LA GNOSI, TEOLOGIA DI sATANA (27):
GNOSI E GIANSENISMO (II)
[Elaborato da È. COUVERT: Lecture e tradition, n. 227-228, Gen.-Feb. 1996]
La dottrina dei Giansenisti.
Rileggiamo la formula di Bourg-Fontaine: “E poiché tra tutti i dottori della Chiesa non ve n’è alcuno che non abbia uno slancio verso S. Agostino, del quale si può meglio abusare di passaggi mal spiegati e di cui neanche i calvinisti si sono serviti… si risolse così di farsi passare come difensori della dottrina di S. Agostino, la cui autorità servisse così da velo alla novità della loro dottrina e all’inganno per sorprendere i deboli di spirito.” – Ecco l’intenzione chiaramente dichiarata dei complici nel progetto di Bourg-Fontaine. Jansen (ius) era morto quando apparve il suo libro “L’AUGUSTINUS” nel 1640; si intendeva allora, con la pubblicazione di questo libro, deviare il pensiero di S. Agostino in direzione di una GNOSI riservata agli ELETTI. – Jansen aveva pure descritto, in una lettera del 5 marzo 1621, il suo progetto all’amico Sain-Cyran: “C’era, egli sosteneva, nel settimo volume dell’opera di S. Agostino; egli era perplesso circa il suo progetto e voleva conferire con il suo amico, non osando farlo con nessun altro: “Io non oso dire a nessuno al mondo ciò che penso, secondo i principi di S. Agostino, di una gran parte delle opinioni di questo tempo e particolarmente di quelle che riguardano la grazia e la predestinazione, per timore di non fare presso Roma, la fine che hanno fatto altri (… si riferiva alla condanna di Bajo), prima che ogni cosa maturi a suo tempo. Io sono disgustato da San Tommaso, dopo aver “succhiato” S. Agostino. Ve ne dirò di più se Dio farà il favore di rivederci un giorno. ..” – Problema evidentemente molto delicato. Come fare ad insegnare, a partire da S. Agostino, una dottrina che egli avrebbe certamente rigettato, se avesse letto l’“Augustinus” di Jansenius? La difficoltà viene dal fatto che S. Agostino stesso, nel suo insegnamento sulla predestinazione, ha variato il suo pensiero tentando poi, poco a poco, di ristabilire la verità cristiana in una questione fortemente spinosa. Se ne è reso conto egli stesso verso la fine della sua vita, quando ha riconosciuto gli errori passati nelle sue “Ritrattazioni”: “… Io non voglio, egli scrive, fare eccezione per le mie ritrattazioni, anche per quelle mie opere che ho scritto quando ancora ero un catecumeno. È vero che avevo già rigettato ogni speranza della terra, ma è vero anche che ero gonfio ancora dell’orgoglio che la letteratura del secolo ispira (sed adhuc sæcularium litterarum inflatus consuetudine scripsi). … Bisogna che io censuri questi libri, perché essi sono ricopiati e letti da molte persone che non ne traggono vantaggio che a condizione che si perdonino le loro colpe o, se non si vuole loro perdonare, a condizione di non attardarsi negli errori che vi si trovano (non tamen inhærætur erratis). … Io prego pertanto coloro che leggono questi libri di non imitarmi nei miei errori, ma nel progresso successivo che, si accorgeranno, facevo allora nella verità, man mano che moltiplicavo i miei scritti”. (non me imitentur erratem, sed in melius proficientem). Ecco una umiltà degna di lode, ma che rende molto difficile la conoscenza del vero pensiero definitivo di un autore. Ecco ciò che ha permesso ugualmente tutte le fantasie interpretative degli eresiarchi nel corso dei secoli. – Il pensiero di S, Agostino sulla predestinazione è stato, già al suo tempo, segno di contraddizione. Dogma fatalista, si accusava, scandaloso, che conduce alla inerzia, alla disperazione. S. Agostino ne aveva ben il sentore. Così nel suo “De corruptione Gratia”, egli tenta di giustificarsi: “… Siccome noi non sappiamo chi siano coloro che non vi appartengono, noi dobbiamo avere nel cuore molta carità nel volere che si salvino tutti”. (Sic offici debemus caritatis affectu, ut omnes velimus