DOMENICA QUINTA DOPO PASQUA [2018]

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus

Isa. XLVIII:20

Vocem jucunditátis annuntiáte, et audiátur, allelúja: annuntiate usque ad extrémum terræ: liberávit Dóminus pópulum suum, allelúja, allelúja [Annunciate la gioiosa notizia, che sia ascoltata, allelúia: annunciatela fino all’estremo della terra: il Signore ha liberato il suo pòpolo, allelúia, allelúia]

Ps LXV:1-2 Jubiláte Deo, omnis terra, psalmum dícite nómini ejus: date glóriam laudi ejus. [Acclama a Dio, o terra tutta, canta un inno al suo nome: dà a Lui lode di gloria].

Vocem jucunditátis annuntiáte, et audiátur, allelúja: annuntiáte usque ad extrémum terræ: liberávit Dóminus pópulum suum, allelúja, allelúja [Annunciate la gioiosa notizia, che sia ascoltata, allelúia: annunciatela fino all’estremo della terra: il Signore ha liberato il suo pòpolo, allelúia, allelúia]

 Orémus.

Deus, a quo bona cuncta procédunt, largíre supplícibus tuis: ut cogitémus, te inspiránte, quæ recta sunt; et, te gubernánte, éadem faciámus. [O Dio, da cui procede ogni bene, concedi a noi súpplici di pensare, per tua ispirazione, le cose che son giuste; e, sotto la tua direzione, di compierle.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Jacóbi Apóstoli.

Jac. I:22-27

Caríssimi: Estóte factóres verbi, et non auditóres tantum: falléntes vosmetípsos. Quia si quis audítor est verbi et non factor: hic comparábitur viro consideránti vultum nativitátis suæ in spéculo: considerávit enim se et ábiit, et statim oblítus est, qualis fúerit. Qui autem perspéxerit in legem perfectam libertátis et permánserit in ea, non audítor obliviósus factus, sed factor óperis: hic beátus in facto suo erit. Si quis autem putat se religiósum esse, non refrénans linguam suam, sed sedúcens cor suum, hujus vana est relígio. Relígio munda et immaculáta apud Deum et Patrem hæc est: Visitáre pupíllos et viduas in tribulatióne eórum, et immaculátum se custodíre ab hoc sæculo

Omelia I

[Mons. G. Bonomelli: Nuovo saggio di omelie, vol. II, Marietti ed. Torino, 1898, Omelia XXIII]

“Carissimi! siate operatori della parola e non soltanto ascoltatori, ingannando voi stessi. Poiché se altri è ascoltatore e non operatore della parola, costui sarà simile ad un uomo che, avendo rimirato in uno specchio il suo volto al naturale e consideratolo, se ne ritrae tosto, dimentico di quello ch’esso è. Ma chi si è specchiato nella legge perfetta della libertà e vi perdura, non da smemorato ascoltatore, sebbene da ascoltatore operoso, questi sarà felice dell’opera sua. Che se qualcuno si pensa d’essere religioso, non imbrigliando la sua lingua, ma ingannando se stesso, la pietà di costui è vana. La religione pura e intemerata, presso Dio e Padre, è questa: Visitare gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni e serbarsi “netto di questo mondo „ (S. Giacomo, c. I, vers. 22-27). – Forse voi non avete dimenticato l’omelia dell’ultima Domenica, nella quale presi a commentare alcune sentenze della lettera di san Giacomo, che si leggono nella santa Messa. Or bene; sappiate, o cari, che queste che adesso avete udito, sono la continuazione di quelle ch’ebbi a spiegarvi. Non vi è nulla di difficile, ma molto da apprendere, e ciò che importa anche maggiormente, le cose che vi dirò, rispondono ai bisogni d’ogni classe di persone, e ciò deve accrescere, se è possibile, la vostra attenzione. – S. Giacomo nel versetto che sta immediatamente prima di quello che siamo per commentare e che fu l’ultimo spiegato nell’altra omelia, aveva detto: “Accogliete docilmente la parola in voi seminata, che può salvare le anime vostre; „ a questa esortazione di ricevere la parola od insegnamento evangelico con docilità, che ha virtù di salvare le anime, con passaggio naturalissimo il nostro Apostolo fa seguire quest’altra sentenza, che la completa: “Siate poi operatori della parola e non soltanto ascoltatori.„ Buona e santa cosa è udire la parola del Vangelo e con essa accogliere la verità: ma non basta, come non basta al campo ricevere il seme; è mestieri, che lo faccia germogliare e renda moltiplicato il frutto. Miei cari! la Religione nostra santissima consta di due parti, del Simbolo e del Decalogo: quello è la regola del credere, questo è la norma dell’operare; quello guida la mente e deve precedere, questo guida la mano e deve seguire. Vi sono alcuni, i quali gridano sempre: La fede! i principi! ma poco si curano delle opere: vi sono altri che dicono: Le opere! i fatti! basta essere onesti, giusti e non parlano del Simbolo; errano questi e quelli: si esige la fede e si esigono le opere, è necessario il Simbolo ed è necessario il Decalogo. L’uomo non è soltanto anima e mente, ma è anche volontà, ed ha il corpo, e deve servire a Dio con l’anima e con la mente ed anche con la volontà e col corpo, cioè con le opere. Direste, voi che è perfetto pittore colui, che ne conosce tutte le regole, che si contenta di contemplare con la mente i suoi ideali, siano pur bellissimi, e che non ci mostra mai sulla tela una figura? Direste voi che è buono quel figliuolo, il quale conosce benissimo i suoi doveri verso di voi, o genitori, e li confessa e protesta di volervi amare e ubbidire, e poi non vi dà mai una prova di amore e di ubbidienza coi fatti? Certo la fede è necessaria, è la radice della vita cristiana, è il seme che ci deve dare l’albero e il frutto; ma la fede, o cari, può vivere a lungo se non è nutrita dalle buone opere? È ben difficile. Essa è come un albero, su cui per lunghi mesi non discende la pioggia, o che la mano industre del contadino non irriga opportunamente: a poco a poco le sue foglie ingialliscono, cadono, e l’albero finalmente muore. Non dimenticatelo mai, o dilettissimi; generalmente la fede muore perché non accompagnata o avvivata dalle opere: sono le passioni appagate, sono cioè le opere che mancano, quelle che fanno inaridire l’albero della fede. Il credere non costa molto, o cari, massime al popolo: ciò che costa è l’operare, e la maggior parte di quelli che tra i cristiani si perdono, si perdono non per essere trovati manchevoli del Simbolo, ma per aver fallito nel Decalogo. Siamo dunque non semplici ascoltatori, ma operatori della parola, e la nostra fede mostriamola con le opere; se questo non faremo, inganneremo noi stessi, perché è chiara la sentenza di Gesù Cristo che protesta: “Non chi avrà detto: Signore, Signore, ma chi avrà fatto la volontà del Padre mio (osservando la legge) sarà salvo [“Vera fides est, quæ in hoc quod dicit, moribus non contradicit” – S. Greg. M., Homil. 29. – “Monstruosa res gradus summus et animus infimus: sedes prima et vita ima; lingua magniloqua et manus otiosa: sermo multus et fructus nullus” (S. Bernard., De Consid., lib. 2, c. 7). – “Opus sermone fortius” ; Nazianz., Orat. 27]. – Per chiarire ed avvalorare la verità stabilita, il santo Apostolo adopera una graziosa similitudine, e dice: ” Se altri è ascoltatore e non operatore della parola (cioè crede e non ha le opere, frutto della fede), è somigliante ad un uomo, il quale avendo rimirato il suo volto al naturale in uno specchio, consideratolo, se ne ritrae tosto, dimentico di quello ch’esso è.„ Lo specchio di sua natura riflette l’immagine di tutto ciò che gli sta dinanzi, e la riflette sempre e fedelmente: esso non inganna, non mentisce mai. Perché l’uomo si affacciai allo specchio? Per vedere il volto suo e tutta la persona. Se nello specchio vede che il volto non è netto, non acconciati i capelli, scomposto l’abito e non abbastanza pulito, che fa tosto? Tenendo sempre l’occhio sullo specchio, lava e netta il volto, racconcia i capelli e compone debitamente il vestito. Similmente deve fare il cristiano: spesso deve farsi allo specchio dell’anima per vedere se in essa tutto è netto ed ordinato. E qual è lo specchio dell’anima? E la parola di Dio, è la fede, è l’insegnamento del Vangelo, che non erra e non inganna mai: specchiamoci in esso e vedremo tosto e con sicurezza se nella nostra condotta è tutto ordinato e conforme al volere di Dio. Fratello, accostati a questo specchio fedele della fede e della legge divina; esso ti farà conoscere qual sei. Esso ti mostrerà assai spesso il volto dell’anima tua bruttato da pensieri ed affetti indegni di cristiano: ti farà vedere le macchie della vanità, della superbia, del disordinato amore ai beni di quaggiù, dello stravizio e della intemperanza, della maldicenza, della discordia, della disubbidienza, dell’invidia, della pigrizia, della trascuratezza dei tuoi doveri cristiani e va dicendo. Oh! quante macchie scorgerai nell’anima tua dinanzi a quello specchio infallibile, se ben addentro vi spingerai lo sguardo. E allora che dovrai fare? Precisamente quello che fanno tutti coloro, uomini e donne, che si riguardano nello specchio. Devi lavare quelle macchie, mondarti di quelle sozzure, emendarti di tutte le tue mancanze, affinché il volto dell’anima tua apparisca bello, nitido, simile al gran modello, che è Gesù Cristo [“Splendidissimum in mandatis suis (Deus) condidit speculum, in quo homo suæ mentis faciem inspiceret et quam conformis imagini Dei, aut quam dissimila esset agnosceret”; S. Leonis, Serm. 11]. – Che diresti tu di quell’uomo, di quella donna, i quali dopo essersi lungamente riguardati nello specchio e viste tutte le macchie, ond’è brutto il volto e l’abito, se ne andasse e non si curasse punto di nettarsene? Diresti che è uno stolto, uno smemorato, e che se non voleva far nulla per nettarsi, non valeva la pena che ricorresse allo specchio e vi si rimirasse! e bene a ragione. Il somigliante è da dire di quel cristiano e di quella cristiana, che ascoltano la parola di Dio, conoscono la sua legge, e in essa, quasi in ispecchio tersissimo, vedono la propria anima tutta lorda e sozza per tante colpe e male abitudini, e, come non si trattasse di loro, tranquillamente se ne vanno e non si emendano. Carissimi! no, no, non imitiamo questi spensierati, che dimenticano sì facilmente qual è il volto loro al naturale, che sono ascoltatori, e non operatori della parola divina; ma per contrario, siamo imitatori, come vuole S. Giacorno, di colui “che si è specchiato nella legge della libertà (cioè nella legge evangelica, che ci ha affrancati dal male e ci dà la libertà del bene) e vi perdura, non da ascoltatore dimentico, ma da operatore col fatto; questi, questi! esclama S. Giacomo, sarà felice e beato dell’opera sua, „ e raccoglierà il frutto della redenzione. – Alla trascuratezza e spensieratezza dell’uomo che ascolta la parola di Dio e in essa si specchia senza cavarne vantaggio, toccata nel versetto superiore, S. Giacomo oppone in questo versetto l’avvedutezza e la prontezza dell’uomo che ascolta, conosce e, conformemente al conoscimento, regola la sua condotta colle opere. – Passiamo al versetto seguente: “Che se qualcuno crede di essere religioso, non raffrenando la sua lingua, ma ingannando se stesso, la sua religione è vana.„ Veramente, trattandosi d’una lettera come questa di S. Giacomo, che va tutta in sentenze morali pratiche, non si richiede che queste siano tutte legate tra loro, come in una trattazione scientifica. Esse possono stare benissimo anche separate, senza nesso di discorso, e alcuna volta ciò apparisce manifestamente, e potrebbe essere questo il caso della sentenza che vi ho riportata. Ma, considerando meglio la cosa, mi pare che il nesso tra il nostro versetto e gli antecedenti esista, comecché alquanto remoto. Sopra, S. Giacomo esorta i fedeli ad essere pronti ad udire e tardi a parlare; qui, ritornando su quella massima, la riconferma, dicendo, che se alcuno crede d’essere religioso o pio, che è tutt’uno, e non raffrena la sua lingua, costui si illude e mostra a fatti che la sua religione è vana. La lingua è lo strumento ordinario, mercé del quale comunichiamo altrui i nostri pensieri ed i nostri affetti, e non sarà facile frenare questi se non freniamo quella. La nostra mente e il nostro cuore sono come due sorgenti, dalle quali senza posa scaturiscono i nostri pensieri e i nostri affetti, buoni o rei ch’essi siano. Cessare di pensare o di amare è impossibile cosa; sarebbe come cessare di respirare: si muore. Nostra cura continua deve essere quella di vegliare sui pensieri della nostra mente e sugli affetti del nostro cuore, per reprimere i cattivi e lasciar libero il corso ai buoni; lavoro necessario e difficilissimo, perché esige un’incessante sorveglianza sopra di noi medesimi. Mezzo molto utile ed efficace a vegliare sopra i pensieri e gli affetti del nostro spirito sarà quello di vegliare sulla loro manifestazione mediante la lingua. Vegliare su questa importa vegliare sull’interno, giacché non si possono ponderare le parole senza ponderare i pensieri e gli affetti, che sono alle parole necessariamente congiunti, come il macchinista, se è prudente, non può regolare le valvole della locomotiva senza tener d’occhio in pari tempo la misura del vapore, ch’essa rinserra ne’ suoi fianchi. Vogliamo noi, o dilettissimi, regolare il nostro interno? Regoliamo l’esterno. Vogliamo stringere nelle nostre mani il freno della mente e del cuore? Custodiamo la porta per cui escono, stringiamo il freno della lingua. Ciò facendo, noi avremo un altro vantaggio e non lieve, o cari. Un uomo che continuamente versa tutti i suoi pensieri ed affetti per la via della lingua, è simile a colui che tiene sempre aperta la valvola della sua macchina: la forza del vapore se ne fugge tutta per essa e la macchina ben presto non può agire e cessa il lavoro. Perché la mente sia raccolta, i pensieri elevati eretti, gli affetti puri e nobili, è mestieri ponderarli; fa d’uopo concentrarci in noi stessi e riunire le forze tutte del nostro spirito per rivolgerle tutte insieme sopra un oggetto solo: se noi senza posa le disperdiamo fuori di noi con la parola, rimarremo vuoti, deboli, impotenti. Vedete l’acqua che discende dal monte: se la imprigionate opportunamente in vasi o tubi, si solleva, se volete, fino all’altezza dalla quale discende; se voi la lasciate scorrere liberamente sul suolo, si spande e sparisce: così avviene, dice S. Gregorio M., dell’anima nostra: tenetela raccolta in se stessa: si innalza con i suoi pensieri fino a Dio: lasciate che con le parole si effonda d’ogni parte, come per altrettanti rivi, si distrarrà, e sperderà miseramente le sue forze [S. Gregor. M., Moral., lib. 7. cap. 7). Se noi non custodiremo debitamente la nostra lingua, sappiatelo bene, la nostra religione e pietà sarà vana, e non avrà che l’apparenza: Hujus vana est religio. Ma qual è dunque, o beato Apostolo, la vera, la solida religione e pietà? Ascoltate: “La religione, o pietà pura e intemerata presso Dio e il Padre, è questa: Visitare gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni, e serbarsi mondi da questo secolo. „ Quale risposta! Quale verità, o carissimi! Voi lo sapete; la religione è l’insieme, il complesso dei rapporti tra Dio e l’uomo, quali scaturiscono dalla natura delle cose e quali sono voluti e stabiliti da Dio: Dio è nostro Creatore e conservatore e perciò nostro padrone assoluto: il Figliuol di Dio si è fatto uomo e ci ha ricomperati col suo sangue: ha diritto perciò alla nostra gratitudine, alla nostra obbedienza, al nostro amore: questi doveri di gratitudine, di obbedienza, di amore verso Dio si manifestano in modi svariatissimi, in atti interni ed esterni di fede, di adorazione, di ringraziamento, di speranza, di amore verso di Lui e verso il prossimo, in breve, nell’osservanza della legge divina in tutte le sue parti. Or come sta che S. Giacomo riduce la religione pura e intemerata a visitare gli orfani e le vedove nelle loro tribolazioni e serbarsi netti da questo secolo? Forse ché intese dire che questo fosse bastevole e tutto il resto, che riguarda la fede, i Sacramenti e le altre opere, fosse inutile? Sarebbe un negare il Vangelo, un contraddire lo stesso Apostolo, che in questa lettera tante altre cose inculca e comanda, e sarebbe un offendere lo stesso buon senso. L’Apostolo, ricordando e proclamando la necessità di queste opere di misericordia, non negò la necessità delle altre già note ai fedeli: volle soltanto ricordare queste, perché allora più necessarie e più utili. La maggior parte dei fedeli, ai quali scriveva, erano nati e cresciuti nell’ebraismo, e forse molti di loro tenevano necessaria l’osservanza delle cerimonie mosaiche, tante di numero e sì gravose, e dalle quali non sapevano divezzarsi. S. Giacomo loro rammenta che la religione di Gesù Cristo non ha che far nulla con quelle cerimonie, ch’essa domanda le opere e sopra tutto le opere della carità verso del prossimo, come quelle che rendono cara ed amabile la religione e ne mostrano la efficacia, e di queste opere, a modo d’esempio, ricorda quella di visitare e consolare i più poveri e più abbandonati, che sono gli orfanelli e le vedove.Quando si medita questa sentenza di san Giacomo — la religione pura ed intemerata presso Dio e il Padre, è questa: “Visita orfani e le vedove” — non si può non sentire la grandezza e la santità della nostra religione. Essa ce ne rivela tutta la natura, che in fondo è la carità operosa verso tutti, ma specialmente per i più bisognosi, per i più derelitti de’ fratelli nostri, che sono gli orfani e le vedove! Ah! una religione che si compendia in una sentenza come questa, non può essere che una religione divina. Gli uomini non avrebbero mai trovata una definizione sì sublime!Aggiunge poi in fine, che la religione comanda di serbarsi mondo da questo secolo, il che importa di non seguire il mondo, le sue massime, di non abbandonarsi ai suoi colpevoli piaceri. In questa sentenza dell’Apostolo è scolpita a meraviglia l’indole della nostra religione, che ci vuole, sciolti dall’amore disordinato della terra, intesi ai veraci beni del cielo e pieni di carità verso i fratelli nostri sofferenti. Mettiamola in pratica onde non siamo uditori, ma fattori della parola divina, secondo la espressione di S. Giacomo.

 Alleluja

Allelúja, allelúja.

Surréxit Christus, et illúxit nobis, quos rédemit sánguine suo. Allelúja, [Il Cristo è risuscitato e ha fatto sorgere la sua luce su di noi, che siamo redenti dal suo sangue. Allelúia.]

Joannes XVI:28 Exívi a Patre, et veni in mundum: íterum relínquo mundum, et vado ad Patrem. Allelúja. [Uscii dal Padre e venni nel mondo: ora lascio il mondo e ritorno al Padre. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Joánnem. 

Joann XVI:23-30

In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Amen, amen, dico vobis: si quid petiéritis Patrem in nómine meo, dabit vobis. Usque modo non petístis quidquam in nómine meo: Pétite, et accipiétis, ut gáudium vestrum sit plenum. Hæc in provérbiis locútus sum vobis. Venit hora, cum jam non in provérbiis loquar vobis, sed palam de Patre annuntiábo vobis. In illo die in nómine meo petétis: et non dico vobis, quia ego rogábo Patrem de vobis: ipse enim Pater amat vos, quia vos me amástis, et credidístis quia ego a Deo exívi. Exívi a Patre et veni in mundum: íterum relínquo mundum et vado ad Patrem. Dicunt ei discípuli ejus: Ecce, nunc palam loquéris et provérbium nullum dicis. Nunc scimus, quia scis ómnia et non opus est tibi, ut quis te intérroget: in hoc crédimus, quia a Deo exísti.

Omelia II

[Ut supra, om. XXIV]

Gesù disse a’ suoi discepoli: In verità, in verità vi dico: se alcuna cosa domanderete al Padre nel nome mio, ve la darà: fino ad ora non avete domandato nulla nel nome mio: domandate e riceverete, affinché il vostro gaudio sia compiuto. Queste cose vi ho dette con similitudini. Viene l’ora che non vi parlerò più in similitudini, ma apertamente vi parlerò del Padre. In quel giorno domanderete nel nome mio; e non vi dic che pregherò il Padre per voi. Perché lo stesso Padre vi ama, perché voi avete amato me ed avete creduto, ch’io sono proceduto dal Padre. Sono proceduto dal Padre e venni nel mondo: di nuovo lascio il mondo e vado al Padre. I suoi discepoli gli dissero: Ecco, ora parli chiaramente e non adoperi alcuna similitudine. Ora sappiamo che tutto conosci, né hai bisogno che alcuno ti Interroghi: per ciò crediamo, che sei proceduto da Dio „ (Giov. XVI, 23-29).

Anche questo tratto di Vangelo, come quelli delle tre ultime Domeniche, si legge nel cap. XVI di S. Giovanni, e Gesù lo disse lungo la via dal cenacolo, dove aveva fatta la cena, all’orto del Getsemani. Il cenacolo (se la tradizione conservata fino ad oggi è esatta) era sulla parte alta di Gerusalemme, poco lungi dalla torre di Davide: il Getsemani è giù basso, dalla parte diametralmente opposta e per giungervi bisogna attraversare quasi tutta la città ed uscire dalle sue mura. La distanza potrà essere, in linea retta, d’un chilometro e mezzo. Fu durante questo tragitto che Gesù tenne la massima parte del discorso dopo l’ultima cena. Le parole, che testé vi ho riportate, sono parole di conforto ai suoi cari Apostoli, ai quali raccomanda la preghiera, e li assicura che sarà esaudita dal Padre. Veniamo alla spiegazione. “In verità, in verità vi dico: se alcuna cosa domanderete al Padre nel nome mio, ve la darà. „ Gesù aveva poco prima annunziata agli apostoli la vicina sua dipartita e la sua risurrezione, con quelle parole: ” Ancora un poco, e non mi vedrete più: di nuovo, ancora un poco, e mi vedrete: „ gli Apostoli ne erano desolati. Il pensiero della separazione dal loro Maestro li riempiva di tristezza. Lui lontano, chi li avrebbe consolati? Chi ammaestrati? A chi avrebbero essi avuto ricorso? Gesù, dopo aver promesso loro un altro Consolatore in suo luogo, lo Spirito Santo, offre ad essi un altro mezzo facile e sicuro, in cui avrebbero trovato conforto ed aiuto efficacissimo. E per rincorarli in tanta afflizione, manda innanzi quelle parole a lui famigliari nelle occasioni solenni. ” In verità, in verità vi dico; „ e, come avverte S. Agostino, una specie di giuramento. — Voi, o cari, così il divin Salvatore, siete afflitti ed atterriti, perché Io vi lascio: voi non mi avrete più in mezzo a voi e non potrete ricorrere a me, come eravate soliti fare. Ma Dio è sempre con voi: non vi perde di vista un solo istante, e invece di ricorrere a me, che vedete, ricorrete al Padre mio, a Dio [Qui Gesù Cristo nomina il Padre divino, come principio delle altre due Persone, e intende significare la divinità; nomina il solo Padre, credo, per ispirare, con questo nome sì dolce, maggior fiducia negli Apostoli], che è dovunque e dovunque può esaudirvi e consolarvi. Io vi assicuro, che qualunque cosa gli chiederete, ve la darà. Questa espressione ” qualunque cosa, „ vuol essere dichiarata perché non sia male intesa. Gesù Cristo promette che quello che gli Apostoli domanderanno al Padre, l’avranno; cioè quello che loro non nuoce, ma giova; quello che conduce alla salvezza delle anime e alla gloria di Dio, non ciò che può desiderare il mondo, onde quella espressione sì ampia — qualunque cosa domanderete — per la natura stessa delle cose, di cui parla Gesù Cristo, la si deve restringere a quelle che sono ordinate al bene dell’anima, e intenderle di tutte in modo assoluto sarebbe contro il senso cristiano e il modo di parlare costantemente tenuto dal Salvatore. E notate anche le condizioni esplicite, che Gesù appone alla sua promessa. Vuole che domandino, e domandino in suo nome. Indubbiamente Dio può concedere le sue grazie senza aspettare che noi le domandiamo, perché vede i nostri bisogni, può tutto ed è bontà infinita: ma ordinariamente esige che preceda la nostra preghiera, sia perché con essa confessiamo la nostra miseria e riconosciamo la sua onnipotenza, sia perché con essa esercitiamo la fede e la speranza, sia perché con essa cooperiamo con Dio all’acquisto di ciò che vogliamo e ci abbisogna, giacché Dio non vuol premiare la pigrizia e l’inerzia, e vuole che dal canto nostro facciamo ciò che possiamo. E non basta: vuole Gesù Cristo, che quello che domandiamo a Dio, lo domandiamo nel nome suo, vale a dire per i meriti suoi, per Lui, che è il mediatore nostro, per Lui, che è Dio come il Padre, per Lui, al quale, come a Redentore, in ispecial modo apparteniamo . Egli è per questo, o carissimi, che la Chiesa, madre nostra, chiude tutte le sue preghiere, pubbliche e private con quelle parole, che dirò quasi sacramentali: ” Per Dominum nostrum Jesum Christum — Per il Signor nostro Gesù Cristo. „ Fino ad ora, continua Gesù Cristo, voi non avete domandato nulla nel mio nome. „ Come ciò, o dilettissimi? Finché gli Apostoli vivevano con Gesù Cristo, fidenti in Lui, a Lui potevano chiedere e chiedevano ciò che volevano; ma quando Gesù non sarebbe più stato visibilmente con loro, allora essi dovevano rivolgersi a Dio, ma sempre nel nome e per i meriti di Gesù, di quel Gesù che nell’umana natura sederebbe alla destra del Padre, e in essa intercederebbe per essi. — In altri termini, Gesù volle dire: Ora io me ne vo al Padre: in avvenire non ricorrerete più a me, come mi vedete, ma a Dio, che sarà sempre vostro Padre, non dimenticando ch’Io sarò presso di Lui vostro mediatore. ” Su, dunque: domandate e riceverete. È una conferma della promessa fatta ed un eccitamento a pregare, con la certezza che otterranno e che in tal guisa la loro gioia sarà compiuta: Ut gaudium vestrum sit plenum. ” Queste cose vi ho detto con similitudini: viene l’ora che non vi parlerò più con similitudini, „ così il divin Maestro. Come apprendiamo dal Vangelo, Gesù Cristo ammaestrò gli Apostoli con parabole e similitudini; usò con essi il linguaggio della semplicità, anche ragionando delle cose più alte: Egli li condusse gradatamente dalle cose piane alle alte e difficili, ma sempre con un linguaggio figurato e quale poteva essere inteso da loro: ma, viene l’ora, dice Gesù Cristo, che non vi parlerò più in similitudini, ma apertamente vi parlerò del Padre. Quest’ora, non ne dubito si riferisce alla venuta dello Spirito Santo. – Allora Egli, avendo cessato di ammaestrare gli Apostoli col senso esterno della parola, cominciò ad ammaestrarli in modo più elevato, senza bisogno di parola esterna, rischiarando direttamente le loro menti intorno alle verità più sublimi che riguardano Dio: Palam de Patre annuntiabo vobis. Allora, dice Cristo, vi parlerò apertamente del Padre. Come? forseché Gesù Cristo dopo la sua risurrezione e dopo la venuta dello Spirito Santo parlò agli Apostoli e li istruì soltanto intorno alla Persona del Padre? Ciò sarebbe contrario anche a ciò che apparisce dai libri sacri e dal fatto, perché gli Apostoli furono istruiti da Cristo e dal suo Spirito in tutte le verità e possiamo anche aggiungere che pochissime sono le cose che si riferiscono al solo Padre. Qual è dunque il senso di quella sentenza? Evidentemente Gesù Cristo nomina il Padre come principio delle altre due Persone, e in Lui e per Lui intende tutto ciò che si riferisce a Dio e alle cose da Lui fatte. “In quel giorno voi domanderete nel nome mio, ed Io non vi dico che pregherò il Padre per voi, perché lo stesso Padre vi ama. ., In quel giorno, cioè quando sarà venuto lo Spirito Santo che vi ho promesso, non avrete bisogno ch’Io vi insegni a pregare, o preghi Io stesso per voi, perché, illuminati da Lui, voi pregherete come si conviene. No, non dovete temere di pregare direttamente il Padre, perché Egli vi ama teneramente come figli, e perciò con ogni fiducia potete presentarvi a Lui. Come è delicata e per noi consolantissima questa espressione di Gesù Cristo! Avvicinatevi al Padre, pregatelo con filiale confidenza, perché Egli vi ama e amandovi non può non aver cara la vostra preghiera. Dio, non dimenticate mai questa verità di fede, o dilettissimi: Dio ci previene sempre con la sua grazia, tantoché qualunque opera buona che noi facciamo, ha sempre il primo impulso da Dio; e questo primo impulso della sua grazia è una conseguenza, una prova dell’amor suo verso di noi. È Dio stesso che ci muove a pregare e come volete che non ci esaudisca? E perché il Padre vi ama?  “Perché voi, risponde Cristo, avete amato me e avete creduto ch’Io sono proceduto da Dio. „ Il Padre ama me come Figliuol suo naturale e, amando me, deve amare quelli che amano me, come Lui, e voi con le opere avete mostrato di amar me, credendo alle mie parole, credendomi suo Figlio fatto uomo. — Ora chi ama ardentemente una persona, deve esaudire le sue preghiere: fate dunque ragione, conchiude Gesù Cristo, se il Padre mio non deve esaudirvi. È per questo che Io non vi dico che pregherò il Padre per voi: non vi è bisogno, perché Egli vi ama. – Questa espressione di Gesù Cristo non si ha da intendere in modo da credere ch’Egli come uomo non preghi il Padre, che sarebbe contrario a ciò che S. Paolo scrive: ” Cristo vive sempre intercedendo per noi, „ e al suo ufficio di Mediatore e Sacerdote in eterno. Ma la risposta è facile: Cristo non disse: Io non pregherò, ma ” non vi dico, che Io pregherò per voi, perché il Padre stesso vi ama. „ D’altra parte sappiamo che Gesù Cristo, diffondendo il suo Spirito in noi, prega in noi e con noi, tantoché solo per Lui e con Lui noi possiamo dire a Dio: Padre! Clamamus: Abba, Pater. Gli Apostoli non potevano comprendere come Gesù Cristo, essendo venuto al mondo per stabilirvi il suo regno, si partisse dal mondo senza avervelo stabilito, e ciò che era peggio, nel modo ch’essi immaginavano. Più: essi non sapevano nemmeno concepire dove, partendo dal mondo, se ne dovesse andare. Quali fossero le idee di quei poveri discepoli, è difficile il dirlo, e probabilmente essi stessi non sapevano rendersene conto. Il perché Gesù, a chiarirli, disse: “Io sono proceduto dal Padre e son venuto nel mondo: di nuovo lascio il mondo e vado al Padre: ., in altre parole: Io sono Figlio dell’eterno Genitore; per l’incarnazione sono venuto in mezzo a voi, ed ora lascio voi e questo mondo e me ne ritorno al Padre. Gli Apostoli all’udire quelle parole furono scossi: i loro dubbi, le loro incertezze svanirono; compresero la verità, e nella loro gioia, con un senso di stupore e di gratitudine di averli sì chiaramente illuminati, esclamarono: “Ecco che ora parli apertamente e non adoperi alcuna similitudine. Ora sappiamo che tutto conosci, né hai bisogno che alcuno ti interroghi: perciò crediamo che procedesti da Dio. „ Il conoscere chiaramente ciò che Gesù Cristo era per fare, com’era naturale in quelle distrette dolorose, stava sommamente a cuore a quei poveri Apostoli, sì per l’amore, che sentivano vivissimo pel Maestro, e sì ancora perché toccava troppo da vicino la loro sorte: desideravano ardentemente saperlo, ma per una cotal riverenza e timore figliale non osavano dir tutto: era un pensiero comune in tutti, ma nessuno lo manifestava nettamente: l’aver Cristo indovinato, a così dire, quel loro bisogno e desiderio cocente, parve loro una prova, che leggeva nei cuori, e uscirono in quelle parole: Or sappiamo che tutto conosci, e non hai bisogno che altri ti interroghi, e questo solo, se fosse necessario, ci mostrerebbe che sei il Figlio di Dio. Quella confessione sì spontanea degli Apostoli, in quei momenti sì dolorosi, dovette far balenare un lampo di gioia sulla mesta fronte di Gesù Cristo e spargere una stilla di gioia sul suo cuore trambasciato. – Gli Apostoli furono ammaestrati da Cristo e si rallegravano di aver conosciuto la verità: ma come la conobbero? Perché ne fecero domanda a Gesù Cristo. Noi pure domandiamogli lume ed Egli non ce lo rifiuterà mai.

Credo …

Offertorium

Orémus Ps LXV:8-9; LXV:20

Benedícite, gentes, Dóminum, Deum nostrum, et obœdíte vocem laudis ejus: qui pósuit ánimam meam ad vitam, et non dedit commovéri pedes meos: benedíctus Dóminus, qui non amóvit deprecatiónem meam et misericórdiam suam a me, allelúja. [Popoli, benedite il Signore Dio nostro, e fate risuonare le sue lodi: Egli che pose in salvo la mia vita e non ha permesso che il mio piede vacillasse. Benedetto sia il Signore che non ha respinto la mia preghiera, né ritirato da me la sua misericordia, allelúia].

Secreta

Súscipe, Dómine, fidélium preces cum oblatiónibus hostiárum: ut, per hæc piæ devotiónis offícia, ad coeléstem glóriam transeámus. [Accogli, o Signore, le preghiere dei fedeli, in uno con l’offerta delle ostie, affinché, mediante la pratica della nostra pia devozione, perveniamo alla gloria celeste].

Communio

Ps XCV:2

Cantáte Dómino, allelúja: cantáte Dómino et benedícite nomen ejus: bene nuntiáte de die in diem salutáre ejus, allelúja, allelúja. [Cantate al Signore, allelúia: cantate al Signore e benedite il suo nome: di giorno in giorno proclamate la salvezza da Lui operata, allelúia, allelúia].

Postcommunio

Orémus.

Tríbue nobis, Dómine, cæléstis mensæ virtúte satiátis: et desideráre, quæ recta sunt, et desideráta percípere. [Concedici, o Signore, che, saziati dalla forza di questa mensa celeste, desideriamo le cose giuste e conseguiamo le desiderate.]

 

Nella festa di SAN PIO V

Nella festa di San PIO V

Bolla “Quo primum tempore” 19 luglio 1570 [che accompagnava il Messale Romano di S Pio V, nel quale veniva “pietrificato” il Rito Romano della Santa Messa]: “… Nessuno dunque, e in nessun modo, si permetta con temerario ardimento di violare e trasgredire questo Nostro documento: facoltà, statuto, ordinamento, mandato, precetto, concessione, indulto, dichiarazione, volontà, decreto e inibizione. Che se qualcuno avrà l’audacia di attentarvi, sappia che incorrerà nell’indignazione di Dio Onnipotente e dei suoi beati Apostoli Pietro e Paolo. [Ricordiamo solo per inciso che il tutto venne ribadito con pari autorità dai Sommi Pontefici: Clemente VIII e Urbano VIII _ ndr.] .

I modernisti, cioè i falsi prelati della setta del Novus Ordo, quelli che “si dicono cattolici ma non lo sono”, osano affermare che un Papa possa modificare “allegramente”, anche in senso rosa+croce [offrendo cioè un Sacrificio incruento al signore dell’universo, cioè al baphomret-lucifero!], quello che un Papa precedente ha definito in modo irreformabile e perenne, come appunto è la bolla “Quo Primum” citata. Vogliamo ricordare a questi falsi prelati, mai ordinati validamente, seppure in carnevalesche talari nera, rossa, bianca, o clergyman, etc., a questi mercenari lupi ingannatori, che fingono di obliare il Sacro Magistero della Chiesa Cattolica per giustificare le “porcate sataniche” della loro setta, che per sbugiardarli basta semplicemente il cap. III della Costituzione Apostolica “Pastor Æternus” definita nel Concilio Vaticano presieduto da S. S. Pio IX: “ … è evidente che il giudizio della Sede Apostolica, che detiene la più alta autorità, non può essere rimesso in questione da alcunosottoposto ad esame da parte di chicchessia”. Questo passaggio non ha bisogno, con tutta evidenza, di alcun commento o “ermeneutica”. Quindi colui che si permette di modificare, ribaltare, riscrivere sentenze pregresse, specie con annesso e connesso anatema o maledizione di Dio Onnipotente e degli Apostoli SS. Pietro e Paolo, dimostra semplicemente di essere un impostore, al massimo un antipapa servo di lucifero, un patriarca universale kazaro della sinagoga di satana, non essendo possibile che un Papa “vero”, un successore di S. Pietro, il Vicario di Cristo, possa contraddire anche per un attimo, un successore di Pietro, il Vicario di Cristo. Chi ammettesse questo, sarebbe non solo un blasfemo eretico manifesto, ma anche uno psicopatico demente ed allucinato da immediato T.S.O. … ma si capisce che questo non potrà mai succedere, sarebbe solo una ipotesi fantasmagorica, indegna anche di fumetti disneyani.

