IMITARE GESU’ CRISTO

IMITARE GESÙ CRISTO.

[G. Dalla Vecchia: Albe Primaverili; G. Galla ed. Vicenza. 1911 – impr.]

“Sed induimini Dominum Jesum Christum. ,,

Ma rivestitevi del Signore Gesù Cristo.

(Rom. XIII, 14)

ESORDIO. — Povero Gesù! dopo circa due anni di predicazione, di miracoli, di fatiche e di stenti, vede assottigliarsi le file dei suoi uditori; anche i suoi parenti dubitavano di lui. Neque enim fratres eius credebant in eum (Ioan. VII., 5).

Nella festa dei tabernacoli giunge, quasi solo, a Gerusalemme; nel Tempio cerca di persuadere il popolo, che la sua dottrina, non era sua, ma del Padre che lo aveva mandato. Indarno: chi ne dubita, altri muove obbiezioni, qualcuno sprezza le sue parole. — Ne nasce un tumulto ; si mandano soldati per catturarlo… Ma non era giunto ancora il momento prestabilito dall’eterno Genitore…

— Non è quello forse che succede anche al presente nel mondo? Anche adesso si mettono in dubbio e si negano le verità della fede; si perseguita la Chiesa, s’infrangono i suoi ordini, s’insultano i suoi ministri… Anche fra i buoni, come pochi meditano la vita di Gesù! come pochi si studiano d’imitare le sue virtù ed i suoi esempi, di seguire da vicino i suoi passi!

E Voi? — Deh! vi dirò coll’Apostolo, induimini Dominum Jesum Christum; rivestitevi di Gesù, Cristo, cercando di assomigliarlo nei pensieri, negli affetti, nelle intenzioni, nel suo operare. — Imitare Gesù Cristo è per noi cosa al tutto necessaria, della massima utilità per raggiungere con certezza e facilità il regno dei cieli. — Lo vedremo con tutta brevità.

PARTE PRIMA.

Per praticare la vera virtù, per farci santi, e salvare così 1’anima nostra, ci occorre un modello pronto e perfetto: questo modello è Gesù Cristo. — Quindi dobbiamo imitarlo.

1° – È necessario. — Sei creatura di Dio, devi servirlo… ; non a tuo capriccio…, ma come Egli vuole… Devi servirlo coll’imitare Gesù Cristo. — Hic est filius meus dilectus… ipsum audite (Luca IX, 35). — È la tua vocazione di cristiano; christianus alter Christus, così S. Gregorio; altrimenti non ti salvi. — Egli è la via, la verità e la vita… Per questo sei stato battezzato; hai rinunciato al demonio, ed alle sue opere malvagie… Gesù deve essere come la tua veste nuziale, con cui prendere parte alle nozze celesti… In hoc vocati sumus, ut sequamur vestigia eius ( I. Petri 2°, 21).

Tutti formiamo il corpo mistico della Chiesa; Gesù è il capo, noi le membra…; dunque dobbiamo operare, parlare, pensare come Lui, altrimenti vi sarà separazione… e ci mancherà la vita… Unum corpus sumus in Christo; singuli autem alter alterius membra (Rom. XII, 5). Divisi da Lui periremo, come tralci recisi dalla vite. — Si quis in me non manserit, mittetur foras sicut palmes, et arescet…, et in ignem mittent, et ardet (Ioan. XV, 6).

— Gesù Cristo insiste su questo punto tanto necessario: Io vi ho dato 1’esempio: come ho fatto io, dovete fare anche voi (Ioan. XIII, 15). — E poi: Voi mi chiamate maestro, e dite bene; lo sono infatti… Imparate dunque da me, perché sono mite ed umile di cuore…

— D’altra parte nessuno potrà arrivare fino al suo Padre celeste, se non imiterà Gesù Cristo. Nemo venit ad Patrem nisi per me • cioè, dice Cornelio a Lapide, me imitando (Ioan. XIV, 6).

2° – Imitare Gesù Cristo ci apporta una grandissima utilità nella vita spirituale.

(a) Siamo avvolti dalle tenebre della superbia…; dai dubbi, dalle incertezze… — Gesù è la vera luce che illumina ogni uomo, che viene a questo mondo (Ioan. VIII, 12).

— Chi lo segue ed imita le sue virtù, è certo di non sbagliare… Per godere di questa luce, occorre retta intenzione…, santa indifferenza nel seguirlo dovunque… Eamus et nos ut moriamur cum eo (Ioan. XI, 16).

(b) Si è deboli: si conosce il bene, lo si apprezza, eppure giù al male, perché non si vuole il sacrificio delle proprie inclinazioni. — Ma Gesù ti fortifica con la sua grazia…, col suo esempio…, coi consigli dei suoi ministri. Prope est Dominus omnibus invocantibus eum in veritate (Salmo CXLIV, 18).

(c) Tu soffri. Ma che cosa sono le tue pene al confronto di Gesù? — Sei malato? Ed Egli è tutto una piaga… Sei umiliato? — Eccolo vilipeso, calunniato, condannato…. a morire sopra una croce, tra due malfattori… Sei abbandonato? — E Gesù è derelitto dai suoi cari … ; Giuda lo tradisce, Pietro lo rinnega… — Segui Gesù, e le pene diventeranno dolci, soavi… Al punto di morte esclamerai contento: Ave Crux, spes unica…

(d) Santifica le tue azioni. — Perché le opere tue siano sante, occorre:

1° Un fine retto… Ebbene unisci nel lavoro… le tue intenzioni a quelle di Gesù — Egli diceva: Io non cerco la mia gloria, ma dò onore al Padre mio. Sed honorifico Patrem meum (Ioan. VIII).

2° – Fare sempre quello che vuole il Signore, — E Gesù proclama: Non sono venuto a fare la mia volontà, ma quella di Colui che mi ha mandato… ; quæ placita sunt ei, facio semper. E questa volontà del Padre suo, la chiama suo cibo, suo calice… Meus cibus est, ut faciam voluntatem eius, qui misit me (Ioan. IV, 34). — Calicem, quem dedit mihi Pater, non bibam illum? (Ioan. XVIII, 11).

(e) Ti rende simile a Gesù. Cristo. — Noi siamo i suoi membri, Egli il nostro capo… Dunque dobbiamo continuare, in qualche modo, in noi stessi le sue azioni, i suoi patimenti… Dobbiamo procurare, che la nostra vita si avvicini, al possibile, alla sua…, perché non si veda troppa differenza… Questo, l’otterremo coll’imitare Lui, nostro divino Modello… Adimpleo ea quæ desunt passionum Christi in carne mea. (Ad Colos. I, 24). Di più Gesù è il nostro fratello primogenito (Rom. VIII, 29) Quindi cerca di ritrarre in te le sue virtù, di renderti simile a Lui nelle parole, nel pensiero, nel lavoro, nella tribolazione…, per diventare in Lui veramente perfetto. Ut exhibeamus omnem hominem perfectum in Christo lesu (Coloss. I , 28). Allora potrai ripetere coli’ Apostolo: Non sono più io che vivo, ma è Gesù Cristo, che vive in me. “Vivo autem jam non ego, vivit vero in me Christus (Galatas. III, 20). Ecco la perfezione.

PARTE SECONDA.

Dunque è per noi assolutamente indispensabile imitare il divin Redentore, fino al punto di rivestirci completamente di Lui.

3° – Ma che devi fare per riuscire in un lavoro così importante e difficile? Come condurti per imitare il divino Maestro?

I . — Bisogna conoscerlo. — Leggi, medita spesso la sua vita… Betlemme, l’Egitto, Nazaret, il Cenacolo, la Croce, il Tabernacolo …, sono i grandi centri in cui si aggruppano i Misteri della vita del Salvatore… Contemplali con calma… ; studiali con costanza…, applicali alle tue circostanze… Inspice et fac secundum exemplar, quod Ubi in monte monstratum est (Esodo XXV, 10).

II — Bisogna amarlo. — Tu ami un amico…, ed a poco per volta, quasi senza accorgerti, prendi le sue abitudini, i suoi gusti… Amicus alter ego, dicevano gli antichi.

— Ama Gesù…, e sentirai il bisogno di vivere della sua vita… A parole non si ama; fatti ci vogliono… L’amore ti condurrà a seguirlo non solo nelle vie facili, ma ancora nei sentieri dirupati, anche nelle difficoltà, nelle privazioni, negli strazi, nei disprezzi. Sequar te quocumque ieris (Matth. VIII., 19).

III. — Confronta spesso la tua vita con quella di Gesù.

Lo scultore esamina con diligenza il modello, che deve ritrarre sul marmo; ad ogni tratto lo confronta col suo lavoro… Tu pure avvicina la tua umiltà, obbedienza, energia, purità, dolcezza… a quelle di Gesù… Vedi se corrispondano al suo gusto…, se siano difettose… Chiedi spesso a te medesimo: Come penserebbe Gesù in questa circostanza?

— Quali le sue parole? — Come si diporterebbe?

Poi mettiti all’opera. — Pregalo di aiuto; ché senza di Lui nulla puoi fare, neppure un buon pensiero meritorio per il cielo. – Ecco il modo pratico di imitare Gesù Cristo. Egli solo sia la tua scienza, la tua gloria… Non piegare, né a destra, né a sinistra… Ascolta la sua voce, che ti chiama con pietosa insistenza, con amoroso comando… Quid ad te? Tu me sequere (Ioan. XXI., 22). Studialo, amalo, seguilo, imitalo…, e tu sei virtuoso, perfetto, santo. Quos præscivit, et prædestinavit conformes fieri immagini Filii sui, (Rom. VIII, 29) ut sit ipse primogenitus in multis fratribus!

 

LUNEDI’ IN ALBIS (2018)

Lunedì in albis

Incipit
In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus
Exod XIII:5; XIII:9
Introdúxit vos Dóminus in terram fluéntem lac et mel, allelúja: et ut lex Dómini semper sit in ore vestro, allelúja, allelúja.  [Il Signore vi ha introdotti in una terra ove scorrono latte e miele, allelúia: affinché la legge del Signore sia sempre sulle vostre labbra, allelúia, allelúia.]
Ps CIV:1
Confitémini Dómino et invocáte nomen ejus: annuntiáte inter gentes ópera ejus.  [Glorificate il Signore, e invocate il suo nome: annunziate tra le genti le sue opere.]
Introdúxit vos Dóminus in terram fluéntem lac et mel, allelúja: et ut lex Dómini semper sit in ore vestro, allelúja, allelúja.   [Il Signore vi ha introdotti in una terra ove scorrono latte e miele, allelúia: affinché la legge del Signore sia sempre sulle vostre labbra, allelúia, allelúia.]

Oratio
Orémus.
Deus, qui sollemnitáte pascháli, mundo remédia contulísti: pópulum tuum, quǽsumus, coelésti dono proséquere; ut et perféctam libertátem consequi mereátur, et ad vitam profíciat sempitérnam. [O Dio, che nella solennità pasquale procurasti al mondo i mezzi di salvezza: accompagna il tuo popolo, Te ne preghiamo, col celeste aiuto, affinché consegua la perfetta libertà e avanzi verso la vita eterna.]

