I PAPI DELLE CATACOMBE (10)

I Papi delle Catacombe [10]

[J. Chantrel: I Papi delle Catacombe. Dillet ed. Parigi, 1862]


San Ponziano (230-235), successore di Urbano, esiliato dapprima nell’isola di Buccina, una delle più selvagge della costa meridionale della Sardegna, ebbe in seguito la testa tagliata nel primo anno della persecuzione di Massimiano.

San Antero (235-236), eletto in dicembre, fu martirizzato il 3 gennaio seguente, dopo un mese di Pontificato, consacrato a raccogliere gli atti dei martiri, comprovati da notai o scrivani deputati a questo scopo dopo il pontificato di San Clemente. –

Un avvenimento meraviglioso decise l’elezione di San Fabiano (236-250). I confratelli erano riuniti per l’elezione, e si proposero diversi personaggi considerevoli, senza pensare a Fabiano, che era presente, ma che non ancora apparteneva al clero. Tutto ad un tratto una colomba, volando sopra l’assemblea, venne a posarsi sul capo di Fabiano. Si considerò questo fatto straordinario come un’indicazione del cielo, e Fabiano fu acclamato ad una voce. Fu durante questo Pontificato che San Gregorio, soprannominato Taumaturgo, o fautore di miracoli, per i numerosi prodigi che operò, cominciò ad essere conosciuto in tutta la Chiesa. Questo Santo nacque a Cesarea, nel Ponto. I suoi genitori erano pagani; ancora giovane si recò a Cesarea in Palestina, e vi incontrò Origene, al tempo nel pieno fulgore della sua rinomanza. Le lezioni di questo grande maestro lo attrassero talmente, che non volle più lasciarlo. Egli abbracciò il Cristianesimo e fu battezzato. Essendo Origene obbligato a nascondersi a causa della persecuzione, Gregorio si recò ad Alessandria dove un prodigio venne ad attestare la castità dei suoi costumi, che aveva eccitato la gelosia di qualcuno dei suoi compagni di studi. Egli tornò a Cesarea, quando Origene poté ricominciare le sue lezioni, e dopo essersi rafforzato nella fede, tornò nella sua patria. Ci si aspettava di vedere un oratore abile ed un eminente giureconsulto; egli si mostrò ai suoi concittadini come un fervente neofito. Ben presto Fedimo, Vescovo di Amasea, lo giudicò degno dell’episcopato, e lo mise a capo della Chiesa di Neocesarea, che all’epoca non contava che diciassette cristiani. Neocesarea era una città ricca, grande e popolosa, ma i costumi erano corrotti e l’idolatria vi regnava senza ostacoli. La fede di Gregorio si infiammò e gli fece operare dei miracoli. La sua vita, a partire da questo momento, non fu che una serie di prodigi che attestavano alla lettera queste parole del Signore Gesù-Cristo. « La fede trasporta le montagne … voi farete miracoli più grandi dei miei. » Un sacerdote pagano gli disse un giorno: « comandate a questa roccia di andare in quel posto, ed io crederò a Gesù. » Gregorio comandò alla roccia che si spostò fino al punto designato. Le sue prime predicazioni ed i suoi miracoli operarono numerose conversioni a Neocesarea. Il Lycus, fiume che scorre vicino a questa città, straripava spesso devastando le campagne circostanti; il Santo piantò il suo bastone in un punto vietando al fiume di oltrepassarlo. San Gregorio di Nissa scriveva, più di cento anni dopo, che da allora non si erano più avuti straripamenti. Durante un viaggio che il Santo fece, due giudei, che conoscevano la sua carità, fecero ricorso ad uno stratagemma per ingannarlo. Uno dei due si stese a terra fingendosi morto; l’altro si lamentava pregando il Vescovo di dargli qualcosa per sotterrare il compagno. Il santo prese il suo mantello e lo pose sul preteso morto. Quando fu ben distante, l’impostore corse dal compagno dicendogli di alzarsi, ma costui era realmente morto. I miracoli, la saggezza, la carità