Primo fine della divozione al Sacro di Gesù: Amarlo.
[Sac. A. Carmignola: IL SACRO CUORE DI GESÙ; S.E.I. Ed. Torino, 1920 – IV disc. ]
Il grande S. Agostino ha detto che la vita del cuore è l’amore: Vita cordis amor. E ciò è conforme a quel che scrisse l’Apostolo S. Giovanni: Qui non diligit manet in morte. (I Jo. III, 14) Ma in quale amore il cuore troverà la vita? Nell’amore dei beni, dei piaceri, degli onori, delle creature di questa terra? No, o miei cari. Questo amore non procaccia al cuore che affanni, agitazioni, torture, infelicità e morte. Lo stesso S. Agostino esclamava: « O Signore, tu ci hai fatti per te, ed è inquieto il nostro cuore, finché non riposi in te. » Solo l’amore di Dio, di Gesù Cristo, può renderci contenti e dare al nostro cuore la vera vita. Ora se l’amor di Dio e di Gesù Cristo (perciocché amar Dio non è altra cosa che amar Gesù Cristo ed amar Gesù Cristo è lo stesso che amar Dio) è l’unico amore, che ci rende veramente felici, certamente sarebbe già stata gran cosa, se Gesù Cristo ci avesse anche solo permesso di amarlo, perché chi siamo noi a petto di lui, maestà infinita, da pensare di poterlo amare? Ma, oh bontà immensa del Cuore! Non solo ci ha permesso di amarlo, ma lo vuole e lo brama ardentissimamente; e per assicurarsi più che gli era possibile che lo amassimo, ce ne ha fatto un formale comando: Diliges Dominum Deum tuum ex toto eorde tuo: (MATTH. XXII. 37) Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore. Anzi. questo non è soltanto uno de’ suoi comandi, ma è il primo di tutti: hoc est maximum etprimum mandatum; (MATTH. XXII, 38) e al tempo stesso il fine di tutti, perché tutti gli altri non tendono che a preparare ed assicurare l’adempimento di questo. Più ancora, l’amor di Dio è la pienezza della legge: plenitudo legis; (Rom. XIII, 8) è il vincolo della perfezione: vinculum perfectionis, (Col. III, 14) perché non è possibile amare Iddio e trasgredire alcuno de’ suoi precetti, e chi ama Iddio non può stare unito a lui con un legame più perfetto di quello dell’amore, essendo che Dio è carità e chi sta nella carità, dice S. Giovanni, sta in Dio, e Dio sta in lui: Deus caritas est, et qui manet in caritate, in Deo manet, et Deus in eo. (Jo. IV, 16) L’amor di Gesù Cristo pertanto è per noi la cosa più essenziale, la cosa che surroga tutto, ma che nulla può surrogare, la cosa che esistendo fa riuscire tutto a bene, ma che mancando, tutto va a male, la cosa più assolutamente indispensabile. « Sì, dice l’Apostolo Paolo, quando io parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, se non ho la carità, sono come un bronzo sonante, e come un cembalo che squilla. E quando avessi lo spirito di profezia e intendessi tutti i misteri e tutto lo scibile; e quando avessi tutta la fede, talmente che trasportassi le montagne, se non ho la carità, sono un niente: e quando distribuissi in nutrimento dei poveri tutte le mie facoltà, e quando sacrificassi il mio corpo ad essere bruciato, se non ho la carità, nulla mi giova. » (1a Cor. XIII, 13) Chi non ama nostro Signor Gesù Cristo non può far parte della società dei credenti: Si quis non amat Dominum nostrum Jesum Christum sit anathema. ( I Cor. XVI, 22). Ora, o carissimi, compiamo noi questo nostro supremo dovere? Ahimè! Forse dobbiam rispondere che amiamo ogni altra cosa, ma poco o nulla quel Gesù, che dobbiamo amare sopra tutto. Ebbene a correggere questo nostro grave mancamento è indirizzata particolarmente la divozione al Sacro Cuore di Gesù. Questo è il suo primo fine. Il Divin Redentore rivelando a Santa Margherita Alacoque il suo Cuore « che tanto ha amato gli uomini » prese a gridarci gagliardamente: Ricambiatemi di amore, datemi amore, non cerco altro che amore: Ignem veni mittere in terram, et quid volo nisi ut accendatur? (Luc. XII, 49) Son venuto con questo mio Cuore a portare un’altra volta in terra il fuoco della carità, e non bramo altro se non che si riaccenda. Per raggiungere adunque il primo fine della divozione al Sacro Cuore di Gesù, facciamoci oggi a considerare quanto il Sacro Cuore sia degno di essere amato.