Lectio
Léctio Actuum Apostólorum.
Act. X, 37-43.
Aperiens autem Petrus os suum, dixit: In veritate comperi quia non est personarum acceptor Deus;  sed in omni gente qui timet eum, et operatur justitiam, acceptus est illi. Verbum misit Deus filiis Israel, annuntians pacem per Jesum Christum (hic est omnium Dominus). In diébus illis: Stans Petrus in médio plebis, dixit: Viri fratres, vos scitis, quod factum est verbum per universam Judaem: incípiens enim a Galilaea, post baptísmum, quod prædicávit Joánnes, Jesum a Názareth: quómodo unxit eum Deus Spíritu Sancto et virtúte, qui pertránsiit benefaciéndo, et sanándo omnes oppréssos a diábolo, quóniam Deus erat cum illo. Et nos testes sumus ómnium, quæ fecit in regióne Judæórum et Jerúsalem, quem occidérunt suspendéntes in ligno. Hunc Deus suscitávit tértia die, et dedit eum maniféstum fíeri, non omni pópulo, sed téstibus præordinátis a Deo: nobis, qui manducávimus et bíbimus cum illo, postquam resurréxit a mórtuis. Et præcépit nobis prædicáre populo et testificári, quia ipse est, qui constitútus est a Deo judex vivórum et mortuórum. Huic omnes Prophétæ testimónium pérhibent, remissiónem peccatórum accípere per nomen ejus omnes, qui credunt in eum.

Omelia I

[Mons. Bonomelli, Nuovo saggio di Omelie, Vol. II, om. XIII – Marietti ed. 1898]7

“Pietro disse: Fratelli, con tutta certezza io ho compreso, che Dio non è accettatore di persona; che anzi chiunque lo teme edopera la giustizia, a qualunque nazione egli  appartenga, gli è accetto. Iddio mandò la parola ai figli d’Israele, annunziando la pace per Gesù Cristo (è questi il Signore di tutti); voi conoscete ciò che è avvenuto per tutta la Giudea, cominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni; come Iddio unse Gesù di Nazaret di Spirito Santo e di potenza, il quale andò attorno facendo beneficii e liberando quanti erano posseduti dal demonio, perché Dio era con lui. E noi siamo testimoni di tutto ciò ch’egli fece nel paese dei Giudei e in Gerusalemme. Essi, i Giudei, lo uccisero, sospendendolo ad un legno. Dio lo ha risuscitato il terzo giorno ed ha fatto che fosse conosciuto, non già a tutto il popolo, ma a testimoni preparati da Dio, cioè a noi che abbiamo mangiato e bevuto con Lui, dopo ché fu risorto dai morti. Ed Egli ci comandò di predicare al popolo e di attestare, ch’esso è costituito da Dio giudice dei vivi e dei morti. A lui rendono testimonianza tutti i profeti, che nel suo nome si riceve la remissione dei peccati da quanti credono in Lui „ (Atti apost, X, 34-43).

