G. FRASSINETTI: IL CATECHISMO DOGMATICO (XII)

Catechismo dogmatico (XII)

[Giuseppe Frassinetti, priore di S. Sabina di Genova:

Ed. Quinta, P. Piccadori, Parma, 1860]

APPENDICE

SUL MODO D’INSEGNARE

LA DOTTRINA CRISTIANA AI FANCIULLI.

§ I .

Dell’importanza di questo insegnamento.

1. La cognizione di Dio e delle verità da Lui rivelate è il primo e il sommo bisogno dell’uomo: privo di essa, percorrendo la vita più infelice in questo mondo, va a terminare in una eterna miseria nell’altro. Questo suo primo e sommo bisogno, addiviene urgente tosto che il lume della ragione ne rischiara l’intendimento; quindi mentre ogni altra istruzione si potrebbe differire al fanciullo per gli anni appresso, questa della Religione non gli può essere ritardata. Per la qual cosa l’insegnamento della dottrina cristiana ai fanciulli è della più alta importanza, di assoluta necessità.

2. Inoltre è da notare che l’età della più verde adolescenza è la più adatta a tale istruzione, mentre che se le prime idee che sono comunicate al fanciullo quando perviene all’uso della ragione sono le idee cristiane, queste gli rimangono quasi naturali e profondamente impresse; quindi si trova Cristiano quasi nato e non fatto, né facilmente soffre che gli vengano alterate, o scambiate nelle età successive. L’istruzione cristiana cominciata ai primi albori dell’intelligenza, e continuata poi, com’è dovere, con paziente e solerte perseveranza, è la più grande guarentigia che possa aversi per la buona riuscita dell’adolescente, dell’uomo.

3. Egli è per questo che i Concili Generali, i Sommi Pontefici e i Vescovi prescrivono con gli ordini più pressanti e severi, che non si lasci mancare questa istruzione ai fanciulli: egli è per questo che gli uomini più eminenti in dottrina e in santità, l’hanno sempre promossa con indefesso zelo, e si pregiarono costantemente di amministrarla personalmente essi stessi.

§ II.

Del modo che sì deve tenere in questo insegnamento.

1. L’insegnamento deve essere uniforme. Perciò ai fanciulli si deve insegnare soltanto il Catechismo della Diocesi e, se è possibile, procurare che l’imparino tutto materialmente. Se si usassero catechismi diversi si produrrebbe una considerabile confusione; inoltre la materialità delle parole più facilmente si ritiene, e questa conserva nella memoria più lungamente la sostanza, ossia l’intelligenza delle cose.

2. Non si vuol dire però che si debba insegnare il catechismo solo materialmente. Lo devono mostrare soltanto materialmente le persone che non sono istruite nella teologia; queste bisogna si contentino d’insegnare il catechismo siccome sta senza sminuzzarlo, e spiegarlo, perché mancanti delle opportune cognizioni teologiche, insegnerebbero alle volte dei gravi errori; chi poi è istruito sufficientemente, procuri di sminuzzarlo, di spiegarlo secondo la capacità dei fanciulli, affinché meglio lo comprendano, e le verità che vi si contengono facciano più viva impressione nei loro animi.

3. Ma qui si avverta di non credere sempre cosa facile ed opportuna, lo sminuzzare molto sottilmente ai fanciulli le verità della Dottrina Cristiana; ella non è sempre cosa facile, perché nei misteri della Fede non si può sapere tutto ciò che si vorrebbe, ma soltanto quello che dei medesimi Dio ha voluto manifestare. Diceva Sant’Atanasio, a riguardo del mistero della Ss. Trinità, che noi ci dobbiamo contentare di saperne quel tanto che ce ne insegna la Chiesa, e che il rimanente lo coprono i Cherubini con le loro ali. Similmente nel mistero della Incarnazione, della Grazia e in tutti gli altri, non bisogna pretendere di dare ragione di ogni difficoltà che vi s’incontri, o di essere al caso d’intendere tutto e di tutto spiegare. Non è poi cosa opportuna, poiché quantunque chi insegna la Dottrina Cristiana fosse dottissimo, e al caso di trattare delle verità cattoliche con la maggior profondità e sottigliezza, non sarebbe questa cosa adattata per li fanciulli, i quali appena intendono le cose principali, e all’ingrosso. Si sminuzzi adunque la dottrina cristiana, ma non molto sottilmente, affinché apprendano le cose necessarie, e frattanto non restino più confusi che illuminati.

4. Un’altra importante avvertenza, è quella di non toccare quelle obbiezioni alle quali non si può dare una risposta che appieno soddisfi il grosso ingegno dei fanciulli, né quelle difficoltà che non si possano appianare con ragioni palpabili, e quasi direi materiali, delle quali soltanto è capace la loro mente. Ai fanciulli si devono dare quelle cognizioni che sono importanti a sapersi per tutti, e con la possibile chiarezza e semplicità: eglino non devono o confutare gli eretici, o salire le cattedre. – Questa avvertenza è necessaria ai chierici studenti, i quali alle volte vorrebbero insegnare ai fanciulli tutto ciò che essi vanno imparando nelle scuole.

5. Bisogna istruire i fanciulli gradatamente, cominciando dalle cose più necessarie a sapersi, e da quelle progredendo a tutte le altre; non si devono pertanto istruire sopra molte cose confusamente. Bisognerà, p. es., prima istruirli sull’esistenza di Dio, sopra i suoi Attributi, quindi sopra i misteri della Trinità, l’Incarnazione ecc., e progredire in tal modo di materia in materia, senza confusione. È ben vero però che spesso bisognerà ritornare sulle materie anteriori affinché non le dimentichino. E qui si osservi essere cosa importante, il far prendere ai fanciulli una idea grande di Dio, e la più grande che sia possibile spiegando loro i suoi Divini Attributi, giacché questa idea grande servirà molto, perché quindi facciano nei loro cuori maggiore impressione le massime del Santo Amore, e del Santo Timor di Dio. Si sa che Dio è poco amato e poco temuto da tanti Cristiani, perché hanno troppo poca cognizione della sua Bontà, e della sua Grandezza.

6. Si avverta che nell’istruire i fanciulli non si può pretendere da tutti la stessa riuscita. Perciò si deve procurare che i più svelti, d’ingegno pronto e di memoria tenace, imparino più cose, e conviene contentarsi che tanti altri, tardi d’ingegno e di poca memoria, imparino soltanto le cose più necessarie; si perde il tempo quando si vuole che un di questi impari molte cose come le imparano tanti altri di maggiore capacità, e non si fa che confonderne l’intendimento; laonde il prudente catechista non cercherà d’istruire i fanciulli di grossolano ingegno che intorno alle verità più importanti, e talora più indispensabili a sapersi.

§ III.

Delle massime che si devono instillare

ai fanciulli.

