LA DEVOZIONE AL SACRO CUORE DI GESU’

La divozione al Sacro Cuore di Gesù.

[ A. Carmagnola: “Il Sacro Cuore di Gesù”; S.EI. Ed. Torino, 1920. – DISCORSO II.]

Purtroppo non pochi Cristiani dei nostri giorni, formandosi un Cristianesimo tutto a loro modo, al sentir parlare di divozione lasciano uscir di bocca un sorriso di scherno, e di compassione, come se la divozione non fosse altro che un’esagerazione di teste piccole e di nature meschine. Anzi nel linguaggio moderno quando si è detto di taluno che è un devoto, si è detto abbastanza per renderlo odioso e ridicolo, benché si tratti un’anima profondamente convinta, robusta di virtù, elevata di mente e generosa di sentimenti. E non pochi vi hanno, che preferiscono essere chiamati cristiani alla libera e secondo lo spirito del mondo, che cristiani divoti. Ma tutto ciò, che è altro mai, se non chiarissimo indizio del loro decadimento dallo spirito cristiano? Perché è egli possibile il possedere veramente questo spirito e non avere ciò che si chiama divozione? Se la divozione deriva il suo nome a devovendo dal dedicarsi che alcuno fa prontamente all’altrui servizio, che cosa è dessa altro mai se non la volontà pronta di fare quelle cose che appartengono al servizio di Dio? E tale essendo la divozione, non conviene riconoscere perciò che non solo non è una esagerazione, ma non è neppure un soprappiù di ciò che conviene ad essere vero cristiano, tanto che non si possa dire Cristiano vero colui che non è pure Cristiano divoto? – Ma se certi cristiani alla moda, eppur così ripieni di ignoranza per riguardo alle cose di Dio, già si fanno a deridere in genere la divozione, fanno peggio ancora intendendo a parlare della divozione al Sacro Cuore di Gesù. Per loro questa divozione, oltre che è una divozione tutta nuova, non è altrimenti basata che sulla immaginazione, e non deve servire ad altro che ad occupare gli animi delle religiose, che vivono racchiuse tra le mura di un monastero. Ora quanto grave sia il loro errore è ciò che si verrà conoscendo meglio di mano in mano che, svolgendo la sostanza di questa divozione, si verrà a conoscere più esattamente in che cosa essa consista e come più che ogni altra divozione sia basata, tutt’altro che sull’immaginazione, sulle più belle e più grandi realtà. Tuttavia fin da oggi contro le stolte declamazioni di certi spiriti leggieri ci faremo a considerare di proposito quanto questa divozione al Sacro Cuore di Gesù sia salda ed eccellente.

I. — La divozione al Sacratissimo Cuore di Gesù, tutt’altro che essere una divozione nuova, è la divozione più antica e più costante. In un certo senso si potrebbe dire che è antica quanto è antico il mondo, e che ha cominciato in quel giorno in cui Adamo peccatore, intese insieme con la condanna della sua colpa promettersi da Dio misericordioso il Riparatore del suo male in un figlio della Donna. Perciocché fin d’allora Adamo riconoscendo l’amore, che il Messia Verbo Incarnato, avrebbe dimostrato agli uomini nel venire quaggiù a redimerli, in questo amore, frutto di un Cuore Divino, pose tutta la sua fede, tutta la sua speranza, e questo amore si studiò di ricambiare con l’amor suo e con la penitenza del suo peccato. In questo senso continuarono ancora i patriarchi e tutti i profeti a nutrirgli la loro divozione; e questi ultimi soprattutto ne celebrarono in mille guise la carità, la bontà, la tenerezza e tutte le altre sue perfezioni, tanto che la Chiesa anche oggidì non trova nulla di meglio per onorare questo Divin Cuore nel giorno della sua festa che valersi delle loro magnifiche espressioni. Tuttavia questa divozione al Sacro Cuore di Gesù nell’antica legge non era praticata che indirettamente. – Ma quando nostro Signore diede compimento alle sue promesse, ed incarnatosi e fattosi uomo, si cominciò dagli uomini a sperimentare di fatto la bontà immensa del Cuor suo, si può dubitare che a questo Cuore non si sia preso a tributare una divozione diretta? Quel che è certo si è che Gesù Cristo medesimo fin d’allora offerse il suo Cuore Sacratissimo alla devozione degli uomini. E per prova di ciò basta ricordare quel che fece nell’ultima cena con l’Apostolo suo prediletto san Giovanni. Stando questo Apostolo seduto a fianco di Gesù in modo, che comodamente poteva chinare la testa sopra il Cuore di Gesù Cristo, ve la chinò di fatto; e Gesù non solo glielo permise, ma in certa guisa lo volle, perché così avesse ad intendere i suoi palpiti, avesse a sentire l’ardore delle sue vampe amorose, e potesse un giorno, meglio di ogni altro evangelista, mettere in chiaro le prove infinite e supreme di carità, che questo suo Cuore diede per noi, ed invitare così più efficacemente gli uomini a ricambiarlo d’amore. Sì, dice S. Agostino: secreta altiora de intimo eius Corde potabat; san Giovanni attingeva a questo Cuore i più ineffabili misteri. E così pure asserisce Origene: Bisogna riconoscere che nel fondo del Cuore di Gesù Giovanni pigliasse i tesori della sapienza e della scienza: in penetrali Cordis Iesu thesauros sapientiæ et scientiæ requisisse dicendum est. Ma ecco finalmente che Gesù Cristo nel Getsemani dà principio alla sua Passione, e dal suo cuore risospinge il Sangue all’esterno, quasi per dirci che dal Cuore avevano principio tutti i suoi patimenti; e poscia morto sulla Croce, lascia che un soldato con una lanciata inflittagli con violenza nel fianco destro, vada fino al fianco sinistro a trapassargli il Cuore, come per dirci che lo stesso Cuore ai suoi patimenti poneva il colmo. Allora certamente la sua divozione dovette consolidarsi e stabilirsi più direttamente ancora. Ed in vero l’apostolo ed evangelista S. Giovanni non ci avrebbe notate tutte queste cose particolari intorno al Cuore di Gesù, avvenute nella sua passione e morte, se egli stesso non ne fosse stato ardentemente innamorato. E per altra parte queste cose medesime narrate e fatte conoscere ai cristiani non povano non accendere in loro questa divozione. – Difatti per tacere di molti martiri, nei cui atti si legge, che a questo Sacratissimo Cuore attingevano la forza necessaria a versare il loro sangue per la fede, quali stupende pagine non scrissero mai in suo onore e per la sua divozione i Santi Padri lei primi secoli della Chiesa? S. Agostino e S. Cipriano parlano del Cuore di Gesù nel modo più entusiastico, osservando come da esso ne vennero fuori la Chiesa e i Sacramenti, e in esso si aperse la porta della eterna salute, raffigurata dalla porta dell’arca costrutta da Noè, per la quale passarono gli animali, che non dovevano perire nel diluvio. Tertulliano e S. Giovanni Grisostomo magnificano in questo Cuore la misericordia divina, poiché nell’acqua e nel sangue che sgorgarono dalla sua ferita, veggono chiaramente indicati il Sacramento del Battesimo e della Eucarestia. S. Cirillo vi ritrova il compimento della nostra Redenzione, essendo esso l’indizio più certo della morte di Cristo. S. Efrem, S. Basilio, S. Gregorio Nazianzeno ed altri Santi Padri ancora esaltano altamente questo Cuore, chi chiamandolo fornace di amore, chi scampo sicuro, chi rifugio in tutti i pericoli, chi fonte di ogni grazia e benedizione. Ad imitazione di questi Santi Padri continuarono gli altri dottori e gli altri santi in ogni tempo a tributare i loro omaggi al Cuore Sacratissimo di Gesù. E qui, o miei cari, contentandomi di ricordare i nomi di S. Pier Damiani, dell’illuminato Taulero, di S. Bernardino da Siena, di S. Tommaso da Villanova, di S. Tommaso d’Aquino e di S. Bonaventura, di S. Luigi Gonzaga e di S. Francesco di Sales, di santa Geltrude, di santa Matilde, di santa Teresa, di santa Caterina da Siena, di santa Maddalena de’ Pazzi, di santa Margherita da Cortona, di santa Francesca Romana, tacendo di moltissimi altri santi e sante, faccio tuttavia speciale menzione di S. Bernardo, il quale scriveva intorno al Sacro Cuore pagine così tenere e così sublimi, che la Chiesa non trovò nulla di più adatto per comporre le lezioni della sua officiatura ad onore del Divin Cuore. Ed in vero: « Poiché, egli dice, siamo venuti al Cuore dolcissimo di Gesù, ed è per noi cosa buona il rimanervi, non lasciamoci facilmente allontanare da colui, del quale è scritto: Coloro che da te si allontanano saranno scritti in terra, mentre invece coloro, che a te si avvicinano, avranno i loro nomi scritti in cielo. Accostiamoci adunque a te, ed esultiamo e rallegriamoci in te, memori del tuo Cuore. Oh quanto è cosa buona e gioconda l’abitare in questo Cuore! il gettarvi entro ogni pensiero ed affètto! In questo tempio, in questo santuario, presso a quest’arca del testamento io pregherò e loderò il nome del Signore, dicendo con Davide: Ho trovato il cuore per pregarvi il mio Dio. Sì, ho trovato il cuore del re, del fratello, dell’amico benigno Gesù. E come mai, o Gesù dolcissimo, io non pregherò il mio Dio dentro a questo tuo e mio cuore? Ah! degnati soltanto di ammettermi in questo sacrario, in cui le mie preghiere saranno da te esaudite! Anzi, vogliami trarre tutto nel Cuor tuo. O Gesù, il più bello fra tutti gli uomini, lavami dalla mia iniquità e mondami dal mio peccato, affinché, per tua mercé purificato, io possa accostarmi a te che sei purissimo, e meriti abitare nel Cuor tuo in tutti i giorni della mia vita, e valga a vedere e fare ad un tempo la tua volontà. Imperciocché per questo è stato ferito il tuo fianco, perché a noi sia aperta l’entrata. Per questo fu ferito il tuo Cuore, perché sciolti dalle cure terrene, in esso ed in te possiamo abitare. Tuttavia questo Cuore fu specialmente ferito, affinché per la ferita carnale e visibile ci fosse manifesta la ferita spirituale ed invisibile dell’amore, che lo consuma. – Chi adunque non amerà un cuore così amante? Chi non abbraccerà un cuore sì casto? Amiamo, riamiamo, abbracciamo adunque questo Cuore, e stiamo in esso affinché si degni di stringere e ferire il cuor nostro ancor sì duro ed ostinato con la catena e con il dardo dell’amore. » Così adunque il mellifluo s. Bernardo scriveva e parlava del Sacratissimo Cuore nel secolo XII. – Tuttociò pertanto dimostra chiarissimamente che la divozione al Sacratissimo Cuore in sostanza non è una divozione nuova, come la vollero riguardare certi eretici dispettosi e superbi, ma una divozione antica quanto è antico il Cristianesimo, anzi il mondo, e costante quanto lo fu il corso dei secoli. Epperò per questa sola ragione della sua antichità già bene riesce manifesto, quanto essa sia salda ed eccellente. Ma qui osserviamo, almeno di passaggio, quanto siano stolti ed ignoranti coloro, che senza sapere e riflettere di che si tratti, giudicano senz’altro la divozione al Sacro Cuore di Gesù una divozione propria di teste piccole e di nature meschine. Oh! eran dunque nature meschine e teste piccole un S. Agostino, un S. Giovanni Grisostomo, un S. Bernardo, un S. Bonaventura, e un S. Tommaso d’Aquino? Comprendete perciò, o miei cari, quanto siano sventati e falsi i giudizi dei mondani, e per quel che riguarda la divozione al Sacro Cuore di Gesù, non dubitate punto di apprezzarla e di praticarla, sicuri di conformarvi in essa ai più grandi luminari della Chiesa. Ma sebbene nella sua sostanza la divozione al Sacro Cuore di Gesù non sia nuova affatto, tuttavia la forma speciale, cui la vediamo oggidì praticata in tutto l’universo cattolico, non ebbe principio che verso la fine del secolo decimo settimo, quando lo stesso Gesù Cristo si degnò esprimerne la sua volontà ad una sua sposa diletta. Udite. A Paray-le-Monial in Francia, in un monastero della Visitazione viveva una santa verginella per nome Margherita Alacoque. Fin dai primi anni della sua vita, illustrata dallo Spirito Santo ed arricciata delle benedizioni celesti, disprezzando gli allettamenti del mondo, si era consacrata a Dio col voto di verginità perpetua e aveva preso a praticare ogni più bella virtù cristiana. Ma perché il mondo non avesse a guastare menomamente la bellezza di questo fior di paradiso, quel Divin Padre, che Gesù Cristo stesso chiamò col nome di agricoltore, per opera della sua provvidenza, togliendola di mezzo al mondo, la trapiantava negli orti chiusi della religione, dove, per la maggior abbondanza di grazia e per la fedele corrispondenza alla stessa, cresceva meravigliosamente in spirituale bellezza, tanto da attrarre sopra di sé lo specialissimo sguardo di quel Gesù, che si pasce fra i gigli, e meritare non solo di godere sovente delle sue visite di paradiso, ma di essere eletta per stabilire quaggiù la divozione al suo Sacratissimo Cuore. Ed ecco come andò il fatto. – Volgeva tacita la notte del 16 Giugno dell’anno 1675, fra l’ottava del Corpus Domini, e Santa Margherita vegliava tutta sola appiè del santo altare e fervorosamente pregava. L’anima sua immersa nei divini misteri sentivasi come infuocata di carità, e tale un incendio la abbruciava, da non poter quasi più reggere per l’estremo dolore; quand’ecco si ode su per l’altare un muovere concitato di passi, ed una luce improvvisa balza fuori da quelle tenebre. Margherita leva gli occhi… ed oh! che non vide ella mai?… Le era apparso Gesù Cristo in persona e le dava a vedere il suo Cuore Sacrosanto. Era questo come sopra un trono di vive fiamme, circondato da una corona di spine, squarciato da una ferita, con una croce piantatavi sopra. Margherita lo mirava estatica, come immersa in un mare di gioia e quasi senza mandar un respiro, quando il Divin Redentore ruppe egli stesso il silenzio ed uscì fuori in questi amorosi accenti: « Margherita, ecco quel Cuore che tanto ha amato gli uomini, sino a struggersi e consumarsi per dimostrar loro le sue grandi vampe. Ma in ricambio Io non ricevo dalla maggior parte di essi che ingratitudini, tanti sono i disprezzi, le freddezze, le irriverenze, i sacrilegi, che si commettono contro di me nel Sacramento di amore. E ciò che mi torna anche più penoso si è, che a trattarmi così vi sono pure dei cuori a me consacrati. Ti chieggo pertanto che il primo venerdì dopo l’ottava del SS. Sacramento sia dedicato a celebrare una festa particolare in onore del mio Cuore e con la santa Comunione si riparino in quel giorno gli indegni trattamenti, che Io ho ricevuto, mentre stavo esposto sopra gli altari. Io poi ti prometto, che il mio Cuore si dilaterà per spargere con abbondanza le influenze del mio divino amore sopra tutti coloro, che gli renderanno e procureranno che gli sia reso da altri questo onore. » Così parlò Gesù Cristo alla sua diletta Margherita, la quale tutta confusa e tremante per la grande missione che venivale conferita, si faceva umilmente a rispondere: « Ma, Signore amabilissimo, a chi vi volgete voi per una tanta impresa? E non vedete che io sono meschina e peccatrice? Vi mancano forse anime generose, a cui affidare sì grave incarico? » Ma Gesù Cristo nulladimeno, ricordando quella legge del suo governo, per cui si serve di mezzi in apparenza spregevoli per effettuare grandi opere, onde risplenda meglio la potenza del suo braccio, riaffermava la sua volontà e confortava quella santa verginella ad eseguirla. – Anzi, continuando in seguito ad apparirle, le faceva sempre meglio conoscere i segreti del suo Sacratissimo Cuore, le dichiarava il fine, che dovevano proporsi le anime generose che aspirassero a glorificarlo, le suggeriva Egli stesso le pratiche di pietà da Compiersi, le faceva conoscere le grazie che avrebbe compartite ai suoi adoratori, le assicurava che questa divozione si sarebbe mirabilmente dilatata non ostante tutte le opposizioni, con cui taluni l’avrebbero impugnata, e filialmente le inviava un suo fedelissimo servo, il padre La Colombière, della Compagnia di Gesù, perché le fosse di potente aiuto a promuoverla ed a spargerla ovunque. – Così adunque, o miei cari, voi lo avete inteso, è Gesù Cristo medesimo Colui che volle avere un culto pubblico al suo Sacratissimo Cuore. Epperò mirando a questa divozione, sparsa ornai per tutta la terra, ben a ragione dobbiamo esclamare: A Domino factum est istud, et est mirabile in oculis nostris. (Ps. CXVII, 22) E chi sarà pertanto, che nel considerare come Gesù Cristo, la divina Sapienza incarnata, ha Egli medesimo presentato il suo Cuore ad essere onorato dai fedeli, non riconoscerà la grande saldezza e la somma eccellenza, che vi ha nella sua divozione?

II. — Ma io so benissimo, che se qui vi fosse ad ascoltarmi taluno dei così detti spiriti forti, si riderebbe in cuor suo dell’aver dato io importanza alla rivelazione di Santa Margherita Alacoque. Perciocché, che cosa altro mai secondo la moderna incredulità sono le estasi dei Santi, le rivelazioni fatte da Dio a certe anime sue predilette, se non allucinazioni di mente esaltata, effetti di una malattia, che chiamano isterismo? Tuttavia, anche perché crederei tempo gittate il fermarmi a discutere sopra questo nuovo trovato della scienza atea e mostrarne la vanità, io mi accontento di osservare per voi che siete credenti, che senza dubbio le rivelazioni particolari fatte da Dio ai Santi non si hanno da accogliere se non in quella misura, che la Chiesa permette e stabilisce, ma che quando la Chiesa ce ne ha fatto ella medesima sicurtà, allora non dobbiamo più dubitarne. Perché la Chiesa accetta forse ed approva senz’altro qualsiasi particolare rivelazione? Tutt’altro! Essa non accetta e non approva alcuna di queste particolari rivelazioni, se non dopo lunghissimo, minutissimo e serissimo esame, in cui di tali rivelazioni siano prodotte le prove più autentiche. Or bene, queste prove, non altrimenti che nelle rivelazioni di altri santi, la Chiesa le ha pur volute nella rivelazione di Santa Margherita, ed avendole trovate specialmente nella santità della sua vita, essa ha creduto a tale rivelazione e con sicurezza la propose a credersi anche da noi. – Con tutto ciò, o carissimi, sbaglierebbe assai chi credesse che la divozione al Sacro Cuore di Gesù fosse basata unicamente sopra la rivelazione fattane da Santa Margherita. No, questa divozione, come ogni altra che vi ha nel seno della Chiesa, non è basata sopra una privata rivelazione, ma sopra la rivelazione per eccellenza che Iddio fece di tutta la sua religione, ed approvata perciò dalla autorità della Chiesa. – Ponete ben mente. Egli è certissimo che se Iddio non si fosse degnato di rivelarci egli stesso la massima parte delle verità, che a Lui si riferiscono e dei doveri religiosi e morali che a Lui ci stringono, noi non potremmo giammai né conoscerlo, né amarlo, né servirlo convenientemente, tanto da meritare di raggiungere il fine, a cui ci ha destinati. Ma anche in questo Iddio ci manifesta la sua misericordia infinita, nel parlarci e rilevarci tutto ciò che noi avremmo dovuto credere ed operare. – Egli, come ci dice S. Paolo, incominciò a fare la sua divina rivelazione ai padri nostri per mezzo dei profeti, e la compì poscia per opera dello stesso suo divin Figliuolo, Gesù. (Hebr. I, 12) In Gesù Cristo pertanto e negli Apostoli, che lo udirono, la divina rivelazione è perfettamente compiuta, e dopo Gesù Cristo e gli Apostoli non può ammettersi nessuna verità nuova riguardo al deposito della fede. È bensì vero che Iddio anche dopo la venuta del suo divin Figlio sulla terra ha continuato a fare delle particolari rivelazioni a grande numero de’ suoi servi prediletti, ma in nessuna di esse ci rivelò delle verità, che non fossero state già rivelate o ci propose un culto che non fosse già praticato. Ma senza rivelare alcuna nuova verità e senza introdurre alcun nuovo culto, è certo che Iddio in molte di queste sue particolari rivelazioni fece intendere agli uomini qualche suo speciale desiderio in relazione a qualche particolare verità e a qualche forma peculiare del culto già esistente. Così ad esempio, apparendo alla beata Giuliana da Liegi, le rivelò il desiderio vivissimo, che gli si desse una speciale manifestazione di fede, di amore e di gratitudine per l’istituzione del SS. Sacramento dell’Eucaristia, stabilendosi una festa particolare in suo onore, la festa del Corpus Domini. E fu appunto in seguito a questa particolare rivelazione che la Chiesa prese occasione ad istituire una tal festa, perciocché per una parte, esaminando seriamente la rivelazione fatta alla beata Giuliana, la trovò vera, e considerando per l’altra parte se era opportuna una nuova festa ad onore del SS. Sacramento dell’altare, vide che, tutt’altro che essere una novità pericolosa, era un mezzo efficacissimo a ravvivare la fede in una verità mai sempre creduta e a rendere più vivo e solenne il culto, che erasi mai sempre praticato ad onore del SS. Sacramento. La Chiesa adunque, anche per le rivelazioni più splendide che Iddio faccia ai santi, non introdurrà mai alcuna nuova verità da credere od alcuna pratica che non sia conforme alla religione completamente rivelata da Gesù Cristo. Tuttavia prendendo ad esaminare seriamente tali rivelazioni particolari, e trovandole degne di fede, suole da esse prendere occasione per mettere in maggior luce questo o quel mistero, per animare più efficacemente a questa od a quella divozione, conforme al desiderio manifestato da Dio e secondo lo spirito di sapienza e di opportunità, di cui è dotata dalla continua assistenza dello Spirito Santo. – Ora ecco appunto quello che accadde riguardo alla divozione al Sacratissimo Cuore di Gesù. Questa divozione in sostanza, come dissi fin dal principio, non è mancata mai nel seno della Chiesa, perché, basati sulla divina rivelazione i Cristiani hanno creduto sempre che in Gesù Cristo, essendo la Persona divina unita alla natura umana, anche la sua umanità, di cui il Cuore è parte nobilissima, deve essere adorata. – Ma poiché Gesù Cristo si compiacque di apparire ripetutamente alla sua diletta serva Margherita Alacoque, e farle conoscere il desiderio vivissimo, che questa divozione al suo Cuore si dilatasse viemaggiormente fra i fedeli e si praticasse con pubblica solennità, la Chiesa che cosa fece? Anzi tutto esaminò lungamente e seriamente la condotta di quell’inclita serva di Dio, e ritrovatala santa, riconobbe altresì che per ragione della sua santità meritava fede alle sue rivelazioni. E considerando inoltre il gran bene, che ne sarebbe venuto a sé ed ai fedeli dalla pratica della divozione particolare al Sacratissimo Onore, senza punto introdurre una nuova verità da credere, od un nuovo culto da praticare, dalla celebre rivelazione dell’Alacoque prese occasione a concretar meglio e a dare maggior impulso a questa divozione istessa. Il che adunque vuol dire che la divozione al Sacro Cuore di Gesù è basata non già sopra la particolare rivelazione, che Gesù Cristo fece a Santa Margherita, ma sopra la rivelazione per eccellenza che Egli fece a tutto il mondo, e che la Chiesa in seguito alla particolare rivelazione di Santa Margherita ha con l’autorità sua confermata ed esplicata una tale divozione. E per tal guisa la Chiesa ci assicura nello stesso tempo della saldezza e della eccellenza della medesima, e noi la dobbiamo praticare con la massima sicurezza e con tutto l’impegno. È vero che vi sono dei Cristiani superbi, a cui le proprie viste sembrando più giuste che quelle della Chiesa, anche per ciò che riguarda questa divozione non credono di doversi fidare del suo giudizio. Ma noi certamente non saremo nel numero di questi sventurati. Ossequenti alla parola di Gesù Cristo, che disse, che chi ascolta la Chiesa ascolta Lui stesso, senza esitazione di sorta anche in questo ci affideremo a lei, pienamente sicuri che essa, maestra infallibile di verità, né si inganna, né può ingannarci. – Sebbene nel dire che la Chiesa ci assicura della saldezza ed eccellenza della divozione al Sacro Cuore di Gesù, ho detto assai poco; ben altro ha fatto e continua a fare in favore di questa divozione. Essa la raccomanda nel miglior modo possibile. Il Sacro Cuore di Gesù aveva fatto conoscere a Santa Margherita che nel diffondersi della sua divozione si sarebbero levati contro di essa dei grandi nemici, ma che Egli avrebbe regnato malgrado tutte le contraddizioni. E così fu veramente. La setta dei Giansenisti, che negli scritti di Giansenio avevano bevuto gravi errori, mentendo astutissimamente pietà e mortificazione cristiana, trascinava in inganno non pochi fedeli. Appoggiandosi ad uno dei suoi principali errori, che Gesù non è morto per tutti, né per tutti ha versato il suo sangue, si travagliava con diabolica malizia a restringere i benefizi della redenzione e ad impedire i fedeli dì attingere con gaudio le acque di salute alle fonti del Salvatore. Perciocché con speciosi pretesti negava ai fedeli di frequentare la SS. Comunione o vi esigeva condizioni così esagerate di santità, da togliere nel loro animo il pensiero di potervisi ancora accostare. Non era dunque possibile, che a questa nuova razza di Farisei tornasse gradita la divozione al Sacro Cuore, così atta ad allargare il cuore di tutti gli uomini alla speranza della eterna salute e così efficace a promuovere l’uso e la frequenza dei SS. Sacramenti. Epperò non è facile immaginare quanto essi fecero in privato ed in pubblico, affine di screditarla e farla cadere in dispregio. Essi arrivarono al punto da impedire in alcuni paesi della Francia, che si celebrasse la festa del Sacro Cuore e si onorasse la sua immagine. E di sì gran peso fu il loro cattivo esempio che, estesosi in Italia, l’anno 1789 tenevasi un conciliabolo nella città di Pistoia, in cui giungendosi al massimo dell’impudenza, osavasi condannare la devozione al Sacro Cuore siccome nuova, erronea e pericolosa. Ma non ostante una guerra così accanita, il Cuore di Gesù trionfò per opera della Chiesa. Perocché, all’opposto degli eretici, la Chiesa riconoscendo questa divozione utilissima, prese a difenderla, ad inculcarla, a promuoverla in mille guise. Ne stabilì la festa, ne ordinò la Messa, ne compose l’ufficio, ed annuì al desiderio dei fedeli di unirsi in devote congregazioni, che avessero questo scopo speciale di onorare il Sacro Cuore. Che dirò poi dei tesori innumerevoli di sacre indulgenze, che i Romani Pontefici sparsero sopra tali congregazioni, erette in onore del Sacro Cuore, e sopra i fedeli che con ossequi determinati lo onorassero? Che dirò del fervore veramente meraviglioso, con cui sul suo stesso principio una tal divozione fu accolta dai Vescovi non di una Chiesa o di una provincia, ma di cento o più sedi dell’Italia, della Francia, della Germania, del Belgio, della Spagna, della Boemia, della Polonia, ed ora di tutta quanta la Cristianità? Che dirò dello zelo ardente, con cui tutto il clero e secolare e regolare si adoperò a porre in estimazione ed onore questo divin culto? I religiosi ed i sacerdoti più amanti del bene delle anime lo promossero per modo nelle loro congregazioni, nelle loro chiese e parrocchie, che non v’ha più casa di Dio, ove non sia dedicato al Sacro Cuore un altare, ove non sia esposta almeno la sua immagine alla cristiana venerazione. Ma a tutte le prove già addotte non bisogna che io tralasci di aggiungerne una del massimo peso, voglio dire l’erezione di una basilica consacrata al Sacro Cuore di Gesù im Roma, nella sede del Successore di S. Pietro, nella capitale del mondo cattolico, nel centro e nella metropoli della religione cristiana. Perciocché per opera di chi quella basilica si innalzò sul colle Esquilino, splendida di marmi e di pitture? Sì, è vero, fu il Padre Maresca, Barnabita, che da principio ne suggerì e promosse l’idea: fu quel gran servo di Dio, Don Giov. Bosco, che coadiuvato dalla carità degli Italiani e di tutto il mondo cattolico la condusse ad effetto con uno zelo ed una operosità indicibile; ma chi benediceva alla grand’opera e ne comperava col suo proprio denaro il suolo necessario, era l’angelico Pontefice Pio IX, di santa e venerata

memoria, quel Pontefice, che soleva dire e scrivere: « Nel Cuore di Gesù sta riposta la mia speranza: in Corde Jesu spes mea; » e chi affidava il grande e importante incarico a Don Bosco era il S. Padre Leone XIII, di venerata memoria, e così devoto del Sacro Cuore, che sapientemente ne innalzava la festa al maggior grado di solennità. Se pertanto due Pontefici così insigni curarono essi medesimi l’edificazione di un tempio al Sacro Cuore di Gesù, in Roma istessa, da cui, come da elevato e splendissimo faro, parte la luce di verità che illumina tutto il mondo, vi vorrà ancor altro, non dico per assicurarci della saldezza, dell’eccellenza della divozione al Sacro Cuore, ma per stimolarci a praticarla con tutto l’ardore? – Se un figliuolo vuole amare non a parole, ma a fatti la propria madre, non è egli vero che non può avere altro impegno se non di formare con la madre stessa un sol pensiero, un sol desiderio, un solo affetto? Senza alcun dubbio egli approverà quello che la sua buona madre approva, apprezzerà ciò che ella apprezza, amerà ciò che ella ama; e se conosce osservi qualche opera, che torni a lei gradita, si porrà a compierla con la più viva sollecitudine. Se altrimenti facesse e si vantasse di affettuoso figliuolo noi diremmo che egli mentisce. Or bene lo stesso è di ogni Cristiano in riguardo alla Chiesa sua madre spirituale. È Cristiano sincero colui, che approva, apprezza, ama e compie ciò che approva, apprezza, ama, compie la Chiesa, ma non è veramente tale colui che fa diversamente. Se la Chiesa pertanto approva e raccomanda la devozione al Cuore Santissimo di Gesù, siccome quella che non si discosta per nulla dall’inalterabile tesoro delle sue sante dottrine, potrà dirsi sincero Cristiano colui, che non la credesse altro che frutto di una allucinazione mentale, epperò non l’apprezzasse, non l’amasse e non la praticasse? No certamente. Deh! non sia adunque, che alcuno di noi non si accenda ognor più in una divozione così salda e così eccellente. Imitiamo tutti l’esempio dei grandi santi che l’hanno praticata; assecondiamo il volere di Gesù Cristo che l’ha rivelata; conformiamoci al sentimento della Chiesa, che l’ha approvata e raccomandata. E nella stima e nella pratica di questa divozione ci sarà dato certamente di godere i più salutari vantaggi per le anime nostre. – E voi, o Cuore Sacratissimo di Gesù, via, verità e vita di tutti gli uomini che vengono in questo mondo, siatelo specialmente per noi, che intendiamo di professarvi quella divozione, che meritate. Siate la nostra via e conduceteci diritti al vostro amore, al vostro servizio ed al vostro godimento. Siate la nostra verità ed illuminate cogli splendori indefettibili della vostra luce le nostre menti per conoscere sempre meglio i vostri pregi ineffabili. Siate la nostra vita, ed infondete nel cuor nostro lo spirito che vive in voi, affinché non vivendo più che in voi, con voi e per voi quaggiù sulla terra, possiamo un giorno venire a vivere in voi, con voi e per voi lassù in cielo.

G. FRASSINETTI: IL CATECHISMO DOGMATICO (XII)

Catechismo dogmatico (XII)

[Giuseppe Frassinetti, priore di S. Sabina di Genova:

Ed. Quinta, P. Piccadori, Parma, 1860]

APPENDICE

SUL MODO D’INSEGNARE

LA DOTTRINA CRISTIANA AI FANCIULLI.

§ I .

Dell’importanza di questo insegnamento.

1. La cognizione di Dio e delle verità da Lui rivelate è il primo e il sommo bisogno dell’uomo: privo di essa, percorrendo la vita più infelice in questo mondo, va a terminare in una eterna miseria nell’altro. Questo suo primo e sommo bisogno, addiviene urgente tosto che il lume della ragione ne rischiara l’intendimento; quindi mentre ogni altra istruzione si potrebbe differire al fanciullo per gli anni appresso, questa della Religione non gli può essere ritardata. Per la qual cosa l’insegnamento della dottrina cristiana ai fanciulli è della più alta importanza, di assoluta necessità.

2. Inoltre è da notare che l’età della più verde adolescenza è la più adatta a tale istruzione, mentre che se le prime idee che sono comunicate al fanciullo quando perviene all’uso della ragione sono le idee cristiane, queste gli rimangono quasi naturali e profondamente impresse; quindi si trova Cristiano quasi nato e non fatto, né facilmente soffre che gli vengano alterate, o scambiate nelle età successive. L’istruzione cristiana cominciata ai primi albori dell’intelligenza, e continuata poi, com’è dovere, con paziente e solerte perseveranza, è la più grande guarentigia che possa aversi per la buona riuscita dell’adolescente, dell’uomo.

3. Egli è per questo che i Concili Generali, i Sommi Pontefici e i Vescovi prescrivono con gli ordini più pressanti e severi, che non si lasci mancare questa istruzione ai fanciulli: egli è per questo che gli uomini più eminenti in dottrina e in santità, l’hanno sempre promossa con indefesso zelo, e si pregiarono costantemente di amministrarla personalmente essi stessi.

§ II.

Del modo che sì deve tenere in questo insegnamento.

1. L’insegnamento deve essere uniforme. Perciò ai fanciulli si deve insegnare soltanto il Catechismo della Diocesi e, se è possibile, procurare che l’imparino tutto materialmente. Se si usassero catechismi diversi si produrrebbe una considerabile confusione; inoltre la materialità delle parole più facilmente si ritiene, e questa conserva nella memoria più lungamente la sostanza, ossia l’intelligenza delle cose.

2. Non si vuol dire però che si debba insegnare il catechismo solo materialmente. Lo devono mostrare soltanto materialmente le persone che non sono istruite nella teologia; queste bisogna si contentino d’insegnare il catechismo siccome sta senza sminuzzarlo, e spiegarlo, perché mancanti delle opportune cognizioni teologiche, insegnerebbero alle volte dei gravi errori; chi poi è istruito sufficientemente, procuri di sminuzzarlo, di spiegarlo secondo la capacità dei fanciulli, affinché meglio lo comprendano, e le verità che vi si contengono facciano più viva impressione nei loro animi.