e lo zelo di Gregorio furono ampiamente ricompensati. Sentendo approssimarsi la sua ultima ora (verso il 270) si informò se ci fossero ancora molti pagani nella sua città episcopale; non se ne trovarono che diciassette. Egli allora alzò le mani al cielo, sospirando del fatto che la vera religione non era la sola della sua diocesi; ma nello stesso tempo ringraziò il Signore che, come quando era arrivato, non si erano trovati che diciassette cristiani, nel lasciarla alla sua morte, non si erano trovati che diciassette infedeli. Il Pontificato di Fabiano fu illustrato dalla pietà e dallo zelo profuso contro l’eresia dal Santo Pontefice. Egli raccomandò il culto dei martiri, fece distribuire in maniera regolare le risorse che la carità dei fedeli metteva tra le sue mani, e morì gloriosamente per Gesù-Cristo nel primo anno della persecuzione di Decio. Qualche storico gli attribuisce la conversione dell’imperatore Filippo. La sede di Roma restò vacante per diciotto mesi, dopodiché fu eletto San Cornelio, che governò la Chiesa solo per quindici mesi (251-252). « È stato necessario, dice S. Cipriano, costringere il nuovo Pontefice per fargli accettare questa dignità. In lui non si vide che la tranquillità, la modestia connaturale a coloro che Dio sceglie come Vescovi. È così che egli giunse al supremo grado del sacerdozio, dopo essere passato attraverso tutti i ministeri della gerarchia, ed essersi mostrato in ciascuno di essi lo strumento della grazia divina. » Tuttavia questa elezione fu contestata, ed è all’epoca che si vide il primo Antipapa: Novaziano, che accusò Cornelio di essere un “libellatico”, cioè di avere comprato la propria vita con il denaro durante la persecuzione. Cinque sacerdoti di Roma seguirono Novaziano. L’antipapa si fece ordinare da tre vescovi italiani, dei quali carpì grossolanamente la buona fede facendoli piombare in uno stato quasi di ebrezza. Allo scisma, Novaziano aggiunse ben presto l’eresia; egli pretendeva che la Chiesa non avesse il potere di assolvere coloro che erano caduti nella persecuzione, qualunque penitenza venisse fissata; egli condannò assolutamente le secondo nozze, e sedusse un gran numero di persone con le sue apparenze di austerità e severità. San Dionigi di Alessandria combatté vigorosamente lo scisma; egli rispose in questi termini alla notifica dell’antipapa: « Se vi si è ordinato vostro malgrado, come pretendete, datene una prova abdicando dal vostro pieno grado, perché bisogna soffrire tutto, piuttosto che dividere la Chiesa di Dio. Il martirio che avreste da sopportare per evitare uno scisma, non sarebbe meno grave dell’altro. » San Cipriano radunò a Cartagine un Concilio di settanta vescovi, che anatemizzarono Novaziano e riconobbero il Papa legittimo. San Cornelio radunò da parte sua a Roma un Concilio si sessanta vescovi: Novaziano fu condannato; i cinque sacerdoti che lo avevano seguito, si sottomisero, come uno dei Vescovi che avevano consacrato Novaziano, e lo scisma finì per risolversi con la riprovazione di tutte le Chiese. San Cornelio fu messo in prigione per ordine dell’imperatore Gallo, che era succeduto a Decio, e fu in seguito esiliato a Civitavecchia, ove la gloriosa morte giunse il 14 settembre 252. Egli meritava, ha detto San Cipriano, la palma dei Confessori, perché aveva sfidato il furore dei tiranni, osando accettare un titolo che in questi tempi era una sentenza di morte. » Si è lodata in lui una purezza veramente verginale, una moderazione ed una fermezza singolare. Gli si attribuisce il decreto che vietava di ammettere alcun fedele a prestare un giuramento o a pronunciare dei voti, prima dei quattordici anni. [L’abbé Darras, Histoire de l’Église,].