1. È insegnamento della Dottrina Cristiana: ai fanciulli non dev’essere un insegnamento nudo e secco delle verità della Fede, come sarebbe: vi è Dio, vi è l’inferno, vi è il Paradiso, i Sacramenti sono sette ecc., ma dev’essere un insegnamento sugoso il quale mentre illumina la mente, formi anche il cuore. – Si riesce a questo con l’insegnamento e la dilucidazione delle buone massime cristiane, e qui se ne metteranno per esempio e norma alcune principali. La prima massima è quella che Dio ci ha messo al mondo, non perché mangiamo, beviamo, ci divertiamo ecc., ma perché lo conosciamo, lo amiamo, lo serviamo e lo andiamo poi a godere in Paradiso; e questa massima come fondamentale bisogna spiegarla bene, e fare intendere ai fanciulli che chiunque non istà al mondo per conoscere, amare, servire Iddio e per guadagnarsi il Paradiso, al mondo sta male, e si merita di esserne levato, come si merita di essere tagliata nel campo quella vigna che non fa uva, quella ficaia che non fa fichi.

2. Che la grazia di Dio è il maggior tesoro, anzi l’unico vero tesoro che sia al mondo; che per conservarsi la grazia di Dio nel cuore, bisognerebbe gettar via un mondo intero quando fosse nostro, se per conservarla convenisse gettarlo via.

3. Che la peggior cosa è il peccato, il quale ci priva di quella grazia, e che sarebbe meglio tenersi un serpente vivo in seno, che un peccato mortale sull’anima; e siccome chi avesse un serpente vivo in seno non potrebbe né mangiare, né dormire, né divertirsi pel timore che da un momento all’altro gli desse la morte, così la persona, se ha un po’ di Fede, pare impossibile che possa mangiare, dormire, divertirsi, quando ha il peccato mortale sull’anima che da un momento all’altro la può precipitare all’inferno; che perciò quando uno avesse la disgrazia, la più spaventosa di tutte, di commettere un peccato mortale, dovrebbe fare subito vivi atti di contrizione, e poi confessarsene al più presto possibile.

4. Che chi ha compagnie cattive non ha bisogno di demonio che lo tenti per andare all’inferno; che un cattivo compagno alle volte, fa più danno all’anima di quello che non le farebbe un demonio. Che se non sono cattive compagnie, almeno sono sempre pericolose, e non piacciono agli Angeli Custodi, le compagnie promiscue di fanciulli e fanciulle insieme.

5. Che è meglio non confessarsi, che confessarsi male tacendo dei peccati; e a questo oggetto sarà cosa opportuna l’addurre qualche terribile esempio di confessioni mal fatte.

6. Che bisogna esercitarsi negli atti di amor di Dio, i quali al dire di Santa Teresa sono come le legna che mantengono e fanno crescere nel nostro cuore il santo fuoco dell’Amor di Dio. E qui sarà bene suggerire ai fanciulli la pratica di farne spesso tra il giorno, quali sarebbero: Mio Dio vi amo sopra ogni cosa. Signore vi amo con tutto il mio cuore. Convengono i teologi che i fanciulli tosto che arrivano all’uso della ragione sono obbligati a fare atti di amor di Dio; tuttavia, generalmente parlando, si trascura di ammaestrarli e di eccitarli all’adempimento di questo loro dovere, cui per la loro irriflessione badano poco o nulla. Per ottenere che prendano la consuetudine di fare spesso atti di amor di Dio, sarà bene di tempo in tempo interrogarli domandandone loro conto.

7. Che un vero devoto della Madonna non si è dannato mai; e qui bisogna avvertire ad instillare nel cuore dei fanciulli questa divozione tenera e fervente, procurando che tengano Maria in conto della più buona Madre, e a Lei ricorrano in tutti i loro bisogni. Tra le altre pratiche che loro si potrebbero suggerire questa sarebbe facile, e molto fruttuosa; che cioè recitassero tre Ave mattina e sera con questa breve orazione — Cara Madre, guardatemi dal peccato mortale. — Cara Madre piuttosto morire, che offender Dio.

8. Se queste ed altre massime s’instilleranno nel cuore dei fanciulli e dei giovinetti, ai quali s’insegna la Dottrina Cristiana, si formeranno al bene e alla pietà molto facilmente, e queste massime ben impresse nella prima età, non si scancelleranno mai più in avvenire.

§ IV.

Delle qualità che si deve procurare chi insegna la Dottrina Cristiana ai fanciulli.

1. Chi si mette ad istruire i fanciulli bisogna che sia paziente, grave, e manieroso. Bisogna in primo luogo che sia paziente, perchè i fanciulli, o per indole alquanto trista, o per rozzezza di educazione, o per inconsiderazione, e leggerezza sono alle volte difficili e tediosi: bisogna compatirli; tutto il male in loro non è malizia: di certi difetti alle volte non ne possono far di meno; diceva però bene quel Santo ai fanciulli: state savii se potete. Molte leggerezze o mancanze, che non sono d’altronde di gran conseguenza, conviene far mostra di non osservarle; bisogna sgridarli, o castigarli all’opportunità, quando le mancanze sono veramente considerabili, se il fanciullo si sente sempre sgridare, e si vede sempre castigato per ogni bagatella, non sapendo come evitare tanti gridi o castighi, non bada più né a questi né a quelli, e si forma di un’indole insensibile, e quindi incorreggibile.

2. Bisogna quindi che conservi la conveniente gravità, affinché i fanciulli abbiano sempre per lo maestro il necessario rispetto, senza cui non vi sarà né attenzione né profitto. Per tanto richiedesi che il Catechista si tenga sempre in certo decoro dì aspetto e di maniere, sicché i fanciulli lo rispettino. La quale avvertenza è necessaria in modo particolare, anche per altri titoli, a chi istruisce le fanciulle.

3. La gravità non deve essere disgiunta dalla buona maniera, affinché i fanciulli gustino di trattenersi con chi loro insegna la Dottrina. Chi usa aspre maniere e ributtanti, aliena gli animi dei fanciulli dalla Dottrina Cristiana; quei pochi che v’intervengono si tediano, si divagano, e nulla apprendono.

4. Quelli per altro, che insegnano la Dottrina Cristiana con vero zelo, non si trovano mai privi delle richieste qualità; perché l’amor di Dio lor insegna ogni modo opportuno per far profitto. Abbiano dunque molto amor di Dio, considerino quanto sia cosa importante istruire le menti, e formare i cuori dei giovinetti, e quindi sperino abbondante frutto dalle loro fatiche. Fatiche le quali, agli occhi di alcuni, sembrano poco onorevoli e poco stimabili, perché sono dirette alla tenera età, e il più delle volte ai fanciulli rozzi e malnati; ma che sono preziosissime agli occhi di Dio, il quale non riguarda le cose coi pregiudizi dell’umana vanità.

DOTTRINE NOTEVOLI PER L’AMMINISTRAZIONE DEI SS. SACRAMENTI AGL’INFERMI.

