LA GNOSI, TEOLOGIA DI sATANA (23): CARTESIO CONTRO LA FEDE CATTOLICA -I-

CARTESIO E LA FEDE CATTOLICA – I –

[Elaborato da: É. Couvert in “De la gnosi a l’Æcumenisme”]

Un CARTESIO segreto

Nella vita di Cartesio, vi sono diversi periodi durante i quali si perde la traccia dei suoi itinerari e della sua attività. Una vita perpetuamente errante, la sua, con amicizie equivoche e cangianti, fughe improvvise, spostamenti rapidi in Francia, una preferenza accordata all’Olanda ed ai paesi protestanti: tutto ciò richiede dei chiarimenti, delle spiegazioni. – Cartesio ha frequentato i rosa+croce, prima forma di massoneria nel XVII secolo (ancora oggi il “cavaliere rosa+croce” costituisce uno dei più infami gradi della massoneria: il 18°!]. I suoi più grandi e fedeli amici ne facevano tutti parte. Il matematico Faulhaber, rosa+croce esaltato, il suo amico Isaac Berckmann e diversi pastori protestanti erano degli aderenti alla setta e frequentatori assidui della conventicola. Il suo primo biografo, l’abate Baillet, ha cercato di … cristianizzare ed idealizzare il personaggio; tuttavia egli non ha potuto nascondere alcune verità che traspirano qua e là nella sua malconcia recita.  « Cartesio, egli dice, frequenta una confraternita di sapienti in Svevia, che si era stabilita già da qualche tempo sotto il nome di “Fratelli della Rose+Croix” ». Erano questi, si dice, delle persone che sapevano di tutto e che promettevano agli uomini una nuova saggezza, vale a dire la vera scienza che non era stata ancora scoperta … il soggiorno di Cartesio in Svevia ebbe come scopo quindi la ricerca di questi “nuovi sapienti” alfine di conoscerli egli stesso, conferire con essi ed acquisire … nuova saggezza. Uno dei loro statuti, ci dice sempre Baillet « era quello di non apparire per ciò che erano, di non distinguersi dagli altri uomini né per l’abito, né per i modi di vivere e di non manifestarsi nei loro discorsi … ». Altrimenti detto, di trasmettere il loro insegnamento con sufficiente discrezione per non svelare la loro appartenenza alla società [segreta …].  – E noi vediamo allora Cartesio osservare fedelmente ogni regola dei Rosa+Croce: vive da “lupo” solitario, vaga da città in città, rifugge dalla compagnia degli uomini e dalle agitazioni del mondo per occuparsi dello studio, assicurandosi la libertà del suo spirito. Moltiplica le prudenze, pubblica le sue opere dopo molte esitazioni in Olanda, comunica i suoi lavori ai rari e discreti  amici. Indubbiamente non troviamo in alcun luogo notizie circa la sua affiliazione a questa società segreta, così sarà sempre possibile il negarlo; ma la sua attività ed il suo insegnamento sono più eloquenti che una tessera o un numero e codice di iscrizione. – Dopo aver errato tra le armate protestanti, poi cattoliche, di Germania, dopo un lungo soggiorno in Svevia, sul quale ritorneremo, nel 1628, Cartesio si rifugia definitivamente in Olanda, e si iscrive alle università protestanti; i suoi migliori amici sono pastori. Sono questi ultimi che traducono in latino le sue opere. Egli ha un legame sentimentale, dal quale nasce una figlia, Francine che fa battezzare, naturalmente, da un pastore, a Deventer. Cartesio, ha reso egli stesso il senso della sua vita: « come i commedianti prudenti, perché non vedano l’onta che sale verso la loro fronte, si rivestono del loro ruolo, ugualmente nel momento in cui vado a salire sulla scena del mondo, di cui non sono stato finora che spettatore, io cammino mascherato ». è questa la formula satanica del “larvatus prodeo” (procedo nascosto).