1. — L’amore, questo allettamento, che niuna parola può esprimere, e che ci sospinge verso un oggetto in modo da dargli noi stessi, o più ancora da trasfonderci in lui se fosse possibile, l’amore, la più incomprensibile meraviglia di nostra natura è il bisogno più profondo, più prepotente e più irresistibile del nostro cuore. Non appena spunta nell’uomo, ancor piccolo bambino, il primo bagliore della conoscenza, non appena egli può fermare l’occhio sopra alcun oggetto ed esserne lievemente colpito, la fiamma dell’amore si desta in cuor suo e col crescere della vita ingigantisce smisuratamente fino a che arrivato ad un tempo in cui dispera di poter destare altri incendi, a poco a poco sminuisce, senza però spegnersi affatto che con lo spegnersi della vita. – Ma quali sono mai le cagioni che accrescono nel cuore dell’uomo una tale fiamma? Sono tre principalmente: la bellezza, la bontà e la potenza. Anzi tutto la bellezza, questo dono grande e terribile ad un tempo, che Iddio si compiacque di spargere sulle sue creature, questo raggio di cielo, che può bene nelle anime sante sollevare in alto le lor menti e i loro cuori alla contemplazione ed all’amore della bellezza unica ed eterna, ma che, ahi ! troppo spesso, trascina le anime volgari, che sono anche la più parte, ad amori idolatri e sommamente colpevoli. In secondo luogo la bontà, che può ben suscitare un amore più ordinato e casto che non la bellezza, ma che è troppo rara quaggiù e non esercita sempre una grande attrattiva. Da ultimo la potenza, da cui con amore d’interesse si sperano favori, od alla quale nelle anime ben nate si volge l’amore di gratitudine per i benefizi già ricevuti. Ebbene, queste tre cagioni principali dell’amore si trovano tutte tre nel Cuore Sacratissimo di Gesù in sommo grado, ma di tal natura, che non possono non spronarci all’amore più giusto, più puro e più santo, per poco che ci facciamo a contemplarle con gli occhi della fede. Ed anzi tutto nel Cuore di Gesù vi è una somma bellezza. E qui non intendo parlare della bellezza esterna della persona, che forma ora l’ornamento e lo splendore del Paradiso, e che un giorno sulla terra, come dice S . Girolamo, rivelandosi nella maestà della fronte, nella serenità degli occhi, nel sorriso delle labbra, nella dolcezza del sembiante, nella grandezza ed amabilità del portamento, esercitava un fascino irresistibile sopra i cuori degli uomini, guadagnandoli al suo amor divino; io parlo soltanto e propriamente della bellezza interna del suo Cuore, bellezza, la quale spicca massimamente per gli splendori della grazia, della sapienza e della santità. – Non appena il Cuore di Gesù diede i suoi primi palpiti, per cagione dell’unione ipostatica, furono palpiti dati subito nella pienezza della grazia. No, in essa la grazia non sopravvenne quale cosa accidentale, ma dalla Persona divina fluendo nella natura umana, vi si trovò tosto sostanzialmente e necessariamente. Cosicché in quel Cuore santissimo fin dal primo istante della sua esistenza, inabitandovi la pienezza della divinità, vi fu tosto la bellezza della divinità medesima. Ma oltre di ciò, perché questo Cuore era della nostra stessa natura, doveva partecipare altresì alle perfezioni, che il nostro cuore può avere. E poiché la più bella perfezione che possa avere il cuor nostro, è la grazia santificante, che lo rende oggetto di compiacenza agli occhi di Dio, così anche nel Cuore di Gesù Cristo, avverandosi la parola del profeta: Requiescet super eum Spiritus Domini, (Is. XI, 1) si posò lo Spirito Santo e vi riversò senza misura tutte le ricchezze ineffabili della grazia santificante. – Ed insieme coi tesori della grazia vi sono pure in Lui tutti i tesori della sapienza e della scienza di Dio: In quo sunt omnes thesauri sapientiæ. et scientiæ Dei absconditi. (Col. II, 3). In Lui la conoscenza intima di Dio, del suo essere, della sua unità, delle sue perfezioni, delle sue operazioni intime, della sua vita, di tutto ciò insomma che per noi è profondissimo mistero; in Lui la conoscenza di tutti i tempi presenti, passati e futuri, di tutti gli esseri che esistettero che esistono ed esisteranno, di tutta la natura e di tutte le sue forze più latenti e più misteriose. In lui la conoscenza di tutti gli Angeli del Cielo dall’infimo dell’infima gerarchia al più alto della gerarchia più alta, di tutti gli uomini dal principio sino alla fine del mondo, di tutti i loro cuori, di tutti i loro pensieri, di tutti i loro sentimenti, di tutti i loro affetti, di tutte le loro opere, di tutte le loro parole, di tutte le grazie che ricevono, e di tutte le colpe che commettono; in Lui insomma la conoscenza infinita di tutto ciò, che è finito e di ciò eziandio che è infinito. Epperò ben a ragione contemplando questo Cuore Santissimo di Gesù, raggiante dell’infinita sapienza di Dio, si ha da esclamare: O profondità delle ricchezze, della capienza e della scienza divina! 