1. Riguardante la Confessione.

Qualunque Cristiano, sia uomo, sia donna in occasione d’infermità, anche non pericolosa di morte, per cui sia impedito di portarsi alla Chiesa, può confessarsi in casa: e ciò per più ragioni. Prima di tutto perché il Cristiano, potrebbe trovarsi in istato di peccato mortale, indi aver bisogno della Confessione per rimettersi in grazia di Dio. In secondo luogo, perché le malattie le quali sul principio non sembrano pericolose di morte, si aggravano alle volte improvvisamente, togliendo all’infermo anche l’uso dei sentimenti. Inoltre questa dottrina si rileva dai decreti del Concilio Lateranese sotto il Papa Innocenzo III e di S. Pio V. Questi decreti sono generali, tanto per gli uomini come per le donne, come sono generali le ragioni che indussero la Chiesa ad emanarli. Si noti che per ricevere questo Sacramento non fa bisogno della licenza del medico; che anzi sarebbe cosa ridicola chiedere licenza al medico di far ciò che non solo permette, ma ordina la Chiesa.

2. Riguardante il Ss. Viatico.

Come si può vedere in tutti i teologi, si può amministrare il Ss. Viatico ogni volta che la malattia è grave, ossia pericolosa di morte, quantunque vi sia ancora buona speranza di guarigione; e si dice grave, ossia pericolosa di morte, perché la gravità del male è necessariamente congiunta al pericolo della vita: anzi in tutte le malattie gravi, si possono sempre temere fatali peggioramenti anche precipitosi. Eccettuati i casi evidenti, di questa gravità e pericolo giudica il medico. Ma è da notare che, qualora l’infermo avesse argomenti da credere grave e pericolosa la propria malattia, purché seriamente il medico non gli asserisca il contrario, potrebbe esigere che gli fosse amministrato il Ss. Viatico, ancorché con tutta verità gli si dicesse non essere disperata la sua malattia, ed anzi dare buone speranze di risanamento.

III. Riguardante l’Estrema Unzione.

Primieramente si deve notare che questo Sacramento si chiama con tal nome, non perché debba darsi agli estremi momenti della vita; ma perchè è l’estrema, ossia l’ultima delle sacre unzioni che dà la Chiesa. In secondo luogo si deve osservare che l’Estrema Unzione si può amministrare come il Ss. Viatico, ogni volta che la malattia è grave, ossia pericolosa di morte, come si è detto. E poiché questo è un punto nel quale comunemente v’ha maggiore ignoranza, sarà bene sentire come ne parli s. Alfonso (Homo Apost. de Ex. Unct. n. 7). Ecco la fedele traduzione delle sue parole: « Comunemente dicono i Dottori che basta che l’infermità sia pericolosa di morte, almeno remotamente, cosi Suarez, Layman, Castropalao, Bonacina, Conninchio, i Salmanticesi ed altri. Basta perciò che vi sia un pericolo anche remoto. Prova quindi questa dottrina con le autorità dei Concili di Aquisgrana, di Magonza, di Firenze e di Trento; quindi segue: « Ma più chiaramente ciò si conferma da Benedetto XIV nella Bolla già citata, dove dice che il Sacramento dell’Estrema Unzione non si amministri a coloro che sono sani; ma soltanto a coloro che hanno una grave malattia: per il che dice rettamente Castropalao, che tutte le volte che si può dare il Viatico all’infermo non digiuno, si può dare, ed è espediente che si dia l’Estrema Unzione, « Per tanto l’infermo, ricevuto che abbia il Ss. Viatico, può domandare l’Estrema Unzione con diritto che gli sia data (A Parigi si costuma di dare l’Estrema Unzione immediatamente dopo il Viatico, come si legge nella Vita di Vittorina di Gallard morta nel 1836 – Vita, parte IV-). Queste avvertenze potranno servire di regola non solo agl’infermi, ma anche ai loro parenti ed ai medici.

PROFESSIONE DI FEDE CATTOLICA

Io N. N. credo e confesso con ferma fede tutti e ciascun articolo compreso nel simbolo di fede, del quale si serve la Santa Chiesa Romana, cioè:

Credo in un solo Dio Padre Onnipotente, Creatore del Cielo e della terra, di tutte le cose visibili ed invisibili; e in un solo Gesù Cristo, Figlio di Dio unigenito, e nato dal Padre prima di tutti i secoli, Dio da Dio, Lume da Lume, vero Dio dal vero Dio, generato e non fatto, consostanziale al Padre, per mezzo del quale furono fatte tutte le cose, che per amore verso noi uomini, e per la nostra salute è disceso dai Cieli, e ha preso carne dalla Vergine Maria per opera dello Spirito Santo, e si è fatto uomo: che è stato crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, ha patito e fu seppellito, che è risuscitato nel terzo giorno, giusta le Scritture, ed è salito al Cielo, che è seduto alla destra dei Padre; e che verrà un’altra volta con gloria a giudicare i vivi ed i morti, di cui il regno non avrà più fine. Credo nello Spirito Santo, Signore e Vivificatore, il quale procede dal Padre e dal Figliuolo, e che è adorato e glorificato col Padre e col Figliuolo, che ha parlato per bocca dei Profeti. Credo la Chiesa una, santa, cattolica ed apostolica. Riconosco un solo Battesimo per la remissione dei peccati, ed aspetto la risurrezione de’ morti, e la vita del futuro secolo. Così è. – Ammetto ed abbraccio fermamente le apostoliche ed ecclesiastiche tradizioni, e tutte le altre osservanze e costituzioni della Chiesa medesima. Ammetto inoltre la Sacra Scrittura nel senso che ha sempre tenuto, e tiene anche oggi la Santa Madre Chiesa, alla quale appartiene di giudicare del vero senso e della vera interpretazione delle Sante Scritture, e non le intenderò, e non le interpreterò mai altrimenti, che secondo il consenso unanime dei santi Padri. Confesso altresì che vi sono propriamente e veramente sette Sacramenti della nuova legge, instituiti da Gesù Cristo Signor nostro, per la salute del genere umano, comecché non tutti siano necessari alla salvezza di ciascuno in particolare. Tali sono: il Battesimo, la Cresima, l’Eucarestia, la Penitenza, l’Estrema Unzione, l’Ordine, e il Matrimonio. Credo che questi Sacramenti conferiscono tutti la grazia, e che tra questi il Battesimo, la Cresima, e l’Ordine non si possono ricevere che una sola volta senza sacrilegio. – Accetto, ed abbraccio del pari i riti dalla Chiesa Cattolica ricevuti ed approvati nella amministrazione solenne di tutti i suddetti Sacramenti: accetto ed abbraccio ogni e qualunque cosa che è stata definita e dichiarata nel Sacrosanto Concilio di Trento circa il peccato originale e la giustificazione. Confesso similmente, che nella santa Messa si offre a Dio vero, proprio e propiziatorio Sacrifizio per i vivi e per i morti; e che nel santissimo Sacramento dell’Eucaristia è veramente, realmente e sostanzialmente il Corpo e il Sangue in un con l’Anima e Divinità di nostro Signor Gesù Cristo, e che si opera una conversione di tutta la sostanza del pane nel Corpo, e di tutta la sostanza del vino nel Sangue, il qual cangiamento la Chiesa Cattolica chiama Transustanziazione. Confesso altresì che Gesù Cristo v’è tutto ed intero, ed il vero Sacramento ricevasi sotto l’una e l’altra delle due specie. Tengo costantemente esservi il Purgatorio, e credo che le anime quivi detenute sono sollevate ed aiutate dai suffragi de’ fedeli. Credo per egual maniera, che i Santi che regnano con Gesù Cristo debbono essere onorati ed invocati, e che offrono le loro orazioni a Dio in favor nostro, e che le loro reliquie devono essere venerate. – Affermo fermissimamente che le immagini di Gesù Cristo e della Madre di Dio sempre Vergine, siccome quelle degli altri Santi, debbono essere conservate, ritenute e onorate con la debita venerazione. Affermo anche che il potere di concedere Indulgenze, è stato lasciato da Gesù Cristo nella Chiesa, e che il loro uso è salutevolissimo al popolo Cristiano. Riconosco la Santa Chiesa Romana Cattolica ed Apostolica per madre e maestra di tutte le Chiese, e giuro e prometto una vera obbedienza al Pontefice Romano, Vicario di Gesù Cristo, successore di S. Pietro, principe degli Apostoli. Confesso e ricevo similmente, senza alcun’esitazione tutte le altre cose lasciate per tradizione, definite e dichiarate dai sacri Canoni, e dai Concili ecumenici, e segnatamente dal Sacrosanto Concilio di Trento, e similmente condanno, rigetto, ed anatematizzo tutte le cose contrarie e tutte le eresie, quali e quante mai sono state condannate, rigettate e anatematizzate dalla Chiesa. – Questa Fede vera e Cattolica, fuor della quale nessuno può salvarsi, che professo ora e di mia spontanea volontà, e che tengo fermamente e sinceramente, io N. N. giuro, prometto, e m’impegno di tenerla e di professarla col soccorso di Dio costantemente e inviolabilmente in ogni sua parte fino all’ultimo mio respiro, e di procurare, per quanto è da me, che sia predicata, insegnata ed osservata da tutti coloro che dipendono da me e da quelli tutti che saranno alla mia cura commessi. Così Dio mi aiuti, ecc.