Nulla di più conveniente quanto il ricordare ai fedeli il grande mistero della risurrezione di Gesù Cristo anche in questa seconda festa della santa Pasqua. E perciò la Chiesa ci fa leggere nell’Epistola della Messa odierna il compendio di un bellissimo discorso, nel quale S. Pietro annunzia il miracolo della risurrezione ad alcuni Gentili. E perché conosciate la ragione di questo discorso di S. Pietro, compendiato da S. Luca, è necessario fare un po’ di storia. – I profeti in modo chiarissimo avevano annunziato che il futuro Messia avrebbe chiamato al conoscimento della verità anche i Gentili: Cristo più e più volte l’aveva insegnato agli Apostoli, anzi fatto loro un comando formale di predicare il Vangelo dovunque e battezzare tutte le genti. Gli Apostoli pertanto sapevano benissimo che anche i Gentili dovevano essere chiamati alla fede ed alla Chiesa di Gesù Cristo; ma trovavano una fiera opposizione, non solo nei Giudei avversi al Vangelo, ma ciò che era peggio, anche nei Giudei già divenuti cristiani. Questi, ancorché credenti in Gesù Cristo, non sapevano persuadersi, che i Gentili dovessero essere pareggiati a loro, figliuoli di Abramo: non potevano tollerare che ricevessero il battesimo come loro, se prima non professavano il mosaismo e non si sottomettevano alla circoncisione. Gli Apostoli, ancorché conoscessero perfettamente la volontà di Cristo, erano sospesi quanto al modo e al tempo di procedere in cosa sì grave e sì delicata per non offendere troppo apertamente questi Ebrei cristiani, sì deboli nella fede. Aspettavano che la Provvidenza aprisse loro la via, e l’aperse col fatto narrato da San Luca nei versetti precedenti a quelli che vi ho recitati. A Cesarea viveva un centurione romano, della coorte detta Italica; era gentile, ma religioso, pio, caritatevole, pregava Dio che lo illuminasse: e come lui, era tutta la sua famiglia. Un giorno gli apparve un Angelo e gli impose di chiamare Pietro, che si trovava a Joppe, l’odierna Giaffa. Vi mandò due suoi domestici e un soldato fedele, e Pietro, a cui Iddio con una mirabile visione aveva fatto conoscere, che l’ora di chiamare alla fede anche i Gentili era venuta, andò con loro a Cesarea, entrò nella casa di Cornelio, dov’erano raccolti molti altri Gentili: vi fu ricevuto come un Angelo del cielo. A questo gruppo di Gentili, che cercavano la verità con tanto amore, che vivevano piamente, Pietro rivolge il discorso, del quale lo scrittore degli Atti apostolici ci ha conservato un brevissimo sunto. Ora commentiamolo. – S. Pietro parlava ad una piccola radunanza di Gentili, che l’avevano chiamato affinché li istruisse: due miracoli erano avvenuti, l’apparizione dell’Angelo a Cornelio e la visione manifestata a Pietro, ed entrambi i miracoli erano evidentemente volti a provare che anche i Gentili dovevano essere ricevuti nella Chiesa. Ciò posto, nulla di più naturale di queste prime parole di S. Pietro: “Con tutta certezza ho compreso che Dio non è accettatore di persona. „ Comprendo, dice l’Apostolo, che ora è venuto il tempo della salute anche per i Gentili: la volontà di Dio ora è manifesta: “Egli non è accettatore di persona. „ È una espressione ripetuta più volte nei Libri del nuovo Testamento, e significa che nella distribuzione dei suoi doni il Signore non guarda alle qualità personali di nazione o di patria, d’ingegno, di dottrina, di ricchezza o povertà, od altre doti, come sogliono fare gli uomini. Iddio non è tenuto di dare le sue grazie a chicchessia appunto perché sono grazie. Nondimeno per sua bontà e perché l’ha promesso, le grazie necessarie a salute, mediatamente o immediatamente, le dà a tutti. – Ciò non toglie ch’Egli poi sia più largo con gli uni che con gli altri, secondochè a Lui piace secondo i consigli della sua sovrana sapienza, che a noi non è dato di scrutare. – Credevano i Giudei d’avere essi soli diritto alla fede, perché figli di Abramo, e ne volevano esclusi i Gentili, perché Gentili. No, dice S. Pietro, Dio non guarda se siano Giudei o Gentili, non distingue gli uni dagli altri, ed offre a tutti la sua grazia, perché tutti sono opera delle sue mani e per tutti Gesù Cristo è morto. Una cosa sola Dio esige, ed è “che lo si tema e si operi la giustizia: chi fa questo, a qualunque nazione egli appartenga, è accetto a Dio. „ Qui si affaccia una difficoltà: noi sappiamo per fede, che nessun uomo può fare cosa alcuna che lo renda accetto a Dio, se prima non riceve la sua grazia, e qui il Principe degli Apostoli afferma ch’Egli, Dio, ha per accetto, ossia dà la grazia a chi lo teme e opera la giustizia: sembra dunque che le opere buone dell’uomo debbano precedere la grazia, che è errore manifesto ed eresia. Come dunque si ha da intendere? Ecco, o carissimi. Le grazie di Dio sono come una catena, nella quale un anello tira con sé l’altro. Dio comincia e dà la prima grazia ai poveri Gentili, giacché in questo luogo si parla a Gentili: li muove a pregare, a fare limosine, a cercare la verità; se essi corrispondono a questa grazia prima, per una cotale convenienza e per la bontà e promessa di Dio, si rendono in qualche modo meritevoli d’altre grazie maggiori, finché si compia l’opera della loro conversione e santificazione. Il timore adunque di Dio e l’opera della giustizia, di cui parla San Pietro, e che a Dio rendono accetto l’uomo, suppongono sempre la grazia precedente, senza della quale l’uomo non può né cominciare, né proseguire opera buona alcuna. Voi, il paragone è di S. Francesco di Sales, voi, viaggiando verso la patria, stanchi vi addormentate all’ombra d’un albero. Il sole, continuando il suo cammino, drizza i suoi raggi sul vostro volto e vi costringe ad aprire gli occhi: voi allora vi accorgete che l’ora è tarda, che bisogna ripigliare il cammino: vi alzate  alla luce del sole e proseguite la via. Fu il sole che vi destò, il sole che vi mostrò la via da percorrere e alla luce del sole camminaste. Così fa la grazia di Dio col peccatore, col Gentile: comincia a fargli conoscere la verità, lo eccita a fare alcune opere, che lo preparano alla conversione, e finalmente lo converte, rinnova il suo cuore, lo rende figlio di Dio, e cominciando con la grazia attuale, finisce con la abituale e santificante. – Ma ascoltiamo S. Pietro. Dio dà la gtazia a tutti senza far distinzione tra Giudeo e Gentile, ed io, dice l’Apostolo, son venuto ad annunziarvela. Sappiate adunque che Dio mandò la parola ai figliuoli d’Israele, „ cioè fece loro conoscere la verità per mezzo della parola e della predicazione di Gesù Cristo, predicazione annunziatrice della pace, che deve stabilirsi tra Dio e gli uomini, riconciliando questi con quello; predicazione di Gesù Cristo, che è, sappiatelo bene, il Signore di tutti, perciò Signore degli Ebrei non meno che dei Gentili, e dispensatore egualmente a tutti delle sue grazie. – E qui S. Pietro in poche parole accenna alla predicazione di Gesù Cristo, che ebbe principio nella Galilea, dopo il battesimo ricevuto da Giovanni, e poi si sparse ampiamente per tutta la Giudea. Voi conoscete, prosegue S. Pietro, come Iddio unse Gesù da Nazaret di Spirito Santo e potenza. I Gentili, ai quali parlava S. Pietro, senza dubbio dovevano, almeno per fama, conoscere Gesù Cristo e le opere che aveva compiuto, giacché il fatto qui narrato avvenne cinque o sei anni circa dopo la sua morte, e grande era il rumore che si era levato in tutta la Palestina e cresceva ogni giorno mercé la predicazione degli Apostoli. E che unzione è questa, della quale parla il sacro testo? Un’unzione qualunque suppone chi la dà e chi la riceve, e naturalmente significa non solo una applicazione esterna del liquido che si adopera, ma una penetrazione intima del medesimo, a talché la parte unta ne rimane, a così dire, tutta imbevuta. Che cosa raffigura questa unzione? Senza dubbio la grazia divina, che a guisa d’olio o di balsamo tutta penetra e imbeve l’anima, risanandola, nutrendola, rafforzandola e trasformandola. Chi è Colui, che dà questa unzione, che sparge questo balsamo divino? È Dio Padre, Dio Figlio, Dio Spirito Santo, con un solo e medesimo atto. E perché poi qui si attribuisce al solo Spirito Santo? Non sono esclusi il Padre ed il Figlio, ma si nomina il solo Spirito Santo, perché questa unzione o grazia è dono di Dio, è atto di amore, e lo Spirito Santo è l’Amore sostanziale del Padre e del Figlio, e però dice un rapporto particolare allo Spirito Santo. E chi è Colui che riceve questa unzione dello Spirito Santo? È Gesù Cristo in quanto uomo. Nell’atto istesso, in cui l’anima sua fu creata e congiunta al corpo, e anima e corpo congiunti alla Persona del Verbo di Dio in guisa che Egli poté dire: Io sono Dio, ed Io sono Uomo; in quell’istante istesso dalla Persona del Verbo si riversò nell’umanità assunta tutta la pienezza della grazia quanta ve ne capiva: l’umanità assunta, anima e corpo, fu come una massa d’oro posta in mezzo ad un fuoco immenso, che tutta la investe, la penetra, la trasforma, senza mutare la sua natura di oro. È questa l’unzione che Gesù in quanto uomo ricevette, e in quell’istante divenne Re e Sacerdote e Mediatore dell’umanità tutta. S. Pietro poi dice che questa unzione fu anche unzione di potenza, accennando al potere stabile e proprio di operare miracoli, che Gesù ebbe nell’atto stesso in cui si compì l’unione ipostatica. E questa potenza sovraumana e divina, che Gesù Cristo ebbe per l’unione personale, la esercitò a benefìcio degli uomini: Pertransiit benefaciendo: liberando i corpi e le anime dalla tirannica signoria del peccato e del demonio. In queste parole S. Pietro annunziò a quei buoni Gentili la divinità di Gesù Cristo, e le prove della sua divinità, che furono i miracoli onde fu ripiena la sua vita pubblica. Ecco, grida S. Pietro, ecco le prove della divinità di Gesù Cristo, della sua missione e della nostra: i miracoli; e di questi miracoli, continua il Principe degli Apostoli con l’accento della più profonda convinzione che gli sgorga dall’anima, noi, noi stessi siamo testimoni. Noi l’abbiamo seguito in Giudea, a Gerusalemme: noi l’abbiamo visto darsi nelle mani dei suoi nemici, i Giudei: noi l’abbiamo visto appeso ad un legno e messo a morte: noi, noi, al terzo dì l’abbiamo veduto risorto, come aveva promesso: Egli apparve a noi, così Pietro prosegue come rapito da un sacro entusiasmo; no, non si mostrò a tutti, ma a quelli che erano stati alla sua scuola e preparati all’ufficio di annunziare la sua dottrina; si mostrò a noi in guisa che non ci fu, né ci è possibile ingannarci: noi l’abbiamo veduto, noi abbiamo mangiato, noi abbiamo bevuto con Lui. Come dunque potevamo dubitare della sua risurrezione, e perciò della verità delle dottrine per Lui insegnate? Voi vedete, o cari, come il Principe degli Apostoli dopo aver esposta la vita di Cristo e accennati i suoi miracoli, collochi la prova massima e irrecusabile della divinità di Gesù Cristo e del dovere di credere alla sua dottrina sul fatto, sul miracolo splendidissimo fra tutti della sua risurrezione. E veramente questo è la corona ed il suggello di tutti gli altri; la risurrezione è per se stessa il sommo dei miracoli, perché il ridare la vita a chi non l’ha domanda una potenza al tutto divina: Dio solo è padrone della vita; perché qui è un morto, anzi uno ucciso dai suoi nemici, che si è dato in loro mano vivo e morto, che risuscita se stesso; perché predisse la sua morte e il modo della morte, e predisse la risurrezione e ne determinò il tempo, e perché volle che gli stessi suoi nemici ne fossero testimoni. – In tutta la sua vita appellò costantemente a questo miracolo della risurrezione e a questo miracolo, per così dire, ridusse tutte lo prove della sua missione, onde questo miracolo è come la conferma degli altri, e tutti li lega insieme e formano tal fascio di prove, che schiacciano la ragione più esigente e più ribelle. S. Pietro dice che Gesù-Cristo si mostrò risorto “non a tutto il popolo, ma sì a testimoni preordinati o preparati da Dio. „ Perché ciò? Non sarebbe stato meglio che Gesù risuscitato si fosse dato a vedere, non ai soli Apostoli e discepoli, ma a tutti, anche ai suoi nemici, e a questi sopra tutto? In tal guisa non li avrebbe umiliati e conquisi e chiusa la bocca della incredulità? Senza dubbio Dio così poteva fare, ma se non lo fece, è forza conchiudere che non era questa la via che meglio conveniva ai disegni della sua sapienza. Era troppo giusto che le sue apparizioni dopo la risurrezione fossero riserbate ai suoi cari discepoli, quasi premio della loro fedeltà e conforto ai patimenti sofferti e argomento fortissimo, che li doveva sostenere nella missione loro affidata di annunziare da per tutto il Vangelo del Maestro. Né punto era scemata la certezza della risurrezione di Gesù Cristo, poiché gli Apostoli, i discepoli e i testimoni della medesima pel numero, per la qualità, per la varietà delle apparizioni erano tanti e tali da togliere qualunque ombra di dubbio e da generare la più assoluta certezza del miracolo. Che si poteva volere di più? Oltrediché è da por mente che Iddio dà e deve dare gli argomenti e le prove, che mettano al di sopra d’ogni dubbio la verità della fede, ma lascia e sta bene che lasci sempre libero l’assenso dell’uomo, affinché non gli sia tolto il merito della fede istessa ed abbia modo di rendere omaggio alla autorità divina, che gli dice: Credi. Ponete che Gesù Cristo si fosse mostrato solennemente a tutti, ai suoi nemici e crocifissori: che ne sarebbe avvenuto? O avrebbe quasi a forza estorto il loro assenso, o questi, perfidiando, avrebbero negato l’apparizione istessa, spiegandola coi sofismi sempre pronti a servigio delle passioni: quelli che negarono tanti miracoli di Gesù Cristo, e specialmente l’ultimo della risurrezione di Lazzaro, avrebbero trovato modo di revocare in dubbio anche la solenne apparizione di Cristo, se loro fosse stata concessa. – Iddio dispone ogni cosa con ordine e soavità; Egli rispetta la libertà dell’uomo, e porge alla sua ragione prove sufficienti della verità, ma rifiuta di appagare la sua curiosità e secondare la sua pervicacia e i suoi capricci. – S. Pietro chiude il suo discorso con queste due sentenze: “Gesù ci comandò di predicare al popolo e di attestare ch’Egli è costituito giudice da Dio dei vivi e dei morti. A Lui rendono testimonianza i profeti, che si riceve nel suo nome la remissione dei peccati da quanti credono in Lui. „ Gesù Cristo si dice costituito giudice dei vivi e dei morti, che è quanto dire, Egli ha potere sovrano su tutti gli uomini, buoni e cattivi, viventi e già morti, e renderà a suo tempo a ciascuno secondo le opere sue. Verità fondamentale, con cui si termina ogni simbolo, che deve scuotere ogni uomo, il quale pensi al suo avvenire, e che S. Pietro non poteva tacere a quei Gentili, che l’avevano chiamato e volevano udire la novella dottrina. Il giudizio divino, che sarà fatto alla fine dei secoli, ci attende tutti. Guai a coloro, che si troveranno innanzi a Lui schiavi del peccato! Bisogna liberarci dai peccati ottenerne il perdono prima di quel giorno; e chi ce lo darà questo perdono dei peccati? Lui stesso, che deve essere il nostro giudice, Gesù Cristo. Tutti i profeti, annunziando la sua venuta, ci attestano che la remissione dei peccati non ci può venire che da Gesù Cristo, il quale ha dato il prezzo del nostro riscatto, ha versato per noi il suo sangue ed è divenuto la nostra riconciliazione, la nostra redenzione e santificazione, come scrive san Paolo. E come otterremo noi questa remissione dei nostri peccati? “Credendo in Lui. „ Non già che per ottenerla basti la sola fede, come dissero alcuni eretici; ma credendo in Lui e facendo ciò che Egli insegna. La fede sola senza le opere a nulla giova; essa ci segna la via che dobbiamo battere, ci dice ciò che dobbiamo fare per salvare le anime nostre, e in questo senso le Scritture sante affermano che la fede ci salva; così diciamo assai volte: Il medico mi ha salvato, il maestro mi ha appreso la verità, l’amico mi ha messo sulla buona via, in quanto che m’hanno suggerito il rimedio efficace, m’hanno insegnato ciò che dovevo fare per apprendere la verità, mi hanno consigliato di tenere la retta via; ma certamente questi beni non sono opera esclusivamente del medico, del maestro o dell’amico. È sempre la stessa fondamentale verità, che si ribadisce: la fede è il principio e la radice della giustificazione: è il seme, che germoglia la spiga e l’albero. Se voi non aveste il seme non potreste mai avere la spiga e l’albero: ma potreste avere il seme senza avere la spiga e l’albero quando lo spegneste, oppure non fosse debitamente coltivato, irrigato dall’acqua e riscaldato dal sole. Senza la fede è impossibile la vita cristiana: ma perché la fede ci salvi e produca i suoi frutti si domanda l’opera nostra, dirò meglio, la nostra cooperazione. Conservate adunque con somma cura il seme della fede e con l’opera vostra rendetela feconda e fruttuosa. Se noi riandiamo al discorso di S . Pietro, troviamo che è come l’epilogo del catechismo, il compendio del Simbolo. Ci insegna che Dio offre a tutti la sua grazia, Giudei e Gentili, purché facciano quanto per loro è possibile; che Iddio mandò il Figliuol suo Gesù Cristo; annunziò la verità e la confermò coi miracoli; ch’Egli patì e morì in croce e risuscitò da morte; che la sua risurrezione, il massimo dei miracoli, è indubitata, perché gli Apostoli e i discepoli tutti lo videro; che Gesù Cristo è il giudice supremo dei vivi e dei morti, che per Lui solo si può avere la remissione dei peccati, facendo ciò ch’Egli con la fede ci insegna. Eccovi in queste poche parole compendiato il Simbolo.

Alleluja
Allelúja, allelúja.
Ps CXVII:24; 2.
Hæc dies, quam fecit Dóminus: exsultémus et lætémur in ea.
V. Dicat nunc Israël, quóniam bonus: quóniam in saeculum misericórdia ejus. Allelúja, allelúja.
Matt XXVIII:2.
Angelus Dómini descéndit de cœlo: et accédens revólvit lápidem, et sedébat super eum. [Alleluia, alleluia Questo è il giorno che fece il Signore: esultiamo e rallegriàmoci in esso. – Dica, Israele quanto è buono: la sua misericordia nei secoli. Alleluja, alleluja. – Un Angelo del Signore discese dal cielo: e, avvicinatosi, fece rotolare la pietra e sedette su di essa.]