San Luce, o Lucio, successore di San Cornelio, e che era stato esiliato con lui, non governò la Chiesa che per cinque mesi (25 settembre-4 marzo 253). La sua elevazione al Pontificato supremo, lo espose alla collera di Gallo, che lo esiliò quasi subito. Egli potette tornare a Roma dove lavorò febbrilmente a distruggere i resti dello scisma; ma catturato nuovamente, fu decapitato.

Santo Stefano I 253-257) ebbe fin dall’inizio a segnalarsi per la sua carità durante una orribile peste che devastò tuto l’impero e che fece a Roma in un solo giorno quasi cinquemila vittime. Egli si dimostrò degno Pastore di questo gregge desolato, ed inviò soccorsi fin nelle città più sperdute dell’impero. Una grave questione venne ad affliggere il suo cuore e minacciò di dividere la Chiesa. Si trattava di decidere se il Battesimo, conferito dagli eretici, fosse valido o meno. La dottrina della Chiesa, fuor di contestazione oggi, è che ogni Battesimo conferito nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito-Santo, è valido, fosse anche amministrato da un eretico o un pagano, ma che invece è nullo, fosse anche conferito da un Cattolico o un sacerdote, se mancano le condizioni che ne costituiscono l’essenza: l’acqua ed il Nome delle tre Persone della Santissima Trinità. La sede di Pietro non ha mai variato su questo punto, ed è la dottrina che sostenne il Papa Stefano. Ma San Cipriano fu di opposto parere; egli sostenne che bisognava battezzare di nuovo gli eretici e gli scismatici che si convertivano, e lo sostenne con tenacia tale che stava per condurre ad uno scisma. Santo Stefano si mostrò pieno di longanimità; contento di aver proclamato la legge, lasciò che il tempo portasse alla riflessione per ricondurre gli uomini che si ostinavano per un eccesso di zelo perché credevano essere quella la verità. San Cipriano espiò ben presto con un glorioso martirio ciò che gli si poteva rimproverare in questa diatriba; Santo Stefano avrebbe poi conquistato la medesima corona  qualche tempo prima di lui. Si è scritto di Santo Stefano che avrebbe contraddetto San Cornelio facendo reintegrare nella loro sede due vescovi di Spagna che Cornelio avrebbe destituito, e che avesse errato nella questione del Battesimo degli eretici. Ciò che è stato già detto, confuta la seconda accusa. Quanto ai Vescovi spagnoli di cui si tratta, è stato dimostrato che Cornelio né il suo successore Lucio, avessero mai avuto a che fare con loro, e che solo Santo Stefano ebbe a riformare un primo giudizio che aveva espresso sulla base di false informazioni. Ma si trattava in ogni caso di una questione disciplinare, che non tocca l’infallibilità della sede di Roma [Vedi in: l’abbé Constant, l’Histoire et l’infaillibilité des Papes.].

San Sisto II (257-258) successe a Santo Stefano; si è già parlato in precedenza del suo martirio e di quello del suo diacono San Lorenzo. Il suo Pontificato fu seguito dalla vacanza di un anno.

San Dioniso, che infine fu eletto, governò la Chiesa per dieci anni, (259-269). La persecuzione di Valeriano e le eresie di Sabellio e Paolo di Samosata turbarono il suo Pontificato. Il Martirologio dice di lui: « Egli si rese celebre per i grandi lavori che intraprese per la difesa della Chiesa, e per le istruzioni salutari che ha lasciato alla posterità. » San Basilio lo chiama un Papa illustre per l’integrità della sua fede e lo splendore delle sue virtù. Questi elogi mostrano che il santo Papa fosse degno dei suoi predecessori.

San Felice I fu eletto all’indomani della morte di San Dioniso. In capo a cinque anni (269-274), conquistò tra i tormenti la corona del martirio, durante la persecuzione di Aureliano.

San Eutichiano governò la Chiesa per quasi nove anni (275-283). I Cristiani godevano allora di grande libertà. Eutichiano si dimostrò pieno di sollecitudine per la conservazione delle reliquie dei martiri, e dichiarò che i fedeli che avevano sposato una donna non battezzata, godevano del diritto di ripudiarla o tenerla, a loro piacere. Qui ancora entra in gioco la disciplina della Chiesa, che non è contraria all’indissolubilità del matrimonio, poiché il Sacramento non può esistere che tra Cristiani.

Il Papa San Caio (283-296) vide ricominciare le persecuzioni. Cosa rimarchevole, egli era della Dalmazia, come l’imperatore Diocleziano, ed anche parente dell’imperatore, e fu dapprima schiavo di un senatore romano. La Provvidenza, dice uno storico della Chiesa (l’abbé Darras), destinava a due membri della stessa famiglia due sovranità ben diverse: l’uno assumeva con l’omicidio una corona che doveva ancora tingere con il sangue di migliaia di Cristiani; l’altro otteneva con le sue virtù una regalità spirituale che tanti dei suoi predecessori avevano pagato con il loro sangue. Era la differenza tre l’impero pagano e l’impero cristiano; essa indica tutto ciò che l’umanità aveva da guadagnare nella sostituzione del secondo al primo. Caio fu all’altezza delle terribili prove che si abbattevano sulla Chiesa: egli fu, dicono gli storici, un Pontefice di rara prudenza e di una virtù coraggiosa. Le sue sofferenze per la fede gli meritarono il titolo di martire.