Ha il Cristiano Cattolico in questa professione un eccellente Atto di Fede, e sicura norma per conoscere tutti i protestanti.

FINE

L’ORGOGLIO

ORGOGLIO

 [E. Barbier: “I Tesori di Cornelio Alapide”, S.E.I. Ed. Torino, vol. III, 1930]

1. Che cosa è e a qual segno si riconosce. — 2. L’orgoglio è accecamento e pazzia. — 3. L’orgoglio non soffre di essere ripreso. — 4. Differenza tra l’orgoglio e l’umiltà. — 5. Enormità dell’orgoglio. — 6. L’orgoglio è la causa di tutti i mali. – 7. La superbia è detestabile. — 8. Dio umilia i superbi. — 9. Castighi dei superbi. — 10. Diversi gradi d’orgoglio. — 11. Motivi e mezzi di fuggire la superbia

1. Che cosa è e a qual segno si riconosce. — L’orgoglio è la stima sregolata di se stesso. Avere orgoglio vuol dire preporci agli altri; attribuire a noi quello che ci viene da Dio. A quattro segnali si riconosce l’orgoglio : 1° l’orgoglioso crede che gli venga da se stesso quello che possiede; 2° crede di non esserne debitore ad altri che al proprio merito; 3° si gloria di quello che ha e si vanta di quello che non ha; 4° disprezza gli altri e desidera che tutti sappiano ch’egli ha molto.

2. L’orgoglio è accecamento e pazzia. — « Se noi diciamo che non abbiamo peccato, inganniamo noi medesimi e la verità non è in noi » (I Ioann. II, 8), scrive S. Giovanni, e « se qualcuno si tiene per qualche cosa, mentre è un nulla, costui inganna se stesso», ripete S. Paolo (Gal. VI, 3). Gli orgogliosi si compiacciono in se stessi e confidano in sé; si persuadono di essere virtuosi e vivono in una stolta sicurezza, come se non mancassero di nulla e non avessero nulla da temere. O stolto! tu dici: io sono ricco in meriti e non ho bisogno di nessuno, e non sai quanto sei misero, e infelice, e povero, e cieco, e nudo (Apoc. III, 17). L’orgoglioso crede di sapere anche quello che non sa…; non vuol saperne né di consigli né di avvisi; è caparbio; ed ecco perché vi è poca o nessuna speranza di vederlo volgersi a ravvedimento… Tali erano gli scribi e i farisei che, gonfi di se medesimi, non riconobbero il vero dottore Gesù. Cristo e ricusarono di ricevere da lui lume e istruzione… Tali sono i Giudei… Tali ancora tutti gli eretici ostinati…; non vogliono né istruirsi né vedere la verità e vogliono insegnare… Che cosa potete sapere voi, orgogliosi, se non conoscete; come può mai essere che, cenere e polvere, v’insuperbiate? L’orgoglio è la più forte e la più pericolosa delle seduzioni cui l’uomo possa cedere; esso lo precipita nelle più fitte tenebre… L’orgoglioso vede malamente tutte le cose… Vede là dove non c’è nulla da vedere; non vede nulla dove ci sarebbe da vedere qualche cosa… Sempre cieco e zimbello della sua seduzione, egli è convinto della sua chiaroveggenza e imparzialità. Il Crisostomo asserisce che l’orgoglio è somma pazzia e che non si dà uomo più insensato dell’orgoglioso. Difatti, dove trovare idea più pazza di quella di resistere a Dio e di fargli guerra? Vi può essere impresa più stolta che quella di privarci volontariamente del favore, della grazia e del soccorso di Dio da cui tutto dipende e al quale tutto appartiene? Può l’uomo commettere una pazzia più grande che quella di costituirsi antagonista e nemico non di un uomo, non di un angelo, non del demonio medesimo, ma di Dio in persona, così che osi sfidarlo a duello? « L’orgoglio nasce dalla demenza, dice il medesimo santo; non si dà orgoglioso che non sia insensato; il superbo è pieno di stoltezza ». L’orgoglioso, essendo un pazzo, e spregevole e disprezzato, è il caso di dire con S. Paolo: « Vantandosi saggi, sono divenuti stolti » (Rom. I, 22). « Avete voi veduto un uomo che si crede saggio? c’è più da sperare da uno stupido che da lui », leggiamo nei Proverbi (XXVI, 12); e un proverbio popolare dice: «Uomo che si stima, perde ogni stima». — Quelli che si credono accorti, sono facilmente ingannati dal demonio e si perdono. Chi invece riconosce la sua poca saggezza, cerca una guida illuminata, e con questo modo cammina sicuro e facilmente si salva. L’umiltà è la sapienza dell’anima; l’orgoglio ne è la stoltezza; infatti l’umiltà riposa su la verità, l’orgoglio non è che vanità, menzogna, errore. « Perché la terra e la cenere si leva in superbia? » dice l’Ecclesiastico (X, 9). « Perché mai ti gonfi, o uomo? dice S. Bernardo; di che t’insuperbisci tu, concepito nella colpa, nato nella miseria, la cui vita è un peccare, il morire è angustia?».