salvos fieri). Ecco! La salvezza dei riprovati non dipende dal nostro ben volere !!! .. – Secondo Dom Rottmaner, “… agli occhi di Agostino, in teoria pochi uomini erano predestinati, ma in pratica lo sono tutti … egli sapeva unire la teoria più severa della predestinazione, alla pratica più largamente affettuosa del ministero delle anime” (Der Augustinismus” (1949). Nel “De dono perseverantiæ”, il suo ultimo opuscolo sulla grazia, il Vescovo di Ippona si sforzava ancora di dissipare certi equivoci. Resta il fatto che la sua dottrina sulla predestinazione, è deplorevole, e come dice M. Chêne, “urta violentemente il senso umano”. Ora, attenendosi alle formule, Lutero, Calvino, Giansenio, non fanno che ripetere Sant’Agostino, ma solo a parole. Egli infatti, prima di loro aveva detto che “le virtù dei pagani non son che vizi travestiti”. Egli aveva detto che “… l’uomo usando del libero arbitrio si era perso e aveva d’un colpo perso il libero arbitrio, che “… dopo la caduta, la natura, lasciata a se stessa, era incapace di ogni bene”, tutto questo sviluppato evidentemente in formule ardenti ed appassionate, diffuse e rese classiche dall’autorità eccezionale del Santo. Si può essere sicuri che tutti i grandi eresiarchi nella Chiesa si siano sempre richiamati a S. Agostino, e Giansenio non ha fatto dunque che seguire i suoi predecessori. – Quando con la bolla “Cum occasione”, pubblicata nel 1635, Innocenzo X, condannò il libro l’Augustinus”, estraendone cinque proposizioni eretiche, Antoine Arnauld dichiarò che queste proposizioni erano sì, effettivamente eretiche, ma che esse non si trovavano nel libro incriminato, perché l’autore era stato fedele al pensiero di Sant’Agostino e precisò, “… Non si può credere, senza profferire eresia, che nei libri di Sant’Agostino vi siano errori e proposizioni che meritino di essere censurate: questo è condannare non Sant’Agostino, bensì la Sede Apostolica e tutta la Chiesa che lo ha dichiarato esente dal sospetto di aver errato”. Attaccare l’insegnamento di Giansenio, è dunque fare opera di leso-agostinismo. Sarebbe strano vedere un Papa che osasse attaccare il più grande dottore della Chiesa!” – Così, fortemente appoggiato sulla dottrina di Sant’Agostino, i Giansenisti ne sviluppano tutte le conseguenze con l’arte diabolica dell’equivoco e della messa davanti al fatto compiuto. Essi vanno ad accentuare questa predestinazione nel senso del massimo rigore: Gesù-Cristo non è morto per tutti gli uomini, ma per i soli “eletti”. Al seguito di Calvino, Saint-Cyran ci insegna che la grazia santificante, una volta ricevuta, nnon è più accettabile. “… La vita della grazia è la stessa di quella della gloria, non c’è che il solo peso ed il velo del corpo che portiamo, nonché la dimora terrestre che abitiamo che le rendono differenti … “… Una volta giustificati dal Battesimo, gli Eletti non peccano più e non hanno di conseguenza più bisogno del Sacramento della Penitenza per ricevere la grazie di Dio che non possono più perdere. Quando si è “eletto” e di conseguenza impeccabile e “Perfetto per sempre” non si ha più bisogno della Confessione e della Comunione. Ed il padre Quesnel ci precisa: “Marchio e proprietà della Chiesa cristiana, essa è cattolica poiché comprende tutti gli Angeli del cielo e tutti gli Eletti ed i giusti della terra di tutti i secoli.” – Principio mirabile di pace interiore: “… se io sono Eletto, alcun crimine può più impedirmi di essere salvo. … Se io non sono eletto, anche quando lascerò i miei disordini, non sarò avanzato di più. … Io posso, dunque, eletto o non eletto, vivere nei miei crimini con la più grande sicurezza!”