Sequentia
Víctimæ pascháli laudes ímmolent Christiáni.
Agnus rédemit oves: Christus ínnocens Patri reconciliávit peccatóres.
Mors et vita duéllo conflixére mirándo: dux vitæ mórtuus regnat vivus.
Dic nobis, María, quid vidísti in via?
Sepúlcrum Christi vivéntis et glóriam vidi resurgéntis.
Angélicos testes, sudárium et vestes.
Surréxit Christus, spes mea: præcédet vos in Galilaeam.
Scimus Christum surrexísse a mórtuis vere: tu nobis, victor Rex, miserére.
Amen. Allelúja.

[Alla Vittima pasquale, lodi offrano i Cristiani.
L’Agnello ha redento le pécore: Cristo innocente, al Padre ha riconciliato i peccatori.
La morte e la vita si scontràrono in miràbile duello: il Duce della vita, già morto, regna vivo.
Dicci, o Maria, che vedesti per via?
Vidi il sepolcro del Cristo vivente: e la glória del Risorgente.
I testimonii angélici, il sudario e i lini.
È risorto il Cristo, mia speranza: vi precede in Galilea.
Noi sappiamo che il Cristo è veramente risorto da morte: o Tu, Re vittorioso, abbi pietà di noi. Amen. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Lucam.
Luc. XXIV:13-35
In illo témpore: Duo ex discípulis Jesu ibant ipsa die in castéllum, quod erat in spátio stadiórum sexagínta ab Jerúsalem, nómine Emmaus. Et ipsi loquebántur ad ínvicem de his ómnibus, quæ accíderant. Et factum est, dum fabularéntur et secum quaererent: et ipse Jesus appropínquans ibat cum illis: óculi autem illórum tenebántur, ne eum agnóscerent. Et ait ad illos: Qui sunt hi sermónes, quos confértis ad ínvicem ambulántes, et estis tristes? Et respóndens unus, cui nomen Cléophas, dixit ei: Tu solus peregrínus es in Jerúsalem, et non cognovísti, quæ facta sunt in illa his diébus? Quibus ille dixit: Quæ? Et dixérunt: De Jesu Nazaréno, qui fuit vir Prophéta potens in ópere et sermóne, coram Deo et omni pópulo: et quómodo eum tradidérunt summi sacerdótes et príncipes nostri in damnatiónem mortis, et crucifixérunt eum. Nos autem sperabámus, quia ipse esset redemptúrus Israël: et nunc super hæc ómnia tértia dies est hódie, quod hæc facta sunt. Sed et mulíeres quædam ex nostris terruérunt nos, quæ ante lucem fuérunt ad monuméntum, et, non invénto córpore ejus, venérunt, dicéntes se étiam visiónem Angelórum vidísse, qui dicunt eum vívere. Et abiérunt quidam ex nostris ad monuméntum: et ita invenérunt, sicut mulíeres dixérunt, ipsum vero non invenérunt. Et ipse dixit ad eos: O stulti et tardi corde ad credéndum in ómnibus, quæ locúti sunt Prophétæ! Nonne hæc opórtuit pati Christum, et ita intráre in glóriam suam? Et incípiens a Móyse et ómnibus Prophétis, interpretabátur illis in ómnibus Scriptúris, quæ de ipso erant. Et appropinquavérunt castéllo, quo ibant: et ipse se finxit lóngius ire. Et coëgérunt illum, dicéntes: Mane nobiscum, quóniam advesperáscit et inclináta est jam dies. Et intrávit cum illis. Et factum est, dum recúmberet cum eis, accépit panem, et benedíxit, ac fregit, et porrigébat illis. Et apérti sunt óculi eórum, et cognovérunt eum: et ipse evánuit ex óculis eórum. Et dixérunt ad ínvicem: Nonne cor nostrum ardens erat in nobis, dum loquerétur in via, et aperíret nobis Scriptúras? Et surgéntes eádem hora regréssi sunt in Jerúsalem: et invenérunt congregátas úndecim, et eos, qui cum illis erant, dicéntes: Quod surréxit Dóminus vere, et appáruit Simóni. Et ipsi narrábant, quæ gesta erant in via: et quómodo cognovérunt eum in fractióne panis.

OMELIA II

[Id. Omelia XIV.]

“Il giorno medesimo due dei discepoli di Gesù se ne andavano ad una borgata, lontana sessanta stadi da Gerusalemme, chiamata Emmaus. E ragionavano fra loro di tutto ciò che era accaduto. E avvenne che ragionando ed investigando tra loro, appressatosi lo stesso Gesù, camminava con essi; ma i loro occhi erano trattenuti dal conoscerlo. Ed Egli disse loro: Che discorsi son questi che scambiate tra voi per via, e perché vi mostrate tristi? E rispondendo uno di loro, che aveva nome Cleofa, gli disse: Sei tu solo nuovo in Gerusalemme e non conosci le cose che vi sono avvenute in questi giorni? E disse loro: Quali? E quelli a Lui: di Gesù Nazareno, il quale fu profeta, potente in opere e parole innanzi a Dio e a tutto il popolo: e come i nostri principali sacerdoti e magistrati lo deferirono a giudizio capitale e lo confissero in croce. Noi poi speravamo, ch’Egli fosse per riscattare Israele, e frattanto in mezzo a queste cose, oggi siamo al terzo dì che sono avvenute. Anzi alcune delle nostre donne ci hanno stupiti perché, prima di giorno andate al sepolcro e non trovatovi il sepolto, vennero a dirci d’avere anche veduta una visione di Angeli, i quali dicono Lui essere vivo. E alcuni dei nostri andarono al sepolcro e trovarono le cose come dicevano le donne; ma Lui non lo trovarono. Ed Egli disse loro: O stolti e tardi di cuore a credere a quanto i profeti hanno detto! Non era forse necessario, che il Cristo ciò patisse e così entrasse nella sua gloria? E cominciando da Mosè e da tutti i profeti, interpretava loro le cose che lo riguardavano in tutte le Scritture. E si avvicinarono alla borgata, dove andavano, ed Egli fece vista di andar oltre. Ma essi gli fecero forza, dicendo: “Resta con noi, che ormai è sera, ed il giorno tramonta”; ed entrò con essi. E accadde, che essendo a mensa con essi, Egli, preso il pane, lo benedisse, e spezzatolo lo porse loro. Allora i loro occhi si apersero e lo conobbero, ma Egli sparì da loro. E dissero l’un l’altro: Ora il nostro cuore non ardeva in noi, allorché Egli ci parlava per via e ci spiegava le Scritture? E in quell’ora stessa levatisi, ritornarono in Gerusalemme, e trovarono radunati gli undici e gli altri con loro, i quali dicevano: Il Signore è veramente risorto, ed è apparso a Simone „ (S. Luca, XXIV, 13-34).