3. L’orgoglioso non soffre di essere ripreso. — Gli orgogliosi non vogliono mai aver torto… Di loro si può dire:  « Tocca i vulcani e fumeranno (Psalm. CXLIII, 5). Oh sì, dagli orgogliosi di cui i vulcani sono gli emblemi escono rombi di tuono, sordi muggiti, onde di fumo; essi vomitano lave di sarcasmi, di motteggi, di ingiurie contro l’uomo caritatevole che cerchi di riprenderli e condurli a più savi pensieri… Provatevi a correggere un superbo; empie l’aria di lamenti; quante scuse, quante false ragioni accampa!… Non lo si conosce…; s’inventa…; si esagera a suo danno…; tutti sono inveleniti…; nessuno lo tratta con carità… Perché mischiarsi de’ suoi affari…; egli sa regolarsi…; egli non fa male…; nessuno ha diritto d’imporgliene… È proprio vera la sentenza di S. Cirillo, che il rimprovero il quale migliora gli umili, riesce intollerabile ai superbi; e con ragione il Venerabile Beda dice: O quanto misera è la coscienza di colui che rimproverato dalla parola di Dio, se ne risente come di un affronto (Collett.). Quindi il Profeta pregava il Signore, che non permettesse che il suo cuore si volgesse a parole di malizia, per scusare le sue mancanze e i suoi peccati (Psalm. CXL, 4). « Siccome dalla radice dell’orgoglio nasce la disobbedienza, dice S. Gregorio, i disobbedienti ascoltano chi scopre l’enormità delle loro colpe, ma del ripararle per mezzo di un’umile confessione, non ne vogliono sapere. Desiderando grandeggiare, da nulla tanto si guardano, quanto dal lasciar vedere le loro cadute. Perciò vanno in cerca di scuse e pretendono di aver ragione, perché non vogliono apparire peccatori ». S. Bernardo, parlando della caduta di Adamo, cagionata dalla superbia, e della scusa con cui egli volle coprirsi dinanzi a Dio, scusa inspirata anch’essa dall’orgoglio, dimostra quanto grave e odiosa a Dio sia la difesa del male. « Vi è ragione di credere, dice, che quell’antica così famosa e così nocevole prevaricazione avrebbe ottenuto perdono, se l’avesse seguita un’umile confessione e non una difesa. Infatti non nocque tanto la trasgressione, quantunque fatta con animo deliberato, quanto l’ostinazione con la quale le si aggiunse una scusa premeditata ». L’orgoglioso somiglia al riccio; nel quale, se lo vedete correre, distinguete le orecchie, le zampette, il muso; ma se l’avvicinate e cercate di prenderlo, non è più che un gomitolo irto di punte che vi forano le mani. In qualunque modo, da qualunque lato prendiate il superbo, è un riccio che punge e ferisce.

4. Differenza tra l’orgoglio e l’umiltà. — S. Gregorio dice: « Fatto nella sua creazione superiore a tutte le creature, volle il demonio, nostro mortale nemico, gonfio di orgoglio, che lo si considerasse come dominante su tutto. Invece il nostro Redentore, infinitamente grande e superiore a tutto, si degnò farsi piccolo in tutto. L’autore della morte disse: Io ascenderò al cielo; l’autore della vita: L’anima mia è piena d’angosce, è come annichilita. Satana disse : Io porrò il mio trono al di sopra degli astri del cielo; Gesù Cristo disse al genere umano : Ecco che io vengo ad abitare in mezzo agli uomini. Lucifero disse : Io siederò sul monte dell’alleanza dalla parte dell’Aquilone; e il Salvatore: Io sono un verme e non uomo, l’obbrobrio degli uomini, lo scherno della plebe. Satana disse : Io salirò sopra le nubi e sarò simile all’Altissimo; e il Verbo di Dio si è annientato, vestendo la forma di servo {Moral. lib. XXXIV, c. XXI).

5. Enormità dell’orgoglio. — Sant’Ottato, Vescovo di Milevi, dice che è meno cattivo e fatale il peccato con l’umiltà, che l’innocenza con l’orgoglio (Contra Parmen.). Infatti, come osserva S. Bernardo, il superbo s’innalza sopra Dio e si mette con lui in aperta lotta. Dio vuole che si faccia la sua volontà, e il superbo pretende che si faccia la sua. Quindi S. Agostino diceva: « Colui che cerca, o Signore, di volgere i tuoi doni a sua gloria e non alla tua, è ladro ed assassino, è simile al demonio che volle prendere il tuo trono ». Lo stesso santo giunge a dire : « Io oso dire ai superbi che si serbarono continenti, che è utile per loro il cadere. Io oso asserire che è cosa vantaggiosa agli orgogliosi l’inciampare in qualche colpa manifesta e innegabile, affinché essendo caduti per aver cercato di troppo piacere a se stessi, si rialzino dispiacendo a se medesimi ». Ed osserva che « Dio, secondo lui, permise ai barbari che conquistavano e saccheggiavano le città dell’impero Romano, di violare le vergini cristiane, o perché erano orgogliose, o perché vi era pericolo che peccassero di orgoglio, invanendo della loro castità » (De Civit. 1. I, c. XXVIII). Il Profeta pregava: « Preservatemi, o Signore, dal cadere in orgoglio » (Psalm. XXXV, 11). « Chiunque sia, leggiamo nei Proverbi, l’uomo arrogante è abbominato da Dio » (XV, 5). E la ragione sta in ciò, che il superbo si mette come emulo e antagonista di Dio : nuovo Lucifero, vuole uguagliarsi a Dio, e mettere la sua volontà in luogo di quella dell’Onnipotente. « La superbia fa il suo volere, scrive S. Agostino, l’umiltà fa la volontà di Dio ». Gran male è l’orgoglio, perché assale Dio, lo schiaffeggia, lo provoca suo malgrado al combattimento. Enorme è agli occhi del Crisostomo il delitto della superbia; meglio, secondo lui, converrebbe all’uomo essere pazzo, piuttostochè orgoglioso. La pazzia è l’impedimento all’azione dell’anima, l’orgoglio è una pazzia volontaria. Il pazzo forma la infelicità a se solo, il superbo forma la disgrazia degli altri (Hom. XXXIX ad pop.). Spaventosa sentenza è quella dell’Ecclesiastico: « L’orgoglio dell’uomo comincia dal farlo apostatare da Dio; perché il suo cuore si allontana da colui che l’ha fatto e dalla superbia comincia ogni peccato » (X, 14-15). Quindi non c’è da stupire se, come dice S. Giacomo, Dio resiste ai superbi(Iac. IV, 6).