0 altitudo divitiarnm sapientiæ et seientiæ Dei! (Rom. XI, 33) – Ma ciò non è ancor tutto, perciocché il Cuore di Gesù così bello per i tesori della grazia e della sapienza, non lo è meno per quelli della santità. In Lui la santità è la più sublime che si possa immaginare; è desso .per eccellenza il Cuore santo, innocente, senza macchia, segregato dai peccatori: Sanctus, innocens, impollutus, segregatus a peccatoribus. (Hebr. VII, 26) Sebbene nella sua immensa bontà per noi esso abbia voluto farsi in tutto e per tutto simile al cuor dell’uomo, in questo solo tuttavia ha fatto eccezione, e non ebbe mai sopra di sé neppur l’ombra della più piccola colpa. Oh! Ben sicuramente egli poté volgersi ai suoi nemici e lanciar loro questa nobile sfida: Chi di voi mi accuserà di peccato? Quis ex vobis arguet me de peccato? (Jo. VIII, 46) perché in tutta la sua vita di trentatrè anni, pur facendo libero esercizio della libertà, fin dal primo istante della sua concezione, né contrasse né conobbe mai che fosse la colpa. Oh santità! Oh bellezza meravigliosa! 1 santi, che nel corso di loro vita corrisposero fedelmente all’azione della grazia divina, già ci appaiono ben degni della nostra ammirazione; ma che cosa sono essi mai, anche uniti tutti assieme, in confronto della santità del Cuore adorabile di Gesù Cristo? Neppur tutto lo splendore degli Angeli del Paradiso vale a darci un’idea della bellezza di questo Cuore, perché negli Angeli del Paradiso, per quanto perfetti, Iddio trova delle macchie: In Angelis suis reperit pravitatem; (IOB. IV, 18) ma nel Cuore di Gesù invece il Divin Padre, rivolgendo lo sguardo, trova l’oggetto di tutte le sue compiacenze: Ecce Filius meus dilectus, in quo mihi bene complacui. (MATT. XVII, 5). Ma se il Cuore Sacratissimo di Gesù è già così amabile per la sua bellezza, chi potrà dire quanto lo sia per la bontà? Immaginate pure quanto vi ha di più tenero, di più sensibile, di più delicato, di più magnanimo; immaginate un cuore, che non possa vedere una lagrima senza commuoversi, che non possa guardare un misero senza intenerirsi; immaginate un cuore, che sia ripieno di tutte le impazienze e di tutte le sollecitudini per amare, e che nell’amare non si arresti né per indifferenze, né per rivolte, né per tradimenti, né per ingratitudini, che anzi abbandonato, vilipeso, disprezzato da coloro che maggiormente ha amati, provi il bisogno di amarli ancora; immaginate un cuore, che pieno di ogni ricchezza doni tutto quello che ha, e poi rimpianga di non poter dare di più, e vagheggi di sopravvivere nell’amore e vada perciò ricercando mille industrie per amare sempre, in ogni tempo, da per tutto, tutti gli uomini del mondo; tuttavia non arriverete che a raffigurarvi assai pallidamente la bontà del Cuore Sacratissimo di Gesù Cristo. I Santi non sapendo altrimenti darcene una idea, la dicono bontà d’un cuore di padre, di sposo e di amico. E questi sono pure i titoli con cui, a significarci la bontà del suo Cuore, Gesù Cristo o si è chiamato Egli stesso o si fece chiamare dalle Sante Scritture. Ed invero la sua bontà è veramente quella di un padre, perché è Egli che venne nel mondo per darci la vera vita e darcela abbondantemente: Ego veni ut vitam habeant et abundantius habeant. ( Jo. X, 10) E come un padre terreno, che non pago di aver concorso a dar la vita fisica ai figliuoli, si travagli a ancora per dare agli stessi la vita morale, così Gesù Cristo, dopo di averci data la vita della grazia, continua ad accrescerla in noi con la ricchezza de’ suoi tesori celesti è col provvederci incessantemente tutti gli aiuti che ci abbisognano, perché abbiamo a raggiungere il nostro fine. E che dire della tenerezza di questo Cuore veramente paterno verso i figli che più ne abbisognano? Durante la