Un Cartesio illuminato e prometeico

Si crede comunemente che il “metodo” cartesiano gli sia stato dettato dalle sue lunghe riflessioni filosofiche, e che sia dovuto ad una meditazione intensa, apparendogli infine con l’evidenza che segue una attività razionale. Ma non è affatto così! Cartesio fu, come tutti i grandi sovversivi, un “illuminato”. È nel corso del suo soggiorno presso i Rosa+Croce in Svezia che ha un “sogno”. Nel 1618 scrive infatti al suo amico e confidente. Isaac Berckmann: « Io dormivo e voi mi avete ridestato ». È la formula classica dell’illuminazione gnostica,ì. La sua nuova dottrina, egli non l’ha inventata, ma … ohibò l’ha … ricevuta. – Il 10 novembre 1619, sempre nel suo “focolare”  di Svevia, sogna che un vento impetuoso lo fa vacillare e lo distoglie dal suo proposito di andare a pregare nella cappella del suo collegio di La Flèche: « A malo spiritu ad templum propellabatur »: io ero spinto da un cattivo spirito verso il tempio, fortunatamente sono stato distolto da questo vento. Poi viene colpito da un colpo di fulmine che lo fa sussultare: « Questo è il segnale dello “spiritello” di verità che scendeva su di lui per possederlo ». Poi legge un verso: « Quod vitæ sectabor iter? » (quale cammino seguirò nella vita? E le parole «est et non », che sono, egli dice, il Si e No di Pitagora, rappresentante la verità e la falsità nelle conoscenze umane. Con questo sogno, egli dice, « … era lo spirito di verità che doveva aprirmi i tesori di tutte le scienze. » Questo fu « una brusca e rapida folgorazione! ». Egli vuole ribaltare tutti gli antichi sistemi e « … mettere a nudo il suo spirito ». Non è questa la forma classica di ogni sovversivo? – Cartesio aggiunge ancora che « in questa famosa notte in cui gli fu “rivelata” [senza osare dire … da chi!], la dottrina che è la pietra d’angolo della filosofia e che può riassumersi in questa doppia proposizione: il principio della scienza deve essere cercato in noi stessi, poiché esso è in noi, come il fuoco nella silice, e non bisogna ricercarlo con metodi e ragioni filosofiche, bensì con l’ispirazione dei poeti, cioè con l’intuizione ». Ecco la gran parola disvelata: “Intueor”, che vuol dire « guardare all’interno ». L’uomo non ha che da rivolgere il proprio sguardo al fondo della propria anima … vi vedrà la verità che già è in essa, egli la possiede in se stesso, … non gli viene dal mondo esterno. Paul Valéry ironizza giustamente: « Cosa c’è di più suggestivo del volere che dei sogni eccessivamente oscuri gli siano testimonianze in favore di “idee chiare”! » Ed aggiunge: « Cartesio chiede al cielo di essere  confermato nella sua idea di metodo che implica una credenza ed una fiducia fondamentale in se stesso, [… nei suoi sogni cioè! –ndr.] condizioni che gli sono necessarie per distruggere la fiducia e la credenza nell’autorità delle dottrine tradizionali ». Per meglio dire: la sovversione degli spiriti e la grande rivoluzione è cominciata nientemeno che con questa brillante “illuminazione”. – Cartesio cerca la « scienza ammirevole »;  “mirabilis scientiæ fundamenta”, quella che ingloba tutte le scienze particolari e che darà una conoscenza totale del mondo, una scienza innata, dispiego del nostro pensiero. Questa rivelazione per mezzo di un sogno [… nemmeno di mezza estate !!] è una “santa” intossicazione, una Pentecoste della ragione, scienza universale perfettamente una, come quella di Dio che vede tutto, costituita in un solo colpo, per uno solo (per lui, ovviamente: Cartesio!) senza il lento lavorio delle generazioni, lo sforzo continuo dei molti, e l’autorità magistrale di qualcuno. – Cartesio ci rivela finalmente, che « la scienza deve essere il lavoro di uno solo, che deve essere un’opera composta dalla mano di un unico maestro, … Cartesio divenuto Dio! È la grande opera, l’arte reale dei nostri franco-massoni, eredi dei Rosa+Croce. « Mi si dia la misura e il movimento ed io rifarò il mondo », egli dice ancora, nel suo delirio di onnipotenza. Qual pretesa esorbitante! Il mondo gli è stato dato già creato da Dio, ma … Cartesio lo considera mal fatto. « Benché la volontà di Dio sia giunta ad una potenza materiale incomparabilmente più grande della mia, non di meno essa non è spiritualmente più grande della mia, in quanto che la mia volontà è il poter fare una cosa o non farla, affermare o di negare, perseguire o fuggire … » Questo vuol dire che l’uomo è uguale a Dio con il suo spirito, ma che gli manca solo la forza materiale. Non oltrepassando l’uomo se non per la creazione della materia (ecco qui un pensiero propriamente gnostico!). questo vuole dire ancora  che lo spirito è ridotto interamente alla volontà, e questa volontà è riconducibile all’indifferenza del giudizio nei riguardi dei beni particolari, finiti e limitati che si presentano all’uomo … questa definizione della volontà non può applicarsi assolutamente a Dio … Cartesio non ha compreso qui l’analogia dell’essere, che è una similitudine (e non uguaglianza) nei rapporti, allorché i termini riportati sono radicalmente eterogenei, di natura diversa; il potere creatore di Dio non è di natura materiale e non è commensurabile al potere “fabbricatore” dell’uomo. Non c’è solo differenza di gradazione tra l’azione di creare e quella di fabbricare, c’è differenza di natura! Tuttavia l’analogia porta sulla relazione che c’è tra il Creatore e la sua creazione da una parte, tra l’operaio e la sua opera dall’altra parte. Di vede già qui prendere forma l’idea di un Dio demiurgo, l’orologiaio di Voltaire. Una prima forma di deismo … Ma qual orgoglio! Io sono capace, dice Cartesio, di rifare la creazione!