3. Ma qui si avverta di non credere sempre cosa facile ed opportuna, lo sminuzzare molto sottilmente ai fanciulli le verità della Dottrina Cristiana; ella non è sempre cosa facile, perché nei misteri della Fede non si può sapere tutto ciò che si vorrebbe, ma soltanto quello che dei medesimi Dio ha voluto manifestare. Diceva Sant’Atanasio, a riguardo del mistero della Ss. Trinità, che noi ci dobbiamo contentare di saperne quel tanto che ce ne insegna la Chiesa, e che il rimanente lo coprono i Cherubini con le loro ali. Similmente nel mistero della Incarnazione, della Grazia e in tutti gli altri, non bisogna pretendere di dare ragione di ogni difficoltà che vi s’incontri, o di essere al caso d’intendere tutto e di tutto spiegare. Non è poi cosa opportuna, poiché quantunque chi insegna la Dottrina Cristiana fosse dottissimo, e al caso di trattare delle verità cattoliche con la maggior profondità e sottigliezza, non sarebbe questa cosa adattata per li fanciulli, i quali appena intendono le cose principali, e all’ingrosso. Si sminuzzi adunque la dottrina cristiana, ma non molto sottilmente, affinché apprendano le cose necessarie, e frattanto non restino più confusi che illuminati.

4. Un’altra importante avvertenza, è quella di non toccare quelle obbiezioni alle quali non si può dare una risposta che appieno soddisfi il grosso ingegno dei fanciulli, né quelle difficoltà che non si possano appianare con ragioni palpabili, e quasi direi materiali, delle quali soltanto è capace la loro mente. Ai fanciulli si devono dare quelle cognizioni che sono importanti a sapersi per tutti, e con la possibile chiarezza e semplicità: eglino non devono o confutare gli eretici, o salire le cattedre. – Questa avvertenza è necessaria ai chierici studenti, i quali alle volte vorrebbero insegnare ai fanciulli tutto ciò che essi vanno imparando nelle scuole.

5. Bisogna istruire i fanciulli gradatamente, cominciando dalle cose più necessarie a sapersi, e da quelle progredendo a tutte le altre; non si devono pertanto istruire sopra molte cose confusamente. Bisognerà, p. es., prima istruirli sull’esistenza di Dio, sopra i suoi Attributi, quindi sopra i misteri della Trinità, l’Incarnazione ecc., e progredire in tal modo di materia in materia, senza confusione. È ben vero però che spesso bisognerà ritornare sulle materie anteriori affinché non le dimentichino. E qui si osservi essere cosa importante, il far prendere ai fanciulli una idea grande di Dio, e la più grande che sia possibile spiegando loro i suoi Divini Attributi, giacché questa idea grande servirà molto, perché quindi facciano nei loro cuori maggiore impressione le massime del Santo Amore, e del Santo Timor di Dio. Si sa che Dio è poco amato e poco temuto da tanti Cristiani, perché hanno troppo poca cognizione della sua Bontà, e della sua Grandezza.

6. Si avverta che nell’istruire i fanciulli non si può pretendere da tutti la stessa riuscita. Perciò si deve procurare che i più svelti, d’ingegno pronto e di memoria tenace, imparino più cose, e conviene contentarsi che tanti altri, tardi d’ingegno e di poca memoria, imparino soltanto le cose più necessarie; si perde il tempo quando si vuole che un di questi impari molte cose come le imparano tanti altri di maggiore capacità, e non si fa che confonderne l’intendimento; laonde il prudente catechista non cercherà d’istruire i fanciulli di grossolano ingegno che intorno alle verità più importanti, e talora più indispensabili a sapersi.

§ III.

Delle massime che si devono instillare

ai fanciulli.

1. È insegnamento della Dottrina Cristiana: ai fanciulli non dev’essere un insegnamento nudo e secco delle verità della Fede, come sarebbe: vi è Dio, vi è l’inferno, vi è il Paradiso, i Sacramenti sono sette ecc., ma dev’essere un insegnamento sugoso il quale mentre illumina la mente, formi anche il cuore. – Si riesce a questo con l’insegnamento e la dilucidazione delle buone massime cristiane, e qui se ne metteranno per esempio e norma alcune principali. La prima massima è quella che Dio ci ha messo al mondo, non perché mangiamo, beviamo, ci divertiamo ecc., ma perché lo conosciamo, lo amiamo, lo serviamo e lo andiamo poi a godere in Paradiso; e questa massima come fondamentale bisogna spiegarla bene, e fare intendere ai fanciulli che chiunque non istà al mondo per conoscere, amare, servire Iddio e per guadagnarsi il Paradiso, al mondo sta male, e si merita di esserne levato, come si merita di essere tagliata nel campo quella vigna che non fa uva, quella ficaia che non fa fichi.

2. Che la grazia di Dio è il maggior tesoro, anzi l’unico vero tesoro che sia al mondo; che per conservarsi la grazia di Dio nel cuore, bisognerebbe gettar via un mondo intero quando fosse nostro, se per conservarla convenisse gettarlo via.

3. Che la peggior cosa è il peccato, il quale ci priva di quella grazia, e che sarebbe meglio tenersi un serpente vivo in seno, che un peccato mortale sull’anima; e siccome chi avesse un serpente vivo in seno non potrebbe né mangiare, né dormire, né divertirsi pel timore che da un momento all’altro gli desse la morte, così la persona, se ha un po’ di Fede, pare impossibile che possa mangiare, dormire, divertirsi, quando ha il peccato mortale sull’anima che da un momento all’altro la può precipitare all’inferno; che perciò quando uno avesse la disgrazia, la più spaventosa di tutte, di commettere un peccato mortale, dovrebbe fare subito vivi atti di contrizione, e poi confessarsene al più presto possibile.

4. Che chi ha compagnie cattive non ha bisogno di demonio che lo tenti per andare all’inferno; che un cattivo compagno alle volte, fa più danno all’anima di quello che non le farebbe un demonio. Che se non sono cattive compagnie, almeno sono sempre pericolose, e non piacciono agli Angeli Custodi, le compagnie promiscue di fanciulli e fanciulle insieme.

5. Che è meglio non confessarsi, che confessarsi male tacendo dei peccati; e a questo oggetto sarà cosa opportuna l’addurre qualche terribile esempio di confessioni mal fatte.

6. Che bisogna esercitarsi negli atti di amor di Dio, i quali al dire di Santa Teresa sono come le legna che mantengono e fanno crescere nel nostro cuore il santo fuoco dell’Amor di Dio. E qui sarà bene suggerire ai fanciulli la pratica di farne spesso tra il giorno, quali sarebbero: Mio Dio vi amo sopra ogni cosa. Signore vi amo con tutto il mio cuore. Convengono i teologi che i fanciulli tosto che arrivano all’uso della ragione sono obbligati a fare atti di amor di Dio; tuttavia, generalmente parlando, si trascura di ammaestrarli e di eccitarli all’adempimento di questo loro dovere, cui per la loro irriflessione badano poco o nulla. Per ottenere che prendano la consuetudine di fare spesso atti di amor di Dio, sarà bene di tempo in tempo interrogarli domandandone loro conto.

7. Che un vero devoto della Madonna non si è dannato mai; e qui bisogna avvertire ad instillare nel cuore dei fanciulli questa divozione tenera e fervente, procurando che tengano Maria in conto della più buona Madre, e a Lei ricorrano in tutti i loro bisogni. Tra le altre pratiche che loro si potrebbero suggerire questa sarebbe facile, e molto fruttuosa; che cioè recitassero tre Ave mattina e sera con questa breve orazione — Cara Madre, guardatemi dal peccato mortale. — Cara Madre piuttosto morire, che offender Dio.

8. Se queste ed altre massime s’instilleranno nel cuore dei fanciulli e dei giovinetti, ai quali s’insegna la Dottrina Cristiana, si formeranno al bene e alla pietà molto facilmente, e queste massime ben impresse nella prima età, non si scancelleranno mai più in avvenire.

§ IV.

Delle qualità che si deve procurare chi insegna la Dottrina Cristiana ai fanciulli.

1. Chi si mette ad istruire i fanciulli bisogna che sia paziente, grave, e manieroso. Bisogna in primo luogo che sia paziente, perchè i fanciulli, o per indole alquanto trista, o per rozzezza di educazione, o per inconsiderazione, e leggerezza sono alle volte difficili e tediosi: bisogna compatirli; tutto il male in loro non è malizia: di certi difetti alle volte non ne possono far di meno; diceva però bene quel Santo ai fanciulli: state savii se potete. Molte leggerezze o mancanze, che non sono d’altronde di gran conseguenza, conviene far mostra di non osservarle; bisogna sgridarli, o castigarli all’opportunità, quando le mancanze sono veramente considerabili, se il fanciullo si sente sempre sgridare, e si vede sempre castigato per ogni bagatella, non sapendo come evitare tanti gridi o castighi, non bada più né a questi né a quelli, e si forma di un’indole insensibile, e quindi incorreggibile.

2. Bisogna quindi che conservi la conveniente gravità, affinché i fanciulli abbiano sempre per lo maestro il necessario rispetto, senza cui non vi sarà né attenzione né profitto. Per tanto richiedesi che il Catechista si tenga sempre in certo decoro dì aspetto e di maniere, sicché i fanciulli lo rispettino. La quale avvertenza è necessaria in modo particolare, anche per altri titoli, a chi istruisce le fanciulle.

3. La gravità non deve essere disgiunta dalla buona maniera, affinché i fanciulli gustino di trattenersi con chi loro insegna la Dottrina. Chi usa aspre maniere e ributtanti, aliena gli animi dei fanciulli dalla Dottrina Cristiana; quei pochi che v’intervengono si tediano, si divagano, e nulla apprendono.

4. Quelli per altro, che insegnano la Dottrina Cristiana con vero zelo, non si trovano mai privi delle richieste qualità; perché l’amor di Dio lor insegna ogni modo opportuno per far profitto. Abbiano dunque molto amor di Dio, considerino quanto sia cosa importante istruire le menti, e formare i cuori dei giovinetti, e quindi sperino abbondante frutto dalle loro fatiche. Fatiche le quali, agli occhi di alcuni, sembrano poco onorevoli e poco stimabili, perché sono dirette alla tenera età, e il più delle volte ai fanciulli rozzi e malnati; ma che sono preziosissime agli occhi di Dio, il quale non riguarda le cose coi pregiudizi dell’umana vanità.

DOTTRINE NOTEVOLI PER L’AMMINISTRAZIONE DEI SS. SACRAMENTI AGL’INFERMI.

1. Riguardante la Confessione.

Qualunque Cristiano, sia uomo, sia donna in occasione d’infermità, anche non pericolosa di morte, per cui sia impedito di portarsi alla Chiesa, può confessarsi in casa: e ciò per più ragioni. Prima di tutto perché il Cristiano, potrebbe trovarsi in istato di peccato mortale, indi aver bisogno della Confessione per rimettersi in grazia di Dio. In secondo luogo, perché le malattie le quali sul principio non sembrano pericolose di morte, si aggravano alle volte improvvisamente, togliendo all’infermo anche l’uso dei sentimenti. Inoltre questa dottrina si rileva dai decreti del Concilio Lateranese sotto il Papa Innocenzo III e di S. Pio V. Questi decreti sono generali, tanto per gli uomini come per le donne, come sono generali le ragioni che indussero la Chiesa ad emanarli. Si noti che per ricevere questo Sacramento non fa bisogno della licenza del medico; che anzi sarebbe cosa ridicola chiedere licenza al medico di far ciò che non solo permette, ma ordina la Chiesa.

2. Riguardante il Ss. Viatico.

Come si può vedere in tutti i teologi, si può amministrare il Ss. Viatico ogni volta che la malattia è grave, ossia pericolosa di morte, quantunque vi sia ancora buona speranza di guarigione; e si dice grave, ossia pericolosa di morte, perché la gravità del male è necessariamente congiunta al pericolo della vita: anzi in tutte le malattie gravi, si possono sempre temere fatali peggioramenti anche precipitosi. Eccettuati i casi evidenti, di questa gravità e pericolo giudica il medico. Ma è da notare che, qualora l’infermo avesse argomenti da credere grave e pericolosa la propria malattia, purché seriamente il medico non gli asserisca il contrario, potrebbe esigere che gli fosse amministrato il Ss. Viatico, ancorché con tutta verità gli si dicesse non essere disperata la sua malattia, ed anzi dare buone speranze di risanamento.

III. Riguardante l’Estrema Unzione.

Primieramente si deve notare che questo Sacramento si chiama con tal nome, non perché debba darsi agli estremi momenti della vita; ma perchè è l’estrema, ossia l’ultima delle sacre unzioni che dà la Chiesa. In secondo luogo si deve osservare che l’Estrema Unzione si può amministrare come il Ss. Viatico, ogni volta che la malattia è grave, ossia pericolosa di morte, come si è detto. E poiché questo è un punto nel quale comunemente v’ha maggiore ignoranza, sarà bene sentire come ne parli s. Alfonso (Homo Apost. de Ex. Unct. n. 7). Ecco la fedele traduzione delle sue parole: « Comunemente dicono i Dottori che basta che l’infermità sia pericolosa di morte, almeno remotamente, cosi Suarez, Layman, Castropalao, Bonacina, Conninchio, i Salmanticesi ed altri. Basta perciò che vi sia un pericolo anche remoto. Prova quindi questa dottrina con le autorità dei Concili di Aquisgrana, di Magonza, di Firenze e di Trento; quindi segue: « Ma più chiaramente ciò si conferma da Benedetto XIV nella Bolla già citata, dove dice che il Sacramento dell’Estrema Unzione non si amministri a coloro che sono sani; ma soltanto a coloro che hanno una grave malattia: per il che dice rettamente Castropalao, che tutte le volte che si può dare il Viatico all’infermo non digiuno, si può dare, ed è espediente che si dia l’Estrema Unzione, « Per tanto l’infermo, ricevuto che abbia il Ss. Viatico, può domandare l’Estrema Unzione con diritto che gli sia data (A Parigi si costuma di dare l’Estrema Unzione immediatamente dopo il Viatico, come si legge nella Vita di Vittorina di Gallard morta nel 1836 – Vita, parte IV-). Queste avvertenze potranno servire di regola non solo agl’infermi, ma anche ai loro parenti ed ai medici.

PROFESSIONE DI FEDE CATTOLICA

Io N. N. credo e confesso con ferma fede tutti e ciascun articolo compreso nel simbolo di fede, del quale si serve la Santa Chiesa Romana, cioè:

Credo in un solo Dio Padre Onnipotente, Creatore del Cielo e della terra, di tutte le cose visibili ed invisibili; e in un solo Gesù Cristo, Figlio di Dio unigenito, e nato dal Padre prima di tutti i secoli, Dio da Dio, Lume da Lume, vero Dio dal vero Dio, generato e non fatto, consostanziale al Padre, per mezzo del quale furono fatte tutte le cose, che per amore verso noi uomini, e per la nostra salute è disceso dai Cieli, e ha preso carne dalla Vergine Maria per opera dello Spirito Santo, e si è fatto uomo: che è stato crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, ha patito e fu seppellito, che è risuscitato nel terzo giorno, giusta le Scritture, ed è salito al Cielo, che è seduto alla destra dei Padre; e che verrà un’altra volta con gloria a giudicare i vivi ed i morti, di cui il regno non avrà più fine. Credo nello Spirito Santo, Signore e Vivificatore, il quale procede dal Padre e dal Figliuolo, e che è adorato e glorificato col Padre e col Figliuolo, che ha parlato per bocca dei Profeti. Credo la Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica. Riconosco un solo Battesimo per la remissione dei peccati, ed aspetto la risurrezione de’ morti, e la vita del futuro secolo. Così è. – Ammetto ed abbraccio fermamente le apostoliche ed ecclesiastiche tradizioni, e tutte le altre osservanze e costituzioni della Chiesa medesima. Ammetto inoltre la Sacra Scrittura nel senso che ha sempre tenuto, e tiene anche oggi la Santa Madre Chiesa, alla quale appartiene di giudicare del vero senso e della vera interpretazione delle Sante Scritture, e non le intenderò, e non le interpreterò mai altrimenti, che secondo il consenso unanime dei santi Padri. Confesso altresì che vi sono propriamente e veramente sette Sacramenti della nuova legge, instituiti da Gesù Cristo Signor nostro, per la salute del genere umano, comecché non tutti siano necessari alla salvezza di ciascuno in particolare. Tali sono: il Battesimo, la Cresima, l’Eucarestia, la Penitenza, l’Estrema Unzione, l’Ordine, e il Matrimonio. Credo che questi Sacramenti conferiscono tutti la grazia, e che tra questi il Battesimo, la Cresima, e l’Ordine non si possono ricevere che una sola volta senza sacrilegio. – Accetto, ed abbraccio del pari i riti dalla Chiesa Cattolica ricevuti ed approvati nella amministrazione solenne di tutti i suddetti Sacramenti: accetto ed abbraccio ogni e qualunque cosa che è stata definita e dichiarata nel Sacrosanto Concilio di Trento circa il peccato originale e la giustificazione. Confesso similmente, che nella santa Messa si offre a Dio vero, proprio e propiziatorio Sacrifizio per i vivi e per i morti; e che nel santissimo Sacramento dell’Eucaristia è veramente, realmente e sostanzialmente il Corpo e il Sangue in un con l’Anima e Divinità di nostro Signor Gesù Cristo, e che si opera una conversione di tutta la sostanza del pane nel Corpo, e di tutta la sostanza del vino nel Sangue, il qual cangiamento la Chiesa Cattolica chiama Transustanziazione. Confesso altresì che Gesù Cristo v’è tutto ed intero, ed il vero Sacramento ricevasi sotto l’una e l’altra delle due specie. Tengo costantemente esservi il Purgatorio, e credo che le anime quivi detenute sono sollevate ed aiutate dai suffragi de’ fedeli. Credo per egual maniera, che i Santi che regnano con Gesù Cristo debbono essere onorati ed invocati, e che offrono le loro orazioni a Dio in favor nostro, e che le loro reliquie devono essere venerate. – Affermo fermissimamente che le immagini di Gesù Cristo e della Madre di Dio sempre Vergine, siccome quelle degli altri Santi, debbono essere conservate, ritenute e onorate con la debita venerazione. Affermo anche che il potere di concedere Indulgenze, è stato lasciato da Gesù Cristo nella Chiesa, e che il loro uso è salutevolissimo al popolo Cristiano. Riconosco la Santa Chiesa Romana Cattolica ed Apostolica per madre e maestra di tutte le Chiese, e giuro e prometto una vera obbedienza al Pontefice Romano, Vicario di Gesù Cristo, successore di S. Pietro, principe degli Apostoli. Confesso e ricevo similmente, senza alcun’esitazione tutte le altre cose lasciate per tradizione, definite e dichiarate dai sacri Canoni, e dai Concili ecumenici, e segnatamente dal Sacrosanto Concilio di Trento, e similmente condanno, rigetto, ed anatematizzo tutte le cose contrarie e tutte le eresie, quali e quante mai sono state condannate, rigettate e anatematizzate dalla Chiesa. – Questa Fede vera e Cattolica, fuor della quale nessuno può salvarsi, che professo ora e di mia spontanea volontà, e che tengo fermamente e sinceramente, io N. N. giuro, prometto, e m’impegno di tenerla e di professarla col soccorso di Dio costantemente e inviolabilmente in ogni sua parte fino all’ultimo mio respiro, e di procurare, per quanto è da me, che sia predicata, insegnata ed osservata da tutti coloro che dipendono da me e da quelli tutti che saranno alla mia cura commessi. Così Dio mi aiuti, ecc.

Ha il Cristiano Cattolico in questa professione un eccellente Atto di Fede, e sicura norma per conoscere tutti i protestanti.

FINE

L’ORGOGLIO

ORGOGLIO

 [E. Barbier: “I Tesori di Cornelio Alapide”, S.E.I. Ed. Torino, vol. III, 1930]

1. Che cosa è e a qual segno si riconosce. — 2. L’orgoglio è accecamento e pazzia. — 3. L’orgoglio non soffre di essere ripreso. — 4. Differenza tra l’orgoglio e l’umiltà. — 5. Enormità dell’orgoglio. — 6. L’orgoglio è la causa di tutti i mali. – 7. La superbia è detestabile. — 8. Dio umilia i superbi. — 9. Castighi dei superbi. — 10. Diversi gradi d’orgoglio. — 11. Motivi e mezzi di fuggire la superbia

1. Che cosa è e a qual segno si riconosce. — L’orgoglio è la stima sregolata di se stesso. Avere orgoglio vuol dire preporci agli altri; attribuire a noi quello che ci viene da Dio. A quattro segnali si riconosce l’orgoglio : 1° l’orgoglioso crede che gli venga da se stesso quello che possiede; 2° crede di non esserne debitore ad altri che al proprio merito; 3° si gloria di quello che ha e si vanta di quello che non ha; 4° disprezza gli altri e desidera che tutti sappiano ch’egli ha molto.

2. L’orgoglio è accecamento e pazzia. — « Se noi diciamo che non abbiamo peccato, inganniamo noi medesimi e la verità non è in noi » (I Ioann. II, 8), scrive S. Giovanni, e « se qualcuno si tiene per qualche cosa, mentre è un nulla, costui inganna se stesso», ripete S. Paolo (Gal. VI, 3). Gli orgogliosi si compiacciono in se stessi e confidano in sé; si persuadono di essere virtuosi e vivono in una stolta sicurezza, come se non mancassero di nulla e non avessero nulla da temere. O stolto! tu dici: io sono ricco in meriti e non ho bisogno di nessuno, e non sai quanto sei misero, e infelice, e povero, e cieco, e nudo (Apoc. III, 17). L’orgoglioso crede di sapere anche quello che non sa…; non vuol saperne né di consigli né di avvisi; è caparbio; ed ecco perché vi è poca o nessuna speranza di vederlo volgersi a ravvedimento… Tali erano gli scribi e i farisei che, gonfi di se medesimi, non riconobbero il vero dottore Gesù. Cristo e ricusarono di ricevere da lui lume e istruzione… Tali sono i Giudei… Tali ancora tutti gli eretici ostinati…; non vogliono né istruirsi né vedere la verità e vogliono insegnare… Che cosa potete sapere voi, orgogliosi, se non conoscete; come può mai essere che, cenere e polvere, v’insuperbiate? L’orgoglio è la più forte e la più pericolosa delle seduzioni cui l’uomo possa cedere; esso lo precipita nelle più fitte tenebre… L’orgoglioso vede malamente tutte le cose… Vede là dove non c’è nulla da vedere; non vede nulla dove ci sarebbe da vedere qualche cosa… Sempre cieco e zimbello della sua seduzione, egli è convinto della sua chiaroveggenza e imparzialità. Il Crisostomo asserisce che l’orgoglio è somma pazzia e che non si dà uomo più insensato dell’orgoglioso. Difatti, dove trovare idea più pazza di quella di resistere a Dio e di fargli guerra? Vi può essere impresa più stolta che quella di privarci volontariamente del favore, della grazia e del soccorso di Dio da cui tutto dipende e al quale tutto appartiene? Può l’uomo commettere una pazzia più grande che quella di costituirsi antagonista e nemico non di un uomo, non di un angelo, non del demonio medesimo, ma di Dio in persona, così che osi sfidarlo a duello? « L’orgoglio nasce dalla demenza, dice il medesimo santo; non si dà orgoglioso che non sia insensato; il superbo è pieno di stoltezza ». L’orgoglioso, essendo un pazzo, e spregevole e disprezzato, è il caso di dire con S. Paolo: « Vantandosi saggi, sono divenuti stolti » (Rom. I, 22). « Avete voi veduto un uomo che si crede saggio? c’è più da sperare da uno stupido che da lui », leggiamo nei Proverbi (XXVI, 12); e un proverbio popolare dice: «Uomo che si stima, perde ogni stima». — Quelli che si credono accorti, sono facilmente ingannati dal demonio e si perdono. Chi invece riconosce la sua poca saggezza, cerca una guida illuminata, e con questo modo cammina sicuro e facilmente si salva. L’umiltà è la sapienza dell’anima; l’orgoglio ne è la stoltezza; infatti l’umiltà riposa su la verità, l’orgoglio non è che vanità, menzogna, errore. « Perché la terra e la cenere si leva in superbia? » dice l’Ecclesiastico (X, 9). « Perché mai ti gonfi, o uomo? dice S. Bernardo; di che t’insuperbisci tu, concepito nella colpa, nato nella miseria, la cui vita è un peccare, il morire è angustia?».

3. L’orgoglioso non soffre di essere ripreso. — Gli orgogliosi non vogliono mai aver torto… Di loro si può dire:  « Tocca i vulcani e fumeranno (Psalm. CXLIII, 5). Oh sì, dagli orgogliosi di cui i vulcani sono gli emblemi escono rombi di tuono, sordi muggiti, onde di fumo; essi vomitano lave di sarcasmi, di motteggi, di ingiurie contro l’uomo caritatevole che cerchi di riprenderli e condurli a più savi pensieri… Provatevi a correggere un superbo; empie l’aria di lamenti; quante scuse, quante false ragioni accampa!… Non lo si conosce…; s’inventa…; si esagera a suo danno…; tutti sono inveleniti…; nessuno lo tratta con carità… Perché mischiarsi de’ suoi affari…; egli sa regolarsi…; egli non fa male…; nessuno ha diritto d’imporgliene… È proprio vera la sentenza di S. Cirillo, che il rimprovero il quale migliora gli umili, riesce intollerabile ai superbi; e con ragione il Venerabile Beda dice: O quanto misera è la coscienza di colui che rimproverato dalla parola di Dio, se ne risente come di un affronto (Collett.). Quindi il Profeta pregava il Signore, che non permettesse che il suo cuore si volgesse a parole di malizia, per scusare le sue mancanze e i suoi peccati (Psalm. CXL, 4). « Siccome dalla radice dell’orgoglio nasce la disobbedienza, dice S. Gregorio, i disobbedienti ascoltano chi scopre l’enormità delle loro colpe, ma del ripararle per mezzo di un’umile confessione, non ne vogliono sapere. Desiderando grandeggiare, da nulla tanto si guardano, quanto dal lasciar vedere le loro cadute. Perciò vanno in cerca di scuse e pretendono di aver ragione, perché non vogliono apparire peccatori ». S. Bernardo, parlando della caduta di Adamo, cagionata dalla superbia, e della scusa con cui egli volle coprirsi dinanzi a Dio, scusa inspirata anch’essa dall’orgoglio, dimostra quanto grave e odiosa a Dio sia la difesa del male. « Vi è ragione di credere, dice, che quell’antica così famosa e così nocevole prevaricazione avrebbe ottenuto perdono, se l’avesse seguita un’umile confessione e non una difesa. Infatti non nocque tanto la trasgressione, quantunque fatta con animo deliberato, quanto l’ostinazione con la quale le si aggiunse una scusa premeditata ». L’orgoglioso somiglia al riccio; nel quale, se lo vedete correre, distinguete le orecchie, le zampette, il muso; ma se l’avvicinate e cercate di prenderlo, non è più che un gomitolo irto di punte che vi forano le mani. In qualunque modo, da qualunque lato prendiate il superbo, è un riccio che punge e ferisce.

4. Differenza tra l’orgoglio e l’umiltà. — S. Gregorio dice: « Fatto nella sua creazione superiore a tutte le creature, volle il demonio, nostro mortale nemico, gonfio di orgoglio, che lo si considerasse come dominante su tutto. Invece il nostro Redentore, infinitamente grande e superiore a tutto, si degnò farsi piccolo in tutto. L’autore della morte disse: Io ascenderò al cielo; l’autore della vita: L’anima mia è piena d’angosce, è come annichilita. Satana disse : Io porrò il mio trono al di sopra degli astri del cielo; Gesù Cristo disse al genere umano : Ecco che io vengo ad abitare in mezzo agli uomini. Lucifero disse : Io siederò sul monte dell’alleanza dalla parte dell’Aquilone; e il Salvatore: Io sono un verme e non uomo, l’obbrobrio degli uomini, lo scherno della plebe. Satana disse : Io salirò sopra le nubi e sarò simile all’Altissimo; e il Verbo di Dio si è annientato, vestendo la forma di servo {Moral. lib. XXXIV, c. XXI).

5. Enormità dell’orgoglio. — Sant’Ottato, Vescovo di Milevi, dice che è meno cattivo e fatale il peccato con l’umiltà, che l’innocenza con l’orgoglio (Contra Parmen.). Infatti, come osserva S. Bernardo, il superbo s’innalza sopra Dio e si mette con lui in aperta lotta. Dio vuole che si faccia la sua volontà, e il superbo pretende che si faccia la sua. Quindi S. Agostino diceva: « Colui che cerca, o Signore, di volgere i tuoi doni a sua gloria e non alla tua, è ladro ed assassino, è simile al demonio che volle prendere il tuo trono ». Lo stesso santo giunge a dire : « Io oso dire ai superbi che si serbarono continenti, che è utile per loro il cadere. Io oso asserire che è cosa vantaggiosa agli orgogliosi l’inciampare in qualche colpa manifesta e innegabile, affinché essendo caduti per aver cercato di troppo piacere a se stessi, si rialzino dispiacendo a se medesimi ». Ed osserva che « Dio, secondo lui, permise ai barbari che conquistavano e saccheggiavano le città dell’impero Romano, di violare le vergini cristiane, o perché erano orgogliose, o perché vi era pericolo che peccassero di orgoglio, invanendo della loro castità » (De Civit. 1. I, c. XXVIII). Il Profeta pregava: « Preservatemi, o Signore, dal cadere in orgoglio » (Psalm. XXXV, 11). « Chiunque sia, leggiamo nei Proverbi, l’uomo arrogante è abbominato da Dio » (XV, 5). E la ragione sta in ciò, che il superbo si mette come emulo e antagonista di Dio : nuovo Lucifero, vuole uguagliarsi a Dio, e mettere la sua volontà in luogo di quella dell’Onnipotente. « La superbia fa il suo volere, scrive S. Agostino, l’umiltà fa la volontà di Dio ». Gran male è l’orgoglio, perché assale Dio, lo schiaffeggia, lo provoca suo malgrado al combattimento. Enorme è agli occhi del Crisostomo il delitto della superbia; meglio, secondo lui, converrebbe all’uomo essere pazzo, piuttostochè orgoglioso. La pazzia è l’impedimento all’azione dell’anima, l’orgoglio è una pazzia volontaria. Il pazzo forma la infelicità a se solo, il superbo forma la disgrazia degli altri (Hom. XXXIX ad pop.). Spaventosa sentenza è quella dell’Ecclesiastico: « L’orgoglio dell’uomo comincia dal farlo apostatare da Dio; perché il suo cuore si allontana da colui che l’ha fatto e dalla superbia comincia ogni peccato » (X, 14-15). Quindi non c’è da stupire se, come dice S. Giacomo, Dio resiste ai superbi(Iac. IV, 6).

6. L’orgoglio è la causa di tutti i mali. — « La superbia è fonte di ogni male», dice il Crisostomo (Hom. XV, in Matth.). Difatti il primo atto del superbo è scuotere il giogo e la legge dì Dio… « L’orgoglio li ha invasi, leggiamo nei Salmi, ed essi si sono macchiati di ogni empietà (Psalm. LXXII, 6); Davide confessa di se medesimo, che non cessò di peccare se non quando fu umiliato (Psalm… CXVIII, 67). E Tobia ammoniva suo figlio che non si lasciasse mai comandare dall’orgoglio né nei pensieri né nelle parole; perché da esso ebbe origine ogni perdizione (Tob. IV, 14). « L’umiltà, scrive S. Bernardo, rende gli uomini simili agli angeli, l’orgoglio cambia gli uomini in demoni. L’orgoglio è il principio, il fine, la causa di tutti i peccati, perché non solamente esso è peccato in se stesso, ma nessun peccato né ha potuto, né può, né potrà mai esistere senza orgoglio ». No, non si dà peccato senza orgoglio, dice S. Prospero; perché chiunque pecca, preferisce sé e l’appetito a Dio e alla sua legge, il che è vero orgoglio (De Vita contemp. cap. XXV). Dalla superbia trae origine ogni peccato, dice il Crisostomo. Da lei il disprezzo dei poveri, da lei la cupidigia dell’oro, da lei l’ambizione del comando, da lei il desiderio di gloria umana. L’orgoglioso non può sopportare nessuna prova, da qualunque parte essa venga, sia dai superiori, sia dagli inferiori. – La superbia è chiamata da S. Gregorio, regina dei vizi (Moral. lib. III, c. XVIII). Ed in quel modo, continua questo Santo, che la radice di un albero sta nascosta, ma nutrisce il tronco e i rami, così la superbia si nasconde in fondo al cuore, e di lì alimenta molti vizi manifesti. Non vi sarebbe peccato pubblico, se l’orgoglio non possedesse l’anima in segreto (Moral. lib. XXXIV, c. XVII). Non si cade nel male se non per superbia, almeno segreta… L’orgoglio precede gli empi, portando dinnanzi a loro una fiaccola, per condurli al delitto… Agli orgogliosi in generale si adatta quello che S. Agostino diceva dei Pelagiani: «Perché non vollero essere discepoli della verità, divennero maestri dell’errore ». L’orgoglio produce le risse, le gare, le dispute, gli odi, le maldicenze, le calunnie, le liti, le guerre, gli scismi, le eresie, e via dicendo… L’umiltà, al contrario, è sorgente di pace, di concordia, di unione, di carità, di fratellanza… La superbia è la madre di tutti i mali e di tutte le malattie, poiché e quelli e queste sono frutto del peccato. Non vi è peccato che non sia infetto di superbia, perché il peccato è ribellione contro Dio, è disprezzo della sua legge: ora la rivolta e il disprezzo vengono direttamente dall’orgoglio. « Siccome la superbia è il principio di tutti i misfatti, dice S. Bernardo, così è la rovina di tutte le virtù. L’orgoglio cammina il primo per la via del peccato, ma viene l’ultimo per la va del pentimento ». E in altro luogo dice: « La superbia ha concepito il dolore nel cielo, ha partorito l’iniquità nel paradiso terrestre; il dolore figlio del peccato, l’iniquità madre della morte e di tutte le miserie. Solo tra i vizi, l’orgoglio fa guerra a tutte le virtù, e come veleno universale le corrompe tutte ». – Giovanni Crisostomo paragona l’orgoglio alle tempeste di mare; dice che questo delitto acceca lo spirito; fa dell’uomo un oltraggiatore, un bestemmiatore, uno spergiuro, un demonio; non vi è male che l’uguagli. Esso è la sorgente di tutti i vizi, come all’opposto l’umiltà è la fonte di tutte le virtù … È il peccato dei demoni…; è un peccato di cui ben raramente si trova chi si corregga… è tale peccato che conduce per l’ordinario al suo seguito la curiosità, la iattanza, l’ipocrisia, la caparbietà, l’ostinazione, le liti. Gli orgogliosi si nutrono di vento, dice S. Isidoro; la superbia è il più enorme dei delitti, è la causa della morte dell’anima, sia col dare morte a tutte le virtù, sia col generare tutti i vizi… Chiunque pecca è un orgoglioso, perché peccando calpesta i divini precetti (Epist. de forma bene viv.). L’orgoglio, scrive S. Gregorio, impedisce di giudicare con equità; porta alle grida e agli schiamazzi; inspira zelo amaro, gaiezza scomposta, tristezza furiosa, risposte pungenti, atti impudenti, contegno insultante. L’anima dei superbi è sempre forte per fare un oltraggio, sempre debole per tollerare un affronto; pigra ad obbedire, importuna a stimolare gli altri; tarda a fare quello che deve, pronta a quello che non deve. Nessuna esortazione può muoverla a favore di ciò che non le piace, cerca al contrario di essere obbligata a mettere mano a ciò che le piace ». L’orgoglio si caccia dovunque, s’insinua e si mischia in ogni cosa, a tal punto che, secondo l’avviso di S. Agostino, dobbiamo temerlo perfino nelle buone opere(In Medit.). E’ veleno che infetta le preghiere, le confessioni, le comunioni, l’ingegno, la bellezza, lo spirito, l’anima, il cuore… Male sommo, cambia in male perfino il bene. Si attacca a tutte le facoltà dell’anima, ad ogni senso del corpo: «Vi è l’orgoglio del cuore, dice S. Bernardo, l’orgoglio della bocca, l’orgoglio delle opere, l’orgoglio del portamento »… La superbia invade ogni più remoto angolo della terra; si trova in fondo al cuore di quasi tutti gli uomini… Siccome gli angeli cattivi furono perduti da questo vizio, perciò di questo a preferenza di ogni altro si servono per far perdere il genere umano… « Nessuna cosa, dice S. Giovanni Crisostomo, tanto allontana l’uomo dall’amore divino e più facilmente lo precipita nell’inferno, quanto la follia dell’orgoglio. Questo vizio insozza tutta quanta la nostra vita, per quanto splendida e ragguardevole la facciano le preghiere, le elemosine, i digiuni, il pudore, la verginità, la virtù ». L’orgoglio ha spinto gli angeli alla ribellione in cielo e ne ha fatto dei demoni; l’orgoglio ha scavato l’inferno e vi ha precipitato gli spiriti ribelli; l’orgoglio ha cambiato in supplizi eterni le delizie di cui dovevano godere… L’orgoglio ha fatto cadere Adamo; l’ha cacciato dal soggiorno della felicità e condannato al lavoro, alle cure, alle pene, alle ambasce, alla nudità, all’accecamento, ai dolori, alle malattie, alla morte, alla corruzione del sepolcro. « L’orgoglio ha rovesciato la torre di Babele, scrive Papa Innocenzo III, ha confuso le lingue, abbattuto Golia, innalzato il patibolo di Aman, fatto morire Nicanore, colpito Antioco, sommerso Faraone, ucciso Sennacherib. Donde viene questo fasto all’uomo? all’uomo, la cui vita si sviluppa sotto il peso che gli impone il lavoro come castigo che si chiude con la necessità della morte, pena ancor più grande; all’uomo, la cui esistenza è di un istante, la vita un naufragio, il mondo un esilio; all’uomo, cui la morte o già si avvicina, o minaccia di avvicinarsi? ».

