, totaliter se communicare entibus finitis, non potuit essentiam suam comprehensoribus revelare et communicare nisi eo modo qui finitis intelligentiis sit accommodatus: scilicet Deus se illis manifestat quatenus cum ipsis relationem habet ut eorum creator, provisor, redemptor, sanctificator.
40. Se dunque non potea (Dio) comunicare se stesso totalmente ad esseri finiti, neppure mediante il lume di gloria, rimane a cercare in che modo Egli poteva rivelare loro e comunicare la propria essenza. Certo in quel modo che alla natura delle intelligenze create è conforme; e questo modo è quello pel quale Iddio ha con esso loro relazione, cioè come creatore loro, come provisore, come redentore, come santificatore — (Ivi, n. 677).
Ioseph Mancini S. Rom. et Univ. Inquisitionis Notarius.
Lettera con la quale l’E.mo Cardinale Segretario del S. Uffizio comunica il Decreto della. S. R. ed Universale Inquisizione e le quaranta proposizioni condannate, a ciascun membro dell’Episcopato cattolico.
Ill.me ac Rm.e Domine,
Hisce adiunctum litteris transmittitur ad Amplitudinem Tuam decretum generale quo Suprema Congregatio Em.orum Patrum una mecum Inquisitorum Generalium, adprobante et confirmante SS.mo Domino Nostro Leone XIII, plures propositiones ex operibus, quae sub nomine Antonii Rosmini Serbati edita sunt, damnantur et proscribuntur. Quapropter excitatur pastoralis cura et vigilantia Amplitudinis Tuae ut a damnatis huiusmodi doctrinis oves fidei tuae concreditas quam diligentissime custodias; ac si qui forte sint in ista dioecesi qui illis adhuc faveant, eos ad S. Sedis iudicium docili animo recipiendum inducere studeas. Præcipue vero eniteris ut mentes adolescentium, eorum praesertim qui in spem Ecclesiæ in Seminario aluntur, germana catholicae Ecclesiæ doctrina e puris fontibus Sanctorum Patrum, Ecclesiae Doctorum, probatorum auctorum, ac praecipue Angelici Doctoris S. Thomae Aquinatis, hausta imbuantur.
Tibi interim fausta omnia ac felicia precor a Domino.
Datum Romæ, die 7 Martii 1888.
Addictissimus in Domino
Card. Monaco.