[grassetto e colore sono redazionali]

GREGORIO XVII – IL MAGISTERO IMPEDITO: DIO e MAMMONA

 

GREGORIO XVII: IL MAGISTERO IMPEDITO

DIO E MAMMONA

«Renovatio», VI (1971), fasc. 1, pp. 3-4.

Molti teologi hanno la grave tentazione di ridurre la teologia all’«antropologia». Si tratta di vera tentazione, perché se una teologia antropologica vuol mettere l’uomo al centro, cioè al posto di Dio, rischia di diventare addirittura blasfema; se intende sostituire le istanze umane a quelle divine, dando importanza preminente al benessere di questo mondo sulla vita eterna, diventa degenerata rispetto al suo compito. Può semplicemente occuparsi della parte che riguarda l’uomo – e questa esiste realmente ed obiettivamente in teologia – ma, il farlo in modo unilaterale, implica il pericolo di cadere nei due casi sopra esposti. – Conseguenza grave di una teologia ridotta ad antropologia è il costringere il Cristianesimo ad una mera istanza sociale. Il sociologismo, infatti, ha molte sfumature e varianti; però sposta sempre più o meno l’ago della verità e della realtà da come sono nella divina rivelazione. È per questo motivo che la nostra rivista non esce dalla sua programmatica funzione, se deve toccare qualche argomento in qualche modo sociologico. Per i veri cristiani l’argomento sociale ha sempre avuto come perno la persona umana, tanto degnata da Dio; per gli altri in modo più generale il perno è sempre stato non la persona, anche se si usa ed abusa del termine «libertà», ma il benessere e la sua spartizione. Perché esista una società, e non un mero aggregato, una folla, occorre un’autorità, comunque venga designata. I più accesi sostenitori di rivoluzioni sociali, da essi presentate come redentrici dei lavoratori, hanno terribilmente dilatato i compiti dell’autorità. Non solo non ne hanno potuto fare a meno – il che è eloquente — ma hanno dovuto esasperarli. Ma c’è un altro fatto interessante. Si è allargato lo spazio dell’autorità: costruendola come un potere delegato dal basso. Questo è il potere quale oggi lo abbiamo di fronte: in diverse forme di esercizio, dalla legittima spregiudicatezza alla disonestà. Naturalmente bisogna tenere conto del potere che taluni, senza alcuna delega, si sono costruiti per conto proprio. Il potere non è il denaro, ma, ordinariamente, al punto a cui siamo arrivati oggi, esso dispone a suo piacimento del denaro. La corsa al potere, che è lo spettacolo più impressionante del nostro piccolo mondo, è spesso giustificata dalla sete del denaro. Tra i «poteri» ci sono quelli sull’opinione pubblica, oggi i più tracotanti ed i meno controllati. Ma si tratta sempre di denaro. – Il denaro è lo strumento fungibile dello scambio, il sangue della economia. In sé non è pertanto cattivo; ma, per la capacità che ha di aprire tutte le porte, condiziona ogni potere prettamente terrestre, tanto quanto ne è condizionato. La sua mobilità e il suo impiego ne fanno il centro di tutti gli appetiti. E tuttavia molte strutture stanno spingendo le cose in modo da assoggettare il denaro al potere. Questa è la verità brutale della lotta per la quale una parte degli uomini combatte, mentre gli altri credono sia questione di ideali. – Il Vangelo ha opposto «mammona» a Dio. Nella sua corsa più generosa, quella verso la parità dei diritti, l’equa distribuzione dei beni, la serena convivenza dei popoli, il genere umano si trova impegolato di fatto nel gioco a spirale tra il potere e il denaro. Per i più il soggetto della economia non è, come dovrebbe essere, l’uomo: sono le «cose». E su questo sfondo realistico e brutale che si colora il tentativo di far diventare la teologia un’antropologia. E ripiglieremo il discorso perché ha aspetti anche più gravi. L’uomo si salva solo quando è umile e diventa grande quando adora Dio.

G. FRASSINETTI: CATECHISMO DOGMATICO (VII)

[Giuseppe Frassinetti, priore di S. Sabina di Genova:

Catechismo dogmatico

[Ed. Quinta, P. Piccadori, Parma, 1860]

CAP. VI

DELLE VIRTÙ’ TEOLOGALI.

§ I.

Nozione di queste Virtù in genere.

— Quante sono le Virtù Teologali?

Sono tre: Fede, Speranza e Carità.

— Perché si chiamano Teologali?

Perché Dio è l’oggetto di queste virtù. Con la Fede si crede Dio, e si crede a Dio. Con la Speranza, si spera Dio, cioè il suo possedimento in Paradiso, e si spera in Dio cioè nel suo aiuto. Con la Carità si ama Dio, e si ama anche il prossimo per Iddio, cioè per amor suo.

— Queste Virtù sono soprannaturali?

Sono soprannaturali, e vuol dire che, con lo nostre forze naturali, non le possiamo acquisire, ma Dio ce le infonde ricevendo noi l’acqua del Santo Battesimo.

— Vuol dire adunque che i fanciulli appena battezzati hanno queste Virtù? E dovremo anche asserire che tali fanciulli prima dell’uso della ragione credano, sperino ed amino?

È certo che i fanciulli appena battezzati hanno queste Virtù; però ne hanno gli abiti, e non le esercitano attualmente credendo, sperando, amando, perché ne sono impediti per mancanza dell’uso della ragione. Si dice che ne hanno gli abiti, i quali importano la pronta disposizione a credere, a sperare, ad amare attualmente per quel tempo in cui arriva il fanciullo all’uso della ragione. Vi delucido la cosa con un paragone. Un fanciullo cui sia morto il padre ricchissimo, mentre è sotto tutore, è ricchissimo veramente, per altro non può spendere, non può disporre delle proprie ricchezze fino al tempo opportuno. Similmente i fanciulli prima dell’uso della ragione hanno gli abiti delle Virtù Teologali, ma non possono per allora esercitarle.

— Con fare degli Atti di Fede, Speranza e Carità, queste Virtù crescono in noi?

Esercitando gli atti di qualunque virtù, crescono le virtù in noi e sempre maggiormente si perfezionano; perciò quanto più spesso faremo Atti di Fede, la nostra Fede diverrà sempre più viva; quanto più frequentemente ne faremo di Speranza, la nostra speranza si farà sempre più ferma, e quanto più moltiplicheremo Atti di Carità, ella si farà in noi sempre più ardente.

— Queste Virtù si possono perdere?

La Fede si perde col peccato dell’infedeltà, il quale si commette quando non si vuole credere, o avvertitamente si dubita di qualche verità che insegna la S. Chiesa; per esempio la perderebbe chi non volesse credere o volesse dubitare, che i Sacramenti siano sette. La Speranza si perde quando si dispera della divina Misericordia, come se alcuno credesse che Dio non gli voglia più perdonare i propri peccati. La Carità poi si perde per qualunque peccato mortale, e perciò perdendo la Fede o la Speranza, si perde sempre anche la Carità.

— Si possono riacquistare se perdute?

Si possono riacquistare pentendosi a dovere del peccato che le fece perdere.

— I Santi in Cielo hanno le Virtù Teologali?

Non resta ai Santi che la sola Carità; perché, come è cosa chiara, tutto ciò che credevano lo vedono in Dio; e le cose che sono oggetto di vista, non sono più oggetto di Fede. Ciò che speravano già possiedono, godendo Dio, e le cose già ottenute non sono più oggetto di speranza. La Fede adunque e la Speranza devono accompagnarci fino al Paradiso; ma non entrarvi con noi.

— Vi è obbligo di fare Atti di Fede, dì Speranza e di Carità?

Vi è obbligo espresso, e sì potrebbe provare con moltissimi argomenti delle divine Scritture e dei Santi Padri. L’errore contrario fu condannato da S. S. Alessandro VII: perciò questi Atti si facciano frequentemente e con distinta frequenza l’Atto di Carità.

§ II.

Della Virtù della Fede.

— Che cosa è la Virtù della Fede?

È una Virtù Teologale infusa da Dio nell’anima nostra con la quale crediamo fermamente, a motivo della Divina veracità, tutte le cose che Dio ha rivelato e, come tali, ce le propone la Chiesa da credere, (Habert de Fide).

— Perché si dice a motivo della Divina veracità?

Perché noi crediamo fermamente tutte le cose che ci sono proposte a credere dalla Santa Chiesa, per il motivo che Dio è infallibile verità e non può né ingannarsi, né ingannare; la certezza adunque della nostra Fede, si appoggia alla Divina Veracità.

— Perché si dice: tutte le cose che Dio ha rivelate?

Perché chi lasciasse di crederne una sola, sarebbe un infedele, e si fa uguale torto ad una infinita Verità dubitando della sua Veracità tanto in un punto, come in molti.

— Perchè si dice che: la Chiesa ce le propone da credere?

Perché Dio rivelò le verità immediatamente agli Scrittori inspirati come a Mosè, a Davide ecc. Similmente furono rivelate da Cristo agli Apostoli; ma ora non si devono pretendere rivelazioni particolari come le pretendono i Protestanti, volendo che lo Spirito Santo manifesti immediatamente al loro spirito privato, le verità che hanno da credere. Invece vi è la Chiesa Cattolica, la quale è la suprema maestra della verità e insegna infallibilmente ai suoi figli, tutte le verità che devono credere. Ella poi parla per mezzo dei Concili Universali e per mezzo delle definizioni dei Sommi Pontefici. A cagione di esempio insegnò per mezzo del Sacro Concìlio di Trento, che i Sacramenti sono sette, contro gli errori dei Protestanti. Insegnò che Cristo non è morto per i soli Eletti, per mezzo .delle definizioni dei Sommi Pontefici contro gli errori dei Giansenisti; e sarebbe ugualmente eretico chi dicesse i Sacramenti non essere sette; come chi dicesse che Gesù Cristo è morto in Croce per i soli predestinati (Vedi il Capit. dei Luoghi Teologici § 3).

— Quando è che ad alcuno si può dare il nome di eretico?

Quando pertinacemente asserisce qualche errore contrario a qualcuna verità della Fede. Si dice pertinacemente, perché quando alcuno asserisce un errore per ignoranza, anche colpevole, non si potrebbe chiamare eretico: p. es., trascurando alcuno d’istruirsi non sa che la Chiesa ha definito essere sette i Sacramenti; se dice che sono soltanto tre dice un’eresia; ma egli non è eretico, perché proferisce quell’eresia per ignoranza (Vedi Hubert ubi sup.).

— In che cosa differisce l’eresia dalla infedeltà?

L’infedeltà è la privazione, ossia mancanza della Fede, in chi non l’aveva ancora abbracciata; in tal modo gli idolatri, i Turchi, gli Ebrei sono infedeli; l’eresia, invece, è una mancanza dì Fede in chi l’aveva già abbracciata e fu battezzato, o almeno Catecumeno; inoltre è una mancanza di Fede parziale, cioè quando si lascia di credere uno o più dogmi, non tutti; perché se alcuno negasse tutti i dogmi della Fede, e rinunziasse perciò assolutamente alla Religione Cristiana, sarebbe il suo, peccato di apostasia; perciò un Cristiano che, lasciando di credere a Cristo e alla sua Chiesa, si fa Turco, non si dice eretico ma apostata. Questo s’intenda detto parlando con tutta la precisione delle Scuole; perché il nome d’infedeli si può dare anche agli eretici, in quanto che peccando contro la Fede, perdono questa virtù; e perciò il peccato di non credere o dubitare di qualche articolo di Fede, si chiama peccato d’infedeltà.

— Quante sorta si danno d’infedeltà propriamente presa?

Due sorte: negativa, e positiva. La negativa si trova in quelli i quali non credono, perché non hanno mai sentito e non poterono mai sentirsi annunziare le verità della Fede: e questa non è peccato. La positiva si trova in quelli che hanno sentito predicarsi le verità della Fede e non vogliono credere, o pure potevano sentirsele annunziare e hanno ricusato di darvi orecchio, e questo è peccato (Habert ut sup.).

— Gl’infedeli che non hanno mai sentito annunziarsi le verità della Fede e nemmeno si trovarono mai in opportunità di poterle ascoltare, si salveranno?

Senza Fede è impossibile che alcuno si salvi, dicendo S. Paolo che senza Fede è impossibile piacere a Dio (Hebr. XI). Per altro se questi infedeli osservassero la legge naturale, il Signore o per mezzi ordinari o straordinari, provvederebbe alla loro necessità facendoli anche istruire da un Angelo, quando altri non vi fosse, come dice San Tommaso, e abbiamo già notato. Peccando, questi infedeli, contro la legge naturale, si dannano per tali peccati, e non per il peccato d’infedeltà che in essi non è volontaria.

— Quante sorte si danno di Atti di Fede?

Due sorta: Interno ed Esterno.

— Come si definisce l’Atto di Fede interno?

Un fermo consenso che presta la nostra mente a credere le verità rivelate.

— Come si suddivide l’Atto interno di Fede?

In: implicito, ed esplicito. L’implicito si ha quando confusamente senza riguardare più a un dogma che a un altro, si crede tutto ciò che insegna la Santa Chiesa Cattolica: l’esplicito si ha quando espressamente si crede uno, o più determinati articoli di Fede. Se per esempio io dico: credo fermamente tutte le verità che insegna la Chiesa; oppure, non sapendo io ciò che il Sacrosanto Concilio di Trento ha definito circa la dottrina della giustificazione, io dico: In materia di giustificazione credo ciò che insegna la Chiesa, questi sono Atti di Fede impliciti. Se invece dico: credo che i Sacramenti sono sette; credo che senza la grazia di Dio, non si possano fare opere utili per la Vita Eterna, questi sono Atti di Fede espliciti.

— Basta per salvarsi la Fede implicita, il credere cioè tutto quello che insegna la Chiesa, senza sapere che cosa insegni?

Questa Fede non basterebbe; perché le principali verità della nostra Santa Religione bisogna crederle esplicitamente; cioè sapendole. Queste principali verità sono: che Dio è giusto, e perciò premia i buoni e castiga i cattivi; che Dio è uno e Trino, bisogna cioè sapere il mistero della Ss. Trinità: che la seconda Persona della Ss. Trinità, cioè il Figliuolo, si è fatta Uomo, ha patito ed è morta come Uomo per la nostra salute. Chi non crede espressamente queste verità non è capace di ricevere i Ss. Sacramenti, e non si può salvare. Bisogna pure credere espressamente tutte le altre verità che sono nel Simbolo Apostolico; per altro chi non le sapesse senza avervi colpa, cioè non avendole potute imparare, potrebbe salvarsi. Le prime dunque bisogna saperle di necessità di mezzo, le seconde di necessità di precetto. Tante altre verità definite dalla Santa Chiesa non è necessario che le sappiano tutti i Cristiani: ciascuno è obbligato ad istruirsi secondo il proprio stato e la propria capacità: pertanto essi frequentino le istruzioni; quindi sebbene non giungessero a sapere alcuni articoli di Fede distintamente, basterà che li credano implicitamente intendendo di credere tutto ciò che la S. Chiesa insegna. Si noti qui per incidenza, che oltre il Simbolo bisogna sapere il Pater noster, l’Ave Maria, i Comandamenti della Legge di Dio e della Chiesa, le cose necessarie per ricevere degnamente i Sacramenti, ai quali ci dobbiamo accostare, e i doveri del proprio stato particolare.

— Nel tempo della legge di natura; cioè, prima che Dio desse la legge scritta a Mosè e nel tempo di questa legge scritta fino alla venuta del Salvatore, quale Fede era necessaria agli uomini affinché potessero ottenere la vita eterna?

Oltre il credere che Dio castiga i cattivi e premia i buoni, era necessario che avessero una Fede implicita nel Salvatore del Mondo; che avessero cioè una qualche cognizione del Salvatore promesso (S. Tom. 2,2, q. 2 e 1, 2, q. 106). Perciò tutti i giusti dell’antico Testamento non solo si salvarono per i meriti di Gesù Cristo; ma si salvarono anche mediante la Fede in Cristo.

— Quando siamo obbligati a fare Atti di Fede interni?

Abbiamo già notato che li dobbiamo fare frequentemente e in modo particolare al principio dell’uso di ragione e nell’ora della morte. Vi fu chi disse che bastava fare un Atto di Fede solo in tutta la vita; ma questo sproposito fu condannato dal S. Pont. Innocenzo XI.

— Vorrei sapere se l’atto interno di Fede può stare col dubbio della verità delle cose credute?

Abbiamo detto nella definizione che la fede è una virtù con la quale crediamo fermamente; perciò essa non può stare col dubbio della verità delle cose credute. La fede esclude ogni dubbio, e inchiude la certezza che la cosa non possa essere diversamente (Bouvier de Fide, eap. 5, art. 2).

— Che cosa dunque si dovrà dire di quei Cattolici i quali ascoltando degli errori contro la fede, per. es., contro l’eternità delle pene dell’Inferno, contro il Purgatorio, contro la verginità di Maria Ss., contro il primato del Papa ecc.: essi non lasciano di protestarsi cattolici, ma frattanto pensano che i protestanti, i quali insegnano cotali errori probabilmente, o almeno possibilmente possano aver ragione?

Essi ammettendo questo dubbio, cioè la probabilità o anche la possibilità che la Chiesa erri insegnando le verità contrarie, perdono la fede, e protestandosi ancora di essere Cattolici si protestano di essere ciò che più non sono. Chi non crede fermamente, assolutamente, non crede con quella fede divina che è necessaria a salvarsi.

— Tuttavia il Cristiano Cattolico, potrà esaminare se sono realmente vere le cose che a lui insegna la Chiesa?

Se il Cristiano Cattolico esamina le verità insegnate dalla Chiesa per conoscere se sono realmente vere, e perciò dubitando che possano essere false, per ciò stesso dimostra che ha già perduto la fede; la quale in qualunque caso, da qualunque dubbio (avvertito e acconsentito) resta distrutta (Perrone de loc. theol. parte 3, sect. 1, cap. 3, prop. 1).

— Ma dunque si dovrà credere senza ragione e anche contro ragione, qualora si abbiano argomenti insolubili contro le cose che insegna la Chiesa?

Non v’ha dubbio che bisogna credere ad ogni modo; perché la fede divina, se cessa per qualunque motivo di essere ferma e inconcussa, resta distrutta. Per altro la fede divina non può mai essere né senza, né contro ragione; mentre che si appoggia all’autorità infallibile di Dio rivelante; e quando pare a noi che le cose insegnate dalla Santa Chiesa siano senza o contro ragione, ciò addiviene dalla nostra ignoranza e corto intendimento che non arriva a comprendere la verità del misteri divini: cosi all’uomo idiota appariscono senza e contro ragione molte verità fisiche e matematiche che sono evidenti al filosofo. Dobbiamo persuaderci che qualsivoglia argomento che noi troviamo contro le verità rivelate da Dio, per quanto ci sembri forte ed insolubile, non può essere che una falsa ragione ed un sofisma.

— E pure si esortano i protestanti e gli altri infedeli ad esaminare le verità che insegna la fede, perché si convincano delle medesime; se essi le possono esaminare, perché non le potremo esaminare anche noi?

Notate la diversità che passa tra costoro e noi Cattolici: essi non hanno ancora la fede divina, perciò col dubbio non la possono perdere: è necessario che studiando si convincano della verità, e si dispongano ad ottenere questo dono da Dio; noi per lo contrario l’abbiamo già; quindi mentre non la possiamo più acquistare, la perderemmo ammettendo il dubbio. Possiamo tuttavia esaminare la verità della fede per conoscere sempre meglio la loro ragionevolezza, e metterci al caso di persuaderne anche gli altri: questo esame però si deve fare credendo sempre fermamente senza ammettere mai ombra di dubbio (Perrone ubi supra).

— Perché dite che i protestanti non hanno fede divina? molte verità rivelate le credono quanto noi; perciò a riguardo di queste non hanno la fede che abbiamo noi?

La fede divina è un dono soprannaturale che non si può avere se non da quelli che sono membri della S. Chiesa; perciò i protestanti, che ne sono fuori sono privi di questo dono, e se credono alcune verità della fede, le credono con fede umana, cioè con quella convinzione che producono nel loro spirito le ragioni che militano in favore di quelle verità: noi per es. crediamo che Cristo sia il Salvatore, e che Platone fosse un filosofo: crediamo la prima di queste verità per una virtù, ossia forza soprannaturale che opera sul nostro spirito e c’inclina a crederla; crediamo la seconda per la forza degli argomenti che ci presenta la storia; quella perciò crediamo con fede divina, e questa crediamo con fede umana. I protestanti, che credono con noi ambedue queste verità, le credono ambedue per la forza che esercitano sul loro spirito le ragioni che militano per l’una e per l’altra, senza avere quell’aiuto soprannaturale che inclina noi Cattolici a credere la prima; perciò quando credono che Cristo è il Salvatore non lo credono con fede divina; ma con semplice fede umana.

— Quando si fa l’Atto di fede esterno?

Quando visibilmente, ossia sensibilmente, si manifesta la Fede interna. Se io dico che sono Cristiano, se mi prostro innanzi al Ss. Sacramento etc. , questi sono Atti di Fede esterni.

— È necessario fare Atti di Fede esterni?

Necessarissimo, e lo dice espressamente S. Paolo (ad Rom. X); perciò non basta aver la Fede nel cuore, ma bisogna manifestarla con le parole e con le opere.

— Ma qualora manifestando la nostra Fede, fossimo minacciati di qualche grave danno, non si potrebbe fingere di non essere Cristiani, oppure di rinunziare alla Fede ritenendola però nel cuore?

Questo sarebbe un gravissimo peccato e, piuttosto che fingere di non essere Cristiani o di rinunziare alla S. Fede, bisognerebbe soffrire qualunque morte come hanno fatto i Santi Martiri.

— Ma Dio, che vede il cuore, non si contenterà dell’ossequio del cuore, particolarmente quando non potessimo esternare la Fede senza gravissimo danno?

Dio padrone di tutto l’uomo, il quale consta di anima e di corpo, vuole a tutta ragione l’ossequio di tutto l’uomo, cioè interno e spirituale, od esterno e materiale. Il paliare poi e nascondere la nostra Fede per fare credere di esserne privi, o fingere di rinunziarvi è una somma viltà ed ingratitudine contro Dio che ci ha fatto questo dono. Egli fattosi Uomo sacrificò per noi la sua vita infinitamente preziosa, non sarà dovere che noi ci mostriamo pronti a sacrificar per l’onore suo anche la nostra vita che val sì poco? D’altronde se Egli permette che sia tentata la nostra fede, ci dà vigorosi aiuti affinché possiamo resistere ad ogni prova. Perciò con qualunque nostro più grave danno dovremmo, come fecero i ss. Martiri, esternare all’uopo la nostra fede.

— In teologia sono certe soltanto quelle cose che la Chiesa ha già definito e dichiarato di fede?

Il dire che siano soltanto certe quelle cose che la Chiesa ha già definito e dichiarato di fede sarebbe un gravissimo errore: il che facilmente si prova solo che si attenda alla definizione del dogma dell’Immacolata Concezione di Maria Ss. Infatti prima dell’8 Dicembre dell’anno 1854 questa verità non era un dogma definito e dichiarato di fede; tuttavia era una verità certissima, e tale che la Chiesa aveva fulminato la scomunica contro chiunque avesse ardito, non solo di negarla espressamente, ma anche contro chiunque avesse ardito addurre qualche obbiezione contraria a tale verità, senza confutarla con le opportune ragioni. – Dal non essere definita e dichiarata di fede una verità, non segue che essa si possa impunemente negare, o che almeno si debba riguardare come dubbia; ne segue soltanto, che chi non la crede o ne dubita, non è reo del peccato di eresia; per altro può essere reo di gravissima temerità: ciò poi avviene tutte le volte che la verità non ancora definita di fede, è creduta comunemente, e riconosciuta come certa dalla S. Chiesa. – Prima del Concilio di Trento non erano definite e dichiarate di fede certe verità che esso ha definito e dichiarato contro la novità dei protestanti; e pure quelle verità erano comunemente credute e riconosciute come certe dalla S. Chiesa; e sarebbe stata gravissima temerità il negarle o metterle in dubbio come fecero Lutero, Calvino ecc. Se per essere certa, una verità dovesse essere definita e dichiarata di fede, non sarebbe nemmeno certo che Cristo in terra camminasse coi piedi, non essendo mai stata questa cosa definita e dichiarata di fede. – Laonde chiaro apparisce quanto per un teologo sarebbe storto ed indegno modo di ragionare se argomentasse così: non è definito e dichiarato di fede che nell’inferno vi sia fuoco materiale, che il Diaconato sia Sacramento, che i contraenti siano ministri del matrimonio, che il Papa sia infallibile quando parla ex cathedra, e superiore al Concilio Generale; dunque tutte queste cose si possono negare, o sono dubbie: un teologo che ragionasse di questo modo, si farebbe troppo torto: mentre che, sebbene queste verità non siano dichiarate e definite di fede, sono comunemente credute e riconosciute come certe dalla S. Chiesa (Vedi i teologi, dove parlano di queste verità e dimostrano che sono proxime fidei).

§ III.

Della Virtù della Speranza.

— Che cosa è la Virtù della Speranza.

⁕ « È una Virtù Teologale per la quale con certa fiducia aspettiamo l’Eterna Beatitudine e i mezzi per conseguirla mediante il Divino aiuto, e dietro la promessa che Dio ce ne ha fatto a riguardo dei meriti di Gesù Cristo. »

— Perché si dice: con certa fiducia?

Perché la nostra speranza, essendo appoggiata agli infiniti meriti di Gesù Cristo e alla promessa che Egli ha fatto di darci il Paradiso in premio delle buone opere, e di darci gli aiuti opportuni per conseguirlo, é certa e sicura: quindi S. Paolo (Ad Hebr. VI) la appella un’àncora sicura e ferma.

— Vuol dire dunque che non possiamo temere di perderci?

Notate che si dice: certa fiducia e non sicura certezza: la fiducia di conseguire un bene suppone sempre il pericolo di perderlo; dalla parte di Dio la nostra speranza è certissima, perché da parte sua nulla ci può mancare di necessario alla salute, ma da parte nostra può mancare la necessaria corrispondenza alle sue grazie, e perciò non possiamo dire di essere certi che ci salveremo infallibilmente. Riguardando dunque la certezza della divina promessa da una parte, e la debolezza nostra dall’altra, la nostra speranza non può essere una certezza assoluta, ma solo una certa fiducia.

— In complesso ci dovremo più assicurare sulla certezza che vi ha dalla parte di Dio, o più temere del pericolo che porta la debolezza nostra?

Ci dobbiamo più assicurare sulla certezza che vi ha dalla parte di Dio, essendo che Dio è più buono di quello che noi possiamo essere cattivi; perciò dobbiamo più assicurarsi in Dio di quel che dobbiamo temere di noi.

— Può dunque stare insieme alla speranza del Paradiso il timore dell’Inferno? Bisogna distinguere varie specie di timore.

Altro è il timore detto figliale, col quale si teme l’inferno in quanto che si teme l’offesa di Dio, che sola può confinare le anime all’inferno, e si teme come cosa ingiuriosa ad una infinita Bontà; allora il timore non è il timore del proprio male in quanto è male proprio, ma è il timore dell’ingiuria dell’oggetto amato, cioè di Dio. Altro è il timore detto servile, col quale si teme l’inferno come male proprio, ma però senza avere affezione al peccato che fa meritare l’inferno. Altro è il timore detto servilmente servile col quale si teme l’inferno come male proprio avendo affezione al peccato, sicché non dispiace il peccato, ma dispiace l’inferno, e in certo modo si vorrebbe che non vi fosse inferno per poter peccare senza timore. Il primo timore è santissimo come chiaramente si vede; il secondo anche è buono, come definì il Sacrosanto Concilio di Trento contro gli eretici (sess. VI, c. 8). Perciò tanto il primo quanto il secondo sta benissimo con la speranza Cristiana: il terzo poi è il timore degli empi, indegnissimo del Cristiano.

— Il servire a Dio con la speranza del premio non è un servizio interessato e difettoso?

Così la pensarono alcuni falsi mistici moderni, gli errori dei quali furono condannati dai Sommi Pontefici. Lo Spirito Santo, nelle Divine Scritture, vuole che speriamo il Paradiso: e questa speranza animava i più grandi Santi a far gran cose per Iddio; e perciò quando serviamo il Signore, sperando che ricompenserà il nostro servizio col premio eterno, non commettiamo già alcun difetto, ma esercitiamo la necessarissima virtù della Speranza. Si noti che il Concilio di Trento scomunicò chi dicesse, peccare i giusti quando fanno opere buone per guadagnare l’eterna mercede (Sess. VI, c. 31).

— Dunque si potrà dire che pecchino i peccatori quando fanno opere buone per guadagnarsi questa mercede?

Se i peccatori facessero opere buone per guadagnarsi il Paradiso, avendo intenzione di non convertirsi a Dio, peccherebbero certamente; perché non volendo lasciare il peccato, è pessima presunzione fare conto di salvarsi; ma se i peccatori fanno opere buone per ottenere misericordia da Dio, riconciliarsi con Lui e quindi salvarsi, operano santamente: anzi è questo che Dio loro comanda e che essi devono fare.

— Il Paradiso lo dobbiamo sperare soltanto come nostro bene?

Tutto il nostro bene lo dobbiamo riferire a Dio, e perciò la nostra beatitudine in Paradiso la dobbiamo sperare e procurare, perché ridondi all’eterna gloria di Dio. In una parola dobbiamo cercare di farci Santi perché Dio sia glorificato dalla nostra santità. Ciò si ricava dal sacrosanto Concilio di Trento (Sess. VI, cap. III).

— Disse poco avanti che la nostra speranza è appoggiata agl’infiniti meriti di Gesù Cristo, come s’intende tal cosa?

Gesù Cristo è il nostro Salvatore, Egli ha offerto per noi i meriti infiniti della sua Incarnazione, Passione e Morte, e pel valore di tali meriti siamo stati resi capaci di meritarci il Paradiso.

— Aggiunse che si appoggia alla promessa che ha fatto Dio di dare il Paradiso per premio alle nostre buone opere: come s’intende?

Abbiamo veduto nel § 3 del Cap. 5 che noi non potremmo meritare il Paradiso senza di questa promessa; per ciò a lei ogni nostra speranza si appoggia: questa divina promessa è il motivo per cui speriamo il Paradiso.

— Esercitandoci in Atti di Speranza, dovremo avere intenzione di fare buone opere?

Senza questa intenzione, la nostra speranza si cambierebbe in presunzione; perché al merito delle buone opere è promesso il Paradiso, e solo possiamo sperare con fondamento di salvarci, avendo intenzione di far quel bene che si richiede per ottenere l’eterna salute.

§ IV.

Della Virtù della Carità.

— Che cosa è la Virtù della Carità?

⁕ « È una Virtù Teologale infusa da Dio nell’anima nostra, con la quale amiamo Dio sopra tutte le cose, perché è un bene infinito, e amiamo il prossimo per amore di Dio ».

— Come s’intende: che lo amiamo perchè è un bene Infinito?

Dio si deve amare per la sua infinita Bontà. Ciascuna cosa si ama in ragione della bontà che contiene, perciò si ama perché è buona, e tanto più si ama quanto è più buona. Similmente amiamo Dio perché è buono, e lo amiamo sopra tutte le cose, perché non vi è bontà alcuna da potersi paragonare con la sua.

— In quanti modi si può amare Iddio sopra tutte le cose?

In due modi, appreziativamente e intensamente. Dio si ama sopra tutte le cose appreziativamente quando la volontà è così stretta a Dio, che è pronta a soffrire qualunque cosa, piuttosto che offenderlo con qualche peccato mortale; si ama intensamente sopra tutte le cose quando alla fermezza e attaccamento della volontà, si unisce un vivo trasporto e un ardentissimo affetto, sicché nessuna cosa fa tale impressione ai sentimenti del nostro cuore quanto il piacere o il dispiacere di Dio.

— In quali di questi due modi siamo obbligati ad amar Dio?

Nel primo modo, cioè appreziativamento; e chi fosse privo di questo amore non si potrebbe salvare.

— Questo amore appreziativo ci obbliga solo ad astenerci dal peccato mortale?

L’amore appreziativo ci obbliga a preferire Dio e il suo gusto ad ogni cosa, e perciò ad astenerci anche dal peccato veniale; per altro, giacché il peccato veniale non estingue in noi la carità, qualora l’amore appreziativo non arrivasse a farci evitare il peccato veniale, basterebbe perché fossimo salvi.

— Per qual motivo non siamo obbligati ad amare Iddio intensamente sopra tutte le cose?

Perché questo amore intenso non è in nostro potere, esso è un dono straordinario di Dio, prezioso e desiderabile sommamente. Le anime più pure, ordinariamente parlando, lo possiedono anche in questa vita; però nemmeno esse hanno la pienezza dell’intensità dell’amore Divino, essendo questa pienezza, riserbata ai Santi in Cielo.

— Come può essere che un’anima preferisca Dio e il suo gusto ad ogni cosa, e frattanto qualche altra cosa faccia maggiore impressione nei sentimenti del suo cuore?

L’atto di dare la preferenza ad una cosa sopra tutte le altre è un atto della volontà la quale è libera, il sentire più l’impressione di una cosa che di un’altra appartiene alla sensibilità la quale in noi non è libera, ma necessaria: posso a cagione di esempio determinarmi a preferire il cibo amaro al dolce, ma non posso impedire di sentir l’amarezza mangiandolo. Proviene da questa sensibilità che le madri anche pie sentono un’allegrezza più viva nel vedere ristabiliti in salute i propri figli dopo una pericolosa malattia, che dal vederli pentiti di qualche loro peccato, e pure la loro volontà preferisce di vederli infermi piuttosto che peccatori.

— Quando si preferisce Dio ad ogni cosa perché è un bene infinito, e si vorrebbe perdere qualunque cosa piuttosto che offenderlo gravemente, si ha allora il perfetto amore di Dio?

É certo che allora si possiede il perfetto amore di Dio, perfetto nella sua natura, il quale però si potrebbe sempre più perfezionare, come chiaramente si vede, in chi fosse pronto a perdere qualunque cosa, piuttosto che offenderlo anche con un peccato veniale.

— L’amore, ossia la Carità perfetta, può stare in un’anima insieme col peccato mortale?

Baio insegnava che la carità perfetta poteva trovarsi insieme in un’anima col peccato mortale: ma la Chiesa condannò tale dottrina; perciò è certissimo che non si può trovare in alcun’anima il perfetto amor di Dio insieme col peccato mortale, come non si può trovar in una stanza la luce, con le tenebre (Propos. di Baio 32 e 70).

— Ma dandosi il caso che una persona rea di qualche peccato mortale facesse un atto di perfetto amor di Dio, non si avvererebbe il caso di trovare in un’anima il peccato mortale, e il perfetto amor di Dio?

Non si avvererebbe giammai; perché quell’atto dì perfetto amor di Dio, scaccerebbe subito il peccato mortale, come portata la fiaccola in una camera oscura ne scaccia subito le tenebre.

— Ma per levare il peccato dall’anima, non si richiede la Confessione Sacramentale?

Si richiede la Confessione Sacramentale, o in effetto o in proponimento. Si richiede in effetto quando vi è la sola attrizione, e in tal caso, per scacciare il peccato mortale dall’anima, bisogna che il Cristiano si confessi, e prenda la Sacramentale Assoluzione. Quando poi vi è la carità perfetta basta il proponimento di confessarsi a tempo debito. Chi ha la Carità, ossia il perfetto amor di Dio, ha pure implicitamente la contrizione, cioè il dolore di avere offeso Dio, essendo impossibile che alcuno ami Iddio sopra ogni cosa e non abborrisca sopra ogni cosa il peccato: ha insieme l’intenzione di confessarsi a tempo debito; perché è parimente cosa impossibile che alcuno ami Iddio sopra ogni cosa, e non abbia intenzione di ubbidire ai suoi comandi; perciò se un peccatore fa un atto di perfetto amor di Dio, resta subito giustificato. È per altro obbligato a confessare i peccati mortali a tempo debito; cioè quando dovrà adempire al precetto della Confessione, oppure quando si confesserà anche fuori del tempo del precetto, come chiaramente s’intende.

— Non si potrebbe dire che il perfetto amore di Dio giustifichi l’anima soltanto nel caso di necessità, come sarebbe in punto di morte, quando non si potesse avere Confessore?