7. La superbia è detestabile. — Dove trovare cosa più abbominevole e più degna di severissimi castighi che l’uomo superbo il quale s’innalza su la terra in faccia a un Dio fatto uomo? esclama S. Leone, e conchiude : « Intollerabile impudenza è questa, che un vermiciattolo si gonfi e si inorgoglisca dove la maestà suprema si annienta ». I superbi dispiacquero a Dio fin dal principio(Iudith. IX, 16); anzi tanto lui quanto gli uomini ebbero sempre in odio la superbia (Eccli. X, 7). L’orgoglioso disprezza tutti gli altri, li insulta e canzona, s’innalza al di sopra di loro col sarcasmo e col disprezzo. Ma il Signore dice : « Guai a te che disprezzi! Non sarai tu forse disprezzato a tua volta? » (Isai. XXXIII, 1). Il superbo si prepara dunque il disprezzo e l’umiliazione… L’orgoglio è la strada all’ignominia… A misura che l’orgoglio aumenta e ascende, l’uomo diminuisce e cala fin che si sprofonda nel fango. « Tra i superbi è un continuo rissare » (Prov. XIII, 10), dice il Savio. Ecco perché noi vediamo tra gli eretici tante sètte ed opinioni differenti, quanti sono individui… Gli orgogliosi si odiano a vicenda… Nulla per loro è sacro, ma pretendono di essere essi sacri a tutti. O condotta sommamente ingiusta e detestabile! «Parlare con disdegno ed arroganza, operare con insolenza è un rendersi simile al demonio », dice S. Basilio. S. Leone, parlando di Satana e di Adamo, osserva che « ambedue ambirono l’altezza; quegli della potenza, questi della scienza », ma il primo trovò nel suo orgoglio il sommo della degradazione, il secondo il sommo dell’ignoranza.

8. Dio umilia i superbi. — È sentenza perentoria di Gesù Cristo che « chi si esalta sarà umiliato » (Luc. XVIII, 14); Dio ha fatto dire a S. Giacomo ch’egli resiste ai superbi(Iacob. IV, 6); a tal punto che, come disse la Beata Vergine, impiega contro di loro la forza del suo braccio, per atterrarli, li balza dai loro seggi per collocarvi gli umili (Luc. I, 52). « Signore, esclamava Giuditta, voi non abbandonate quelli che a voi si affidano; ma umiliate quelli che confidano in sé e si vantano della loro forza » (Iudith. VI, 15). Ecco perché il Salmista trovava buono per lui che Dio lo avesse umiliato: (Psalm. CXVIII, 7). « I superbi, dice Giobbe, s’innalzano per breve tempo ma non la dureranno; saranno abbattuti e trebbiati come spighe mature. Si levi pure la superbia dell’empio fino al cielo, giunga anche a nascondere il capo nelle nuvole, egli finirà col perdersi nello sterco e quelli che l’avevano veduto diranno : Dov’è? » (Iob. XXIV, 24) (Ibid. XX, 6-7). Per avere un’idea del modo con cui Dio tratti e combatta i superbi, osservate quali armi e quali eserciti impiega contro gli orgogliosi Egiziani a favore d’Israele; sono rane, moscherini, cavallette… Il re Faraone è vinto da una cavalletta; colui che aveva osato levare la sua fronte contro Dio, è costretto a piegarla sotto una mosca. « Fiero della sua forza, dice S. Agostino, parlando di Golia, gonfio, pettoruto, comincia col riporre in sé solo la vittoria di tutta la sua nazione. E perché ogni orgoglio si palesa nella sfrontatezza, dalla percossa di un sasso in fronte egli è rovesciato a terra. La fronte che mostrava l’impudenza dell’orgoglio, fu spezzata; la fronte che portava l’umiltà della croce di Cristo, fu coronata del trionfo ». Studiate la storia di Aman che finisce col morire su di un patibolo alto cinquanta cubiti, da lui destinato al supplizio dell’umile Mardocheo, e imparerete in qual modo Dio resiste ai superbi. Inviperito quell’orgoglioso, che Mardocheo non piegasse il ginocchio davanti a lui, giura di vendicare nel sangue di lui e di tutti i suoi connazionali, il preteso affronto. Ma tutto a un tratto le cose cambiano. Mardocheo, destinato ad ignominiosa morte, è vestito da Aman medesimo del manto reale, e questi ascende il patibolo preparato per quello. Chi può dire il dispetto e l’umiliazione che prova Aman a questo mutare di scena? Infatti: 1° si vede tolto l’onore altissimo che nella sua superbia si era preparato; 2° vede dato quest’onore all’umile Mardocheo; 3° Aman medesimo deve servire di strumento al trionfo di Mardocheo; 4° quello stesso che poco prima si faceva adorare, ora non è più che lo staffiere, il banditore di un vile giudeo ch’egli detesta; 5° tutti questi affronti, queste inattese fulminanti umiliazioni gli piombano addosso tutte a un tempo, perché l’Altissimo atterra e stritola i superbi; 6° Aman è condannato a pendere da quel medesimo patibolo ch’egli aveva innalzato per Mardocheo. O giudizi di Dio contro i superbi come siete terribili! Le umiliazioni della carne accompagnano l’orgoglio dello spirito… Dio cambia in bestia l’orgoglioso Nabucco che si glorifica nella città di Babilonia; Dio abbatte lo sdegnoso Baldassarre e per umiliarlo e farlo tremare non si serve che di una mano, anzi dell’ombra di una mano; l’arrogante Antioco è divorato vivo dai vermi. « Piangendo e umiliandosi, Pietro si condannava e si salvava, dice S. Agostino, mentre, quando pago di se stesso confidava nelle proprie forze, si perdeva » {In Psalm XXXVII). Lo stesso pensiero aveva espresso il Salmista : « Copriteli, o Signore, d’ignominia, e cercheranno il vostro nome » (Psalm. LXXXII, 15).

9. Castighi dei superbi. — Terribile castigo sono già per i superbi le umiliazioni a cui li condanna Iddio, ma altre punizioni ancora egli loro riserva nella sua collera: 1° Egli si allontana da loro. « L’uomo, dice il Salmista, si esalterà in cuor suo, e Dio ascenderà ancora più in alto » (Psalm. LXIII, 7). « Dall’alto del suo trono il Signore fissa lo sguardo sugli umili, ma gli orgogliosi guarda da lontano », — (Psalm. CXXXVII, 7). – 2° Dio castiga il superbo abbandonandolo a se medesimo. Oggetto di scherno e di abbominio agli altri, l’orgoglioso si cruccia del disprezzo in cui è tenuto, ne è offeso e straziato. « Se tu sei superbo, dice S. Agostino, sarai punito e abbattuto. A Dio non mancano pesi per farvi discendere, e questi pesi saranno quelli dei vostri peccati. Egli ve li rinfaccerà e voi sarete annichilati » (Homil.). L’orgoglio è un carnefice che accompagna l’orgoglioso. In questo senso già diceva Seneca che Dio sta con la spada della vendetta alle spalle dei superbi (In Hercuule). 3° Dio ha rovesciato i troni su cui volevano sedere i superbi, scrive l’Ecclesiastico (X, 17). Lucifero e i suoi seguaci, Adamo, ecc. fanno testimonianza di questa verità… « Dio ha fatto seccare perfin la radice delle nazioni superbe » (X, 18), leggiamo ancora nel medesimo Ecclesiastico. Ne sono prova i sette popoli Cananei sterminati da Dio per il loro orgoglio e il medesimo popolo ebreo spogliato da lui di ogni grazia e di ogni gloria, dopo che respinse Gesù umiliato. 4 ° « Dio ha fatto scomparire la memoria dei superbi » nota il Savio (Eccli. X, 21), e il profeta Malachia annunzia che gli orgogliosi saranno come paglia data alle fiamme, e non ne rimarrà né germe né radice (Malach. IV, 1). 5° Se Dio non perdonò agli angeli superbi, dice S. Bernardo (Serm. I, de Ad.), come lusingarvi che risparmi voi, polvere e cenere? L’angelo non venne al fatto; egli non ebbe che un pensiero di orgoglio, eppure in un attimo fu precipitato senza remissione. Ah! fuggite, ve ne scongiuro, fratelli, fuggite l’orgoglio; schivate quella superbia che gittò così subitamente nelle tenebre Lucifero, più splendido degli astri; fuggite quell’orgoglio che cambiò un angelo, e il primo degli angeli, in un demonio. 6° La superbia ha fruttato la morte. « L’uomo, scrive S. Agostino, era stato fatto immortale; avendo ambito la divinità, non perdette no la qualità di uomo, ma l’immortalità; per causa dell’orgoglio della sua disobbedienza, è stato condannato alle malattie, ai patimenti, alla morte. Quindi la morte introdotta nel mondo dalla superbia, è essa medesima castigo alla superbia (Sentent. CCLX). 7° Rabano Mauro fa osservare che Iddio onnipotente e sommamente buono volendo ogni bene a tutti gli uomini, è stato in certo qual modo costretto ad assoggettare all’impero degli angeli orgogliosi le persone superbe, affinché perseguitate da loro comprendano la differenza infinita che vi passa tra il servizio di Dio e quello del demonio (De adept. virtut.). Il superbo che rifiuta di sottomettersi a Dio, diventa schiavo del demonio, delle concupiscenze carnali, delle passioni, castigo certamente spaventosissimo. 8° L’orgoglio inaridisce la sorgente delle grazie. « Voi farete, o Signore, zampillare fontane nelle valli, e le acque loro passeranno in mezzo ai monti » (Psalm. CIII, 11). Queste valli innaffiate sono gli umili colmi delle grazie del cielo; i monti che non profittano delle acque sono i superbi divenuti simili a macigni aridi e sterili… L’orgoglioso, pieno e gonfio di se stesso, non lascia più in sé luogo alla grazia (IV Reg. IV, 6). La privazione della grazia è prova dell’esistenza dell’orgoglio, come l’abbondanza di grazie è segno dell’esistenza dell’umiltà.. Chi dunque si vede privo della grazia e dei doni di Dio, sappia che vi sono in lui radici di superbia. L’orgoglio manda a male tutte le grazie. Vi è castigo peggiore di questo? 9° La superbia porta con sé l’accecamento spirituale, l’indurimento del cuore, l’impenitenza finale, una morte funesta, un giudizio formidabile, una condanna terribile, l’inferno eterno… Fra tutti i peccati, il più detestato e il più severamente punito da Dio è la superbia. Dio solo è grande, ed ogni orgoglio, assalendo questa grandezza, ben difficilmente ottiene misericordia. Dio dimentica e perdona facilmente le colpe di debolezza, ma ben di rado quelle di caparbietà e di superbia. « Noi apertamente conosciamo, dice S. Gregorio, che evidentissimo segno di riprovazione è l’orgoglio e sicurissimo indizio di predestinazione l’umiltà ». Così parlano unanimi i Padri ed i Dottori, così insegna la Chiesa e la S. Scrittura.

10. Diversi gradi di orgoglio. — L’orgoglio ha sette gradi: 1° non soffrire che gli altri ci guardino come poca cosa; 2° non essere contenti di vederci disprezzati; 3° non confessare che meritiamo di esserlo; 4° non sopportare l’insulto con eguaglianza di amore; 5° non tollerare con pazienza gli affronti; 6° incollerire delle umiliazioni; 7° ricusare di ammettere che non siamo buoni a nulla.

11. Motivi e mezzi per fuggire la superbia. — Ecco nove principali motivi che ci devono indurre a fuggire la superbia : 1° essa è odiosa a Dio ed agli uomini; 2° è causa d’ingiustizie, di rapine, d’inganni, d’insulti; 3° l’uomo, per quanto potente, è sempre di natura sua una misera cosa; 4° ogni uomo è un nulla, anche solo considerata la brevità e la vanità della vita; 5° dopo morte, diventa pasto ai vermi; 6° la superbia è un abbandono di Dio, un’apostasia; 7° è principio, radice, sorgente di ogni peccato; 8° il superbo cessa in certo qual modo di essere la creatura di Dio, per diventare creatura del diavolo; 9° si attira un rovescio di castighi.
Leggiamo nella Scrittura che Davide andando contro Golia, scelse nel torrente cinque pulitissimi sassi con i quali atterrare quel gigante (I Reg. XVII, 40). In quei cinque sassi S. Bernardo riscontra cinque mezzi con i quali noi possiamo battere il Golia dell’orgoglio : 1° la minaccia delle pene; 2° la promessa delle ricompense; 3° l’amor di Dio; 4° l’imitazione dei Santi; 5° la preghiera (Serm. sup. Missus)… Conoscere Dio, conoscere se stesso, ecco un altro rimedio efficacissimo contro l’orgoglio… Bisogna praticare, per quanto è in noi, la bella virtù dell’umiltà; essa è la mazza che atterra e uccide la superbia.

PECCATO VENIALE

Peccato veniale.

[G. Bertetti: Il Sacerdote Predicatore; S.E.I. Ed. Torino, 1919, – impr. -]

Dopo il peccato mortale, il male più grave del mondo è il peccato veniale:

1. Sia considerato in se stesso; — 2. sia nelle sue conseguenze.

1. IL PECCATO VENIALE CONSIPERATO IN SE STESSO. — Il peccato veniale non riconosce, come il peccato mortale, la creatura come ultimo fine, ma la riconosce come fine prossimo:… mentre che la creatura dovrebbe essere riconosciuta soltanto come mezzo per salire a Dio nostro supremo e unico fine… è perciò una specie di furto che si fa a Dio rubandogli parte di quell’onore e di quella gloria che a Lui solo si deve. Il peccato veniale consiste nel disubbidire a Dio in cose leggere: … ma per un’anima veramente affezionata a Dio, tutto è della massima importanza nel servizio di Dio, … ed è già cosa grave per lei il disubbidire a Dio anche in cose che si dicono leggere – Il peccato veniale include anch’esso un certo qual disprezzo della legge di Dio, … non rompe l’unione nostra con Dio, ma la rallenta; … non estingue la carità, ma ne raffredda il fervore; … non ci toglie la grazia santificante, ma molte grazie particolari, che Dio fa soltanto alle anime fervorose; … non ci toglie il diritto alla gloria del Paradiso, ma vi ci fa scendere a un grado inferiore…. Ora, l’onore e la gloria di Dio, la sua legge la sua grazia, la sua eredità santa, son cose talmente grandi e magnifiche, che il diminuirle anche in minima parte è maggior male che tutt’i mali temporali immaginabili e possibili: … poiché la perdita anche minima d’un bene sovrannaturale supera immensamente la perdita d’un bene temporale, come l’acquisto d’un bene sovrannaturale vale immensamente più di tutt’i beni temporali… Pensiero terribile, se non fosse confortato dall’altra verità consolante, che cioè si possono riparare, compensare e superare in acquisto ciò che di bene sovrannaturale s’è fatto getto coi peccati veniali, aumentando per altra parte gli atti di fervore verso Dio… Senza questa precauzione, noi ci esporremmo al pericolo di tristissime conseguenze

2. IL PECCATO VENIALE CONSIDERATO NELLE SUE CONSEGUENZE. — Il peccato veniale si commette con estrema facilità:… è di fede che, « salvo uno speciale privilegio di Dio, l’uomo una volta giustificato non può evitare in tutta la vita i peccati veniali » (Conc. Trid. );… « sette volte cadrà il giusto e risorgerà» (Prov., 24, 16);… «in molte cose inciampiamo tutti» (JAC, III, 2);… « se diremo di non aver colpa, c’inganniamo da noi stessi, é non è in noi la verità » ( 1a JOAN., I, 8) … Che se ciò accade nei santi, che diremo di noi?… Ma i santi risorgono subito e rimediano alle venialità con un aumento di fervore; e noi? – Si tien giustamente conto delle mancanze gravi, e si trascurano le leggere come se fossero cose da nulla;… si tien conto dell’effetto, ma non si tien conto delle cause che produssero questo effetto… Non si può comprendere un peccato mortale commesso senz’essere stato preceduto da una serie di peccati veniali: nessuno divien santo e nessuno divien malfattore a un tratto. Il peccato veniale, commesso senza rimorso e non riparato con altrettanti atti di fervore, a forza di ripetersi conduce insensibilmente al peccato mortale: ecco la tristissima delle conseguenze:!… « Chi disprezza le cose piccole, a poco a poco cadrà » (Eccli., XIX, 1) Da una parte, commettendosi il peccato veniale senza scrupolo e senza rimorso, si rafforza sempre più l’abito cattivo e la malvagia inclinazione della corrotta natura;… dall’altra parte, il demonio, che sarebbe stato facilmente sentito e scacciato, se si fosse presentato con tentazioni di peccati mortali, ha già preso astutamente possesso parziale dell’anima che gli ha dato ricetto accontentandolo in cose piccole e minute:… e il demonio, che già la tiene avvinta con un filo sottile, lavora a più non posso per moltiplicare l’uno dopo l’altro i fili e stringerla con una grossa catena,… mentre che Dio può esaurire la sua pazienza e sospendere quegli aiuti speciali ed efficaci, per cui l’anima avrebbe perseverato nel bene: ma rendendosene indegna con la sua trascuranza, sarà vinta e cadrà in grave peccato. Cadute provvidenziali, se quei peccatori ne traessero motivo per umiliarsi e starsene guardinghi in avvenire; ma pur troppo « l’anima avvezza alle mancanze leggere, a poco andare non teme più le gravi e vi cade senza rimorso » (S. GREGORIO, Pastor.)… Chi senza rimorso commette il peccato veniale, senza rimorso commetterà il peccato mortale, e allora?… Allora, si cadrà nell’ostinazione del peccato e nell’impenitenza finale…

G. FRASSINETTI: IL CATECHISMO DOGMATICO (XI)

Catechismo dogmatico (XI)

[Giuseppe Frassinetti, priore di S. Sabina di Genova:

Ed. Quinta, P. Piccadori, Parma, 1860]

Cap. VII.

§. V.

Della penitenza.

— La Penitenza è un Sacramento della nuova legge?

La Penitenza è una virtù morale soprannaturale, che inclina il peccatore alla detestazione, e al dolore dei propri peccati in quanto sono offesa di Dio, con proposito di emenda e di soddisfazione. « Questa virtù fu sempre necessaria ai peccatori anche nella Legge antica affinché ottenessero il perdono dei loro peccati, e Gesù Cristo innalzò al grado di Sacramento; cosicché quando la Penitenza ha i dovuti requisiti secondo l’istituzione di Cristo, è un vero Sacramento ( Halert c. 1.)

— La Penitenza dunque non è sempre un Sacramento?

Quando vi è non solo il dolore del peccato commesso, non solo il proponimento di emendarsi e di soddisfare alla Divina Giustizia; ma vi è ancora la confessione del peccato fatta al Sacerdote approvato per le confessioni, e l’assoluzione dello stesso, allora è di Fede che sia un vero Sacramento; quando poi mancano queste due cose è una semplice virtù.

— Come si definisce il Sacramento della Penitenza?

« Un Sacramento istituito da Gesù Cristo in cui per gli atti del penitente e l’assoluzione del Sacerdote approvato, si rimettono i peccati commessi dopo il Battesimo.

— Qual è la materia di questo Sacramento?

La materia rimota di questo Sacramento sono i peccati commessi dopo il Battesimo, la materia prossima sono la contrizione, la confessione degli stessi peccati, e la soddisfazione.

— Tutti i peccati commessi dopo il Battesimo sono ugualmente materia di questo Sacramento?

I peccati mortali non ancora confessati sono materia necessaria, sicché questi, tolto il caso di vera impotenza, bisogna confessarli per ottenerne il perdono; i peccati veniali poi, e tutti gli altri peccati mortali già confessati, sono materia sufficiente, sicché non vi è obbligo di confessarli, ma si possono confessare, e non avendone altri, ricevere per questi solo l’assoluzione.

— In caso di vera impotenza come restano perdonati i peccati mortali senza la Confessione?

Restano perdonati mediante la contrizione perfetta la quale include il desiderio, ossia il voto della confessione, come abbiamo detto nel Cap. 3, §. 4.

— È bene frequentare la Confessione quando non si hanno peccati mortali?

É certamente cosa ben fatta, conforme al desiderio di S. Chiesa, e alla pratica dei fervorosi Cristiani.

— Che cosa è la contrizione?

Il Concilio di Trento (sess. IV, c. 4) la definisce: « Un dolore di animo, e detestazione del peccato commesso accompagnato dal proponimento di non più peccare ». Altra è  perfetta quando questo dolore nasce del perfetto amor di Dio, altra è imperfetta quando nasce da un motivo soprannaturale, ma non dal perfetto amor di Dio. Se uno si pente di avere offeso Dio perché ha offeso il Sommo Bene che merita di essere amato sopra ogni cosa, ha la contrizione perfetta; se invece si pente per aver meritato l’inferno e perduto il Paradiso, ha la contrizione imperfetta.

— Nella Confessione è necessaria la contrizione perfetta o l’imperfetta?

La perfetta è senza dubbio desiderabile, però non è necessaria; giacché altrimenti chiunque si va a confessare dovrebbe andarvi già in istato di grazia; non potendosi dubitare, come abbiamo detto nel Cap. 6, § 4, che la carità perfetta e la perfetta contrizione, mettono l’anima in grazia di Dio prima che si riceva l’assoluzione Sacramentale, anche fuori del caso di necessità (vedi il cit. § 4). Pertanto nella Confessione basta la contrizione imperfetta.

— Quali condizioni deve avere la contrizione, ossia il dolore dei peccati?

Deve essere interno, cioè che provenga dal cuore; sommo, che ci faccia detestare il peccato più di qualunque male, universale, che ci faccia abborrire qualunque dei peccati mortali.; soprannaturale, che cioè nasca da un motivo rivelato dalla s. Fede. Si noti che il dolore deve sempre avere queste condizioni, sicché mancandone alcuna, la Confessione è mal fatta.

— Questo dolore con tali condizioni, è necessario anche nelle Confessioni nelle quali si accusano soltanto i peccati veniali?

Non ve n’ha dubbio ad eccezione della terza; giacché non è necessario che il penitente abbia un dolore universale di tutti i suoi peccati veniali, basta che confessando i soli peccati veniali si penta di qualcuno. Però di quello di cui si pente, bisogna che abbia un dolore interno, sommo, soprannaturale, sicché sia disposto a soffrire qualunque cosa più tosto che commetterlo mai più.

— Chi non avesse se non peccati veniali, e non si sentisse questo dolore, non potrebbe confessarsi?

Costui non potrebbe ricevere l’assoluzione, altrimenti resterebbe nullo il Sacramento come mancante di una parte essenziale. Anzi avvertono i Teologi le persone che frequentano la Santa Confessione e si accusano di soli peccati veniali nei quali sono abituati, a volervi aggiungere qualche peccato più grave della vita passata di cui abbiano più certo dolore: affinché non manchi la materia del Sacramento. Per mancanza di questa avvertenza, forse non poche persone che frequentano la S. Confessione, ricevono inutilmente l’assoluzione; ma di ciò parlano i Teologi moralisti.

— Quale deve essere il proponimento?

Il proponimento deve essere fermo, sicché la volontà sia risoluta di non tornare mai più al peccato che si detesta; universale, sicché sia risoluta di guardarsi dal commettere qualunque peccato mortale; efficace, sicché sia disposta ad adoprare tutti i mezzi necessari per evitare il peccato.

— Che cosa è la Confessione?

« É l’accusa dei propri peccati commessi dopo il Battesimo fatta dal penitente alla presenza del Sacerdote per ottenerne l’assoluzione (Hubert).

— Non si può ottenere il perdono dei peccati mortali senza la Confessione dei medesimi?

Questo è articolo di Fede definito dal Santo Concilio di Trento (sess.  XII, c. 5 et 7) perché vi è espresso comando Divino di confessare tutti e singoli i peccati mortali; e se si ottiene il perdono di tali peccati mediante la contrizione perfetta, si ottiene perché nella contrizione perfetta è incluso il voto, ossia il desiderio della Confessione.

— Ogni quanto tempo obbliga questo precetto?

Generalmente parlando obbliga una volta all’anno, e in punto di morte: vi possono però essere altre circostanze nelle quali obblighi pure, come si può vedere, appresso i Teologi moralisti.

— Che cosa è la soddisfazione?

La soddisfazione, che forma una parte del Sacramento della Penitenza, è l’accettazione e il volontario adempimento della Penitenza ingiunta dal Confessore per compensare l’ingiuria fatta a Dio col peccato (Habert).

— Perdonata la colpa del peccato resta a scontarsi alcuna pena?

Alle volte la contrizione è così forte e veemente, che toglie la colpa e tutta la pena; ma per lo più, come insegna il Concilio Tridentino, perdonata la colpa, resta una pena temporale da scontarsi o in questa vita, con opere penitenziali, o nell’altra nel Purgatorio.

— Pare che la penitenza si dovrebbe fare prima di ricevere l’assoluzione?

La pratica della Chiesa è contraria, giacché s’ingiunge la penitenza, e se chi si confessa è disposto, gli si dà tosto l’assoluzione commettendogli di eseguirla di poi; anzi la Chiesa ha condannato alcuni moderni rigoristi, i quali pretendevano che prima dell’assoluzione si dovesse adempire la penitenza ingiunta dal Confessore.

— La penitenza imposta dal Confessore è una parte essenziale del Sacramento?

Non è una parte essenziale, sicché non potendosi imporre o non potendosi eseguire, il Sacramento produrrebbe il suo effetto, cioè la giustificazione del peccatore; per altro ha una parte necessaria, stante il precetto Divino che questa penitenza s’imponga e si eseguisca, tolto il caso di una impossibilità che non lo permettesse. Perciò se uno si confessasse con intenzione di non eseguire la penitenza, avrebbe una intenzione cattiva che lo renderebbe indisposto, riceverebbe male l’assoluzione, e non gli sarebbero perdonati i suoi peccati.

— Questa penitenza è tutta in arbitrio del Confessore?

Non è in arbitrio del Confessore di modo che possa imporre la penitenza a capriccio; ma è in arbitrio del Confessore perché, giudiziosamente osservando il numero e la qualità dei peccati e le disposizioni del penitente, spetta a lui di assegnare quella penitenza che giudica prudentemente più adattata e salutare: dovendo essere, come insegna il S. Concilio di Trento, non solo diretta a castigo delle colpe passate, ma anche a medicinale preservativo dalle future (sess. XIV, c. 8).

— Quale è la forma del Sacramento della Penitenza ?

Io ti assolvo dai tuoi peccati in nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo. Per altro queste ultime parole non sono essenziali, sicché chi le tralasciasse peccherebbe, ma l’assoluzione sarebbe valida: le essenziali sono: Io ti assolvo (Habert).

— Quale è il senso di queste parole?

Il senso di queste parole è: Io ti amministro il Sacramento dell’assoluzione [così San Tommaso], oppure: Io ti do per quanto posso la grazia che riconcilia, ossia che rimette i peccati, e con tale senso è vera la forma anche per quelli che si accostano al Sacramento già liberi dal peccato per la contrizione perfetta e ai quali perciò, in realtà non si possono più togliere i peccati, essendo già tolti. Con tale senso è vera la forma; perché il peccatore riceve la grazia che di sua natura è diretta a togliere il peccato; perché meglio si riconcilia con Dio, e cresce nella sua amicizia; e perché gli si condona nel Sacramento una parte della pena temporale dovuta alla colpa ( Habert de Pœnit. c. 6, 2.3).

— Quale è il ministro del Sacramento della Penitenza?

Il solo Sacerdote approvato per le Confessioni. Approvati poi per le confessioni sono tutti i sacerdoti che hanno cura di anime, e tutti gli altri ai quali fu conferita la giurisdizione di ascoltare le Confessioni.

— Chi può dare la giurisdizione ai Sacerdoti per ascoltare le confessioni?

Il Papa per tutta la Chiesa come Pastore universale, il Vescovo nella sua Diocesi, il Prelato Regolare a riguardo dei Religiosi a lui soggetti. Si avverta però che i Regolari non possono ascoltare le confessioni delle Monache né meno esentate dalla giurisdizione del Vescovo e suddite del Prelato regolare, senza avere l’approvazione dal Vescovo del luogo (c. 8).

— I Sacerdoti non approvati non possono nemmeno assolvere dai peccati veniali?

È certo che nemmeno possono assolvere dai peccati veniali; e così dichiarò la Congregazione de’ Cardinali sotto Innocenzo XI nell’anno 1679.

— Ai Sacerdoti approvati per le Confessioni, si possono eccettuare dei peccati sui quali non abbiano giurisdizione?

È un articolo di fede dichiarato nel S. Concilio di Trento (Sess. XIV, can. XI), che i Vescovi possono riserbarsi dei peccati dai quali non possono assolvere gli altri Confessori; e ciò che può fare il Vescovo nella sua diocesi, può fare il Papa in tutta la Chiesa.

— La Chiesa comanda che tutti i fedeli si confessino una volta all’anno dal proprio Sacerdote: che s’intende per proprio Sacerdote?

Per proprio Sacerdote s’intende il Parroco, però adesso basta confessarsi da qualunque Sacerdote approvato dal Vescovo; tale è la pratica odierna riconosciuta dal Sommo Pontefice e da tutti i Vescovi.

— Quali sono gli effetti del Sacramento della Penitenza?

Se ne numerano cinque: 1. La remissione del peccato, e della pena eterna che si merita se è mortale. 2. La diminuzione della pena temporale dovuta al peccato, maggiore o minore secondo la maggiore o minore disposizione del penitente. 3. La rinnovazione della amicizia con Dio violata. 4. La restituzione, ossia reviviscenza, delle virtù e dei meriti che si erano perduti per il peccato. 5. Gli aiuti di grazie attuali, ossia un certo diritto ad averli a tempo opportuno, mediante i quali il penitente resta fortificato per non cadere in peccato nuovamente, e perseverare nel bene (Habert. C. 7).

— Come s’intende che si restituiscono le virtù, e i meriti che si erano perduti per il peccato?

Il peccato fa perdere gli abiti delle virtù: il peccato, per esempio, della infedeltà fa perdere la Fede, quello della disperazione la Speranza ecc., e mediante una confessione ben fatta si ridonano all’anima queste virtù. Similmente il peccato spoglia l’anima di tutti i meriti che ella aveva già acquistato per la vita eterna, e mediante la confessione tali meriti vengono all’anima restituiti.

APPENDICE

SULLE INDULGENZE.

— Che cosa è l’Indulgenza?

« É una remissione della pena temporale che resta a scontarsi perdonata la colpa, la quale si fa fuori del Sacramento da chi ha facoltà di dispensare il tesoro spirituale della Chiesa.

— Me la spieghi distintamente.

Si dice remissione della pena, perché con l’indulgenza non si rimette la colpa, bensì la pena dovuta alla colpa: si dice della pena temporale, perché con l’indulgenza non si rimette la pena eterna dovuta al peccato mortale che si rimette nel Sacramento della Penitenza. Si aggiunge che resta a scontarsi perdonata la colpa; perché, come abbiamo detto, per lo più ricevuta l’assoluzione, resta una pena temporale da scontarsi in questa vita con opere penitenziali, ovvero nel Purgatorio. Si nota: la quale si fa fuori del Sacramento per non confondere l’indulgenza con la remissione di quella parte di pena temporale che si ottiene in virtù del Sacramento della Penitenza a misura della maggiore o minore disposizione del penitente. Si conclude da chi ha la facoltà di dispensare ecc., perché nessuno può dare le indulgenze se non quelli che hanno legittima autorità di distribuire i beni comuni della Chiesa. Il Papa perciò l’ha illimitata per tutta la Chiesa, i Vescovi limitata per le loro Diocesi, e ristretta dal Concilio Lateranese IV, sicché non possono concedere se non l’indulgenza di 40 giorni, e di un anno nella dedicazione di qualche Basilica (Habert de Pæn. a. 5).

— Che cosa forma lo spirituale tesoro della Chiesa?