Questo racconto evangelico, benché alquanto lungo, è d’un candore, d’una bellezza, d’una precisione di contorni, d’una vivezza di tinta, d’una naturalezza al tutto meravigliosa, e ci fa conoscere lo stato di timore, di speranza, di dubbi angosciosi, di confusione e d’ignoranza, in cui si dibattevano i poveri Apostoli dopo la catastrofe imprevista del Calvario. Non vi è bisogno alcuno di commento, trattandosi di cose chiarissime per se stesse, ed io perciò mi limiterò a fare qua e là alcune riflessioni pratiche secondoché verranno a taglio. – Il giorno stesso due dei discepoli di Gesù se ne andavano ad una borgata lontana sessanta stadi da Gerusalemme, chiamata Emmaus. „ Gesù risuscitò in sullo spuntare della domenica, come è manifesto da tutti gli Evangelisti. Le donne che andarono al sepolcro per tempo, lo trovarono aperto e non vi invennero il corpo del Maestro: corsero a darne avviso agli Apostoli: la Maddalena rimase presso il sepolcro, e poco appresso vide Gesù, che a prima giunta scambiò con l’ortolano del luogo: Pietro e Giovanni corsero al sepolcro e trovarono come le donne avevano detto. Intanto la voce della risurrezione di Gesù Cristo si era diffusa, e gli Apostoli e i discepoli erano sossopra, ondeggianti tra la speranza e il timore. Quel giorno istesso, due dei discepoli di Gesù, l’uno dei quali chiamato Cleofa (forse il marito di Maria, cugina della Vergine e padre di Giacomo il Minore), uscirono da Gerusalemme per recarsi ad Emmaus, borgata posta a nord-ovest di Gerusalemme, a sessanta stadi circa, cioè dodici chilometri e tre ore di viaggio o poco più. E siccome apprendiamo dal Vangelo che i due discepoli giunsero ad Emmaus sul far della sera e sappiamo che il fatto accadde sugli ultimi di marzo, così è da credere che uscissero da Gerusalemme intorno alle tre dopo il mezzodì. I due discepoli camminando discorrevano, come suole avvenire, tra loro. E di che cosa potevano essi discorrere se non di ciò ch’era avvenuto al Maestro, e specialmente delle voci udite della sua risurrezione e dell’apparizione fatta alla Maddalena ed alle altre donne? Mentre essi discorrevano tra loro, ecco appressarsi, camminando nello stesso senso e accompagnandosi loro, Gesù. Ma essi non lo conobbero e lo presero per uno dei tanti pellegrini, che a quei giorni andavano e ritornavano da Gerusalemme. “I loro occhi, dice S. Luca, erano trattenuti dal conoscerlo, „ e S. Marco dice, che Egli era in altra forma. „ Come ciò, o dilettissimi? Il corpo di Gesù era vero e reale corpo, ma glorioso, e qual sia la natura d’un corpo glorioso, noi non lo sappiamo. Esso partecipa delle qualità dello spirito e può apparire e sparire, velarsi e lasciarsi vedere, modificare e cangiare la sua figura, come vuole, passare da un luogo all’altro con la rapidità del baleno. – E perché Gesù Cristo apparve ai due in altra forma e in guisa, che a principio non lo poteron conoscere? Nelle apparizioni di Gesù Cristo dopo la risurrezione vi è un fatto che è meritevole di considerazione. Più volte egli apparisce sotto forme diverse, sicché a principio quelli che lo vedono non lo riconoscono. Alla Maddalena, presso il sepolcro, apparisce sotto le forme di ortolano; ai discepoli, che pescavano sulle rive del lago di Genesaret, come narra S. Giovanni, si mostra in sembianze tali che in sulle prime non lo ravvisano, e argomentano che sia Lui dal miracolo della pescagione: qui si presenta ai due discepoli come un estraneo, un pellegrino, che viaggia con loro. Quali possono essere i motivi di queste apparizioni sotto altre sembianze? Perché, rispondono S. Agostino e san Gregorio, Gesù vuole mostrarsi in quel modo che meglio risponde allo stato di coloro ai quali si dà a vedere. Dubitano di Lui e delle sue promesse? Ed egli apparisce loro come estraneo, un pellegrino. Più: Gesù Cristo nelle sue apparizioni si conforma alla gran legge di natura, e che osservò in tutta la sua vita terrena. Egli manifestò le verità eterne a poco a poco, fece conoscere la sua stessa divinità per gradi, progressivamente, per non offendere e quasi opprimere le intelligenze e la volontà di quelli che lo ascoltavano. Similmente dopo la risurrezione non si scopre nella maestà della sua grandezza, nello splendore della sua gloria: Egli trova questi poveri discepoli dubbiosi, agitati, ancora ignari del grande mistero della sua passione, della sua morte e della sua risurrezione: si adopra pazientemente ad istruirli, come soleva fare in vita: fa penetrare la verità nella loro mente, la carità nel loro cuore, e poi si manifesta qual è. Se si fosse tosto fatto conoscere in tutta la grandezza e bellezza del suo corpo glorioso, come avrebbe potuto istruire quei due discepoli, ed essi come avrebbero potuto ascoltarlo? La verità sarebbe entrata nelle loro menti come un lampo di luce improvvisa, non come un raggio che a poco a poco cresce ed illumina tranquillamente, come vuole la natura umana. Ritorniamo al racconto evangelico. Gesù, raggiunti i due discepoli e scambiati, credo io, contemporaneamente i saluti, per bel modo disse loro: “Che discorsi son questi, che tenete tra voi per via, e perché vi mostrate sì tristi? „ Così il divino Maestro bellamente si introduce nei discorsi dei due discepoli. — E l’uno di loro, chiamato Cleofa, in tono di giusta meraviglia, rispose: “Sei tu solo nuovo in Gerusalemme e non conosci le cose che vi sono avvenute in questi giorni? — E quali? ripigliò tosto Gesù Cristo, all’intento che aprissero il loro cuore ed Egli potesse guarirli dal dubbio, che li tormentava. — E quelli a Lui: — Di Gesù Nazareno, il quale fu profeta potente in opere e parole dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini. „ Voi vedete come sia imperfetta e manchevole la fede di questi due discepoli: essi lo riconoscono uomo grande nelle opere, nei miracoli, nelle virtù e nella predicazione della verità (potens in opere et sermone), ma non vanno più oltre: non lo confessano pel Messia, e molto meno per il Figliuolo di Dio fatto uomo, e ciò dopo tre anni d’una scuola qual era quella di Gesù Cristo! – E noi meravigliamo e meniamo alti lamenti se il popolo, il povero popolo, talora non conosce i misteri della fede? Impariamo a compatirlo, come fece Gesù, e studiamoci di istruirlo con carità. È questo un grande esempio particolarmente per noi che abbiamo il dovere di istruire il popolo. Nei quattro versetti che seguono, i due buoni discepoli espongono con tutta schiettezza lo stato del loro animo e, ricordata prima la morte di Gesù in croce, esprimono la speranza avuta che Gesù fosse per riscattare Israele. E di qual riscatto d’Israele intendono essi di parlare? Io non dubito ch’essi intendevano parlare del riscatto temporale della patria loro e della sua ricostituzione politica, spezzando il giogo romano. Era l’idea fissa della grande maggioranza degli Ebrei, comune agli stessi discepoli di Gesù Cristo anche più tardi, poco prima della sua ascensione al cielo, come leggiamo negli Atti apostolici (cap. I, 6). È cosa che fa veramente stupore vedere questi discepoli di Gesù Cristo, formati alla sua scuola e ai suoi esempi, cresciuti nei campi o sulle rive del lago di Tiberiade, aver tanto a cuore la libertà e la grandezza della patria, e Gesù Cristo istesso aspettare che il tempo li illumini. Poi essi parlano del timore ch’ebbero all’udire le donne state la mattina al sepolcro e che non vi avevano ritrovato il corpo di Gesù: ricordano in confuso l’apparizione degli Angeli alle donne istesse, che assicuravano Gesù vivere, e come quelli dei loro compagni che furono al sepolcro, trovarono per l’appunto ciò che le donne avevano detto. È veramente strano che i due discepoli non parlino mai della risurrezione del Maestro. Le loro parole rivelano sgomento, sfiducia, leggerezza, e una confusione di idee, che hanno dell’incredibile. I due discepoli con un candore infantile hanno aperto il loro cuore al creduto pellegrino: hanno confessato i loro dubbi e i loro timori, hanno mostrato le piaghe del loro spirito, e allora comincia l’opera di Gesù, del medico delle anime. Egli comincia a rimproverarli fortemente e dolcemente della durezza del loro cuore, in credere a quanto del promesso Messia avevano tanti secoli prima annunziato i profeti. Egli comincia a rovesciare il primo e massimo pregiudizio, ch’era pur quello di quasi tutta la nazione, cioè che il Messia dovesse essere un grande condottiero, un conquistatore, un liberatore materiale del popolo, come Mosè, Davide, i Maccabei ed altri: con le Scritture alla mano Egli prende a mostrar loro che il Messia doveva patire e morire Egli stesso, anziché mettere in fuga ed uccidere i nemici: che in questo stava la sua vera gloria. In questa sentenza di Cristo: “Era necessario che Cristo patisse e così entrasse nella sua gloria, „ si racchiude tutto l’insegnamento dogmatico e morale del Vangelo: patire per santificarci e salvarci: ecco tutto. Questo insegnamento faceva cadere tutte le illusioni, tutte le stravolte idee dei due discepoli, ed apriva la loro mente alla luce della verità. Questo insegnamento il divino Pellegrino veniva confortando con la testimonianza di Mosè, dei profeti e di tutte le Scritture, che si adempivano perfettamente in quel Gesù di Nazaret, ch’era stato il loro Maestro e nel quale avevano collocate le loro speranze. Il discorso dovette durare buona pezza, giacché non occorre il dirlo, S. Luca ce ne presenta appena un cenno, ce ne dà l’argomento e niente più. I due discepoli, taciti, meravigliati e commossi lo ascoltavano, e tratto tratto dovevano mirarlo in volto con un cotal senso di riverenza e di amore, e nelle sue parole dovevano riconoscere un eco fedele di quelle che tante volte avevano udite dal divino Maestro. Pareva che, udito quel pellegrino, ch’erasi trasformato in maestro sì dotto ed eloquente, avrebbero dovuto darsi per vinti, confessare la propria ignoranza e riconoscere che Gesù di Nazaret era veramente il Messia aspettato, e protestare con un impeto generoso di fede. — Ora comprendiamo tutto: Gesù è il Messia, e non dubitiamo ch’Egli sia risorto, come ci fu detto. — Eppure non ne fu nulla. Questo fatto ci mostra che non sempre la verità annunziata produce tosto i suoi effetti: essa aspetta d’essere fecondata, aspetta l’ora della grazia, aspetta l’opera, che fa brillare e sentire la verità: l’esca è pronta e si aspetta la scintilla che l’accenda. E così avvenne ai due discepoli. – In quella, senza quasi accorgersene, erano giunti presso alla borgata di Emmaus, anzi presso la casa dei due discepoli, e Gesù, come pellegrino che prosegue la sua via, fece vista di passar oltre, accomiatandosi dai due compagni. Ma non fu possibile: essi tanto lo pregarono che per poco lo costrinsero a rimanere con loro: il sacro testo dice: Coegerunt eum, per mostrare le loro vive e ripetuto istanze, e per avvalorarle, aggiunsero: “Rimani con noi. Vedi: ornai si fa sera e già tramonta il giorno. „ Quanta semplicità! Quanta cordialità in queste parole e in questa preghiera dei due discepoli verso uno straniero che aveva fatto con loro il cammino di due o tre ore! Essi si sentirono dolcemente legati a Lui con quella effusione, che viene dalla stima e da quella riverenza verso chi parla altamente della verità e di Dio e parla al cuore. A quei tempi (e in quei paesi le cose non sono guari mutate nemmeno al presente) erano ignoti gli alberghi, quali noi abbiamo anche nei più umili villaggi, e perciò l’ospitalità era una necessità della vita sociale largamente praticata in Oriente, una vera carità, tantoché Cristo la mette tra le opere di misericordia: “Io ero pellegrino, e voi mi accoglieste. „ E fu questa ospitalità, questa carità sì schietta e cordiale, che meritò ai due discepoli l’onore di ospitare Gesù Cristo e d’essere tra i primi a riconoscerlo dopo la risurrezione. — Figliuoli carissimi! la carità è somigliante ad un albero: è un solo, eppure ci dà i frutti, i fiori e si ammanta di foglie, e così non solo ci nutre, ma diletta il gusto, l’occhio, l’odorato, e ci rallegra dell’ombra sua. Così la carità deve non solo soccorrere il fratello sofferente e bisognoso, ma con la parola amorevole, col tratto cordiale, coi modi soavi e delicati lo deve anche rallegrare e dilettare. Una carità burbera, dura, ruvida è sempre per sé cosa buona e santa, ma non è amabile e perde assai del suo valore: è un albero carico di soli frutti, senza un fiore, che l’abbellisca, senza le foglie, che l’adornano. La nostra carità sia dunque dolce, amabile, erompa dal cuore, sia simile a quella dei due discepoli, che bellamente obbligarono Gesù ad accettare la loro ospitalità. “E accadde, che seduti a mensa, Gesù preso il pane, lo benedisse, e spezzatolo lo porse loro. „ Molti credettero che quel pane benedetto, spezzato e porto da Gesù ai due compagni di viaggio, fosse la stessa Eucaristia è la rinnovazione di ciò che nell’ultima cena aveva fatto tre giorni innanzi. E sentenza abbastanza fondata, ma alla quale mi sembra da preferire quell’altra, la quale tiene, che quel pane non fu l’Eucaristia. E da sapere che presso i Giudei l’ospite soleva benedire e porgere il pane ai commensali: inoltre qui Gesù non pronunciò le parole consacratrici, né è verosimile che Gesù porgesse loro la santa Eucaristia senza averli preparati e quasi per sorpresa: onde inclino a credere che quel pane fosse pane comune. In quell’istante “… i loro occhi furono aperti e conobbero Gesù, ed Egli in quel momento stesso sparve. „ Vuol dire l’Evangelista, che Gesù in quel momento lasciò vedere la sua forma, togliendo quell’impedimento, quale che fosse, che prima aveva posto, ed essi lo riconobbero perfettamente. È certo in quell’istante, attoniti e ricolmi di meraviglia, essi dovettero levarsi, buttarsi ai suoi piedi, ma Gesù era sparito. La vista di Gesù, il suo conoscimento dovette essere sì chiaro, sì evidente, sì sfolgorante, che loro non ne rimase ombra di dubbio, che non era poca cosa per loro che non avevano creduto alle apparizioni delle donne ed erano sì lontani dal crederle. E perché mai Gesù Cristo, appena è riconosciuto dai discepoli, si toglie ai loro occhi e si rende invisibile? Perché non lasciarli beare della propria vista e trattenersi con loro e consolarli ed istruirli, come soleva fare prima della sua morte? Mistero! che noi dovremmo venerare, ancorché non vi scorgessimo un solo raggio di luce: è opera di Lui che è la stessa Sapienza, e per noi basta. Ma se vi fissiamo alcun poco riverente l’occhio della ragione, non è difficile trovarvi un po’ di luce. Sparve tosto per mostrare, che il corpo suo era glorioso, simile allo spirito, e di tal guisa anziché scemare, accresceva, se era possibile, la certezza della sua risurrezione. Il subito dileguarsi a quei suoi cari mostrava che la sua vita non era più sulla terra, ma in cielo, accendeva in essi più cocente il desiderio di rivederlo e d’essere con Lui e li obbligava a ritornare tosto a Gerusalemme e dare essi stessi la novella della risurrezione ai compagni raccolti nel cenacolo. I due discepoli, rapiti fuor di sé per la gioia, guardandosi stupefatti, e rimasti per qualche istante senza parola, sclamarono: “E non ardeva il nostro cuore in noi allorché Egli ci parlava per via e ci spiegava le Scritture? “Volevano dire, quasi rimproverandosi di non averlo conosciuto prima: Noi dovevamo ben conoscerlo lungo la via: la sapienza, con cui interpretava i Libri santi e la fiamma di fede e d’amore che accendeva nei nostri cuori, ce lo dicevano chiaramente. Non altri che Lui poteva parlare a quel modo e muovere ed infiammare i nostri cuori! — Sì, o cari; Dio parla ai nostri occhi coi Libri santi, parla ai nostri orecchi con la voce della sua Chiesa e dei suoi ministri, e nello stesso tempo parla ai nostri cuori coi forti impulsi e con i soavi attraimenti della sua grazia. La sua voce esterna non si scompagna mai dalla voce interna, sì cara, sì dolce, che fa beato chi l’ode. E volete voi conoscere questa voce e distinguerla dalla voce degli uomini e dalla voce che sì spesso vi frammischiano le nostre passioni? Allorché nel fondo del vostro cuore, al di sopra del santuario della vostra coscienza, udite una voce senza suono materiale, senza strepito, tranquilla, sicura, che vi invita a romperla col vizio, a finirla con quelle passioni che vi tormentano, che vi rimprovera le vostre debolezze, le vostre colpe, che v’invita a correre le vie della virtù, che vi porta ad amare la modestia, l’umiltà, la  giustizia, la carità, che vi spinge ad essere migliori che non siete, quella voce, o cari, è la voce di Dio, è quella stessa che si faceva sentire sì forte nel cuore dei due discepoli. Ascoltatela e non errerete mai. Quei due buoni discepoli pensarono tosto ai loro compagni in Gerusalemme, che sapevano immersi nel dubbio e nel dolore: la verità, quand’è qui dentro nei nostri cuori, ha bisogno di uscire, di comunicarsi a quelli che amiamo: siamo impazienti di farla conoscere. Allorché voi avete una novella felice, non potete chiuderla nel vostro cuore: siete costretti a correre da quelli con i quali avete comuni le gioie e le pene, e a versare nel loro il vostro cuore: è una necessità e sembra di raddoppiare la vostra gioia, comunicandola a chi amate. Ciò avvenne ai due discepoli: lasciarono il loro povero desco, dimenticarono il cibo e tosto a gran passi ripresero la via di Gerusalemme, senza sentirne la fatica e ad ogni istante ripetendo a se stessi i particolari della apparizione e riandando le parole udite dal divino Maestro. Potevano essere le sei ore della sera allorché lasciarono Emmaus, e poterono arrivare in Gerusalemme intorno alle nove, trafelati, ansanti e pur lietissimi di recare ai compagni la felice novella: “Gesù è risorto, noi l’abbiamo visto. „ Ma là loro gioia, se era possibile, si raddoppiò, allorché entrati là dove erano raccolti gli undici Apostoli e gli altri con loro, se li videro venire incontro sfavillanti di gioia e gridanti ad una voce: “Il Signore è veramente risorto, ed è apparso a Simone. „ Essi accennavano alla apparizione poco prima fatta nel cenacolo stesso e descritta da S. Giovanni (XX, 19), e ad un’altra fatta al solo Pietro, non ricordata distintamente dai Vangelisti, ma qui indicata e indicata pure da S. Paolo (I ai Corinti, capo XV, vers. 5), e che doveva essere notissima tra i Cristiani. Dilettissimi! E cosa che rallegra, che gioconda il cuore vedere la gioia e la felicità di questi Apostoli e discepoli, allorché possono avere la certezza che il Maestro è risorto: è uno spettacolo commovente questo degli Apostoli e dei discepoli che si amano come fratelli, che vivono della stessa vita, che non hanno che un solo pensiero, un solo amore, il pensiero e l’amore del loro divino Maestro! E perché nelle nostre vicendevoli relazioni, almeno nelle nostre famiglie, non potremmo rispecchiare l’armonia, la carità fraterna, che regnava tra gli Apostoli?