sua mortal vita è propriamente ai figliuoli più rozzi, più meschini, più infelici, che Egli rivolgeva di preferenza le attenzioni amorose del suo Cuore. E con quanta bontà trattava le turbe, benché così incostanti nel seguirlo! Con quanta bontà trattava gli Apostoli, benché così difficili ad essere ammaestrati e così tardi di cuore a prestargli fede! Con quanta bontà trattava i poveri, gl’infermi, i lebbrosi, benché così piagati? ributtanti! Con quanta bontà trattava i peccatori! Questi uomini avviliti, che dalla superbia de’ Farisei erano crudelr_:e condannati, nel suo Cuore pieno di compassione trovavano sempre un sicuro rifugio; e per assicurarci viemeglio di ciò, egli dipingeva il Cuor suo sotto l’immagine del cuore di un padre, che si strugge dalla gioia nel riabbracciare il suo pentito figliuolo. – La bontà del Cuore di Gesù è la bontà di un cuore di sposo. Pel mistero della grazia Egli si unisce alle anime nostre con uno sposalizio assai più perfetto, che non siano le nozze nell’ordine naturale. Ed unito per tal guisa ad un’anima, chi sa dire le finezze di bontà, che le prodiga? Come uno sposo indovina i desideri della sposa, ed amandola, prontamente l’appaga, così fa il Cuore di Gesù con le anime sue dilette. Egli legge in fondo al loro essere i bisogni che hanno, e con l’abbondanza delle sue grazie si fa premuroso a soddisfarli. Egli si intrattiene sempre con esse e del continuo le ispira al bene, le conforta nei pericoli, le consola negli affanni, le inebria in ogni circostanza di infinite dolcezze. Oh! è bensì vero che il mondo materiale e miscredente non sa, non intende, non crede neppur possibili queste relazioni così intime e così sublimi tra Gesù Cristo e le anime, che lo amano; ma con tutto ciò non lasciano di esser vere e di rivelare la bontà immensa del Cuore di Gesù per noi. E se interrogassimo le anime sante, come quelle di una sant’Agnese, di una santa Catterina da Siena, di una santa Teresa di Gesù, di un S. Bernardo, di un S. Filippo Neri, di un S. Francesco Saverio e di mille altri serafini d’amore che gustarono vivamente le delizie dello Sposo divino, ce ne direbbero senza dubbio delle meraviglie. – La bontà del Cuore di Gesù è ancora bontà di cuore d’amico. « Chi ha trovato un vero amico, ha trovato un tesoro, » dice lo Spirito Santo. Ed invero se tu hai un vero amico, hai chi riceve nel cuore i tuoi segreti e li custodisce, chi ti consiglia nei dubbi, chi ti aiuta nelle necessità, chi ti sostiene nei pericoli, chi ti ristora in tutta la vita, chi vive anzi per te stesso ed è pronto a sacrificarsi per te. Ma tal amico, oh quanto è difficile trovarlo tra gli uomini! Molti saranno coloro, che ti si spacceranno per tali, ma alla più piccola sventura che t’incolga, non tarderai a riconoscere la loro ipocrisia. Il Cuor di Gesù invece è il cuore di un amico vero, di un amico fedele, di un amico generoso. E chi andrà a confidare i suoi segreti a questo Cuore Santissimo col timore che gli siano svelati? Il Cuore del sacerdote, che nel Sacramento della penitenza rappresenta il Cuore di Cristo, è a somiglianza di uno di quei pozzi che vi sono sulle montagne, nei quali gettata entro una pietra, non sarà possibile cavamela fuori più mai. E chi ricorrerà per consiglio, per aiuto, per sostegno al Cuore di Gesù e non avrà tosto quanto egli brama? Un giorno Egli si fece vedere dal tabernacolo a S. Giovanni Berchmans con una corona di rose in mano, simbolo delle sue grazie, e gli disse che era pronto a donarle a chiunque si fosse appressato a domandargliene. E quando è mai che il Cuore di Gesù ci abbandoni? Porse nella povertà? Forse nel disonore? Forse nell’abbandono degli uomini? Forse nel carcere? Forse sul patibolo? Forse in vita? Forse in morte? Ah! mai e poi mai Gesù non ci abbandona: Egli ci sta sempre dappresso, anche allora che noi rifiutiamo la sua amicizia, anche allora che siamo in peccato, Egli si avvicina al nostro cuore e batte con le sue grazie per poterci rientrare. E infine che cosa non ha fatto per noi questo amico generoso? Lo stesso Gesù ha detto, che non vi ha carità maggiore di colui, che dà l a sua vita per i suoi amici: ed Egli la diede, ma ciò che è più meraviglioso, non per i suoi amici, ma per i suoi nemici, quali sono gli uomini per