Lo spirituale tesoro della Chiesa è formato dai meriti infiniti di Gesù Cristo, e dai meriti di Maria Ss. e di tutti i Santi, anche dei giusti ancora viventi in questa terra, come insegna Clemente VI, nella sua bolla Unigenitus, dell’ anno 1350. La Chiesa ha autorità di dispensare questo tesoro, in isconto delle pene temporali dovute a Dio a cagione dei peccati.

— È certo che nella Chiesa sia questa potestà di dare indulgenza?

È articolo di Fede dichiarato dal S. Concilio di Trento (Sess. XXV).

— Sono le indulgenze di varie sorta?

Altre sono plenarie, ed altre parziali. Le plenarie rimettono ogni pena temporale dovuta alla Divina Giustizia; però onde conseguirne tutto intero l’effetto, bisogna non solo essere in istato di grazia, ma anche avere l’affetto staccato da qualunque peccato veniale. Le parziali ne rimettono una parte corrispondente o a 40 giorni, o a 7 anni, ecc., di pena ingiunta.

— Che cosa è questa pena ingiunta?

Anticamente i canoni stabilivano per molti peccati una penitenza, o di giorni o di anni da farsi dai peccatori quando si convertivano a Dio: queste penitenze si chiamavano pene ingiunte. Adesso non si prescrivono più; ma quando si dà un’indulgenza di 40 giorni, di 7 anni ecc., si rimette tanta pena temporale quanto ne sarebbe stata rimessa al penitente se avesse adempiuto a una pena ingiunta di 40 giorni, di 7 anni ecc.

— Si possono anche dare indulgenze per i defunti?

Si possono dare, e tale è la pratica della Chiesa; si deve però avvertire che ai viventi, sopra i quali la Chiesa ha giurisdizione, si danno per modo di assoluzione; ai defunti, sopra i quali non ha più giurisdizione, si danno in modo di suffragio.

§ VI.

Della Estrema Unzione.

— L’Estrema Unzione è un Sacramento?

È articolo di Fede definito nel Concilio Tridentino, che sia un vero Sacramento (Trid. C. sess. XIV).

— Quale ne è la materia?

È l’Olio benedetto dal Vescovo nel giovedì Santo.

— Quale ne è la forma?

L’Orazione che vien proferita dal Sacerdote mentre si ungono i sensi dell’infermo.

— Quale ne è il ministro?

Il solo Sacerdote è ministro di questo Sacramento.

— Quale ne è il soggetto?

Il solo infermo in pericolo di morte, arrivato all’uso della ragione, giacché nei fanciulli che non hanno ancora peccato, non si potrebbe avverare la forma, la quale è: « Per questa santa unzione, e per la sua piissima misericordia, ti perdoni il Signore tutto ciò che hai peccato per la vista, l’udito ecc. »

— Quali ne sono gli effetti?

Il primo è la grazia santificante col diritto alle grazie attuali, che si danno per alleviare e corroborare l’animo dell’infermo nelle molestie e dolori della malattia e contro le tentazioni del demonio. Il secondo è la liberazione dalle reliquie dei peccati, le quali sono la debolezza, il languore, il torpore nel bene, l’ansietà, la timidità che lasciar il peccato nell’anima: e oltre ciò le pene temporali ancora dovute al peccato (vedi sopra § V della Penitenza ) le quali restano tolte, ossia perdonate, a misura della maggiore o minore disposizione di chi riceve questo Sacramento. Il terzo è la liberazione dai peccati veniali e anche dai mortali, qualora non si fossero potuti confessare, o si fossero dimenticati, purché se ne abbia avuto già il pentimento di sincera attrizione, come abbiamo detto nel §. I. Il quarto: è la sanità corporale qualora sia espediente per la salute dell’anima.

— Vi è necessità di ricevere questo Sacramento?

Dall’importanza dei sopraddetti effetti, si vede chiaramente che ciascuno deve procurare di premunirsi con questo Sacramento nel punto terribile della morte.

§ VII.

Dell’Ordine.

— L’Ordine è un vero Sacramento della nuova Legge?

Questo è un articolo dì Fede dichiarato espressamente nel Santo Concilio di Trento (Sess. XXIII, c. 3) e si definisce « Un Sacramento della nuova Legge mediante il quale si dà nell’uomo battezzato la podestà spirituale di consacrare il pane e il vino nell’augustissimo Sacramento dell’altare, di amministrare i Sacramenti e di esercitare gli altri ecclesiastici ministeri ».

— Quali potestà si devono riconoscere come derivanti da questo Sacramenti?

Due potestà: la prima podestà, detta di Ordine, la quale riguarda il Santo Sacrifizio ossia il Corpo reale; la seconda detta di Giurisdizione, la quale riguarda il regime del corpo mistico di Cristo, ossia del popolo cristiano.

— Queste due podestà hanno distinti gradi?

È certo che hanno distinti gradi, dai quali si forma la Gerarchia Ecclesiastica. Che esista questa Gerarchia, è definito dal S. Concilio di Trento (Sess. XXIII, can. 6). Questa Gerarchia si forma dai Vescovi, dai Sacerdoti e dai ministri inferiori.

— Nella Sacra ordinazione si devono riconoscere più Ordini?

È di fede che si devono, riconoscere più Ordini, maggiori e minori, come definì il Sacrosanto Concilio di Trento (sess. XXIII, can. 2).

— Quali sono gli Ordini maggiori?

Sono tre: il Sacerdozio, il Diaconato e il Suddiaconato.

— Quali sono i minori?

Sono quattro: l’Ostiariato, il Lettorato, l’Esorcistato, l’Accolitato.

— Chi è il ministro del Sacramento dell’Ordine?

Il solo Vescovo, come ha definito il Concilio di Trento (Sess. XXIII, can. 7).

— Quale è la materia e la forma di questo Sacramento?

La materia è l’imposizione dello mani del Vescovo sopra l’Ordinando, e la forma sono le parole con le quali il Vescovo accompagna questa azione (Si noti che a riguardo dei vari ordini maggiori e minori, del Vescovato e della materia e forma di questo Sacramento si dovrebbero dire molte cose di più; ma qui si tralasciano come non necessarie allo scopo che d’altronde, per essere alquanto difficili, bisognerebbe trattarle diffusamente, onde renderle intelligibili alte persone non istruite).

— Quali disposizioni si richiedono in chi aspira al Sacerdozio?

Le principali sono: 1. La vocazione di Dio, giacché senza una positiva vocazione, la quale si deve bene esaminare, nessuno deve ardire di aspirare ad uno stato così eminente nella Chiesa. 2. La Santità della vita, giacché uno il quale non vive abitualmente in grazia di Dio non può pretendere di occuparsi nei Sacrosanti misteri. 3. Il dono della perpetua continenza, e chi non si sentisse disposto a conservarla, non potrebbe in alcun modo aspirare allo stato sacerdotale. 4. La scienza competente, perché l’ignorante non potrà mai essere un ministro utile alla S. Chiesa. 5. L’immunità da ogni censura ed irregolarità.

— Non si può prendere lo stato Ecclesiastico come qualunque altro, quando le convenienze della famiglia lo richiedono, avendo però intenzione di vivere in questo stato come conviene?

Nessuna convenienza di famiglia o altro motivo temporale, deve determinarci ad abbracciare questo stato, ma soltanto la Divina vocazione; e chi prendesse la sacra Ordinazione senza questa vocazione non potrebbe pretendere di vivere nello stato ecclesiastico come conviene, perché non potrebbe pretendere da Dio le grazie necessarie che soltanto concede a quelli che Egli chiama a servirlo nel Sacerdozio.

— Ma dunque chi avesse preso la Sacra Ordinazione senza questa vocazione divina non potrebbe più sperare salute?

Costui sarebbe a gran pericolo; per altro se egli, considerando questo pericolo, e detestando il suo ardimento, facesse ricorso alla misericordia di Dio, otterrebbe le grazie necessarie per salvarsi nello stato intrapreso dal quale, come immutabile, non si può più ritirare.

— Quali sono gli effetti di questo Sacramento?

Il carattere e la grazia, come abbiamo osservato nel § I parlando dei Sacramenti in genere.

§ VIII.

Del Matrimonio.

— Gesù Cristo ha innalzato il contratto matrimoniale alla dignità di Sacramento?

Questo è un articolo di Fede, come consta dal S. Concilio di Trento (Sess. VII, can. 1 ).

— È lecito all’Uomo l’avere più di una moglie?

Avere più di una moglie simultaneamente era lecito nell’antica legge, ma è vietato nella nuova; successivamente è lecito, cioè morta una, se ne può prendere un’altra; anzi è articolo di fede che sono lecite le seconde, le terze, le quarte nozze (Antoine, de matr. q. 12 et ult.).

— Il matrimonio consumato è indissolubile?

È articolo di fede che sia indissolubile tra Cristiani. Il matrimonio tra gl’infedeli si può sciogliere quando la parte che si converte alla fede ha motivi di non abitare con la parte che resta nell’infedeltà.

— Il matrimonio rato soltanto, cioè quando i coniugi dopo contratto il matrimonio non hanno ancora abitato insieme, è indissolubile?

È articolo di fede che si può sciogliere mediante la professione Religiosa. Se l’uomo si fa Religioso in una religione approvata, fatta la professione, la donna resta libera, e così viceversa (Conc. Trid. Sess. XXIV can. 6).

— La Chiesa ha autorità di mettere impedimenti al matrimonio, che in qualche caso lo rendano illecito, ed anche invalido?

Questo è un articolo di fede dichiarato nel S. Concilio di Trento (Sess. XXIV. Can. 4).

— Il matrimonio è comandato a tutti?

⁕ A nessuno in particolare è comandato il matrimonio, anzi, come cosa di maggior perfezione, è meglio il conservarsi in perfetta castità. Anche questo è articolo di fede sempre riconosciuto tale in tutti i secoli dalla Chiesa, e dichiarato nel Concilio, come sopra, nel can. 10 (intorno a questo Sacramento: ma non essendo adattate al primario scopo di questa operetta, credo opportuno l’ommetterle).

LITURGIA BIZANTINA detta di SAN GIOVANNI CRISOSTOMO

RITO BIZANTINO

MODO FACILE DI SEGUIRE LA LITURGIA BIZANTINA DETTA DI SAN GIOVANNI CRISOSTOMO

[ROMA Pont. Istitutum Orientalium Studiorum, 1937 – impr.]

Per seguire la messa bizantina non basta stare attento a ciò che fa e dice il sacerdote celebrante; sarebbe però impossibile, perché per un lungo tempo del S. Sacrificio egli è nascosto dall’iconostasi, che separa il Santuario coll’altare dalla navata. – E’ dunque necessario stare attento anche alle faccende del diacono il quale ha l’ufficio non soltanto di aiutare il Sacerdote all’altare, ma precisamente di fare da intermediario molto attivo tra il popolo e il Sacerdote. Gioverà infine stare attento al Coro che esegue i suoi canti quasi durante tutto il tempo della Messa. – Così l’orecchio ancora più che l’occhio servirà a guidarsi nelle varie fasi della messa. In questo libretto, col gentile permesso dell’autore, trascriviamo per intero tutte le preghiere o orazioni nella traduzione italiana che ne ha fatto il Rev. Placido de Meester O.S.B. [R. P. D. PLACIDO DE MEESTER, O. S. B., La divina Liturgia del nostro Padre S. Giov. Crisostomo, testo greco e traduzione italiana con introduzione e note (in nero e rosso) 3a Edizione. Roma, Tipogr. Poligl. Vatic. 1925.]

Abbiamo omesso o modificato qualche parte di questo testo e vi abbiamo intercalato delle divisioni, allo scopo di mettere alla portata dei fedeli occidentali la liturgia bizantina in un manualetto che può aiutarli a seguire facilmente le cerimonie del divino Sacrificio.

I. RITO DELLA PREPARAZIONE

(Pròtesi).

1. Orazioni preparatorie

II Sac. e il Diac. non ancora rivestiti dei paramenti liturgici, vanno dinanzi alle porte sante, che son chiuse, e s’inchinano tre volte. Quindi, a voce bassa, dice:

Il Diac. Benedici, Signore.

Il Sac. Benedetto sia Iddio nostro in ogni tempo, ora sempre, e ne’ secoli de’ secoli.

Il Diac. Così sia.

Il Sac. Gloria a te, o Dio nostro, gloria a te! Re celeste, Paraclèto, Spirito di verità, che in ogni luogo sei presente ed ogni cosa riempi, tesoro dei beni e datore di vita, vieni ed alberga nel nostro petto, purificaci da ogni macchia, e salva, o Buono, le anime nostre.

Il Diac. Santo Iddio, Santo Forte, Santo Immortale, abbi pietà di noi! (tre volte).

Gloria al Padre e al Figliuolo e allo Spirito Santo, ed ora e sempre, e ne’ secoli de’ secoli. Così sia.

O Triade tuttasanta, abbi pietà di noi. Signore, perdonaci i nostri peccati. Sovrano, perdona le nostre iniquità. Santo, visita e guarisci le nostre infermità, per la gloria del tuo nome. Signore pietà! Signore pietà! Signore pietà!

Gloria al Padre e al Figliuolo e allo Spirito Santo, ed ora e sempre, e ne’ secoli de’ secoli. Così sia.

Padre nostro, che sei ne’ cieli, sia santificato il nome tuo; venga il regno tuo; sia fatta la volontà tua, come in cielo, così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, e rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori; e non c’indurre in tentazione, ma liberaci dal maligno.

Il Sac. Poiché tuo è il regno e la potenza e la gloria, di te Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo, ora e sempre, e ne’ secoli de’ secoli.

Il Diac. Così sia.

Poi seguita il Sac.: Abbi pietà di noi, o Signore, abbi pietà di noi; poiché, in difetto di ogni giustificazione, peccatori come siamo, ti rivolgiamo questa supplica, come a nostro Sovrano: deh! abbi pietà di noi!

 Il Diac. Gloria al Padre e al Figliuolo e allo Spirito Santo.

Signore, abbi pietà di noi, che in te abbiamo riposto ogni nostra fidanza: non adirarti fortemente, né ti rammenta delle nostre iniquità; ma rivolgi anche ora il tuo sguardo su di noi, misericordioso quel sei, e ci riscatta dai nostri nemici; poiché tu sei il nostro Dio, e noi il tuo popolo, siamo tutti opera delle tue mani, ed abbiamo invocato il tuo nome.

Il Sac. E d ora e sempre, e ne’ secoli de’ secoli. Così sia.

Aprici, o benedetta Madre di Dio, la porta della misericordia, (e qui si tira la cortina delle porte): deh! che non andiamo perduti, noi che speriamo in te; deh! che per l a tua intercessione siamo liberati dalle avversità; tu, infatti, sei la salvezza dei cristiani.

[Vanno quindi ad inchinarsi alle sante iconi, prima di Cristo, poi della Madonna recitando apposite invocazioni. E vanno di nuovo avanti alle porte e …

il Sac. recita la preghiera]:

Signore, stendi la tua mano dall’alto del tuo abitacolo, e confortami nel presente tuo ministero, acciocché io, stando senza condanna davanti al tuo tremendo altare, celebri l’incruento sacrificio. Poiché tua è la potenza e la gloria nei secoli dei secoli. Così sia.

[Poi entrano nel Santuario dicendo ciascuno da sé]:

Entrerò nella tua casa, mi prostrerò al tuo tempio santo nel tuo timore.

2. La vestizione

Il Sac. indossa lo sticario (alba), l’epitrachèlio (stola), la zona (cintura), le soprammaniche, poi il felonio (casula), mentre il Diac. si mette lo sticario, l’orario sull’omero sinistro, e le soprammaniche, e ambedue dicono le apposite preghiere.

3. Lavabo

Poi si lavano le mani, recitando il salmo:

Lavabo inter innocentes

3. Preparazione del pane e del vino

indi il sac. Va col Diac. All’altare della preparazione, a sinistra dell’altare maggiore; il Sac. Con la lancia toglie del pane la parte media che porta l’impronta

[Poi il Diac. Versa nel calice vino ed acqua insieme].

[Segue un rito proprio ai Bizantini: il Sac. toglie dallo stesso pane o da un altro particelle diverse, la prima in onore e memoria della Madonna, le seguenti in memoria dei Santi, dei viventi, dei defunti e di se stesso. – Tutte quelle particelle sono disposte in ordine, insieme col pane che sarà consacrato, nel disco o patena. (Questa è molto più grande della patena latina ed è talvolta sostenuta da un piede). Quanto rimane del pane è tagliato in pezzetti che saranno benedetti dopo la consacrazione e alla fine della liturgia distribuiti sotto il nome di antidoron. – Il Sac. pone sopra il pane e le particelle prima l’asterisco e copre il disco con un velo; con un altro velo copre il calice, quindi con l’aere, cioè un. terzo grande velo, copre insieme il disco e il calice. Tutte queste cerimonie sono accompagnate da rispettive orazioni. In fine dopo aver incensato le oblate, il Sacerdote dice la preghiera della Pròtesi]:

5. Preghiera della Pròtesi

O Dio, Dio nostro, che mandasti il pane celeste, cibo di tutto il mondo, il Signore e Dio nostro Gesù Cristo, Salvatore, Redentore e Benefattore, che ci benedice e ci santifica; benedici tu stesso questa Pròtesi, e l’accetta nel tuo sovracceleste altare; ricordati, buono qual sei ed amante degli uomini, di coloro che l’hanno offerta, e di coloro per i quali l’hanno offerta, e noi custodisci irreprensibili nella celebrazione dei tuoi divini misteri. Poiché è stato santificato e glorificato l’onorabilissimo e magnifico nome tuo o Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo, ora e sempre e nei secoli dei secoli. Così sia.

[Si riapre il velo delta porta del santuario.]

6. Incensamento

[Il Diac. incensa le oblate, l’altare intorno intorno, il santuario e tutta la navata ed il popolo presente; indi rientra nel santuario ed incensa di nuovo l’altare ed infine il Sac.]

[Finora tutto il rito si è svolto dietro all’iconostasi; adesso il Diac. inviterà il popolo a pregare e il coro a lodare il Signore. Chiede dunque la benedizione al Sac. e viene a prendere il suo posto davanti alle porte sante, tenendo il suo orario nella mano destra elevata].

II. LA MESSA DEI CATECUMENI,

1. L’inizio

II Diac. dice ad alta voce: Benedici, Signore.

Il Sac. all’altare, risponde: Benedetto sia il regno del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo, ora e sempre e ne’ secoli de’ secoli. Il coro: Cosi sia.

a. Colletta maggiore

Quindi il Diac. pronuncia le preci ireniche:

Preghiamo in pace il Signore. Il coro: Signore, pietà!

Per la pace che vien dall’alto, e per la salute delle anime nostre, preghiamo il Signore. Il coro: Signore, pietà!

Per la pace di tutto quanto il mondo, per la prosperità delle sante chiese di Dio e per l’unione di tutti, preghiamo il Signore. Il coro: Signore, pietà!

Per questa santa casa e per coloro che vi entrano con fede, devozione e timor di Dio, preghiamo il Signore.

Il coro: Signore, pietà!

Per il nostro beatissimo (si fa il nome del capo gerarchico della diocesi) Patriarca o Metropolita, o Arcivescovo o Vescovo N., per l’onorabile ordine dei preti, per il diaconato in Cristo, per il clero e il popolo tutto, preghiamo il Signore.

Il coro: Signore, pietà! Per i nostri re piissimi e custoditi da Dio, per tutto il palazzo e per l’esercito loro, preghiamo il Signore.

Il coro: Signore, pietà!

Perché li aiuti in guerra e sottometta ai loro piedi ogni nemico ed avversario, preghiamo il Signore.

Il coro: Signore, pietà!

Per questa santa dimora, per ogni città e paese, e per tutti i fedeli che vi abitano, preghiamo il Signore.

Il coro: Signore, pietà!

Per la salubrità dell’aria, per l’abbondanza dei frutti della terra e per i tempi tranquilli, preghiamo il Signore.

Il coro: Signore, pietà!

Per i naviganti, i viandanti, i malati, i sofferenti, i prigionieri, e per la loro salvezza, preghiamo il Signore.

Il coro: Signore, pietà!

Acciocché siamo liberati da ogni afflizione, ira, pericolo, necessità, preghiamo il Signore.

Il coro: Signore, pietà!

Facendo memoria della tutta santa, intemerata, benedetta sopra ogni creatura e gloriosa nostra Signora, la Madre di Dio e sempre vergine Maria, con tutti i santi, raccomandiamo noi stessi, e gli uni gli altri, e tutta la nostra vita a Cristo Dio.

Il coro: A te, o Signore.

Il Sac. ad alta voce:

Perché ogni gloria, onore e adorazione si conviene a te Padre e al Figliuolo e allo Spirito Santo, ora e sempre, e nei secoli dei secoli.

Il coro: Così sia.

b. Prima antifona

[Dopo si cantano dal coro i tipici o la 1a antifona secondo le rubriche. Durante il canto, il Diac. Si allontana dal suo posto e va a mettersi dinanzi alla icone della Madre di Dio.]

[Intanto il Sac. Dice la preghiera della prima antifona in segretoSignore, Dio nostro, di cui incomparabile è la forza, incomprensibile la gloria, immensa la misericordia e ineffabile l’amore per gli uomini; tu, o Sovrano, secondo la tua clemenza, volgi uno sguardo a noi e a questa santa casa, e largisci a noi e a quelli che con noi pregano, le dovizie delle tue misericordie e delle tue commiserazioni.]

[Terminato il 1° salmo dei tipici o la 1a antifona, il Diac. ritorna al luogo consueto e recita la colletta minore]:

Ancora e poi ancora, preghiamo in pace il Signore. Il coro: Signore, pietà!

Soccorrici, salvaci, abbi pietà di noi, e ci custodisci, o Dio, colla tua grazia.

Il coro: Signore, pietà. Facendo memoria della tutta santa, intemerata, benedetta sopra ogni creatura e gloriosa nostra Signora, la Madre di Dio e sempre vergine Maria, con tutti i santi, raccomandiamo noi stessi, e gli uni gli altri, e tutta la nostra vita a Cristo Dio.

Il coro: A te, Signore.

Il Sac. ad alta voce:

Poiché tua è la forza e il regno e la potenza e la gloria, di te Padre e del Figliuolo e dello Spirito Santo,ora e sempre, e ne’ secoli de’ secoli.

Il coro: Così sia.

c. Seconda antifona

Quindi il coro canta il secondo salmo dei tipici o la seconda antifona ed alla fine si aggiunge:

[Il Sac. recita segretamente la Preghiera della seconda antifona: Signore, Dio nostro, salva il popolo tuo, benedici la tua eredità, custodisci tutta quanta la tua Chiesa; santifica quelli che amano lo splendore della tu casa; tu in contraccambio li glorifica con la tua divina potenza, e non volere abbandonare noi che in te riponiamo ogni speranza].

O Figlio Unico e Verbo di Dio, tu che, essendo immortale, volesti incarnarti a per la nostra salute nel seno della santa Madre di Dio, sempre Vergine, Maria; Tu che, senza mutarti, ti facesti uomo e fosti crocifisso, o Cristo Dio, schiacciando la morte con la tua morte; Tu che sei una delle Persone della santa Trinità, glorificato con il Padre e lo Spirito Santo, salvaci.

[Il Diacono va a collocarsi di nuovo davanti alla icone della Madre di Dio; e alla fine della 2a antifona torna al posto consueto e recita la colletta minore]:

Ancora e poi ancora, preghiamo in pace il Signore.

Il coro: Signore, pietà!

Soccorrici, salvaci, abbi pietà di noi e ci custodisci, o Dio, con la tua grazia.

Il coro: Signore, pietà!

Facendo memoria della tutta santa, intemerata, benedetta sopra ogni creatura e gloriosa nostra Signora, la Madre di Dio e sempre vergine Maria, con tutti i santi, raccomandiamo noi stessi, e gli uni e gli altri, e tutta la nostra vita a Cristo Dio.

Il coro: A te, o Signore.

Egli entra nel santuario, e il Sac. dice ad alta voce:

Poiché tu sei Iddio buono e amante degli uomini, e noi rendiamo gloria a te Padre e al Figliolo e allo Spirito Santo, ora e sempre, e nei secoli dei secoli.

Il coro: Così sia.

d. Terza antifona

Il coro canta la terza antifona. 

[Il Sac. legge segretamente la preghiera della terza antifona: Tu che ci donasti queste comuni e unanimi preghiere, che a due o tre uniti a pregare nel nome tuo promettesti di concedere quanto chiedessero; Tu anche in questo momento esaudisci, per loro vantaggio, le richieste dei servi tuoi, accordandoci la conoscenza della tua verità nel secolo presente e donandoci in quello avvenire la vita eterna].

[Il Diac. è già entrato nel Santuario dove aiuta il Sac. che si prepara a fare il piccolo introito. Il Sac. prende il S. Evangelo (che si trova sempre sull’altare) e lo dà al Diac. che gli bacia la mano. Mentre ancora continua il canto, la processione esce dal Santuario].

2. Introito

Ingresso col Vangelo

[Si può comparare quest’ingresso del Sacerdote a l’introito del rito romano. Escono dal Santuario, preceduti da uno o due servienti che portano faci; il Diac. con in mano il Vangelo, e il Sac. Giunti nel mezzo della navata, il Sac. recita segretamente l’orazione del piccolo introito].

Dominatore Signore, Dio nostro, che ne’ cieli hai costituito legioni ed eserciti d’Angeli e d’Arcangeli in servizio della tua gloria, fa’ che col nostro ingresso si effettui l’ingresso di Angeli santi, che con noi concelebrino e con noi glorifichino la tua bontà. Poiché a te si conviene ogni gloria, onore e adorazione, a te Padre e al Figliuolo e allo Spirito Santo, ora e sempre, e nei secoli dei secoli. Così sia.

Terminato il canto, il Diac. dà a baciare il Vangelo al Sac. e quindi, elevando il sacro libro, dice ad alta voce:

Sapienza! stiamo in piedi!

Mentre Diac. e Sac. entrano nel Santuario, il coro canta:

Venite, adoriamo e prostriamoci avanti a Cristo. Deh! salva, o figliuolo di Dio, mirabile nei santi, noi che a te cantiamo: alleluia!

E si cantano i tropari ossia brevissime melodie in onore di Santi o del mistero del giorno.

Quindi il Diac. dice: Preghiamo il Signore.

Il coro: Signore, pietà.

Il Sac. ad alta voce:

Poiché tu sei santo, o Dio nostro, e a te rendiamo gloria, a te Padre e al Figliuolo e allo Spirito Santo, ora e sempre.

Il Diac.: E ne’ secoli de’ secoli.

Il coro: Così sia.

3. Canti e Letture

a. Trisagio

Indi si canta dal coro l’inno trisagio:

Santo Iddio, Santo Forte, Santo Immortale, abbi pietà di noi ! (tre volte).

Gloria al Padre e al Figliuolo e allo Spirito Santo; ed ora e sempre, e ne’ secoli de’ secoli. Così sia. Santo Immortale, abbi pietà di noi!

Il Diac. si reca vicino alle porte sante e, tenendo nella destra l’orario, dice ad alta voce: Forza!

Il coro: Santo Iddio, Santo Forte, Santo Immortale, abbi pietà di noi!

[Mentre si canta l’inno trisagio, il Sac. recita segretamente questa preghiera: O Dio santo, che nei santi riposi, cantato cogli accenti dell’inno trisagio dai Serafini, glorificato dai Cherubini e adorato da tutte le potestà sovraccelesti; Tu che dal nulla hai tratto all’essere le cose tutte, che hai creato l’uomo a tua immagine e somiglianza, e di tutti i tuoi carismi lo hai adornato; tu che doni saggezza e prudenza a chiunque te ne prega, e non disprezzi il peccatore, ma hai istituito la penitenza per la salute; che noi, umili e indegni tuoi servi, hai fatto degni di stare anche in questo momento dinanzi alla gloria del tuo santo altare e di offrirti l’adorazione e la glorificazione a te dovuta; tu, o Signore, accetta anche dal labbro di noi peccatori l’inno trisagio e visitaci nella tua bontà. – Perdonaci ogni trascorso volontario e involontario, santifica l’anima nostra e il nostro corpo, e ci concedi di poterti servire in santità tutti i giorni di nostra vita, per l’intercessione della santa Madre di Dio e di tutti i santi che dal principio del mondo piacquero agli occhi tuoi. Perché T u sei santo, o Dio nostro, e noi rendiamo gloria a Te Padre e al Figliuolo e allo Spiritò Santo, ora e sempre, e nei secoli dei secoli. Così sia.]

b. Epistola

Terminato il canto del trisagio, il Lettore si pone nel mezzo della navata.

Il Diac.: Stiamo attenti!

Il Lettore pronuncia i versetti del prokimenon.

Il Diac.: Sapienza!

Il Lettore recita il titolo della lezione apostolica.

Il Diac.: Stiamo attenti!

Il Lettore recita la pericope assegnata a quel giorno (Notiamo il modo di cantare l’epistola secondo l’uso degli Slavi; il Lettore comincia con un tono molto basso, che eleva poco a poco alla fine di ogni frase).

Intanto il Sac. si reca alla cattedra dietro l’altare e il Diac. incensa il santuario e il popolo; fa ciò in preparazione alla lettura del Vangelo.

c. Vangelo

Terminata la lezione dell’epistola, il coro canta tre volte: Alleluia! Alternativamente con la recitazione di versetti.

[Il Sac. dinanzi alla s. mensa recita in segreto questa orazione:

Fa’ che risplenda nei nostri cuori, o misericordioso Signore, la pura luce della tua divina conoscenza, aprici gli occhi della mente, perché possiamo intendere le tue evangeliche predicazioni. Infondici altresì il timore dei tuoi santi comandamenti, acciocché, calpestati tutti i desideri carnali, pratichiamo una vita tutta spirituale, pensando e operando tutto ciò che è di tuo gradimento. Tu, infatti, sei la luce delle anime nostre e de’ nostri corpi, o Cristo Dio, e a te rendiamo gloria, e, insieme, all’eterno tuo Padre e al tuo Spirito tutto santo, buono e vivificante, ora e sempre, e nei secoli dei secoli. Cosi sia].

Il Diac. prende il S. Vangelo, riceve la benedizione dal Sac. e preceduto da faci se ne va all’ambone.

Il Sac. dalla porta del Santuario esclama: Sapienza!

Il coro: E allo spirito tuo.

Il Diac.: Lettura del Santo Vangelo secondo N.

Il Sac.: Stiamo attenti!

Il coro: Gloria a te, Signore, gloria a te.

Il Diac. legge la prescritta pericope. (Il tono è molto semplice).

Terminata la lettura, il coro: Gloria a te, Signore, gloria a te.

Il Diac. s’avanza fino alle porte sante e consegna al Sac. il libro.

4. Orazioni e Rinvio dei Catecumeni

Quindi postosi dinanzi al Santuario, recita l’ectenès:

Diciamo tutti con tutta l’anima, e con tutta la mente nostra diciamo.

Il coro: Signore, pietà! Signore, Onnipotente, Dio de’ Padri nostri, noi ti preghiamo, esaudisci ed abbi pietà.

Il coro: Signore, pietà.

[Intanto il Sac. dice segretamente:

Signore, Dio nostro, accetta da’ servi tuoi questa prolungata supplicazione, ed abbi pietà di noi secondo la tua grande misericordia, e fa’ discendere le tue commiserazioni sopra di noi e su tutto il tuo popolo, che aspetta copiosa la tua misericordia (che viene da te)].

     Abbi pietà di noi, o Dio, secondo la tua grande misericordia; noi ti preghiamo, esaudisci ed abbi pietà.

Il coro: Signore, pietà!

Noi preghiamo per tutti i pii ortodossi e cristiani.

Il coro: Signore, pietà!

Noi preghiamo ancora per il nostro beatissimo Patriarca o Metropolita, o da Dio Arcivescovo o Vescovo nostro N.

Il coro: Signore, pietà!

Noi preghiamo ancora per i nostri fratelli, sacerdoti ieromonaci, ierodiaconi e monaci, e per tutta la nostra fratellanza in Cristo.

Il coro: Signore, pietà!

Noi preghiamo ancora per implorare misericordia, vita, pace, sanità, salvezza, visita, perdono e remissione dei peccati de’ servi di Dio, di quelli che dimorano in questa città o dei fratelli di questo santo monastero.

Il coro: Signore, pietà!

Noi preghiamo ancora per i beati fondatori di questa santa chiesa o santo monastero, degni di perpetua ricordanza, e per tutti i padri e fratelli nostri defunti, che qui piamente riposano, e per gli ortodossi di tutto il mondo.

Il coro: Signore pietà!

Noi preghiamo ancora per coloro che offrono frutti e operano il bene in questo santo e venerabile tempio, vi faticano e vi cantano, e per tutto il popolo qui presente, che aspetta la tua grande e copiosa misericordia.

Il coro: Signore, pietà!

Il Sac. ad alta voce:

Poiché tu sei un Dio misericordioso e amante degli uomini, e noi rendiamo gloria a te Padre e al Figliuolo e allo Spirito Santo, ora e sempre, e ne’ secoli de’ secoli.

Il coro: Così sia.

Quindi il Diacono incomincia la supplica per i catecumeni :

Catecumeni, pregate il Signore.

Il coro: Signore, pietà!

Fedeli, preghiamo per i catecumeni.

Il coro: Signore, pietà!

Acciocché il Signore abbia misericordia di loro.

Il coro: Signore, pietà!

Li istruisca nella parola della verità.

Il coro: Si gnore, pietà!

Riveli loro l’Evangelio della giustizia.

Il coro: Signore pietà!

[Il Sac. recita segretamente l’orazione per i catecumeni:

Signore, Dio nostro, che abiti nel più alto de’ cieli e riguardi alle più umili creature, che per la salute del genere umano hai inviato l’unigenito tuo Figliuolo e Dio, il nostro Signor Gesù Cristo, volgi benigno lo sguardo sovra i tuoi servi catecumeni, che a te vengono inchinata la loro cervice, e renditi degni, nel tempo opportuno, del lavacro della rigenerazione, della remissione de’ peccati e della veste dell’incorruttibilità; uniscili alla tua santa Chiesa cattolica ed apostolica, e annoverali tra l’eletto tuo gregge].

Li unisca alla sua santa Chiesa cattolica ed apostolica.

Il coro: Signore, pietà!

Salvali, abbine pietà, li soccorri e li custodisci, o Dio, con la tua grazia.

Il coro: Signore, pietà!

Catecumeni, inchinate il vostro capo al Signore.

Il coro: A te, o Signore.

Il Sac. ad alta voce:

Acciocché essi pure insieme con noi glorifichino l’onorabilissimo e magnifico nome tuo, o Padre, e quello del Figliuolo e dello Spirito Santo, ora e sempre, e ne’ secoli de’ secoli.

Il coro: Così sia.

Quindi il Sac. spiega l’iletón (corporale) sulla santa mensa.

Il Diac. dice : Quanti siete catecumeni, uscite. Catecumeni, uscite. Catecumeni, quanti siete, uscite. Nessuno dei catecumeni rimanga qui.