Credo …

 Offertorium
Orémus
Matt 28:2; 28:5-6
Angelus Dómini descéndit de coelo, et dixit muliéribus: Quem quaeritis, surréxit, sicut dixit, allelúja.
[Un Angelo del Signore discese dal cielo, e disse alle donne: Colui che cercate è risuscitato, come aveva detto, allelúia.]

Secreta
Súscipe, quǽsumus, Dómine, preces pópuli tui cum oblatiónibus hostiárum: ut, paschálibus initiáta mystériis, ad æternitátis nobis medélam, te operánte, profíciant.  [O Signore, Ti supplichiamo, accogli le preghiere del pòpolo tuo, in uno con l’offerta di questi doni, affinché i medésimi, consacrati dai misteri pasquali, ci sérvano, per òpera tua, di rimédio per l’eternità.]

Communio
Luc XXIV:34
Surréxit Dóminus, et appáruit Petro, allelúja. [Il Signore è risorto, ed è apparso a Pietro, allelúia.]

 Postcommunio
Orémus.
Spíritum nobis, Dómine, tuæ caritátis infúnde: ut, quos sacraméntis paschálibus satiásti, tua fácias pietáte concórdes.
[Infondi in noi, o Signore, lo Spírito della tua carità: affinché coloro che saziasti coi sacramenti pasquali, li renda unànimi con la tua pietà.]

 

 

UN RAGIONAMENTO AL GIORNO, TOGLIE L’INCREDULO GNOSTICO DI TORNO: RISURREZIONE DI CRISTO E LA RAGIONE UMANA

Risurrezione di Cristo e la ragione umana.

[mons. G. Bonomelli: Misteri Cristiani, vol. II, Queriniana, Brescia, 1894]