il peccato. Egli infine nel Sacramento dell’amore trovò il modo di restar sempre in mezzo a noi, di farsi persino il cibo delle anime nostre! Oh amico senza confronto! Oh bontà veramente ineffabile! – Chi è adunque, che non amerà un cuore così bello, così buono, epperò così amabile? Se anche da lontano noi intendessimo esservi una persona ammirabile per queste doti, non è egli vero che, anche senza conoscerla, noi ci sentiremmo dolcemente forzati ad amarla? E il Cuore di Gesù, ripieno di bellezza, di bontà infinita, sarà da noi così poco amato? Oh Dio! esclama sant’Alfonso Maria de’ Liguori, Gesù che solo è amabile, Egli solo par che sia il mal fortunato con noi, non potendo giungere a vedersi da noi amato, come se non fosse abbastanza degno del nostro amore! È così le fragili bellezze, le meschine bontà delle creature hanno maggior forza per guadagnare i nostri cuori, che non abbia il Cuore Santissimo di Gesù! Questo è quel che faceva piangere le Rose di Lima, le Caterine di Genova, le Terese, le Marie Maddalene de” Pazzi, le quali, considerando queste ingratitudini degli uomini, esclamavano piangendo: « L’amore non è amato! L’amore non è amato! » Orsù adunque, se vogliamo corrispondere degnamente al fine della divozione al Sacro Cuore, finiamola una volta con quegli amori delle creature, che non fanno altro che deturpare e gettare in affanno le anime nostre; amiamo soltanto più questo Divin Cuore, nel cui amore le anime nostre si faranno belle e buone della sua stessa bellezza e della sua stessa bontà.
II. — E ciò è richiesto dal nostro stesso interesse. Il mellifluo S. Bernardo oltre al chiamare il Cuore di Gesù Cuore di fratello e di amico, lo chiama altresì Cuore di re: Cor E ben a ragione, perché Gesù Cristo è re davvero, onde disse Egli stesso a Pilato: Rex sum ego. ( Jo. XVIII, 37). Ma Egli è re che regge realmente, re che ordina, governa e comanda con ogni potere tutto quanto il creato. Così ancora dichiarò Egli ai suoi apostoli: Data est mihi òmnis potestas in cœlo et in terra: (MATT. XXVIII, 18) A me è stata conferita ogni potestà in Cielo ed in terra. E come non sarebbe così, se Egli è Dio creatore e padrone assoluto degli Angeli, degli uomini, e di tutti quanti gli altri esseri creati? Ma perché non ne dubitassimo punto, durante la sua mortal vita Egli ce ne diede le prove più grandi. Alle nozze di Cana in Galilea, dando principio alla serie dei suoi strepitosi miracoli, comandò all’acqua di diventar vino, e l’acqua obbedì facendosi vino generoso. Sul lago di Genezaret addormentato a poppa di una nave, allorquando la tempesta mugge e minaccia di sommergerla, al grido degli Apostoli atterriti si desta; comanda ai venti ed al mare di ricomporsi in pace, e questi gli obbediscono e torna la calma perfetta. Nel deserto le turbe, che da più giorni lo seguono, mancano di cibo e stanno per venir meno, ma Egli comanda ad alcuni pani e a pochi pesci di moltiplicarsi e questi obbediscono e bastano a satollare migliaia di persone. Nei borghi, nei villaggi, nelle città dove Egli passa, sono recati a Lui sulle pubbliche piazze infermi d’ogni maniera perché li guarisca, ed Egli comanda alle infermità di lasciarli in salute, e le infermità obbediscono alla sua voce e se ne vanno; ed ecco i sordi che odono, i ciechi che vedono, gli storpi che si drizzano, i paralitici che si alzano dai loro letti e lo portano via sulle spalle, i lebbrosi che sono mondati, gl’infermi d’ogni malattia che sono sanati. Né solamente sulle infermità Gesù Cristo fa sentire il suo potere, ma ancora sulla morte istessa, ed al suo comando l’unico figlio della vedova di Naim, la figlia di Giairo, ed il fratello di Marta e Maddalena, dopo d’essere stati vittime della morte, riprendono la vita e risuscitano. Gli stessi demoni così superbi, così potenti cogli uomini, diventano piccoli e miserabili dinanzi a questo Re dell’universo, ed al suo imperioso comando escono frementi di rabbia dal corpo degli ossessi e se ne vanno dove egli li rilega, nel corpo di vili animali. E quale è poi la potenza che egli esercita a suo riguardo? Davanti a coloro che lo vogliono lapidare ei si rende invisibile; innanzi ai suoi Apostoli prediletti si trasfigura diventando col volto più fulgido del sole e colle vesti più candide