⁕ Chi dicesse questo, verrebbe a dire che molte volte potrebbe stare insieme la carità perfetta col peccato mortale, e asserirebbe precisamente la condannata proposizione di Baio (La proposizione condannata in Bajo [70] è la seguente: L’uomo che si trova a vivere in peccato mortale o in un reato degno di eterna dannazione, può avere la vera carità; ed anche la carità perfetta può sussistere con il reato di eterna dannazione – Bolla: “Ex omnibus affliclionibus”, S. Pio V, 1568). Se la Carità è perfetta, quando cioè si ama Dio sopra ogni cosa perché è un bene infinito, toglie tosto dall’anima il peccato mortale.

— Chi fosse restato giustificato da qualche atto di perfetto amor di Dio, e perciò avesse allora intenzione di confessarsi a tempo debito, se poi mutasse intenzione e risolvesse di non confessarsi più; i peccati mortali cancellati dall’atto di amor di Dio ritornerebbero a macchiare l’anima sua?

Ella è verità certissima, che i peccati una volta cancellati non possono più ritornare a macchiare l’anima: se ne possono commettere degli altri simili, ma quelli non tornano più. Prendete questa parità: vi cade il fazzoletto nel fango, ed eccolo macchiato e lordo, voi lo diguazzate in un torrente, e l’acqua porta via quelle macchie e lordura; quelle macchie, quella lordura è dissipata, va giù col torrente, è impossibile che torni a macchiare il fazzoletto; lo potrete macchiar di nuovo lasciandolo cadere di nuovo nel fango. Notate però che con quella cattiva intenzione di non confessarsi più, commetterebbe un nuovo peccato mortale, e perderebbe subito l’amor di Dio, e la sua grazia.

— Se il perfetto amor di Dio ha tanta efficacia di rimettere l’anima in istato di grazia anche fuori del caso di necessità, chi è in peccato mortale non dovrà prendersi gran premura di confessare presto il peccato; ma basterà che faccia qualche atto di amor di Dio, e di contrizione.

Guardatevi dal tirare una simile conseguenza ché essa è falsissima. Non tutti quelli che fanno atti di amor di Dio e di contrizione, li fanno con quella perfezione che si richiede, affinché tolgano il peccato dall’anima; perciò molti potrebbero credere di restare giustificati e frattanto resterebbero in peccato mortale; inoltre, ancorché l’atto di amor di Dio e di contrizione fosse perfetto, questo non conferirebbe la grazia Sacramentale, la quale si dà solo nel Sacramento della Penitenza quando si prende l’assoluzione dei peccati; e quindi l’anima resterebbe priva del grande aiuto di questa grazia, di cui si parlerà nel cap. 7, § 1, D. 15. Perciò chi è caduto in peccato mortale, faccia subito degli atti di contrizione, giacché facendone uno perfettamente si rimette subito in grazia di Dio; ma poi senza aspettare l’obbligo dell’annua Confessione, e nemmeno il suo comodo, quanto più presto può, vada a confessarsi per provvedere nel miglior modo all’anima sua in cosa di tanta importanza. Questa dottrina dell’efficacia e valore della contrizione si deve insegnare perché è la dottrina della Chiesa, e perché ciascuno deve conoscere il valore della virtù della Carità e dei suoi atti; ma da questa dottrina nessuno deve prendere motivo di differire la Confessione dopo commesso il peccato mortale. Per gran contrizione che senta nel suo cuore il peccatore, subito che può, anche con suo incomodo, non differisca un momento di confessarsi.

— Come si deve amare il prossimo?

Si deve amare come noi stessi ci amiamo, e per amore di Dio; in tal modo l’amore del prossimo si rifonde nell’amore di Dio, in quanto che il prossimo si ama a riguardo di Dio, e per l’amore che si porta a Dio.

— Chi ama il suo prossimo perché o di buona indole, perché è dotto, ricco, suo benefattore, suo amico, suo parente, lo ama con amore di carità?

Chi lo ama solo per questi titoli e ragioni, lo ama con un amore naturale, il quale si trova anche negl’infedeli, e perciò non lo ama con amore soprannaturale come è l’amore di carità; bisogna adunque a tutti questi motivi aggiungere il motivo dell’amore di Dio, e perché Iddio lo vuole.

— Tutti assolutamente dobbiamo amare i nostri prossimi, e senza distinzione?

Tutti assolutamente dobbiamo amare i nostri prossimi, amici o nemici, buoni o cattivi, fedeli o infedeli; però vi deve essere distinzione nel nostro amore, dovendosi preferire gli amici, i parenti, i benefattori, i fedeli ecc., a quelli che non sono tali: cosicché p. es., se si dovessero vestire due poveri, uno parente e l’altro no, e vi fosse una veste sola, si dovrebbe dare al parente.

— Non basta per amare il prossimo, fargli del bene senza amarlo frattanto di cuore?

Non basta, e il Papa Innocenzo XI proibì due proposizioni le quali dicevano che non siamo tenuti ad amare il prossimo con atto interno e formale, e che possiamo soddisfare al precetto con soli atti esterni. Perciò è necessario amare il prossimo con affetto di cuore, e quindi fargli ciò che ragionevolmente vorremmo per noi, e non fargli ciò che ragionevolmente non vorremmo per noi.

— Siamo obbligati a fare Atti di Carità come di Fede, e di Speranza?

Vi siamo obbligati, e concordano i Teologi che vi siamo obbligati anche con maggiore frequenza.

— Il precetto della Carità ci obbliga a riferire alla gloria, al servizio di Dio tutte lo nostre azioni?

Certamente ci obbliga a riferire alla gloria di Dio, al suo servizio tutte le nostre azioni anche indifferenti, come sarebbe il mangiare, il dormire, opportuni passatempi e ricreazioni ecc.

— Sarà dunque necessario in ogni azione che si fa il dire espressamente, intendo farla per la gloria di Dio?

Questo poi no: basta il rinnovare di tempo in tempo questa intenzione di fare tutte le nostre azioni a gloria di Dio.

 

INVENZIONE DELLA CROCE

3 MAGGIO: INVENZIONE DELLA CROCE

AD IESUM CRUCIFIXUM

PRECES IACULATORIÆ, INVOCATIONES

186

Crux mihi certa salus.

Crux est quam semper adoro.

Crux Domini mecum.

Crux mihi refugium.

(S. Thomas Aq.).

Indulgentia trecentorum dierum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo quotidie per integrum mensem invocationes devote recitatæ fuerint (Pius IX, Rescr. Manu Propr., 21 ian. 1874; S. Pæn. Ap., 10 mart. 1933).

187

O Crux, ave, spes unica.

Indulgentia quingentorum dierum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, prece iaculatoria quotidie in integrum mensem pie iterata (S. Pæn. Ap., 20 mart. 1934).

188

Per signum Crucis de inimicis nostris libera nos, Deus noster (ex Brev. Rom.).

Indulgentia trium annorum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo quotidiana invocationis recitatio in integrum mensa producta fuerit (S. Pæn. Ap., 1 aug. 1934).

III

ACTUS ADORATIONIS ET GRATIARUM ACTIO

191

Adoramus te, Christe,

et benedicimus tibi;

quia per sanctam Crucem

tuam redemisti mundum. 

Indulgentia trium annorum (S. Pæn. Ap., 2 febr. 1934). Fidelibus vero, qui pio animi affectu in Passionem ac Mortem D. N. I. C. Credo una cum supra relata precatiuncula recitaverint, [Ai fedeli che con animo afflitto, nella Passione di N.S.J.C., con una delle precedenti giaculatorie, recitano il Credo … – ndr.-] … conceditur:

Indulgentia decem annorum; Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si quotidie per integrum mensem eamdem recitationem pia mente persolverint (S. Pæn. Ap., 20 febr. 1934).

192

Signore, vi ringrazio che siete morto in Croce per i miei peccati (S. Paolo della Croce).

Indulgentia trecentorum dierum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, invocatione quotidie per integrum mensem devote iterata (S. Pæn. Ap. 18 ian. 1918 et 10 mart. 1933)

HYMNUS

193

Vexilla Regis prodeunt,

Fulget Crucis mysterium,

Qua vita mortem pertulit,

Et morte vitam protulit.

Quæ vulnerata lanceæ

Mucrone diro, criminum

Ut nos lavaret sordibus,

Manavit unda et sanguine.

Impleta sunt quæ concinit

David fideli carmine,

Dicendo nationibus:

Regnavit a ligno Deus.

Arbor decora et fulgida,

Ornata regis purpura,

Electa digno stipite

Tam sancta membra tangere.

Beata, cuius brachiis

Pretium pependit sæculi,

Staterà facta corporis,

Tulitque prædam tartari.

O Crux, ave, spes unica,

Gentis redemptae gloria! [1]

Piis adauge gratiam,

Reisque dele crimina.

Te, fons salutis, Trinitas,

Collaudet omnis spiritus:

Quibus Crucis victoriam

Largiris, adde præmium. Amen.

(ex Brev. Rom.).

Indulgentia quinque annorum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo quotidie per integrum mensem hymnus pie recitatus fuerit (S. C. Indulg., 16 ian. 1886; S. Pæn. Ap., 29 apr. 1934). 

 [1] Loco: Gentis redemptæ gloria, dicatur: Tempore Passionis: Hoc Passionis tempore! — Tempore Paschali: Paschale quæ fers gaudium! — In festo Exaltationis Crucis: In hac triumphi gloria! 

Notizie sulla festa odierna in:

LA PASSIONE DI GESU’ CRISTO

 

LO SCUDO DELLA FEDE (IX)

[A. Carmignola: “Lo Scudo della Fede”. S.E.I. Ed. Torino, 1927]

IX.

I TESTIMONI.

 — I martiri testimoni della, verità, della dottrina cristiana. — Il loro numero. — Se siano stati fanatici o ambiziosi. — I falsi martiri. — Intervento divino nel fatto del martirio.

— È vero che le profezie precisamente avverate ed i miracoli operati mi danno dei motivi assoluti per credere agli insegnamenti della Chiesa Cattolica, come ad insegnamenti rivelati da Dio. Ma come sarò io sicuro dell’avveramento delle profezie e dei miracoli operati?

Lo sarai con la testimonianza di coloro che hanno veduto tutto ciò. Come fa il giudice ad accertarsi di un fatto, su cui ei deve pronunziare sentenza di assoluzione, o di condanna? Interroga i testimoni. Così noi volendo assicurarci dell’avveramento delle profezie e dei miracoli operati, dobbiamo far lo stesso, interrogare coloro che ne sono stati testimoni.

— Ma molte volte i testimoni sono falsi.

Precisamente perciò noi interrogando i testimoni, di cui parliamo, ricercheremo altresì se sono giusti, degni di fede.

— E quali sono questi testimoni?

Sono gli Apostoli, i discepoli di Gesù? e quei cristiani, che massime nei primi secoli della fede furono martiri.

— Come mai?

La parola martire (parola greca) in nostra lingua non significa altro che testimonio. Durante i tre primi secoli del Cristianesimo quasi da per tutto, in seguito poi qua e là, dapprima gli Apostoli e i discepoli di Gesù Cristo, poi i cristiani che abbracciarono la fede da loro insegnata, furono tentati con le persecuzioni a rinnegarla. Pestando essi costanti nella medesima, furono condannati a morte. Ed essi andandovi incontro volonterosi, confessando fino all’ultimo che la loro fede era divina, perché quel Gesù Cristo che era venuto ad insegnarla si era comprovato Dio, testimoniarono con le parole e col fatto la divina rivelazione fatta da Gesù Cristo medesimo.

— Ma i martiri non furono uccisi per delitti comuni? per certe scelleratezze che si dice abbiano commesse? e specialmente per essere stati nemici e odiatori degl’imperatori romani?

Ciò è falso, falsissimo. E la prova più lampante si è, che appena un cristiano avesse rinnegato la fede, era tosto lasciato in libertà, e ben anche colmato di onori e di ricompense. Come si sarebbe fatto ciò, se si intendeva di martirizzare i cristiani non già per la loro fede, ma pei delitti di cui erano imputati? E poi è bensì vero che si andava buccinando per ogni dove che i cristiani erano empi, perché ricevevano e si cibavano della SS. Eucaristia, ossia delle carni immacolate di Gesù Cristo; che erano nemici ed odiatori degli imperatori romani perché  in fatto di religione non la pensavano come essi volevano; ma in realtà non si poté mai provare alcuna delle scelleratezze loro addebitate, e tutt’altro che essere nemici ed odiatori degli imperatori, ne erano i sudditi più fedeli, tanto che il celebre Tertulliano, apologista cristiano, che viveva sulla fine del 2° secolo e per buona pezza del 3°, prese a difendere i cristiani dalle accuse che loro si facevano, e poté sfidare gl’imperatori romani e i magistrati a citare il nome di anche un solo cristiano, che avesse avuto parte nelle congiure o nelle guerre civili, che di quel tempo desolarono quasi del continuo l’impero.

— Ma per l’appunto Tertulliano ed altri apologisti non furono causa con le loro imprudenti parole di provocare lo sdegno degli imperatori?

Ecco il bel modo di ragionare che si usa anche ai dì nostri contro dei buoni cristiani, contro i preti, i vescovi, il Papa, contro la Chiesa. Si gettano contro di loro le più nere calunnie, e poi se essi prendono a ribatterle su pei giornali, o nei libri, od anche ricorrendo ai tribunali, si dice che sono provocatori; se tacciono e lasciano correre, si grida: Perché non fanno le loro difese, perché contro di tali accuse non danno querela? E questa ti pare giustizia? Ma via, quand’anche gli apologisti cristiani fossero stati imprudenti usando delle espressioni troppo violente contro degli imperatori; forse che questi erano in diritto di uccidere in massa i cristiani e di adoperare verso di loro tormenti così atroci, quali furono per l’appunto quelli che adoperarono? Dovevano adunque i cristiani lasciarsi massacrare senza che alcuno di loro si levasse su a protestare contro l’orribile ingiustizia, che si commetteva verso di essi? E qualora fosse stato così non si sarebbe detto che erano poveri sciocchi, ignoranti e testardi?

— Ciò è vero. Ma furono realmente molti i cristiani martirizzati?

Molti? Si tratta di milioni.

— Di milioni! Eppure mi pare aver letto non so dove che i martiri sono alla fin fine ben pochi.

Così hanno osato di dire certi scrittori razionalisti e protestanti dei nostri giorni, ma tuttavia ben diversamente è provato dalla storia. E a chi dobbiamo noi credere ? Ad un misero critico, che gonfio della sua scienza fallace, seduto tranquillamente nel suo gabinetto, con un tiro di penna cassa i calcoli stabiliti da quindici secoli per opera dei più gravi scrittori, od a coloro che quei morti caduti nei combattimenti della verità videro essi medesimi coi loro occhi? E non sono gli stessi pagani, loro contemporanei, quelli che fanno salire a milioni gli uomini, le donne, i vecchi, i fanciulli, i preti, i laici, i nobili, i plebei, i liberi, gli schiavi assassinati nel nome degli dèi per avere pronunziata questa sola parola: « Io sono cristiano? – E non asserisce forse Tacito che si trattava di una moltitudine immensa? Non scrive forse Plinio, che era un popolo infinito sparso per ogni dove e appartenente a ogni classe della società ? E Marco Aurelio, il coronato filosofo, non copre forse de’ suoi disprezzi intere turbe di fanciulli uccisi? E non attesta il medesimo Giuliano apostata, che i cristiani, a schiere, a schiere, correvano al martirio, come le api all’alveare? Ridurre adunque ai minimi termini il numero dei martiri, come fa oggidì qualche scienziato incredulo è un contraddire palesemente la verità, è un rinnegare la luce del sole.

— Ma i martiri non potevano essere vittime infelici del loro fanatismo, del loro esaltamento di animo, anziché testimoni della fede?

Obbiezione vecchia questa ! Ma l’ingente loro numero non è già una prova contraria? Che qualche uomo muoia vittima del fanatismo, cioè dell’animo esaltato da cieca passione, passi; ma che muoiano centinaia, migliaia, milioni… E tra questi milioni non c’erano anche in gran numero illustri filosofi, grandi dottori, uomini di coltura e di genio, gente insomma che non può essere vittima del fanatismo! E poi l’atteggiamento dei martiri era quello di gente fanatica? I martiri fanatici, se possiamo accoppiare insieme questi due termini, mostrano anche morendo inquietudine, agitazione frenetica, orgoglio, fierezza, odio. Tra questi pretesi martiri si pongono Giovanni Huss, Girolamo da Praga, Giordano Bruno. Giovanni Huss fu dapprima sacerdote e poi eretico, e non ostante che fosse stato convinto dei suoi errori in un Concilio radunatosi a Costanza, ostinatamente rifiutò di rinnegarli. Epperò venne abbandonato all’autorità civile, che secondo le leggi di quel tempo lo condannò al rogo (anno 1415). Lo stesso accadde a Girolamo da Praga semplice laico, ma amico di lui e sostenitore dei suoi errori, ed a Giordano Bruno, che fu dapprima domenicano e poscia pervertito si diede ad insegnare pubblicamente ogni sorta d’immoralità e bestemmie (anno 1600), ed al quale, a scopo settario, si volle nel 1889 innalzare a Roma in Campo di Fiori, ove era stato giustiziato, un monumento. – Ma tutti costoro anche negli estremi istanti di loro vita si dimostrarono pieni di superbia, di presunzione, di disprezzo verso coloro, che li dannarono. Nei martiri cristiani invece non si vede che pace, che rassegnazione, che carità, che generosità, che umiltà, che tutto un insieme di virtù, che rapisce e strappa le lagrime. E ciò per tre secoli continui! Dimmi sono cose queste che si possano spiegare col fanatismo! Per fare ciò bisognerebbe essere fanatici davvero!

— Mi viene tuttavia in mente un’altra difficoltà. Ora i martiri della Chiesa Cattolica sono molto onorati, tanto che si erigono loro degli altari, si pongono in venerazione le loro immagini, si celebrano con splendore le loro feste, si fanno i loro panegirici. Non potrebbe essere che prevedendo essi tutto ciò, si lasciassero indurre al martirio dalla vanagloria e dall’ambizione?

E si può dire davvero che, umanamente parlando, essi prevedessero la gloria e gli onori, che avrebbero ricevuto dalla Chiesa? Che anzi non vedevano per lo più che i corpi dei martiri, che li avevano preceduti, restavano insepolti, che le loro ossa e le loro membra dilacerate venivano gettate di spesso in fondo alle cloache? E molte volte ne erano uccisi tanti insieme, per modo che di molti di essi restasse ignoto persino il nome? Ed anche allora che avessero preveduti gli onori resi ad essi in seguito, ti par possibile che ciò bastasse per indurli a soffrire con la più eroica pazienza i più orribili tormenti? Eh! caro mio, devi sapere che i vari generi di morte, con cui si punivano i più scellerati malfattori, la decapitazione, la forca, la crocifissione, erano stimati tormenti troppo miti per far morire i cristiani. Ed ecco perciò le graticole infuocate, le lamine incandescenti, i tori di bronzo arroventati, le tenaglie, gli uncini e i pettini di ferro, gli eculei, le caldaie di olio bollente, il piombo liquefatto, gli orsi, le pantere, i leoni… tutto ciò che l’odio diabolico e l’umana barbarie ha saputo inventare. Or pare a te che la vanagloria e l’ambizione avesse tale forza da indurre l’uomo a lasciarsi scorticare vivo, od abbrustolire, o strappare le carni a brani, o stritolare le ossa dalle belve feroci? E qualora la vanagloria e l’ambizione ottenesse tale effetto sopra un qualche uomo, come l’otterrebbe sopra intere moltitudini e specialmente su poveri idioti, su miseri schiavi, su donne e fanciulli, quali erano moltissimi dei martiri? Di più; vorresti tu che Iddio intervenisse con i suoi miracoli ad approvare degli ambiziosi?

— E Iddio ha Egli fatto pure dei miracoli a prò dei martiri?

Senza dubbio, e moltissimi. Basterebbe che tu leggessi i loro Atti per esserne del tutto persuaso. Talvolta gli strumenti, che si adoperavano per. martirizzarli, da se stessi si spezzavano e diventavano inetti, tal’altra i leoni più feroci diventavano con essi quali miti agnelli e si facevano a lambire le loro mani, altre volte ancora il fuoco non li abbruciava e sterminava invece i loro persecutori, oppure essendo immersi nelle acque ritornavano vivi a galla, oppure a loro intercessione si operavano strepitose guarigioni e persino risurrezioni di morti… insomma i miracoli a pro dei martiri furono senza numero e dei più grandi. Ora se essi fossero stati fanatici, ambiziosi, come si dice, Iddio avrebbe forse operati tanti miracoli per approvare il loro fanatismo, la loro ambizione?

— Non si può negare che queste osservazioni siano di una forza irresistibile. Ma non è egli vero che tutte le religioni hanno i loro martiri? E se è così non si dovrebbe inferire che tutte le religioni sono vere?

Si dice che tutte le religioni abbiano i loro martiri, ma non è così assolutamente. Martire, già l’ho detto, significa testimonio, e testimonio è colui che testifica di aver udito oppure veduto un fatto esterno e visibile. I cristiani morendo per la fede cattolica sì che erano veramente martiri, perché sia con le parole e più ancora col sangue testificavano il fatto che Gesù Cristo si è comprovato Dio, sia con l’avveramento in Lui delle profezie, sia con i miracoli, e lo testificavano precisamente perché molti di essi, come gli Apostoli, e i discepoli di Gesù Cristo, lo videro coi loro occhi ed appresero con le loro orecchie, e gli altri tutti lo intesero dagli Apostoli e dai discepoli di Gesù Cristo e loro successori, e ne furono accertati dai miracoli, che in gran numero videro ancor essi in prova di tal fatto Ma invece i pretesi martiri delle altre religioni di quale fatto mai resero essi testimonianza? Di nessuno. Se essi sembrarono morire per la loro religione, in realtà morirono per le loro fissazioni, per l’attaccamento alle proprie idee, per eccesso di passione ed altre simili ragioni. E chi muore in tal guisa potrà chiamarsi pazzo, fanatico, ostinato, e se vuoi, potrà anche dirsi uomo di coraggio, fermo e tenace nelle proprie idee e nelle sue convinzioni, ma non già martire, ossia testimonio.

— Ma non era la stessa cosa nei martiri? Non morivano anch’essi per tenacia e fermezza delle loro idee e convinzioni religiose?

Allora non hai ancora capito quello che ti ho detto sopra. Sì, è vero, i martiri morivano santamente tenaci e fermi nelle loro idee e convinzioni religiose, ma queste idee sicure, queste convinzioni profonde, che essi avevano della fede cattolica, questa persuasione massima di essa, da che proveniva nei loro animi? Forse solo dallo studio ed apprendimento che essi facevano della religione? No, certo; perché se molti fra di essi furono di tale intelligenza ed elevatezza di ingegno da poter fare tale studio ed apprendimento, la più parte erano indotti, fanciulli, popolani, schiavi, donne, che senz’altro credevano sulla parola degli Apostoli, dei discepoli di Gesù Cristo e dei loro successori. La incrollabile certezza della fede cattolica negli animi cristiani, tanto in quelli degli indotti come in quelli dei dotti, proveniva dalla certezza incrollabile che avevano dei miracoli operati da Gesù Cristo, dagli Apostoli, dai discepoli di Gesù Cristo e dai loro successori, da altri santi martiri, miracoli che una gran parte di essi aveva veduto o andava vedendo coi propri occhi. Testimoni adunque di questi miracoli, ossia di questi fatti esterni e visibili, i quali comprovavano la divinità di Gesù Cristo, e per conseguenza la verità della fede cattolica da loro professata, essi morirono testificando di aver veduto tali fatti, ed è così che furono veramente martiri.

— Mi pare di aver compreso. Vuol dire adunque che se tra i pagani, tra i mussulmani, tra gli ebrei e i protestanti vi sono stati di coloro, che morirono per la loro religione, non fecero altro che attestare la propria convinzione interna, ma nessun fatto esterno che fosse tale da renderli pienamente sicuri della loro interna convinzione.

Benissimo. Insomma i martiri dimostrarono per la fede cattolica una fortezza eroica, anzi sovrumana e miracolosa, perché della fede cattolica avevano una certezza assoluta, che in essi era generata dai fatti miracolosi, di cui erano stati testimoni e dei quali versando il sangue e morendo rendevano la suprema testimonianza.

— E perché dice sovrumana e miracolosa la fortezza dei martiri?

* Perché tutte le circostanze, che accompagnano il martirio cristiano, insieme riunite formano cosa tale che dalla sola natura umana non può provenire, cosa tale, che non altrimenti si può spiegare che con l’intervento di Dio. Il numero dei martiri, la loro condizione, i martini orribili, cui furono sottoposti, la fermezza, la pace, la letizia, con cui li sopportarono, persino vecchi cadenti, donne imbelli, fanciulle timide e giovanetti di prima età, i miracoli che frequentissimi accaddero durante il martirio… son cose tutte che ci fanno dire: Dio era là! Sì, Dio era là a produrre egli stesso il miracolo di tanto coraggio ed eroismo. Ed era appunto questo miracolo che tante volte, essendone spettatori i pagani, operava la loro conversione. « No, non può essere che divina quella fede, che infonde nell’uomo tale forza, dicevano essi, e merita perciò di essere abbracciata e seguita ». E l’abbracciavano, e seguivano. Ciò che fece dire a Tertulliano: « Più voi, o persecutori, ci mietete, e più ci moltiplichiamo: il sangue dei cristiani è seme ». E non solo Dio era là nella forza miracolosa, di cui davano prova i martiri, ma vi era ancora nell’adempimento della profezia fatta da Gesù Cristo sulle persecuzioni. Gesù Cristo aveva chiaramente profetato ai seguaci suoi « che sarebbero stati trascinati innanzi ai tri bunali, davanti ai governatori, ai re, ai presidi per rendergli testimonianza…, che sarebbero stati gettati in carcere, flagellati, straziati uccisi per il suo nome ».

— Ma questa predizione di Gesù Cristo si può chiamare profezia!

Senza dubbio, si può e si deve.

— E non era naturale il prevedere e predire che i pagani si sarebbero levati su a perseguitare i cristiani?

Era naturale il prevedere e predire che i pagani si opponessero alla dottrina dei cristiani, perché si trattava di una dottrina che contrastava la loro vita malvagia, ma non era naturale affatto il prevedere e predire quell’odio così furibondo e quelle persecuzioni così atroci, che si scatenavano contro di loro, mentre in tutto l’impero romano e specialmente a Roma vi era la massima libertà di culto. Si poteva dunque tutto al più prevedere e predire che sarebbero stati non curati o guardati con disprezzo, ma non già così ferocemente perseguitati. Avendo dunque Gesù Cristo fatta una vera profezia intorno alle persecuzioni de’ suoi seguaci e questa essendosi perfettamente avverata in una carneficina, che durò trecento anni, il martirio perciò si deve riguardare ancora come un fatto divino per essere l’adempimento di un oracolo divino. Di maniera che ben si può dire che nel martirio cristiano vi sono le due più grandi forze che siano al mondo: la testimonianza degli uomini al suo grado più alto e la testimonianza di Dio: la Chiesa che afferma col sangue de’ suoi figli la rivelazione divina, e Dio che interviene e si manifesta in questa affermazione della Chiesa. E così il martirio cristiano si può riguardare come la prova massima della verità della fede.

— Sì, davvero, dinanzi a tale prova bisogna essere ben ciechi e maligni per non darsi vinti e non credere fermamente l’insegnamento cristiano.

G. FRASSINETTI: CATECHISMO DOGMATICO (VI)

[Giuseppe Frassinetti, priore di S. Sabina di Genova:

Catechismo dogmatico

Ed. Quinta, P. Piccadori, Parma, 1860]

CAPITOLO V.

DELLA GRAZIA DI DIO.

§ 1.

Nozioni delle varie sorti di Grazia, e particolarmente della Grazia Attuale.

— Che cosa s’intende sotto il nome di grazia di Cristo?

Un dono soprannaturale di Dio, il quale a riguardo dei meriti di Gesù Cristo è conferito all’uomo gratuitamente, perché conseguisca il suo fine soprannaturale, che è la salvezza eterna. Da questa definizione si vede, che sotto il nome di grazia di Cristo non intendiamo di parlare delle grazie naturali quali sono per esempio la sanità, o il buono ingegno; nemmeno della grazia concessa al primo uomo nello stato d’innocenza, ed agli Angeli; ma della grazia medicinale del Salvatore, la quale si concede all’uomo dopo la caduta del peccato originale a riguardo dei meriti del Salvatore medesimo.

— Come si divide questa grazia?

Si divide in grazia esterna, in grazia interna, e in grazia gratis data. Le grazie esterne sono gli esempi di Cristo, la predicazione del Santo Vangelo ecc. Le grazie interne sono le buone inspirazioni, i doni dello Spirito Santo. Le grazie gratis date sono quelle che si danno all’uomo non tanto per il di lui proprio vantaggio quanto per l’altrui, come i doni di profezia, di discrezione di spirito, di miracoli ecc. Ma la grazia della quale noi più di proposito vogliamo parlare è quella che si chiama dalle scuole: gratia interna gratum faciens, la quale è un dono soprannaturale particolarmente diretto alla spirituale salute di colui a cui si concede, e questa si divide in grazia attuale e grazia santificante, ovvero abituale.

— Quale é la grazia attuale?

Le grazie attuali sono quegli aiuti detti dalle scuole transeuntia, noi diremmo passeggieri, transitorii, momentanei, con i quali Dio, di volta in volta, aiuta la nostra debolezza affinché operiamo il bene, e non commettiamo il male in ordine alla salute dell’anima.

— Quale è la grazia santificante, ovvero abituale?

La grazia santificante è un dono di Dio soprannaturale, permanente e inerente per modo di abito all’anima nostra, mediante il quale l’uomo addiviene giusto e amico di Dio, perciò figlio di Dio adottivo, adottivo fratello di Gesù Cristo, ed erede del Paradiso.

— Potrebbe con qualche similitudine spiegarmi meglio la diversità che passa tra la grazia attuale e la grazia santificante?

Immaginatevi un fanciullino che sia caduto in un lago di fango. Questo fanciullo non ha forza per drizzarsi da sé, e ha bisogno di una veste asciutta e monda, perché la sua è tutta molle e sporca di fango. Arriva la madre, quanto prima gli dà la mano perché si rialzi, poi lo riveste com’è conveniente: ecco che al doppio bisogno del fanciullino corrisponde un doppio aiuto della madre; ma il primo è un aiuto passeggero, transitorio, momentaneo, giacché il rialzarlo che fa la madre non è cosa che gli resti indosso, per esprimermi materialmente; il secondo poi è un aiuto permanente; giacché la nuova veste di che lo copre resta indosso al fanciullino. Nell’aiuto che gli dà la madre perché si rialzi, ecco una similitudine della grazia attuale, nella veste che gli mette, eccone un’altra della grazia abituale: la prima è transitoria e la seconda è permanente, che resta all’uomo.

— La grazia attuale è necessaria all’uomo?

È dogma di Fede che l’uomo, senza la grazia soprannaturale di Dio, non può fare alcun bene conferente alla Vita Eterna. Or si deve dire che la grazia attuale è necessarissima, cosicché non possiamo fare la minima buona azione, che conferisca alla salute dell’anima se non ci muove, ossia se non ci eccita nel suo principio, se non ci accompagna nel suo decorso, e fin nel suo fine; e questa poi non solo è necessaria ai peccatori, ma anche ai giusti; cioè a quelli che hanno la grazia santificante. Dice Sant’Agostino che per quanto l’occhio sia sano, non può veder senza luce, così per quanto l’uomo sia giusto, non può operar bene senza la grazia che lo muova e l’accompagni nella sua buona opera e salutare.

— Senza la grazia non si possono vincere le tentazioni?

Nessuna tentazione si può vincere senza grazia soprannaturale, o per motivo d’amor di Dio, o per motivo di timor di Dio, che sia soprannaturale; perché chi vince la tentazione per alcuno di questi motivi fa un’opera buona, in se stessa meritoria e salutare per la vita eterna. Per altro alcune tentazioni si possono vincere, particolarmente le leggiere, per altri motivi, e in tal caso non sempre si richiede la grazia; io p. es. vinco la tentazione del furto per il timore del castigo, che vi assegna la legge civile; similmente vinco la tentazione di dire bugia temendo il rossore che me ne verrebbe se fosse conosciuta la mia mala fede; ecco che tali tentazioni sarebbero vinte per motivi naturali, niente conferenti alla vita eterna; in questo modo anche gl’infedeli e i peccatori più perduti vincono molte tentazioni. Però in generale bisogna dire che le tentazioni non si vincono senza grazia, giacché infinite sono quelle tentazione anche gravi alle quali si potrebbe acconsentire senza timore di mali temporali, e senza questo timore si può sempre acconsentirvi almeno con la compiacenza e col desiderio (Bellar. controv. de Grat. et lib. c. 7.).

— Senza la grazia non si possono osservare tutti i precetti della legge naturale?

Non si possono osservare tutti, particolarmente quelli contro i quali le tentazioni sono più forti e frequenti; segue da questo, che senza la grazia non si possono evitare tutti i peccati (Antoin. de Grat. cap. 5, art. 2, § 2).

— Per evitare in questa vita tutti e singoli i peccati veniali, è necessario che abbiano i giusti una grazia particolare?

Ella è verità definita dal Sacro Concilio di Trento (sess. VI, can. 23) che nemmeno i giusti possano evitare, in tutto il Corso della loro vita, tutti i peccati anche veniali senza uno speciale privilegio di Dio; il quale privilegio non consta che sia mai stato concesso a nessuno eccettuata la B. Vergine Maria, che non mai fu macchiata da qualsivoglia ombra di colpa.

— La grazia di perseverare fino alla morte nell’amicizia di Dio, cioè la grazia della perseveranza finale è un dono speciale di Dio?

Senza dubbio è un dono speciale; perciò il Sacro Concilio di Trento la chiama il gran dono (sess. VI, c. 16).

— La grazia attuale come si divide?

Si divide in efficace e sufficiente.

— Qual è la grazia efficace?

È quella che ottiene il suo effetto; p. es. Dio mi dà la grazia perché mi converta sinceramente a Lui, io non resisto a questa grazia, anzi vi coopero col mio libero arbitrio, e perciò mi converto in realtà: ecco che questa grazia è efficace, cioè ottiene il suo effetto.

— Qual è la grazia sufficiente?

⁕ È quella grazia la quale dà all’uomo forze bastanti per fare il bene ed evitare il male, alla quale però l’uomo resistendo con la sua cattiva volontà, essa non ottiene il suo effetto.

— Si potrebbe spiegare in altro modo l’efficacia e la sufficienza della grazia?

I Teologi formarono vari sistemi, e spiegarono chi in un modo, chi in un altro l’efficacia e la sufficienza della grazia; ma a noi in questa materia difficilissima basterà sapere ciò che è certo e non si può mettere in dubbio. È certo che vi sono delle grazie efficaci, le quali cioè ottengono il loro effetto. È certo che vi sono delle grazie solo sufficienti, alle quali si resiste e non ottengono il loro effetto; e questa è verità di Fede definita contro Giansenio. Queste grazie sufficienti devono essere capaci, cioè bastanti ad ottenere il loro effetto per cui si danno. Se non bastassero al loro fine sarebbero insufficienti, e una grazia sufficiente, che non basta, che cioè non è sufficiente, è una contraddizione. É certo che Dio vuole sinceramente la salute di tutti gli uomini, è certo che senza la sua grazia interiore e attuale, nessuno degli adulti si può salvare; dunque è certo che Dio non lascerà loro mancare i veri aiuti di grazia come mezzi assolutamente necessari per la consecuzione del fine, cioè della loro salvezza. Dunque tutti abbiamo grazie bastanti per salvarci e, se a queste cooperiamo, la nostra salute è in sicuro. « Ad ognuno, è dato lume e grazia che facendo quello che è in sé, si può salvare dando solo il suo consenso ». Questa é dottrina, e sono parole di S. Caterina da Genova, la cui autorità come tutti sanno deve valere a paragone di quella di un Teologo (vedi Vita del Muìneri cap. 11). D’altronde precisamente, e in tutto il rigore dell’espressione, questa è la credenza di tutto quanto il popolo Cristiano. Io in fine confesso che per tutti i sistemi mi valgono quelle belle parole del Concilio di Trento. « Dio non comanda cose impossibili; ma comandando ti avvisa di far ciò che puoi e di chiedere ciò che non puoi, ti aiuta intanto affinché tu possa.  I suoi Comandamenti non sono gravosi, il suo giogo è soave, il suo peso leggero … Quelli che ha giustificato una volta Egli non abbandona, se non è prima abbandonato da essi, » Ecco la consolante Dottrina dello Spirito Santo, tanto più consolante, perché infallibile.

— Si danno grazie necessitanti, le quali facciano operar l’uomo per necessità?

Queste non sarebbero grazie ma violenze: è articolo di Fede, che la grazia non toglie e non impedisce all’uomo l’uso della sua libertà, perciò tutto quello che si fa con la grazia, è tutto libero. Diceva S. Paolo: Io “posso ogni cosa in Colui che mi conforta”, non diceva, “… in colui che mi violenta”. È tanto di Fede che nelle buone opere vi ha parte la grazia, quanto è di Fede che vi ha parte il libero arbitrio.