Il rifiuto del reale e della tradizione

« Con il nome di pensiero, dice Cartesio, io comprendo tutto ciò che è tale in noi, e di cui siamo immediatamente a conoscenza. Così tutte le operazioni della volontà, della comprensione, dell’immaginazione e dei sensi sono dei pensieri. » – Con il nome di idee, dice ancora, io intendo tal forma di ciascuno dei nostri pensieri con la percezione immediata della quale, noi abbiamo conoscenza di questi stessi pensieri. » Formula tautologica che si contenta di affermare l’identità del nostro pensiero con se stesso! Così, la Verità che era, secondo il senso comune, l’accordo dei nostri pensieri con le cose conosciute, è qui l’accordo di questo pensiero con l’idea-forma di questo stesso pensiero. Non è ciò che è quel che imprime la sua forma, ma è l’idea innata che si manifesta all’interno del nostro spirito. « Di modo che, dice Cartesio, la luce naturale mi fa conoscere evidentemente che le idee sono in me come dei quadri e delle immagini che possono in verità facilmente decadere dalla perfezione delle cose da cui esse sono state tratte (ecco una concessione, di pura forma, al realismo!) ma che non possono mai contenere nulla di più grande e più perfetto ». – Così dunque le idee sono per se stesse perfette, indipendentemente dalle cose alle quali esse corrispondono. Così, dunque, egualmente la luce non illumina le cose per farle vedere, ma rischiara l’interno del nostro spirito per farle apparire, svelare come quadri e forme che già vi sono contenute. Poco importano le cose in se stesse, delle quali non possiamo conoscere il grado di perfezione. – Cartesio doveva rigettare innanzitutto la filosofia tradizionale, perché essa era un ostacolo alla sua rivoluzione negli spiriti. « Si è talmente assoggettata la teologia ad Aristotele, egli dice, che è quasi impossibile spiegare un’altra filosofia senza che essa sia innanzitutto contro la fede ». Questo sarà veramente il problema contro il quale si andrà a cozzare nel XIX secolo: come insegnare la fede cattolica accanto alla filosofia cartesiana? Noi vedremo che ciò è impossibile, e che la filosofia nuova è di per se stessa distruttrice della fede. – La filosofia moderna è impotente a rendersi conto della metafisica. Cartesio ha modificato il vocabolario, ha soppresso e volatilizzato i termini della scolastica; nello stesso tempo, sono le stesse nozioni che sono state coinvolte da questa rivoluzione. – Un moderno sapiente, fisico, chimico, biologo, non fa che invertire le nozioni di forma, di essenza, di sostanza, etc.: egli si condanna così a non comprendere nulla del reale che osserva e misura con i suoi ausili matematici. Quando egli vuole per un momento dominare il suo soggetto, estendere la sua conoscenza all’universale, bruscamente deraglia, sragiona, non sa più cosa dice. Si è ben visto a proposito del trasformismo. Il biologo che cerca l’origine delle specie parla di “Evoluzione”, deifica la materia, ne fa l’essenza dell’essere, gli attribuisce un potere divino di creazione delle forme … etc. – Tuttavia la “chiesa” [quella falsa dell’uomo], continua ad utilizzare, per l’insegnamento del suo dogma, le nozioni metafisiche della scolastica, ma che non vengono più insegnate nella dottrina da quel tempo. Così il cristiano elevato nelle discipline moderne è spaesato davanti a questo linguaggio antico che gli sembra fuori moda ed inintelligibile. Egli è dunque privo dell’ausilio metafisico necessario ad una intelligenza profonda del reale. L’insegnamento della fede non si può fare che con l’aiuto dei concetti metafisici del tomismo, perché essi sono l’espressione elaborata del “senso comune”, al di fuori  dei quali è impossibile penetrare la natura delle cose. La filosofia moderna ne è invece radicalmente impotente; è in questo che essa è distruttrice della fede. – Cartesio vuole ancora una ragione tutta pura, allo stato naturale, se così si può parlare, privata del soccorso di un Magistero che trasmetta una tradizione ricevuta, l’insegnamento di una verità cercata e studiata da altri, davanti alla quale l’intelligenza di ognuno deve fare atto di umiltà; una ragione ancora priva degli “Habitus”, cioè delle virtù sviluppate dall’esercizio e da una ascesi intellettuale che predispone il nostro spirito a sottomettersi al reale.