della neve; a coloro che vanno per catturarlo dice una parola soltanto ed essi cadono tutti all’indietro. Sul Calvario poi inchiodato sulla croce, non sembrando più altro che la debolezza in persona, pur fa tremare la terra ed oscurare i cieli, fa che si spezzino le rocce, si aprano i sepolcri, risuscitino i morti, si squarci il velo del tempio, sicché gli stessi suoi crocifissori dicano, battendosi il petto: Vere Filius Dei erat iste! (MATT. XXVII, 40). Ah! costui era veramente Figlio di Dio. E da ultimo per sua propria virtù risorge trionfante da morte e dopo essere rimasto ancora quaranta giorni con i suoi Apostoli se ne sale al Cielo. Quali prove adunque della potenza del Cuore di Gesù Cristo? Sì, del Cuore; perché l’onnipotenza spontanea che Gesù Cristo dimostra non è altro se non l’effetto dell’amore e della misericordia per gli uomini. Tutti i miracoli da Lui compiuti sono atti di beneficenza, atti che mirano a prevenire od a togliere le sventure, atti che hanno per iscopo di trasformare le anime e di salvarle, di trarre a sé le menti ed i cuori, degli uomini, atti perciò che inducono le moltitudini a circondarlo, sia per fare appello fiduciosamente al suo potere, sia per rendergli grazie dell’esperienza, che già ne hanno fatta. – Ma la potenza del Cuore Sacratissimo di Gesù non si è ora abbreviata; epperò tutto quello che Egli fece nella sua mortal vita, e mille volte di più, Egli è pronto a fare ora e sempre per il bene delle anime nostre e per guadagnarsi l’affetto dei nostri cuori. Sì, certamente ora non sempre ad ogni nostra invocazione opererà un miracolo, perché ciò non è affatto necessario, benché se fossero tutti conosciuti quelli che opera anche oggidì in tutto il mondo, si vedrebbe non essere per nulla inferiori di numero e di grandezza a quelli operati un giorno nella Palestina. Ma per darci all’amore del Cuore di Gesù Cristo abbiamo noi bisogno di miracoli? Non ci basta il sapere che Egli può scamparci dai pericoli del corpo e dell’anima? Che Egli può guarirci dalle nostre malattie o darci la pazienza di sopportarle? che Egli può soccorrerci nelle nostre sventure o darci la forza per assoggettarvici con rassegnazione e con merito? Che Egli può liberarci dalle tentazioni del demonio od assisterci, perché ne siamo vincitori? che Egli può domare le nostre cattive inclinazioni e farci santi? Un giorno Gesù parlando a Santa Margherita le disse: «Non temere, o mia diletta, perché tu non mancherai di soccorso, se non quando questo mio Cuore mancherà di potenza. » Or queste confortanti parole il Divin Redentore rivolge ancora a noi tutti, suoi devoti. E siccome la potenza del Cuore di Gesù non verrà meno in eterno, perciò dobbiamo ritenere, che Egli sempre eserciterà a pro delle anime nostre il suo infinito potere, purché noi ce ne rendiamo degni col nostro sincero amore per Lui. Coraggio adunque, o carissimi, quando la bellezza e la bontà del Sacratissimo Cuore non bastassero ancora ad indurci al suo amore, ci sproni almeno il nostro interesse, nella considerazione della debolezza nostra e della sua potenza; amiamolo questo Cuore Santissimo, almeno per gli aiuti che ce ne possono venire, epperò d’ora innanzi ripetiamo sempre efficacemente: Diligam te, Domine, fortitudo mea; (Ps. XVII, 1) o Cuore Santissimo di Gesù, Signore del Cuor mio, io vi amerò, perché voi siete la mia forza. –
III. Ma non basta, o miei cari, che noi ci risolviamo di amare il Cuore di Gesù, o che diciamo di amarlo È necessario che lo amiamo di fatto con un amor vero. E perché il nostro amore sia tale, fa duopo anzi tutto che sia un amore attivo, fecondo di buone opere e di generosi sacrifici. No, non sono parole che il Cuor di Gesù cerca da noi, ma opere: non… verbo et lingua, sed opere et veritate, ( I Jo. III, 18) perché prova dell’amore è l’esibizione dell’opera; non sono preghiere soltanto, che Egli vuole da noi, benché anche queste gli siano tanto care, ma l’adempimento della sua santa volontà, giacché questa è la livrea, a cui si riconoscono i suoi veri amanti: qui habet mandata mea et servat ea, illi est qui diligit me; (Jo. XIV, 15) no, non sono unicamente tenerezze affettuose ed amorose compiacenze, che Egli richiede da noi, benché anche queste gli tornino gradite, ma fatti