— Iddio comparte mai alcuna grazia ai peccatori indurati e ostinati?

Vi sono certi peccatori, i quali per le loro iniquità e ostinazione nelle medesime, non hanno più quelle grazie ordinarie e prossime per fare il bene ed evitare il male che Dio comunemente concede; per altro loro non mancano alcune grazie remote, almeno per potere pregare ed ottenere misericordia, delle quali se si valessero, non mancherebbero poi della grazia della conversione. Il totale abbandono di Dio in questa vita, non si accorda col sentimento dei fedeli, i quali pensano che non si debba disperare della salvezza di alcuno finché vive; e non si accorda con S. Paolo il quale parlando ai peccatori indurati e impenitenti li avvisa che la benignità di Dio, li invita a penitenza (Ad Rom. cap. 2) (Antoin. de grat. cap. 4, art, 3, § 2).

— Che si dovrà dire degl’infedeli, i quali non hanno cognizione della vera Fede, perché loro non è annunziata?

Anche questi hanno alcune grazie, mediante le quali potrebbero osservare la legge naturale, e se costoro se ne valessero facendo ciò che loro è possibile con le forze naturali aiutate da quelle grazie, Dio o con mezzi ordinari o straordinari, li farebbe venire in cognizione della vera Fede, affinché si potessero salvare (S. Thom. in q. 14 de verit. art. 11 ad 1 (Dice pure che viene dalla nostra negligenza che noi manchiamo della grazia: « Defectus gratiæ prima causa est ex nobis » ( 1, 2, 112 art. 3). « Ex negligentia sua est ut quis gratìam non habeat. (De Verit. q. 24, art. 14 ).

— Le grazie attuali si danno ai meriti dell’uomo?

Questa sarebbe un’eresia chiaramente condannata dalle divine Scritture e dalle decisioni della Chiesa. Le grazie sono doni gratuiti, che Iddio concede a chi vuole e quando vuole (Conc. Trid. sess. VI, c. 5).

— Vuol dire dunque che i buoni non hanno alcun fondamento di sperare che Iddio tenga per loro una particolare provvidenza di grazie?

Questo sarebbe un altro errore; perché, sebbene le grazie non si possano meritare, Dio tuttavia nelle divine Scritture, promette ai buoni una speciale assistenza. « Gli occhi del Signore sono vigilanti sopra dei giusti, e le sue orecchie attente alle loro preghiere » (Salmo XXXIII). Perciò, quantunque Iddio non sia obbligato a fare grazie né ai giusti né ai peccatori, Egli, che ama chi lo ama ( Prov. VIII), abbonda ordinariamente di grazie maggiori con chi gli si mostra fedele: dico ordinariamente, perché alle volte per manifestare nei modi più mirabili la sua misericordia, concede grazie grandissime anche ai grandi peccatori. Tali le concesse a Davide, alla Maddalena, al buon ladrone, ecc.

§ II.

Della Grazia Santificante.

— Che cosa giustifica l’uomo?

La grazia santificante, la cui definizione fu data nel paragrafo antecedente nella risposta alla D. 4.

— La grazia santificante quando si acquista?

Si acquista nel Santo Battesimo.

— Acquistata che sia, si può perdere?

Si perde per qualunque peccato mortale, come con qualunque peccato mortale si perde la carità.

— Perduta che sia si può riacquistare?

Si può riacquistare mediante il Sacramento della Penitenza, il quale è instituito a questo fine: di togliere i peccati commessi dopo il Battesimo, e anche mediante la carità che inchiude il voto, ossia desiderio del Sacramento, come si dirà nel Capitolo seguente.

— Questa grazia santificante, è forse la stessa Giustizia di Gesù Cristo a noi imputata?

Il dire che la grazia santificante sia la stessa Giustizia di Gesù Cristo a noi imputata, è una eresia condannata dal Concilio di Trento (sess. VI). Questa grazia consiste in un dono soprannaturale non imputato, ma realmente conferito e che si fa intrinseco all’anima nostra, mediante il quale restiamo veramente giustificati, e veramente mondi dal peccato.

— Non si potrebbe dire, che la grazia santificante serve all’anima come di una veste, che copra e nasconda la bruttezza dei peccati?

Il dir questo sarebbe pure eresia, condannata dallo stesso Concilio. La grazia santificante non è estrinseca all’anima, come una veste è estrinseca al corpo che copre; e con l’infusione di questa grazia non si nascondono, non si coprono i peccati; ma assolutamente si tolgono e si scancellano; sicché non esistono più le loro macchie. In quella guisa che lavando una veste macchiata, le macchie non si coprono ma si tolgono, sicché non esistono più; Dio giustificando l’uomo con l’infusione della sua grazia, toglie i peccati dall’anima.

— Non basterà per la giustificazione dell’anima la sola Fede?

Questa sarebbe dottrina eretica condannata similmente dal S. Concilio di Trento (sess. VI). La Fede è soltanto la radice e il fondamento della giustificazione, come definì il Concilio; diversamente tutti i fedeli sarebbero in istato di grazia, e non si potrebbe trovare il peccato mortale, se non negl’infedeli. Per la giustificazione dell’uomo si richiedono anche le buone opere. La Fede senza buone opere è morta, lo dice S. Giacomo (cap. II, v. 20).

— Alcuni pensarono che solo fossero giustificati, e perciò solo avessero la grazia santificante, quelli che credessero fermamente di avere questa grazia, come si devono credere fermamente i dogmi della Fede: che direbbe di questa dottrina?

Essa è pure dottrina eretica condannata dal Concilio, anzi si deve notare che nessuno può credere fermamente di aver questa grazia, senza una speciale rivelazione di Dio.

— Dunque nessuno può essere certo di avere la grazia santificante?

Il Cristiano che non è conscio a se stesso di peccato mortale, o per non sapere di averne mai commesso, o per averlo confessato e detestato convenientemente nel caso che vi fosse già caduto, può essere certo di avere la grazia santificante; però la sua certezza non può essere ferma e sicura come la certezza infallibile con cui crediamo le verità della Fede. La ragione è che Dio ha rivelato le verità della Fede, e in esse perciò non vi può essere inganno; ma non ha rivelato né a questo, né a quello che non abbia mai commesso peccato mortale, o che dopo averlo commesso lo abbia convenientemente confessato e detestato, sicché ne abbia pure ottenuto il perdono. Per tanto nella certezza di essere in istato di grazia è possibile che l’uomo s’inganni.

— Per qual ragione Iddio ci lascia in questa incertezza?

Affinché il timore ci sia di uno sprone continuo, che ci stimoli ad assicurarci sempre più il possesso della sua grazia mediante l’esercizio delle virtù cristiane, e in tal modo si accrescano i nostri meriti per la vita eterna. Per altro noi possiamo essere certi di avere la grazia santificante non di certezza infallibile e divina, ma di certezza morale ed umana. Bisogna anzi guardarsi dall’avere in questo punto un timore soverchio, perché questo diminuirebbe la confidenza in Dio, e il suo amore (Bellarm. Controv. de Just, lib. 3. c. 11).

— Quale sarà il più forte argomento che noi possiamo avere di essere in istato di grazia?

Ascoltatelo da S. Francesco di Sales riportato da S. Alfonso Liguori (Trat.di am. G. C. Cap. 8), ambedue erano» grandi Teologi. – « La maggior sicurezza che noi possiamo avere in questo mondo di essere in grazia di Dio, non consiste già nei sentimenti che abbiamo del suo amore, ma nel puro ed irrevocabile abbandonamento di tutto il nostro affetto nelle sue mani, e nella risoluzione ferma di non mai consentire ad alcuno peccato né grande, né piccolo »  Rassegniamoci dunque tutti in Dio, siamo risoluti di soffrire qualunque cosa più tosto che offenderlo con avvertenza anche nelle minime cose, e avremo il più forte argomento che possa aversi in terra: di possedere il gran tesoro della grazia santificante.

— La grazia santificante può avere aumento nell’anima del giusto?

Questa è verità di Fede definita dal Sacro Concilio di Trento (sess. VI. e XXIV), e questo aumento si acquista mediante le buone opere.

— Vuol dire dunque che la grazia santificante si può meritare?

La grazia della giustificazione non si può meritare, essa è un dono gratuito di Dio, e ciò è di Fede; pertanto nessuno che sia in peccato si può meritare che Dio gli perdoni e lo arricchisca della grazia santificante; per altro il giusto, cioè quegli che possiede la grazia santificante, con le sue buone opere (come si spiegherà nel paragrafo seguente) merita veramente un accrescimento di questa grazia.

— La grazia santificante è necessaria alle buone opere?

È necessaria affinché le buone opere siano meritorie della vita eterna, per altro si possono fare delle opere che siano buone anche d’innanzi a Dio senza la grazia santificante. Si vede infatti che Dio accettò le limosine del Centurione che era infedele. Daniele consigliava Nabucodònosor a fare delle limosine ecc., e perciò i peccatori devono anzi procurare di fare buone opere, le quali quantunque loro non serviranno per il merito della vita eterna, serviranno per altro onde impetrino con quelle, misericordia da Dio.

— Alcuni dissero che tutte le opere degli infedeli e peccatori sono peccati.

Questo errore detestabile fu condannato nelle proposizioni di Baio XXV e XXXV, dai Sommi Pontefici S. Pio V, Gregorio XIII e Urbano VIII. Dico errore detestabile, perché mette i peccatori nella disperazione, e loro toglie l’uso di quei mezzi, cioè delle buone opere, con i quali otterrebbero misericordia da Dio, e la grazia della conversione.

— La grazia santificante è la stessa cosa che la carità?

L’opinione più probabile è che sia la stessa cosa, alcuni per altro pensano che sia un dono distinto della carità. Comunque sia la cosa, è certo che chi ha la carità ha la grazia santificante, e chi ha la grazia santificante ha la carità.

§ III.

Del merito delle Opere buone.

— Le buone opere sono meritorie?

È verità di Fede definita dal Sacrosanto Concilio di Trento, che con le buone opere fatte in grazia, si merita veramente l’accrescimento della grazia medesima; cioè della grazia santificante, e la vita eterna (Conc. Trid.. sess. VI, c. 32 ).

— Come è possibile che con lo opere buone, le quali per molte e grandi che siano, non hanno proporzione alcuna con la preziosità di un premio eterno, si possa meritare il Paradiso, e meritarlo veramente?

Bisogna considerare, che con le nostre buone opere riguardate da per se stesse solamente, non potremmo meritarci la vita eterna, perché non vi sarebbe alcuna proporzione tra queste opere e il premio che loro si dà. Ma le nostre buone opere, dobbiamo considerarle come nobilitate dai meriti infiniti di Gesù Cristo, e innalzate a tanto di dignità e di valore da questi meriti, che v’ha benissimo proporzione tra esse e la vita eterna. Di più bisogna presupporre la divina promessa, con la quale Dio si obbligò a premiarle in tal modo; questa è quella divina promessa che rende Iddio in largo senso obbligato verso di noi a ricompensarci con quel premio. Dico in largo senso, perché Iddio non può essere obbligato a un debito rigoroso verso di noi; ma resta obbligato alla sua stessa infinita fedeltà, la quale esige che alle sue promesse non manchi. Perciò si vede che la vita eterna è vera grazia e vera mercede; è vera grazia, perché tutti i nostri meriti nascono dalla grazia di Dio, e per un semplice tratto della divina bontà le nostre opere buone furono innalzate a tanto valore di meritarci il Paradiso, il quale inoltre per un semplice tratto della divina bontà loro fu promesso; è però insieme vera mercede, perché stante la loro soprannaturale eccellenza e dignità, e stante la divina promessa con cui Dio si è obbligato a premiarle, loro si deve veramente un tal premio. Perciò, come è definito contro gli eretici, con le buone opere fatte in grazia, meritiamo veramente, non solo l’aumento della stessa grazia, ma anche la Vita Eterna. (Antoine Tract. de Grat., cap, 7, art. 1, § 2. Besp, ad, 3, et nota ad Resp. ad 6).

— Quali condizioni devono avere le buone opere, affinché siano meritorie?

La prima è, che le buone opere si facciano dagli uomini viatori, cioè durante questa vita; perciò i Santi in Cielo, che non sono più viatori, ma arrivati al termine e hanno conseguito il loro fine, non possono più meritare. La seconda è che siano libere; perché l’uomo meriti bisogna che sappia quel che fa e che possa fare, e non fare quel che fa. La terza che siano fatte dall’uomo giusto, ossia in istato di grazia come già si è accennato. La quarta, che siano opere buone per bontà soprannaturale, o per sé stesse come il ricevere i Sacramenti, o almeno per il fine, come il viaggio ad un Santuario per venerarvi una devota immagine di Maria Ss. Queste quattro, oltre la divina promessa, che si suppone, sono le condizioni che necessariamente e senza alcun dubbio, si richiedono nelle opere buone perché siano veramente meritorie, come si può vedere nei Teologi.

— Per qual ragione dice il Concilio che si merita l’aumento della grazia?

Perché come definì lo stesso Concilio (sess. VIII. c. 8), la prima grazia santificante non si può veramente meritare. Il peccatore che è privo della grazia può impetrarla con preghiere e buone opere, ma meritarla veramente non può, non avendo le sue preghiere e buone opere tanto valore; quando poi ottiene la grazia santificante, e perciò resta giustificato con le buone opere che fa in seguito, merita veramente l’aumento di detta grazia (Antoine ut sup. art. 6 ).

— Mi spieghi meglio la seconda condizione la quale esige che le buone opere siano libere?

Tanto per meritare quanto per demeritare davanti a Dio, cioè tanto per fare una buona opera che sia degna di ricompensa, quanto per fare un peccato che sia degno di castigo, si richiede nell’uomo libertà, e questa libertà richiede cognizione e determinazione non violentata o necessitata da qualunque causa, o esterna, o interna. Richiede cognizione; e perciò se io faccio un dono a un povero credendolo ricco, il mio dono non ha il merito della limosina, come se io dessi il veleno ad alcuno, credendo dargli una salubre bevanda, io non avrei il reato dell’omicidio. Richiede determinazione senza violenza di causa esterna, e perciò se alcuno, p. es., mi facesse prostrare a viva forza innanzi al Ss. Sacramento, io non avrei il merito dell’adorazione, e se mi facesse prostrare innanzi ad un idolo, io non avrei il reato della idolatria. Bisogna pure che non vi sia violenza, o necessità proveniente da causa interna; e perciò se la grazia di Dio sforzasse la nostra volontà come immaginò Calvino, o irresistibilmente la traesse come insegnò Giansenio, non vi potrebbe essere alcun merito nelle opere buone; e se in pari modo la concupiscenza la sforzasse e la traesse, ugualmente non vi potrebbe essere demerito alcuno nelle opere cattive. E in verità ciò che non si potrebbe supporre negli uomini senza far loro gran torto, si dovrà supporre in Dio? Se vi fosse un Sovrano che premiasse le azioni buone fatto da chi non potesse a meno di farle, e punisse le azioni cattive commesse da chi non potesse a meno di commetterle, non si direbbe nel primo caso che è uno stupido, e nel secondo che è un tiranno? Dopo questo facilmente s’intenderà perché dicasi che, onde l’uomo meriti con le sue buone opere, bisogna che sappia quel che fa, e che sia in suo potere di fare, o non fare quel che fa. Che il libero arbitrio sia restato all’uomo dopo il peccato originale, è verità di Fede definita dal sacrosanto Concilio di Trento (sess. VI, cara. 5). Che per meritare e demeritare si richieda nell’uomo la libertà, immune non solo da qualunque violenza, ma anche da qualunque necessità, è verità definita di Fede nella condanna della terza proposizione di Giansenio. Prima di Giansenio aveva bestemmiato Baio che un uomo pecca e merita punizione anche nelle cose che fa necessariamente ».

MESE DI MAGGIO [G. Gilli]

[D. Gaspare Gilli: PICCOLO MESE DI MAGGIO AD USO DEL POPOLO; Tip. Dell’Imm. Concezione ed. – 1864]

I. GIORNO

Maria prima della creazione.

Da tutta l’eternità il Signore ha decretato il mistero dell’Incarnazione di suo Figlio e preparato i mezzi che servir dovevano ad attuare quest’atto d’infinito amore. Quindi da tutta l’eternità eziandio egli conobbe Maria, la elesse fra tutte le donne, l’amò con amore di singolare preferenza, la fece sua sposa. Laonde possiamo dire che, nella mente di Dio, Maria già esisteva nel cielo, prima di tutti i tempi, accanto a Gesù, Pontefice eterno, e che già stava preparato in salute del mondo questo capolavoro della divina misericordia. Il mondo aveva ancora da imparare a riporre in Maria tutta la sua speranza, e già destinata era Maria a riparare ad ogni futura disgrazia del mondo. Ecco il perché noi siamo sì cari al suo cuore; ecco il perché non cesserà mai la Santa Chiesa d’invocarla: Salute degli infermi, Rifugio dei colpevoli, Aiuto dei cristiani, Consolatrice degli afflitti e via dicendo; perché dal nostro infortunio appunto nacque la sua gloria. – Io ancora fui da tutta l’eternità presente al pensiero di Dio, e da Lui infinitamente amato. Da tutta l’eternità mi preparò i benefici e le grazie che adesso con tanta liberalità mi largisce. Alla mia salute si riferisce tutto il piano dell’Incarnazione e della Redenzione. L’amor di Dio verso di me, fu in certa guisa, più disinteressato di quello che ebbe per Maria, perché fui da Esso amato malgrado la schifosa lebbra del peccato di che già vedevami contaminato, mal grado la previsione dell’abuso che avrei fatto delle sue grazie, malgrado la mia sconoscenza, e la mia malizia. E non mi risolverò ancora di porre un termine al corso, oimè! Già troppo protratto delle mie ingratitudini e delle infedeltà mie?..

ESEMPIO.

La Spagna si distinse mai sempre per la sua venerazione verso la Madre di Dio; già ne celebrava le feste priaché fossero venute a notizia di altri popoli eziandio cattolici; si distinse ancora per la moltitudine e la magnificenza dei santuari, degli oratorii a lei dedicati; per il gran numero dei Santi devoti di Maria, e degli ordini religiosi istituiti a di Lei gloria. Presentemente ancora distinguesi la Spagna pel suo culto alle statue ed alle immagini della SS. Vergine; si trovano rinomatissimi santuarii a Madrid, Saragozza, Toledo, Siviglia, Gruadalupa, Valenza, Barcellona, Agreda, ed in quasi tutte le città e villaggi le confraternite del Rosario e dello Scapolare. Passo sotto silenzio il suo culto verso l’immacolata Concezione, poiché ne parlai in altra operetta – Il mese dell’Immacolata Concezione – Dirò solamente che nel 1859, dichiarata la guerra all’impero del Marocco, la regina Isabella II fe’ preparare per l’armata belligerante uno speciale vessillo, sul quale era dipinta l’immagine di Maria concepita senza peccato. E le rapide e decisive vittorie riportate dagli Spagnoli in quella sì malagevole guerra, ben provarono che non indarno si venera Maria, e nel suo patrocinio si confida.

Orazione.

O Vergine tutta piena di dolcezza, di bontà, di clemenza, la quale non foste arricchita dal Signore di tanta potenza e bontà, se non perché vi faceste per tutti i secoli la consolatrice degli afflitti, il sostegno dei deboli, il rifugio de’ poveri peccatori, deh! pregate per me adesso, e nell’ora della mia morte. Così sia.

OSSEQUIO.

Portate sul cuore l’immagine di Maria; e premendola con affetto al seno, ditele spesso: Questo cuore, o Maria, voglio che sia tutto vostro.

GIACULATORIA.

Dignare me laudare te, Virgo sacrata.

Lasciate, o Vergine,

Che anch’io vi onori:

Voi siete l’unica

Gioia de’ cuori.

-343-

O Domina mea, sancta Maria, me in tuam

benedictam fidem ac singularem custodiam et

in sinum misericordiae tuae, hodie et quotidie

et in hora exitus mei animam meam et corpus

meum tibi commendo: omnem spem et consolationem

meam, omnes angustias et miserias meas,

vitam et finem vitae meae tibi committo, ut per

tuam sanctissimam intercessionem et per tua

merita, omnia mea dirigantur et disponantur

opera secundum tuam tuique Filii voluntatem.

Amen (S. Aloisius Gonzaga).

Indulgentia trium annorum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, quotidiana orationis recitatione in integrum mensem producta (S. C. Indulg., 15 mart. 1890; S. Pæn. Ap., 28 mari. 1933).

II. GIORNO.

Concezione di Maria.

Non v’ha dubbio che l’anima di Maria non sia stata fregiata dal Signore di tutti i doni della natura; ma non v’ha dubbio neanco che il più prezioso di questi doni, quello senza cui un nulla sono tutti gli altri, si è il dono della santità. Maria fu concepita senza peccato, è dogma di fede, la fede de’ figli suoi. Tutti i discendenti di Adamo sono redenti, purificati pei meriti del Redentore; Maria sola è preservata: ricevono gli altri una grazia di purgazione, di riparazione; riceve Maria una grazia di preservazione, di conservazione. Quindi fin dalla sua concezione Ella è dotata del perfetto uso di ragione, e di tutte le grazie che sono ad un tempo il principio, le compagne, gli effetti d’una più che angelica innocenza. Quindi ancora il suo cuor puro, la sua anima innocente, il suo spirito ripieno di sapienza e d’intelligenza, fin da quel punto elevaronsi naturalmente e senza sforzo verso il cielo: fin da quel punto Maria conobbe, adorò, amò il Signore con maggior ardore dei serafini: fin da quel punto Maria poté dire: II mio amore è il mio peso. – Ed io, figlio del peccato, caduto nel fango al primo mio passo nella vita, col marchio dell’anatema del padre mio in fronte, contaminato dalla colpa della mia madre, schiavo d’un padrone infame e crudele, non ho, non sento propensione, attrazione che pel male! verso il male si diressero le prime mie inclinazioni; non cerco se non il male; non respiro, non conosco, non opero che il male! Io posso a tutta ragione esclamare: Il mio peso, il movimento del mio cuore è un principio di male…. Ed ardisco camminare con la testa alta; ardisco nutrire pensieri di vanità, di superbia, io schifoso verme di terra, io disprezzabile composto di lordura e di peccato!

ESEMPIO.

L’Algeria, celebre contrada del nord dell’Africa, ove la religione cristiana fiorì con tanta gloria, ai tempi specialmente di S. Agostino, vescovo d’Ippona, restò sepolta per molti secoli nelle tenebre del maomettismo. Gli Algerini tuttavolta conservarono l’idea di un Dio solo, e del culto della Madre del Messia. Ma dal 1839, epoca in cui fu creato il primo loro vescovo Monsignor Dupuch, la religione cristiana risorse a vita novella. Un misto di stupore e di edificazione s’impadronisce del cuore nell’osservare questi Arabi teneramente commossi alla vista delle immagini di Maria. Quando nelle solennità, la processione percorre la città, essi piegano il ginocchio dinanzi allo stendardo della Vergine Immacolata, e nelle infermità de’ loro figliuoli, corrono innanzi tutto ad offrirli a questa tenera Madre, perché credono che là è la salute degli infermi.

Orazione.

Balzò di gioia il cuor mio, o Vergine innocentissima, in udendo la voce del successore di Pietro annoverare tra i dogma di fede l’Immacolata vostra Concezione. Io lo credo questo dogma, e vorrei mi fosse dato soscriverlo col mio sangue, e morire ripetendo col cuore pieno di amore: O Maria concepita senza peccato pregate per me che a voi ricorro. Così sia.

OSSEQUIO.

Fate una visita ad un’immagine di Maria, e raccomandate caldamente alla sua intercessione l’anima vostra.

GIACULATORIA.

Salva, me, Domina, salva me.

Un dono voglio

Da voi, Maria;

Salvate, pregovi,

Quest’alma mia.

#    #    #

Ave Maria, etc.
O Domina mea! 0 Mater mea! Tibi me totum
offero, atque, ut me tibi probem devotum, consecro
tibi oculos meos, aures meas, os meum,
cor meum, piane me totum. Quoniam itaque
tuus sum, o bona Mater, serva me, defende me
ut rem ac possessionem tuam.

[Indulgentia quingentorum dierum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodooblationis actus quo tidie per integrum mensem pie iterates fuerit (S. C . Indulg., 5 aug. 1851; S. Pæn. Ap.,
21 nov. 1936).

III. GIORNO.

Nascita di Maria.

Maria nasce nell’oscurità e nel silenzio; viene al mondo, come la grazia, senza strepito, senza splendore. Deposta in povera culla, la sua nascita non è festeggiata che dai suoi genitori e da qualche congiunto. Che se ignari della loro fortuna, insensibili dìmostraronsi gli uomini, chi può ridire qual fu il primo sguardo di amorosa compiacenza abbassato dall’augusta Trinità sopra questa benedetta fanciulla? Sì, la mano dell’Onnipotente si stese con ineffabile tenerezza sopra Maria, la quale, fin da quel primo istante, già faceva ascendere al trono di Lui l’ossequio delle più pure e più fervide adorazioni. Rischiarata da lume celeste, Maria già ravvisa la vita che per Lei comincia, sotto il suo vero punto di vista; un viaggio più o meno lungo che mette all’eternità; un tempo di prova; un campo ove pochi giorni sono concessi all’uomo per seminar nel tempo quello che desia raccogliere nell’eternità: quindi si getta con perfetto abbandono tra le braccia del Signore, domandandogli una sol cosa, amarlo, amarlo sempre con novello ardore; ed intrepida s’avvia per la strada che se le apre dinanzi, e che dovrà innaffiare di tante lacrime. – Ad esempio di Maria abbiamo noi considerata la vita al lume della fede? Oimè! I primi nostri anni furono di dissipazione, e di oblio del Signore. Ben lungi dal ravvisare la vita come un tempo di prova, destinato alla conquista del cielo, l’abbiamo tenuto qual lungo giorno di festa che tutto scorrere doveva tra i piaceri. Poi, allor che l’età dell’esperienza sottentrò alle illusioni della giovinezza, invece di considerarci quali viaggiatori sviati, e piangere nell’amarezza del cuore il lungo tratto di vita percorso senza Dio, ci siamo ingolfati negli interessi del tempo senza por mente a quelli dell’eternità, senza por mente che ben tosto verrà la morte a gettarci poveri e nudi d’ogni merito ai piedi del tribunale del Giudice eterno! E adesso che cosa risolviamo?….

ESEMPIO.

Fin dal II, secolo della Chiesa, con la propagazione del Vangelo si propagò in Germania, vastissima contrada posta nel centro dell’Europa, il culto di Maria; e già le di lei feste solennizzavansi con grande magnificenza ai tempi di Carlo Magno. Tutti gli imperatori, pochissimi eccettuati, fino al regnante Francesco Giuseppe, si professarono devoti di Maria. S. Stefano la proclamò signora dell’Ungheria; Ottone I pose la Baviera sotto la di Lei protezione; Federico il Vittorioso la Sassonia; Massimiliano II la Boemia; Ferdinando III tutta l’Austria; ed un gran numero di regine assunsero l’augusto nome di Maria. Fra tutti i sovrani però, quelli d’Austria dimostraronsi i più zelanti per la gloria dell’Immacolata Concezione; fin dal 1725 ottennero dalla s. Sede il privilegio al loro clero di recitarne l’ufficio in tutti i sabati, ed in mezzo alle molte statue di bronzo dei suoi imperatori, Vienna lascia vedere sulla piazza principale, la statua della Vergine innalzata da Ferdinando III nel 1629, sul cui piedestallo leggesi: Alla Vergine Madre di Dio concepita senza peccato. Le strade della Boemia, Sassonia, Ungheria, ecc., sono seminate di statue e d’immagini di Maria; numerose le cattedrali a Lei dedicate.

Orazione.

Prostrato ai piedi della vostra culla, o celeste bambina, vi offro l’omaggio della mia adorazione e dell’amor mio; ma deh! voi permettetemi che, da questo istante, unisca la mia vita alla vostra, onde renderla gradita al vostro divin Figlio, e copra la mia nudità col dovizioso tesoro dei vostri incomparabili meriti. Così sia.

OSSEQUIO.

Se avete qualche peccato mortale, andate subito a confessarvene, oppure detestate quelli che commetteste per lo addietro.

GIACULATORIA.

Solve vìncla reis, Profer lumen cæcis.

Il pie’ scioglietemi

Da lacci rei;

E luce fatevi

Degli occhi miei.

348

Concede nos famulos tuos, quæsumus, Domine Deus, perpetua mentis et corporis sanitategaudere; et, gloriosa beatæ Mariæ semper Virginis
intercessione, a præsenti liberari tristitia et æterna perfrui lætitia.

Per Christum Doninum
nostrum. Amen (ex Miss. Rom.).
Indulgentia trìum annorum.
Indulgentia plenaria suetis conditionibus, oratione quotidie
per integrum mensem devote repetita (S. Paen. Ap.,
i8 mart. 1935).

IV. GIORNO.

Infanzia di Maria.

E il fanciullo cresceva in sapienza, in età, in grazia dinanzi a Dio, e dinanzi agli uomini. Tale fu il Figlio: tale per conseguenza esser dovette la Madre, ricevendo ognora, ed ognora più rendendosi fedele nel corrispondere alla grazia ricevuta. Il corpo di Lei prendeva lente proporzioni, ed in ragione dell’età; la di Lei anima però batteva a passi di gigante la strada della perfezione. Ma qual perfezione non chiedeva da Maria l’eccelso ministero che doveva poi un giorno esserle affidato? E Maria, fedele, obbediente agli impulsi della grazia, docile alla voce del Dio che la custodiva e governava, non pose mai il menomo ostacolo, non mai arrestò il corso della grazia nel proprio cuore; laonde per un progressivo accrescimento di celeste soccorso, pervenne a sì fatto apice di virtù, di meriti e di grazie che vincerà sempre ogni nostro concetto, come ogni nostra espressione.Ed a me quando mai mancò la grazia, e quando mai le ho io corrisposto? Ah! sì preziosa è la grazia che un’anima, la quale siane in possesso, può ad ogni istante alzare al cielo uno sguardo di speranza, d’amore, e dire a se medesima: Là è la mia patria, là io sono amata, attesa, desiderata: là ho un Padre il cui amore veglia sopra di me, la cui orecchia sta sempre aperta alle mie preghiere, il cui cuore s’intenerisce ad ogni mio sospiro; là infine ho un possente mediatore il quale perora la mia causa presso il Padre suo; una Madre e dei fratelli che mi tendono la mano onde ajutarmi a raggiungere il trono che mi sta presso di loro preparato. Eppure! io che sono sì sensibile agli avversi colpi di fortuna; io che sono inconsolabile nella perdita della sanità, de’ parenti, ho fatto lagrimevole getto d’un bene così prezioso qual è la grazia, e poi non solo non trovo una lacrima a spargere per una perdita sì grande, ma vivo gli anni interi senza darmi pensiero di riacquistarla! O Maria, o Madre mia, pietà, soccorso!

ESEMPIO.

L’Anatolia, la Siria, la Palestina, le quali stavano tanto a cuore agli Apostoli, fin dalla culla del Cristianesimo, e distinguevansi per la loro fede e per la loro divozione verso l’immacolato Cuore della Vergine tutta santa, presentano pur anco oggi giorno non pochi esempi di fedeltà alla vera religione e di pietà verso Maria. Nicomedia, Nicea, Smirne, Efeso, Antiochia, Neocesarea, Damasco, Tiro, Palmira, ecc., ricche di religiose rimembranze, queste celebri città conservano ancora molte immagini, statue, reliquie della Madre di Dio, e rispettosi gli abitanti inchinansi tuttora dinanzi ai venerabili avanzi degli antichi santuari, ove cantavansi altre volte le di Lei grandezze, ed i prodigi da Dio operati in virtù delle di Lei orazioni. Così le antiche città della Palestina: Nazaret. Betlemme, Gerusalemme, Ioppe, Edessa ecc., nomi sì cari al cuore cristiano, e sono e saranno mai sempre l’oggetto d’incessanti pellegrinaggi.

Orazione.

O Madre della grazia, sovvengavi che io sono la debolezza, la fragilità in persona; vegliate voi medesima alla custodia del prezioso tesoro che mi fu dal Signore confidato; proteggetemi, difendetemi, copritemi col manto della vostra materna protezione fino all’estremo mio respiro. Così sia.

OSSEQUIO.

Fate un atto di mortificazione della gola in penitenza delle soddisfazioni illecite date al vostro corpo.

GIACULATORIA.

Munda cor et corpus meum, Sancta Maria.

Questa mia carne

Questo mio cuore

Purgate al fuoco

Del vostro amore.

347
Adiuvet nos, quæsumus Domine, gloriosæ
tuæ Genitricis semperque Virginis Mariae intercessio
veneranda: ut quos perpetuis cumulavit
beneficiis, a cunctis periculis absolutos,
sua faciat pietate concordes: Qui vivis et regnas
in sæcula sæculorum. Amen (ex Miss. Rom.).
Indulgentia trium annorum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodoquotidiana orationis recitatio i n integrum mensem produhierit
(S. Pæn. Ap., 6 febr. 1934):

V. GIORNO.

Presentazione di Maria al tempio.

Maria conta appena tre anni di vita, e già la vediamo condotta al tempio da’ suoi pii genitori; vanno essi a trapiantare a pie degli altari del Dio vivente questo giglio abbagliante di purezza e d’innocenza, onde cresca e si spanda all’incontaminata ombra del santuario. Per riguardo a Maria, si è il suo cuore che la guida al tempio; il suo cuore tutto ardente d’amore non è penetrato che da un pensiero, da un desiderio: essere tutto del Signore senza interruzione di tempo, senza divisione d’affetti. Il mondo non conteneva pericolo di sorta per la Vergine Immacolata, e vi avrebbe potuto vivere pura e senza macchia; è vero: Maria tuttavolta vivere doveva vicino a Dio. Fanciulla, il suo posto è il santuario; madre presso la culla del Figlio; poi un giorno presso la croce di Lui; più tardi alla destra di Lui ne’ cieli. – Voleva il Signor che la vita di Maria offrisse un modello a tutte le persone del suo sesso, quale che fosse la posizione in cui sarebbersi trovate; laonde cominciò a darla perfetto esemplare a quelle che avrebbero un giorno eletto la miglior parte, e rinunziato a tutto per non possedere che Lui solo. – Quanto differente è la nostra condotta! Non che imitar Maria nell’offrire a Dio le primizie della nostra vita, crediamo di far gran cosa nel conservargliene i miserabili avanzi. E nulladimeno abbiamo appreso fin dalla nostra infanzia che fummo creati all’unico fine di amare e servire il Signore, e per tal via conseguire la vita eterna. Non sono tutti chiamati come Maria a rinunziare ad ogni terreno affetto o legame, onde consacrarsi a Dio in un chiostro; ma nessuno tuttavia è dispensato dal dovere di tendere alla perfezione propria del suo stato o della sua condizione. L’essenziale, su che trovasi, generalmente parlando, fondata l’eterna nostra salute, si è di corrispondere ai disegni di Dio, vedere di conoscere la propria vocazione, e poi generosamente seguire la divina chiamata.

ESEMPIO.

La Religione Cattolica, abbracciata dalla Svizzera fin dai primi tempi del Cristianesimo, vigorì in tutta la sua purezza fino al secolo XVI, in cui Lutero, Zwinglio e Calvino vi seminarono l’eresia. Presentemente sono misti insieme eretici e cattolici, ed i templi dedicati a Maria, dei quali non pochi sono venerabili per la loro antichità, trovansi seminati, come porti di salute, in mezzo alle popolazioni sedenti nelle tenebre dell’errore. A Unterwald, ove il pellegrino non iscorge sotto a’ suoi piedi se non ispaventevoli precipizi, e sopra il suo capo enormi massi di pietra quasi lanciati in alto, avvi un santuario adorno di graziosi dipinti, rappresentanti gli attributi della SS. Vergine, nel quale si venera da parecchi secoli una celebre statua chiamata Nostra Signora del Passeggero. Qui vengono i Calvinisti medesimi nelle loro afflizioni ad implorare la misericordia di Maria. A Einsiedeln il santuario di Nostra Signora la miracolosa, è sempre affollatissimo di pellegrini d’ogni regione; nel 1859 vi si recò con tutta la sua famiglia Carlo Antonio, principe regnante di Hohenzollern-Sigmaringen. All’abbadia del medesimo villaggio, in una sotterranea cappella, incavata nel vivo masso, si onora l’antica e graziosa immagine della beata Vergine, chiamata Nostra Signora della Pietra, meglio nota però sotto il titolo di Nostra Signora degli Eremiti, rinomatissima per sorprendenti prodigi. – A questo santuario pellegrinarono nel 1858 l’arciduca Luigi d’Austria, fratello dell’attuale imperatore Francesco Giuseppe; e nel 1859 un grandissimo numero di ufficiali francesi ed austriaci. In Ginevra finalmente, metropoli del Calvinismo, Monsig. Marilley vescovo di Losanna, accompagnato da tre altri vescovi e da più di 150 sacerdoti, consacrò una magnifica chiesa dedicata all’Immacolata Concezione.