. Quanto è comoda la santità giansenista! [Solo quella modernista la eguaglia, con la misericordia a buon mercato, senza pentimento e propositi … l’inganno satanico del postmodernismo del Novus ordo = spelunca latronis] – Perseguendo la logica del sistema, un ecclesiastico della Lorena, che morì curato a Metz nel 1776, Louis Jobal, stimava che bisognasse riservare le cure pastorali al solo piccolo gruppo degli “eletti” e che fosse veramente “… inutile sforzarsi di voler convertire le anime che portavano i caratteri della riprovazione”, anime alle quali egli rifiutava i Sacramenti dell’estrema unzione e della assoluzione, “… perché, diceva, saranno salvati solo “coloro che Dio vorrà efficacemente salvare ed il nostro dovere è concorrere con Lui alla salvezza degli Eletti”. Questi ultimi si distinguono per un “fondo di religione”, segno infallibile della grazia (?), i riprovati non sono degni di interesse che nella misura in cui essi servono agli Eletti. Essi sono la paglia che porta il buon grano e che lo nutre e lo conserva. … in seguito, quando ha completato un certo ufficio, è gettata al fuoco” [… sembra quasi di rileggere passi del talmud, ove si parla dei goym paragonati a bestie da soma, ad animali al servizio dei “veri uomini”.. il solito linguaggio satanico!].. – Noi arriviamo così all’estrema conseguenza già contenuta nelle premesse; ma con tutta evidenza, siamo in piena GNOSI. Si vedono infatti qui gli estremi sviluppi del manicheismo. Tutto è puro per i puri (Omnia munda mundis), ecco il principio fondamentale degli gnostici. Il mondo è diviso in “pneumatici”, i perfetti, gli eletti, già rivestiti ed installati nella gloria e nella luce, ed in “helici”, i riprovati, spinti nella materia e votati alla dannazione, ma conservati per il servizio ai Perfetti (simile è il manicheismo gnostico-talmudico). È quanto abbiamo visto nella pratica dei monasteri manichei e buddisti dell’Asia centrale. (Vedi “Gnosi e Buddhismo” in questa stessa serie …)– Si è notata ugualmente un’altra grave conseguenza del sistema giansenista: il disprezzo del corpo e della materia, tema gnostico ben conosciuto. “Il corpo, ci dice Saint-Cyran è un peso ed un velo che ci separa ancora dalla gloria”. Bisogna dunque sbarazzarsene al più presto. Il Giusto, il “perfetto” deve gemere, sospirare, sciogliersi in lacrime, in pianti, in singhiozzi nell’attesa della morte felice e desiderata. Noi abbiamo dimostrato già precedentemente che si potevano mettere in parallelo gli scritti di Poto-Royal con gli inni manichei. (ibidem in: Gnosi e Buddhismo…). – Il mondo appare come il luogo della concupiscenza, il teatro dell’incarnazione del male e specialmente del peccato della carne. Poiché questa è cattiva, legata al nostro involucro corporeo, bisogna distaccarsene! I giansenisti si scagliano violentemente contro il matrimonio, giudicato volgare e pericoloso. Essi rifiutano ogni commercio carnale. Tutto l’ascetismo di Port-Royal esprime in realtà questa diffidenza fondamentale nei riguardi dell’atto carnale, l’atto della procreazione; questo stato spirituale ha finito per impregnare per più secoli le opere di teologia morale e di morale pratica. – Un discepolo di Antoine Arnauld, Ambroise Paccori (1649-1730) fu un autore molto fecondo di trattati di educazione morale del XVII secolo. Egli ricorda che la corruzione della carne è la fonte essenziale di ogni peccato: “Il Cristiano deve concepire un santo odio della propria carne e di quella degli altri”. Si devono usare i vestiti per la copertura della corruzione del nostro corpo, ma non per esaltarne la bellezza! Glorificarsi dei propri abiti: “… è comportarsi come un rognoso che cerca la vanità nel cappellino che nasconde la sua rogna”. Non è inutile precisare che questa attitudine morale è la fonte del malthusianesimo che avvelena la nostra società dopo di essi, teoria manichea associata ad un rifiuto della procreazione ed un ricorso alle sterili pratiche abortive, omosessuali, della prostituzione e degli ipocriti rapporti “protetti”, pratiche tutte divenute la piaga del mondo di oggi, mondo gnosticheggiante, massonizzato fino al midollo.