6. L’orgoglio è la causa di tutti i mali. — « La superbia è fonte di ogni male», dice il Crisostomo (Hom. XV, in Matth.). Difatti il primo atto del superbo è scuotere il giogo e la legge dì Dio… « L’orgoglio li ha invasi, leggiamo nei Salmi, ed essi si sono macchiati di ogni empietà (Psalm. LXXII, 6); Davide confessa di se medesimo, che non cessò di peccare se non quando fu umiliato (Psalm… CXVIII, 67). E Tobia ammoniva suo figlio che non si lasciasse mai comandare dall’orgoglio né nei pensieri né nelle parole; perché da esso ebbe origine ogni perdizione (Tob. IV, 14). « L’umiltà, scrive S. Bernardo, rende gli uomini simili agli angeli, l’orgoglio cambia gli uomini in demoni. L’orgoglio è il principio, il fine, la causa di tutti i peccati, perché non solamente esso è peccato in se stesso, ma nessun peccato né ha potuto, né può, né potrà mai esistere senza orgoglio ». No, non si dà peccato senza orgoglio, dice S. Prospero; perché chiunque pecca, preferisce sé e l’appetito a Dio e alla sua legge, il che è vero orgoglio (De Vita contemp. cap. XXV). Dalla superbia trae origine ogni peccato, dice il Crisostomo. Da lei il disprezzo dei poveri, da lei la cupidigia dell’oro, da lei l’ambizione del comando, da lei il desiderio di gloria umana. L’orgoglioso non può sopportare nessuna prova, da qualunque parte essa venga, sia dai superiori, sia dagli inferiori. – La superbia è chiamata da S. Gregorio, regina dei vizi (Moral. lib. III, c. XVIII). Ed in quel modo, continua questo Santo, che la radice di un albero sta nascosta, ma nutrisce il tronco e i rami, così la superbia si nasconde in fondo al cuore, e di lì alimenta molti vizi manifesti. Non vi sarebbe peccato pubblico, se l’orgoglio non possedesse l’anima in segreto (Moral. lib. XXXIV, c. XVII). Non si cade nel male se non per superbia, almeno segreta… L’orgoglio precede gli empi, portando dinnanzi a loro una fiaccola, per condurli al delitto… Agli orgogliosi in generale si adatta quello che S. Agostino diceva dei Pelagiani: «Perché non vollero essere discepoli della verità, divennero maestri dell’errore ». L’orgoglio produce le risse, le gare, le dispute, gli odi, le maldicenze, le calunnie, le liti, le guerre, gli scismi, le eresie, e via dicendo… L’umiltà, al contrario, è sorgente di pace, di concordia, di unione, di carità, di fratellanza… La superbia è la madre di tutti i mali e di tutte le malattie, poiché e quelli e queste sono frutto del peccato. Non vi è peccato che non sia infetto di superbia, perché il peccato è ribellione contro Dio, è disprezzo della sua legge: ora la rivolta e il disprezzo vengono direttamente dall’orgoglio. « Siccome la superbia è il principio di tutti i misfatti, dice S. Bernardo, così è la rovina di tutte le virtù. L’orgoglio cammina il primo per la via del peccato, ma viene l’ultimo per la va del pentimento ». E in altro luogo dice: « La superbia ha concepito il dolore nel cielo, ha partorito l’iniquità nel paradiso terrestre; il dolore figlio del peccato, l’iniquità madre della morte e di tutte le miserie. Solo tra i vizi, l’orgoglio fa guerra a tutte le virtù, e come veleno universale le corrompe tutte ». – Giovanni Crisostomo paragona l’orgoglio alle tempeste di mare; dice che questo delitto acceca lo spirito; fa dell’uomo un oltraggiatore, un bestemmiatore, uno spergiuro, un demonio; non vi è male che l’uguagli. Esso è la sorgente di tutti i vizi, come all’opposto l’umiltà è la fonte di tutte le virtù … È il peccato dei demoni…; è un peccato di cui ben raramente si trova chi si corregga… è tale peccato che conduce per l’ordinario al suo seguito la curiosità, la iattanza, l’ipocrisia, la caparbietà, l’ostinazione, le liti. Gli orgogliosi si nutrono di vento, dice S. Isidoro; la superbia è il più enorme dei delitti, è la causa della morte dell’anima, sia col dare morte a tutte le virtù, sia col generare tutti i vizi… Chiunque pecca è un orgoglioso, perché peccando calpesta i divini precetti (Epist. de forma bene viv.). L’orgoglio, scrive S. Gregorio, impedisce di giudicare con equità; porta alle grida e agli schiamazzi; inspira zelo amaro, gaiezza scomposta, tristezza furiosa, risposte pungenti, atti impudenti, contegno insultante. L’anima dei superbi è sempre forte per fare un oltraggio, sempre debole per tollerare un affronto; pigra ad obbedire, importuna a stimolare gli altri; tarda a fare quello che deve, pronta a quello che non deve. Nessuna esortazione può muoverla a favore di ciò che non le piace, cerca al contrario di essere obbligata a mettere mano a ciò che le piace ». L’orgoglio si caccia dovunque, s’insinua e si mischia in ogni cosa, a tal punto che, secondo l’avviso di S. Agostino, dobbiamo temerlo perfino nelle buone opere(In Medit.). E’ veleno che infetta le preghiere, le confessioni, le comunioni, l’ingegno, la bellezza, lo spirito, l’anima, il cuore… Male sommo, cambia in male perfino il bene. Si attacca a tutte le facoltà dell’anima, ad ogni senso del corpo: «Vi è l’orgoglio del cuore, dice S. Bernardo, l’orgoglio della bocca, l’orgoglio delle opere, l’orgoglio del portamento »… La superbia invade ogni più remoto angolo della terra; si trova in fondo al cuore di quasi tutti gli uomini… Siccome gli angeli cattivi furono perduti da questo vizio, perciò di questo a preferenza di ogni altro si servono per far perdere il genere umano… « Nessuna cosa, dice S. Giovanni Crisostomo, tanto allontana l’uomo dall’amore divino e più facilmente lo precipita nell’inferno, quanto la follia dell’orgoglio. Questo vizio insozza tutta quanta la nostra vita, per quanto splendida e ragguardevole la facciano le preghiere, le elemosine, i digiuni, il pudore, la verginità, la virtù ». L’orgoglio ha spinto gli angeli alla ribellione in cielo e ne ha fatto dei demoni; l’orgoglio ha scavato l’inferno e vi ha precipitato gli spiriti ribelli; l’orgoglio ha cambiato in supplizi eterni le delizie di cui dovevano godere… L’orgoglio ha fatto cadere Adamo; l’ha cacciato dal soggiorno della felicità e condannato al lavoro, alle cure, alle pene, alle ambasce, alla nudità, all’accecamento, ai dolori, alle malattie, alla morte, alla corruzione del sepolcro. « L’orgoglio ha rovesciato la torre di Babele, scrive Papa Innocenzo III, ha confuso le lingue, abbattuto Golia, innalzato il patibolo di Aman, fatto morire Nicanore, colpito Antioco, sommerso Faraone, ucciso Sennacherib. Donde viene questo fasto all’uomo? all’uomo, la cui vita si sviluppa sotto il peso che gli impone il lavoro come castigo che si chiude con la necessità della morte, pena ancor più grande; all’uomo, la cui esistenza è di un istante, la vita un naufragio, il mondo un esilio; all’uomo, cui la morte o già si avvicina, o minaccia di avvicinarsi? ».