Orazione.

O Vergine immacolata, la quale con fedeltà sì perfetta corrispondeste ai disegni di Dio, insegnate alla povera anima mia la strada che batter dee per non perdersi; e poi, quale che ella siasi, impetratemi quello spirito di generosità che fa coraggiosamente superare ogni ostacolo, e trovare tutta la sua felicità nell’ adempimento della volontà divina. Così sia.

OSSEQUIO.

Eccitate qualche orazione in onore di Maria.

GIACULATORIA.

Vitam prcesta puram, iter para tutum.

O Madre datemi

Un alma pura:

Del ciel mostratemi

La via sicura.

349
Sancta Maria, succurre miseris, iuva pusillanimes,
refove flebiles, ora prò populo, interveni
prò clero, intercede prò devoto femineo sexu:
sentiant omnes tuum iuvamen, quicumque celebrante
tuam sanctam commemorationem

(ex Breviario Rom.).
Indulgentia trium annorum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummododevota orationis recitatio,  quotidie peracta, in integrum
mensem producta fuerit (S. Pænit. Ap., 29 maii 1936).

VI. GIORNO

Dimora di Maria nel tempio.

Nascosta nella solitudine del tempio, Maria non ha che un desiderio: glorificare il Signore e ad ogni respiro di sua vita dargli un novello attestato dell’amor suo. Ma per giungere a questo fine non ignora ella non esser d’uopo di fare strepitose azioni, le quali risveglino l’ammirazione degli uomini, severamente eseguire la volontà divina, né esser altra questa volontà divina se non il perfetto adempimento dei doveri annessi allo stato in che ella ci ha posto. Quali sono i doveri dello stato di Maria? Quelli di tutti i fanciulli in generale, e specialmente delle giovani figlie; la preghiera, il lavoro, l’obbedienza, la carità. — Più infiammata d’amore che i serafini l’anima di Maria elevavasi a Dio con prodigiosa rapidità ed agevolezza. — Dall’orazione passava al lavoro; ma la sua intima ed abituale unione con Dio volgeva in una incessante preghiera ogni suo lavoro, ogni sua azione. — Posta sotto l’ubbidienza, un desiderio di chi la guidava, equivaleva per Lei ad un comando; e faceva consistere la propria felicità nel prevenirne eziandio gli ordini ed i desideri, — Educata nel tempio in compagnia di altre fanciulle, Maria copriva col velo di carità le loro imperfezioni, ed alla loro invidia non opponeva che dolcezza ed invitta pazienza. La santità che Dio da noi richiede, consiste nell’adempire esattamente i doveri del nostro stato; ed adempirli con l’unico intento di piacere al Signore e fare la volontà sua. Fuori di qui, non vi ha, non dirò perfezione, ma neanco salute. Sì, intendiamola bene, negligentare i propri doveri sotto pretesto di occuparsi in opere più perfette, la è grossolana illusione; e le opere che noi anteponiamo ai propri doveri, per quantunque sante esser possano in se medesime, non che tornar gradite al Signore, ci costituiscono colpevoli e degni di punizione al divin suo tribunale.

ESEMPIO.

La Russia, impero sì vasto al presente, era ancora un deserto nel iv secolo. S. Ignazio di Costantinopoli vi mandò missionari nell’870. Nel 950 fu solennemente battezzata la principessa Olga col nome di Elena, e tosto per ogni dove edificaronsi templi all’augusta Madre del Salvator del mondo. Valdimiro I nel 992 nella città da lui edificata, ed alla quale impose il proprio nome, eresse un sontuoso tempio, in cui collocò un’immagine di Maria, inviatagli da Nicolao patriarca di Costantinopoli, divenuta poi rinomatissima pei prodigi che operava. Si è alla vista di quest’immagine che Pietro il Grande pose fine alla strage degli Strelitz nel 1698. Separandosi con la scisma dalla Chiesa romana i Russi non abbandonarono già il culto di Maria. Dedicata all’Assunzione di Maria è la più bella chiesa di Mosca, la cattedrale; se ne porta processionalmente l’immagine sotto un magnifico baldacchino, ed eziandio nella casa degli infermi a loro consolazione e sollievo. Ad una porta del Kremlin è sovrapposta una prodigiosa immagine della B. Vergine guardata da due sentinelle a capo scoperto. Dinanzi a questa profondamente inchinossi Napoleone I nel 1812. – Fino alla superstizione spingono il culto di Maria i Russi. Si è per tale motivo che Mosca è considerata come una città santa, ed in essa fannosi incoronare gli imperatori.

Orazione.

O Maria, perfetto esemplare di tutte le età, di tutte le posizioni in cui possono trovarsi le persone del vostro sesso, ottenetemi la grazia che, a vostro esempio, io doni un principio di vita a tutte le mie azioni per mezzo di un’intima ed abituale unione con Dio, onde possa, all’uscir dal tempo, ricevere nell’eternità il guiderdone promesso a chi è fedele nelle piccole cose. Così sia.

OSSEQUIO.

Nelle tentazioni prendete in mano la corona e baciatela. Disgustar Maria mentre baciate il suo rosario, nol farete per fermo.

GIACULATORIA.

A Peccato mortali lìbera me, Domina.

Lungi tenete

Da questo seno

Dell’atra colpa

Il rio veleno.

351
  O Mater pietatis et misericordiæ, beatissima
Virgo Maria, ego miser et indignus peccator ad
te coniugio toto corde et affectu; et precor pietatem
tuam ut, sicut dulcissimo Filio tuo in
Cruce pendenti adstitisti, ita et mihi misero
peccatori et fidelibus omnibus sacrosanctum Filii
tui Corpus sumentibus clementer adsistere
digneris, ut tua gratia adiuti, digne ac fructuose
illud sumere valeamus. Per eumdem Christum
Dominum nostrum. Amen.
Fidelibus supra relatam o rationem ante Communionem recitantibus conceditur: Indulgentia trium annorum; Indulgentia plenaria, si quotidie per integrum mensemidem præstiterint et præterea sacramentalem confessionem, alicuius ecclesiæ vel publici oratorii visitationem
et ad mentem Summi Pontificis preces addiderint (S. Pænit.
Ap., 25 maii 1941)

VII. GIORNO.

Voto di Verginità.

Separata ed ignorata dal mondo cresceva Maria in età, in santità, in grazia all’ombra del santuario. Sempre volta dalla parte del cielo, la sua anima pura ed immacolata consumavasi già tra i casti ardori del divino amore, né altra felicità conosceva od altra gloria che la felicità e la gloria d’essere tutta di Dio. Una bocca divina non ancora aveva proclamato l’eccellenza della purità, e Maria già l’ha indovinata col suo cuore, il quale comprende ed ama tutto che è puro e santo. Gelosa quindi di riserbare per Dio solo tutti gli affetti del suo cuore, a Lui si consacra col voto di verginità. Quest’atto eroico, divenuto in seguito l’irresistibile calamita delle anime generose presuppone una prodigiosa virtù, in Maria. Difatto viva più che mai era in que’ giorni tra la nazione l’attesa del Messia; non ignoravasi che nascer doveva dalla prosapia di David; Maria erane un rampollo: qual donna avrebbe rinunziato alla seducente speranza di divenire madre dell’Aspettato dalle genti?… Maria fu più che donna; con questo voto si rese superiore agli Angeli stessi. O Vergine Immacolata! non sarà sterile tanta virtù; a te, a te sola sta riserbata la gloria che fuggi; diverrai madre del Figlio di Dio. Beate le anime dal cuor puro, esse vedranno Dio. Vedranno Dio per l’affettuosa conoscenza che egli loro comunica delle sue grandezze, delle infinite sue perfezioni, delle sue misericordie, dell’amor suo: vedranno Dio per l’attitudine ad abbracciare tutto che a Lui si riferisce, per la facilità a comprendere i misteriosi rapporti che esistono tra il Creatore e la povera creatura. Si Dio rivelasi al cuor puro, gli si manifesta, lo tratta con la dolce ed intima famigliarità di amico ad amico. Ma non obliamo che questo fiore del cielo non agevolmente si acclimata sulla nostra terra: onde conservisi, è d’uopo circondarlo di precauzioni, di sollecitudini assidue; che estrema è la sua delicatezza, e ben poca cosa è sufficiente a cagionargli la morte.

ESEMPIO.

Il Portogallo non ha solamente comune con la Spagna il territorio, ma i costumi eziandio e gli affetti religiosi, il rispetto e la divozione verso l’Immacolato Cuore di Maria. Sì profonde radici aveva piantato la religione cristiana fra questo popolo che, per molti secoli fu l’unica religione permessa: ragione per cui il sommo Pontefice Benedetto XIV concesse ai re di Portogallo l’ereditario titolo di Fedelissimo. – La divozione alla beata Vergine vigorisce tuttora, sebbene la fede abbia rimesso non poco di sua vivezza, e rari sono i Portoghesi i quali non portino lo scapolare di Maria, od una qualsiasi di Lei immagine, purché tuttavolta abbia toccato alcuna di quelle che sono riputate prodigiose. Onorasi a Cieca un’immagine denominata la B. Vergine degli sgozzati, perché, dicesi, molte persone strangolate nella guerra di Alfonso II nel 1253, portate dinanzi a quest’immagine, istantaneamente risuscitarono. – Un’altra è venerata a Villa-Viciosa, sotto il titolo di Nostra Signora della Stella; ed una terza presso Lisbona da parecchi secoli rinomatissima, appellata Nostra Signora dei lumi, presentemente visitata da innumerevoli pellegrini portoghesi e spagnoli.

Orazione.

O Vergine Immacolata, chiamata con tanta ragione da santa Chiesa, Madre senza macchia, giglio splendido di purezza e d’innocenza, pregate per me sì fragile, sì contaminato da innumerevoli colpe. Sovvengavi che vostro figlio io sono; deh! accorrete in mio soccorso nell’ora della tentazione, e della mia morte. Così sia.

OSSEQUIO.

Prostratevi dinanzi ad un immagine di Maria e pregatela a tener lontano da voi i divini castighi.

GIACULATORIA

Mater Dei, ora pro me.

Voi che di Dio

La Madre siete

Potenti suppliche

Per me porgete.

339
Memorare, o piissima Virgo Maria, non esse
auditum a sæculo, quemquam ad tua recurrentem
praæsidia, tua implorantem auxilia, tua petentem
suffragia esse derelictum. Ego tali animatus
confidentia ad te, Virgo Virginum, Mater,
curro; ad te venio; coram te gemens peccator
assisto. Noli, Mater Verbi, verba mea despicere,
sed audi propitia et exaudi. Amen.
Indulgentia trium annorum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, quotidianaorationis recitatione i n integrum mensem producta (S. C.
Indulg., 11 dec. 1846; S. Pæn. Ap., 8 sept. 1935).

VIII. GIORNO.

Annunciazione.

 Da qualche tempo Maria, per obbedire ai ministri di Dio, era uscita dal santuario, ed unitasi in matrimonio con l’artigiano Giuseppe. Ma questo sposo, puro e vergine anch’esso, non doveva essere che il custode, il protettore della verginità di Maria. Intanto suona l’ora della nostra redenzione; l’arcangelo Gabriele, ad un cenno dell’Eterno, scende dal cielo, viene a gettarsi ai piedi di Maria, e le dice: Io vi saluto, o piena di grazia; il Signore è con voi. Queste sublimi parole: Piena di grazia, atterriscono l’umiltà di Maria: ah! se Ella inquietasi per un sì rispettoso saluto, qual effetto produrrà in lei la parola del celeste messaggero con cui le domanda il consenso di divenir madre del suo Dio?- Son vergine, risponde la timida fanciulla, e vergine io vo’ rimanere. Ma al sentire che il prodigio dell’amore e della misericordia di Dio sarà in Lei l’opera dello Spirito Creatore, abbassa il capo ed esclama: Io sono l’ancella, del Signore, in me si compisca la di Lui volontà. Sì, niente meno richìedevasi che un abisso di umiltà e di delicatezza per contenere l’abisso dell’amore e dell’annientamento di quell’immensa maestà che non può essere contenuta da cosa alcuna. – Perché mai siamo noi sempre umili unicamente in parole, ed in pratica non mai! Ah! si è perché non conosciamo noi medesimi; che anzi paventiamo lo studio del nostro cuore, perché questo studio,- persuadendoci della nostra debolezza, della grandezza della nostra miseria, c’insegnerebbe ad un tempo l’umiltà; essendo impossibile conoscerci quali siamo in realtà, e conservare qualche stima per noi medesimi. – Oimè! noi siamo un nulla; abbandonati alle proprie nostre miserie, siamo impotenti a tutto; sprovvisti della grazia siamo inabili ad ogni bene, abilissimi ad offender Dio con i più deplorabili disordini, e nulla possediamo che non sia un dono della liberalità del Signore. Laonde chi non è umile commette un furto a Dio, e la più schifosa delle ingiustizie.

ESEMPIO.

La Russia divide presentemente con la Turchia il possesso dell’Armenia, vasta contrada dell’Asia occidentale che abbracciò il culto di Maria col Vangelo fin dal primo secolo della Chiesa. Nella città di Van, la più antica di tutta l’Armenia, si ravvisano ancora i venerabili avanzi d’ un celebre santuario di Maria, erettovi, dicesi, dall’apostolo s. Bartolomeo, quando vi predicò il Dio crocifìsso per la salvezza degli uomini. C’insegna una costante tradizione che veneravasi fin d’allora una prodigiosa immagine della Madre di Dio, affidata dallo stesso Apostolo alle sollecite cure di sante donne. Trovasi nell’Armenia un buon numero di antiche chiese, parecchie delle quali dedicate a Maria, che partironsi tra di loro i Greci uniti, i Greci scismatici ed i Musulmani. Generalmente parlando, fassi ognor più ardente adesso la divozione degli Armeni all’immacolato Cuore di Maria.

Orazione.

O Maria, Vergine purissima, la quale foste la più elevata delle creature, appunto perché foste la più umile, volgete uno sguardo di misericordia sopra di me così pieno di amor proprio, e fate che modellando il mio cuore sul vostro, il quale è parlante immagine di quello di Gesù, possa un giorno conseguir la mercede promessa ai dolci ed umili di cuore. Così sia.

OSSEQUIO

Baciate tre volte la terra, ripetendo a voi medesimo queste parole: Quid superbis terra, et cinis?

GIACULATORIA.

Tu nos ab hoste protege, et mortis hora suscipe.

Nell’ultima ora

Della mia vita

Imploro, o Madre,

La vostra aita.

293
Dignare me laudare te, Virgo sacrata;
Da mihi virtutem contra hostes tuos.
(ex Brev. Rom.).
Indulgentia trecentorum dierum. Indulgentia plenaria suet is conditionibus, si quotidianainvocationis recitat io in integrum mensem producta fuerit.
(S. C. Indulg., 5 apr. 1786; S. Paen. Ap., 28 mari. 1933).

IX. GIORNO.

La Maternità divina.

Erudita nelle sacre scritture, non ignorava Maria quanto caro le sarebbe costato il titolo di Madre di Dio; e che il suo Figlio avrebbe dovuto comprare a prezzo di sangue il nome di Salvatore, e quindi Ella parimenti pagare con lacrime, e lacrime ben amare il nome di Madre. Che farà Maria dinanzi a sì dolorosa prospettiva? Rassicuriamoci: il Signore ha parlato, e l’umile Vergine non sa che obbedire. Si è quindi col sentimento di profonda umiltà, e perfetta sommissione a ciò che tutto chiederà il Signore da Lei e dal suo divin Figlio, che esclama: Io sono l’ancella del Signore, in me si compisca la volontà di Lui. Chiniamo il capo dinanzi a queste parole le quali ci dipingono al naturale il Cuore della nostra Madre del cielo, l’abisso della sua umiltà, l’estensione della sua rassegnazione. Io sono l’ancella di Dio; qui accetta per sé la gloria della maternità divina, e poi più tardi accetterà per sé, per suo figlio le miserie di Betlemme, l’oscurità d’una vita laboriosa, e più tardi ancora gli strazi del Calvario. Ottenuto questo consenso da Maria, il Signore fecondò il seno verginale di Lei con l’onnipotente sua virtù, ed essa divenne vera Madre del Figlio di Dio. Non invidiamo a tanta fortuna di Maria; che per mezzo della comunione siamo noi eziandio chiamati a dividerla con Lei. La comunione ci unisce non solamente alla divinità ma all’umanità ancora dell’adorabile Salvatore; a quel sangue prezioso che pagò sul Golgota il riscatto dell’anima nostra; a quel sacro Cuore che dimostrossi così misericordioso, così sensibile alle nostre miserie. Tale unione con chi mai la contrae Iddio per mezzo della comunione? Con l’uomo: con l’uomo, essere d’un giorno, chiamato dal nulla alla vita dalla di Lui potenza; essere mortale che oggi esiste e domani non è più contato nel novero dei viventi. Approssimiamoci pertanto alla mensa degli Angeli con fede viva, con umiltà profonda, con ardente carità, con purezza di coscienza ed allora diverrà per noi il preludio dell’eterna nostra comunione nel cielo.

ESEMPIO.

Il regno d’ Inghilterra fu convertito al Vangelo nel 590 da s. Agostino, consacrato in seguito primo arcivescovo di Cantorbery. In brevissimo tempo elevaronsi per ogni dove sontuosissime chiese dedicate a D. O. M. sotto l’invocazione di Maria, e non piccol numero di monasteri e di abbadie in di Lei onore, tra cui primeggiano quelle di Glastembury, di Abingdon, di Ramsy, di York, di Westminster. Sorse eziandio un gran numero di cattedrali consacrate alla Regina degli Angeli; per la costruzione di quella di Salisbury impiegaronsi 39 anni, e ne conta poche pari in magnificenza. Una passione, oimè! non frenata nei suoi inizi, bastò a svellere dal corpo della Chiesa questo regno, chiamato per antonomasia, la terra dei Santi; la cupidigia distrusse i monasteri, l’empietà chiuse i templi, e la barbarie trucidò vescovi, sacerdoti, monaci, vergini… Siffatte conseguenze seco si trasse la brutta passione! Povera Inghilterra! In tuo favore non altro abbiamo che lacrime e voti; ma in tuo prò congiungono le loro preghiere alle nostre ed a quelle di Maria, gli Agostini, gli Anselmi, i Tommasi, gli Edoardi, gli Edmondi, e ben già se ne ravvisano i salutari effetti. Noi vediamo quel governo farsi di giorno in giorno meno ostile al cattolicismo: già si contano 926 chiese cattoliche; un cardinale creato nel 1840, 18 tra arcivescovi e vescovi, 1217 sacerdoti esercitano liberamente le loro funzioni. Un gran numero di scuole, di seminarii, di ospizi, di ospedali, la più parte affidati alla tutela di Maria, danno le più care speranze di un prossimo ritorno al seno di santa Chiesa di tutto il regno.

Orazione.

O Maria, primo tabernacolo del Verbo fatto carne, la quale riceveste con tanto amore nel santo vostro seno questo Dio annichilato, ottenetemi le disposizioni necessarie, onde fervorose sempre e meritorie siano le mie comunioni in vita, e sopra ogni altra fervorosa e santa quella che precederà la mia morte. Così sia.

OSSEQUIO.

Nel mettervi a letto figuratevi d’essere al divin tribunale, ed ascoltate ciò che vi dice la coscienza.

GIACULATORIA.

In Die judicìi libera me, Domina.

Nel giorno estremo

Giorno di pianto,

Madre copritemi

Col vostro manto.

-295-

Virgo ante partum, ora prò nobis.
Ave Maria.
Virgo in partu, ora prò nobis.
Ave Maria.
Virgo post partum, ora prò nobis.
Ave Maria.
Indulgentia trecentorum dierum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, invocationibus quotidie per integrum mensem iteratis (S. C . Indulg.,
20 maii 1893; S. Pæn. Ap., 12 oct. 1934).

X. GIORNO.

Visitazione.

Il bambino che vive nelle castissime viscere di Maria venne a portare sulla terra il sacro fuoco della carità; il suo cuore ne è la sorgente, e già lo accese nel cuore di sua Madre. Al contatto del cuore di Gesù, il cuor di Maria diviene fornace divampante di amore e di carità: questo fuoco è attivissimo epperciò la stimola, la spinge a comunicarlo ad altri cuori. Quindi alla primiera notizia che la situazione d’Elisabetta domanda le sue cure, Maria esce dalla cara sua solitudine di Nazaret, s’avvia verso le montagne della Giudea, e va a costituirsi ancella di colei alla quale ella medesima è immensamente superiore. Ma lo spirito di Maria non conosce quelle idee di preminenza, di dignità, d’autorità, e va dicendo, di che il mondo si pasce con tanta sicurezza; eh! no: più la è grande, e più è umile; né altro ravvisa in Elisabetta che una sua parente la cui avanzata età e gravidanza merita le sue attenzioni. — La carità comunica i tesori del cielo: ovunque passa, Maria semina benedizioni: alle sue parole Giovanni è santificato, Elisabetta profetizza, la casa del Levita esulta di gioia, e Maria prende parte sincera alla felicità di che è cagione. Per poco che si esaminino le parole dell’adorabile Salvatore intorno alla virtù della carità, di leggieri si scorge che questa virtù la vince sopra ogni altra agli occhi di Lui, ed è come la respirazione, la vita del suo divin cuore tutto ardente d’amore verso Dio, e degli uomini. E qual amore? ah! Betlemme, il Calvario, il tabernacolo altamente ci predicano che sì fatto amore non si contentò di parole: operò, sofferse, sacrificossi in pro nostro. Laonde non illudiamo noi medesimi; la carità che Dio esige da noi verso il prossimo esser dee una carità non teorica ma pratica, perciò disse; Tutto che FARETE al minimo dei vostri fratelli, lo considererò come fatto a me stesso.

ESEMPIO.

Fin dal IV secolo noi vediamo s. Adalberto vescovo di Gnesne, comporre inni a Maria per l’armata polacca, la quale combatteva ne’ paesi ancora infedeli della Pomerania e della Prussia. Uno di questi, le cui iniziali erano: Boga Botsica (Madre di Dio), fu per molti secoli il loro cantico guerriero. I Poloni ascrissero mai sempre a loro precipuo onore l’essere detti i figli della Chiesa Cattolica Romana, ed i servi fedelissimi della Madre di Dio, da essi chiamata la Regina del cielo e della Polonia, od eziandio semplicemente la Regina della Polonia. Ad avere un’idea caratteristica della venerazione che questo sventuratissimo regno sentiva per Maria, parmi sufficiente questo fatto. Per legge di stato era formalmente vietato l’imporre a chi che sia il nome di Maria, onde col rendersene familiare il nome, non si venisse a scemar di rispetto verso di Lei; e questa proibizione fu spinta a tal segno che Ladislao IV, impalmandosi a Maria Luigia di Nevers, nel contratto nuziale appose la clausola che la novella regina abbandonerebbe il nome di Maria, perché forse non l’avrebbero i polacchi tollerato. Indarno tentarono per lo addietro la riforma ed il sinodo russo di schiantare questo culto da quella infelice nazione; ma pur troppo! da tre anni sì feroce è la persecuzione mossale dai luogotenenti dello Czar Alessandro, sotto politici pretesti, che quasi quasi presentemente (1867) non rimane più vestigia né di polacchi, né di culto cattolico. Il cielo solo può ancora rimediare a tanto sterminio; preghiamo e speriamo!

Orazione.

O Maria, consolatrice degli afflitti, ispirate al mio cuore un grammo di quella carità che rese l’immacolato vostro Cuore così sensibile alle nostre miserie. Deh! fate che a vostro esempio, io sia pieno di misericordia, d’indulgenza, di compassione pe’ miei fratelli, e specialmente per quelli che mi offendono, o da cui ricevo qualche torto, onde conseguir possa il premio promesso alla carità. Così sia.

OSSEQUIO.

Stando in Chiesa, dite: Se io dovessi star qui in ginocchio per tutta l’eternità, oh! che disperazione. E nell’inferno! e nell’inferno!

GIACULATORIA.

A pœnis inferni libera me, Domina.

Dal cupo, orribile

Eterno esilio

Madre salvatemi

Son vostro figlio.

XI. GIORNO.

Il Magnificat.

Continuiamo ad ammirare i prodigi di che è feconda la visita di Maria ad Elisabetta. — La Vergine immacolata ascolta le lodi che le sono prodigate dalla cugina ad ispirazione di Dio; non le rifiuta queste lodi, che la vera umiltà come ama la verità così odia e detesta la menzogna. Ma il suo cuor verginale, non che ripiegarsi sopra se medesimo onde compiacersi od invanirsi della propria eccellenza, non pone mente se non ai benefizi del Signore, e trovasi talmente ricolmo da sentimenti di gratitudine e d’amore verso di Lui che, impotente a contenerli dentro se medesimo, simile a vaso troppo pieno, apresi un’uscita, e lega ai secoli avvenire il più soave cantico che vanti la novella alleanza, qual perenne monumento della sua umiltà, riconoscenza ed amore. — L’anima mia glorifica il Signore, ed il mio spirito è rapito di gioia in Dio mio Salvatore, perché guardò l’umiltà della sua ancella; ed ecco che tutte le generazioni mi diranno beata ecc. – E questo inno di paradiso è cantato da Maria a nome di tutti i beneficati dal Signore, di tutti i redenti del Calvario. Ad esempio di Maria, siamo noi riconoscenti ai benefici di Dio? La ricordanza della liberalità di questo Dio, il quale è per noi il Padre più tenero ed il benefattore più generoso, accende per avventura ne’ nostri cuori un profondo sentimento di gratitudine e d’amore? Oimè! l’abitudine di ricevere i benefici dal nostro Dio ci rese insensibili, e ce ne serviamo senza neanco benedire alla mano che sopra di noi li sparge; non ne conosciamo il prezzo se non allorché ne siamo privi; e le nostre labbra che apronsi così spesse fiate onde implorare novelli favori, ignorano poi la via d’aprirsi allorché è d’uopo renderne grazie a Colui dal quale scende ogni dono perfetto. Oh! Perché mai non arrossiamo di comparir ingrati verso Dio, noi i quali arrossiamo di comparir ingrati verso gli uomini?

ESEMPIO.

Sebbene fin dal II secolo, e poi nuovamente nel VI fosse predicato il Vangelo nella Baviera da s. Roberto, possiam dire tuttavolta che la Religione Cattolica, col culto della Madre di Dio, non divenne la religione dominante che nel 755, in cui s. Bonifazio vescovo di Metz e di Magonza fondò l’arcivescovado di Eichstadt. Ottone I pose tutti i suoi stati sotto il patrocinio di Maria. Alla metà del secolo XVIII noveravansi nella Baviera 315 case religiose, tutte dedicate al culto della B. Vergine, e la più parte occupate nell’educazione della gioventù. Ad Alten-Oelting è venerata una prodigiosa statua, celebre per innumerevoli pellegrinaggi che vi si fanno. Frequentatissima da ogni ceto di persone è l’immagine della B. Vergine al monastero della Visitazione in Oggersheim. La festa della Natività solennizzata nella chiesa della santa Casa di Loreto, vi radunò nel 1845, oltre a dodici mila fedeli, di cui otto mila accostaronsi ai Sacramenti, A Munich, in una cappella attigua al convento de’ Cappuccini, si scorge la più gran venerazione a Maria V. Addolorata. La cattedrale di Passau, dedicata alla Annunziazione di Maria, vi trae ogni anno un considerevole numero di pellegrini, e Maria Annunziata li rinvia consolati, paghi nei loro voti.

Orazione.

O Maria, perfetto modello di gratitudine, non permettete che la sconoscenza agghiacci il mio cuore; ma prestatemi il vostro per benedire al Signore di tutti i beni spirituali e temporali a me prodigati, onde la mia vita divenga un continuo ringraziamento, e quest’inno di benedizione, di laude cominciato nel tempo, possa continuarlo perennemente nell’eternità. Così sia.

OSSEQUIO.

Risolvetevi ad una pratica di divozione a Maria da farsi ogni giorno affinché vi liberi dall’inferno.

GIACULATORIA.

Gratias tibi, Virgo, quia non ardeo.

Se tra le eterne

Fiamme non sono,

Vergine eccelsa

Fu vostro dono.

320
Magnificat anima mea Dominum: Et exsultavit spiritus meus in Deo salutari
Quia respexit humilitatem ancillæ suæ: ecce
enim ex hoc beatam me dicent omnes generationes.
Quia fecit mihi magna qui potens est: et sanctum
nomen eius.
Et misericordia eius a progenie in progenies
timentibus eum. Fecit potentiam in brachio suo: dispersit superbos mente
cordis sui.
Deposuit potentes de sede, et exaltavit humiles inanes. Esurientes implevit bonis: et dìvites dimisit inanes.
Suscepit Suscepit Israel puerum suum, recordatus misericordiæ
suæ. Sicut locutus est ad patres nostros, Abraham
et semini eius in sæcula.
(Luc., I , 46).
Indulgentia trium annorum.
Indulgentia quinque annorum, si canticum in festo Visitationis B. M. V. vel quolibet anni sabbato recitatum fuerit.
Indulgentia plenaria suetis conditionibus, cantico quotidie
per integrum mensem pie recitato (S. C. Indulg.
20 sept. 1879 et 22 febr. 1888; S. Pæn. Ap., 18 febr.
1936 et 12 apr. 1940).

XII. GIORNO.

Ritorno di Maria in Nazaret.

Come tutti gli sventurati figli di Adamo, e più di tutti Maria doveva essere provata al crogiuolo della tribolazione; conciossiachè predestinata dal Signore ad immensa gloria esser doveva predestinata eziandio ad immensi dolori. Non ci rivela l’Evangelo se Maria fosse ancora presso la cognata al tempo della nascita del santo precursore; certa cosa è tuttavolta che fu mai sempre guidata dal Santo Spirito in ogni sua operazione. Rientrata nell’oscurità di Nazaret, per le necessarie domestiche relazioni s’avvede il casto suo sposo della gravidanza di lei. Quale sconforto per Giuseppe! Che pensa? a che si risolve? Reputeralla colpevole? Oh! no; troppo santa è Maria, e troppa venerazione ispira…. eppure non si può ignorare che Ella è divenuta madre. — Sospende adunque ogni giudizio, ed appigliasi al partito di celatamente allontanarsi da lei; preferendo in sì fatta guisa esporsi al biasimo ed al disprezzo che ne saranno la conseguenza, piuttostochè diffamare la Vergine Immacolata con l’accusarla d’infedeltà al cospetto di tutta la nazione. Maria legge sul volto dello sposo tanta tristezza: con una sola parola potrebbe ridonargli la pace; ma questa parola formerebbe la sua gloria, e l’umile Maria non la pronunzia. – Se il silenzio di Maria è il modello delle anime bersagliate dai falsi giudizi e dalla calunnia, la moderazione di Giuseppe in sì delicato frangente è la condanna delle anime corrive nei giudizi temerari. Non giudicate, e non sarete giudicati: chi pronunziò questo comando e questa promessa si è quel Giudice sovrano ed infinitamente giusto cui avremo un giorno a rendere ragione dal più grave delitto al più intimo palpito del cuore. E noi non ignoriamo neanco che il Vangelo è l’unico codice che verrà da Lui consultato onde profferire inappellabile sentenza; e che allora la misericordia cederà il luogo alla giustizia. Or bene; fu per avventura così santa la nostra vita che nulla ci resti a temere da un giudizio il cui pensiero incuteva terrore ai più gran santi?…

ESEMPIO.

La Lapponia dividesi in russa e svedese. Cristiani sono i Lapponi, ma la lor religione trovasi in generale, sfigurata da assurdissime superstizioni. Le sole religiose idee rette da essi conservate, riguardano il mistero dell’Incarnazione, ed il culto della Santa Vergine, epperciò professano un esemplare rispetto alla croce di Gesù ed alle immagini di Maria. Incerta è l’epoca della loro conversione al cristianesimo. I più accreditati autori la fissano circa l’842, tempo in cui l’apostolo del Settentrione, s. Anscario, evangelizzò la Lapponia, l’Islanda e la Groenlandia. – Un celebre tempio dedicato a Maria, fu eretto nel 1030 a Wardenhuns.

Orazione.

Oimè! colpevole e pieno di miserie, o tenera Madre mia, giudico i miei fratelli con una severità che dovrei riservare per me solo, e riservo per me un’indulgenza che dovrei unicamente usare verso i miei fratelli. Deh! Insegnatemi a conoscere me stesso affinché vivendo nell’umiltà, eserciti la sincera carità. Così sia.

OSSEQUIO.

Fate una visita a Maria onde per voi ringrazi il divin Figlio dei benefici che vi ha fatto, e vi perdoni l’ingratitudine vostra.

GIACULATORIA.

Vita, dulcedo, spes nostra, salve.

Vita dolcissima,

Speranza mia

Salve purissima

Vergin Maria.

-276-

Christe, qui Mariæ et Ioseph
subditus, domesticam vitam ineffabilibus virtutibus
consecrasti: fac nos, utriusque ausilio,
Familiae sanctae tuæ exemplis instrui et consortium
consequi sempiternum: Qui vivis et
regnas in sæcula sæculorum. Amen (ex Missali Rom.).
Indulgentia quinque annorum.
Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo
orationis recitatio, quotidie devote peracta, in integrum
mens’em producta fuerit (S. Pæn. Ap., 3 sept. 1936).

XIII. GIORNO.

Viaggio a Betlemme.

Era scritto che il Messia doveva nascere a Betlemme. Nascosta nell’umile sua dimora Maria attendeva con profonda pace quel giorno benedetto tanto sospirato dai patriarchi e dai profeti, quando sente da Giuseppe essere necessario recarsi seco lui a Betlemme pel censimento prescritto dall’imperatore romano, essendo ambedue della famiglia di David. In tal guisa il Signore fa servire all’esecuzione de’ disegni suoi la politica ed i capricci degli uomini. Ecco Maria portata da umile cavalcatura, guidata dal santo suo sposo, dirigersi alla volta della città reale. Arrivata alle porte di Betlemme, fa sosta la povera carovana, e Giuseppe s’inoltra a cercar un asilo; ma tutti gli alberghi sono ingombri d’illustri viaggiatori, di doviziose famiglie…, non v’ha ricetto pel povero artigiano. Ei ritorna a Maria e le annunzia l’amaro disinganno; e Maria abbassa il capo e adorando la volontà di Dio, risponde: Fiat. – Una donna commossa a tal vista, loro addita una grotta deserta non lungi dalla città in mezzo alla campagna. O Figlia di David, o Madre dell’Altissimo, ecco la vostra reggia! Vi entra Maria, e volgendo intorno intorno lo sguardo sopra le umide e povere pareti, ripete una seconda volta Fiat. – La povertà preparò la culla al Dio fatto carne, lo accolse al suo ingresso nel mondo, lo seguì sulla terra d’esilio, con Lui fe’ ritorno dall’Egitto in Nazaret, ormeggiò tutti i suoi passi nella privata e pubblica sua vita; Ella ancora lo accompagnò al Calvario, seco Lui ascese il sanguinoso trono della croce; Ella infine gli preparò l’ultimo suo letto. Dopo sì fatti esempi oh! come consolanti, come belle sulle labbra dell’Uomo-Dio risuonano quelle parole che beatificano la povertà, e la fanno sedere sul trono della felicità e della gloria: Beati i poveri di spirito, ché ad essi appartiene il regno de’ cieli. Tutti i santi ottimamente compresero la morale del divino Maestro, e ne fecero lo studio e la pratica di tutta la loro vita; e noi l’abbiamo in orrore, e diciamo col fatto: Beati i ricchi, e pretendiamo salvarci!..

ESEMPIO.

Il culto a Maria venne introdotto in Italia col Vangelo fin dal primo secolo della Chiesa, e rapidissima ne fu la propagazione, malgrado le persecuzioni degli imperatori pagani, e le irruzioni de’ barbari, nemici non meno accaniti della Cattolica Religione, e sempre puro si mantenne come s’addice alla contrada, nel cui centro ha sede il Vicario dell’Uomo-Dio. Impossibile riesce il far menzione dei mille luoghi ove si venerano prodigiose immagini di Maria. Roma sola conta oltre a cinquanta chiese a lei dedicate, e quattordici Napoli. Se questa adesso sì sventurata nazione, può andar superba per l’amore di preferenza dimostratole dal Signore nel costituirla il centro della cattolicità, non può forse andar parimente superba per l’amore di preferenza dimostratole da Maria che in essa volle prodigiosamente trasferita la casa di Nazaret, santificata dalla sua presenza, e da quella del Salvator del mondo? – Onorasi a Torino la B. Vergine della Consolata, a Pisa la Madonna della Spina, a Firenze la Madonna del Popolo, a Mantova la Madonna delle Grazie, a Capotena quella del Rosario, a Carlo-Forte quella della Concezione, a Spoleto quella del Carmine, senza parlare di quasi innumerevoli santuari posti sulla vetta o tra le gole delle più dirupate montagne. Il Tirolo, la Stiria, hanno le case e le vie adorne tutte dell’immagine di Maria.