San Marcellino, che gli successe (296-304), si dimostrò, dice Teodoreto, tanto forte per la persecuzione venuta ai suoi tempi. Non si poteva fare un elogio più bello ad un Papa che vide aprirsi l’era dei martiri. I donatisti, scismatici dell’Africa, osarono tuttavia, più di un secolo dopo, offuscare la memoria di questo coraggioso Pontefice, producendo gli atti supposti di un falso concilio di Sinuessa, che accusavano Marcellino di aver consegnato le Scritture sante ai persecutori e di avere, in un momento di debolezza, offerto incenso agli idoli. I lavori della moderna erudizione, in accordo con le testimonianze contemporanee più autentiche, hanno vendicato il Santo Papa di una calunnia che si appoggiava falsamente su di una leggenda inserita nel breviario romano. Sant’Agostino aveva già risolto la questione, rispondendo a Petiliano, capo e difensore dei donatisti: « Ed ora c’è dunque bisogno di rifiutare le accuse portate da Petiliano contro i Vescovi di Roma, che egli perseguitava con le sue imposture e calunnie con un accanimento incredibile? Egli accusa Marcellino, Melchiade, Marcello, Silvestro di aver consegnato i libri santi e presentato dell’incenso agli idoli;  ma un rimprovero che non è fondato su niente, può dunque da se stesso solo, stabilire la loro colpevolezza? Petiliano assicura che essi sono stati dei sacrileghi, ma io rispondo che essi sono innocenti: perché mettermi in pena di sviluppare mezzi di difesa, quando l’accusa non è sostenuta da alcuna prova? » Dopo il martirio di San Marcellino, la Santa Sede restò vacante per quasi quattro anni (304-308), tanto la persecuzione infuriava con violenza. Infine poté essere eletto San Marcello.

San Marcello. Il nuovo Papa doveva attendersi il martirio. Massenzio, figlio di Massimiano Ercole, essendo divenuto padrone di Roma, lo fece imprigionare, e gli ordinò di rinunciare al titolo di Vescovo e di sacrificare agli idoli. Marcello resistette: fu condannato a servire tra gli schiavi che prestavano cura alle scuderie imperiali. « Stravolto dalle fatiche e dalle umiliazioni di questa miserevole condizione, morì tra i rifiuti e le deiezioni. » È così che una pretesa Storia dei Papi, racconta la fine di San Marcello!  Quel che è vero però, è che dopo nove mesi dall’odioso supplizio che gli si inflisse, Marcello fu liberato nella notte dal suo clero, accolto nella casa ospitale di una dama romana, di nome Lucilla, che lo nascose con estrema cura. La polizia di Massenzio finì per scoprire il suo rifugio, ed il tiranno condannò il Santo Papa all’ultimo supplizio. San Marcello, eletto nel 308, morì nel 310.

San Eusebio,  che gli successe, governò la Chiesa solo per pochi mesi, durante i quali mostrò un grande zelo per la disciplina e la fede. Massenzio, che l’autorità del Sovrano-Pontefice, metteva in grande imbarazzo per la sua tirannia, volle mescolarsi agli affari della Chiesa, come d’altra parte fecero tanti imperatori e re dopo di lui. Eusebio conservò l’indipendenza del potere spirituale, ma fu esiliato in Sicilia, ove morì il 26 settembre del 310. La Santa Sede restò vacante quasi per un anno: i persecutori dovettero credere che avevano soffocato nel sangue questa Religione che perseguitavano così violentemente da sette interi anni. Si sono trovate delle iscrizioni nelle quali Diocleziano ed i suoi colleghi si vantavano di questa vittoria: « Diocleziano Giove, Massimiano Ercole, cesari augusti, dopo aver esteso l’impero romano in Oriente ed Occidente, ed aver abolito il nome di Cristiani che destabilizzavano lo Stato. » Triste trionfo! Diocleziano moriva a Salone, Massimiano Ercole moriva qualche mese dopo San Eusebio, la punizione di Massenzio era in preparazione, e dall’anno seguente, Galero doveva firmare, nel suo letto di dolore, l’editto che rendeva la pace alla maggior parte dell’impero. Questi sono i trionfi che si riportano sulla Chiesa. Lo stesso successore di San Eusebio,  San Melchiade, vide Costantino entrare a Roma; con questo grande imperatore, il Cristianesimo prendeva possesso del mondo.

San Melchiade, era il trentunesimo successore di San Pietro. Quale magnifica serie di santi e di martiri! Hanno tutti brillato per magnificenza di santità, di fede e di dottrina; tutti i Vescovi hanno reso loro omaggio, ed essi hanno dimostrato di condividere la sollecitudine di tutte le Chiese. L’eresia ha trovato in essi i più intrepidi avversari, la disciplina i suoi più decisi sostenitori; essi erano veramente i Vescovi dei Vescovi; era certamente la Chiesa Romana la madre e maestra di tutte le altre; era certamente là la sede di Pietro e queste porte contro le quali l’inferno non può prevalere. I fatti sono là; la storia, seriamente studiata, dissipa tutte le nubi che potrebbero restare negli spiriti: la falsa scienza, la blasfemia ed il sarcasmo non possono nulla contro la travolgente testimonianza di tutti i secoli.

FINE