III. LA MESSA DEI FEDELI.

Il Diac. continua senza interruzione:

Quanti siamo fedeli, ancora e poi ancora, in pace preghiamo il Signore.

Il coro: Signore, pietà!

Soccorrici, salvaci, abbi pietà di noi e custodiscici, o Dio, con la tua grazia.

Il coro: Signore, pietà!

Il Diac. Sapienza!

Il Sac. ad alta voce:

Poiché si conviene ogni gloria, onore e adorazione a te Padre e al Figliuolo e allo Spirito Santo, ora e sempre, e nei secoli dei secoli.

Il coro: Così sia.

1. Preghiere dei fedeli

[E il Sac. legge segretamente la prima orazione dei fedeli:

Rendiamo grazie, o Signore, Dio delle Schiere, a te che ci hai fatti degni di stare anche in questo momento presso il tuo santo altare, e d’implorare prostrati le tue misericordie per i nostri peccati e per le ignoranze del popolo. Accogli, o Dio, le nostre preci; fa’ che siamo degni d’offrirti preghiere e supplicazioni e sacrifici incruenti per tutto il tuo popolo; e rendi capaci noi, che tu hai posto a questo ministerio, per la virtù dello Spirito Santo, d’invocarti in ogni tempo e in ogni luogo, senza condanna e senza inciampo, con la pura testimonianza della coscienza nostra, acciocché, esaudendoci, Tu ci sii propizio nella grandezza della tua bontà.]

Il Diac. Ancora e poi ancora preghiamo in pace il Signore. Il Coro: Signore, pietà!

Il Diac. Soccorrici, salvaci, abbi pietà di noi e ci custodisci, o Dio, con la tua grazia. Il coro: Signore, pietà!

Il Diac. Sapienza! Ed entra nel santuario.

Il Sac. dice ad alta voce:

Acciocché custoditi sempre dalla tua potenza, rendiamo gloria a te Padre e al Figliuolo e allo Spirito Santo, ora e sempre, e ne’ secoli de’ secoli.

Il coro: Così sia.

[Il Sac. legge segretamente la seconda orazione dei fedeli:

Di nuovo e molte volte ci prostriamo dinanzi a te e ti preghiamo, o buono, o misericordioso, di riguardare benigno alla nostra prece, e purificare le nostre anime e i nostri corpi da ogni sozzura della carne e dello spirito; concedine d’assistere scevri di colpa e senza condanna al tuo santo altare. Concedi per tua grazia, o Dio, anche a coloro che pregano con noi l’avanzamento nella vita, nella fede e nell’intelligenza spirituale. Dà loro di sempre adorarti con timore e con amore, di partecipare scevri di colpa e senza condanna ai tuoi santi misteri e d’essere fatti degni del tuo regno sovracceleste.]

2. Introito maggiore

Il coro incomincia a cantare lentamente e melodicamente l’inno cherubico:

Noi che misticamente rappresentiamo i Cherubini, e alla Triade vivificante cantiamo l’inno trisagio, su via! deponiamo Ogni mondana sollecitudine.

[Mentre si canta questo, il Sacerdote dinanzi alla santa mensa legge segretamente la seguente preghiera:

Niuno, che sia schiavo di desideri carnali e di voluttà, è degno di presentarsi o d’appressarsi o di offrir sacrificio a te, o Re della gloria; ché servire a te è cosa grande e tremenda anche alle stesse Podestà sovraccelesti. Ma nondimeno, per la ineffabile e immensa tua misericordia, essendoti fatto uomo senza verun cambiamento e mutazione, sei divenuto nostro Pontefice e ci hai trasmesso, come Signore che sei dell’universo, il ministero di questo liturgico ed incruento sacrificio. Tu solo infatti, o Signore Dio nostro, imperi sovrano sulle celesti e terrestri cose, assiso sul trono de’ Cherubini, tu Signore de’ Serafini e re d’Israele, tu che sei il solo santo e nei santi riposi. Te adunque prego, te che solo sei buono e pronto ad ascoltarmi. Volgi benigno lo sguardo sopra di me peccatore e inutile tuo servo, e purifica da prava coscienza la mia anima e il mio corpo: e per la virtù del tuo Santo Spirito, fa che io, rivestito della grazia del sacerdozio, possa presentarmi a questa tua sacra mensa e consacrare il santo e immacolato tuo Corpo e il tuo Sangue prezioso. A te m’appresso, inchinando la mia cervice, e così ti prego: Non rivolger da me la tua faccia e non rigettarmi dal numero dei tuoi servi, ma concedi che da me peccatore e indegno tuo servo ti si offrano questi doni. Tu infatti, o Cristo Dio nostro, sei l’offerente e l’offerto, quei che riceve e quei che è distribuito, e a te rendiamo gloria in unione con l’eterno tuo Padre e col tuo tutto santo Spirito, buono e vivificante, ora e sempre, e nei secoli de’ secoli. Così sia.

Dopo questa orazione recita col Diac. tre volte l’inno cherubico. Quindi il Sac. incensa intorno intorno la s. mensa, il Santuario, le icóni e il popolo. Poi Sac. e Diac. baciano l’altare, si volgono al popolo, inchinano il capo e vanno alla pròtesi. Allora il Sac. pone il velo grande sugli omeri e il disco coperto sul capo del Diac. che nello stesso tempo tiene con un dito anche il turibolo. Il Sac. prende nelle mani il s. calice egualmente coperto.

Quindi esce la processione dal santuario e voltisi verso il popolo, il Sac. ed il Diac. con i doni nelle mani esprimono i voti di benedizione per il Pontefice, la gerarchia, e i fedeli presenti ed invitano il popolo ad unirsi a quelle intenzioni.

[Rientrano nel Santuario e depongono il disco ed il calice sopra l’altare e il Sac. incensa.]

Appena entrati nel santuario, il coro termina l’inno cherubico:

Per ricevere il Re dell’universo scortato invisibilmente dalle angeliche schiere. Alleluia.

Si tira il velo della porta del santuario.

3. Offertorio

Il Diac. dopo aver baciata la destra al Sac. esce e si pone nel luogo consueto.

Indi recita le petizioni seguenti:

Compiamo la nostra preghiera al Signore.

Il coro: Signore, pietà!

Per i preziosi doni che sono stati offerti, preghiamo il Signore.

Il coro: Signore, pietà!

Per questa santa casa e per coloro che vi entrano con fede, devozione e timor di Dio, preghiamo il Signore.

Il coro: Signore, pietà!

[Mentre dal Diacono si recita questa colletta, il Sacerdote legge segretamente la seguente orazione della Pròtesi:

Signore, Dio onnipotente, tu che solo sei santo e che accetti il sacrificio di laude da coloro che con tutto il cuore t’invocano, accogli altresì la preghiera di noi peccatori, e fa che giunga al tuo santo altare: rendici abili ad offrirti doni e sacrifici spirituali per i nostri peccati e per le ignoranze del popolo. Rendici anche meritevoli di trovar grazia al tuo cospetto, acciocché ti sia accetto il nostro sacrifizio, e lo Spirito della tua grazia, che è buono, scenda ad abitare in noi e in questi doni, qui preparati, e in tutto il popolo tuo.]

Acciocché siamo liberati da ogni afflizione, ira, pericolo e necessità, preghiamo il Signore:

Il coro: Signore, pietà!

Soccorrici, salvaci, abbi pietà di noi e custodiscici, o Dio, con la tua grazia.

Il coro: Signore, pietà!

Domandiamo al Signore, che tutto questo giorno sia perfetto, santo, pacifico e senza peccato.

Il coro: Concedi, o Signore.

Domandiamo al Signore un angelo di pace, guida fedele, custode delle anime nostre e de’ nostri corpi.

Il coro: Concedi o Signore.

Domandiamo al Signore il perdono e la remissione dei nostri peccati e dei nostri falli. Il coro: Concedi, o Signore.

Domandiamo al Signore tutto ciò che sia buono e vantaggioso alle anime nostre, e la pace per il mondo.

Il coro: Concedi, o Signore.

Domandiamo al Signore la grazia di passare in pace e in penitenza quanto ci resta di vita.

Il coro: Concedi, o Signore.

Domandiamo al Signore una morte cristiana, senza dolore e senza rimorso e placida, e una buona difesa dinanzi al tremendo tribunale.

Il coro: Concedi, o Signore.

Facendo memoria della tuttasanta, intemerata, benedetta sopra ogni creatura e gloriosa nostra Signora, la Madre di Dio sempre vergine Maria, con tutti i santi, raccomandiamo noi stessi, e gli uni gli altri, e tutta la nostra vita a Cristo Dio.

Il coro: A te, o Signore.

Il Sac. ad alta voce :

Per le misericordie del tuo unigenito Figliuolo, con il quale sei benedetto, insieme col santissimo tuo Spirito, buono e vivificante, ora e sempre, e nei secoli dei secoli.

Il coro: Cosi sia.

Si apre il velo della porta.

4. Bacio di pace

Il Sac. Pace a tutti.

Il coro: E allo spirito tuo.

[Intanto il Sac. bacia i santi doni, il Diac., il suo orario dov’è la figura della croce; quindi,  se vi sono parecchi celebranti, questi si abbracciano.]

Il Diac. Amiamoci gli uni gli altri, affinché in unità di spirito confessiamo la nostra fede.

Il coro: Nel Padre, nel Figliuolo e nello Spirito Santo, Triade consostanziale e indivisibile.

.5. Simbolo

Il Diac. ad alta voce : Le porte! le porte! Con sapienza stiamo attenti.

[Il Sac. alza l’aera sopra i doni e lo agita tenendolo spiegato mentre recita tra sé il Credo]

Il coro: Credo in un solo Padre ecc.

6. Anafora

a. Inviti al popolo

Indi il Diac. ad alta voce:

Stiamo devotamente, stiamo con timore, stiamo attenti ad offrire in pace la santa oblazione.

Il coro: Misericordia di pace, sacrificio di laude.

Il Sac. dice ad alta voce :

La grazia del Signor nostro Gesù Cristo, e la carità di Dio Padre, e la partecipazione dello Spirito Santo sia con tutti voi.

E voltosi al popolo, lo benedice. Il Diacono entra nel santuario.

Il coro: E con lo spirito tuo.

Il Sac. alzando ambe le mani esclama:

Leviamo in alto i cuori!

Il coro: Li abbiamo verso il Signore.

Il Sac. rivolto ad oriente esclama: Rendiamo grazie al Signore.

Il coro: E’ degno e giusto adorare il Padre, il Figliuolo e lo Spirito Santo Triade consostanziale e inseparabile

[Il Sac. prega segretamente:

– Si, certo, è degno e giusto celebrarti, benedirti, lodarti, ringraziarti in ogni parte del tuo impero perché tu sei un Dio ineffabile, inconcepibile, invisibile, incomprensibile, sempre esistente e sempre nello stesso modo, tu e il tuo unigenito Figliuolo e il tuo Spirito Santo. Tu dal nulla ci hai tratti all’esistenza e caduti ci hai rialzati, e nulla hai omesso di fare, fino a tanto che ci hai ricondotto al cielo e ci hai donato il tuo regno avvenire. Per tutti questi beni rendiamo grazia a te e all’unigenito tuo Figliuolo e al tuo Spirito Santo, per tutto quello che sappiamo, e per quello che non sappiamo, per i benefici a noi fatti, siano palesi, siano occulti. Ti rendiamo grazie altresì per questo sacrifizio, che ti sei degnato di ricevere dalle nostre mani, sebbene ti stiano innanzi migliaia di Arcangeli e miriadi di Angeli, i Cherubini e i Serafini con sei ali, con molti occhi, sublimi, alati…]

Il Sac. ad alta voce:

… i quali cantano, esclamano, gridano l’inno della vittoria, e dicono:

b. Sanctus

Il coro: Santo, santo, santo è il Signore delle Schiere; il cielo e la terra son pieni della tua gloria. Osanna nel più alto dei cieli! Benedetto colui che vine nel nome del Signore Osanna nel più alto dei cieli!

[Il Sac. prega segretamente :

Noi pure, Signore misericordioso, con questi beati spiriti celesti esclamiamo e diciamo: Sei santo, tuttosanto, tu e il tuo unigenito Figliuolo e il tuo Spirito Santo. Sei santo, tuttosanto, e magnifica è la gloria di te, che amasti tanto il mondo, da dare 1’unigenito tuo Figliuolo, affinché ognuno che crede in lui non perisca, ma ottenga la vita eterna; il quale, essendo venuto ed avendo compiuta la sua missione a prò di noi, la notte che veniva tradito, o piuttosto si lasciava tradire per la vita del mondo, prese del pane nelle sue mani sante, intemerate e immacolate, dopo aver rese grazie lo benedisse, lo santificò, lo spezzò e diede ai suoi santi discepoli ed apostoli, dicendo:

c. Consacrazione

Il Sac. inchina il capo, e alzando devotamente la destra, benedice il santo pane, dicendo ad alta voce: Prendete, mangiate: questo è il mio corpo, che per voi si spezza in remissione dei peccati.

Il coro: Così sia.

Mentre si dicono queste parole, il Diac. indica al Sacerdote il santo disco, tenendo colle tre dita della destra l’orario. Similmente, anche quando il Sacerdote dice: « Bevetene », esso indica il santo calice.

Quindi il Sac. prosegue segretamente:

Similmente anche il calice, dopo che ebbe cenato, dicendo:

Il Sac. tenendo in alto la mano devotamente e benedicendo, dice ad alta voce:

Bevetene tutti. Questo è il mio sangue, quello del Nuovo Testamento, che per voi e per molti è sparso in remissione de’ peccati.

Il coro: Così sia.

d. Anamnesi

Il Sac. inchinato il capo, prega segretamente:

Memori adunque di questo comandamento salutare e di tutto ciò che è stato fatto per noi, della croce, della tomba, della resurrezione dopo tre di, dell’ascensione al cielo, della sede alla destra (del Padre), del secondo e glorioso avvento.

Ad alta voce: Le cose tue scelte tra quelle che son tue a te offriamo in tutto e per tutto.

Il coro: Te inneggiamo, te benediciamo, a te rendiamo grazie, o Signore, e ti preghiamo, O Dio nostro.

 

[Il Sac. inchinato di nuovo il capo, prega segretamente: Ancora ti offriamo questo  culto spirituale ed incruento, e t’invochiamo, ti preghiamo e ti supplichiamo. Manda il tuo Santo Spirito sovra di noi e sovra questi doni posti qui sull’altare.

e. Epiclesi

Il Sac. e il Diac. s’inchinano tre volte ed il Sac. facendo il segno della croce sopra il s. pane, dice: E fa di questo il prezioso corpo del tuo Cristo.

Il Diac. Così sia.

Poi benedicendo il calice: E di ciò che è in questo calice, il prezioso sangue del tuo Cristo.

Il Diac. Così sia.

E, benedicendo l’uno e l’altro, dice: Transmutandole per virtù del tuo Santo Spirito.

Il Diac. Così sia, così sia, così sia.

[Il Sac. continua segretamente: Acciocché per coloro che si comunicano siano purificazione dell’anima, remissione de’ peccati, comunicazione dello Spirito Santo, adempimento del regno de’ cieli, titolo a libera confidenza davanti a te, non cagione di giudizio e di condanna.]

f. Intercessione

Ancora ti offriamo questo culto razionale, per quei che riposano nella fede, progenitori, padri, patriarchi, profeti, apostoli, predicatori, evangelisti, martiri, confessori, continenti e per ogni spirito consumato nella fede.

Quindi, incensando la s. mensa sul davanti, dice ad alta voce:

In modo particolare per la tutta santa, intemerata, benedetta sopra ogni creatura, la gloriosa nostra Signora, Madre di Dio e sempre vergine Maria.

E passa il turibolo al Diacono che, incensando intorno la s. mensa, commemora i morti inscritti nei dittici.

E il coro canta il megalinario della Madre di Dio:

Egli è veramente giusto chiamar beata te, o Deipara, sempre benavventurata e tutta immacolata e Madre del nostro Dio. Te più onorabile dei Cherubini e incomparabilmente più gloriosa dei Serafini, te che senz’ombra di corruzione partoristi il Verbo di Dio, te magnifichiamo qual vera Madre di Dio.

[E mentre si canta questo, il Sac. benedice l’antidoron e continua a pregare segretamente: Per il santo Profeta e Precursore, Giovanni il Battista, per i santi, gloriosi e illustri Apostoli, per il santo N., del quale celebriamo la memoria, e per tutti i santi tuoi, per le cui suppliche, o Dio, deh! Riguardaci benignamente.Ti ricorda altresì di tutti quei che si sono addormentati nella speranza della resurrezione alla vita eterna (e commemora per nome i morti che vuole), e fa’ che riposino là dove brilla la luce del tuo volto. Ancora ti preghiamo, ricordati o Signore, di tutto l’episcopato degli ortodossi, di coloro che bandiscono rettamente la tua parola di verità, di tutto il presbiterato, del diaconato in Cristo, e di ogni ordine sacerdotale. Ancora ti offriamo questo culto razionale, per tutto il mondo, per la santa Chiesa cattolica ed apostolica, per coloro che vivono nella castità e nella santità, per i nostri re fedelissimi e amanti di Cristo, per tutta la corte e l’esercito loro. Concedi loro, o Signore, un regno pacifico, onde noi pure, nella calma loro, viviamo una vita quieta e tranquilla con tutta l a pietà ed onestà.]

Dopo ciò il Sac. commemora i vivi che vuole. Quindi dice ad alta voce: Ricordati in primo luogo, o Signore, del nostro santissimo Padre N., Papa di Roma, di T V. (ed enuncia il nome dell’ ordinario del luogo, sia esso semplice Vescovo o Arcivescovo o Metropolita o Patriarca) e concedi alletue sante chiese che essi in pace salvi, onorati, sani, longevi, predichino rettamente la tua parola di verità.

Il Diac. Stando presso la porta commemora i vivi inscritti nei dittici, e poi ad alta voce: E di quelli che ciascuno ha in mente, e di tutti e di tutte.

[Il Sac. continua a pregare segretamente: Ricordati, o Signore, della città (o monastero), nella (nel) quale dimoriamo, di ogni città e paese, e di tutti i fedeli che vi abitano. Ricordati, o Signore, dei naviganti, dei viandanti, dei malati, dei sofferenti, dei prigionieri e della loro liberazione. Ricordati, o Signore, di coloro che portan frutti e operano il bene nelle tue sante chiese e si ricordano de’ poveri, e manda sopra di noi tutti le tue misericordie.]

Il Sacerdote ad alta voce: E concedine che non una sola bocca e con un sol cuore diamo gloria e inneggiamo all’onorabilissimo e magnifico nome tuo, o Padre, e a quello del Figliuolo e dello Spirito Santo, ora e sempre, e ne’ secoli de’ secoli.

Il coro: Così sia.

E voltosi al popolo, lo benedice dicendo:

E le misericordie del grande Iddio e Salvator nostro Gesù Cristo siano con tutti voi.

Il coro: E col tuo spirito.

7. Dall’Anafora alla Comunione

a. Colletta

Il Diac. esce, e, postosi nel luogo consueto, dice:

Avendo fatto memoria di tutti i santi, ancora e poi ancora preghiamo in pace il Signore

Il Coro: Signore, pietà!

Per i preziosi doni, che sono stati offerti e consacrati, preghiamo il Signore.

Il Coro: Signore, pietà!

[Mentre si recitano queste preci, il Sac. prega segretamente.

Ti raccomandiamo, o Signore misericordioso, tutta la nostra e la nostra speranza, e t’invochiamo, ti preghiamo, ti supplichiamo. Rendici degni di partecipare dei sovraccelesti e tremendi misteri di questa sacra e spiritual mensa, con pura coscienza, per la remissione dei peccati, per il perdono dei falli, per la comunione dello Spirito Santo,  per l’eredità del regno dei cieli, per un titolo alla tua confidenza, e non per nostro giudizio e condanna.]

Acciocché il misericordioso Dio nostro, che li ha ricevuti, in odore di soavità Spirituale nel suo santo, sovracceleste, spirituale altare, ci mandi in contraccambio la divina grazia e il dono del Santo Spirito, preghiamo.

Il coro: Signore pietà!

Acciocché siamo liberi da ogni afflizione, ira, pencolo e necessità, preghiamo il Signore.

Il coro: Signore, pietà!

Soccorrici, salvaci, abbi pietà di noi e ci custodisci, o Dio, colla tua grazia.

Il coro: Signore, pietà!

Domandiamo al Signore che tutto questo giorno sia perfetto, santo, pacifico e senza peccato.

Il coro: Concedi, o Signore.

Domandiamo al Signore un angelo di pace, guida fedele, custode delle anime nostre e de’ nostri corpi.

Il coro: Concedi, o Signore.

Domandiamo al Signore perdono e remissione dei nostri peccati e dei nostri falli.

Il coro: Concedi, o Signore.

Domandiamo al Signore quanto è buono ed utile alle anime nostre, e la pace per il mondo.

Il coro: Concedi, o Signore.

Domandiamo al Signore la grazia di passare nella pace e nella penitenza quanto ci resta della vita nostra.

Il coro: Concedi, o Signore.

Domandiamo al Signore una morte cristiana, senza dolore, senza biasimo, placida, e una buona difesa dinanzi al suo tremendo tribunale.

Il coro: Concedi, o Signore.

Dopo aver domandata l’unità della fede e la comunione dello Spirito Santo, raccomandiamo noi stessi, e gli uni gli altri, e tutta la nostra vita a Cristo nostro Dio. Il coro: A te, o Signore.

b. Pater Noster

Il Sac. ad alta voce:

E rendici degni, o Signore, che con piena fiducia e senza condanna osiamo invocare te Dio Padre celeste, e dire:

Il coro: Padre nostro, che sei ne’ cieli, sia santificato il nome tuo, venga il regno tuo; sia fatta la volontà tua, come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano e rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori; e non c’indurre in tentazione, ma liberaci dal maligno.

Il Sac. Poiché il regno e la potenza e la gloria appartiene a te Padre e al Figliuolo e allo Spirito Santo, ora e sempre, e ne’ secoli de’ secoli.

Il coro: Così sia.

Il Sac. Pace a tutti (e benedice).

Il coro: E allo spirito tuo.

c. Orazione col capo inchinato

Il Diac. Inchinate il vostro capo al Signore.

Il coro: A te, o Signore.

Il Sac. ad alta voce: Per la grazia, per le misericordie e per la benignità dell’unigenito tuo Figliuolo, col quale sei benedetto insieme col tutto santo, buono e vivificante Spirito, ora e sempre, e nei secoli de’ secoli.

Il coro: Così sia.

[Il Sac. prega segretamente: Ti rendiamo grazie, o Re invisibile, che con la tua infinita potenza hai creato l’universo, e nella grandezza della tua misericordia tutte le cose dal nulla hai tratto all’esistenza. Tu, o Signore, riguarda dal cielo a questi che hanno umilmente inchinato la fronte innanzi a te, poiché non l’han chinata alla carne e al sangue, ma a te Dio tremendo. Tu dunque o Signore, compartisci a noi tutti, per nostro bene e secondo il bisogno di ciascuno, i doni qui presenti; naviga coi naviganti, viaggia coi viandanti, sana i malati, tu medico delle nostre anime e de’ nostri corpi.]

d. Elevazione e frazione

Poi il Diac. ad alta voce: Stiamo attenti!

E il Sac. inchinandosi ed elevando il santo pane, dice ad alta voce:

Le cose sante ai santi.

Il coro: Un solo è il Santo, un solo è il Signore, Gesù Cristo, nella gloria di Dio Padre. Così sia.

Quindi si canta il Kinonikon.

[Il Sac. spezza il s. pane in Quattro e lo dispone nel s. disco in forma di croce; il Diac. dice: Signore, empi il s. calice.

Il Sacerdote prende la particola segnata IC, e la mette nel calice. Poi il Diac. versa un po’ d’acqua calda nel s. calice].

8. La S. Comunione

a. Comunione del Sac. e del Diac.

Il Sac. ed il Diac. recitano le preghiere della Comunione.

Credo, o Signore, e confesso che tu sei veramente il Cristo, figliuolo di Dio vivente venuto nel mondo per salvare i peccatori, de’ quali il primo sono io. Credo ancora che questo è il medesimo tuo Corpo immacolato, e questo il medesimo tuo sangue prezioso. Te ne prego adunque, abbi pietà di me e perdonami le mie colpe, volontarie e involontarie, commesse colla parola e coll’opera, con conoscenza e senza. Fammi degno di partecipare, senza condanna, de’ tuoi misteri immacolati, per la. Remissione dei peccati e per la vita eterna. Così sia.

Ecco io m’appresso alla divina comunione:

O mio Creatore, deh! non bruciarmi con questa partecipazione,

Poiché tu sei fuoco che arde gl’indegni.

Deh! purificami dunque da ogni sozzura.

Del tuo mistico convito, o figliuolo di Dio, fammi oggi partecipe; che io non paleserò il Mistero ai tuoi nemici; non ti darò un bacio come Giuda; ma come il Ladrone io ti dico: Ti sovvenga di me, o Signore, quando sarai nel tuo regno.

Rabbrividisci, o uomo, vedendo il sangue divino:

Che è carbone ardente che brucia gl’indegni.

Il corpo di Dio m’india e mi nutrisce;

India lo spirito e mirabilmente nutrisce l’intelletto.

– Tu mi hai attirato, o Cristo, col desiderio e inebriato col tuo amore divino deh! ardi con fuoco immateriale i miei peccati e fammi degno di saziarmi delle tue delizie, affinché nell’esultanza io magnifichi, o Buono, le due tue venute.

– Come entrerò io, indegno come sono, negli splendori del tuo Santuario? Poiché, se oso entrare nella sala delle nozze, l’abito che io porto mi condanna, perché non è l’abito nuziale; e, incatenato, sarò cacciato via dagli Angeli. Lava, o Signore, la sozzura dell’anima mia, e mi salva, tu che sei amante degli uomini.

– O Sovrano amante degli uomini, Signore Gesù Cristo, mio Dio, fa’ che questi doni non siano per me causa di condanna a motivo della mia indegnità, ma siano purificazione e santificazione dell’anima e del corpo e caparra della vita e del regno futuro. E’ buono per me l’essere unito a Dio, riporre nel Signore la speranza della mia salvezza.

E di nuovo :

Del tuo mistico convito ecc. (come sopra).

Il Sac. poi prende una particola, del santo pane e dice:

Si comunica a me N. Sacerdote il prezioso e tuttosanto corpo di nostro Signore e Dio Salvatore Gesù Cristo, in remissione dei miei peccati e per la vita eterna.

E così si comunica del santo pane con timore e con ogni precauzione.

Poi dice: Diacono, appressati.

E il Diac. appressandosi, dice:

Ecco, io m’appresso a Cristo Re immortale e Dio nostro. Impartiscimi, o Sovrano, il prezioso e santo corpo del Signore e Dio Salvatore nostro Gesù Cristo, in remissione de’ miei peccati e per la vita eterna.

E fa un’inchino, chiedendo piamente perdono. E il Sac. prendendo del s. pane lo dà al Diacono, dicendo:

Si comunica a te N. Diacono il prezioso e Santissimo corpo del Signore e Dio Salvator nostro Gesù Cristo, in remissione dei tuoi peccati e per la vita eterna.

Il Diac., dopo aver baciato la mano che lo comunica, si ritira dietro l’altare, dove, come il sacerdote, si comunica col santo pane che tiene nella palma della destra. Indi il Sac. prende con ambe le mani il santo calice insieme col velo e dice:

Ancora si comunica a me N. Sacerdote il prezioso e santissimo sangue del Signore e Dio e Salvator nostro Gesù Cristo, in remissione de’ miei peccati e per la vita eterna.

E ne prende tre volte, si asterge col velo che tiene in mano le labbra e il calice, e dopo averlo baciato, chiama il diacono, dicendo:

Ierodiacono, appressati anche una volta.

Il Diac. va innanzi alla s. mensa, si asterge attentamente sul s. disco la palma della mano con la spugna, dicendo:

Mi appresso ancora una volta: impartiscimi, Signore, il prezioso e santissimo sangue del Signore e Dio Salvator nostro Gesù Cristo, in remissione dei miei peccati e per la vita eterna.

E il Sac., facendolo partecipare tre volte del s. calice, dice:

Ancora si comunica a te Àr . Ierodiacono il prezioso e santissimo sangue del Signore e Dio e Salvator nostro Gesù Cristo, in remissione de’ tuoi peccati, e per la vita eterna.

Dopo che il Diac. s’è comunicato, il Sac. dice:

Questo ha toccato le tue labbra, e cancellerà le tue iniquità e purgherà i tuoi peccati.

Allora il Diac. prende il S. disco e, tenendolo sopra il s. calice, lo terge molto accuratamente con la Spugna, e con attenzione e devozione copre col velo il santo calice, e parimenti pone sul santo disco lasterisco e i veli.

[Intanto il Sac. legge segretamente la Preghiera di ringraziamento: Ti rendiamo grazie, misericordioso Signore, benefattore delle anime nostre, perché anche in questo giorno ci hai tenuti degni dei tuoi sovraccelesti e immortali misteri. Rendi diritta la nostra via, confermaci tutti nel tuo timore, custodisci la nostra vita, assicura i nostri passi in considerazione delle preghiere e delle suppliche della gloriosa Madre di Dio e sempre vergine Maria, e di tutti i santi tuoi.]

b. Comunione dei fedeli

Dopo l’Alleluia del kinonikon, apertasi la porta speciosa, il Diac. prende dal Sacerdote il santo calice coperto, e, avanzandosi sulla porta, lo eleva e dice ad alta voce: Con timore di Dio, con fede e carità appressatevi.

Il Sac. si avvicina, prende il Calice dalle mani del Diac. Quindi distribuisce la S. Comunione col cucchiaino ai fedeli che la ricevono sotto le due specie. Il

Sac. dice al Comunicante: Il Servo di Dio N. riceve il prezioso e tutto santo corpo e sangue del Signore e Dio Salvatore nostro Gesù Cristo per la remissione de’ suoi peccati e per la vita eterna. Così sia.

Mentre i fedeli si comunicano il coro canta una o più volte, secondo il numero de’ comunicanti, il tropario: Del tuo mistico Convito, o Figliuolo di Dio, fammi oggi partecipe; ch’io non paleserò il Mistero ai tuoi nemici; non ti darà un bacio come quello di Giuda; ma come il Ladrone io ti confesso: Ti sovvenga di me, o Signore, quando sarai nel tuo regno.

Quindi il Sac. benedicendo il popolo, dice: Salva, o Dio, il tuo popolo, e benedici la tua eredità.

c. Reposizione delle s. specie

Il coro: Abbiam veduto la vera luce, abbiam ricevuto lo spirito sovracceleste, abbiam trovata la vera fede, adorando la Triade indivisibile, poiché questa ci salvò.

[Il Sac. e il Diac. fanno ritorno alla s. mensa.

Quindi il Sac. prende il s. disco e lo pone sul capo al diacono.

Questo tenendolo devotamente e guardando verso il popolo senza dir nulla, se ne va alla Pròtesi e ve lo depone.]

[Il Sac. preso il santo calice, dice segretamente: Benedetto sia il nostro Dio.]

E rivolto al popolo, ad alta voce: In ogni tempo, ora e sempre, e ne’ secoli de’ secoli.

Il coro: Così sia.

E depone il calice sull’altare della preparazione.

9. Ringraziamento e rinvio

E il diacono uscito e messosi nel solito posto, dice:

In piedi! Ora che abbiam partecipato dei divini, santi, intemerati, immortali, sovraccelesti e vivificanti tremendi Misteri di Cristo, rendiamo degne grazie al Signore.

Il coro: Signore, pietà!

Soccorrici, salvaci, abbi pietà di noi, e ci custodisci, o Dio, con la tua grazia. Il coro: Signore, pietà!

Dopo aver domandato che questo giorno tutto sia perfetto, santo, tranquillo e senza peccato, raccomandiamo noi stessi, e gli uni gli altri, e tutta la nostra vita a Cristo Dio.

Ed entra nel santuario.

Il coro: A te, Signore.

Il Sac. ad alta voce:

Poiché tu sei la nostra santificazione, e rendiamo gloria a te Padre e al Figliuolo e allo Spirito Santo, ora e sempre, e nei secoli de’ secoli.

Il coro: Così sia.

Il Sac.: Andiamo in pace.

Il Diac.: Preghiamo il Signore.

Il coro: Signore, pietà!

Il Sac. esce dalla porta santa e stando dinanzi alla icone di N. S. Gesù Cristo, recita ad alta voce questa preghiera detta opistambona:

O Signore, tu che benedici quei che ti benedicono, e santifichi coloro che confidano in te, salva il popolo tuo e benedici la tua eredità. Custodisci l’insieme della tua Chiesa, santifica coloro che amano il decoro della tua casa; tu in contraccambio li glorifica con la tua divina potenza, e non abbandonar noi che speriamo in te. Dona la pace al mondo ch’è tuo, alle tue chiese, ai Sacerdoti, ai nostri re, all’esercito e a tutto il popolo tuo; poiché ogni grazia buona e ogni dono perfetto vien dall’alto, scendendo da te Padre dei lumi, e a te rendiamo gloria, azione di grazie e adorazione, a te Padre e al Figliuolo e allo Spirito Santo, ora e sempre, e ne’ secoli de’ secoli. Il coro: Così sia.

Il coro: Sia benedetto  il nome del Signore da ora e fino all’eternità (tre volte).

[Il Sacerdote rientra per le porte sante, si reca alla Protesi e dice segretamente questa orazione:

O Cristo, Dio nostro, tu che sei l’adempimento della legge e de’ profeti, che hai compiuta pienamente la missione avuta dal Padre, riempi di gioia e di letizia i nostri cuori, in ogni tempo, ora e sempre, e ne’ secoli. Così sia.]

Il Diac. Preghiamo il Signore.

Il coro: Signore, pietà!

Il Sac. benedicendo:

La benedizione e la misericordia del Signore scenda sopra di noi colla sua grazia e il suo amore per gli uomini, in ogni tempo, ora e sempre, e nei secoli dei secoli.

Il coro: Così sia.

Il Sac. Gloria a te, o Cristo Dio, speranza nostra, gloria a te.

Il Lettore: Gloria al Padre  e al Figliuolo e allo Spirito Santo, ed ora e sempre, e nei secoli de secoli. Cosi sia. Signore, pietà! (tre volte) Signore venerando, benedici.

[Frattanto il Diac. Recatosi alla Pròtesi raccoglie e riunisce con timore e con ogni cura le sante specie, onde nessuna particella, sia pur tenuissima, cada o rimanga; poi si lava le mani nel lavabo.]