Il Dio di Cartesio.

Quando Cartesio vuole introdurre il “Cogito” come punto di partenza della sua filosofia, deve dapprima rigettare tutte le conoscenze anteriori in un “dubbio metodico”, come egli lo chiama, vale a dire … artificiale e sistematico. Già in questa pretesa esorbitante, c’è un’attitudine assurda. Se ne fa con volontà, con una decisione arbitraria, un “vuoto di spirito”. Quando cominciamo a riflettere, a filosofare, noi abbiamo una materia sulla quale il nostro spirito lavora, dei dati primari, degli oggetti di conoscenza, sui quali possiamo elaborare una riflessione. Non si pensa il niente, bensì qualcosa. Questa posizione di dubbio metodico può dirsi a parole, ma non può praticarsi, perché la nostra anima spirituale è fatta per la verità e dunque per delle certezze; il dubbio non è che un passaggio provvisorio tra l’ignoranza e la certezza, supponendo già delle conoscenze certe alle quali appoggiarsi. Come mai Cartesio ha dunque provato il bisogno di escludere, da questo dubbio metodico, le verità della fede? Se possiamo dubitare, come pretende Cartesio, di tutti gli oggetti reali che ci circondano e di cui percepiamo l’esistenza nel corso del giorno, come potremmo non dubitare a maggior ragione, di un mondo soprannaturale di cui non abbiamo alcuna percezione diretta? La pretesa di Cartesio è insostenibile, ed i cartesiani del XIX secolo non faranno un grande sforzo per negare l’esistenza di questo sovrannaturale: questa ad esempio sarà l’attitudine di Renan. – Resta il fatto che Cartesio, contro ogni verosimiglianza, mantiene le certezze religiose fuori da ogni dubbio metodico. Si è detto che egli volesse sfuggire ai fulmini del Santo Officio. Forse e di fatto, dopo la sua morte, le sue opere saranno messe all’indice, come vedremo. – Ma c’è un’altra spiegazione. L’esistenza di Dio e le verità soprannaturale connesse a questa esistenza, non sono ricevute dall’esterno dalla percezione sensibile, né con l’insegnamento di un Magistero, tutte cose incapaci, ci dice Cartesio, di permetterci di raggiungere la certezza; sono verità evidenti per se stesse, idee “chiare e distinte”, percepite immediatamente dall’intelligenza dal suo esercizio immanente. Il “Cogito”, diviene allora questa formula: “Io penso Dio, dunque Dio esiste”. L’esistenza di Dio è tutta nel mio pensiero, è sospesa al mio pensiero. « È quasi la stessa cosa concepire Dio e concepire che Egli esista », ci dice Cartesio. Il “quasi” è ammirabile… vi si vede una esitazione prima di affermare una formula così assurda. Vi si potrebbe vedere una precauzione verso le critiche che non si sarebbero tardate a levarsi davanti ad una tal pretesa. Infatti, se è quasi la stessa cosa, non è dunque puramente la stessa cosa, non è dunque in tutto la stessa cosa. – Ma Cartesio prosegue il suo pensiero: « Tornando ad esaminare l’idea che avevo di un essere perfetto, trovavo che l’esistenza vi era compresa, nello stesso modo che è compresa in quella di un triangolo in cui i tre angoli sono uguali a due retti » È l’argomento chiamato “ontologico” di San Anselmo, uscito da una comparazione evidentemente matematica. Se esiste un triangolo, i suoi angoli sono uguali a due angoli retti, dirà il senso comune, certo, ma … questo non prova l’esistenza del triangolo. L’esistenza non è un attributo che si può aggiungere ad un altro. La definizione del triangolo riguarda la sua natura, non la sua esistenza. L’idea di perfezione rientra nella natura di Dio, dunque nella sua essenza, non nella sua esistenza. Io non posso aggiungere alla perfezione di Dio l’idea di esistenza ed in modo tale che negandone l’esistenza, Dio non sarebbe più perfetto, perché gli mancherebbe qualcosa. In effetti se Dio non avesse l’esistenza non avrebbe alcuna delle perfezioni che gli si potrebbero attribuire: bontà, forza, amore, etc. Quando si dice « Dio è sovranamente giusto », ad esempio, l’esistenza è compresa nel verbo  “essere” e non si aggiunge come complemento alla sua giustizia per perfezionarlo, completarlo. Così, dunque, l’idea della perfezione con contiene l’idea di esistenza. – Bisognava, diceva Cartesio, riportare la nozione di Dio ad una definizione matematica: l’esistenza è compresa nell’idea, ma questa non pone l’esistenza nel reale fuori dal mio pensiero. È una prima formula dell’immanenza vitale che i modernisti non si faranno scrupolo di sviluppare. Essa era già contenuta nelle affermazioni del cartesianesimo “presunto” cristiano. Maxime Leroy, nella sua opera intitolata: « Decartes, filosophe au masque » ci dice che le sue dimostrazioni religiose sono diabolicamente polemiche e che era un’anima sfuggente, espressione applicata da san Pio X ai modernisti.