Orazione.

O Maria, la quale foste veramente povera di spirito e di cuore, ottenetemi stima ed amore alla povertà; fate che, a vostro esempio, io cerchi innanzi tutto il regno di Dio e la sua giustizia, convinto che si avvererà in tal guisa la promessa del vostro divin Figlio, e che tutto il resto mi sarà donato per soprassello. Così sia.

OSSEQUIO.

Ovunque vi troviate, esercitate una particolare modestia in riparazione degli scandali dati al vostro prossimo.

GIACULATORIA.

A delictis meìs munda me, et ab alienis parce servo tuo.

Vorrei perdono

De’ falli miei

De’ falli altrui

Perdon vorrei.

308
Recordare, Virgo Mater Dei, dum steteris in
conspectu Domini, ut loquaris prò nobis bona,
et ut avertat indignationem suam a nobis (ex
Missali Rom.).
Indulgentia trecentorum dierum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si quotidie perintegrum mensem  invocatio pie recitata fuerit (S. Pæn.
Ap., 22 nov. 1934).

XIV. GIORNO.

Maria al presepio.

Entrata nell’umile tugurio obliò ben tosto la Vergine Immacolata e le fatiche del viaggio e la durezza dei betleemiti, e la terra e tutte le cose della terra, per non occuparsi che del Dio il quale faceale presentire imminente il suo ingresso nel mondo per mezzo d’estasi d’amore sconosciute ai serafini stessi. Ed è frammezzo a quest’estasi di paradiso, che il Dio Bambino uscì dal seno verginale di Maria senza danno alcuno all’integrità di Lei, come il raggio del sole attraversa limpido cristallo senza alterarne benché menomamente la purezza. Il primo vagito dell’adorabile bambino fe’ rientrare in se medesima la Vergine Madre: tremante d’emozione e di gioia contemplò Maria con religioso spavento per qualche istante il Verbo fatto carne: poi prendendolo tra le braccia, lo serrò contro il cuore, lo bagnò di lacrime, adorollo come suo Dio, baciollo come suo figlio. – Oh! chi ci dirà i sentimenti del cuor di Maria in quell’ora avventurata, allorché l’amor di Dio e l’amor materno formarono nel suo cuore un solo amore, e l’inondarono di castissime voluttà? Chi varrà a dipingerci i trasporti d’amore che fece nascere nel cuor di Maria la prima occhiata di Gesù, il primo vagito di Gesù, la prima lacrima di Gesù? Ah! non è dato alla debolezza nostra lo scandagliare questo abisso. Contemplare, adorare Gesù tra le braccia della Vergine-Madre, quale ventura! Ma non possiamo forse visitare Gesù, adorarlo in annichilamenti più profondi ancora, gli annichilamenti dell’Eucaristia? È forse meno amabile nel tabernacolo che nel presepio? meno prodigo di sue grazie? – Il tabernacolo! ah! ecco il centro della luce ove illuminaronsi le intelligenze più prodigiose; la fornace ove si accesero i cuori i più ardenti, la scuola ove si apprese la virtù dei sacrifici i più eroici, la sorgente di acqua viva a cui si attinsero le consolazioni più pure. Eppure per quanti cristiani il Dio del tabernacolo, come il Dio del presepio, è un Dio straniero, un Dio sconosciuto! Ci troviamo noi forse nel novero di questi sconoscenti ed infelici cristiani?….

ESEMPIO.

Antico quanto il Cristianesimo, è nella Corsica il culto della SS. Tergine; vi predicarono l’Apostolo s. Paolo ed i discepoli di san Pietro. La più parte delle cattedrali di quest’isola ricordano un mistero della vita di Maria; l’Assunzione quella di Nebbio, edificata nel VII secolo, e quella di Mariana; l’Annunziazione quella di Corte, e tutti gli altri misteri le numerosissime cappelle di che trovansi seminati i dintorni di Bastia, la cui cattedrale si appella Maria- la- Santa. Fioriscono le associazioni del Rosario, dell’Annunziazione, della Natività, ecc.; quasi tutte le feste di Maria vi sono celebrate coll’ottava. Il più celebre degli oratori è quello di Lavasina sulla spiaggia marittima: malgrado la corruzione de’ nostri giorni, da tutti i punti d’Italia vi accorrono devoti i pellegrini d’ogni età e condizione tra li 8-16 settembre a sciogliere i voti fatti nel corso dell’anno. Nel 1730 (30 gennaio) in generale adunanza riuniti i Corsi elessero Maria per loro sovrana, ed ordinarono che, sull’esergo delle monete corse, venisse inciso: Monstra te esse matrem.

Orazione.

O Maria! la quale foste il sacro altare su cui riposò le tante volte il Verbo incarnato; deh! fate che io trovi le mie delizie nel tenermi ai suoi piedi nel sacramento dell’amor suo, onde, dopo averlo senza interruzione corteggiato nel tempo, venga annoverato tra i suoi adoratori ancora nel gran giorno dell’eternità. Così sia.

OSSEQUIO.

In qualsivoglia luogo v’incontriate in un’immagine di Maria, salutatela col recitare l’Ave Maria, vincendo ogni rispetto umano.

GIACULATORIA.

Sancta Maria, Mater Dei, ora prò nóbis peccatoribus.

Per tutti ì rei,

Pregate Iddio:

Son reo pur troppo,

O Madre anch’io.

311
Benedicta es Tu, Virgo Maria, a Domino Deo
excelso, præ omnibus mulieribus super terram
(ex Missali Rom.).
Indulgentia trecentorum dierum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, prece iaculatoria quotidie per i ntegrum mensem pie repetita (S. Pænit. Ap., 20 maii 1936).

XV. GIORNO.

Purificazione.

Nella stessa guisa che il sole vibrando i suoi raggi sui fiori non fa che renderne più splendido il colore, più soave l’olezzo, così la nascita di Gesù lungi dal nuocere alla purezza della Vergine-Madre, accresciuta aveala ed adorna di novello fulgore. Laonde per lei non vigorisce la legge della purificazione, né pel suo figlio concepito per opera dello Spirito Santo, figlio unico dell’eterno Padre, è vero: ma, e come potrà non sottomettersi a questa legge, Maria, la quale vide il Figlio di Dio sottomettersi alla legge promulgata pei peccatori, la legge della circoncisione? Dolorosissimo oltre ogni dire fu per la povera Madre questo sacrifizio: non già perché rapisse a Lei dinanzi agli uomini la sua più bella qualità, quella di Vergine incontaminata, figuratevi! Maria non cercava che di nascondere la propria gloria: ma in qual modo velare la gloria di quel desso che Ella così ardentemente bramava di vedere adorato, conosciuto, glorificato da tutte le creature? Presentare al suo popolo come un ordinario bambino l’aspettato della nazione, il promesso dai profeti, il Dio che scendeva a vivere con l’uomo, salvarlo, riaprirgli il cielo? Vani discorsi! Maria allora soltanto si stima avventurata che le è dato glorificare la Maestà sovrana con l’umile ubbidienza alle sue leggi. – Quest’ammirabile ubbidienza di Maria come altamente condanna le continue nostre infrazioni delle leggi di Chiesa santa, ed i mendicati pretesti onde esimerci dall’osservarla! Oh! guai a quei figli ingrati i quali ribellansi alla loro Madre, la deprezzano, contristano il cuore di lei, l’oltraggiano; perché, vano l’illudersi! non è la Chiesa solamente che essi offendono, sebbene Dio stesso. Non limitiamoci tuttavolta ad amarla e rispettarla, con l’umile sommissione alle sue leggi, ma facciamola amare e rispettare dagli altri ancora col prenderne la difesa contro i suoi nemici: Non curiamo i loro sarcasmi; che anzi andiamone superbi; che i sarcasmi e gli insulti tollerati per la nostra fede, diverranno un giorno i nostri titoli di gloria dinanzi a Dio.

ESEMPIO.

Come la Lapponia, così tutte le altre regioni del Nord furono evangelizzate dall’apostolo del settentrione, S. Anscario. Sventuratamente, per mancanza di cristiana istruzione, il culto di Gesù e di Maria trovossi adulterato ben presto da innumerevoli superstizioni. Nel XVI secolo i Danesi, i Norvegesi e gli Svedesi abbracciarono gli errori di Lutero e di Calvino. Una parte ciò non ostante non disprezzabile professa ancora la Religione Romana, e nutre fervida divozione a Maria. Le preghiere che, mercé gli scritti dello svedese P. Stub barnabita, da ogni parte del mondo cattolico salgono a Dio in pro di queste settentrionali regioni, già cominciano a produrre sensibile effetto. In Isvezia con la religione rialzasi visibilmente il culto di Maria. Monsig. Studach vicario apostolico a Stockolm, consacrò (16 settembre 1837) una chiesa a Dio sotto l’invocazione di Maria; e due anni dopo, nella chiesa di s. Eugenia, eresse canonicamente la compagnia dell’immacolato Cuore di Maria. Confidiamo che si degnerà il Signore di esaudire pienamente le nostre preghiere.

Orazione.

O Maria che mi deste un sì prodigioso esempio di ubbidienza alle leggi di Dio e della Chiesa, ottenetemi quella perfetta sommissione che ha sua sorgente nell’amor di Dio. Vegliate eziandio sull’amatissimo pontefice Pio IX, consolatelo, tergete le sue lacrime col ricondurre ai suoi piedi tante anime infelici che l’abbeverano di amarezza, ed infliggono sul paterno suo cuore dolorosissime ferite. Così sia.

OSSEQUIO.

Se tra i vostri libri, o scritti, od immagini possedete alcun che di meno decente, consegnatelo tosto alle fiamme ad onor di Maria.

GIACULATORIA.

Janua cœli, ora prò nobis.

Per queste a voi

Alme fedeli,

Pregate, o lucida

Porta de’ cieli.

312
Regina mundi dignissima, Maria Virgo perpetua,
intercede prò nostra pace et salute, quæ
genuisti Christum Dominum Salvatorem omnium
(ex Missali Rom.).
Indulgentia trecentorum dierum. Indulgentia plenaria  suetis conditionibus, dummodoquotidie per integrum mensem invocatio devote iterata fuerit (S. Pæn. Ap., 10 oct. 1936).

XVI. GIORNO.

Vaticinio di Simeone:

Non solamente per osservare la legge della purificazione venne la Vergine-Madre al tempio, ma eziandio onde deporre sull’altare del Signore l’innocente Vittima delle prevaricazioni di tutti i discendenti del primo fra i colpevoli. In questo mentre, eccoti il vecchio Simeone, guidato dal Santo Spirito al tempio, approssimarsi a Maria, tendere le braccia al divin bambino, adorarlo profondamente, e poi, premendolo amorosamente al cuore, esclamare « I miei occhi videro la salute, or muoio in pace. » Vestendo quindi mestissimo aspetto volge fatidica parola a Maria « Ecco che è posto in ruina ed in risurrezione di molti in Israello; e come segno di contradizione; ed una spada trapasserà l’anima tua » Ben comprese la povera Madre tutto il senso di quelle parole: comprese che il suo Gesù sarebbe quella spada, vale a dire che i suoi dolori formerebbero una piaga sì fatta nel materno suo cuore che, apertavi in quell’istante medesimo, doveva ad ogni giorno, ad ogni ora del giorno, farsi più crudele, più profonda, più lacerante, né più rimarginarsi che sulla soglia del cielo. E tutta volta nella veemenza dell’afflizione, non sa Maria che adorare la volontà del Signore, e pienamente abbandonarsi agli imperscrutabili suoi disegni. Rendiamoci capaci di questa importantissima verità; cioè che il Signore non domanda da noi strepitose azioni, ma la perfetta sommissione della nostra volontà alla sua. Ecco il più gran segno d’amore che sia in nostra mano di dargli, non meno che la più sicura, la più agevole via onde giungere alla più alta perfezione. Facendo la volontà nostra noi bene spesso ci diamo a credere di gradire a Dio, e non soddisfiamo che il nostro amor proprio: laddove sottomettendo la nostra volontà a quella di Dio, per quanto penosa la esser ci sembri, certa cosa è tuttavia che noi soffriamo ma Dio è contento; ed a misura che perfetta è la nostra sommissione, più abbondante farassi la pace nel nostro cuore, e più copiosi saranno i meriti che ci acquisteremo pel cielo.

ESEMPIO.

L’Olanda, regno dopo il 1814, ebbe i suoi apostoli fino dal II secolo: sant’Egisto e san Materno con la fede propagarono il culto di Maria nella Frisia: san Siagrio e san Superiore fra i Batavi. In breve tempo, mercé lo zelo di questi santi, a Tourges, Haarlem, Maestricht, Loeuwarden, Groeninga, Arnhem, ecc. elevaronsi magnifici santuari, ove inneggiavasi a Dio ed alla perfezione dell’immacolato Cuor di Maria. S. Willibrord, primo vescovo di Utrecht, vi edificò una chiesa all’augusta Madre di Dio, mentre altrettanto facevano nella Frisia, s. Bonifazio, e nella Campignia s. Lamberto. Gli errori di Lutero e Calvino penetrarono nell’Olanda nel 1566, e vi fecero pur troppo, orribili guasti; presentemente tutto dà a sperare un non lontano ritorno in grembo alla Chiesa Cattolica. Qualche anno fa, venne ridonato ai cattolici l’antico tempio di Maria, il quale era stato ridotto ad arsenale. Nuovo passo che dà nella divozione verso la B. Vergine, questa contrada.

Orazione.

O Maria, perfetto esemplare di sommissione alla volontà divina, fate che in mezzo alle mie afflizioni, io non dimentichi mai che il Signore non vuole se non quello che è proficuo all’anima mia; e che la mano con cui mi flagella, è mano di amorosissimo padre. Frenate le mie mormorazioni, ed insegnatemi a benedire a quel Desso la cui volontà è sempre piena per me di sapienza, di misericordia, d’amore. Così sia.

OSSEQUIO.

Se mai vi siete raffreddato nella divozione a Maria, fate di riprendere tosto il primiero fervore.

GIACULATORIA.

Et tràhe me, post te, Santa Mater.

Siatemi fulgida

Propizia stella,

Con voi traetemi

Vergine bella.

314
Ora prò nobis, sancta Dei Genitrix, ut digni
efficiamur promissionibus Christi (ex Brev. Rom.).
Indulgentia trecentorum dierum. Indulgentia plenaria, su etis conditionibus, quotidiana invocationis recitatione per integrum mensem producta (S. Pæn. Ap., 15 dec. 1940).

XVII. GIORNO.

Fuga in Egitto.

Il vaticinio di Simeone non tardò ad avere il suo principio, l’angelo del Signore comparisce a Giuseppe nel sonno e « su, gli dice, alzati, prendi il fanciullo e la madre di Lui, fuggi in Egitto, che Erode cerca a morte il bambino. » Oh! chi non si sente commosso da tenera compassione nel contemplare la Vergine-Madre tremante per la vita del suo divin Figlio, toglierlo dalla culla, stringerselo amorosamente al seno, e, senza permettersi un sol lamento, avviarsi tra le tenebre della notte, senz’altra guida e compagnia che il suo sposo Giuseppe, verso la terra d’esilio? Che non dovette soffrire per anco quest’augusta Trinità della terra, nell’attraversare l’immenso deserto che separa l’Egitto dalla Palestina, senz’altra risorsa per sì lungo cammino che la fiducia in Dio? E poi, giunti i santi esiliati al termine del loro viaggio, non giunsero tuttavolta al termine delle loro pene. In Egitto più ancora che a Betlemme ed a Nazaret, la povertà con tutte le sue privazioni ed umiliazioni, stette indivisa compagna ai loro fianchi. Ma tutte queste prove, tutti questi dolori erano da Dio voluti, e l’umile Vergine, sempre uguale a se stessa, li sopporta in silenzio, con inalterabile pazienza, con perfetta rassegnazione. – Se il Signore volle che Maria prendesse sì gran parte ai dolori umani, non è forse per rendere noi persuasi che la croce è il vero sigillo de’ predestinati? E dall’ora in cui l’Uomo-Dio, barcollante sotto l’enorme peso della croce, guadagnò la vetta del Golgotha, e confitto consumò il sanguinoso suo sacrificio, questa croce sì è fatta non la speranza soltanto de’ discepoli suoi, sivveramente l’eredità loro. Qui non v’ha eccezione: come la morte, così la croce, raggiunge tutte le classi della società, il dovizioso ed il mendico, il vecchio ed il giovane, a tutti Gesù distribuisce alcuna delle spine del doloroso suo diadema, ed a tutti fa sentire: « Colui che vuol essere mio discepolo, rinunzi a se medesimo, tolgasi la sua croce sulle spalle, e mi segua. »

ESEMPIO.

La Grecia, celebre contrada meridionale dell’Europa, fu per la massima parte evangelizzata dall’apostolo s. Paolo, e fervido ognora si mantenne il culto di Maria. Non vi ha forse altro paese così fecondo in ritrovati onde alimentare questo culto; Maria è invocata sotto differenti titoli: vien chiamata Nostra Signora delle Grazie, dei Dolori, della Misericordia, dell’Immenso. Consolatrice, Stella del mattino, Nostra Signora la Vergine-Madre, Nostra Signora Madre di Dio, ecc. ; è rappresentata sotto graziosissimi simboli: di regina in atto di proteggere il suo popolo, di ricca dama in atto di largire copiose limosine, o di medicar infermi, soccorrere afflitti, ricoverare mendici, come stella che rischiara la tenebria del mare ai naviganti: come vascello immobile al rompere delle tempeste: come incrollabile fortezza contro nemici assalti; come porta che mette in cielo, ecc. – La si nomina Panagia, la tutta-Santa, Evangelistria, apportatrice di fauste novelle, Nicopeia, trionfatrice, Phaneromena, rivelatrice di cose salutari, Hodegetria, guida conduttrice, Achatista, preservatrice, ecc. Atene, Megara, Vonitza, Gordiani, ecc.; le isole di Tino, di Delos, di Santorini, vantano superbi santuari di Maria, ne’ quali i Greci scismatici, confusi coi cattolici, implorano il soccorso della Vergine-Madre, ne celebrano i prodigi, e vi cantano inni di grazie.

Orazione.

O Maria, chiamata a sì giusto titolo Madre del dolore, e che conosceste tutte le amarezze della vita, ottenetemi la grazia di accettare ognora in spirito di penitenza le croci cui piacerà al Signore di addossarmi, e di santificarle per mezzo della pazienza e della rassegnazione, onde tutte rivolgansi in meriti dinanzi a Dio, e mi ottengano il premio promesso ai tribolati. Cosi sia.

OSSEQUIO.

Recitate la corona ad onore di Maria, e, se vi è possibile, invitate altri a tenervi compagnia.

GIACULATORIA.

Mater amabilis, ora prò nobis.

O Luce amabile

Degli occhi nostri

Porgete suppliche

Pei figli vostri.

315
Sancta  Maria, Dei Genitrix Virgo, intercede prò me.
Indulgentia trecentorum dierum. Indulgentia plenaria, suetis conditionibus, dummodoquotidie per integrum  mensem invocatio devote iterata fuerit (S. Pæn. Ap., 25 febr. 1941).

XVIII. GIORNO.

Amor di Maria verso Gesù.

Onde spiegare qual sia stato l’amor di Maria verso il suo divin Figlio, sarebbe necessaria non la lingua di un Angelo solamente ma il di Lei cuore: basta dire che quest’amore fu una derivazione dell’amor di Dio pel suo Verbo nel cuor di Maria; cuore creato da Lui appositamente per amare Gesù, ed amarlo senza divisione d’affetti. Quest’amore comunicato a torrenti nel cuor della Vergine-Madre dal Santo Spirito nel momento che discese onde fecondare le castissime viscere di Lei, andava ognora più divampando ad ogni sguardo, ad ogni parola, ad ogni carezza che da Gesù riceveva. Arroge che Maria poteva tranquillamente concentrare nel suo Figlio tutta la tenerezza dell’anima sua, tutti gli affetti del suo cuore, perché, in amando il più bello ed il più amabile de’ figli degli uomini, amava il suo Dio. Né sterile già ed ozioso dimorava tanto amore nel cuore di Maria, figuratevi! ei manifestavasi nelle sollecitudini, nella vigilanza con che provvedeva a tutti i bisogni di Lui, e risparmiavagli tutti i patimenti possibili: e queste cure prodigate da Maria verso Gesù con religiosa premura, con profonda umiltà, con illimitata tenerezza divenivano per quell’immacolato cuore gioie ognor novelle, ed alimento ognor novello a più acceso amore. – Nel meditare sull’amor di Maria verso Gesù, la confusione ed il rossore s’impadroniscono come naturalmente dell’anima nostra; vediamo tuttavolta che non nasca in noi scoraggiamento di sorta, sebbene un vivo desiderio di emularlo, quanto sia possibile alla fralezza nostra. Oh! Come passarcela senza Gesù il quale è l’unico nostro padre, fratello, amico, benefattore, tesoro? E se non possiamo far senza di Lui nel corso di nostra vita, che dire del momento di nostra morte? Chi di noi vuol morire senza Gesù, senza appoggiarsi sul cuore di Lui, senza gettar l’àncora delle proprie speranze sulla di Lui bontà infinita? E poi; allorché cangerà la sua qualità di Salvatore in quella di giudice nostro, come non ci riputeremo avventurati d’averlo amato in vita!….

ESEMPIO.

Il regno di Francia, da pochi anni impero, da XIV secoli per lo meno, a nessun altro cattolico paese della terra va secondo nel culto all’immacolato Cuor di Maria. S. Clotilde invocò il patrocinio di Maria, e Clodoveo, riportata una compiuta vittoria sui Germani a Tolbiac nell’anno 496, mantenne la sua promessa, ricevette il battesimo, e divenne zelantissimo dell’onor di Maria. Non è possibile nei stretti limiti di un esempio, diffondermi come sembra richiedere il soggetto; tuttavolta, a dare una sufficiente nozione, basta l’accennare che la Francia nelle sue ottanta diocesi, addita con santa alterigia, quaranta cattedrali che portano il nome dell’augusta Madre di Dio, e cinquanta mila oratorii, ove Maria dimostrasi la consolatrice degli afflitti. I suoi Sovrani da Clodoveo al regnante imperatore, moltissimi dei quali riposero tutta la loro gloria nel dimostrarsi degni del titolo di re Cristianissimi, precedettero con l’esempio i loro sudditi nella devozione e nell’amor di Maria. Questa terra di Maria difese con zelo e perseveranza l’onore dell’Immacolata Concezione: primiera dopo Roma, adottò la divozione del mese di maggio; diede il primo slancio a quella dei sacri Cuori di Gesù e di Maria, e conta migliaia di associazioni in di Lei onore. — O figlia primogenita della Chiesa, tergi, è tempo, le lunghe lagrime dell’amatissimo Pontefice, l’immortale Pio IX! Il Signore in tua mano ha posto i mezzi…. paventa che non ti stimi più degna di tanto onore, e scelga un’altra nazione per frangere le molte catene da che è cinta l’Immacolata sua sposa, e far cessare gli assalti con che tentano stoltamente di abbatterla gli arditi nemici suoi, nemici dell’altare come del trono!

Orazione.

O Maria, madre del bell’amore, insegnate alla povera anima mia la scienza del divino amore: insegnatemi ad amar Gesù con le opere, e non unicamente con le parole, ad amarlo costantemente tra le consolazioni come tra le croci, nella sanità come nelle malattie, onde l’estremo mio respiro sia ancora un atto d’amore per Lui, e di fiducia nella sua misericordia. Così sia.

OSSEQUIO.

Prima d’ogni azione ed in specie tra le tentazioni ripetete tra voi medesimo: Dio mi vede!

GIACULATORIA.

Illos tuos misericordes oculos ad nos converte.

A noi volgete

O Madre, quelle

Vostre pietose

Tenere stelle

321
Ave maris stella,
Dei Mater alma,
Atque semper Virgo,
Felix cœli porta.
Sumens illud Ave
Gabrielis ore,
Funda nos in pace
Mutans Hevæ nomen.
Solve vincla reis,
Profer lumen cæcis,
Mala nostra pelle,
Bona cuncta posce.
Monstra te esse matrem,
Sumat per te preces
Qui prò nobis natus
Tulit esse tuus.
Virgo singularis,
Inter omnes mitis,
Nos culpis solutos
Mites fac et castos.
Vitam præsta puram,
Iter para tutum,
Ut videntes Iesum
Semper collaetemur.
Sit laus Deo Patri,
Summo Christo decus,
Spiritui Sancto,
Tribus honor unus. Amen.
(ex Brev. Rom.).
Indulgentia trium annorum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo pia hymni recitatio, quotidie peracta, in integrum mensem
producta fuerit (S. C. Indulg., 27 ian. 1888; S. Pæn.27 mart. 1935).

XIX. GIORNO

Vita nascosta.

La vita di Maria in Nazaret, dopo il ritorno dall’Egitto, nulla, in apparenza, aveva di straordinario. Non scorgevasi in Lei che un’umile e povera donna, modesta, calma, silenziosa, onninamente occupata nelle sue domestiche faccende, ne’ lavori adatti alla sua posizione; che non cercava di comparire, di trarre sopra di sé gli sguardi altrui, fedele all’adempimento di tutti i doveri di religione, nulla nulla singolarizzandosi negli esercizi di pietà, né facendo, a giudizio dell’occhio, se non tutto che faceva quale che si fosse altra pia e fervente israelita. Tuttavolta sotto queste apparenze così umili e così comuni quali tesori di santità e di grazia non erano nascosti! Il disse lo Spirito Santo: « La bellezza della figlia di Sion è tutta interiore; » e questa bellezza celeste, involata ad ogni sguardo, splendeva in tutto il suo fulgore agli occhi del Signore. Sì, la vita di Maria era una vita nascosta, oscura; le opere di Lei piccole in apparenza, e di niuna importanza, ma grandi in realtà erano e del massimo pregio, perché nobilitate tutte, ed in ogni loro parte, dalla purezza d’intenzione, e divinizzate per mezzo dell’incessante unione che Ella facevane con tutte le azioni del suo divin Figlio. – La vita di Maria in Nazaret deve risvegliare in noi non l’ammirazione soltanto, ma un grande ardore di vivere, a suo esempio, in continua unione con Gesù. A tal fine meditiamone senza posa la vita; seguiamolo passo passo dalla nascita alla morte: vediamo segnatamente di penetrarci del suo spirito, modellare sopra i suoi i sentimenti nostri; amiamo ciò che Egli ha amato, disprezziamo ciò che Egli ha disprezzato, desideriamo ciò che Egli ha desiderato. Teniamo costantemente fissi gli occhi sopra questo divino esemplare onde rendere perfettamente uniformi i nostri ai suoi pensieri, la nostra alla sua volontà, le nostre alle sue opere; che egli solo è la via che dobbiamo seguire, la verità che dobbiamo credere ed amare, la vita di cui dobbiamo vivere nel tempo e nell’ eternità.

ESEMPIO.

L’Egitto, evangelizzato fin dal primo secolo della Chiesa, e divenuto meritamente celebre per i suoi deserti popolati dai padri degli anacoreti, non offre più oggigiorno che amare memorie dell’antica sua fama. Paolo, Antonio, Pacomio, Macario, e cento e cento altri furono l’edificazione dell’alta Tebaide per la santità, per l’austerità, per l’operosità della loro vita, e per il loro amore verso Maria. Origene fe’ illustre la bassa Tebaide, per la scuola da lui diretta, e per la difesa del culto di Maria, sostenuta contro Berillo. Credesi che la dimora della santa Famiglia in Egitto sia stata tra Alessandria ed il Vecchio-Cairo. Alessandria fu una delle culle del Cristianesimo e del culto dell’augusta Madre di Dio. Gli Atanasii, gli Alessandri, i Clementi, spiegarono il loro ingegno ed il loro zelo onde far conoscere ed amare Colei, alla quale era dedicata la chiesa metropolitana. Presso l’altar maggiore, nel santuario di Alessandria, si venerò per lungo tempo un antico quadro della Madre di Dio, in atto di occuparsi delle domestiche faccende in Nazaret; e sul limitare della chiesa un’altra immagine rinomata per sorprendenti prodigi. Il vicariato apostolico di Alessandria novera quindici mila cattolici romani devoti di Maria, e l’Egitto buon numero di Copti e di Greci; non pochi Musulmani ancora, specialmente gli Albanesi, piegano il capo, in passando dinanzi all’immagine di Maria, e nei loro solenni giuramenti invocano il di Lei nome più che quello del loro profeta Maometto.

Orazione.

O tenera Madre mia, io voglio, a vostro esempio, pensare collo spirito di Gesù, operare con le mani di Gesù, amare col cuore di Gesù, pregare, soffrire in unione con Gesù, e morire ancora unendo l’estremo mio respiro all’estremo respiro di Gesù, e la mia morte alla consumazione del suo sacrificio. Da Voi imploro, da Voi spero tal grazia. Così sia.

OSSEQUIO.

Baciate tre volte l’immagine di Maria dicendole: Voglio piuttosto servire a Voi, tenera Madre mia, che al demonio.

GIACULATORIA.

O Domina servus tuus sum ego;

Son vostro schiavo

Caro mio Bene:

Oh! fortunate

Dolci catene.

322
O gloriosa Virginum,
Sublimis inter sidera,
Qui te creavit, parvulum
Lactente nutris ubere.

Quod Heva tristis abstulit,
Tu reddis almo genuine:
Intrent ut astra flebiles,
Caeli recludis cardines.
Tu regis alti ianua,
Et aula lucis fulgida:
Vitam datam per Virginem
Gentes redemptae plaudite.
Iesu, tibi sit gloria,
Qui natus es de Virgine,
Cum Patre et almo Spiritu,
In sempiterna saecula. Amen.
(ex Brev. Rom.).
Indulgentia trium annorum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si quotidieper integrum mensem hymnus pia mente iteratus fueri:
(S. Pæn. Ap., 22 nov. 1934).

XX. GIORNO.

La vedovanza.

Il momento dei gran dolori approssimavasi per la Vergine-Madre, e ad una vita di tranquilla felicità passata con Gesù e Giuseppe, stava per succedere una vita di sacrifici, d’isolamento, di strazianti inquietudini, di profondi dolori. Separandola dal casto suo sposo, volle il Signore far presentire alla Vergine Santa quell’altra separazione la quale le aprirebbe nel cuore tale ferita che non più si sarebbe rimarginata se non alla porta del cielo. Onusto di virtù e di meriti più che di anni, l’augusto capo della santa famiglia vide senza tema appressarsi l’istante che riunirlo doveva ai padri suoi. La sua vita, le sue forze eransi consumate in prò di Gesù e di Maria; ed ei troppo bene conosceva il cuore di quel Desso che osava chiamar figlio suo, per non sentirsi, in quei momenti estremi, ripieno della più intima confidenza, della più dolce tranquillità. E come no, s’ei moriva tra le braccia dell’Autor della vita, la testa appoggiata sopra il cuore di Lui? Preparata ad ogni sacrificio adorò Maria in umile silenzio la mano che sopra di Lei aggravavasi, e versò amare, ma rassegnate lacrime sopra la morte dell’amico e compagno delle sue gioie come dei suoi dolori, del suo esilio come delle sue fatiche e dal quale videsi mai sempre rispettata, custodita. – Ah! noi tutti conosciamo per esperienza propria i dolori che produce la morte d’un essere teneramente amato. In queste amare circostanze, non chiede il Signore che siamo insensibili a sì fatti sacrifizii; neanco le nostre lacrime ei condanna: solo ci vuole rassegnati alla volontà sua; vuole che dinanzi a Lui conserviamo la memoria delle persone che ci erano care, e che le nostre lacrime, congiunte alle nostre umili ed ardenti orazioni, divengano il prezzo del riscatto che gli offriamo onde soddisfare alla sua giustizia, ed aprir loro le porte del cielo. Agevole non meno che efficace si è questo mezzo. Il nostro amore segua pertanto le anime dei nostri morti tra le mani della divina giustizia, ed in tal guisa loro comprovi che non indarno affidaronsi alla costanza del nostro affetto.

ESEMPIO.

Il regno del Belgio, giovane se contansi gli anni suoi, e piccolo se il numero degli abitanti, vecchio tuttavolta e grande comparisce, se si pon mente agli anni consacrati nel servizio di Dio e nel culto dell’augusta Madre di Gesù; credesi evangelizzato, nel primo secolo della Chiesa. Fra le sue 2530 città e borgate, il Belgio ne conta un numero non piccolo le quali portano il nome di Maria; sia a mo’ d’esempio: Audhenove-Santa-Maria, Leerne-Santa-Maria, Mariabourge, Mariakerke, Marietta, Santa Maria Hoorebeke, ecc. Possiede venti mila altari dedicati a Maria, e rarissime sono le famiglie, ove la di Lei immagine non sia collocata d’accanto al crocefisso. Innumerevoli sono i santuari rinomati per grazie ottenute, e per affluenza di pellegrini da ogni angolo d’Europa, i conventi, gli ospedali, i ricoveri che portano il nome di Maria. Un gran segno della divozione del Belgio all’immacolato Cuor di Maria si ravvisa nella costante celebrazione delle di Lei feste, come se di precetto, sebbene abrogate dal concordato del 1801. Un altro segno si è il non trovarsi città o borgo, il quale non abbia un’associazione, una compagnia eretta in onore della B. Vergine. Il Belgio finalmente fu posto sotto la protezione di Maria dal card. Arcivescovo di Malines, nell’incoronamento dell’Immagine di Nostra Signora della Misericordia a Bruxelles (25 maggio 1843) cui presero parte, e vi vennero consacrati il re con tutta la real famiglia. Medaglie battute in quella circostanza in argento dorato, in argento ed in bronzo, ricorderanno alle venture generazioni la devozione del Belgio all’Immacolato Cuor di Maria.

Orazione.

O Maria, dolce stella che brillate sull’oceano di fuoco, ove la divina giustizia monda le anime dei trapassati, abbiatene pietà: perorate voi la loro causa presso il vostro divin Figlio; presentate alla sua giustizia, in loro redenzione, qualcuna delle lacrime che versaste ai piè della croce: lascerassi Gesù intenerire, aprirà loro il cielo, ed esse eternamente benediranno al Figlio ed alla Madre. Così sia.

OSSEQUIO.

Se siete in peccato mortale, confessatevene subito: se in grazia vincete l’ostacolo che in voi ravvisate a darvi del tutto a Dio.

GIACULATORIA

Gesù, Giuseppe e Maria, vi dono il cuore e l’anima mia.

A voi, Giuseppe,

Gesù, Maria

Dono il mio cuore

E l’alma mia.

-323-

Alma Redemptoris Mater, quæ pervia caeli
Porta manes, et stella maris, succurre cadenti.
Surgere, qui curat, populo: tu quae genuisti,
Natura mirante, tuum sanctum Genitorem,
Virgo prius ac posterius, Gabrielis ab ore
Sumens illud Ave, peccatorum miserere.
(ex Brev. Rom.).
Indulgentia quinque annorum.
Indulgentia plenaria, suetis conditionibus, dummodo
quotidiana antiphonæ recitatio per integrum mensem producta
fuerit (S. Pæn. Ap., 15 febr. 1941)

XXI GIORNO.

Le nozze di Cuna.

Era giunto il Giorno in cui il Figlio di Maria doveva presentarsi ad Israello qual Messia da tanti secoli aspettato, e provare la divinità della sua missione con il far servire l’onnipotenza sua a sollievo di tutte infermità umane. Ma volle inaugurare la sua vita pubblica con un atto di deferenza alla propria Madre, onde additare al mondo intero il canale per cui gli sarebbero discese tutte le sue grazie dal cielo. Invitati Gesù e Maria ad una festa nuziale in Cana di Galilea, a mezzo il festino avvedesi Maria che non v’ha più vino; commossa per il rossore che provato ne avrebbero i giovani sposi, volgesi fidente al suo Figlio e lo prega: « Non hanno più vino » Sicura poi d’essere esaudita dice ai servi: « Eseguite quanto Ei diravvi. » E la confidenza della Vergine-Madre non fu delusa. Ordina il Salvatore che vengano riempite d’acqua sei idrie poste per la purificazione dei convitati; quindi soggiunge ai servi: « Prendetela desso, e portatela al maestro di casa » il quale stupefatto conobbe cangiata l’acqua in vino per l’onnipotente volontà del Figlio di Maria. Il Vangelo termina la narrazione di questo prodigio dicendo: « Tutti i convitati, testimoni di questo primo miracolo di Gesù, ammirarono la sua potenza e bontà, ed i suoi discepoli in Lui credettero. » – Come i discepoli noi crediamo nella divinità di Gesù, ma confidiamo noi parimenti come Maria nella bontà del suo sacro Cuore? Oimè! quanto pochi conoscono questa misericordia infinita del cuor di Gesù. Quante anime vivono preda di continue inquietudini perché non sanno aprir il loro cuore alla confidenza! Temiamo di dispiacere a Gesù, ma temiamo eziandio di non amarlo; non abbiamo paura di Lui, per amor del cielo! siano pure gravi, innumerevoli le nostre colpe, in Lui speriamo; a Lui andiamo con illimitata fiducia, chiediamogli perdono, gettiamoci tra le sue braccia; esse sempre stanno aperte per riceverci; che dico? ci offre il suo cuore in rifugio ed asilo della fralezza nostra, ed in quell’amorosissimo cuore non vi regna che la sua misericordia.