veri e reali nell’esecuzione precisa di tutti i suoi santi precetti. Non basta. Per amare il Cuore di Gesù bisogna sottostare alla fatica per Lui, soffrire per Lui, bramare che ci manchi qualche cosa per Lui, gradire le malattie o qualche disgrazia per Lui. Chi ama, deve abbracciare con gioia anche i tormenti e le sofferenze pel diletto. Oportet amantem omnia dura et aspera propter dilectum libenter amplecti. (Imit. 1. III, c. V) E colui che non è pronto a patir e ad abbandonarsi interamente alla volontà di colui che ama, non merita di essere chiamato amante: Qui non est paratus omnia pati, et ad voluntatem stare dilecti, non est dignus amator appellari. (Ibid.) Or ecco perché i Santi tanto anelavano di patire, e un S . Francesco d’Assisi giubilava in mezzo alla penuria ed alla nudità; e un S. Giovanni della Croce domandava per compenso a Gesù di patire ed essere disprezzato per Lui: e una S. Teresa esclamava: O patire, o morire: e una S. Maria de’ Pazzi soggiungeva: Patire e non morire. Tutto ciò era effetto dell’amor vero, che nutrivano in cuore per Gesù Cristo. In secondo luogo, per amare il Cuore di Gesù di un amor vero, bisogna amarlo di un amor sovrano. Con ciò non s’intende già di dire che lo dobbiamo amare di un amor esclusivo, cioè senza amar affatto il prossimo; il pensar ciò sarebbe un’empietà ed una pazzia. Gesù Cristo anzi ci ha insegnato e con le parole e con l’esempio, che amare il prossimo è precetto simile a quello di amare Iddio; ma nel tempo stesso ci ha appreso ancora che il prossimo dobbiamo amarlo in Dio, con Dio e per Iddio, e che, per quanto vivo e tenero sia l’amor nostro verso del prossimo, deve sempre essere sovranamente superato dall’amor di Dio. Chi ama il padre o la madre, ha detto Gesù Cristo, chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me: Qui amat patrem aut matrem plusquam me non est me dignus; et qui amat filium aut filiam super me, non est me dignus. (MATT. X, 37) Il Cuore di Gesù adunque vuol essere amato sovranamente. Ed è questo l’amore con cui noi lo amiamo? O non vi sarebbero invece nel cuor nostro degli amori, che eclissano l’amore di Gesù Cristo! Non vi sarebbe in noi la stolta pretesa di mettere a paro l’amore di Gesù Cristo con quello delle creature? Di dare un po’ del cuor nostro a Lui e il resto agli amici e ai beni del mondo? Ah! il Cuore di Gesù, santamente geloso, di questa ingiustissima divisione troppo resterebbe afflitto! Egli vuole assolutamente, che neppure un affètto solo non sia ordinato a Lui. È quello che assai chiaramente fece conoscere alla sua dilettissima S. Rosa di Lima. Questa santa verginella erasi già distaccata da tutto il mondo e non viveva più ad altro che a Dio in continue orazioni. E volendo talora sollevarsi qualche poco dalle sue lunghissime contemplazioni, si tratteneva a coltivare ed innaffiare una pianta di basilico; ed essendo già cresciuta fronzuta e bella si godeva l’innocente piacere di guardarla qualche volta. Quando un dì tornata essa a rivedere il suo basilico, vide rovesciato il vaso, sparsa qua e là la terra e sfrondata la pianta. E a questa vista, ohimè! disse la Santa, chi mi ha così rovinato il mio caro basilico? E in questo dire girando gli occhi, vide dinnanzi a sé il divin Salvatore Gesù, che tutto accigliato e fosco le rispose: « Sono io, che ho strappato il basilico, perché non voglio che veruno de’ tuoi affetti sia dato ad altro che a me. » A tali parole si confuse la Santa, e gettatasi per terra chiese perdono a Gesù del suo fallo. Ora, o carissimi, se dispiacque a Gesù quell’affètto così innocente per una pianta, come potrebbero piacergli quegli amori, con cui noi amiamo le creature e i beni del mondo a preferenza di Lui? Come anzi non ne sarebbe sommamente sdegnato? Ah! per professare al Sacratissimo Cuore una vera divozione, gridiamo adunque efficacemente come gridava S. Francesco di Sales: « Se io sapessi che nel mio cuore vi è una sola fibra che non fosse per Iddio, me la vorrei tosto strappare e gettarla lontano come un veleno. » Imitiamo l’esempio de’ Santi, che sono stati pronti per amore di Gesù, a sacrificare anche gli amori più vivi e più teneri, di padre, di madre, di figlio, di sposo, di amico, sempre che questi amori non potevano conciliarsi coll’amore di