Una liturgia gnostica
Quella che Dom Guéranger chiama, nelle sue “Istituzioni liturgiche”, l’eresia antiliturgica, non è nient’altro che la nuova liturgia introdotta dai giansenisti nelle chiese e nelle diocesi ove essi si sono insediati per detenere il potere ecclesiastico. – Essi hanno cominciato con il tradurre il Messale in lingua volgare. Ambroise Peccori, già citato, nel 1706 aveva proposto l’uso di recitare le preghiere della Messa con il Sacerdote. L’Assemblea del clero di Francia, nel 1660, aveva vietato la traduzione del Messale sotto pena di scomunica. Il Papa Alessandro VII, l’anno seguente aveva condannato questa pratica facendo riferimento al Concilio di Trento (Sess. XXII, can. 8). Già all’epoca era un uso protestante. Tuttavia la traduzione completa di tutta la liturgia è stata perseguita dai giansenisti negli undici volumi di “L’Anno cristiano” di Letourneux. – Poi apparve l’insinuazione che la recitazione a voce bassa, del solo Sacerdote, delle preghiere della Messa e specialmente del Canone, faceva in modo da tener all’oscuro gli assistenti ed i fedeli da una partecipazione personale al Sacrificio. Alcuni curati presero l’iniziativa di proclamare ad alta voce le preghiere del Canone, Questa pratica cominciò a generalizzarsi e l’autorità ecclesiastica dovette intervenire: il capitolo di Bayeux, nel 1729, pubblicò un regolamento che vietava di recitare il Canone della Messa a voce distinta per essere percepita dagli assistenti, sotto pena di sospensione. Nel 1737 è il Vescovo di Laon, Etienne de la Fare, che promulgò un ordine simile, poi i Vescovi di Auxerre, di Sens, di Amiens, de Bayonne, etc. – La ragione invocata dai giansenisti, è che “noi non possiamo, per implorare Dio, impiegare delle parole che gli sarebbero poco gradevoli, come quelle della Messa”. Ma la vera ragione è molto più importante. Nella “Morale cristiana sull’orazione domenicale” (Libro 3; sez. 3, art. 1), l’autore insiste sulla necessità di pronunciare ad alta voce, con il Sacerdote, tutto il Canone della Messa e specialmente le parole della Consacrazione perché “assistendo al santo Sacrificio della Messa, noi offriamo e consacriamo tutti insieme il corpo di N. S. G. C.”. Un buon gesuita del XVIII secolo, Padre Sauvage, ne da questa spiegazione: “Bisogna che il Sacerdote pronunzi le parole della Consacrazione ad alta voce ed in modo distinto, affinché se, per sfortuna colui che appare all’altare fosse spogliato dal sacerdozio per uno di questi peccati che, secondo Saint-Cyran lo annientano, qualcuno degli assistenti, più innocente del Sacerdote, possa consacrare al suo posto. È così, continua il nostro buon padre, che facendo di tutti i Cristiani tanti sacerdoti, i giansenisti lavoravano silenziosamente e senza che si percepisse, all’abolizione del Sacerdozio”. – La liturgia di Asnières, vicino a Parigi, ci dà il vero senso di questa novità. M. Petitpied, curato di questa parrocchia verso il 1730, comincia a costruire un altare a forma di tomba, chiamato altare domenicale, spogliato dei candelabri e della croce. Solo al momento di celebrare la Messa, lo si ricopriva con un semplice telo. Nello svolgimento del cerimoniale, egli si sforzò di assimilare i laici ai Sacerdoti ed il Sacerdote al Vescovo. Ogni assistente risponde ad alta voce all’Introito, poi, dopo il Confiteor, si andava