ESEMPIO.

Non parrà strano che tra le dense tenebre del gentilesimo, si ravvisino altari eretti in onore della Madre di Dio, se si pon mente che il Signore non solo per mezzo dei voti de’ patriarchi e dei vaticinii de’ profeti, ma eziandio per mezzo delle sibille la volle manifesta agli etnici stessi. — I Druidi sacerdoti de’ Galli 1840 anni circa prima della nascita del Salvatore, scavarono una profondissima e spaziosa fossa, e vi eressero un altare ALLA VERGINE CHE PARTORIREBBE, presso Chartres, luogo ove tenevano le loro adunanze. Questo altare, elevato sopra terra, venne poi dai Cristiani convertito in Chiesa cattedrale. — Gli Argonauti avendo costrutto 1200 anni prima di Gesù Cristo, in Cizico un sontuoso tempio, e consultato l’oracolo di Pizio, cui consacrare il dovessero, ebbero in risposta: A MARIA, GENITRICE DEL VERBO ETERNO. — Giasone, re degli Argonauti, avendo anch’esso costrutto un tempio nella rócca di Atene, e consultato l’oracolo di Delfo, a chi, in avvenire, verrebbe dedicato, ebbe questo responso: Io vedo tre: un Dio solo regnante sopra gli dei, il cui Verbo immortale, concepito da una Vergine, attraversando la terra, condurrà tutti in dono al Padre. MARIA È IL NOME DI COLEI CHE SARÀ QUI ONORATA. — Finalmente nessuno ignora che gli Egizii adoravano una Vergine col Figlio in grembo, istruiti sopra questo mistero dal profeta Geremia, condotto in Egitto da quei Giudei, i quali colà cercarono scampo contro il furore dell’esercito caldeo e, dimoratovi per quattro anni, profetò ed operò prodigi alla corte di Faraone.

Orazione.

Sì, nella bontà del vostro divin Figlio, o Maria. Madre della santa speranza, voglio riporre tutta la mia fiducia; ed affinché perfetta sia questa mia fiducia, si è sulla tenerezza del materno vostro cuore che appoggiar la voglio. Nelle vostre mani adunque, o tenera Madre mia, malgrado l’indegnità mia, io pongo i miei più cari interessi, gli interessi dell’eternità. Così sia.

OSSEQUIO.

Esaminatevi sulle vostre confessioni, e proponete di correggerne i difetti.

GIACULATORIA.

Mater divinæ gratiæ, ora prò nobis.

Per noi pregate

O fonte immensa

Di quelle grazie

Che Dio dispensa.

324
Ave, Regina cælorum,
Ave, Domina Angelorum;
Salve, radix, salve, porta,
Ex qua mundo lux est orta:
Gaude, Virgo gloriosa
Super omnes speciosa,
Vale, o valde decora,
Et prò nobis Christum exora.
(ex Brev. Rom.).
Indulgentia quinque annorum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, antiphona quotidieper integrum mensem repetita (S. Pæn. Ap., 15 febr. 1941).

 

XXII. GIORNO

Maria a piè della Croce.

Il giorno dei gran dolori era finalmente sorto per la tenera nostra Madre. Già il Figlio della Vergine Immacolata ha sofferto il crudele ed ignominioso supplizio della flagellazione; già il Re dei secoli eterni è stato coperto della porpora reale dell’adorabile suo sangue ed incoronato di spinoso diadema; e già pallido, sanguinoso, sfigurato ha raggiunta la vetta del Golgota! Non sì tosto vede elevata la croce su cui sta confitta la Vittima dell’uman genere, questa Madre incomparabile, la quale rimaneasene nascosta nei giorni della gloria di Gesù, apresi il passo in mezzo alla moltitudine che ondeggia sulla santa montagna, e calma, maestosa viene a porsi a piè della croce. Nessuna debolezza della natura scorgesi in questa desolatissima tra le madri, sebbene tutto sia immenso in Lei il dolore come l’amore. Gesù sulla croce, Maria ai piedi… qual meraviglia? Qui e non altrove è il suo posto in questo solenne momento: sta in piedi, è vero; ma quest’attitudine è l’unica che le si addice; che là non è solamente Madre, ma sacerdote eziandio con Gesù: ebbene il sacrificatore deve stare presso l’altare del sacrificio nella posizione in cui vediamo immobile la Regina dei martiri. – Quante volte abbiamo invidiato la sorte di Maria e delle altre pie donne d’aver potuto assistere al sacrificio dell’adorabile nostro Salvatore? Ma ci è pur dato accompagnare Gesù sopra un altro Calvario, ove ogni giorno ancora in nostro prò s’immola, il santo Sacrificio della Messa. – Qui troviamo lo stesso sacerdote, la stessa vittima, lo stesso sangue, e nel cuore della Vittima, lo stesso amore per noi, la stessa brama di salvarci. Guardiamo l’altare, e comprenderemo allora la longanimità della divina giustizia a fronte dell’oceano d’iniquità che inonda la terra: si è pel grido d’amore che di qui al cielo s’innalza incessantemente: « Padre, perdonate loro perché non sanno ciò che fanno. » E noi facciamo sì poco caso dell’assistere o no ad una Messa!… Sventurati!

ESEMPIO.

Intorno alle chiese erette in onor di Maria dagli Apostoli, quando era ancor in vita, vedi ciò che abbiamo detto nella considerazione del secondo giorno. — Dopo la erezione in tempio della santa Casa di Loreto, la prima basilica in onor di Maria venne edificata da uno de’ Magi in Crangavore nell’India orientale. Una seconda ne vediamo edificata, tre anni dopo il parto della Vergine-Madre in Calcutta. Sorgeva essa, come attestò Vasco Gama al re di Portogallo aver egli stesso veduto, allorché nel 1498 approdò a questa rinomata città dell’India, nel mezzo di un gran tempio di forma rotonda; vi si ascendeva per una gradinata di bronzo, ed ai soli sacerdoti non era vietato l’ingresso, ma essi ancora, appena entrati, dovevano innanzi tutto prostrarsi a terra, e con le braccia tese esclamare: Maria Maria! — Divulgatasi appena l’Assunzione di Maria al cielo, i Cristiani eressero incontanente in di Lei onore un oratorio sul monte Carmelo. — Un altro edificato da s. Marta in Marsiglia, venne consacrato da s. Massimino, uno de’ settanta discepoli del Redentore. — Così ancora un tempio sontuosissimo le dedicò Candace regina degli Etiopi, il cui eunuco era stato battezzato dal diacono s. Filippo. — Finalmente s. Materno, discepolo di s. Pietro, e apostolo della Germania, le innalzò una magnifica basilica in Tongres, paese di Liegi.

Orazione.

Oh! la più desolata della madri, ottenetemi la grazia di non assistere giammai all’adorabile Sacrificio dei nostri altari, senza prender parte ai sentimenti di dolore e d’amore che Voi provaste sul Golgota; senz’essere penetrato di sovrano orrore contro il peccato, di profonda riconoscenza verso il vostro divin Figlio; e specialmente poi di assistervi con vero spirito d’immolazione e di sacrifizio. Cosi sia.

OSSEQUIO.

Assistete ad una Messa in ispirito d’unione con Maria a piè della croce.

GIACULATORIA.

Ave, verum corpus natum ex Maria Virgine.

Salve, santissimo

Corpo divino,

Di pura Vergine

Nato bambino.

 414
Oratio
O Maria, Vergine potente, Tu grande ed illustre
presidio della Chiesa; Tu aiuto meraviglioso
dei C pristiani; Tu terribile come esercito
ordinato a battaglia; Tu, che da sola hai distrutto
ogni eresia in tutto il mondo, nelle nostre
angustie, nelle nostre lotte, nelle nostre
strettezze difendici dal nemico e, nell’ora della
morte, accogli l’anima nostra in paradiso. Così
sia (S. Giovanni Bosco).

Indulgentia trium annorum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodoquotidie per integrum mensem  oratio devote repetita fuerit
(S. Pæn. Ap., 20 febr. 1923 et 29 iul. 1933).

XXIII. GIORNO.

L’Adozione.

Il gran dramma della passione toccava il suo termine: Maria aveane seguito tutte le fasi, visto tutte le sanguinose scene coi proprii occhi; oimè! per comprendere l’immensità del dolore di quell’anima immacolata, d’uopo sarebbe amare Gesù come Ella lo amava, e conoscere come Ella conosceva il prezzo del sangue in nostro prò versato. Già per ben due volte l’augusta Vittima rotto aveva il misterioso suo silenzio; « Padre perdonate loro » e: « Oggi meco sarai in paradiso, » ed intanto pareva obliasse la desolata sua Madre. Ad un tratto i moribondi suoi occhi s’abbassano sopra di Lei: se ne avvede Maria, e alzandosi sulla punta de’ piedi, mani ed occhi rivolti al divin giustiziato, sta come immobilmente sospesa dalle labbra di Lui… povera madre! ha tanto bisogno d’una parola di conforto!… Ascoltiamo: « Donna, ecco il tuo figlio » accennando a Giovanni; ed a Giovanni: « Ecco la madre tua » accennando a Maria. In mezzo agli strazii del suo dolore, sempre grande, generosa sempre la Regina de martiri innalzasi all’altezza delle viste di suo Figlio, ne comprende il pensiero: entrando subito ne’ sentimenti di Lui, dilata le viscere della sua carità; ed aprendo il suo cuore a tutti i redenti del Calvario, adotta a piè della croce, nel silenzio e nell’estasi del dolore, tutta la grande famiglia umana. – Queste parole di Gesù produssero in Maria il loro effetto, aprirono, vo’ dire, nel cuore di Lei profonde ed inesauribili sorgenti d’amore materno, di sacrificio, di tenerezza. E ben cel sappiamo noi tutti sventurati figli di un padre prevaricatore. Amiamo adunque la nostra Madre celeste; ripaghiamo con figliale confidenza e gratitudine l’amore di Lei; nelle nostre pene, nei nostri pericoli, nelle nostre debolezze ricorriamo a Lei, appoggiamoci sul di Lei cuore, rimettiamo nelle di Lei mani tutti i nostri interessi personali, riposiamoci in tutto sopra di Lei come tranquillo riposa il fanciullo tra le braccia della madre, abbandonandole la cura di tutto che ci riguarda, né più pensiamo che ad esemplare le virtù di Lei, e renderci degni della di Lei tenerezza.

ESEMPIO.

L’esempio degli Apostoli nell’edificare oratori: in onore dell’augusta Madre di Dio, fu ben tosto con sommo ardore seguito dai Cristiani di ogni nazione, in guisa che volerli presentemente numerare sarebbe forse poco men malagevole impresa che il voler numerare le stelle. Siccome un lieve saggio ne abbiamo avuto nelle prime sei considerazioni e in tutti gli esempi finora addotti, mi limiterò a dar qualche cenno in generale. — Appena ebbe l’imperator Costantino abbracciato il Cristianesimo, ed unitamente alla sua madre s. Elena, dato più luminosi esempi di fervido zelo in prò della religione e del culto di Maria, questo culto non vide più limite alcuno: i grandi vi profusero le immense loro ricchezze; all’augusta Madre del Salvatore del mondo dedicaronsi templi i quali per la loro sontuosità divennero la meraviglia dell’universo; le più preziose gemme perdevano tutto il loro pregio trattandosi di offrirle a Maria. Ed il popolo che non possedeva ricchezze, le rese un culto più intimo e più commovente ancora; sulle colline, in mezzo ai campi, tra le gole e sulla vetta dei monti vidersi qui e colà sorgere umili altari a Maria, coperti da prima di reticelle, di edera o di pampini, divenuti in seguito per la più parte celeberrimi santuari. Ed ora non si trova città protetta dalla croce della redenzione che non vanti una chiesa, od un altare almeno dedicato a Maria.

Orazione.

Ricordatevi, o Vergine santa, che noi siamo i figli del vostro dolore, e che diveniste la Madre nostra tra le agonie e gli strazi del Calvario. Ah! non obliate che dal vostro divin Figlio stesso noi fummo alla vostra misericordia ed al vostro amor confidati, tenera Madre nostra. Stendete adunque sopra di noi, la materna vostra mano, ed accordateci la vostra protezione adesso e nell’ora di nostra morte. Così sia.

OSSEQUIO.

Dite spesso tra il giorno: — Cristo crocefisso, ed io tra le delizie!

GIACULATORIA.

Sancta Mater, Istud agas, Crucifixi fige plagas cordi meo valide.

Madre stampatemi

Sin dentro il cuore

Le piaghe amabili

Del mio Signore.

-438-

Oratio
Omnipotens et misericors Deus, qui in beata
semper Virgine Maria peccatorum refugium et
auxilium collocasti, concede, ut, ipsa protegente,
a culpis omnibus absoluti, misericordiae
tuae effectum felicem consequamur. Per Christian
Dominimi nostrum. Amen (ex Missali Rom.).
– Indulgentiam : trium annorum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodoquotidie per integrum mensem  oratio devote recitata fuerit
(S. Pæn. Ap., 20 iul. 1934).

XXIV. GIORNO.

Il Sepolcro.

Il gran sacrifizio era consumato! Maria aveva contato gli estremi sospiri, gli estremi battiti del cuore di Gesù; aveva visto la morte chiudergli gli occhi, ed il sacro capo di Lui cadere sul petto senza vita… Maria non aveva più figlio! Ma non era sufficiente per questa desolatissima tra le madri l’aver visto morire il suo Gesù: oh! come crudele esser dovette all’anima sua la ferita fatta dalla lancia all’esanime cuore del suo Figlio. Intanto ogni ora, ogni momento del gran giorno della redenzione portava novelli dolori al cuore della Regina dei martiri: pochi istanti appresso Ella assistette alla deposizione della croce operata da Nicodemo, Giuseppe d’Arimatea ed altri, ricevette tra le sue braccia il corpo inanimato di suo Figlio, e poté ravvisare tutto lo sterminio che la barbarie degli uomini aveanvi portato. Qual contrasto tra la Vergine-Madre di Betlemme, e la Vergine-Madre del Calvario! E che dirò del suo dolore allorché accompagnato quell’adorabile corpo alla sepoltura, e deposto nella tomba, vide l’enorme pietra che chiudeane l’ingresso, frapporre come una barriera fra lei e l’unico oggetto dell’amor suo? Comprese Maria esser questo il compimento del suo sacrificio, e rassegnata al divino volere, esclamò: Fiat, e rifece silenziosa la strada di Gerusalemme. – Non tutte le anime sono chiamate da Dio a sopportare così terribili prove; a ciascun di noi tuttavolta il Signore chiede nel corso della vita sacrifizi proporzionati alle nostre forze, ed alla misura delle grazie ricevute. Ebbene; se, onde venir in aiuto al lavorio della grazia nelle anime nostre, ci colpisce il Signore ne’ più sensibili affetti, se frange Egli stesso i legami che noi non avremmo il coraggio di rompere, adoriamo la sua misericordia in mezzo alle lacrime nostre; e senza lai, senza mormorazioni, sfrondiamo con Maria a piè della croce del nostro Salvatore l’ultimo fiore delle nostre gioie di quaggiù; e poi, abbracciandoci a questa croce, ed attaccandovici con tutte le nostre forze, esclamiamo col Serafino d’Assisi: Mio Dio, mio tutto.

ESEMPIO.

Sei sono le Immagini di Maria dipinte dall’Evangelista s. Luca, che si conservano in Roma. La prima si venera in S. Maria Maggiore. Nel 590 portata processionalmente per le contrade di Roma quest’immagine, fece tosto cessare una fierissima pestilenza. Dalla chiesa di s. Maria Transtevere fu trasferita a S. Maria Maggiore da s. Domenico sulle proprie spalle, e deposta nella cappella Sistina; Paolo V, a destra della basilica, di rincontro al sacro Presepio, costrusse una sontuosissima cappella, in cui è ancora presentemente venerata. La seconda in S. Maria di Ara-Cœli. La terza in S. Maria di Via Lata; quest’immagine è dipinta con un anello nel dito. La quarta in S. Maria del Popolo ivi processionalmente trasferita dal luogo chiamato Sancta- Sanctorum, dal sommo Pontefice Gregorio IX nel 1227. La quinta in S. Maria Nuova, portata da Troia; sotto il pontificato di Onorio Iii, questo dipinto si rinvenne intatto dopo l’incendio della chiesa. La sesta in S. Maria al Campo Marzio portatavi di Grecia dalle monache di s. Benedetto prima del 600; anche questa conservossi illesa, e stette prodigiosamente sospesa in aria dopo l’incendio della trave, cui era raccomandata. – La settima si venera in Costantinopoli nel tempio eretto dall’imperatrice Pulcheria, e dedicato Alla Madre di Dio Odigitria; dicesi dipinta da s. Luca, vivente ed annuente la B. V. Quivi ancora nella basilica di s. Sofia si conserva l’ottava; involata dai Veneziani, fu da essi restituita per autorità del sommo Pontefice Innocenzo III. La nona in Napoli nella chiesa di S. Maria Maggiore.

Orazione.

O desolata Vergine, cui il Signore ha misurato la grandezza delle vostre prove alla generosità e coraggio del vostro cuore di santa e di madre, deh! accorrete in mio soccorso; fatevi, non solamente il mio sostegno, la mia consolatrice, ma il mio esemplare ancora, ed ottenetemi la grazia d’un perfetto distacco, e d’una perfetta rassegnazione a tutte le volontà del Signore. Così sia.

OSSEQUIO.

Se foste moribondo, qual cosa vi darebbe maggior rimorso? Rimediatevi subito, implorando l’aiuto di Maria.

GIACULATORIA.

Doce me, Domina, facere voluntatem tuam.

Voi del mio cuore

L’arbitra siete,

Deh! dunque ditemi

Quel che volete.

INVOCATIONES
386
Dolce Cuore di Maria, siate la salvezza mia.
Indulgentia trecentorum dierum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si quotidiana invocationis recitatio  in integrum mensem producta fuerit
(S. C. Indulg., 30 sept. 1852).

XXV. GIORNO.

La Risurrezione.

Spuntò finalmente il giorno fatto dal Signore: la sua luminosa aurora ha dissipato le sanguinose ombre del Calvario, e riempito di gioia l’Immacolato Cuore della nostra divina Madre. Non dice il Vangelo che Maria sia stata favorita della prima visita di Gesù risuscitato, ma non la nega neanco. E non gliene andava forse debitore il suo divin Figlio? Se tal favore fu concesso a Maddalena in grazia del suo illimitato e costante amore per Gesù, possiamo farci capaci che abbiane privata Maria, il cui amore superò quello di Maddalena più che piccola fiammella non è superata dallo splendor del sole? Cosi c’insegna una pia ed antica tradizione. Ah! Sarebbe d’uopo inventare nuove espressioni per nominare la gioia della povera Madre in quell’istante in cui poté stringere al seno il suo Figlio risorto, sentire quel sacro Cuore ferito dalla lancia, palpitar nuovamente contro il suo, ed udir chiamarsi ancora col dolcissimo nome di Madre. No, no, io non so se il cielo con tutte le sue magnificenze, e le sue delizie possegga gioie più dolci, più intime, più sensibili per la nostra divina Madre di quella gioia in che dovette sentirsi come naufraga in quell’avventurato istante. – Impariamo da Maria a santificare le nostre gioie non altrimenti che i nostri dolori, riferendo tutto a Dio. Consolazioni o pene, gioie od amarezze, tutto, nei disegni del Signore giovar deve al perfezionamento dell’anima nostra, alla nostra salute. Qui eziandio convergere debbono tutti i nostri sforzi, dirigersi tutte le nostre aspirazioni, limitarsi tutta la nostra ambizione. Sì, ciascun di noi adoprar deve sante industrie per accrescere mai sempre il tesoro dei meriti suoi, rivolgendo tutte le peripezie della vita a sua emendazione, a suo spirituale progresso, né perdere di vista giammai la gran parola dell’adorabile Salvatore: Siate perfetti come perfetto è il vostro Padre del cielo.

ESEMPIO.

La decima delle immagini di Maria dipinte da S. Luca, si venera sul monte della Guardia, a tre miglia circa da Bologna nella chiesa dedicata al medesimo evangelista s. Luca, scelta, se prestiamo fede ad un’antichissima leggenda riprodotta dal Sigonio, da Maria stessa. Ogni anno questa prodigiosissima effigie, viene con solennissima pompa trasferita, nella seconda feria delle rogazioni, in Bologna, «processionalmente portata per le precipue vie della città. L’undecima vedesi presso il borgo di Cestochovia distante 18 leghe da Cracovia. A questo santuario, uno dei più ricchi del mondo per magnificenza e preziosità di arredi, accorrono a torme pellegrinando i cristiani non solo dalla Polonia, ma eziandio da tutta la Slesia, dalla Moravia e dalla Pomerania; tanti sono i prodigi che vi si operano, le grazie che si ottengono. – Il dipinto rappresenta Maria col bambino Gesù in grembo, vestito alla greca; porta due cicatrici sul volto, inflitte, dicesi, dagli eretici Ussiti, cancellar le quali non fu ancor possibile all’industria dell’uomo, sebbene ne abbiano fatto la prova i più esperti pittori. Le tre ultime si trovano nell’isola di Malta; il celeberrimo spositore della s. Scrittura, Cornelio a Lapide, narra che furono dipinte da S. Luca, allorché avernò per tre mesi in quell’isola, compagno di viaggi dell’apostolo s. Paolo.

ORAZIONE

O Maria la quale non faceste mai sosta per il sentiero della perfezione, e vi giungeste alla più sublime altezza, abbiate compassione della fralezza, della miseria d’un vostro figlio. Estrema è la mia codardia, ai vostri piedi il confesso. Deh! ottenetemi, vi scongiuro, possenti grazie che trionfino sulla mia fralezza ed accidia, affinché sostenuto dalla materna vostra protezione, cominci una vita di fervore, d’amore, di sacrifici. Così sia.

OSSEQUIO.

Usate particolar modestia in chiesa, tenendo bassi gli occhi in tempo della santa Messa.

GIACULATORIA.

Munda me ab omni iniquitate mea, Sancta Dei Genitrix.

D’ogni mondatemi

Macchia più lieve;

Fatemi candido

Come la neve.

370
Immaculata Mater Dei, Regina cœlorum, Mater
misericordiae, advocata et refugium peccatorum,
ecce ego illuminatus et incitatus gratiis,
a te materna benevolentia large mihi impetratis
ex thesauro divino, statuo nunc et semper dare
in manus tuas cor meum Iesu consecrandum.
Tibi igitur, beatissima Virgo, coram novem
choris Angelorum cunctisque Sanctis illud trado,
Tu autem, meo nomine, Iesu id consecra;
et ex fiducia filiali, quam profiteor, certum mihi
est te nunc et semper quantum poteris esse facturam,
ut cor meum iugiter totum sit Iesu,
imitans perfectissime Sanctos, praesertim sanctum
Ioseph, Sponsum tuum purissimum. Amen
(S. Vincentius Pallotti).
Indulgentia trium annorum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si quotidieper integrum menseni oratio  devote recitata fuerit (S. Paenit.
Ap., 27 iulii 1920 et 12 sept. 1936).

XXVI. GIORNO.

L’Ascensione.

Terminata era la missione dell’Uomo-Dio sulla terra; gettate le fondamenta della sua Chiesa, istituiti i sacramenti, ammaestrati gli Apostoli, non più rimaneva all’adorabile Salvatore che dare ai beneamati del suo cuore un’ultima benedizione, pegno di quell’eterna benedizione che accorderebbe loro ben presto in cielo. Non v’ha dubbio che con gli Apostoli e gran numero di discepoli non siasi trovata Maria sul monte degli olivi in quella commovente circostanza. Appena colà radunati, ecco Gesù comparire in mezzo al suo piccolo gregge, e dopo aver loro dato un ammonimento ancora, e la benedizione, i suoi piedi abbandonano la terra, ed Egli s’innalza maestosamente verso il cielo. Se, come insegna antica tradizione, il Salvatore concesse alla Madre di poter essere testimonio del suo trionfante ingresso nel cielo, chi varrà a descrivere il rapimento, l’estasi di felicità in che l’avrà piombata la vista del corpo glorificato del suo Gesù sedente alla destra del Padre? Ah! quinc’innanzi la vita di quest’anima immacolata non sarà più che un ardente aspirazione verso il cielo, un’accesa brama di veder finire il suo esilio, sopportando tuttavolta gli inenarrabili dolori di sì fatta lontananza con perfetta e paziente rassegnazione alla volontà del Signore. – Desideriamo noi il cielo come la nostra divina Madre! Il cielo! Ah! Egli è pure la dimora del nostro Padre, l’eredità nostra, la nostra patria, il luogo ove tergerannosi per sempre le lacrime nostre. Coraggio adunque: ogni giorno di quaggiù è un passo che a Dio ci avvicina. Che cosa importano le fatiche del viaggio, le pene, le prove, dacché ci attende colassù una felicità inenarrabile, felicità proporzionata alla grandezza delle nostre afflizioni? Sì, Dio misurerà le sue consolazioni al regolo delle nostre croci; più avremo sofferto, più grandi saranno le nostre gioie; e quel che più monta, tutti i dolori saranno passati per non ritornare più mai, e la felicità la quale ne sarà il guiderdone, avrà l’eternità per durata.

ESEMPIO.

La ristrettezza di un esempio non mi permette che di far parola di alcuna soltanto delle più rinomate Statue rappresentanti la B. V. Maria: — In Saragozza evvi la statua detta del Pilar (della colonna) di cui già diedi un cenno; la s. Vergine sta in piedi col bambino Gesù tra le braccia, il quale tiene una colomba in mano; pretendesi scolpita ai tempi dell’Apostolo s. Giacomo. — Una delle più celebri statue che vanti la Francia è incontestabilmente quella di Puy-en-Velay; vuolsi colà portata da quegli arabi che primi, dopo i Magi, venerarono Maria ed il bambino, e la scolpirono a loro modo: essa tiene Gesù sulle ginocchia. — La statua d’ebano della B. V. di Loreto, annerita dal tempo e dal fumo delle numerose lampade e candele, che ardono giorno e notte, è pure di antichissima data; v’ha delle cronache, le quali ne attribuiscono la scultura allo stesso s. Luca; rapita dall’armata repubblicana nel 1797, e trasferita a Parigi, venne riportata a Loreto per ordine di Napoleone, appena divenuto primo console. — La Madonna di Spoleto dicesi colà portata di Palestina nel 352 da tre eremiti: dapprima addimandossi S. Maria di Giosafat, poi la Madonna degli Angeli o della Porziuncula: questa chiesa fu la culla dell’ordine del Serafico d’Assisi. — Celeberrima è la statua posta all’ingresso della chiesa del santo Sepolcro in Gerusalemme; a questa si riconobbe debitrice della sua conversione Maria egiziaca nel 370. — La più antica statua di Maria venerata nel Belgio è quella di Bruges. — Beatrice vedova del conte di Dampierre, ricevette dal sommo Pontefice Gregorio IX una statua della B. Vergine deposta, dice una tradizione, dagli Angeli in una foresta d’Italia. Collocata nella chiesa dell’abbazia di Courtrai, divenne ben presto celeberrima per i suoi prodigi. Finalmente nella chiesa di Afflighem esiste la famosa statua, la quale nel 1150, salutata da s. Bernardo con le parole: Salve, Maria, gli rese il saluto: Salve Bernarde.

Orazione

O Maria che tenete in mano lo scettro della Misericordia, ricordatevi di me, povero vostro figlio che pellegrino qui in terra, sospiro verso il cielo, che è la patria mia, verso Dio che è Padre mio, verso Gesù, che è mio fratello, verso di Voi che siete la Madre mia. Deh! Guidate tutti i miei passi, finché depor possa ai vostri piedi l’immortale corona, non dovuta ai meriti miei, ma a quelli del vostro divin Figlio, ed alla materna vostra protezione. Così sia.

OSSEQUIO.

Recitate un De profundis per l’anima del purgatorio che in vita fu più devota della B. V.

GIACULATORIA.

Virgo potens, ora prò nobis.

Voi che potente

In cielo siete,

Ferventi suppliche

Per noi porgete.

371
O pura et immaculata, eademque benedicta
Virgo, magni Filii tui universorum Domini Mater
inculpata, integra et sacrosanctissima, desperantium
atque reorum spes, te collaudamus. Tibi
ut gratia plenissimae benedicimus, quae Christum
genuisti Deum et Hominem: omnes coram
te prosternimur: omnes te invocamus et auxilium
tuum imploramus. Eripe nos, o Virgo sancta
atque intemerata, a quacumque ingruente
necessitate et a cunctis tentationibus diaboli.
Nostra conciliatrix et advocata in hora mortis
atque iudicii esto: nosque a futuro inexstinguibili
igne et a tenebris exterioribus libera: et
Ad Beatissimam Virginem Mariam
Filii tui nos gloria dignare, o Virgo et Mater
dulcissima ac clementissima. Tu siquidem unica
spes nostra es securissima et sanctissima apud
Deum, cui gloria et honor, decus atque imperium
in sempiterna sæcula sæculorum. Amen
(S . Ephræm, C . D.).
Indulgentia trium annorum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodoquotidiana orationis recitatio in integrum mensem producta
fuerit (S. Pæn. Ap., 21 dec. 1920 et 9 ian. 1933).

XXVII. GIORNO.

La Pentecoste.

Dopo l’Ascensione del divino Maestro, discesero gli Apostoli a Gerusalemme, e con Maria ed i discepoli si rinchiusero nel cenacolo per aspettarvi nella preghiera e nel digiuno la venuta del promesso Paracleto. Non v’ha dubbio che l’orazione della Vergine Immacolata non abbia affrettato questa venuta. Sullo scorcio dei dieci giorni di ritiro e di perseveranza nell’orazione, si fe’ udire un grande strepito, come d’impetuosissimo uragano; ed apparvero ad un tempo lingue di fuoco le quali andarono a riposarsi sulla testa di ciascuno de’ membri della Chiesa nascente colà radunata, e tutti sentironsi ripieni di Spirito Santo. Nessuno tuttavolta varrà a comprendere quello che in questo solenne giorno operò in Maria lo Spirito consolatore, e qual fu la prodigiosa trasformazione di quell’anima benedetta e privilegiata fra tutte le pure creature. Dirò solamente che tra i doni ricevuti da Maria e quelli degli Apostoli vi passò la differenza stessa che fa un magnifico e liberale monarca tra i favori largiti ai suoi ministri, e quelli compartiti ad una sposa da lui unicamente e teneramente amata. Gli uni sono trattati in amici, l’altra in sovrana, a cui le liberalità dello sposo sono in ragione del suo amore per lei. –  Maria nel cenacolo c’insegna non l’utilità solamente del raccoglimento, della fuga del mondo, per albergare in noi il Santo Spirito, ed attendere con successo alla nostra perfezione; ma ci manifesta eziandio la necessità della preghiera onde ottenere dal cielo tutti i soccorsi necessari al buon esito del grand’affare di nostra eterna salate. L’adorabile Salvatore il quale conosceane tutta l’importanza come l’indispensabile necessità, raccomandolla sì ripetutamente: — Pregate senza interruzione — Domandate, e riceverete. — Tutto ciò che chiederete al Padre mio in nome mio, saravvi concesso — Laonde se inesaudite veggiamo le nostre preci, non ascriviamolo che alla poca fede, poca umiltà, poca fiducia, e specialmente alla poca perseveranza con che oriamo.

ESEMPIO.

Sebbene sia fuor di contestazione avere i popoli sentito mai sempre maggior impulso all’amor di Maria dalle di Lei immagini scolpite che dipinte, non si può negar tuttavolta che queste eziandio non siano d’origine non meno antica di quelle, poiché vantano lo stesso inventore, l’evangelista s. Luca. — Non parlo delle celebri Madonne di Raffaello, delle quali non v’ha in Italia chi ne ignori la perfezione. Michelangelo (scuola italiana, 1498) in un suo dipinto rappresentante la s. Famiglia, diede a Maria i più vivi e dolci caratteri di una buona madre. Nel quadro delle nozze di Cana di Paolo Veronese (1588) scorgesi sul volto di Maria l’interna sua inquietudine per la mancanza del vino. Alberto Durer (scuola alemanna 1500) nell’Adorazione de’ Magi, non poteva più perfettamente ritrarre la purissima gioia della B. Vergine, non disgiunta dalle sollecitudini della migliore delle madri. Nella deposizione di Gesù dalla croce del Rubens (scuola fiamminga, 1635) tu vedi la Madre desolata in siffatto atteggiamento di ambascia e di rassegnazione, che, mentre t’incanta, t’inspira una indefinibile malinconia al cuore. Capo d’opera è la Concezione del Murillo (scuola spagnola) morto nel 1682. Non meno mirabili, nella scuola francese, sono il quadro del Lebrun Carlo, morto nel 1690, per la grazia che seppe dare a Maria preparante un povero pasto al fanciullo Gesù; e quello del Jouvenet, morto nel 1717, in cui vedesi l’augusta Madre di Dio nell’atto di cantare il Magnificat. L’umiltà, la riconoscenza, una gioia tutta celeste, spiccano nell’atteggiamento di tutta la persona in guisa che ben rivelano i sentimenti da che sentivasi in quell’ora riboccante quell’immacolato Cuore.

Orazione.

O Maria. Vergine immacolata, la cui vita fu una continuata orazione, ottenete a me lo spirito della preghiera, di cui pur troppo, sì poco conosco il pregio, sebbene siami d’estrema importanza. Impetratemi dal vostro divin Figlio quello spirito di fede, di confidenza, di fervore che ne è l’anima, e che apre sopra di chi prega tutti i tesori delle celesti benedizioni. Così sia.

OSSEQUIO.

Viva Gesù, viva Maria, sia l’invocazione con che date principio ad ogni vostra azione o scritto.

GIACULATORIA.

Jesum benedictum, fructum ventris tui, nobis ostende.

Il frutto amabile

Del vostro seno

Nel ciel mostrateci

Ò Madre, almeno.

372
Deus, qui per immaculatam Virginis Conceptionem
dignum Filio tuo habitaculum praeparasti,
quaesumus, ut qui ex morte eiusdem Filii
tui praevisa eam ab omni labe praeservasti, nos
quoque mundos, eius intercessione, ad te pervenire
concedas. Per eumdem Christum Dominum
nostrum. Amen (ex Missali Rom.).
Indulgentia trium annorum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, oratione quotidieper integrum mensem devote reiterata (S. C. Indulg.,
23 mart. 1904; S. Pæn. Ap., 4 maii 1936).

XXVIII. GIORNO.

Gli ultimi anni di Maria.

Profondo silenzio regna nelle sacre carte intorno agli ultimi anni della nostra divina Madre, tal che noi ignoriamo ed il luogo di sua residenza, il genere delle sue occupazioni, ed il tempo del felicissimo suo transito. La tradizione tuttavolta viene ad appagare in parte la pia curiosità nostra insegnandoci che non pochi anni la visse ancora dopo la morte di Gesù, cioè fino all’età di settantadue, o settantacinque anni; che la vita di lei fu umile, ritirata, divisa tra l’orazione ed i lavori manuali; e che nell’assemblea dei fedeli non distinguevasi altrimenti che per la sola sua santità. C’insegna eziandio la tradizione stessa che questi ultimi anni di Maria furono una lenta agonia, un lungo martirio d’amore, un’incessante aspirazione al cielo; che l’unica sua consolazione era il ricevere quotidianamente dalle mani del suo figlio di adozione la santa Comunione; e che sì dolce, si consolante presentavasele il pensier della morte, che era divenuto l’abituale suo pensiero; e ben lungi dall’averla in orrore, salutavala con santa gioia, come Colei la quale doveva por fine al suo esilio, aprirle il cielo, e ridonarle l’unico oggetto dell’amor suo. – La morte è il momento che fisserà per sempre la nostra sorte. Quindi nulla di più importante per noi come la grazia di una buona morte; ed il più agevole mezzo ad ottener questa grazia si è appunto l’abituale pensiero della morte stessa. Non si fa bene se non quello che s’imparò lungo tempo a fare. Questo pensiero ci distaccherà dai beni della vita presente, dimostrandocene la caducità ed il nulla; ché di tutto ci spoglia la morte.  Ci aiuterà in secondo luogo ad evitare il peccato «Sovvieniti dell’ultimo tuo fine, e non peccherai in eterno ». Difatti qual più valido freno a trattenere lo sfogo di quale che siasi passione, come il pensier della morte, la sua incertezza, il giudizio che la seguirà, e gli eterni castighi che sono il soldo del peccato, il frutto d’un istante di colpevole soddisfazione?

ESEMPIO.