Una morale provvisoria.

Abbiamo detto che la posizione di “dubbio metodico” è insostenibile per una intelligenza normale; essa lo è ancor più per un uomo che ogni giorno è costretto ad agire, e dunque a riflettere sulle proprie azioni, in modo da conformarle al Vero e al Bene. « Affinché non restassi irresoluto nelle mie azioni mentre la ragione mi obbligherebbe ad esserlo nei miei giudizi … » Grave problema! Ma è certo Cartesio che se l’è inflitto. Egli si vede costretto a forgiare una morale, detta provvisoria: bisogna agire come se si sapesse, poiché la nostra intelligenza non può darci dei criteri certi e veri della nostra azione. – Cartesio aggiunge: « Non seguire costantemente le opinioni meno dubbie, quando io mi ci sarei una volta determinato, come se fossero state sicurissime; ed è una verità certa (una verità certa, mentre tutto è dubbioso!) che quando non è ancora in nostro potere discerne le varie opinioni, noi dobbiamo seguire le più probabili, ed anche quando non notiamo maggiori probabilità alle une o alle altre, dobbiamo non di meno determinarci verso qualcuna e considerarle poi non più come dubbie e, riportandosi alla pratica, ma come verissime e certissime per il motivo che la ragione che l’ha determinata, si trova come tale » … ma come può dunque la ragione determinarsi a ciò che non ha ragione determinante nel nostro “far agire”? Non è dunque con la ragione sprofondata nel dubbio, dal quale non può uscire, che ci si conduce all’azione! Ed allora che cos’è? « E questo fu capace allora di liberarmi da tutti i pentimenti ed i rimorsi che hanno modo di agitar le coscienze di questi spiriti deboli ed oscillanti che si lasciano costantemente a praticare come buone le cose che essi giudica essere cattive. » Ecco dove si voleva arrivare! … liberare l’uomo dai rimorsi e dal pentimento! Liberarci dall’obbligo di giudicare prima di agire, obbligo penoso e fonte di conflitti interiori tra la ragione spirituale e le passioni sensibili, sforzo dell’intelligenza per ordinare in noi i differenti appetiti. E qual conclusione! … Agiamo, agiamo! I nostri dubbi diventeranno le nostre certezze: ciò che ho fatto è buono, per questa sola ragione che io l’ho giudicato così. È la mia azione che determina la verità! Cartesio è uno spirito forte che non si trova in imbarazzo nelle contraddizioni incontrate nel corso dell’esistenza tra i nostri desideri più o meno disordinati e la nostra conoscenza del vero. Il gergo ecclesiastico modernista utilizza molto l’espressione “fare la verità”. Essa era già in Cartesio. [1 – continua …]

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.