7. La superbia è detestabile. — Dove trovare cosa più abbominevole e più degna di severissimi castighi che l’uomo superbo il quale s’innalza su la terra in faccia a un Dio fatto uomo? esclama S. Leone, e conchiude : « Intollerabile impudenza è questa, che un vermiciattolo si gonfi e si inorgoglisca dove la maestà suprema si annienta ». I superbi dispiacquero a Dio fin dal principio(Iudith. IX, 16); anzi tanto lui quanto gli uomini ebbero sempre in odio la superbia (Eccli. X, 7). L’orgoglioso disprezza tutti gli altri, li insulta e canzona, s’innalza al di sopra di loro col sarcasmo e col disprezzo. Ma il Signore dice : « Guai a te che disprezzi! Non sarai tu forse disprezzato a tua volta? » (Isai. XXXIII, 1). Il superbo si prepara dunque il disprezzo e l’umiliazione… L’orgoglio è la strada all’ignominia… A misura che l’orgoglio aumenta e ascende, l’uomo diminuisce e cala fin che si sprofonda nel fango. « Tra i superbi è un continuo rissare » (Prov. XIII, 10), dice il Savio. Ecco perché noi vediamo tra gli eretici tante sètte ed opinioni differenti, quanti sono individui… Gli orgogliosi si odiano a vicenda… Nulla per loro è sacro, ma pretendono di essere essi sacri a tutti. O condotta sommamente ingiusta e detestabile! «Parlare con disdegno ed arroganza, operare con insolenza è un rendersi simile al demonio », dice S. Basilio. S. Leone, parlando di Satana e di Adamo, osserva che « ambedue ambirono l’altezza; quegli della potenza, questi della scienza », ma il primo trovò nel suo orgoglio il sommo della degradazione, il secondo il sommo dell’ignoranza.

8. Dio umilia i superbi. — È sentenza perentoria di Gesù Cristo che « chi si esalta sarà umiliato » (Luc. XVIII, 14); Dio ha fatto dire a S. Giacomo ch’egli resiste ai superbi(Iacob. IV, 6); a tal punto che, come disse la Beata Vergine, impiega contro di loro la forza del suo braccio, per atterrarli, li balza dai loro seggi per collocarvi gli umili (Luc. I, 52). « Signore, esclamava Giuditta, voi non abbandonate quelli che a voi si affidano; ma umiliate quelli che confidano in sé e si vantano della loro forza » (Iudith. VI, 15). Ecco perché il Salmista trovava buono per lui che Dio lo avesse umiliato: (Psalm. CXVIII, 7). « I superbi, dice Giobbe, s’innalzano per breve tempo ma non la dureranno; saranno abbattuti e trebbiati come spighe mature. Si levi pure la superbia dell’empio fino al cielo, giunga anche a nascondere il capo nelle nuvole, egli finirà col perdersi nello sterco e quelli che l’avevano veduto diranno : Dov’è? » (Iob. XXIV, 24) (Ibid. XX, 6-7). Per avere un’idea del modo con cui Dio tratti e combatta i superbi, osservate quali armi e quali eserciti impiega contro gli orgogliosi Egiziani a favore d’Israele; sono rane, moscherini, cavallette… Il re Faraone è vinto da una cavalletta; colui che aveva osato levare la sua fronte contro Dio, è costretto a piegarla sotto una mosca. « Fiero della sua forza, dice S. Agostino, parlando di Golia, gonfio, pettoruto, comincia col riporre in sé solo la vittoria di tutta la sua nazione. E perché ogni orgoglio si palesa nella sfrontatezza, dalla percossa di un sasso in fronte egli è rovesciato a terra. La fronte che mostrava l’impudenza dell’orgoglio, fu spezzata; la fronte che portava l’umiltà della croce di Cristo, fu coronata del trionfo ». Studiate la storia di Aman che finisce col morire su di un patibolo alto cinquanta cubiti, da lui destinato al supplizio dell’umile Mardocheo, e imparerete in qual modo Dio resiste ai superbi. Inviperito quell’orgoglioso, che Mardocheo non piegasse il ginocchio davanti a lui, giura di vendicare nel sangue di lui e di tutti i suoi connazionali, il preteso affronto. Ma tutto a un tratto le cose cambiano. Mardocheo, destinato ad ignominiosa morte, è vestito da Aman medesimo del manto reale, e questi ascende il patibolo preparato per quello. Chi può dire il dispetto e l’umiliazione che prova Aman a questo mutare di scena? Infatti: 1° si vede tolto l’onore altissimo che nella sua superbia si era preparato; 2° vede dato quest’onore all’umile Mardocheo; 3° Aman medesimo deve servire di strumento al trionfo di Mardocheo; 4° quello stesso che poco prima si faceva adorare, ora non è più che lo staffiere, il banditore di un vile giudeo ch’egli detesta; 5° tutti questi affronti, queste inattese fulminanti umiliazioni gli piombano addosso tutte a un tempo, perché l’Altissimo atterra e stritola i superbi; 6° Aman è condannato a pendere da quel medesimo patibolo ch’egli aveva innalzato per Mardocheo. O giudizi di Dio contro i superbi come siete terribili! Le umiliazioni della carne accompagnano l’orgoglio dello spirito… Dio cambia in bestia l’orgoglioso Nabucco che si glorifica nella città di Babilonia; Dio abbatte lo sdegnoso Baldassarre e per umiliarlo e farlo tremare non si serve che di una mano, anzi dell’ombra di una mano; l’arrogante Antioco è divorato vivo dai vermi. « Piangendo e umiliandosi, Pietro si condannava e si salvava, dice S. Agostino, mentre, quando pago di se stesso confidava nelle proprie forze, si perdeva » {In Psalm XXXVII). Lo stesso pensiero aveva espresso il Salmista : « Copriteli, o Signore, d’ignominia, e cercheranno il vostro nome » (Psalm. LXXXII, 15).