Gesù Cristo. E se fosse necessario, siamo pronti come i martiri a sacrificare piuttosto la vita, anzi che rinnegare l’amore di quel Dio, che nel Cuore di Gesù si mostra degno del nostro sovrano amore. Finalmente il Cuore di Gesù per essere amato di un amor vero deve essere amato di un amore costante. Pur troppo, o miei cari, riandando la vita passata vi saranno non pochi tra di noi, che già avanzati negli anni, come S. Agostino dovranno dire: Signore Gesù, assai tardi ti ho conosciuto, assai tardi ti ho amato; Sero te cognovi, sero te amavi. E in questo caso che altro dovremmo fare per l’avvenire, se non imitare quei Santi, che pur avendo offeso Iddio con gravi peccati, si fecero a ripararli con l’amor penitente, con le lagrime della contrizione? Ma chi sa pure quanti altri, giovani ancora, andranno forse dicendo in cuor loro: Più tardi, quando i ghiacci dell’età avranno raffreddato i nostri sensi, quando la vita sarà logora, quando in essa non vi sarà più nulla per il mondo, più nulla per il piacere, più nulla per le passioni, allora approfitteremo della calma dei nostri vecchi anni per amicarci con Gesù Cristo e dargli il nostro amore! Oh se mai ve ne fossero: Giovani, griderei, non siate così insensati da gettare il fior di vostra vita. Indarno correte in cerca di felicità nei piaceri del mondo e nella soddisfazione dei sensi. Gli amori terreni non susciteranno in voi che affanni ed amarezze; e il più crudo disinganno non tarderebbe a mostrarvi quanto vi siate avviliti. Ma siamo noi giovani, siamo noi vecchi, se Dio ci ha fatto la grazia, massime nella divozione al Sacro Cuore di Gesù, di conoscerlo e di cominciare davvero ad amarlo, deh! non cessiamo di amarlo un istante solo. Amiamolo oggi e amiamolo domani, amiamolo di giorno e amiamolo di notte, amiamolo nella pace e amiamolo negli affanni, amiamolo nella prosperità e amiamolo nelle cose avverse, amiamolo nella gioia e amiamolo nel dolore, amiamolo sempre, amiamolo eternamente. Anche noi con l’Apostolo Paolo ripetiamo: « Chi ci separerà dalla carità di Cristo? La tribolazione, l’angoscia, la fame, la nudità, il pericolo, la persecuzione, la spada? Io son sicuro che né la morte, né la vita, né gli Angeli, né i principati, né le virtudi, né il presente, né l’avvenire, né la violenza, né ciò che è in alto, né ciò che è al basso, né qualsivoglia creatura potrà dividerci dalla carità di Dio, la quale è in Cristo Gesù Signor nostro. » (Rom. VIII, 35-39). Che anzi studiamoci incessantemente di accrescere pel Cuore di Gesù il nostro amore. No, quando si tratta di amare quel Cuore, che tanto ci ha amato, non bisogna mai dire: Basta. Quando pure avessimo sostenute tutte le malattie di S. Liduina, quando avessimo sofferto come san Francesco di Assisi i dolori della crocifissione, quando avessimo fondato come S. Teresa trentadue monasteri, quando avessimo procacciata la pace alla Chiesa come S. Caterina da Siena, quando avessimo convertito intere nazioni come san Francesco Saverio, quando avessimo faticato come S. Paolo ed amato come S. Giovanni, pensiamo e confessiamo, che non abbiamo ancor fatto nulla, in confronto di quello che ci resta a fare, per amare il Cuore di Gesù Cristo, come merita di essere amato. Ad ogni modo troviamoci sempre con tali vampe in cuore, che alla domanda del Cuore di Gesù: « Mi ami tu veramente? » possiamo rispondere come S. Pietro: « Signore, tu sai il tutto: e tu conosci che io ti amo. » ( Jo. XXI, 15-17). Sì, o Cuore Sacratissimo, voi sapete il tutto e vedete come nel cuor nostro vi sia almeno il desiderio di amarvi. Eccoci dunque interamente a voi. Si chiudano per sempre questi nostri occhi, se cercheremo le nostre compiacenze in altra bellezza, e bontà fuorché nella vostra. Si inaridisca per sempre la nostra lingua se cesserà di invocare il vostro possente aiuto. Si estingua in noi ogni alito di vita, se non faticheremo, se non soffriremo, se non vivremo sempre per voi. Aiutateci, o Cuore Divino, a restar fermi nei nostri propositi. Dateci la grazia di amarvi davvero come meritate di essere amato, affinché ciascuno di noi possa sempre ripetere con gioia: Dilectus meus mihi, et ego illi: (Cant. I, 16) il mio diletto a me, ed io a Lui, in vita ed in morte, in terra ed in cielo, ora ed in eterno.