a sedere sul suo trono posto di lato all’Epistola, a destra dell’altare. Restava così per tutta la prima parte della Messa, senza salire all’altare. Dal suo posto intonava il Gloria ed il Credo, senza proseguirli, perché non recitava mai per conto suo le preghiere cantate dal coro. Non leggeva né l’Epistola, né il Vangelo. Saliva all’altare per l’offertorio dopo che i fedeli vi avevano portato e disposto il pane ed il vino: vi mescolava dei frutti. Il calice era portato senza velo, dalla sacrestia. Gli assistenti recitavano ad alta voce il canone con il celebrante, le benedizioni erano fatte sulle sante Specie e sui frutti ed i legumi posti vicino al calice. Il curato di Asnières voleva che i laici si “conformassero agli ecclesiastici quanto potevano, cioè al cerimoniale che ordina agli ecclesiastici le cose tali come devono essere, secondo lo Spirito della Chiesa.” In altri termini i fedeli dovevano, secondo lo spirito della Chiesa, adottare le stesse attitudini e gli stessi gesti del celebrante. – Il p. Quesnel affermava che non si doveva mai dir Messa se non in presenza dei fedeli; egli rigettava tutte le Messe private, tutte le Messe basse, in cui i fedeli non si comunicano. Egli reclamava la soppressione delle cappelle nelle comunità religiose. Abbiamo già visto come questo fosse nei progetti di Bourg-Fontaine. È dunque la presenza del popolo fedele che dà la validità alla cerimonia. – Molto spesso si sostituiva il francese al latino. Così agiva Pierre Brayer, gran vicario del Vescovo di Metz, che usava la lingua volgare nella celebrazione del viatico, “…sebbene, dice un testimonio, si temesse che il malato facesse venire un ministro di Ginevra o da Amsterdam”. L’Abbazia di Orval, nei Paese Bassi, aveva ugualmente praticato degli adattamenti liturgici, soppresse delle rubriche, inserite delle nuove messe manoscritte che non sono dell’ordine romano né del Cistercense, etc. etc. – Come se non bastasse: “Le donne gianseniste volevano dir Messa”; … e perché no, se esse sono le “perfette” del popolo divino? Una di esse, in Provenza, diceva pubblicamente le parole della liturgia in lingua provenzale, anche quelle della Consacrazione, mentre il curato le diceva in latino. Una certa signora Mol, nel suo “Journal historique des convulsions”, dava questa giustificazione adducendo questo strano paradosso che un semplice fedele, non solo sacrifica con il Sacerdote, ma che è sacerdote egli stesso. Non ci si può esimere dall’ammirare, aggiungeva, la maestà e la dignità con la quale Melle d’Anconi celebra i santi Misteri. I sacerdoti più autorizzati, assistono alla sua messa e rispondono come suoi ministri e, al memento gli raccomandano coloro che giudicano idonei.” – E René Taveneaux conclude. “… è superfluo sottolineare la parentela di queste innovazioni dei giansenisti con la riforma liturgica operata in seguito al Vaticano II”. Tuttavia noi abbiamo aggiunto a tutto questo scempio, la soppressione dell’abito ecclesiastico e l’inversione degli altari, rivolti al popolo cristiano, popolo di “perfetti”, già divinizzato, illuminato, nella gloria del cielo che officiano contentandosi di adorare. Nel XVIII secolo, il Giansenismo trovò un appoggio nei discepoli di Edmond Richer, che pretendevano di mettere in luce il principio del “sacerdozio universale dei fedeli”.
[2. Continua …]