9. Castighi dei superbi. — Terribile castigo sono già per i superbi le umiliazioni a cui li condanna Iddio, ma altre punizioni ancora egli loro riserva nella sua collera: 1° Egli si allontana da loro. « L’uomo, dice il Salmista, si esalterà in cuor suo, e Dio ascenderà ancora più in alto » (Psalm. LXIII, 7). « Dall’alto del suo trono il Signore fissa lo sguardo sugli umili, ma gli orgogliosi guarda da lontano », — (Psalm. CXXXVII, 7). – 2° Dio castiga il superbo abbandonandolo a se medesimo. Oggetto di scherno e di abbominio agli altri, l’orgoglioso si cruccia del disprezzo in cui è tenuto, ne è offeso e straziato. « Se tu sei superbo, dice S. Agostino, sarai punito e abbattuto. A Dio non mancano pesi per farvi discendere, e questi pesi saranno quelli dei vostri peccati. Egli ve li rinfaccerà e voi sarete annichilati » (Homil.). L’orgoglio è un carnefice che accompagna l’orgoglioso. In questo senso già diceva Seneca che Dio sta con la spada della vendetta alle spalle dei superbi (In Hercuule). 3° Dio ha rovesciato i troni su cui volevano sedere i superbi, scrive l’Ecclesiastico (X, 17). Lucifero e i suoi seguaci, Adamo, ecc. fanno testimonianza di questa verità… « Dio ha fatto seccare perfin la radice delle nazioni superbe » (X, 18), leggiamo ancora nel medesimo Ecclesiastico. Ne sono prova i sette popoli Cananei sterminati da Dio per il loro orgoglio e il medesimo popolo ebreo spogliato da lui di ogni grazia e di ogni gloria, dopo che respinse Gesù umiliato. 4 ° « Dio ha fatto scomparire la memoria dei superbi » nota il Savio (Eccli. X, 21), e il profeta Malachia annunzia che gli orgogliosi saranno come paglia data alle fiamme, e non ne rimarrà né germe né radice (Malach. IV, 1). 5° Se Dio non perdonò agli angeli superbi, dice S. Bernardo (Serm. I, de Ad.), come lusingarvi che risparmi voi, polvere e cenere? L’angelo non venne al fatto; egli non ebbe che un pensiero di orgoglio, eppure in un attimo fu precipitato senza remissione. Ah! fuggite, ve ne scongiuro, fratelli, fuggite l’orgoglio; schivate quella superbia che gittò così subitamente nelle tenebre Lucifero, più splendido degli astri; fuggite quell’orgoglio che cambiò un angelo, e il primo degli angeli, in un demonio. 6° La superbia ha fruttato la morte. « L’uomo, scrive S. Agostino, era stato fatto immortale; avendo ambito la divinità, non perdette no la qualità di uomo, ma l’immortalità; per causa dell’orgoglio della sua disobbedienza, è stato condannato alle malattie, ai patimenti, alla morte. Quindi la morte introdotta nel mondo dalla superbia, è essa medesima castigo alla superbia (Sentent. CCLX). 7° Rabano Mauro fa osservare che Iddio onnipotente e sommamente buono volendo ogni bene a tutti gli uomini, è stato in certo qual modo costretto ad assoggettare all’impero degli angeli orgogliosi le persone superbe, affinché perseguitate da loro comprendano la differenza infinita che vi passa tra il servizio di Dio e quello del demonio (De adept. virtut.). Il superbo che rifiuta di sottomettersi a Dio, diventa schiavo del demonio, delle concupiscenze carnali, delle passioni, castigo certamente spaventosissimo. 8° L’orgoglio inaridisce la sorgente delle grazie. « Voi farete, o Signore, zampillare fontane nelle valli, e le acque loro passeranno in mezzo ai monti » (Psalm. CIII, 11). Queste valli innaffiate sono gli umili colmi delle grazie del cielo; i monti che non profittano delle acque sono i superbi divenuti simili a macigni aridi e sterili… L’orgoglioso, pieno e gonfio di se stesso, non lascia più in sé luogo alla grazia (IV Reg. IV, 6). La privazione della grazia è prova dell’esistenza dell’orgoglio, come l’abbondanza di grazie è segno dell’esistenza dell’umiltà.. Chi dunque si vede privo della grazia e dei doni di Dio, sappia che vi sono in lui radici di superbia. L’orgoglio manda a male tutte le grazie. Vi è castigo peggiore di questo? 9° La superbia porta con sé l’accecamento spirituale, l’indurimento del cuore, l’impenitenza finale, una morte funesta, un giudizio formidabile, una condanna terribile, l’inferno eterno… Fra tutti i peccati, il più detestato e il più severamente punito da Dio è la superbia. Dio solo è grande, ed ogni orgoglio, assalendo questa grandezza, ben difficilmente ottiene misericordia. Dio dimentica e perdona facilmente le colpe di debolezza, ma ben di rado quelle di caparbietà e di superbia. « Noi apertamente conosciamo, dice S. Gregorio, che evidentissimo segno di riprovazione è l’orgoglio e sicurissimo indizio di predestinazione l’umiltà ». Così parlano unanimi i Padri ed i Dottori, così insegna la Chiesa e la S. Scrittura.

10. Diversi gradi di orgoglio. — L’orgoglio ha sette gradi: 1° non soffrire che gli altri ci guardino come poca cosa; 2° non essere contenti di vederci disprezzati; 3° non confessare che meritiamo di esserlo; 4° non sopportare l’insulto con eguaglianza di amore; 5° non tollerare con pazienza gli affronti; 6° incollerire delle umiliazioni; 7° ricusare di ammettere che non siamo buoni a nulla.

11. Motivi e mezzi per fuggire la superbia. — Ecco nove principali motivi che ci devono indurre a fuggire la superbia : 1° essa è odiosa a Dio ed agli uomini; 2° è causa d’ingiustizie, di rapine, d’inganni, d’insulti; 3° l’uomo, per quanto potente, è sempre di natura sua una misera cosa; 4° ogni uomo è un nulla, anche solo considerata la brevità e la vanità della vita; 5° dopo morte, diventa pasto ai vermi; 6° la superbia è un abbandono di Dio, un’apostasia; 7° è principio, radice, sorgente di ogni peccato; 8° il superbo cessa in certo qual modo di essere la creatura di Dio, per diventare creatura del diavolo; 9° si attira un rovescio di castighi.
Leggiamo nella Scrittura che Davide andando contro Golia, scelse nel torrente cinque pulitissimi sassi con i quali atterrare quel gigante (I Reg. XVII, 40). In quei cinque sassi S. Bernardo riscontra cinque mezzi con i quali noi possiamo battere il Golia dell’orgoglio : 1° la minaccia delle pene; 2° la promessa delle ricompense; 3° l’amor di Dio; 4° l’imitazione dei Santi; 5° la preghiera (Serm. sup. Missus)… Conoscere Dio, conoscere se stesso, ecco un altro rimedio efficacissimo contro l’orgoglio… Bisogna praticare, per quanto è in noi, la bella virtù dell’umiltà; essa è la mazza che atterra e uccide la superbia.