Il Sac. rivolto al popolo dice l’apolisi:

Cristo verace Dio nostro, per l’intercessione della santa Madre sua, tutta intemerata, tutta immacolata, per la virtù della preziosa e vivificante Croce, per la protezione delle venerande e sovraccelesti Podestà incorporee, per le supplicazioni del venerando e glorioso Profeta e Precursore Giovanni Battista, dei gloriosi e celebrati Apostoli (del santo della chiesa, se e Profeta, Apostolo o Gerarca), de’ santi gloriosi e vittoriosi Martiri (del santo della chiesa, se è Martire), dei venerandi e teofori Padri nostri (del santo della chiesa, se Confessore), del santo Padre nostro Giovanni Crisostomo, Arcivescovo di Costantinopoli, dei santi e giusti progenitori di Dio, Gioacchino ed Anna (del santo del giorno), di cui celebriamo la memoria e di tutti i Santi, abbi pietà di noi e ci salvi, Dio buono qual è ed amante degli uomini.

Il Sac. di nuovo:

Per le preghiere de’ nostri santi padri, Signore Gesù Cristo, Dio nostro, abbi pietà di noi.

Il coro: Così sia.

10. Distribuzione dell’antidòro

Quindi il Sac. distribuendo il santo antidòro, dice ad ognuno:

La benedizione e la misericordia del Signore scenda sopra di te, in ogni tempo, ora e sempre, e ne’ secoli de’ secoli. Così sia.

E ognuno, ricevuto che abbia l’antidòro e fatto un inchino profondo, esce in buon ordine dalla chiesa.

11. Ultime preghiere

Il Sac. dopo la distribuzione del s. antidòro, entrato nel santuario, si spoglia delle vesti sacerdotali, dicendo:

Or tu rimandi il tuo servo, o Signore, secondo la tua parola, in pace: poiché han veduto gli occhi miei la tua salute, la quale hai preparata nel cospetto di tutti i popoli luce per illuminar le genti, e gloria d’Israel, tuo popolo.

Poi recita il trisagio, l’apolytikion del giorno e quello di s. Giov. Crisostomo:

La grazia, che brillò dalla tua bocca, qual face, illuminò l’universo, depose nel mondo tesori di disinteresse, mostrò a noi la sublime altezza dell’umiltà. Or tu, ammaestrandoci con la tua parola, o padre nostro Giovanni Crisostomo, prega Cristo, il Verbo Divino, di salvare le anime nostre.

Quindi il kontàkion del giorno e quello di s. Giovanni Crisostomo.

Dal cielo hai ricevuta la grazia divina, e dalle tue labbra noi tutti impariamo ad adorare Iddio Uno nella Trinità, o beatissimo s. Giovanni Crisostomo. Giustamente a te inneggiamo: sei difatti Dottore nostro, poiché ci scopri le verità divine.

Ovvero: Signore, pietà (12 volte).

Gloria al Padre e al Figliuolo e allo Spirito Santo, ed ora e sempre, e ne’ secoli dei secoli. Così sia.

Te più onorabile de’ Cherubini e incomparabilmente più gloriosa dei Serafini, te che senz’ombra di corruzione partoristi il Verbo di Dio, te magnifichiamo qual vera Madre di Dio.

Fa quindi l’apòlisi.

E, dopo aver baciata la santa mensa, dalla quale ricevette la grazia del sacerdozio come sorgente delle divine grazie e della santificazione, dice:

Per le preghiere de’ nostri santi Padri, ecc.

E fatto un inchino, e rese grazie a Dio, esce.

IMPRIMI POTEST

Romæ, 19 ian. 1937.

P . RAPHAEL BITETTI

Præp. prov. Rom. S. I.

IMPRIMATUR

Romæ, 19 ian. 1937.

ALOYS. TRAGLIA

Archiep. Cæsar., Vic. ger.

ROMÆ

 

L’ESAME DI COSCIENZA PER UNA BUONA CONFESSIONE

L’ESAME DI COSCIENZA PER UNA BUONA CONFESSIONE.

PECCATI CONTRO I DIECI COMANDAMENTI

APeccati contro il primo Comandamento
(1. Io sono il Signore tuo Dio: non avrai altri dèi all’infuori di me.)

-1) Hai dubitato in materia di fede? –O–

-2) Hai consultato maghi o indovini? –O–

-3) –O– Credi nei sogni? –O–

-4) Hai fatto uso di pratiche di superstizione? –O–

-5) Sei andato ai luoghi di falso culto e preso attivamente parte ai servizi religiosi di una falsa chiesa? [protestanti, ortodossi, novus ordo, lefebvriani, sedevacantisti, eretici vari, etc.] –O–

-6) Hai aderito alla massoneria, al comunismo,  ad altre società proibite,  o a partiti anticristiani? –O–

-7) Leggi libri o giornali anti-cattolici? –O–

-8) Hai trascurato l’istruzione religiosa? –O–

-9) Hai omesso i doveri religiosi per paura o per rispetto umano, o per non sembrare ridicolo? –O–

-10) Hai mormorato contro Dio, o la sua grazia? –O–

-11) Hai avventatamente presunto della sua bontà nel commettere peccati? –O–

-12) Hai pregato nel momento della tentazione? –O–

-13) Hai pregato per la tua famiglia? Hai trascurato con i familiari la preghiera quotidiana? –O–

-14) Hai recitato le preghiere distrattamente, con noncuranza, senza devozione, in modo sconsiderato, o  con la mente ad altro? –O–

-15) Hai impiegato una quantità ragionevole di tempo nel  ringraziamento dopo la Comunione? –O–

-16) Ti sei rivolto in modo irriverente verso Dio, persone,  luoghi o cose sacre? –O–

-17) Ti sei associato a persone che possono avere una cattiva influenza sulla tua vita?–O–

-18) Hai rifiutato di mettere segni di fede in casa, come crocifissi, immagini della Madonna o dei Santi? –O–


B” Peccati contro il secondo comandamento

(2. Non nominerai invano il nome del Signore tuo Dio.)

-1) Hai nominato il nome di Dio invano? –O–

-2) Hai deriso  il Nome di Dio con l’uso profano o irriverente nei discorsi con altri? –O–

-3) Hai dato cattivo esempio ai figli con tali discorsi in loro  presenza, o trascurato di correggerli quando hanno  utilizzato un linguaggio irriverente o profano? –O–

-4) Hai parlato con rispetto dei Santi o delle cose sante? –O–

-5) Hai tollerato che altri in famiglia lo facessero? –O–

-6) Hai giurato falsamente, chiamando cioè Dio a testimoniare la verità in quello che stavi dicendo, mentre in realtà stavi mentendo? –O–

-7) Hai giurato avventatamente, anche per materia leggera e banale? –O–

-8) Hai maledetto persone, animali o cose? –O–

-9) Hai bestemmiato, utilizzando un linguaggio insolente, disprezzando Dio, i suoi Santi o le cose sacre? –O–

-10) Hai indotto altri a farlo? –O–

-11) Hai criticato la misericordia o la giustizia di Dio, o diffidato della sua Provvidenza? –O–

C Peccati contro il terzo comandamento
(3. ricordati di santificare il giorno del Signore.)

-1) Di Domenica  e nei giorni comandati festivi dalla Chiesa, hai assistito, potendo, alla santa Messa?–O–

-2) Sei arrivato  tardi alla Messa? Ti sei comportato correttamente in chiesa? –O–

-3) Hai eseguito o comandato lavoro servile inutile, comprato o venduto senza necessità o impellenza? –O–

-4) Ti sei dato al  gioco d’azzardo, al bere, ai bagordi, ai piaceri e spettacoli illeciti, allo sport, profanando i giorni Santi? –O–

D Peccati contro il quarto comandamento
(4. Onora tuo padre e tua madre.)

-1) Hai dato il dovuto onore, amore, gratitudine ed obbedienza ai tuoi genitori? –O–

-2) Hai dimostrato onore ed obbedienza ai tuoi pastori e agli altri legittimi superiori? –O–

-3) Hai chiesto perdono per aver fatto loro del male? –O–

-4) Sei stato irrispettoso verso i tuoi genitori parlando loro con rabbia, rivolgendoti in modo scortese e con parole dure sul loro conto, o ti sei vergognato di loro? –O–

Se sei un genitore,

-5) Hai dimostrato mancanza di onore, amore e gratitudine verso i tuoi genitori alla presenza dei tuoi figli? –O–

-6) Li hai criticati respingendo i loro ordini? –O–

-7) Hai corretto e punito i tuoi figli per gravi trasgressioni, o proibito loro di esporsi a gravi occasioni di peccato? –O–

-8) Hai collaborato con gli insegnanti all’educazione dei tuoi figli? –O–

-9) Hai rifiutato di mandare i tuoi figli alla scuola cattolica quando avresti potuto farlo, od omesso senza permesso del Vescovo o del  parroco? –O–

-10) Se non esiste una scuola cattolica a te vicina, hai mandato almeno i figli al Catechismo fedelmente? –O–

-11) Hai partecipato con interesse alle loro lezioni di Catechismo? Hai collaborato col parroco o le suore nei loro progetti per stimolare la fede? –O–

-12) Hai addestrato e corretto i tuoi figli nella castità? –O–

-13) Sei stato irrispettoso verso le persone anziane? –O–

-14) Hai avuto adeguata cura per i figli e per i tuoi dipendenti sia in materia profana che religiosa, soprattutto dando loro un buon esempio? –O–

Se sei un figlio:

-15) Hai rifiutato di parlare con tuo padre e tua madre? –O–

-16) Provi risentimento verso di loro? –O–

-17) Hai obbedito ai genitori quando ti hanno ordinato di evitare cattive compagnie od occasioni di peccato? –O–

-18) Hai obbedito alle regole date per quanto riguarda persone da portare in casa, il trascorrere le ore notturne, il comportamento da tenere in casa? –O–

-19) Nel guadagnare denaro, quando vivevi a casa o quando eri ancora soggetto ai tuoi genitori, hai rifiutato di dare loro parte dei tuoi guadagni quando ne hanno avuto bisogno o ne hanno fatto richiesta? –O–

-20) Come cittadino, hai obbedito alle leggi della città e  del tuo Paese per la sicurezza ed il benessere di tutti? –O–

EPeccati contro il quinto comandamento
(5. : non uccidere.)

Il quinto comandamento proibisce: l’omicidio, il suicidio, la negligenza criminale che potrebbe causare gravi lesioni o morte di una persona, la forte rabbia e l’odio, l’aborto, l’eutanasia, l’uso di droghe, la sterilizzazione, l’ubriachezza, l’induzione a commettere un peccato mortale, il combattimento e il duello, la vendetta.

-1) Hai procurato, desiderato o  affrettato la morte di qualcuno? –O–

-2) Sei stato colpevole di rabbia, odio, litigi, vendetta? –O–

-3) Hai usato la lingua provocando, insultando o gettando nel ridicolo? –O–

-4) Ti sei rifiutato di parlare con altri? –O–

-5) Hai causato inimicizie? –O–

-6) Hai dato scandalo? –O–

-7) Hai mangiato o bevuto troppo? –O–

-8) Sei stato scortese, irritabile, impaziente? –O–

-9) Hai provocato in altri rabbia offendendoli, o fatto loro del male per ira o impazienza? –O–

-10) Hai avuto pensieri di gelosia, di vendetta, di avversione, di risentimento o di disprezzo verso gli altri? –O–

-11) Hai intrattenuto rapporti di compagnia con chi beve in eccesso? Li hai incoraggiati a bere? –O–

-12) Hai favorito la loro ubriachezza? –O–

-13) Hai trascurato la salute, messo in pericolo  la vita? –O–

-14) Hai trascurato di prenderti cura della salute dei tuoi figli o di coloro a te soggetti? –O–

-15) Hai messo in pericolo la vita di altri guidando  un’auto in stato di ebbrezza o tossicosi, con grave pericolo per la sicurezza, o in qualsiasi altro modo? –O–

FPeccati contro i sesto e il nono comandamento
(6. non commettere adulterio.)
(9. non desiderare la moglie del tuo prossimo.)

Questi due comandamenti richiedono purezza e modestia nella nostra vita: nei nostri pensieri, parole ed azioni, da soli o con gli altri. – In generale, questi comandamenti vietano: l’adulterio, la fornicazione, l’auto-abuso, le trasparenze indecenti, lo sbaciucchiare, i baci impuri, le danze e i balli provocanti, le espressioni volgari e sporche, i peccati contro natura, il controllo delle nascite, i tocchi sconvenienti, il petting, il guardare immagini impure, danze, spettacoli lascivi, film, la lettura di libri o riviste impuri.

-1) Hai avuto pensieri sconvenienti, impuri o immodesti, usate parole o fatte azioni impure da solo o con altri? –O–

-2) Hai usato parole o frasi a doppio senso? Hai raccontato storie sporche o provocanti? –O–

-3) Hai incoraggiato altri a farlo? Hai insegnato agli altri a farlo? –O–

-4) Hai evitato occasioni di peccato in questa materia? –O–

-5) Hai custodito la tua vista, o hai permesso agli occhi di vagare con curiosità su oggetti pericolosi? –O–

-6) Ti sei messo nell’occasione di peccare con la lettura di libri cattivi, con la visione di immagini indecenti, con cattive compagnie, assistendo a spettacoli immorali, guardando film, programmi televisivi o siti internet indecenti,  cantando canzoni oscene? –O–

-7) Hai distribuito riviste o libri osceni? Hai informato gli altri su dove e come fare a procurarseli? –O–

-8)Hai incoraggiato altri a leggerli? –O–

-9) Hai avuto desiderio di fare cose impure?  –O–

-10)Sei stato occasione di peccato per gli altri, con conversazioni, abbigliamento, aspetto o azioni provocanti? –O–

-11) Ti sei toccato  commettendo impurità? –O–

Se sposati:

-12) hai commesso peccato di impurità con persona sposata o single? –O–

-13) Ti sei dato ad effusioni prolungate, baci ed  abbracci con persona diversa dal tuo coniuge? –O–

-14) Hai usato mezzi contraccettivi nello svolgimento delle funzioni matrimoniali? –O–

-15) Hai rifiutato od omesso, senza motivi sufficienti, di assoggettarti al debito coniugale quando richiesto per fini leciti? –O–

GPeccati contro i comandamenti settimo e decimo
(7. non rubare.) – (10. non desiderare la roba d’altri.)

.-1) Questi comandamenti vietano: la rapina e il furto con scasso, il lucro da corruzione, tangenti, il furto con danno della proprietà altrui. –O–

Questi comandamenti non riguardano solo il rubare ma ogni tipo di comportamento disonesto, ad esempio il tradimento, l’ingiusto trattenere ciò che appartiene agli altri, il danno alla proprietà altrui, la frode da parte di funzionari pubblici. – Questi comandamenti sono violati anche da:

-2) i commercianti che usano falsi pesi e misure, –O–

-3) che fanno profitti esorbitanti o mentono circa le qualità essenziali dei loro prodotti; –O–

-4) da coloro che ottengono danaro, convincendo ad investimenti perdenti, con la garanzia di guadagno; –O–

-5) da coloro che consapevolmente spacciano denaro falso, o traggono vantaggio indebito dall’ignoranza o dalle necessità di un altro; –O–

-6) dai datori di lavoro che derubano i lavoratori; –O–

-7) dai dipendenti perditempo nelle ore lavorative, …–O–

-8) … o che eseguono il lavoro negligentemente –O–

-9) … o trascurano curar la proprietà dei datori di lavoro; –O–

-10) dai proprietari che applicano prezzi esorbitanti; –O–

-11) da chi non restituisce i prestiti; –O–

-12) da coloro che emettono assegni o carte false; –O–

-13) da chi non restituisce quanto trovato; –O–

-14) da chi vende articoli difettati al prezzo usuale; –O–

-15) da chi non paga le bollette o le tasse dovute; –O–

-16) da chi priva una famiglia delle sue necessità con gioco d’azzardo, alcool, droga o shopping inutile. –O–

-17) Hai rubato o conservato beni illeciti? –O–

-18) Hai danneggiato o perso cose di proprietà altrui? –O–

-19) Hai accettato tangenti, regali, mazzette? –O–

-20) Hai trascurato di effettuare la restituzione di beni indebitamente acquisiti, o di aiutare i poveri? –O–

-21) Hai desiderato i beni degli altri? –O–

– 22) Hai sperperato i tuoi  beni? –O–

-23) Come genitore, hai insegnato ai tuoi figli un rigoroso senso dell’onestà e della giustizia, punendo eventuali furti lievi o gli inganni? –O–

-24) Hai peccato secondo le suddette modalità? –O–

HPeccati contro l’ottavo comandamento
(8. non darai falsa testimonianza contro il tuo prossimo.)

Questo comandamento proibisce: bugie, calunnie, maldicenza, falsa testimonianza; critiche ingiuste, inutili ed eccessive; pettegolezzi, calunnie, insulti, giudizi temerari, narrazione di segreti che si è tenuti a conservare, imbrogli, tradimenti, notizie maliziose.

-1) Hai reso falsa testimonianza per o contro qualcuno? –O–

-2) Ti sei reso colpevole di qualche calunnia, adulazione, ipocrisia, menzogna, giudizio temerario? –O–
-3) Hai avuto cattivi pensieri su altri? –O–

-4) Hai alimentato sospetti, coltivato risentimenti –O–

-5) hai rifiutato di perdonare agli altri quando hanno chiesto scusa? –O–

-6) Hai riferito maldicenze dette su di te? –O–

-7) Hai riportato le colpe dei tuoi genitori, di tua moglie, o marito, dei figli, ad altri che non hanno a che fare nulla con di loro? –O–

-8) Ti sei comportato in casa in modo infastidito, con lamentele,  spropositi, ignominie, meschinità e litigi? –O–
-9) Hai provocato danni al tuo prossimo, senza provare poi a riparare quanto è successo? –O–

-10) Hai cercato di distruggere il buon lavoro svolto da un altro, o ad ostacolarlo e comprometterlo? –O–

-11) Sei stato sensibile, compassionevole, senza cattivi pensieri, o malizia con gli altri? –O–

IPECCATI CONTRO I PRECETTI DELLA CHIESA

I. Hai rispettato le domeniche ed i dì festivi come comandato dalla Chiesa? –O–

II.
Hai praticato il digiuno? Hai mangiato carne nei giorni proibiti? –O–

Hai incoraggiato altri a violare i precetti della Chiesa? –O–

Hai dato scandalo mancando di obbedire alla Chiesa in quest0? –O–

III. Sei andato a confessarti almeno una volta all’anno? –O–

Hai ricevuto la Santa comunione durante il tempo Pasquale? –O–

IV. Sei membro di società proibite? … un comunista, un socialista, un massone? –O–

V. Hai contribuito al sostegno della Chiesa, della scuola cattolica, del pastore e parroco? Hai impedito gli altri da tale adempimento? Hai fomentato ribellione contro l’autorità Chiesa?

Hai dato il cattivo esempio ai figli rifiutando di sostenere la Chiesa?

Hai provato ad insegnare ai figli a dare la loro offerta per il sostegno della Chiesa?

Hai ridicolizzato coloro che fanno la loro parte ed offrono spesse volte di più della loro quota a sostegno della Chiesa? –O–

VI. Ti sei sposato violando le leggi della Chiesa cattolica, –O–

… o aiutato altri a farlo? –O–

Sei in compagnie [associazioni, partiti, etc.] che potrebbero un giorno rivelarsi pericolose per te ed indurti ad una violazione di questo precetto della Chiesa? Incoraggi altri a intrattenere tali compagnie? –O–

OBBLIGHI DI UNO STATO IN VITA

Doveri dei figli

Hai disobbedito ai tuoi genitori? Sei  stato causa della loro rabbia? –O–

Hai causato loro dolore? –O–

Hai usato un linguaggio offensivo nei loro confronti? –O–

Hai conservato o sprecato il tuo salario che doveva servire per il loro sostegno? –O–

Hai incitato i tuoi fratelli e sorelle o altri contro di loro? –O–

Hai trascurato di confortarli o prestare loro aiuto? –O–

Li hai trascurati nella malattia e nella morte? –O–

Doveri dei mariti

Hai afflitto o abusato di tua moglie; o l’hai accusata ingiustamente? –O–

Hai trascurato di fornire sostegno alla tua famiglia? –O–

Hai dato ai tuoi figli cattivi esempi? –O–

Non sei riuscito a correggere i loro errori? –O–

Hai interferito con la loro vocazione religiosa? –O–

Compiti delle mogli

Hai disobbedito a tuo marito? –O–

Hai indotto i tuoi figli a disobbedirgli e disonorarlo? –O–

Hai parlato delle sue colpe ai tuoi figli o a conoscenti ? –O–

Hai trascurato di correggere i tuoi figli? Hai dato loro cattivo esempio? Li hai istruiti nella religione? –O–

Hai interferito con la loro vocazione religiosa? –O–

Peccati capitali:

Orgoglio, –O–

Invidia, –O–

Ira,  –O–

Pigrizia, –O–

Avarizia, –O–

Gola,   –O–

Lussuria –O–  .

Annotazioni personali …..

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE GLI ERETICI ED APOSTATI DI TORNO: CUM RELIGIOSI ÆQUE

Il Santo  Padre P. Lambertini, Benedetto XIV, riprende in questa lettera, un tema a lui particolarmente caro, l’insegnamento della Dottrina Cattolica, (tema già affrontato in: “Etsi minime”), argine all’ignoranza religiosa, foriera di condizioni spirituali e  materiali disastrose e che ha, come ultima conseguenza, la perdita dell’anima in eterno. Tra le altre, ricordiamo le esortazioni: “… che ogni Parroco faccia ciò che gli viene prescritto dal Sacro Concilio Tridentino ed anche dai Vostri Sinodi: che s’insegni in giorni determinati la Dottrina Cristiana dai Maestri e dalle Maestre delle Scuole; che i Confessori facciano il loro dovere quando qualcuno si accosta al loro Tribunale ignorando le cose necessitate Medii per salvarsi; e che lo stesso si faccia anche dai Parroci prima di congiungere in Matrimonio coloro che vogliono sposarsi. S’inculchi ai Padri di Famiglia e ai Padroni delle Case l’obbligo d’istruire e fare istruire i loro figli e i familiari nella Dottrina Cristiana …”. Queste esortazioni non sono state evidentemente sufficienti a richiamare tutti al loro dovere, cosicché, quando i satanici novatori, hanno ribaltato la dottrina cattolica, solo pochi hanno “arricciato il naso”, e nessuno ha veramente protestato abbaiando come saggi guardiani, e non restando cani muti, contro i lupi penetrati nell’ovile a sbranare le pecore … anzi non pochi pastori (finti e non) si sono seduti a mensa nelle agapi rosacrociane imbandite da quelli che hanno introdotto la sinagoga di satana nella Chiesa di Cristo: i nemici di Dio e di tutti gli uomini, come li appellava già l’Apostolo delle genti. Ed infatti, desti dal sonno profondo e colpevole, basterebbe rileggere solo pochi capitoli del Catechismo cattolico, per capire come la rivoluzione orgogliosa di lucifero, sia penetrata fin nelle midolla di falsi e corrotti prelati, tra i quali la maggior parte non sono mai stati ordinati, o per difetto di intenzione,  e privi di mandato e giurisdizione (ad es. i massonici cavalieri kadosh con le derivate “fraternità”, i tesisti eretici, i sedevacantisti cranio-vacanti, cerebro-privi, etc.), o per difetto di forma, come i falsi vescovi del “novus ordo” ordinati con la blasfema-gnostica formula dal 18 giugno del 1968. Riprendiamo allora i saggi consigli del Santo Padre Benedetto XIV, che tra l’altro ricorda S. Carlo Borromeo, studiamo la dottrina dagli scritti cattolici dei secoli scorsi che ancora si trovano, ed attendiamo fiduciosi il ritorno del Signore Gesù-Cristo che ristabilirà, ammantandola di nuovo splendore, la sua Sposa immacolata, la Chiesa Cattolica Romana, come ci ha promesso dicendo a Pietro, il Principe degli Apostoli: “portæ inferi non prævalebunt”.

Benedetto XIV

Cum Religiosi Æque

Essendoci stato rappresentato da persone di studio e zelanti dell’onore di Dio che sarebbe stata ottima cosa che nelle Nostre Basiliche Patriarcali di San Giovanni in Laterano, di San Pietro in Vaticano e di Santa Maria Maggiore si fossero stabiliti Ministri che istruissero i penitenti, i quali dalla Dataria Apostolica si trasferiscono alle predette tre Basiliche per adempiere in esse le opere servili e laboriose che vengono loro prescritte (e che devono adempiere prima che ad essi si rilasci la Dispensa Matrimoniale, per ottenere la quale si sono portati a Roma), e che l’istruzione si limiterebbe ad indurli a fare una fruttuosa Confessione ed a ricevere degnamente il Sacramento dell’Altare (il che viene pure prescritto loro dalla Dataria, oltre la visita delle sette Chiese e la salita alle Scale Sante); avendo Noi dato in materia gli ordini opportuni, come emerge nella Nostra Lettera Enciclica scritta ai Cardinali Arcipreti delle dette tre Basiliche in data 18 gennaio di quest’anno; avendo avuti sicuri riscontri dello zelo con il quale alcuni Canonici ed altri Ecclesiastici delle predette Basiliche si sono accinti indefessamente per l’esecuzione degli ordini dati, ne abbiamo avuto una straordinaria consolazione e ne abbiamo reso di cuore le dovute grazie al Signore Iddio, Autore di ogni bene.

1. La Nostra consolazione non è stata però completa in tutto e per tutto, essendoci stato riferito che in occasione dei Catechismi che si vanno facendo per disporre i Penitenti alla Confessione ed alla Comunione, si ritrovano spesso Dispensandi ignari dei Misteri della Fede, compresi quelli che sono necessari necessitate Medii; pertanto non possono essere ammessi ai Sacramenti. – A tale gravissimo inconveniente, quantunque i ricordati Ministri non manchino di porre gli opportuni rimedi con le necessarie istruzioni, non è però che oltre la sollecitudine e la fatica che quegli operai del Vangelo ritengono necessario ed indispensabile e che ben volentieri soffrono, ciò non amareggi i Dispensandi, i quali – essendo poveri e vivendo con le fatiche delle loro mani – non vedono l’ora di partire da Roma, tornare alle loro Patrie e contrarre il matrimonio cui anelano e per il quale hanno intrapreso il viaggio e si sono sottoposti alla pubblica, laboriosa penitenza.

2. Nel principio del Nostro Pontificato spedimmo una Lettera Enciclica nella quale eccitammo lo zelo dei Nostri Confratelli sull’insegnamento della Dottrina Cristiana nelle loro Diocesi. Abbiamo letto i loro Sinodi vecchie nuovi ed abbiamo riconosciuto che sono pieni di esortazioni e di istruzioni, e che nulla vi manca di quanto è necessario per l’importantissima opera dell’insegnamento della Dottrina Cristiana. Pertanto, in assoluta buona fede dichiariamo di essere persuasi che fra di loro non c’è nessuno che in questa materia abbia mancato al proprio Apostolico Ministero, e che l’ignoranza rilevata in alcuni loro Diocesani non sia determinata né provenga da loro colpa o negligenza, ma dalla ritrosia dei sudditi nell’ubbidire agli ordini dei loro Superiori, nel non andare alla Dottrina Cristiana e nell’accostarsi poche volte, o forse mai, a sentire la parola di Dio, o nell’incapacità di taluni di apprendere ciò che si insegna loro, o nell’essere stati alla Dottrina Cristiana solo nei primi anni della loro età senza più essersi curati di accostarsi a quei luoghi nei quali avrebbero potuto comodamente, e forse con maggior profitto intendere, nell’età adulta, quanto fu loro detto nell’età puerile, in modo che si riducono in tutto nella condizione simile a quella in cui si ritrovano coloro che nell’età puerile non sono mai stati istruiti né sono mai stati alla Dottrina Cristiana. Tutti questi disordini, che si sono verificati e si verificheranno nonostante le diligenze dei Nostri degni Confratelli, non esentano però Noi dal peso di dovere con questa Nostra Lettera Enciclica eccitare nuovamente il loro zelo, né esentano Essi dal proseguire e dall’accrescere le loro diligenze su una materia dalla quale dipende l’eterna salute delle Anime affidate alla loro cura.

3. Forse non vi sarà nessuno fra di Voi, Venerabili Fratelli, che non sia pienamente informato di quanto fece San Carlo Borromeo sia nella sua vasta Diocesi di Milano, sia in tutta la Provincia di cui era Metropolita, per stabilire un fruttuoso insegnamento della Dottrina Cristiana. Quante e quali furono le fatiche che Egli sopportò per ben fondare questo Santo Istituto! Quando Egli si accorse che le fatiche compiute non avevano conseguito il frutto che Egli desiderava, non si perdette d’animo ma aggiunse diligenze a diligenze, come si apprende dal suo quinto Concilio Milanese: “Nos multam hactenus diligentiam adhibuimus, ut omnes et singuli Christifideles in Fidei Christianae rudimentorum institutione erudirentur; sed cum parum Nos hucusque profecisse tanta in re cognoverimus, negotii, periculique magnitudine adducti, haec praeterea decernimus“. Era bastato a quel grande santissimo Presule sapere che v’era bisogno, per operare in avvenire, aggiungere diligenze a diligenze, nonostante quel molto che fino ad allora aveva fatto; nello stesso modo che bastò al Re degli Assiri avere avuto la notizia che le genti ignoravano i precetti di Dio: “Nuntiatumque est Regi Assyriorum, et dictum: gentes, quas transtulisti et habitare fecisti in Civitatibus Samariae, ignorant legitima Dei Terrae“, per spedirvi subito un Sacerdote che insegnasse a quei Popoli i precetti di Dio: “Praecepit autem Rex Assyriorum dicens: ducite illuc unum de Sacerdotibus, quos inde captivos abduxistis, et vadat et habitet cum eis, et doceat eos legitima Dei Terrae“, come si legge nel libro 4 Dei Re (2Re 17,27).

4. Noi, conformandoci a questo pratico insegnamento di San Carlo Borromeo, nonostante le diligenze finora praticate da Voi, Vi esortiamo, pregandovi per le viscere di Gesù Cristo, a non perdervi d’animo nella grande opera dell’insegnamento della Dottrina Cristiana. Fate che ogni Parroco faccia ciò che gli viene prescritto dal Sacro Concilio Tridentino ed anche dai Vostri Sinodi: che s’insegni in giorni determinati la Dottrina Cristiana dai Maestri e dalle Maestre delle Scuole; che i Confessori facciano il loro dovere quando qualcuno si accosta al loro Tribunale ignorando le cose necessitate Medii per salvarsi; e che lo stesso si faccia anche dai Parroci prima di congiungere in Matrimonio coloro che vogliono sposarsi. S’inculchi ai Padri di Famiglia e ai Padroni delle Case l’obbligo d’istruire e fare istruire i loro figlie i familiari nella Dottrina Cristiana.

Nelle Diocesi nelle quali è introdotta la disciplina, si prosegua; dove non è introdotta, si introduca che, prima o dopo la Messa Parrocchiale, si dicano ad alta voce, da parte dello stesso Parroco, gli Atti di Fede, Speranza e Carità, ben composti, ripetendo il Popolo le parole del Parroco. Non si trascuri l’adempimento dell’obbligo che ha il Parroco, se non di predicare nei giorni festivi, almeno di esporre dall’Altare il Vangelo al Popolo, e d’istruirlo nei Misteri principali della nostra Santa Religione, nei precetti di Dio e della Chiesa e in quanto è necessario per degnamente ricevere i Sacramenti. Si seguano le stesse orme dei Predicatori, ai quali si dia il salutare avvertimento di unire l’istruzione all’esortazione, dato che gli uditori hanno bisogno dell’una e dell’altra. Infine, il metodo d’insegnare (a chi è impreparato) la Dottrina Cristiana viene indicato da Sant’Agostino (De Catechizandis rudibus, cap. 10), dice essere utilissimo quello delle interrogazioni familiari, dopo aver fatto la spiegazione; dalla interrogazione familiare si rileva se chi l’ha udita l’ha capita, e se per farla capire occorre un’altra spiegazione: “Interrogatione quærendum est, utrum is, qui catechizatur, intelligat; et agendum, pro eius responsione, ut aut planius, et enodatius loquamur, aut quae illis nota sunt, non explicemus latius, etc. Quod si nimis tardus est, misericorditer succurrendus est, breviterque ea, quae maxime necessaria sunt, ipsi potissimum inculcanda“.

Teniamo per certo che da parte Vostra si farà sempre di più di quanto con questa Nostra Lettera Enciclica Vi additiamo. Nel frattempo, con pienezza di cuore, impartiamo a Voi, Venerabili Fratelli ed al Vostro Gregge, l’Apostolica Benedizione.

Dato da Castel Gandolfo, il giorno 26 giugno 1754, decimoquarto anno del Nostro Pontificato.

ÆÆ

DOMENICA II DOPO PENTECOSTE (2018)

Domenica II dopo Pentecoste (2018)

Incipit
In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus Ps XVII:19-20.

Factus est Dóminus protéctor meus, et edúxit me in latitúdinem: salvum me fecit, quóniam vóluit me. [Il Signore si è fatto mio protettore e mi ha tratto fuori, al largo: mi ha liberato perché mi vuol bene.] Ps XVII:2-3

Díligam te. Dómine, virtus mea: Dóminus firmaméntum meum et refúgium meum et liberátor meus. [Amerò Te, o Signore, mia forza: o Signore, mio sostegno, mio rifugio e mio liberatore.]

Factus est Dóminus protéctor meus, et edúxit me in latitúdinem: salvum me fecit, quóniam vóluit me.[Il Signore si è fatto mio protettore e mi ha tratto fuori, al largo: mi ha liberato perché mi vuol bene.]

Oratio

Orémus. Sancti nóminis tui, Dómine, timórem páriter et amórem fac nos habére perpétuum: quia numquam tua gubernatióne destítuis, quos in soliditáte tuæ dilectiónis instítuis. [Del tuo santo Nome, o Signore, fa che nutriamo un perpetuo timore e un pari amore: poiché non privi giammai del tuo aiuto quelli che stabilisci nella saldezza della tua dilezione.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Joánnis Apóstoli 1 Giov. III:13-18

“Caríssimi: Nolíte mirári, si odit vos mundus. Nos scimus, quóniam transláti sumus de morte ad vitam, quóniam dilígimus fratres. Qui non díligit, manet in morte: omnis, qui odit fratrem suum, homícida est. Et scitis, quóniam omnis homícida non habet vitam ætérnam in semetípso manéntem. In hoc cognóvimus caritátem Dei, quóniam ille ánimam suam pro nobis pósuit: et nos debémus pro frátribus ánimas pónere. Qui habúerit substántiam hujus mundi, et víderit fratrem suum necessitátem habére, et cláuserit víscera sua ab eo: quómodo cáritas Dei manet in eo? Filíoli mei, non diligámus verbo neque lingua, sed ópere et veritáte.”