Nell’augusta nostra Religione vi è un fatto solenne e strepitoso, che è il vertice della vita di Cristo, che getta una luce sfolgorante sulla sua divina missione, che suggella tutta l’opera sua e fa scintillare sulla sua fronte gli infiniti splendori della sua divinità: voi mi avete già compreso: esso è il fatto della sua Risurrezione, che la Chiesa in questo giorno, con tutta la pompa del sacro rito e con santo tripudio del suo cuore, rammenta e festeggia. Tutta la nostra Religione, tutta la nostra fede poggia, come sulla sua pietra fondamentale, su questa verità: Gesù Cristo è vero Dio! – Ora le prove svariatissime della divinità di Gesù Cristo si legano e si intrecciano tra loro per guisa che, tutte mettono capo e quasi si incentrano nel gran fatto della Risurrezione. È questo il miracolo dei miracoli, la prova delle prove della sua Divinità: se questa non regge agli assalti della ragione umana e della miscredenza, tutto intero si sfascia l’edificio della nostra fede: se questa prova sta salda di fronte agli assalti dei nemici tutti, con essa e per essa sta ritta in piedi la grand’opera di Cristo: la Chiesa e, con la Chiesa e per la Chiesa, la sua dottrina. Ecco perché gli Apostoli, fin dal primo dì che annunziarono il Vangelo, appellarono costantemente al miracolo della Risurrezione: ecco perchè l’Apostolo gridava ai Corinti: “Se Cristo non è risuscitato, è vana la nostra predicazione, vana ancora la nostra fede; noi siamo falsi testimoni di Dio, voi siete ancora nei vostri peccati…. e siamo i più miserabili di tutti gli uomini” (I ai Cor. XV, 14, 15, 17, 19) – Questo gran fatto, questo gran miracolo della Risurrezione da oltre diciotto secoli, cioè dal dì che fu annunziato fino ad oggi, è divenuto il bersaglio degli assalti più fieri della miscredenza. Dopo tante e sì lunghe prove, dopo tante e sì vergognose sconfitte, pareva che la miscredenza, fatta più savia, dovesse darsi per vinta e cessare dagli assalti. Ma non è così: gli uomini della miscredenza moderna, simili ai giganti della favola, proseguono nella loro lotta e confidano di dare la scalata al cielo, di balzare dal suo trono Cristo stesso, ed eccoli tutti affaccendati intorno al fondamento della sua Divinità, il miracolo della Risurrezione: agli ordigni antichi di guerra aggiungono i nuovi e fanno ogni sforzo per scrollarlo e rovesciarlo. Ma sono fanciulli  che, martellando la base granitica della più superba vetta dell’Alpi, credono di atterrarla. Si, dilettissimi figli! È certamente cosa che affligge e addolora il vederci costretti dopo tanti secoli a ripigliare le armi usate già dai primi apologisti per difendere il fatto e insieme il dogma capitale della nostra fede. Ma se è necessità il farlo, si faccia. La nostra fede non teme né le occulte insidie, né gli scoperti assalti della miscredenza, sia antica, sia moderna, da qualsivoglia parte le vengano. Essa attende a pie’ fermo i suoi nemici e sul terreno della pura ragione accetta qualunque combattimento, ad armi uguali. Il fatto, su cui poggia la massima prova della Divinità di Cristo, è la sua Risurrezione: gli nomini della miscredenza lo negano: la Chiesa l’afferma ed oggi canta per tutto il mondo: Resurrexit Dominus vere -. Io vi do parola di mostrarvi a tutto rigore questo fatto e questo miracolo, e di mostrarvelo, notatelo bene, con la sola ragione. Voi, che tenete salda la fede, vi sentirete in essa rinfrancati: e se tra voi che mi ascoltate, vi fosse alcuno che ha smarrita la fede, o in essa vacilla, dovrà toccare con mano che il fondamento della nostra Religione non paventa la luce della più severa discussione, della critica più inesorabile e non domanda di meglio che d’essere chiamato in giudizio. L’argomento è vasto e vi prego che non mi venga meno la vostra attenzione e la vostra pazienza, di cui forse avrò bisogno. Gesù Cristo è Egli veramente risorto? Si può dimostrare con la sola ragione ? L’una e l’altra cosa io affermo e voi siate giudici se attengo la mia promessa. – Il fatto o miracolo, che siamo per esaminare, ha due parti distinte, ma inseparabili, la morte e la Risurrezione: non vi è Risurrezione vera di Cristo se non è preceduta da una morte vera: non occorre dimostrarlo. Ora la morte e la Risurrezione di Cristo sono due fatti, e come tutti i fatti, non si possono provare che con la testimonianza. Nessuno adunque esiga prove matematiche o metafisiche; l’argomento non le comporta. Né vi sia chi creda la certezza dei fatti essere inferiore alla certezza delle prove matematiche. Chi di voi dubita che i Romani siano stati disfatti a Canne, che Cesare sia stato trucidato, che Napoleone sia morto a S. Elena? Nessuno. E come e perché voi tenete questi fatti con assoluta certezza? Li avete voi veduti? No. Ve li accertano uomini degni di fede e vi basta: la vostra certezza è incrollabile. Ma quali condizioni si domandano perché voi possiate prestare pienissima fede ai testimoni che affermano un fatto qualunque? Due condizioni sono necessarie e bastevoli: che i testimoni non si ingannino, né vogliano ingannare: in altri termini, si domanda in essi la scienza di ciò che asseriscono e la probità o sincerità. Poste queste due condizioni essenziali, la loro testimonianza è irrecusabile e la certezza che ne deriva, assoluta. Sulla affermazione di due o tre testimoni forniti di queste due doti, un tribunale condanna a vita ed anche all’estremo supplizio un uomo come uno scellerato. Si può dare certezza maggiore? Ed ora a noi, o fratelli. Eccovi i due fatti della morte e della Risurrezione di Cristo: sono due fatti esterni, che cadono entrambi sotto dei sensi e che per conseguenza non si possono provare che con la testimonianza di uomini degni di fede. Li abbiamo noi questi uomini degni di fede? Sì, e tali che per numero e qualità non potrebbero essere più autorevoli. E da prima accertiamoci sulla verità della morte di Cristo. Abbiamo quattro scrittori di quattro libri distinti, che si chiamano Vangeli: Matteo, Marco, Luca e Giovanni: tutti e quattro sono contemporanei ai fatti che narrano e due han visto ciò che scrivono. Tutti e quattro, narrati i patimenti di Cristo e la sua crocifissione, dicono semplicemente: – Egli spirò -. Altri testimoni, Pietro, Paolo, Giacomo, lo ripetono nelle loro lettere, e con loro lo attestano in modo diretto e indiretto tutti quelli che vissero con Gesù Cristo e lo seguirono. Per voi, uomini della critica e della scienza, basta l’autorità di Platone, di Cicerone, di Tacito e di Svetonio per essere certi della morte di Socrate, di Cesare, di Caligola, di Claudio: perché per essere certi della morte di Cristo non vi basterà la testimonianza dei biografi di Lui e degli storici o scrittori contemporanei? Testimoni della morte di Cristo sono i Giudei, gli Scribi, i Sacerdoti, gli Anziani, i Farisei e tutta quella gran folla, che lo seguì sul Calvario, che contemplò e contò con gioia crudele le ore e quasi i minuti della sua agonia. Era la vigilia della maggior festa d’Israele,, la Pasqua, e una moltitudine immensa da ogni angolo della Palestina traeva a Gerusalemme. Il nome di Gesù, del gran profeta e taumaturgo, risuonava dovunque, e immaginate voi qual turba dovesse accorrere al Calvario, appena si sparse la voce ch’Egli là doveva essere confitto in croce. In mezzo a quella turba e più presso alla croce, su cui agonizzava Gesù, stavano senza dubbio i suoi implacabili nemici, lieti della vittoria e aspettanti l’estremo anelito della odiata loro vittima. Pensate voi se, memori della promessa ripetuta da Cristo – Risorgerò dopo tre dì – non dovevano accertarsi della sua morte! Non è tutto: Gesù la sera del giorno innanzi aveva sofferto tale stretta di cuore da cadere in deliquio e sudar sangue: la notte era stata orribile: abbandonato, rinnegato e tradito dai suoi cari, lasciato in balìa d’una soldatesca feroce, che ne aveva fatto ogni strapazzo; al mattino spietatamente flagellato e coronato di spine; poi trascinato sul colle, inchiodato sulla croce, esposto così straziato e sanguinolente all’aria, al sole, divorato dalla febbre, colmo di dolori morali senza nome, senza una stilla di conforto, tutto lacero e pesto, ridotto ad una sola piaga, doveva soccombere; anzi fa meraviglia che dopo tanti dolori e sì orrida carneficina potesse vivere tre ore in croce. Aveva chinato il capo, era cessato l’anelito affannoso, il corpo tutto s’era abbandonato, un pallore mortale si era diffuso sul suo volto e la folla spettatrice aveva gridato: Egli è morto – La festa era imminente: i corpi dei giustiziati dovevano essere levati di là e i manigoldi venuti per il tristo ufficio, visti ancor vivi i due ladroni crocifissi a lato di Gesù, secondo la barbara usanza, a colpi di mazza, fracassarono loro le gambe e li finirono. Venuti a Gesù e, vistolo già morto, non gli ruppero le gambe, ma uno di loro, quasi per assicurarsi della sua morte, gli diede una lanciata nel petto, che gli dovette squarciare il cuore. Poco appresso un discepolo di Gesù ne chiese il corpo a Pilato per seppellirlo; e Pilato, prima di concederglielo, ebbe a sé il centurione, che presiedeva il drappello dei soldati presenti al supplizio e, accertatosi che Gesù era veramente morto, glielo accordò. Non basta ancora: il corpo di Gesù in sul calare della notte, fu tolto dalla croce, avvolto in un lenzuolo con una mistura di cento libbre di aloe e mirra e deposto in un sepolcro nuovo scavato, secondo l’uso dei Giudei, nella viva roccia e chiusane la bocca con una grossa pietra, che fu suggellata dai Giudei stessi, i quali vi posero a guardia alcuni soldati finché fosse passato il terzo dì, entro il quale Gesù aveva promesso di risorgere. Siamo sinceri, o signori. Poniamo che Gesù non fosse veramente morto sulla croce; che la sua morte fosse un deliquio, una sincope, o se vi piace meglio, una finta morte; vi domando: poteva Egli sopravvivere chiuso là nel sepolcro, avviluppato in tanti aromi, stretto nel lenzuolo, senz’aria, senza soccorso, senza cura di sorta? Riconosciamolo; se non era morto, doveva certamente morire. – Finalmente non vogliate dimenticare che gli Ebrei non posero mai in dubbio la realtà della morte di Cristo, che era pure il partito più sicuro per negare il miracolo della Risurrezione; ma ricorsero, come vedremo, al ridicolo espediente del furto del cadavere e della menzogna dei discepoli. Qual prova più evidente che non era possibile negare la verità della morte di Cristo? Concludiamo adunque questa prima parte del nostro ragionamento, affermando con la massima sicurezza: Gesù, allorché fu calato nella tomba, era indubitatamente morto – È Egli veramente risorto? Come è certissimo il primo fatto della morte, è certissimo altresì il secondo della Risurrezione. Sì: quei testimoni che provano il primo fatto, provano pure anche il secondo, e, se ci si permette il dirlo e se è possibile, anche con maggior forza. Come poc’anzi ho fatto avvertire, intanto si potrebbe dubitare ragionevolmente della testimonianza di quelli che affermano un fatto qualunque in quanto ché, o li possiamo supporre ingannati e allucinati, o li possiamo credere bugiardi e ingannatori. Dimostrata la impossibilità di queste due ipotesi, la certezza del fatto rimane là in tutto lo splendore della evidenza. La critica più sottile e più diffidente può essa dar luogo al sospetto che i testimoni della Risurrezione di Cristo si fossero ingannati, che fossero vittima d’una allucinazione? Il terzo dì dopo la morte di Cristo, il sepolcro dove fu collocato il corpo esangue, è aperto e l’intera Gerusalemme lo può vedere vuoto a tutto suo agio. Che è avvenuto di quel corpo? Non lo si saprà mai, risponde il Renan. Come, non lo si saprà mai? Volete voi gettare le tenebre sulla luce del sole e far ammutolire le mille lingue, che lo predicano dovunque e a tutti, a costo della vita? Quel Gesù, che fu deposto nel sepolcro e che là si cerca indarno, è visto da parecchie donne lungo la via; è visto dalla Maddalena presso il sepolcro; è visto da Pietro; è visto da Giacomo, è visto il giorno stesso della Risurrezione da due discepoli, che se ne andavano ad un vicino castello. È visto da sette discepoli insieme sulla riva del lago di Genezaret; è visto nel Cenacolo da dieci discepoli e poco dopo da undici ivi raccolti; è visto da centoventi persone presso Betania; è visto, scrive S. Paolo, da circa cinquecento persone, molte delle quali vivevano ancora quando l’Apostolo dettava la sua lettera. È visto da uomini, da donne, ora insieme, ora separatamente, di giorno, di notte, in casa, a mensa, sulle sponde del lago, sulla via, sul monte, in un giardino; parlano con Lui, con Lui mangiano, lo toccano, ascoltano le sue parole, lo interrogano, risponde e ciò per quaranta giorni, in Gerusalemme, nella Giudea, nella Galilea. E tutte queste apparizioni non sarebbero che illusioni e allucinazioni? Illusioni e allucinazioni, che durano sì a lungo, in tanti e sì diversi luoghi, in centinaia di persone di sesso e di carattere diverse, che cominciano nello stesso giorno e finiscono lo stesso giorno? Non nego, o signori, la potenza meravigliosa della allucinazione, gli scherzi stranissimi della fantasia. So che Teodorico vedeva sulla mensa il teschio sanguinoso di Simmaco per suo comando ucciso; so che di Socrate e di Torquato Tasso si narra come si vedessero