Docili figli di santa Chiesa, noi onoriamo le reliquie dei santi, perché potentissimo mezzo a nutrire la pietà, condurre alla perfezione. — Siccome coll’anima della B. Vergine il corpo eziandio venne assunto al cielo, ne segue che le di Lei reliquie consistono soltanto in pezzi di veli o vesti di che andava coperta. Presentemente ancora è venerata in Chartres una tonaca di Maria, che Carlo il Calvo ebbe in dono da Carlo Magno nel 801. — Vedeasi altre volte nella chiesa della B. Vergine delle grazie in Costantinopoli un di Lei fuso portato di Palestina dall’imperatrice s. Pulcheria. — Nel 455 il vescovo s. Giovenale trasportò da Gerusalemme in Costantinopoli il sudario, ed una parte della tomba di Maria. — L’imperatrice s. Elena arricchì la chiesa di s. Croce in Gerusalemme d’una gran parte del velo della B. Vergine. — Celebre per tutta la Spagna si è la treccia dei capelli di Maria venerata in Oviedo: un’altra era, tempo fa, posseduta dalla chiesa della B. Vergine di Bruges. – Così ancora una specie di guanto in s. Omer, una specie di velo in Aix-la-Chapelle, una specie di pettine in Trèves, ed una parte del sudario e del velo in Soissons. — Il sommo pontefice Callisto III concesse nel 1455 varie indulgenze a chi visita la cattedrale di Arras, ove conservasi un velo ed una cintura dell’augusta Madre di Dio. — Memorie preziosissime e feconde mai sempre di grazie e di benedizioni più preziose ancora.

Orazione.

O Maria che insegnaste col vostro esempio il disprezzo ed il distacco dalle cose di questo mondo, ottenetemi la grazia di attaccarmi a Dio solo, unico bene che trovar possa al di là della tomba. Aiutatemi onde la mia vita sia una morte continua la quale mi prepari a ben morire, e mi ottenga la grazia di una santa morte. Così sia.

OSSEQUIO.

Nelle ore di ozio leggete libri che trattino delle lodi di Maria.

GIACULATORIA.

Monstra te esse Matrem.

So che voi siete

Madre di Dio;

Ma per mia Madre

Vi voglio anch’io.

375
Sancta Mater, istud agas,
Crucifixi fige plagas
Cordi meo valide.
(ex Missali Rom.).
Indulgentia quingentorum dierum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodoquotidie per integrum mensem invocatio pia mente recitata
fuerit (S. Pæn. Ap., 1 aug. 1934).

XXIX. GIORNO.

Morte di Maria.

Non era per fermo né impossibile, né malagevole al Signore il preservare Maria dalla morte, come sottratta avevala all’infezione della colpa d’origine; ma anche in questo Ei volle renderla conforme al suo divin Figlio. Che se il Signore permise alla morte di addormentare dolcemente Maria, non le permise tuttavolta di far preda della corruzione il verginale corpo di Lei. Esente dal peccato originale, e dalla triste concupiscenza che ne è la sequela, sempre pura la carne di Maria non doveva conoscere le umilianti trasformazioni della tomba, non avendo punto bisogno d’essere rinnovata, purificata, onde fosse degna di venir ammessa nel soggiorno della gloria. Messaggera di pace venne la morte a Maria: essa non fu che la cessazione d’un miracolo che operava il Signore per impedirle di morire sotto le ardenti impressioni d’un amore superiore a tutte le forze della natura. Laonde, diciamolo pure: la morte di Maria fu un ultimo atto di amore più acceso, più puro, più santamente appassionato di tutti gli altri, atto il quale separando dolcemente l’anima dal corpo, portolla tutta bella d’amore e di gloria nel seno del suo Dio. – La morte non verrà a noi per fermo quale venne a trovar la nostra Madre del cielo. Peccatore ciascun di noi come tutti i figli di Adamo, dovrà, a sua volta, andar soggetto al tremendo castigo inflitto dalla divina giustizia al primo dei peccatori, ed a tutta la di lui prosapia, i dolori più o meno diuturni dell’infermità, le agonie della natura, le tristezze e le lotte supreme. Ma consoliamoci: Gesù e Maria lasciarono le orme del loro passaggio nella morte onde raddolcirne gli orrori; ed agli estremi nostri momenti, non dubitiamone, ritroveremo queste orme benedette. E poi, dopo l’ultimo sospiro di Gesù sulla croce, ed il breve suo riposo nel sepolcro del Getsemani, non più muore il Cristiano abbandonato da Dio, e deserto di consolazioni: perchè temeremo adunque?

ESEMPIO.

Se i fedeli conoscessero di quanto spirituale profitto esser possono possono le sacre immagini, non le curerebbero sì poco per fermo. Comprendiamone il molteplice vantaggio: 1. Istruzione ed erudizione; la vista infatti di un’immagine di Maria ci ricorda che Ella è la Madre dell’adorabile Salvatore; e sebbene questa verità ci sia già stata proposta a credere dalla fede, non è men vero tuttavolta che per mezzo dell’immagine, si alimenta e si ravviva questa fede stessa. 2. Amor verso Maria; e non ti senti forse commosso dai più teneri affetti il cuore nell’abbatterli in una immagine che ti presenti quest’immacolata Vergine prostesa in atto di adorazione a’ pie della culla di Gesù bambino, o desolata sul Golgota, divenuta Madre tua per mezzo di mortali dolori, e via dicendo? 3. Eccitamento all’imitazione: le immagini sono volgarmente appellate il libro dei semplici, perché  in una sola occhiata insegnano lunghissime storie e, dilettando, muovono ad amare la giustizia, la pietà, la devozione. 4. La memoria di Maria: in quanto che, in mezzo a tante nostre tribolazioni ed angustie, la vista d’una sua immagine ci ricorda che abbiamo una Madre, un’avvocata in cielo, di cui possiamo con tutta fiducia implorare il patrocinio. 5. Professione di fede: col venerarne le immagini, noi protestiamo di amare la fede, l’umiltà ecc. di Maria, e volerla esemplare.

Orazione.

O Maria, Vergine purissima, cui la morte fu l’istante del trionfo, non abbandonate la povera anima mia nel supremo momento che deciderà della sua sorte eterna. Copritemi allora con la materna vostra protezione, difendetemi dal furore dei miei nemici; fate che muoia munito dei santi sacramenti, e che l’estremo mio sospiro sia un atto d’amor di Dio, e di fiducia nella sua misericordia. Così sia.

OSSEQUIO.

State in ritiro, ed osservate particolar silenzio in questo giorno.

GIACULATORIA.

Pone, Domina, custodiam ori meo.

La lingua sordida

D’ atro veleno,

Madre, cingetemi

Di doppio freno.

387

O Cuore purissimo di Maria Vergine Santissima, ottenetemi da Gesù la purità e l’umiltà del cuore.

Indulgentia trecentorum dierum. Indulgentia plenaria, suetis conditionibus, dummodo quotidie per integrum mensem invocatio pia mente recitata fuierit (S. Pæn. Ap. , 13 ian. 1922 et 23 apr. 1934)

XXX. GIORNO.

Assunzione.

L’abbiamo detto: la tomba non doveva innervare fino al giorno della risurrezione universale la spoglia mortale della nostra divina Madre. Spuntata appena l’alba del terzo giorno dal transito della Vergine Immacolata, Gesù per un atto di sua onnipotenza riunì l’anima di Lei al corpo; e questo sacro corpo, rivestito di tutte le qualità dei corpi gloriosi, elevossi raggiante al cielo, rapidamente trasportatovi dall’ardore dell’amor divino, circondato da innumerevoli legioni d’Angeli, avventurati di formare comitiva d’onore a Colei la quale tutti superava in purezza, in amore, in gloria; ma non basta. Gesù, Gesù attendeva sulla soglia del suo regno onde introdurvela Egli medesimo, cingere la fronte di Lei con il diadema dell’immortalità e della gloria, e farle prendere possesso del trono che preparato aveale alla destra del suo. Questa è la visione dell’apostolo bene amato: Io vidi in cielo una donna rivestita di sole. Circondata, cioè della gloria del suo divin Figlio: Avente la luna sotto i suoi piedi; simbolo dell’umanità decaduta: Cinta la fronte d’un diadema di dodici stelle, le sue eroiche virtù. In tal guisa da Dio incoronata e glorificata, regna Maria sovrana del cielo e della terra. Non diamoci però a credere che Maria regnante in cielo, dimentichi noi poveri figli suoi, sì bisognosi di suo soccorso; oh! no: Ella fu costituita il canale per cui scendono sulla terra tutte le grazie del cielo, la mano di che giovasi il Signore per far a noi l’elemosina delle sue misericordie; ed il prezioso cuore di Lei è il vaso ove la bontà divina depose il balsamo destinato a lenire ogni nostro dolore, rimarginare ogni nostra piaga, sanare ogni infermità nostra. Laonde la confidenza nostra in Maria sia incrollabile, sia illimitata, sia intera; speriamo quand’anche fossimo caduti nel baratro di tutte iniquità; la mano di Lei troverà modo di trarcene; e la voce della gratitudine nostra unirassi allora a quella di tanti altri poveri suoi figli, per ripetere: Non invano s’invoca la Madre di Gesù, e nella bontà del cuore di Lei si confida.

ESEMPIO.

Non poche ragioni animar devono il cristiano a salutare la diletta Madre del cielo ogniqualvolta s’incontra in una di Lei immagine. 1. Onde rinnovar incessantemente la memoria dell’incarnazione del Verbo; 2. Per imitare l’Arcangelo Gabriele; se questo celeste messaggero infatti salutò così riverente Maria non ancor Madre del Dio fatto carne, che cosa non dobbiamo far noi adesso che Ella regna alla destra del suo Figlio, sovrana del cielo e della terra? 3. Lo spirito di santa Chiesa, la quale fin dai suoi primordii, rese familiare tra i fedeli questo modo di onorar Maria. 4. Il precetto di Gesù Cristo: Onora il tuo padre e la tua madre. E non è forse Maria vera madre nostra? — Copiosi ne deriveranno per noi i frutti da questa pia usanza: 1. Accrescimento di fede nel mistero dell’incarnazione. 2. Maggior desiderio di partecipare alle grazie di che fu ripiena Maria. 3. Finalmente l’amore e la protezione di Maria, la quale, risalutandoci, riempie di doni spirituali il nostro cuore. Vedine la prova nella Visitazione, prova dataci dal Vangelo stesso con queste parole: Appena Elisabetta udì il saluto di Maria, fu tosto riempita di Spirito Santo, ed esultò Giovanni nelle di lei viscere. Impariamo a memoria ciò che a tale proposito dice S. Bernardo: Ride il cielo, rallegransi gli Angeli, fuggono i demoni, trema l’inferno ogniqualvolta tu con riverenza dici: AVE MARIA … O Maria, egli è darti un bacio il dirti: AVE MARIA. Tante volte sei baciata, o beatissima, quante volte sei salutata coll’AVE. Dunque, fratelli carissimi, approssimatevi alla di Lei immagine, piegate il ginocchio, datele un bacio, dite: AVE, MARIA.

Orazione.

O Vergine gloriosa che conosceste tutti i dolori dell’esilio, non obliate in mezzo alle gioje della patria, i poveri vostri figli della terra. Nostra patria eziandio è il cielo, acquistato a noi dal sangue del vostro divin Figlio. Deh! non permettete che noi lo perdiamo, ma aiutateci a redercene degni, onde possiamo un giorno contemplare la vostra gloria, amarvi ed eternamente benedire a voi con Gesù Cristo. Così sia.

OSSEQUIO.

Offrite a Maria tutto che avrete a sopportare in questo giorno in unione de’ suoi dolori.

GIACULATORIA.

Fac ut tecum lugeam.

Con voi sul Golgota

Del Figlio accanto

Fate che struggansi

Quest’occhi in pianto.

419

Oratio
Immacolata Vergine Maria, Madre di Dio e
Madre nostra pietosissima, umilmente ci presentiamo
al vostro cospetto e con tutta fiducia vi
supplichiamo del vostro materno patrocinio.
Dalla santa Chiesa siete stata proclamata la
Consolatrice degli afflitti ed a voi continuamente
ricorrono i tribolati nelle afflizioni, gl’infermi
nelle malattie, i moribondi nelle agonie, i poveri
nelle strettezze, i bisognosi d’ogni maniera nelle
pubbliche e private calamità e tutti da voi ricevono
consolazione e conforto.
Madre nostra dolcissima, rivolgete anche sopra
di noi, miseri peccatori, le vostre tenere
pupille e benigna accogliete le nostre umili e
fiduciose preghiere. Soccorreteci in tutte le spirituali
e temporali necessità, liberateci da tutti
i mali e specialmente dal massimo, qual’è il peccato,
e da ogni pericolo di cadervi; impetrateci
dal vostro Figlio Gesù tutti i beni, di cui ci
vedete bisognosi per l’anima e per il corpo, e
specialmente il maggiore di tutti, qual’è la divina
grazia. Consolate il nostro spirito angustiato
ed afflitto in mezzo a tanti pericoli che
ci minacciano, fra tante miserie e disgrazie che
ci travagliano da ogni parte. Ve ne preghiamo
per quel giubilo immenso, che provò l’anima vostra
purissima nella gloriosa resurrezione del
vostro Figlio divino.
Impetrate tranquillità alla santa Chiesa, aiuto
e conforto al Capo visibile di essa, il Romano
Pontefice, pace ai Principi cristiani, refrigerio
nelle loro pene alle anime del purgatorio, ai
peccatori il perdono delle loro colpe, ai giusti
la perseveranza nel bene. Raccogliete tutti, Madre
nostra tenerissima, sotto la vostra pietosa
e potente protezione, affinchè possiamo virtuosamente vivere, piamente morire e conseguir l’eterna beatitudine in cielo. Così sia.
Indulgentia quingentorum dierum.
Indulgentia plenaria additis confessione, sacra Comunione et alicuius ecclesiæ vel publici oratorii visitatione
si quotidie per integrum mensem oratio recitata fuerit
(S. C. Indulg., 10 apr. 1907; S. Paen. Ap., 7 iun. 1935).

XXXI. GIORNO.

Maria esemplare de’ cristiani.

Nel proporre la Madre del suo adorabile sposo all’imitazione dei suoi figli, a tutti dice Chiesa Santa: « Siate imitatori di Maria come Maria fu imitatrice di suo Figlio. » A rendercene capaci gettiamo, in terminando questo mese, un rapido sguardo sui precipui tratti di somiglianza che corrono tra Figlio e Madre. « Gesù scende dal cielo unicamente per glorificare il Padre suo; e Maria a tal effetto si ritira trienne nel tempio, e consacra la sua verginità al Signore. » Gesù non vuol nascere che da Madre vergine, non aver che un uomo vergine per custode; e Maria prepone questa delicatissima delle virtù alla gloria della maternità divina. Tutta la vita di Gesù può dirsi un atto continuato di umiltà e di annientamento; e Maria chiamata dall’Arcangelo all’eccelsa e singolare dignità di Madre di Dio, non sa che rispondere: « Ecco l’ancella del Signore. » Il cibo del Cuore dell’adorabile Gesù è di fare costantemente la volontà del Padre, e l’obbedienza sua al Padre si fu quella che il guidò dal presepio al Getsemani, di qui al Calvario; e per lo stesso motivo accettò Maria la maternità divina, udì silenziosa il vaticinio di Simeone, ed attaccossi alla croce in posizione degna della Madre d’un Dio. Con ragione adunque viene da Chiesa santa proposta all’imitazione dei fedeli. – Non illudiamoci punto: la vera divozione a Maria consiste precipuamente nella imitazione delle sue virtù; né ci riconoscerà per figli suoi se non in ragione della uniformità della nostra condotta con la sua. Animiamoci adunque di santo ardore, di generoso coraggio, ed ormeggiamo la nostra Madre del cielo, come essa seguì le pedate del Capo dei predestinati, dell’esemplare degli eletti Cristo Gesù. Tal via costerà sacrifici, lotte, violenze alla corrotta natura; non importa; sovvengaci che Maria ci tende la mano dal cielo, e ci mostra la corona che ci sta preparata; ed i fiori di questa corona sono le virtù esercitate qui in terra, le quali sembrano comprendersi nell’umiltà, nella pazienza, nella sommissione alla volontà di Dio, nella rassegnazione tra le afflizioni.

ESEMPIO.

Chiunque desidera d’imitare l’Arcangelo Gabriele nel salutare l’augusta Madre di Dio, veda di ritrarre in sé  angelici costumi, giusta quel detto: Se vuoi entrare dalla Vergine e salutarla, Angelo esser ti conviene; ed è per insinuare a noi una tale verità che il Signore non inviò che un Angelo a salutarla col grande Ave, Maria. Or bene, il nome di Angelo, ti dice precipuamente purezza, carità, umiltà. Puro è l’Angelo perché non contaminato dalla più lieve macchia di colpa, da verun affetto terreno, o carnale commercio. Tale sia chi saluta la Vergine purissima, se brama da Lei gradire il saluto. Emulatore, in secondo luogo, della carità degli Angeli esser deve chi vuole salutar degnamente Maria. Tra gli Angeli regna somma pace, somma concordia; somma pace, somma concordia pertanto regni eziandio tra quei figli che salutar vogliono la loro Madre celeste. E poi, il saluto a Maria, ricordandoci quello dell’Arcangelo, ci ricorda ad un tempo, il mistero dell’Incarnazione, e nel mistero dell’Incarnazione appunto cominciò l’adorabile Salvatore quel trattato di pace tra Dio e gli uomini, che poi compì sul Calvario, segnandolo col suo sangue. Si imiti finalmente l’umiltà degli Angeli. Nessun di noi ignora che se una parte degli Angeli vennero dannati alla morte eterna, causa ne fu la loro superbia: come eziandio se fedeli al Signore si mantennero tanti altri, fu in grazia dell’umiltà loro. Per questa ragione usavano molti santi di non mai salutare Maria se non piegando il ginocchio, così S. Caterina da Siena, S. Maria di Ognies, la b. Margherita domenicana, figlia del re di Ungheria; usanza che conservasi ancora tra noi, genuflettendo nel cantare la prima strofa dell’Ave Maris Stella, appunto perché comincia con l’angelico saluto: AVE.

Orazione.

O Maria, la più perfetta delle creature, io risolvo di seguirvi d’or innanzi nella via della perfezione, ed a vostro esempio condurre una vita umile di cuore, casta, paziente, rassegnata. Ma senza il vostro aiuto, a nulla giovano le mie risoluzioni; quindi nel vostro cuore io le depongo, tenera Madre mia, onde possa vincere la mia leggerezza, e metterle in pratica con coraggio e costanza. Così sia.

OSSEQUIO.

Recitate qualche orazione in ossequio ai santissimi Cuori di Gesù e di Maria.

GIACULATORIA.

Fece ut ardeat cor meum in amando Christum Deum.

Inestinguibile

Fiamma nel cuore,

Madre, accendetemi

Pel mio Signore.

276
Domine Iesu Christe, qui Mariæ et Ioseph
subditus, domesticam vitam ineffabilibus virtùtibus
consecrasti: fac nos, utriusque ausilio,
Familiæ sanctæ tuæ exemplis instrui et consortium
consequi sempiternum: Qui vivis et
regnas in sæcula sæculorum. Àmen (ex Missali Rom.).
Indulgentia quinque annorum.
Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo
orationis recitatio, quotidie devote peracta, in integrum
mensem producta fuerit (S. Pæn. Ap., 3 sept. 1936).

CONSACRAZIONE A MARIA

 Maria, Regina e Madre mia, non disdegnate che, in terminando questo benedetto mese, a voi consacri il mio cuore, l’anima mia, tutto che sono e posseggo. Sì, io vi appartengo, o Maria, come il figlio appartiene alla madre; accettate pertanto l’omaggio della mia venerazione, della mia confidenza; accettate la mia promessa di difendere, in quale che siasi circostanza di tempo e luogo, il vostro onore, la vostra gloria, di sostenere mai sempre gli interessi di Gesù ed i vostri, e dimostrarmi in ogni evento servo fedele, figlio docile ed amoroso. Benedite, o Vergine possente, il pastore ed il gregge; impetrate ai peccatori la grazia della conversione, la perseveranza ai giusti, la rassegnazione agli infermi ed ai tribolati. Fatevi per l’infanzia e la giovinezza la stella del mattino, per l’età matura la stella del mare, per la vecchiaia la stella della sera; per tutti la porta del cielo, onde possiamo, nessuno escluso, trovarci un giorno riuniti attorno al trono della vostra gloria, come adesso ai piedi de’ vostri altari, a benedire a voi e ad eternamente amarvi. Così sia.

FINE.

 

 

I° MAGGIO: S. GIUSEPPE, PATRONO DEI LAVORATORI

I° MAGGIO

S. GIUSEPPE, PATRONO DEI LAVORATORI.

[Dom P. Gueranger. L’Anno Liturgico, vol. II, Ed. Paoline, Alba, 1957 impr.]

Felice novità che certamente riempie di gioia il cuore di Maria! Riguarda una festa di S. Giuseppe che ormai aprirà il suo mese, maggio. Dall’inizio dell’anno liturgico la Chiesa ci dà più volte l’occasione di meditare la vocazione e la santità straordinaria del più umile e più nascosto di tutti gli uomini. La devozione verso S. Giuseppe, fondata sullo stesso Vangelo, si è però sviluppata lentamente. Ciò non vuol dire che nei primi secoli la Chiesa abbia posto ostacolo agli onori che avrebbero voluto tributargli i fedeli; ma la Divina Provvidenza aveva le sue ragioni misteriose per ritardare l’ora in cui gli sarebbero stati offerti gli onori della Liturgia. – La bontà di Dio e la fedeltà del Redentore alle sue promesse s’uniscono di secolo in secolo sempre più strettamente per conservare in questo mondo la scintilla della vita soprannaturale che deve sussistere fino all’ultimo giorno. A questo scopo misericordioso, un succedersi ininterrotto di aiuti viene, per così dire, a riscaldare ogni generazione e ad apportare un nuovo motivo di confidenza nella Redenzione. A partire dal secolo XIII, in cui il raffreddamento spirituale del mondo comincia a farsi sentire, ogni epoca ha visto scaturire una nuova sorgente di grazie. – Si iniziò con la festa del Santissimo Sacramento che suscitò una grande devozione al Cristo presente nell’Eucarestia; poi venne la devozione al santo Nome di Gesù di cui S. Bernardino fu il principale apostolo; nel secolo XVII si diffuse il culto al Sacro Cuore; nel XIX e ai nostri giorni la devozione alla Santa Vergine ha assunto un’importanza in continuo aumento e che costituisce uno dei caratteri soprannaturali del nostro tempo. – Ma la devozione a Maria non poteva svilupparsi senza trarre seco il culto di S. Giuseppe. Maria e Giuseppe hanno effettivamente ambedue una parte troppo intima nel mistero dell’Incarnazione, l’una come Madre di Dio, l’altro come custode dell’onore della Vergine e Padre nutrizio del Bambino-Dio, perché si possano separare l’una dall’altro. Una venerazione particolare a S. Giuseppe è dunque stata la normale conseguenza della pietà verso la Santissima Vergine. E come, per rispondere alla devozione del popolo cristiano, Pio IX, il Papa che doveva proclamare il dogma dell’Immacolata Concezione, aveva esteso alla Chiesa universale il Patrocinio di S. Giuseppe ora unito alla festa del 19 marzo, così, a sua volta, il Papa che proclamò nel 1950 il dogma dell’Assunzione corporale di Maria al cielo, conscio dei bisogni del nostro tempo, ha voluto anche lui onorare S. Giuseppe in un modo tutto particolare.

Atti di S. S. Pio XII.

Ecco ciò che dicono gli Atti Pontifici che leggiamo nell’Ufficio di questo giorno: « La Chiesa, nella sua materna vigilanza, ha sempre avuto la più grande cura degli operai, pronta a difenderli e confortarli, creando e incoraggiando le loro associazioni, che il Sommo Pontefice Pio XII da molto tempo ha pensato di affidare al potentissimo patrocinio di S. Giuseppe. – Infatti questo santo, padre putativo di Gesù che s’è degnato farsi chiamare operaio e figlio di un operaio, ha attinto abbondantemente dalla sua intimità con Gesù quello Spirito che nobilita ed eleva il lavoro. È per questo che le associazioni operaie devono fare ogni sforzo perché Cristo sia sempre presente in loro, nei loro membri e nelle loro famiglie e infine in tutto il mondo operaio. Il più nobile scopo di queste associazioni non è forse quello di conservare e alimentare la vita cristiana dei loro iscritti e d’estendere il regno di Dio specialmente tra i compagni di lavoro? Di questa sollecitudine verso il mondo del lavoro, il Sommo Pontefice, di felice memoria, ne diede una nuova prova quando, in occasione del Congresso dei lavoratori riuniti a Roma il 1° maggio 1951, parlando all’immensa folla riunita in piazza S. Pietro, raccomandò vivamente l’educazione degli operai. Essa rappresenta effettivamente un dovere essenziale della nostra epoca poiché se gli operai saranno impregnati della dottrina cristiana, eviteranno gli errori oggi correnti sulla costituzione della società e dell’economia; e se conosceranno a fondo l’ordine morale istituito da Dio e promulgato e interpretato dalla Chiesa sui diritti e sui doveri degli operai e se prenderanno parte alla direzione degli affari, lavoreranno attivamente per instaurare tale ordine. In realtà è Cristo che, per primo, ha promulgato sulla terra ed ha affidato alla Chiesa quei principi che, per dirimere le questioni, rimangono immutati e conservano tutta la loro forza. – Ma affinché la dignità del lavoro e i principi che la costituiscono si radichino più profondamente negli animi, Pio XII istituì la festa di S. Giuseppe operaio, perché egli fosse il modello e il protettore di tutto il mondo lavoratore. Appunto da questo esempio, coloro che esercitano un’arte manuale devono apprendere in quale modo devono assolvere il loro dovere professionale, affinché, obbedendo subito all’ordine di Dio, rendano soggetta la terra (Gen. 1, 28) e lavorino per la prosperità economica e nello stesso tempo meritino le ricompense della vita eterna. Il vigile custode della Famiglia di Nazareth non mancherà di coprire con la sua protezione coloro che, come lui, esercitano un mestiere laborioso e d’arricchire le loro famiglie dei beni celesti. Ed è molto a proposito che Pio XII prescrisse che questa festa fosse celebrata il 1 maggio, giorno che il mondo del lavoro aveva adottato, con la speranza che questo giorno ormai consacrato a S. Giuseppe operaio non ecciterà più l’odio né provocherà discordie, ma che col suo annuale ritorno inviterà ogni lavoratore a completare sempre meglio ciò che manca alla pace dei cittadini e sia anche di stimolo ai governanti a condurre a buon fine ciò che esige l’ordine naturale della comunità umana. – L’umile condizione della Sacra Famiglia era per gli Scribi e i Farisei causa di scandalo. Per i loro occhi, colui che era di origine povera e disprezzabile non poteva essere il Cristo Signore, l’Unto di Dio. Invece, per coloro che hanno una vita laboriosa e modesta, costituisce un motivo di confidenza. I piccoli, gli umili, i poveri vi trovano un invito divino ad amare la condizione in cui vivono poiché ebbe il privilegio d’attirare sulla terra il Figlio di Dio e perché le sono anticipatamente assicurate le compiacenze del Padre celeste.

Nazareth.

Vien dunque a proposito ricercare nel Vangelo le manifestazioni di questa umiltà. La stessa città ove visse la santa Famiglia sembra aver avuto la proverbiale riputazione di mediocrità: « Può forse uscir qualcosa di buono da Nazareth? » diceva Natanaele (Gv. 1, 46). Eppure, « non è nella città reale di Gerusalemme e neppure nel tempio che le dava splendore, che viene mandato il santo Angelo; ma… in una piccola città dal nome quasi sconosciuto; ma alla sposa di un uomo che, veramente, era come lei di famiglia reale, ma ridotto ad un mestiere pesante, moglie di un artigiano ignoto, di un  povero falegname ». In questo villaggio « un’umile casa, ma più augusta del tempio; un arredamento umile e povero; un operaio, la sua sposa vergine. Osserviamo: abbiamo tutto da imparare. Nazareth è la scuola per eccellenza. Notiamo l’ambiente e l’atmosfera in cui si compiono le opere di Dio: l’umiltà, la povertà, la solitudine, la purezza, l’obbedienza ».

Betlemme.

La nascita di Gesù apporta forse qualche lustro alla Sacra Famiglia? Quantunque decaduta dalla sua origine reale, per ciò stesso che discende dalla stirpe di Davide e che i Magi hanno portato i loro doni al neonato fa supporre in lui un rivale che Erode tenterà di eliminare. Per sottrarlo a questo pericolo è necessario fuggire in Egitto. « Strana condizione di un povero artigiano che si vede bandito improvvisamente, e perché? Perché ha Gesù e l’ha in sua compagnia. Prima ch’Egli fosse nato alla sua santa Sposa, essi vivevano poveramente ma tranquilli nella loro casa, guadagnando alla bell’e meglio la vita col lavoro delle loro mani; ma appena viene loro dato Gesù, non hanno più riposo. Tuttavia Giuseppe si sottomette e non si lamenta di questo bambino fastidioso che porta solo la persecuzione; parte; va in Egitto dove tutto gli è nuovo, senza sapere quando potrà ritornare nella sua povera casa. Non si ha Gesù per niente: bisogna prender parte alle sue croci » (Bossuet). – Anche qui S. Giuseppe è il modello di tutti coloro che, in questa nostra società paganeggiante, dovranno aspettarsi d’essere segnati a dito, forse d’essere anche perseguitati, privati del lavoro, per l’unica ragione che sono fedeli a Cristo. Quanti genitori dovranno assottigliare le già modeste risorse e imporsi duri sacrifici per assicurare ai loro figli un’educazione cristiana, perché il Cristo viva nelle loro anime! La riflessione del Bossuet ha tutto il suo valore: « Ovunque entra Gesù, vi entra con la sua croce… Non si ha Gesù per niente ».

Il laboratorio di Nazareth.

Tuttavia la Sacra Famiglia rientrò dall’Egitto e, per consiglio dell’Angelo, ritornò a stabilirsi a Nazareth. Il fanciullo Gesù cresceva in età e in sapienza, davanti a Dio e davanti agli uomini e il Vangelo ci dice semplicemente che era loro sottomesso. « È dunque tutta qui l’occupazione di un Gesù Cristo, del Figlio di Dio? Tutto il suo lavoro, tutto il suo esercizio sta nell’obbedire a due sue creature? E in che cosa poi? negli uffici più bassi, nell’esercizio di un mestiere manuale. Dove sono quelli che si lamentano, che brontolano quando il loro impiego non corrisponde alle loro capacità?… Vengano nella casa di Maria e Giuseppe e osservino Gesù Cristo al lavoro. Non leggeremo mai che i suoi genitori abbiano avuto dei servi: come tutta la povera gente, sono i figli che fan da servitori ». Ora Gesù, come tutti gli operai dapprima fu apprendista e il maestro che l’avviò all’umile professione non fu altri che Giuseppe, suo padre putativo. Quale fosse il mestiere di S. Giuseppe e, per conseguenza, quello di Gesù, il Vangelo non lo dice espressamente; però non ci lascia completamente al buio a questo riguardo. Infatti S. Marco scrive che Gesù era faber, e S. Matteo fabri filius. Senza dubbio questa parola designava ogni operaio che lavorava materia dura, legno, pietra o metallo; ma la tradizione più comune e la sola che sia rimasta fino ai nostri giorni, vuole S. Giuseppe un lavoratore del legno. Lo si dice anche carpentiere, ma questa parola non dev’essere presa nel senso preciso che le vien dato oggi: allora indicava chiunque lavorasse il legno. – Anche i Padri della Chiesa si sono compiaciuti di rilevare il valore simbolico dell’arte manuale che S. Giuseppe insegnò a Gesù, il costruttore del mondo « fabricator mundi », che è venuto per edificare la Chiesa prefigurata nell’arca di Noè, quella vasta casa natante ove trovarono rifugio quelli che dovevano sfuggire al diluvio. Essi hanno soprattutto notato che Gesù, il quale aveva scelto il legno della croce per salvare il genere umano, durante la sua vita nascosta si era preparato all’opera della salvezza lavorando il legno. – Ed è coi gesti che gli erano da tanto tempo familiari che Gesù si è caricato sulle spalle la pesante croce del suo supplizio. Insegnandogli il suo mestiere, Giuseppe dava il suo contributo all’opera redentrice di Gesù. Vi fu mai sulla terra lavoro più glorioso, più utile agli uomini, più ricco di insegnamenti, che l’umile lavoro manuale che veniva fatto nella povera falegnameria di Nazareth dal falegname Giuseppe e da Gesù, figlio di Dio, suo garzone?

Preghiera.

Umile artigiano di Nazareth, glorioso protettore degli operai, volgete il vostro sguardo verso gli operai del nostro secolo. Il loro lavoro generalmente non rassomiglia a quello che voi faceste un tempo, né le moderne officine al quieto laboratorio di Nazareth. Il rumore assordante che vi regna impedisce allo spirito di elevarsi, come vorrebbe, al di sopra della materia; ma, soprattutto, una specie di paganesimo ne ha allontanato il Cristo che, solo, vi poteva portare la sua pace, la sua giustizia, la sua carità. Per alleviare il peso, insegnateci ad amare il lavoro. Da semplice svago qual era nel paradiso terrestre, è diventato un castigo con la caduta del primo uomo. Considerato disonorevole dal mondo antico, era riservato agli schiavi. Però già da tempo il salmista ne aveva proclamato la nobiltà: « Nutriti col lavoro delle tue mani e sarai felice e colmo di beni ». Ma Cristo è venuto e vi si è sottomesso, « e ciò facendo nobilitava il lavoro degli uomini e mutava in rimedio l’antica maledizione portata contro l’uomo in punizione del peccato originale. Sottoponendosi alla legge del lavoro, insegnava agli uomini, ai peccatori, a santificarsi per questa via » (Bossuet). A vostro esempio, o Giuseppe, a loro basta ormai unire il loro lavoro a quello di Cristo per farne un’opera meritoria che riunisce Cristo e i suoi fratelli sotto lo stesso sguardo di compiacenza del Padre celeste. Reso più facile agli uomini, il lavoro sarà anche un’offerta grata a Dio se, attenti allo spettacolo della vostra bottega di Nazareth, vi prendono l’esempio d’unione al Figlio di Dio che lavora con le sue mani, di fedeltà ai doveri del proprio stato, nella giustizia e nella Carità che farà del loro lavoro una vera preghiera e tra i loro compagni di lavoro una vera testimonianza resa a Cristo. Possiamo noi essere docili al vostro esempio, fiduciosi nel vostro patrocinio e, compiendo l’opera che ci è indicata dal Signore, ottenere le ricompense ch’Egli ci promette. Così sia.

 

Preghiera a S. Giuseppe prima del lavoro.

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Joseph, modèle de tous ceux qui sont voués au travail, obtenez-moi la gràce de travailler en esprit de pénitence, pour l’expiation de mes nombreux péchés; de travailler en conscience, mettant le culte du devoir au dessus de mes inclinations; de travailler avec reconnaissance et joie, regardant comme un honneur d’employer et de développer, par le travail, les dons reçus de Dieu; de travailler avec ordre, paix, modération et patience, sans jamais reculer devant la lassitude et les difficultés; de travailler surtout avec pureté d’intention et avec détachement de moi-mème, ayant sans cesse devant les yeux la mort et le compte que je devrai rendre du temps perdu, des talents inutilisés, du bien omis et des vaines complaisances dans le succès si funestes à l’oeuvre de Dieu. Tout pour Jesus, tout par Marie, tout à votre imitation, ó Patriarche Joseph! Tèlle sera ma devise à la vie et à la mort. Ainsi soit-il.

[O Glorioso S. Giuseppe, modello di tutti coloro che son dediti al lavoro, ottenetemi la grazia di lavorare con spirito di penitenza, per l’espiazione dei miei numerosi peccati; di lavorare con coscienza, ponendo il culto del dovere al di sopra delle mie inclinazioni; di lavorare con riconoscenza e gioia, considerando un onore l’impiegare e sviluppare, con il lavoro, i doni ricevuti da Dio; di lavorare con ordine, pace, moderazione e pazienza, senza mai indietreggiare davanti alla stanchezza e alle difficoltà; di lavorare soprattutto con purezza di intenzione e distacco da me stesso, avendo incessantemente davanti agli occhi la morte ed il conto che dovrò rendere del tempo perso, dei talenti non utilizzati, del bene omesso e del vano compiacimento del successo, sì funesto all’opera di Dio. Tutto per Gesù, tutto per Maria, tutto a vostra imitazione, o Patriarca Giuseppe! Tale sarà il mio motto in vita ed in morte. Così sia.]

Indulgentia quingentorum dierum (Pius X, Rescr. Manu Propr., 23 nov. 1906, exhib. 15 mart. 1907; S. Pæn.  MAGGIOAp., 28 mart. 1933).