I Omelia

[Mons. Bonomelli; Nuovo saggio di Omelie, Marinetti ed. vol III – Torino 1899, Omel. V]

“Non fate le meraviglie, o fratelli, se il mondo vi odia. Noi sappiamo d’essere stati tramutati dalla morte alla vita, perciò amiamo i fratelli. Chi non ama, resta nella morte. Chiunque odia il fratello suo è un micidiale; ora voi sapete, che nessun omicida ha la vita eterna in sé. In questo poi abbiamo conosciuto la carità di Dio, ch’Egli diede per noi la sua vita, e noi dobbiamo per i fratelli dare la vita. Ora se alcuno ha dei beni di questo mondo e, veduto il fratello trovarsi in necessità, chiuda il suo cuore verso di quello, come mai la carità di Dio alberga in costui? Figliuoletti miei, facciamo di amare, non in parole e colla lingua, ma coi fatti e con la verità. „ (S. Giovanni, I . c. III, vers. 13-18). –

Voi stessi avrete compreso, che queste sentenze debbono appartenere all’Apostolo della carità, S. Giovanni. Gli scritti di questo diletto discepolo di Gesù Cristo, e specialmente la prima delle sue lettere dalla quale è tolto il brano che avete udito, hanno un carattere tale, una fisionomia sì spiccata, che è impossibile non riconoscerne tostamente l’autore. – Pressoché tutte le sue sentenze sono un’armonia continuata, una variazione stupenda di due soli motivi fondamentali, l’amore di Dio e l’amore del prossimo. Nessuno degli autori ispirati del nuovo Testamento meglio di lui mise in luce l’indole e la natura della legge di grazia, che è l’amore, secondo quella sentenza di nostro Signore, che disse: “La legge ed i profeti si compendiano nella carità “Ex quo universa lex pendet et prophetæ”.– Nessuna meraviglia pertanto che negli scritti di Giovanni, e nominatamente nella prima lettera, siano frequentissime le ripetizioni. Narra S. Girolamo, che l’evangelista e l’Apostolo della carità, già nonagenario, era portato a braccia dai discepoli in mezzo alla radunanza dei fedeli, affinché rivolgesse loro qualche parola di edificazione. Ed egli non faceva che ripetere queste parole: “Miei figlioletti, amatevi tra di voi. „ Annoiati i fedeli, gli domandarono, perché dicesse sempre la stessa cosa; ed egli, scrive S. Girolamo, diede una risposta degna di lui: “Perché, disse, è comando del Signore, e se questo si osserva, basta. „ La lettera, che abbiamo di lui, si direbbe essere la fedele ripetizione della esortazione che l’Apostolo faceva alle pie adunanze, delle quali fa cenno Girolamo. – Se voi pertanto udrete, anche in questa omelia, ripetuta più e più volte la stessa verità dell’amore fraterno, non vogliate meravigliarvi né annoiarvi: è precetto del Signore, e se questo si adempie, basta. Seguitiamo dunque il maestro e l’Apostolo della carità, e meditiamone le sante parole. Perché possiate intendere meglio la spiegazione dei versetti sopra riferiti, è mestieri rifarci alquanto indietro e rilevare il nesso che corre tra loro. Quelli che fan male, dice S. Giovanni, perciò stesso che fan male, si mostrano seguaci del demonio, e figli di Dio si palesano quelli che fanno bene. Il grande annunzio portato sulla terra da Gesù Cristo, è l’amore dei fratelli. Il mondo, cioè i cattivi, i seguaci del demonio, odiano naturalmente i buoni, i figli di Dio: essi cominciano da Caino, che odiò ed uccise il fratel suo, Abele e continuano sino a noi. Per il che, dice Giovanni: “Non fate le meraviglie, o fratelli, se il mondo vi odia. „ È questa la ripetizione alla lettera d’una sentenza di Gesù Cristo che leggiamo nel Vangelo dello stesso Giovanni: ” Voi non siete del mondo, anzi Io vi ho eletti dal mondo, per questo il mondo vi odia „ (XV, 19). Il santo Apostolo non vuole che ci meravigliamo di questo odio del mondo contro i discepoli di Gesù; eppure a me sembra cosa piena di meraviglia, perché quasi incredibile. Questi Cristiani, a somiglianza del divino loro Maestro, non fan male a chicchessia; amano tutti come fratelli, a tutti fanno quel bene che possono, anche ai loro nemici più implacabili: sono umili, modesti, pazienti, casti, adorni di tutte le virtù, formano lo stupore degli stessi pagani. Nessuno dunque poteva odiarli, tutti dovevano amarli, od alla men peggio tollerarli. Nondimeno essi sono fieramente odiati, e S. Giovanni afferma che nessuno doveva stupirne: “Nolite mirari si odit vos mundus”. Come ciò? Come si spiega questa contraddizione manifesta del mondo? Il mondo, cioè gli uomini tristi, generalmente odiano i buoni e li devono odiare: le tenebre sono nemiche della luce e i tristi sono nemici dei buoni; la virtù di questi è un rimprovero continuo e amaro per quelli: la condotta dei buoni è la condanna dei malvagi, sveglia nei loro cuori il rimorso, li umilia, li offende, li ferisce, e perciò non vorrebbero vederli, né udirli, e se fosse possibile li vorrebbero sbanditi dalla terra. L’odio dei malvagi contro dei buoni, più che dalla ragione e dalla riflessione, deriva dall’istinto, nasce dalla natura delle cose; è l’odio del lupo per l’agnello, del cane che si getta sulla lepre: non provocati e nemmeno stimolati dalla fame, il lupo sbrana l’agnello, il cane insegue e addenta la lepre, e l’uomo tristo si strugge di odio contro il virtuoso. Il mondo ha odiato e perseguitato gli Apostoli, tutti i Santi, il Santo dei santi, Gesù Cristo: e noi stupiremo che odi e perseguiti quelli che camminano dietro a Lui? – Il mondo ci odia, come Caino odiò Abele, e i Giudei odiarono Cristo: quale conforto possiamo avere? Questo: “Noi sappiamo di essere stati tramutati dalla morte alla vita „ – Che importa a noi l’essere odiati e perseguitati da questo mondo perverso? Noi camminavamo nelle tenebre dell’errore: eravamo noi pure figli di questo mondo riprovato e morti a Dio; ora, per sua grazia, siamo usciti da queste tenebre, ci siamo separati da questo mondo, siamo sfuggiti alla morte, e pel Battesimo e per la fede siamo entrati nel regno della vita. E come lo sappiamo noi? Quale prova ne abbiamo? Questa è sicurissima: “Che amiamo i fratelli, – Quoniam diligimus fratres„ Segno infallibile che abbiamo la vita della grazia, a cui risponderà a suo tempo la vita della gloria, è il sentire in noi stessi l’amore verso de’ fratelli. Non dubito punto, che con la parola fratelli, qui usata, S. Giovanni intenda non solo i fratelli nella fede, ma tutti indistintamente gli uomini, anche non credenti e nemici, perché anche questi sono fratelli. E invero S. Giovanni in questo luogo vuol mettere sottocchio ai suoi lettori Cristiani il contrassegno indubitato, ch’essi sono nel regno della vita divina, e lo mette nella carità fraterna. Se questa carità fosse stata circoscritta ai pochi Cristiani che allora esistevano, ad esclusione di tutti gli altri, come poteva essere un segno ch’essi erano trasportati nel regno della vita, nel regno di Gesù Cristo? Anche gli Ebrei, anche i pagani, fino ad un certo punto si amavano tra loro, almeno i congiunti, almeno gli amici, i conoscenti, i connazionali, ma se noi pigliamo questa parola “fratelli, nel senso amplissimo, in quantoché abbraccia tutti gli uomini, allora ci dà veramente il carattere sovraumano e divino della carità. “Noi, così S. Giovanni, abbiamo una prova d’essere figli di Dio in questo, che amiamo tutti gli uomini e tutti li teniamo in conto di fratelli, anche quando ci odiano, ci calunniano e ci perseguitano. „ Questo amore universale, sì generoso e sì costante, all’uomo è impossibile con le sole forze della natura: esso non può venire che dall’alto, da Dio stesso, è dono al tutto suo, e perciò in esso noi abbiamo la certezza d’essere veri seguaci di Gesù Cristo, e d’avere nei nostri cuori la sua grazia: “Nos scimus, quoniam translati sumus de morte ad vitàm, quoniam diligimus fratres”. – Accennata la carità verso dei fratelli, questo segno caratteristico dei discepoli di Gesù e della trasformazione meravigliosa operata dalla grazia, S. Giovanni, seguendo il suo stile, dirò meglio, il bisogno del suo cuore, mostra il pregio di questa virtù e scrive: “Chi non ama, dimora nella morte: „ “Qui non diligit, manet in morte”. Chi non ama, cioè chi non ha l’amore dei fratelli, l’amore operoso, che scaturisce dalla grazia, è in peccato, e perciò, ancorché vivo nel corpo, è morto nell’animo. L’anima, per fermo, è immortale per se stessa, come apprendiamo dalla fede e sappiamo dalla ragione: ma priva della grazia, è separata da Dio, e perciò priva della fonte d’ogni vita. Il corpo come e perché è vivo? È vivo in quanto e perché è unito all’anima, che tutto lo penetra ed informa. Separate l’anima dal corpo: che vedete voi? Esso è morto, e va tosto disfacendosi. Così fate che l’anima sia separata dalla grazia, ossia da Dio, essa è come morta. Ora non apparisce la sua morte agli occhi del corpo, come nella stagione invernale non apparisce quali siano gli alberi vivi e quali morti: ma aspettate la bella stagione ed allora vedrete morti i morti e vivi i vivi. Similmente quanto all’anima, e per ragion dell’anima anche quanto al corpo: aspettate la seconda venuta di Gesù Cristo, aspettate: Rispunti il sole di eterna giustizia e vedrete che cosa voglia dire la morte dell’anima e del suo compagno eterno. – L’anima senza la grazia o senza la carità, è in stato di morte. Questa idea della morte desta nello scrittore ispirato un’altra idea analoga, ma che rischiara e ribadisce la prima: “Chiunque odia il fratel suo è omicida. Parmi chiaro che per S. Giovanni il non avere amore per i fratelli è un odiarli, ancorché per sé il non amare non sia sempre odiare, giacché si concepisce uno stato di indifferenza, quasi medio tra l’amore e l’odio. Ma in questo luogo l’Apostolo dice chiaramente: “Chi non ama, odia, e chi odia il fratello è omicida. „ Omicida di chi? Di sé o del fratello? Si può intendere che è omicida di sè, perché non avendo in sé la carità verso il fratello, anzi odiandolo, pecca gravemente, e perciò uccide l’anima sua, e in questo senso disse benissimo S. Ambrogio, che “chi odia, anzitutto uccide se stesso, „ Qui odit, non alium prius quam seipsum occidit”. Ma non sembra questo il senso più ovvio e naturale della sentenza apostolica: essa sembra esigere che l’ucciso non sia chi odia, ma l’odiato. Ma come può dire che chi odia il fratello lo uccide? Non è questa una esagerazione? Tra l’odiare e l’uccidere una persona corre una differenza grandissima. É vero l’odio non è l’omicidio, e guai al mondo se l’uno fosse sempre l’altro: ma ricordiamoci, o fratelli, di un’altra sentenza del Vangelo simile a questa: “Chi avrà rimirata una donna con desiderio di lei, dice Gesù Cristo, ha già commesso peccato con lei in cuor suo „ (Matt. V, 28). Il che vuol dire, che il solo pensiero deliberato di commettere peccato, dinanzi a Dio è come commesso, perché Dio vede e giudica i cuori; similmente in questo luogo S. Giovanni vuol dire: badate, o figliuoli, di non albergare nel vostro cuore odio contro il fratello, perché quell’odio vi porterà a volere il suo male e a desiderare di torgli la vita e a toglierla di fatto. Ed in vero, donde le risse, i ferimenti e gli omicidi? Dall’odio. L’odio partorisce l’omicidio e in quanto ne è causa si può chiamare omicida chi lo accoglie in cuore. Scrive S. Girolamo (Epist. 36 Ad castor.). Grazie a Dio, non sono molti quelli che odiano il fratello: ma quelli che lo vedono di mal occhio, che nutrono rancore contro di lui, che non sanno dimenticare un’offesa ricevuta, spesso immaginaria, che tengono chiuso cuore con lui e se non l’odiano, certo non l’amano, pur troppo sono molti, e non è il caso anche tra persone che si reputano devote. Che dire di costoro? Dio solo legge nei cuori e pesa sulla sua bilancia le colpe degli uomini: ma ciò che è indubitato è, che di questo difetto di carità, comunemente non si tiene calcolo o leggero, tantoché le stesse persone non se ne curano. Eppure vi è sempre colpa e tale che spesso apre la via all’odio manifesto. Carissimi! stiamo in guardia e non lasciamo penetrare nel nostro cuore questo mal seme, che traligna facilmente in odio. – Ora, domanda l’Apostolo, qual è la pena riserbata all’omicida? La morte. Dunque, chi odia non può avere la vita eterna. E qui S. Giovanni torna da capo all’idea della carità ed al modello supremo della carità, che è Gesù Cristo, ed esclama: “E in questo noi abbiamo conosciuto la carità di Dio, che Egli diede per noi la sua vita. „ Gli uomini troppo spesso odiano e tolgono la vita ai fratelli loro: Gesù Cristo per contrario ama tutti gli uomini, e li ama per guisa che dà per essi la sua vita. Quale e quanta carità! Qual modello da imitare! E non è fuor di proposito l’osservare come San Giovanni in questo luogo chiami Gesù Cristo Dio, giacché dice espressamente, che noi abbiamo conosciuto l’amore di Dio nel fatto che Egli diede la sua vita per noi. Ora chi diede la sua vita e si immolò per noi? Gesù Cristo! Dunque Gesù Cristo in questa sentenza è chiamato Dio. E che dobbiamo apprendere da Gesù Cristo, modello supremo di carità? ” Egli diede per noi la sua vita e noi dobbiamo porre la nostra per i fratelli. „ Questa sentenza di nostro Signore significa forse che noi possiamo sacrificare la vita dell’anima, la vita eterna per la salvezza spirituale dei fratelli nostri? Più che una follia sarebbe un’empia bestemmia il solo pensarlo: la vita dell’

anima è il supremo nostro bene, e per esso tutto devesi sacrificare, non mai esso ad altro bene quale che sia. La vita di cui parla S. Giovanni e che noi dobbiamo sacrificare per i fratelli, non può essere che la vita del corpo. Ma come? direte voi. Siamo noi obbligati a dare la vita per i fratelli nostri? È questo un Debemus, come dice il sacro testo? E sempre? Ma in tal caso noi saremmo tenuti ad amare il prossimo più di noi stessi, mentre il Vangelo e la stessa natura ci impongono di amare il prossimo come noi stessi, cioè ad imitazione dell’amore che dobbiamo a noi medesimi. – La risposta è piana e manifesta. L’ordine della carità vuole che amiamo noi stessi più dei fratelli, perché ciascuno è più prossimo a sé che non lo sia il fratello, e perciò per regola ordinaria nessuno è tenuto a dare la sua vita per salvare quella del fratello. E se lo fa, che diremo noi? Se per salvare chi travolto dalla corrente d’un fiume, chi è circondato da un incendio, altri si getta nel fiume e si slancia tra le fiamme, diremo che viola l’ordine della carità, che merita biasimo? Ce ne guardi il cielo: nessuno è obbligato a far questo, onde se non lo fa, non pecca, perché non viola nessuna legge: ma se lo fa noi lo saluteremo come un eroe e ci inchineremo riverenti dinanzi a tanta grandezza d’animo, a questo martire glorioso della carità, a questo imitatore del divino Maestro, che diede la vita per noi! – E se accadesse che per salvare la vita spirituale del fratello fosse necessario far getto della mia temporale, sarei io tenuto ad immolarla? Senza dubbio sarei tenuto ad immolarla quando fossi tenuto per ufficio, che tengo. Onde in ogni tempo noi vedemmo sacerdoti, parrochi, vescovi, pastori di anime non esitare un istante a sfidare la morte al capezzale degli appestati negli ospedali e nei lazzaretti per offrir loro i conforti della Religione. Se il soldato, fedele al suo dovere, non paventa la morte sui campi di battaglia per la difesa della patria, per gli interessi della terra, come potremmo esitar noi ad affrontare la morte, allorché si tratta degli interessi del cielo, dell’acquisto della patria superna? No, non vi è sulla terra spettacolo più sublime di colui che offre il sacrificio della propria vita per salvare la vita temporale del fratello: che dovrà essere quando l’offre per salvare non la vita temporale, ma l’eterna del fratello? – Dopo aver parlato della carità verso dei fratelli in genere e del supremo suo grado che consiste in dare per essi, se è necessario, anche la vita, il nostro Apostolo discende alla pratica applicazione più comune della carità, e così prosegue: “Se alcuno ha beni in questo mondo e, veduto il fratello trovarsi in necessità, chiuda il suo cuore verso di quello, come mai la carità di Dio albergherà in costui? „ – La carità, la vera carità si manifesta nelle opere: vuoi tu conoscere se questa carità alberga nel tuo cuore? Guarda alle opere: la bontà dell’albero si conosce e si giudica dai frutti e non dalle foglie. Vedi tu il fratello che soffre la fame? che mal vestito trema dal freddo? che non ha tetto, che lo copra? Che non ha un giaciglio su cui passare la notte? Che infermo non ha chi lo assista? che soffre e non ha chi lo conforti? Qui si vedrà alla prova la tua carità. A te sfamarlo, vestirlo, trarlo, soccorrerlo con la limosina, o meglio ancora, se è possibile, col dargli lavoro, limosina che non umilia: a te, se non puoi aiutarlo del tuo, farti suo avvocato presso chi può soccorrerlo: a te rivolgergli una parola di consiglio, di conforto, aprirgli il tuo cuore affinché egli ti apra il suo. – Il mondo, atterrito, ode grida di minaccia e vede turbe di uomini che si aggirano per le vie chiedenti pane o lavoro: vede un esercito immenso di sofferenti, che aspettano o vagheggiano l’ora dello sconvolgimento sociale: il fragore della bufera (che vale dissimularlo?) più e più si avvicina: la marea monta, monta sempre e finirà col passare come un torrente di lava su tutto il continente, distruggendo tutto ciò che troverà sul suo passaggio. Vi è un rimedio, che ci salvi da tanta rovina? Sì, vi è; ma non è riposto nei discorsi, nei trattati, nei libri dei dotti e nemmeno nelle leggi e nella forza armata

a difesa delle leggi. Esso sta riposto nella gran legge della carità: gli istruiti, i ricchi, i grandi si abbassino, amino davvero i loro fratelli, li ammaestrino, li soccorrano: li soccorrano nel loro superfluo, e sopratutto si mescolino a loro, formino con essi una sola famiglia per quella carità che tutto pareggia, e la bufera sarà dissipata. La soluzione del tremendo problema che si agita intorno a noi, è tutta in questi due periodi di S. Giovanni: “Se qualcuno ha beni di questo mondo e, veduto il fratello trovarsi in necessità, chiuderà il suo cuore verso di lui, come mai la carità di Dio albergherà in esso? Figliuoletti miei, facciamo di amare, non con parole e con la lingua, ma con le opere e in verità. „ Ecco il rimedio infallibile ai mali che ci minacciano; ecco la vera e pratica soluzione del problema che ci affanna: la eguaglianza, figlia non della forza e della ingiustizia, ma della carità volontaria. – Chiuderò la mia omelia, ripetendo le parole di due Padri della Chiesa: il primo parla al Vescovo e, fatta proporzione, ai preti; l’altro a voi, o laici. Udite il primo, S. Bernardo: “Guai a te, vescovo. Non ti è lecito spiegar lusso con i beni della Chiesa e sprecare in cose superflue: non ti è lecito arricchire: non ti è lecito portare in alto i consanguinei: non ti è lecito fabbricare palazzi: tutto ciò che oltre il vitto necessario ed il semplice vestito tieni dalla Chiesa, non è tuo: è rapina, è sacrilegio! „ – Udite il secondo, o laici: ” Forse che tu non sei spogliatore, tu, che reputi tuo ciò che hai ricevuto per distribuirlo altrui? Quel pane, che tieni per te, è pane dell’affamato: appartiene all’ignudo quella veste che conservi nell’armadio: allo scalzo spettano quei calzari che si consumano in casa tua: è denaro del povero quello che crudelmente possiedi. Ondeché tu fai ingiuria a tanti poveri, quanti sono quelli, ai quali potresti porgere soccorso. „

Graduale

Ps CXIX:1-2 Ad Dóminum, cum tribulárer, clamávi, et exaudívit me. [Al Signore mi rivolsi: poiché ero in tribolazione, ed Egli mi ha esaudito.]

Alleluja

Dómine, libera ánimam meam a lábiis iníquis, et a lingua dolósa. Allelúja, allelúja [O Signore, libera l’ànima mia dalle labbra dell’iniquo, e dalla lingua menzognera. Allelúia, allelúia]

Ps VII:2 Dómine, Deus meus, in te sperávi: salvum me fac ex ómnibus persequéntibus me et líbera me. Allelúja. [Signore, Dio mio, in Te ho sperato: salvami da tutti quelli che mi perseguitano, e liberami. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam.

Luc XIV:16-24

“In illo témpore: Dixit Jesus pharisæis parábolam hanc: Homo quidam fecit coenam magnam, et vocávit multos. Et misit servum suum hora coenæ dícere invitátis, ut venírent, quia jam paráta sunt ómnia. Et coepérunt simul omnes excusáre. Primus dixit ei: Villam emi, et necésse hábeo exíre et vidére illam: rogo te, habe me excusátum. Et alter dixit: Juga boum emi quinque et eo probáre illa: rogo te, habe me excusátum. Et álius dixit: Uxórem duxi, et ídeo non possum veníre. Et revérsus servus nuntiávit hæc dómino suo. Tunc irátus paterfamílias, dixit servo suo: Exi cito in pláteas et vicos civitátis: et páuperes ac débiles et coecos et claudos íntroduc huc. Et ait servus: Dómine, factum est, ut imperásti, et adhuc locus est. Et ait dóminus servo: Exi in vias et sepes: et compélle intrare, ut impleátur domus mea. Dico autem vobis, quod nemo virórum illórum, qui vocáti sunt, gustábit coenam meam”.

Omelia II

[Ut supra, omel. VI]

Gesù disse: Un certo uomo fece una gran cena ed invitò molti. E all’ora della cena mandò il suo servo per dire agli invitati che venissero perché tutto era pronto. Ma quelli tutti ad un modo, cominciarono a scusarsi. Il primo disse: Ho comperato una villa e devo andarla a vedere: te ne prego abbimi per scusato. Ed un altro disse: Ho comperato cinque paia di buoi e vo a provarli: te ne prego, tienimi per scusato. Ed un terzo disse: Ho menato moglie e perciò non posso venire. E tornato il servo, ogni cosa riferì al padrone. Allora il padrone di casa indignato, disse al servo: Esci tosto nelle piazze e per le strade della città e mena qua i mendici, i monchi, gli storpi e i ciechi. Poi il servo gli disse: Signore, si è fatto come hai comandato e vi è ancora posto. E il padrone disse al servo: Va per le strade e per le siepi e costringili ad entrare affinché la mia casa si riempia. Perché io vi dico che nessuno di coloro che furono invitati assaggerà la mia cena „ .

Evidentemente la Chiesa ci fa leggere la parabola che vi ho recitata, in questa Domenica che corre nell’ottava del Corpus Domini, perché in essa vede in qualche modo adombrato, almeno indirettamente, il banchetto eucaristico. Somigliantissima a questa parabola di san Luca, a quella che troviamo nel capo XXII di S. Matteo, a talché parve ad alcuni interpreti che in sostanza le due parabole fossero una medesima parabola con alcune leggere differenze. Ma se le raffrontiamo accuratamente tra loro, è agevole il vedere che sono distinte, e che Gesù le recitò in tempi e luoghi diversi, con diverso intendimento, e che gli aggiunti diversi non permettono di confonderle in una sola (S. Ireneo e dopo lui il Maldonato ritennero identica la parabola riferita dai due Evangelisti con qualche differenza. Forse fu la stessa parabola proposta due volte da nostro Signore con qualche varietà e con diverso fine). Gesù, nei versetti che precedono la nostra parabola, aveva esortato gli uditori di mettersi sempre all’ultimo posto e di invitare ai conviti quelli che, essendo poveri, non possono ricambiare, perché, in tal modo operando, la mercede sarà data da Dio nella vita futura. Si comprende facilmente il perché di questa dottrina di nostro Signore, quando si avverta ch’Egli la espose mentre si trovava a mensa presso uno de’ principali farisei che l’aveva invitato. Udita quella dottrina, un tale che sedeva a mensa e di cui il Vangelo non ci lasciò il nome, esclamò: “Beato colui che siederà alla mensa nel regno di Dio. „ Allora Gesù, cogliendo occasione da quelle parole, disse la parabola che siamo per spiegare e nella quale rappresenta il regno di Dio sotto la immagine, a Lui famigliare, d’un grande convito. Ora a noi, o carissimi. – “Un certo uomo fece una gran cena e invitò molti. E all’ora della cena mandò il suo servo per dire agli invitati che venissero, perché tutto era pronto. „ Chi è desso quest’uomo, questo signore, che fa la gran cena? Chi rappresenta? Indubbiamente esso rappresenta Dio, o l’uomo-Dio, Gesù Cristo. E la cena che cosa adombra? Può adombrare la Chiesa militante: può adombrare eziandio la S. Eucaristia; ma sembra più naturale il dire che raffigura la vita eterna, la gloria celeste, a cui tutti sono chiamati gli uomini. Voi vedete che in questa senso la cena racchiude indirettamente la Chiesa militante e la S. Eucaristia, perché nessuno può aver parte a questa cena se prima non sia entrato nella Chiesa e non abbia partecipato alla Eucaristia. Si dice cena, perché si dà sul chiudersi della vita presente, che rispetto all’eternità è come un giorno, perché è come la mercede dovuta a chi ha lavorato tutto il giorno. Si dice poi cena grande, sia perché ivi tutti sono invitati, sia perché dura eternamente, sia perché la ricchezza di quella cena non ha l’eguale per la copia dei beni che faranno sazio ogni nostro desiderio. Il servo, che a nome del padrone chiama al banchetto gli invitati, rappresenta i profeti, gli Apostoli, tutti i continuatori del ministero apostolico, tutti i ministri della Chiesa, per mezzo dei quali Dio, in tutti i tempi e in tutti i luoghi, fa udire la sua voce ed invita tutti alla Cena dell’Agnello, all’acquisto cioè, della vita eterna. Ho detto che Dio invita; alla gran cena; ma taluni di voi potrebbero farmi osservare che il sacro testo dice: molti e non tutti — Vocavit multos. — Ma voi sapete la parola molti significa talvolta tutti, la moltitudine, e veramente tutti sono molti, e qui senza dubbio, tutti sono invitati alla gran cena. E non è verità di fede che Iddio vuol salvi tutti gli uomini? che Gesù Cristo è morto per tutti? che Dio non vuole che alcuno perisca? La stessa ragione non ci dice che Dio, infinita bontà, deve volere la salvezza e la felicità di tutti gli uomini senza eccezione? Ora se Iddio, quanto è da sé, non chiamasse tutti alla sua cena, non tutti li vorrebbe salvi, giacché quelli che non invita, non possono venire a lui, e non venendo, perirebbero necessariamente. Dio pertanto invita, chiama  tutti al convito della vita eterna: vari sono i modi, ma non uno è escluso. Dio chiama con la parola dei profeti, dei patriarchi, degli apostoli, dei ministri: Dio chiama con l’esempio, coi rimorsi, con le ispirazioni interne, direttamente, indirettamente, coi libri, con le figure, con la voce della coscienza, in mille svariatissime maniere, note a Lui solo, ma invita, ma chiama tutti; e chi non fosse chiamato potrebbe dirgli: Signore! io non potevo venire alla vostra cena senza essere chiamato da Voi; Voi non mi avete chiamato e perciò non sono venuto: se colpa v’ è, non è mia, ma Vostra, perché non faceste giungere a me la vostra voce. Ecco perché Gesù nella parabola, non dice che l’invito fosse rifiutato ad un solo, verità che più innanzi nella parabola sarà più  manifesta. – Checché sia degli altri, vi è tra voi un solo che non sia stato invitato alla cena della vita eterna e ripetutamente e con le più calde istanze? Dio non vi ha prevenuto con le sue grazie, facendovi nascere in seno alla Chiesa? Non ha circondata la vostra infanzia, la vostra fanciullezza, la vostra giovinezza, la vostra virilità, la vostra vecchiaia de’ suoi favori?  Quante volte il servo del gran Padrone è venuto a voi, a chiamarvi, ad invitarvi alla cena? Come avete risposto? Alla vostra coscienza la risposta… – Gesù prosegue la sua parabola: “Gli invitati, tutti ad un modo, cominciarono a scusarsi. „ Voi sapete, che rifiutare un invito grazioso ed autorevole senza motivo proporzionato, è offesa che si fa, e tanto maggiore quanto è maggiore la dignità della persona che invita. E non dirle col fatto che non curiamo l’onore d’essere suoi commensali, che preferiamo i nostri comodi. Che scusa addussero gli invitati? – Il primo disse: Ho comperato una villa e devo andare a vederla: te ne prego, abbimi per scusato. Ed un altro disse: Ho comperato cinque paia di buoi e vo a provarli: te ne prego, tienimi per scusato. Ed un terzo: Ho menato moglie e perciò non posso venire. „ – Gli invitati che rifiutano di recarsi alla cena sono distinti in tre categorie e in queste tre categorie gli interpreti vedono indicate le tre concupiscenze capitali, che secondo S. Giovanni signoreggiano il mondo: la concupiscenza degli occhi, la concupiscenza della carne  e l’orgoglio della vita, ossia l’amore sregolato dei beni materiali, dei piaceri sensuali e della propria eccellenza. E in vero tutti i motivi o, meglio, i pretesti, pei quali l’uomo si sottrae agli inviti della grazia e si rifiuta di sedere al banchetto della vita eterna, si riducono costantemente a questa triplice concupiscenza, che ci incatena ai beni della terra, ai piaceri del corpo e all’orgoglio del proprio spirito. – “Che altro significa la villa, scrive S. Gregorio, se non i beni della terra? Egli se ne andò a vedere la villa, perché aveva tutti i pensieri e tutti gli affetti nei beni materiali (Homil. 36 in Evangel.). „ O miei cari figliuoli! quale spettacolo si dispiega continuamente sotto dei nostri occhi! Che fanno essi tutti o quasi tutti gli uomini? In mille modi essi corrono dietro senza posa ai beni della terra: chi attende al commercio, chi all’industria, chi ad acquistare campi e farli fruttare: tutti sono intesi ad accumulare danari, strumento del godere! È forse per questi beni, che Iddio ci ha creati? E quando pure potessimo procacciarli e possederli, vi troveremmo noi la felicità, la vera felicità, della quale andiamo in cerca? Oh! certamente no. Il nostro cuore, fossimo anche padroni del mondo intero, non direbbe mai basta, non troverebbe mai la felicità che domanda, sarebbe sempre inquieto e desolato. Perché dunque correre dietro a questi beni della terra, volgendo le spalle ai messi del Signore che ci invita alla sua cena, al godimento di quei beni che nessuno potrà più mai rapirci e che sazieranno per sempre tutti i desideri del nostro cuore? Questi beni della terra, dei quali siamo sì ghiotti, ci saranno irrevocabilmente tolti, al più tardi, alla nostra morte, e più li avremo amati e più acuto e straziante sarà il dolore di doverli lasciare. Dunque è sapienza lo staccare da essi il cuor nostro, prima che la morte ce ne divella a viva forza; è sapienza collocarlo là dove vivrà eternamente e dove troverà la vera e perfetta felicità. Nessuno pertanto di noi risponda villanamente a Dio, che ci chiama all’eterno convito: Ho comperato una villa, devo andare a vederla. –  – E l’altro disse: Ho comperato cinque paia di buoi e vo a provarli. „ In costui vediamo designati ancora quegli uomini che sono ingolfati negli affari mondani, come e peggio di quelli accennati sopra, giacché i buoi servono a coltivare la terra e sono congiunti, per naturale associazione di idee, alla terra ed ai proprietari della stessa. Tra la classe di uomini indicata sopra e quella qui designata, se male non vedo, corre quel divario, che corre tra i padroni o proprietari della terra ed i semplici coloni. Quei primi dicono: Noi abbiamo i nostri poderi, le nostre terre da vedere e dobbiamo sorvegliarne i lavori: sono i ricchi e i signori, che passeggiano pei loro campi, pieni d’orgoglio e dicono con altera compiacenza: tutto questo è mio. Questi secondi sono gli operai, gli uomini del lavoro, che stanno a’ cenni di quegli altri. Il lavoro è  dovere di tutti e nessuno può sottrarsi senza violare quella legge intimata al primo uomo: “Tu mangerai il tuo pane col lavoro delle tue mani e col sudore della tua fronte. „ Ma questo lavoro manuale, non deve mai impedire un lavoro troppo più nobile e necessario, il lavoro della mente e dello spirito che deve nutrire l’anima nostra. — Datemi un contadino, un operaio qualunque, che attendano solamente a svolgere la gleba del campo,  che siano sempre là curvi sugli istrumenti del lavoro, senza ricordarsi mai di Dio, della preghiera, dell’anima: per i quali la Domenica non differisce dal lunedì: i quali a chi ricorda loro che oltre il corpo vi è l’anima, che oltre il padrone terreno c’è il Padrone celeste, Iddio, e che bisogna santificare la festa, udire la parola di Dio, pregare e accostarsi  ai Sacramenti, rispondono: abbiamo altro da fare; ci attendono i campi, ci aspetta l’officina; questo contadino, questo operaio vi rappresentano a meraviglia l’uomo del Vangelo che invitato alla cena risponde: “Ho comperato cinque paia di buoi e vo’ a provarli. „ O carissimi figliuoli! non imitate costoro. Chiamati alla Chiesa, alla preghiera, al convito eucaristico, pegno del convito eterno del cielo, rispondete: Eccoci, veniamo. Al corpo la sua parte ed è ben larga, e all’anima la sua, che è ben poca cosa rispetto a quella del corpo. –  “Il terzo rispose: ho menato moglie e perciò non posso venire. „ S. Gregorio, in quest’uomo che rifiuta di intervenire al convito per ragione d’aver menato moglie, vede raffigurato l’uomo voluttuoso: Quid per uxorem nisi voluta carnis accipitur? (Hom. 36). È terribile, la sentenza d’un gran santo moderno, conoscitore perfetto della società, che disse: quelli che si perdono, o si perdono per il peccato di lussuria o non, senza di esso. „ Purtroppo è così. Dove sono, o mio Dio, quegli uomini o quelle donne che abbiano serbato monda l’anima loro in mezzo a questo contagio universale? Dove sono quelle anime che simili alla colomba noetica, abbiano aleggiato su questa terra senza posare il piede o imbrattare le candide piume sul fango che la copre? Voi solo, o Signore, lo sapete; ma devono essere ben poche, e perciò tanto più care a’ vostri occhi. Dilettissimi! entrate per pochi istanti nei penetrali del cuore, interrogate la vostra coscienza, e alla luce della fede, vedete se per avventura l’amore disordinato dei piaceri, la passione sensuale, quella che S. Giovanni chiama concupiscenza della carne, vi tenesse legati alla terra e vi impedisse di accorrere al banchetto celeste. Se così fosse, non perdiamo tempo: rompiamo questa catena, recidiamo queste funi, finiamola con queste tresche, con queste voluttà indegne di uomini, quanto più di Cristiani! Questa concupiscenza della carne è di natura sì rea, che lo schiavo di essa non si cura nemmeno di scusare il suo rifiuto all’invito del Signore, come fecero gli schiavi delle altre passioni. Questi dissero al servo che li invitava: ” Te ne prego, abbimi per scusato, „ e mostrarono nel rifiuto qualche cortesia; doveché quello bruscamente, villanamente rispose: “Ho menato moglie: non posso venire. „ La passione brutta ha questo di proprio, che soffoca i sensi più nobili del cuore, fa tacere gli affetti stessi più naturali e rende le anime volgari, abbiette, ingrate e peggio. “Via dunque, vi dirò con S. Agostino, via le vane e cattive scuse e andiamo al convito, ove le anime nostre saranno ristorate e nutrite. Non ci sia di ostacolo l’alterigia, non ci gonfi curiosità illecita, non ci metta paura la maestà di Dio, e non ce lo impedisca la voluttà della carne: andiamo e impinguiamoci (In Joan. c. 2, apud a Lapide). „ Non si vuole dimenticare, o carissimi: questa parabola fu detta da Cristo in un convito, offertogli da un principale tra i farisei, e indirizzata specialmente a quelli che l’ascoltavano, e in generale agli Ebrei che si mostravano ritrosi alla sua parola. Nei tre chiamati alla cena sono dunque adombrati direttamente gli Ebrei, e apprendiamo da Cristo che il loro rifiuto si deve attribuire all’orgoglio, all’amore delle ricchezze e alla propensione ai piaceri del senso. – Gli invitati rifiutarono di venire alla cena: resterà dunque questa deserta? La mensa sì talmente imbandita non sarà dunque onorata da commensali, a scorno del padrone? Tolga Iddio che così avvenga. “Il padrone di casa  indignato disse tosto al servo: Esci tosto per le piazze e per le vie della città, e mena qua i mendici, gli zoppi, i monchi ed i ciechi. „ I primi invitati appartenevano, come chiaro dal tutto insieme, alle classi ricche e ragguardevoli, e rappresentavano gli scribi, i farisei e in generale gli Ebrei, i quali, ammaestrati dai profeti e dalla legge, potevano conoscere facilmente la verità, rispetto ai poveri Gentili, avvolti in ogni maniera di errori. Ebbene: poiché i ricchi, i dotti d’Israele non vogliono venire alla cena imbandita dal padrone, cioè da Cristo, si chiamino al primo luogo i poveri, gli ignoranti, i reietti, questi mendici e storpi e ciechi; così si adempie la parola di Cristo, che disse: “I pubblicani e le meretrici vi precederanno nel regno dei cieli, e i primi saranno gli ultimi e gli ultimi primi. „ E veramente fu così: mentre i peccatori, i publicani, le peccatrici, i veri storpi e mendici, lasciata ogni cosa, seguivano Gesù, gli scribi e i farisei, i grandi, i ricchi, non si curavano di Lui, lo sprezzavano, lo rigettavano, lo perseguitavano: mentre Israele, nella sua grande maggioranza, infatuato nei sogni d’una mondana potenza, volgeva le spalle a Cristo, i Gentili pieni di docilità e di fede correvano a sedersi alla sua cena. I figli del regno per il loro orgoglio, per le loro cupidigie uscivano  dalla casa del Padrone, e d’ogni parte vi entravano, al loro luogo, i Gentili nella semplicità della loro fede. É ciò che avvenne in tutti i secoli ed avviene anche di presente. S. Paolo, fin dai suoi tempi, scriveva che non erano molti i sapienti, non molti i potenti, non molti i ricchi, non molti i nobili che seguivano il Vangelo (I. Cor. c. l , vers. 26); Origene ripeteva lo stesso due secoli dopo, e noi pure in qualche senso lo dobbiamo riconoscere ai nostri giorni, sono quelli che riempiono le nostre chiese,  che ascoltano la parola di Dio, che si accostano ai Sacramenti, che osservano le pratiche religiose? Generalmente siete voi, o figli del popolo, uomini del lavoro, voi che vivete col sudore della vostra fronte: raro è che i ricchi, gli uomini della scienza, vera od apparente che sia, si vedano in chiesa mescolati con voi e facciano pubblica professione di fede. Anch’essi sono chiamati alla cena evangelica e chiamati forse prima e più efficacemente di voi; ma l’orgoglio della gloria, la superbia e le terrene cupidigie, che si accompagnano sì facilmente alle ricchezze, fanno loro rispondere: Non possiamo venire. Non possum venire. Non scandalizzatevi di questi nostri fratelli, non scoraggiatevi di trovarvi quasi tutti poveri a questa cena: Gesù Cristo lo predisse, e la sua parola non può cadere.  – ” Poscia il servo, così prosegue il Vangelo, disse al signore: Signore, si è fatto come hai comandato, e vi è ancor posto. „ Certamente il numero degli eletti è noto a Dio tantoché a quella cena eterna non siederà non più od uno meno di quelli, che nella sua sapienza ha destinato. Perciò le parole di questo servo, che riferisce esservi ancor posto, non possono lasciar luogo al sospetto, che Dio ignori il numero degli eletti; sono aggiunte soltanto per ornamento della parabola e per mostrare che Dio chiama gli uomini alla salute eterna in vari modi, largheggiando più o meno della sua grazia. – Il padrone disse al servo: va per le strade e per le siepi e costringili ad entrare, sicché la mia casa sia ripiena. „ È questa la terza chiamata, che per ragione della estensione e dei modi pressanti mette in maggior luce la bontà del padrone di casa. Vuole che il servo percorra non solo le piazze e le vie della città, ma perfino le siepi fuor dell’abitato, e quanti ne trova di poverelli e zoppi e ciechi, e tutti li inviti non solo, ma li costringa ad entrare nella sua casa e prendere parte alla cena. Questa parabola prova ad evidenza come Dio voglia la salvezza di tutti, perché chiama e ripetutamente e in qualunque luogo o regione essi si trovino, senza badare alla loro condizione e miseria. Ponete mente a quella  parola fortissima “costringili ad entrare, compelle intrare—. Forseché Dio costringe ad entrare nella Chiesa e nel regno celeste? Forse che violenta la libertà nostra? No, mai: la libertà è dono di Dio e Dio non si ripiglia mai i suoi doni: anzi sta scritto che Iddio ci tratta con riverenza. Se Dio costringesse o forzasse comecchessia la nostra libertà, cesserebbe ogni nostro merito e perderebbe ogni valore il nostro omaggio, la nostra obbedienza. E verità di fede che noi possiamo resistere alla voce ed alla grazia Dio, e che quando la secondiamo, la secondiamo liberamente. Quella parola pertanto forte — costringili — ad entrare, significa chiamata energica, un impulso gagliardo, una grazia straordinaria, ma non mai un vero costringimento, che è impossibile, che farei torto a Dio ed a noi. La libertà nostra, che è riposta nella facoltà di scegliere, per la quale siamo arbitri, padroni dei nostri atti, è il maggior dono che Iddio ci abbia fatto, quello per il quale siamo a Lui più simili. Di questa libertà noi andiamo alteri, e guai se altri la offende od anche solo minaccia di offenderla. Chi non esalta e magnifica la libertà? Che non si fa per difenderla e conservarla? Eppure, vedete contraddizione! non sono pochi i dotti che, negando l’anima e riducendola ad una dote, funzione o qualità della materia, come il calore d’un corpo, negano necessariamente la libertà e fanno dell’uomo un essere che non può operare altrimenti di quello che fa, simili alla pianta che germoglia, fiorisce e fruttifica bene o male sotto i raggi del sole, simile al bruto che si regola coll’istinto! Tanto orgoglio congiunto a tanta bassezza! Levare a cielo la libertà, che poi si nega! Non apriamo le orecchie agli insegnamenti di costoro, che fanno ingiuria in pari tempo alla fede alla ragione e teniamo fermamente che abbiamo l’altissimo dono della libertà e che dell’uso suo dovremo rendere strettissima ragione. Taluno può forse meravigliarsi che il padrone di casa abbia usata quella parola sì forte: — Costringili ad entrare, — ma vi è un tale costringimento amoroso, che non ferisce la libertà, e di questo senza dubbio parla il Vangelo. – Una persona a voi cara e che voi altamente stimate vi invita, vi chiama presso di sé: voi non volete aderire: essa insiste, ripete l’invito, vi prega, vi piglia per mano, dolcemente vi tira, tanto fa e dice che finalmente fate il voler suo. Senza dubbio, quella persona non vi ha forzato nel senso rigoroso della parola, e voi potevate pur sempre rifiutare; ma è pur vero che altri potrebbe dire, che vi ha fatto dolce violenza e in qualche modo, vi ha costretto a fare il suo desiderio. Questa espressione “costringili ad entrare, „ ci fa conoscere e sentire al vivo quanto sia cocente il desiderio di Dio che tutti partecipino alla sua cena. – Si chiude la parabola con quella formidabile sentenza di Cristo: “In verità vi dico che nessuno di quelli che furono invitati, gusterà la mia cena. „ Furono invitati, rifiutarono villanamente: è dunque giusto che non assaggino quella cena che non vollero. Evidentemente, qui si parla della vita eterna, nella quale non potranno giammai entrare quelli che volontariamente si esclusero da se medesimi, respingendo i ripetuti ed amorosi inviti del Padrone. Deh! che nessuno di noi si trovi nel numero di quegli infelici, che col loro rifiuto al generoso invito di tanto Padrone, meritarono quella terribile condanna: “Io vi dico che nessuno di coloro che furono invitati, assaggerà la mia cena. „

Credo …

Offertorium

Orémus Ps VI:5 Dómine, convértere, et éripe ánimam meam: salvum me fac propter misericórdiam tuam. [O Signore, volgiti verso di me e salva la mia vita: salvami per la tua misericordia.]

Secreta

Oblátio nos, Dómine, tuo nómini dicánda puríficet: et de die in diem ad coeléstis vitæ tránsferat actiónem. [Ci purifichi, O Signore, l’offerta da consacrarsi al Tuo nome: e di giorno in giorno ci conduca alla pratica di una vita perfetta.]

Communio

Ps XII:6 Cantábo Dómino, qui bona tríbuit mihi: et psallam nómini Dómini altíssimi. [Inneggerò al Signore, per il bene fatto a me: e salmeggerò al nome di Dio Altissimo.]

Postcommunio

Orémus. Sumptis munéribus sacris, qæesumus, Dómine: ut cum frequentatióne mystérii, crescat nostræ salútis efféctus. [Ricevuti, o Signore, i sacri doni, Ti preghiamo: affinché, frequentando questi divini misteri, cresca l’effetto della nostra salvezza

LO SCUDO DELLA FEDE (XIII)

[A. Carmignola: “Lo Scudo della Fede”. S.E.I. Ed. Torino, 1927]

L’ESISTENZA DI DIO.

— L’esistenza di Dio dimostrata dall’esistenza nostra. — Dall’esistenza del mondo. — Dall’ordine dell’universo e del suo movimento. — Dal comune consentimento dei popoli. — Da coloro stessi che la negano.

— Capisco bene, che dopo d’esser stato convinto che devo credere a tutte le verità che insegna la Chiesa Cattolica, non avrei più da fare difficoltà di sorta per nessuna di esse. Ma il desiderio di istruirmi sempre più e di togliermi dalla mente ogni falsa idea anche intorno ai punti particolari della dottrina cristiana mi spinge a farmi da capo, certo che la sua bontà in rispondermi non verrà meno.

Ciò che tu desideri, lo desidero ancor più io per giovarti quanto più mi è possibile. Domanda perciò, esponi liberamente ogni dubbio, obbietta tutto quello che credi opportuno al tuo fine anche riguardo ai punti particolari della dottrina cristiana.

— Quale sarebbe adunque la prima verità da credere?

L’esistenza di Dio. S. Paolo dice chiaro a nome del Signore che chi vuol andare a Lui deve credere anzitutto che Egli esiste (V. Lettera agli Ebrei, Capo XI, Versetto 6). Epperò è questa la verità, che appare per la prima nell’insegnamento cristiano, la verità che ad ogni tratto ci è rivelata nelle Sacre Scritture sia dalle manifestazioni (teofanie) continue che di Dio ci sono in esse narrate, sia dalle affermazioni che esse ce ne fanno.

— Ma! Sarà poi vero che vi sia un Dio?

E sarà vero che ci sia tu?

— Oh! di questo mi pare di non dover dubitare.

Ma tu perché ci sei?

— Ci sono perché ci sono stati i miei genitori, che mi han dato la vita.

E i tuoi genitori perché ci sono stati?

— Oh bella questa! Perché ci furono i loro avi.

E i loro avi perché ci furono?

— Ma comprenderà bene che è sempre la stessa storia.

Oh no! questo che dici non è giusto. Se tu prendi in mano una catena e dalla fine di essa vai giù di anello in anello, arriverai certamente al primo. Così se risali da genitori in genitori bisogna pure che tu arrivi a trovare quelli che furono i primi genitori.

— Ciò è verissimo.

Or bene quei primi genitori, dimmi, hanno essi avuti altri genitori?

— Eh! allora non sarebbero più stati i primi.

Dunque come hanno fatto ad esistere quei primi genitori?

— Saran venuti fuori dalla terra.

Bambini o già adulti?

— Saran venuti fuori bambini.

Ma bambini non sarebbero morti subito per mancanza di aiuto?

— Allora saran venuti fuori adulti?

Adulti? Ma ti pare? Il solo pensiero che un uomo ed una donna siano saltati fuori dalla terra già grandi e grossi tutto ad un tratto non ti fa ridere? E poi perché, se ciò fosse avvenuto una volta, adesso non accade più mai?…  Inoltre come si son formati dalla terra questo primo uomo e questa prima donna?

— Si saran formati a poco a poco per mezzo di successive trasformazioni. Per esempio prima saranno stati un pugno di fango e poi questo pugno di fango per certe forze intrinseche si sarà sviluppato e trasformato in una specie di animale, questa specie di animale, ancora molto imperfetto, a poco a poco si sarà trasformato in un altro animale più perfetto, e questo in un altro ancor più perfetto fino a tanto che si sarà arrivati alla scimmia, e dalla scimmia il passaggio all’uomo non deve essere stato difficile.

Ah sì? E come mai da migliaia di anni, che il mondo si trova quale esso è, non si è più mai veduto nulla di simile ? Com’è che le scimmie sono sempre rimaste scimmie? che le rane sono sempre rimaste rane e i pesci sempre rimasti pesci? Com’è che se tu pigli un pugno di fango e lo poni, mettiamo, in una scatola, e lo lasci lì per anni ed anni, per secoli e secoli, rimane sempre un pugno di fango? E poi quando pure fosse come tu dici, non ci sarebbe ancor sempre da spiegare come cominciò ad esistere quel pugno di fango, e donde originarono quelle forze che lo hanno trasformato? Non ricordi il problema dell’uovo e della gallina? Un amico chiedeva ad un altro: Mi sapresti dire qual dei due sia stato prima: l’uovo o la gallina? — La gallina, rispose questi. — E questa gallina, riprese quegli, dond’è venuta? — Da un uovo. — E allora non fu più la gallina ad esistere per la prima. — Già lo vedo anch’io; dunque prima esistette l’uovo. — E questo uovo da chi provenne? — Eh, caro mio, vedo che non si finirebbe più sia a pensarla in un modo sia a pensarla ad un altro. — Dunque bisogna riconoscere che v’è stato chi produsse o il primo uovo o la prima gallina. – Alla peggio pertanto, tornando a noi, non bisognerebbe ammettere che c’è stato chi ha dato esistenza a quel primo pugno di fango e vi ha infuso dentro quelle forze?

— Ah! questo è vero.

Ma siccome il fango rimane sempre fango, perché non ha in sé e per sé nessuna forza che lo faccia passare ad uno stato migliore, siccome le bestie rimangono sempre bestie, siccome non è possibile che un primo uomo ed una prima donna, siano venuti fuori dalla terra né grandi e grossi, né piccoli bambini, e siccome vi è stato un primo uomo e una prima donna, da cui sono venuti al mondo tutti gli altri, perciò bisogna che vi sia stato qualcuno, che abbia formati il primo uomo e la prima donna, e ben si capisce qualcuno dotato di ragione e di volontà, di gran lunga superiore all’uomo, perché nessun uomo può formare per creazione un altro uomo; bisogna insomma che vi sia stato, che vi sia Dio.

— Ma come si fa a credere che ci sia Dio se non si vede?

E tu hai già veduto la tua mente? Hai già veduto l’aria? Hai già veduto la febbre? Eppure dubiti che ci sia la tua mente, che ci sia l’aria, la febbre?

— Ma la mia mente si rivela nei pensieri, che mi vengono, nelle parole che profferisco, nelle azioni che compio; l’aria la respiro, e la febbre posso sentirmela in dosso.

È la stessa cosa di Dio. Gira gli occhi intorno a te, levali in alto, gettali in basso, che cosa vedi tu?

— Vedo millanta cose. Vedo gli uomini, vedo gli animali, vedo le piante, vedo le case, vedo le colline, le montagne, il mare, i fiumi, il sole; di notte vedo la luna, le stelle!

E tutte queste cose che vedi chi le ha fatte?

— Talune, come le case, le hanno fatte gli uomini.

Benissimo! E vedendo una casa qualsiasi, fosse pure una miserabile catapecchia, ti è mai passata per la mente che siasi fatta da sé?

— Allora sarei un matto.

E se saresti matto nel pensare che una casa qualsiasi, fosse pure una catapecchia, si sia fatta da sé, non saresti matto egualmente nel pensare che siansi fatte da sé tutte le altre cose che esistono, e gli uomini non possono aver fatte, come le piante, i fiori, le erbe, le montagne, i mari, i fiumi, gli animali, gli uccelli, i pesci, le stelle, il sole, la luna, eccetera?

— Oh certamente.

Se adunque la luna, il sole, le stelle, i pesci, gli uccelli, gli animali, i fiumi, i mari, le montagne, le erbe, i fiori, le piante, eccetera, non si sono fatte da per sé, non ti rivelano chiaro che deve esistere qualcuno che le abbia fatte? che deve esistere il loro creatore? Che deve esistere Iddio?

— Sì, è vero.

Dicevano dunque bene quei due Arabi, ai quali chiedendosi in qual modo conoscessero che Dio esiste, rispondevano, l’uno: « Allo stesso modo che io riconosco dalle tracce segnate sulla sabbia che vi è passato un uomo od una belva; » e l’altro: « Non è forse l’aurora che mi annunzia il sole? » Epperò quanto giustamente le Sacre Scritture vanno dicendo che « la magnificenza della creazione fa vedere e conoscere all’anima nostra il Creatore d’ogni cosa « (v. Libro della Sapienza, Capo XIII, Versetto 5); e che « i cieli sono come le pagine di un libro, in cui si può leggere la sua gloria, e il firmamento annunzia ch’esso è l’opera delle sue mani, e il nome ammirabile di Dio si legge su tutta la terra » (v. Salmi XVIII e VIII). Ne son prova questi altri fatti. Il filosofo Sintennis prese un bambino e lo condusse in una villa segregandolo del tutto dal mondo e non parlandogli mai di Dio, pensando per tal guisa di poter dimostrare col fatto che l’uomo non arriva di per sé a conoscere l’esistenza di Dio. Ma rimase deluso. Perché cresciuto il fanciullo, un mattino lo vide tra l’incanto della natura indirizzare i suoi passi sopra un poggetto del giardino ed ivi inginocchiarsi e mandare baci al sole e dire: « O tu che sei così bello e che sei più vicino al Creatore di tutte le cose, salutalo per me, e digli ch’io l’amo! » Interrogato quindi il fanciullo chi gli avesse detto che c’era un Dio Creatore del mondo e chi gli avesse insegnato a pregare così, quegli rispose: « Tutto ciò che vedo e mi circonda, tutto mi dice che c’è chi ha fatto il mondo, e che io lo devo adorare. – Anche il giovane Tagliapietre di Saint Point, come narra Lamartine, ad un gentiluomo che lo interrogò, perché mai tutto solo attendesse al lavoro nella sua valletta rispose: « In tutta la mia vita non mi sono mai sentito solo un momento. Si è forse soli, quando si ha Dio al fianco e si è circondati da Dio? ». « Hai ragione, replicava il gentiluomo ; ma tu come hai saputo tutto da te sollevarti fino a questa presenza di Dio e avvezzarti a vedertelo al fianco come un amico? » – « Come ho potuto? Io sono ignorante, ma ho appreso da mia madre e da molte anime buone a conoscere e adorare Iddio. Ma quando anche ciò non fosse stato, quando pure non avessi mai udito il catechismo della Parrocchia, forse che non ci ha un catechismo in ogni cosa che ne circonda, il quale insegna agli occhi e all’anima dei più ignoranti? Il nome di Dio non abbisogna di lettere dell’alfabeto per essere letto. L’idea di Dio s’incontra coi nostri sguardi sin dal primo raggio di luce che ci visita e ci rallegra ».

« Dunque tu vedi Iddio? »

« Se lo vedo! E potrei io esprimere per quali modi e per quante immagini? Ora lo vedo come un cielo senza confine seminato di occhi da ogni parte Ora lo vedo come un mare che non ha lido, donde escono in gran numero isole e terre. Ora lo vedo come un gigante, carico di montagne, di mari, di soli, di mondi addossati l’un l’altro, di cui non sente il peso … Io sono un insipiente, le frasi e le immagini mie sono quelle di un ignorante… Ma io vedo il mio Dio! » – Il Metastasio espresse pur bellamente la stessa verità con queste due belle strofe:

Dovunque il guardo io giro

Immenso Dio, ti vedo;

Nell’opre tue t’ammiro,

Ti riconosco in me.

La terra, il mar, le sfere

Parlan del tuo potere:

Tu sei per tutto, e noi

Tutti viviamo in te.

Ma non è solo l’universo e la sua bellezza che ci mostrino l’esistenza di Dio; ce la mostrano altresì l’ordine, l’armonia, la disposizione ammirabile delle cose tutte. Se tu guardi un bel quadro, una bella statua, se tu consideri la struttura di un magnifico orologio, se tu ammiri un giardino ordinato con vaghissime aiuole, oseresti tu dire che quel quadro si è dipinto da sé e che i colori si sono distesi e stemperati gli uni accanto e sopra gli altri sulla tela fino a che ne è venuto fuori quel quadro stupendo? Oseresti tu dire che nel blocco di marmo, da cui è venuta fuori quella statua, da per sé si sono rotti i pezzi, levate le schegge lisciate le parti, fino a che di per sé si è formata la bella statua? Oseresti tu dire che in quell’orologio si sono collocati a posto di per sé i perni, e dentro di essi le ruote, e le une si sono di per sé incastrate nelle altre, tanto da mettere in movimento quell’orologio! Oseresti dire infine che in quel giardino le aiuole da se stesse si sono ordinate e piantate di fiori?

— Sarebbe da ridere.

Ebbene non sarebbe da ridere anche più nel vedere l’ordine che vi regna nell’universo, e dire che quest’ordine si è fatto da sé? Mira le stelle: ciascuna sta sempre al suo posto, percorre sempre la stessa orbita. Mira le stagioni; si succedono sempre regolarmente le une alle altre. Mira gli uomini, gli animali, le piante, si riproducono sempre secondo la loro specie. E non ci sarà dunque chi tutto ha ordinato così, come c’è un giardiniere che ha ordinato le aiuole di un giardino, come c’è un orologiaio che ha messo a posto le ruote d’un orologio, come c’è uno scultore che ha fatto una statua, come c’è un pittore che ha fatto un quadro?

— Sì, è vero, verissimo; ma non si potrebbe dire che il mondo si è fatto e ordinato a caso?

A caso? Ma che cos’è il caso?

— Non saprei dire.

Il caso, in questo caso, è nulla. E il nulla non fa nulla, non ordina nulla. Curiosa questa! Non diresti mai che il caso ha dipinto un quadro, tratta una statua, composto un orologio, ordinato un giardino, e vorresti dire che il caso ha fatto e ordinato l’universo?

— Ha ragione; ma se non si può dire che ciò abbia fatto e ordinato il caso, non può invece averlo fatto e ordinato madre natura?

Madre natura? Ecco; se per madre natura tu intendi quell’Essere che, dotato di intelligenza e volontà, ha tutto fatto ed ordinato, con ciò ammetti senz’altro l’esistenza di Dio creatore ed ordinatore, benché con una espressione affatto impropria e che tutt’altro che chiarire le cose non fa che ingarbugliarle. Ma se per madre natura intendi le proprietà e le forze che vi sono nel mondo, cioè nelle cose che essi stono, tu verresti a dire questa grande assurdità che il mondo si è creato ed ordinato dalle proprietà e forze che vi erano nel mondo già creato ed ordinato.

— E già, è così.

Aggiungi poi che oltre all’ordine nell’universo vi è il moto. Tutto ciò che nell’universo esiste tutto trovasi in movimento. Si muove la terra, si muovono gli astri, si muovono i mari, si muovono gli animali, le piante, si muove l’uomo, insomma non c’è essere alcuno che o in un modo o in un altro non si muova. Ora qualunque cosa che si muova, non altrimenti si muove, se non perché c’è una forza che la fa muovere. Questa forza potrà essere ripetutamente mediata, ma ti fa d’uopo da essa risalire ad una immediata. Quando ad esempio tu vedi un carrozzone elettrico che corre rapidamente sopra un binario, benché non veda esternamente alcuna forza che lo tiri o lo spinga, sai non di meno che è l’energia elettrica, con la quale è posto in comunicazione, che lo fa muovere. Ma l’energia elettrica è già ancor essa un movimento, del quale cercando la causa la troverai in un altro movimento, ad esempio in quello dell’acqua o del fuoco. E il movimento dell’acqua o del fuoco è cagionato esso pure da altro movimento. Così potrai da movimento in movimento andare fino ad un certo punto, ma alla fine ti è necessario arrivare ad una prima causa, che dà immediatamente movimento alle altre senza più essere mossa da alcuna, poiché altrimenti tu correresti nell’infinito senza potere trovare mai un punto ove fermarti, ciò che invincibilmente ripugna alla nostra mente. Ora quello che ti è d’uopo riconoscere gettando lo sguardo sopra un carrozzone elettrico, lo devi riconoscere gettando lo sguardo sopra qualsiasi altro essere, che ti capiti sotto gli occhi. E così da ogni essere in movimento (e tutti gli esseri, come già ti dissi, si trovano in un modo o in un altro in tale condizione), potrai e dovrai risalire a quell’essere, che senza punto essere mosso da alcuno è il motore di tutto, e che tutti intendono essere Dio.

— Anche questa dimostrazione è chiara. E congiunta alle altre non deve più assolutamente lasciar dubitare dell’esistenza di Dio.- Non di meno se ne dicono tante a questo riguardo… Per esempio, si dice che siano stati i sacerdoti, che abbiano inventato Iddio.

Chi parla così, parla assurdamente e non sa quel che si dice. Se io dicessi che tu hai inventato tuo padre…

— Mi metterei a ridere.

Ma molto più dovresti ridere quando ti si dice che sono i sacerdoti che hanno inventato Dio. I sacerdoti sono i rappresentanti di Dio presso gli uomini e i rappresentanti degli uomini presso Dio. Ora come mai i sacerdoti potevano essere tali, se prima di essi non era riconosciuta l’esistenza di un Dio, del quale essi si dichiaravano ministri? Dire adunque che i sacerdoti hanno inventato un Dio è la stessa assurdità che dire che i figli hanno inventato il padre.

— Ma non è forse verissimo che vi sono tanti uomini al mondo, che non credono all’esistenza di Dio?

È verissimo tutto il contrario. Tutti i popoli antichi e moderni, barbari ed inciviliti, in ogni tempo, in ogni luogo, sotto ogni clima, hanno riconosciuto che vi è Dio. Sono celebri in proposito le affermazioni di Cicerone e di Plutarco. « Non vi ha nazione sì rozza e sì selvaggia, dice il primo, che non creda l’esistenza degli dèi, sebbene s’inganni quanto alla loro natura ». E il secondo: « Voi potrete trovare una città senza muraglie, senza case, senza ginnasi, senza leggi, senza uso di moneta, senza coltura di lettere; ma un popolo senza Dio, senza preghiere, senza sacrifizio, senza riti religiosi, non si vide giammai ». Anche Massimo di Tiro osservò « che nel mondo vi ha un gran cozzo di leggi e di opinioni, ma che tutte le leggi e le opinioni si accordano su questo punto cioè che vi ha un signore e padre di tutte le cose ». – Pertanto se vi sono degli uomini, che non credano all’esistenza di Dio, prima di tutto essi sono assai pochi e difficilmente accade che non vi credano per sistema, per convinzione, e stabilmente, per un lungo corso di tempo. In generale dicono con la lingua di non credere all’esistenza di Dio, ma nel cuore la pensano ben diversamente; e se pure talvolta fanno una tal negazione per qualche tempo, quando cioè si trovano dominati da una sfrenata superbia, non persistono mai tuttavia in essa per lunghi anni, e il più delle volte al punto della morte cambiano parere. In secondo luogo quegli uomini, che non credono o dicono di non credere all’esistenza di Dio, sono per lo più coloro che lasciandosi sopraffare dalle loro malnate passioni, e dandosi ad operare il male, temono perciò i castighi di Dio e vorrebbero che Dio non esistesse, perché non li avesse a punire.

— Questo è vero, confesso che se talvolta ho avuto anch’io qualche dubbio sull’esistenza di Dio, l’ho avuto allora che ho accontentato od avrei voluto accontentare le mie cattive inclinazioni.

Vedi adunque che la Sacra Scrittura ha avuto ragione di dire che lo stolto ha detto in cuor suo che non vi è Dio. In cuor suo, e non nella sua mente, perché la negazione di Dio più che dall’offuscarsi della mente procede dal corrompersi del cuore. Chi si conserva buono, chi vive virtuosamente, non penserà mai a negare l’esistenza di Dio. – Il La Bruyère nel suo libro intitolato I Caratteri ha detto: « Io vorrei trovare un uomo sobrio, moderato, casto, equo, che dica non esservi Dio; egli almeno lo direbbe senza interesse; ma quest’uomo voi lo cercherete indarno ». E per altra parte c’è da meravigliarsi che vi siano stati e vi siano tuttora alcuni uomini che non credano all’esistenza di Dio? In una provincia di 500,000 abitanti non v i sono sempre per lo meno un 500 pazzi? È troppo naturale adunque che nella generalità degli uomini, i quali tutti ammettono la esistenza di Dio, ve ne sia pure qualcuno che non l’ammetta, e questa eccezione, eccezione rarissima, è una piena conferma della regola.

— Ma molti popoli nel credere all’esistenza di Dio non fecero cosa ridicola, come quelli ad esempio che credettero essere tanti dèi, e quegli altri che credettero essere dèi gli animali, le piante, gli astri o le statue fabbricate dalle loro mani?

Sì, è vero, molti popoli hanno errato nell’ammettere più di un Dio e nel credere Dio ciò che non era e non poteva assolutamente essere tale; ma con tutto ciò essi ammisero l’esistenza della divinità. Fecero adunque cosa ridicola nel concepire nella loro mente le pluralità degli dèi, e la essenza di Dio diversa da quella che è, ma fecero opera assennata credendo che Iddio esiste. Aggiungi poi che in generale tutti i popoli idolatri hanno pur sempre ammesso un Dio ai di sopra di tutti e di tutto. Sofocle in pieno teatro ricordava agli Ateniesi, adoratori delle divinità dell’Olimpo « che nelle leggi sublimi del mondo v’ha un Dio supremo, che non invecchia mai » (nell’Edipo).

— Ma i popoli nel credere all’esistenza di Dio non potrebbero essere stati vittima del timore, dell’ignoranza, dei pregiudizi?

Vittima del timore, dell’ignoranza, dei pregiudizi lo furono nel credere Dio ciò che non era Dio in tante maniere diverse secondo la diversità dei tempi, dei luoghi, delle passioni, come ad esempio lo sono tuttora certi abitatori delle Indie che per timore, per ignoranza e per pregiudizio credono divinità certi serpenti velenosissimi, ai quali perciò si guardano ben bene di dare la morte; ma i popoli non furono, né possono essere vittima del timore, dell’ignoranza, dei pregiudizi in un fatto che si presenta uniforme e costante, lo stesso in tutti i luoghi e in tutti i tempi.

— E una tale credenza non sarebbe forse nata dalla superstizione?

Tutt’altro; perciocché la superstizione è l’esagerazione del sentimento legittimo della fede sincera in Dio: quindi coloro che si abbandonano alla superstizione non altrimenti lo fecero e lo fanno che dopo esservi già stata tra di loro la credenza che Dio esiste.

— Ma in questa credenza gli uomini non avrebbero potuto seguire una consuetudine?

Qualunque consuetudine deve avere la sua origine e la ragione per cui si è formata. Ora quale origine e quale ragione si potrebbe assegnare a questa consuetudine di credere all’esistenza di Dio? Eh! si ha bel cercare e ricercare, ma nel fatto uniforme e costante del credere all’esistenza di Dio non si può trovare altra spiegazione di questa: che una tale credenza è una inclinazione della nostra natura, è una legge intrinseca della nostra intelligenza.

— Ma moltissime volte la nostra intelligenza si sbaglia.

Sì; ma vorresti tu affermare che tutto l’uman genere, con a capo tanti filosofi pagani e cristiani, Mercurio Trimegisto, Talete, Anassagora, Socrate, Platone, Aristotele, Cicerone, Seneca, S. Agostino, S. Anselmo, S. Tommaso d’Aquino, S. Bonaventura, eccetera, eccetera, abbia errato? No, ciò non è possibile.

— Dunque che si ha da dire di coloro che si ostinano a negare Dio?

Si ha da dire che sono anch’essi una prova che Dio esiste. « Se l’ateo ritenesse per certo che Dio non esiste, non si affannerebbe tanto a combatterlo. Ma perché mai il suo odio contro questa verità si spinge fino alla collera? La sua collera sino al furore? Il suo furore fino alla rabbia? La sua rabbia fino alla follia? » – Il poeta greco Aristofane, nella sua commedia intitolata I Cavalieri, ha introdotto tra due suoi personaggi questo breve dialogo:

« Credi tu, o Nicea, che esistano gli dèi ? »

« Certamente ».

« E la prova? »

« Eccola: io li odio ».

Credilo, amico mio, non pochi atei son qui dipinti; « il loro odio contro Dio è figlio della fede che hanno in Lui, e dall’accento con cui dicono: « Dio non esiste », è agevol cosa conchiudere che Dio esiste » (Monsabrè).