a fianco un genio: e celebre è l’ombra di Banco, creazione del sommo tragico inglese, creazione stupenda perché rispondente alla natura umana. Ma chi mai potrebbe pareggiare a queste creazioni del genio poetico o a quegli scherzi di fantasia le apparizioni di Cristo registrate nei Vangeli, negli Atti e nelle Lettere degli Apostoli? Teodorico solo vedeva sulla sua mensa la testa di Simmaco, una sola volta e se ne comprende il perché: nessuno di quei commensali la vedeva e compativano il misero re ed erano più che certi, la sua essere una illusione. Socrate e Tasso vedevano il loro genio, ma non lo vedevano gli amici, gli scolari: era una allucinazione momentanea, conosciuta come tale, senza importanza pratica, senza nesso alcuno con la Religione. Quale immensa differenza tra queste allucinazioni e le apparizioni di Cristo per il numero, per i testimoni, per il modo, per le circostanze e per 1’importanza del fatto e della dottrina, con cui sono strettamente unite? In tutta la storia della Umanità è impossibile trovare alcun che, non dico di uguale, ma di simile alla narrazione evangelica. – Se la storia delle apparizioni di Cristo potesse dare anche solo l’ombra di sospetto d’una continuata allucinazione, dovremmo rinunciare ad ogni certezza dei sensi, la storia intera perderebbe ogni base, nessun giudice potrebbe pronunciare una sentenza, nemmeno sopra la deposizione di dieci testimoni consenzienti e cadremmo in un desolante scetticismo. E dire, o signori, che questa è la spiegazione dell’autore troppo celebre della vita di Gesù! [Renan] – Alle pie donne, e sopra tutto alla Maddalena, ai discepoli non pareva vero che Gesù fosse morto: credevano confusamente alla immortalità dell’anima; intesero alcune espressioni di Cristo come una cotal promessa della sua Risurrezione: alla Maddalena, nell’ardore della sua fede, parve di udirlo e di vederlo nell’orto: le sfuggì nell’impeto della gioia la magica parola – È risorto -. Gli Apostoli erano chiusi e silenziosi nel Cenacolo: parve loro di sentire un lieve soffio che passava sul loro capo e taluno affermò d’aver udito in quel silenzio il saluto ordinario di Gesù – Pace – Bastò: si disse: È risorto: lo abbiamo udito: l’abbiamo veduto: e così nacque e si stabilì universale e fermissima la fede nella Risurrezione di Gesù e nella sua dottrina e così nacque e si stabilì il Cristianesimo. Esso poggia sopra la allucinazione d’una donna, per un cotal contagio e per una certa tendenza alla imitazione comunicata ad altre donne ed ai discepoli! – Fratelli, arrestiamoci. Voi forse credete ch’io scherzi riportandovi questa spiegazione della Risurrezione di Cristo e che io insulti alla memoria d’un uomo, a cui non fe’ difetto l’ingegno e la coltura e un senso estetico non comune. No, non ischerzo, né insulto chichessia: ho riferito fedelmente il pensiero e la spiegazione di quell’uomo, che parve compendiare in sé tutta la scienza razionalistica moderna. Siffatte ipotesi o spiegazioni non si confutano: accennarle è sfatarle. È più facile concepire che 1’eccelso colosso del Montebianco poggi sopra la punta di un ago di quello che 1’intero Cristianesimo con tutti i suoi dogmi, con tutta la sua morale, con lo stupendo organismo della sua gerarchia poggi sulla affermazione d’una donna, che in un istante di allucinazione esclama: – Gesù è risorto! – Né qui vi spiaccia, o fratelli, por mente ad un’altra osservazione, che mi parrebbe colpa passare sotto silenzio. Non nego che le allucinazioni siano possibili, ancorché non mai nelle proporzioni, che il razionalismo gratuitamente attribuisce ai testimoni della Risurrezione di Cristo. Ma quando queste allucinazioni sono possibili? Quando gli animi sono preparati a subirle, in preda a grande aspettazione, ad ardentissimi desideri, a passioni violente. Una madre che aspetta con ansia febbrile il ritorno d’ un figlio, che piange sconsolata sopra un bambino perduto, facilmente potrà credere di vederlo, di abbracciarlo. La fantasia dà esistenza reale al desiderio vivissimo. È forse questo il caso degli Apostoli? Ma se le donne non credono a ciò che vedono? Se credono involato il corpo di Cristo? Se gli Apostoli le reputano colte da delirio? Se essi stessi, vedendo Gesù, non credono ai propri occhi e pensano di trovarsi alla presenza d’un fantasma? Se è necessario che Gesù faccia loro toccare le mani, le cicatrici del suo corpo, segga e mangi con loro? Se uno dei discepoli si ostina a negar fede ai compagni, che affermano d’ aver veduto Gesù risorto e solo allora si arrende quando con le sue mani tocca le cicatrici delle sue mani e del suo costato? Gli Apostoli adunque e le donne erano ben lungi dal dar corpo alle ombre, dall’essere vittime d’una allucinazione, essi che spinsero la incredulità oltre i confini del verosimile. Ma tutti questi testimoni della Risurrezione di Cristo, si dice, eran rozzi, ignoranti, creduli, inchinevoli ad ammettere tutto ciò che è meraviglioso e sovrannaturale. La maggior parte, si; non tutti. Ma diasi che lo fossero tutti. Qui non si tratta di lunghi e sottili ragionamenti, di cose ardue, sulle quali 1’autorità degli ignoranti non ha peso alcuno. Qui trattasi di un morto che è risuscitato: trattasi d’un fatto visibile, materiale, ripetutamente e in vari modi avvenuto. Qui non si domandano ragionamenti, discussioni, esperienze difficili: basta aver occhi, orecchi e mani, per vedere, udire e toccare e gli Apostoli e le donne avevano tutto questo al pari e forse meglio di tutti gli accademici di Parigi e del mondo. Dov’è il tribunale, che dovendo verificare il fatto d’un ferimento o d’un omicidio avvenuto sopra una piazza, rifiuti la testimonianza di dieci, di venti persone con la ragione, che sono ignoranti, rozze, illetterate? Esso esigerà soltanto di conoscere con sicurezza se hanno veduto od udito ciò che attestano e se siano moralmente degne di fede. Due cose, o fratelli, sin qui son poste fuori d’ogni controversia: Cristo veramente morì: gli Apostoli e i testimoni della Risurrezione di Lui non furono ingannati, non poterono ingannarsi, non si possono supporre giuoco d’una illusione od allucinazione. Ora procediamo nel nostro ragionamento. – Giunti a questo punto della nostra dimostrazione, per negar fede alla testimonianza degli Apostoli, dei Discepoli e delle donne affermanti d’aver visto Gesù Cristo risorto, una sola via rimane aperta ed è l’affermare francamente, che essi vollero ingannare od ingannarono. Ebbene: io assumo di provare che non solo non vollero ingannare, ma che non avrebbero potuto ingannare quando pure 1’avessero voluto. A me il dimostrarlo, a voi l’ufficio di giudici severissimi. Uno sguardo, o fratelli, a questi testimoni della Risurrezione di Cristo: sono uomini semplici, rustici, ignoranti, timidi, ignari delle cose del mondo finché volete; ma sinceri, schietti,, pieni di candore, come fanciulli, impotenti a mentire. Venuti dalla Galilea, ove avevano lasciato le reti e le loro barchette, portavano seco la semplicità della campagna, la felice ignoranza degli inganni e dei raggiri. È una lode, che più volte rende loro chi ce li rappresentò come poveri illusi. Tanta è la loro schiettezza, che negli scritti lasciatici, confessano al mondo intero i loro difetti, le loro debolezze, le gare e gelosie, che tra loro si manifestavano, la grossolana loro ignoranza, i rimproveri avuti dal Maestro, i loro timori, la fuga, gli spergiuri del loro capo, il tradimento orribile del loro compagno, gli inganni, in cui caddero, le loro illusioni, la loro ostinata incredulità, e il tutto narrano senza arte, senza debolezza, senza fasto, senza scusarsi o difendersi, con una semplicità infantile. E si vorrebbe che questi uomini ingannassero i loro fratelli, il mondo intero? Questi testimoni si presentano ai loro fratelli, a tutti gli uomini, annunziatori della dottrina del loro Maestro, a cui protestano di non aggiungere, né levare una sillaba. La dottrina ch’essi professano e che predicano in pubblico e in privato, come necessaria a salute, condanna e abbomina la menzogna e l’inganno sotto qualsivoglia forma; essa si compendia in questa sentenza del Maestro: – È, è; no, no – Possiamo noi credere che i discepoli e i maestri di questa dottrina si facessero artefici e propagatori della più scellerata menzogna, del più sacrilego inganno? A chi mai può bastare 1’animo di credere tutti i discepoli di Cristo e le donne stesse sì pie, sì generose, di crederli, dico, tutti bugiardi, sacrileghi, che si beffano di Dio e degli uomini? E poi veniamo a ragionamento più serrato e decisivo. O gli Apostoli e le donne credevano alla Risurrezione di Cristo, o non credevano: se credevano od anche solo ne dubitavano, a qual partito dovevano naturalmente appigliarsi? È chiaro: dovevano dire: Cristo risorgerà, come ha promesso: aspettiamo che risorga e lo annunzieremo: Egli avrà provata la sua divina missione; e non dovevano nemmeno pensare ad architettare 1’inganno e la menzogna. O non credevano alla Risurrezione, e allora perché mentire, ingannare i fratelli, gettarsi in una lotta disperata per far servigio ad un uomo, che conoscevano per un impostore? E non dimenticate che gli Apostoli e le donne erano Giudei credenti, pieni di venerazione per Mosè e per la legge, in cui erano nati, cresciuti ed educati. Vi sembra possibile che a questa legge loro, e dei padri loro ad un tratto potessero osare di sostituirne un’altra, che troppo bene sapevano essere fondata sulla impostura? Questi Apostoli e queste pie donne, dopo la catastrofe del Calvario e perdute le speranze della Risurrezione, dovevano rientrare in se stessi; dovevano vedere la difficilissima condizione, in cui li aveva messi il Maestro; resi invisi o sospetti a tutte le autorità per Lui, che dopo promessa la Risurrezione non risorgeva. E per Lui avrebbero mentito? Lui proclamato Messia e Redentore del mondo; Lui adorato come Dio; Lui che li aveva ingannati? Che altro sperare dall’insano tentativo che vessazioni, persecuzioni e una morte come quella del Maestro, il cui cadavere doveva stare loro sotto gli occhi? Senza capo, senza amici, senza forza, fuggiti da tutti, tremanti sui pericoli che li circondavano, dovevano in fretta pigliare la via di Galilea e farsi dimenticare, ritornando alle loro barchette e alle loro reti. Ma contro ogni verosimiglianza supponiamo che non temessero né Dio, né gli uomini; che spingendo il coraggio fino all’audacia, anzi alla disperazione, persistessero nella folle idea di fondare la nuova Religione sul fatto della Risurrezione del Maestro, ch’essi sapevano impossibile: supponiamo ch’essi volessero ripigliare l’opera, in cui il maestro era sì miseramente perito, e predicandolo risorto, farlo credere Salvatore del mondo e Figlio di Dio. Per riuscire nell’intento, dovevano ordire la trama e per modo, che presentasse almeno la possibilità della riuscita. i discepoli e le pie donne e tutti i testimoni della Risurrezione dovevano darsi la parola e riunirsi a consiglio. Quando? Precisamente in quel brevissimo spazio di tempo, che corse tra la morte di Cristo e l’affermazione che era risorto; non prima, perché non credevano possibile la sua morte; non dopo, perché il profeta era già chiarito falso profeta. Vi pare possibile siffatta riunione in quei momenti di trepidazione, di confusione e di suprema angoscia? Ma diasi possibile. Il più audace tra i convenuti doveva ragionare in questi sensi: Noi sappiamo che il Maestro non risorgerà; che per Lui tutto è ornai finito; ma noi dobbiamo compire l’opera per Lui iniziata e fondare la nuova Religione, ch’Egli aveva ideato. Affermiamo audacemente la sua Risurrezione; facciamone il capo saldo della Religione e predichiamo che il Maestro è Dio, che bisogna credere in Lui; morire per Lui; è una menzogna enorme, che ci costerà carceri, esili, la morte; ma non importa: così vendicheremo il Maestro e noi stessi. Giuriamo tutti di affermare sempre e dovunque, a costo della vita, che Gesù è risorto. L’empia e insensata proposta come doveva essere-accolta? Quei poveri Apostoli conoscevano abbastanza se stessi da sentire l’impossibilità dell’impresa: – Vivente il Maestro, siamo fuggiti tutti ieri sera; l’abbiamo abbandonato, negato; uno di noi 1’ha tradito; abbiamo contro di noi l’autorità dei Romani e del nostro Sinedrio: se il Maestro fu messo in croce, che sarà di noi? Come terremo il segreto, tutti, anche le donne? Se un solo tradisce, e scopre la congiura, siamo perduti tutti. E poi come e perché ingannare il mondo? Quale il guadagno qui in terra? E potremo sfuggire al braccio di Dio? – Erano riflessioni troppo ovvie perché non si affacciassero nemmeno alla mente degli Apostoli e delle donne e rendessero impossibile 1’impresa. Ma passiamo anche su questo e poniamo che la stoltissima ed empia proposta fosse accolta da tutti. Bisognava recarla ad effetto e subito prima che passasse il terzo dì, termine ultimo della prova fissato da Cristo stesso. La cosa più necessaria ed urgente era quella di levare il corpo del Maestro dal sepolcro e farlo sparire. Ma presso quel sepolcro stavano le guardie, probabilmente straniere, e senza dubbio vegliavano più che mai, avvertite del pericolo. Si potevano corrompere e guadagnare col danaro. Sì: ma ci voleva danaro e non poco e subito: chi lo forniva, se tutti erano poveri? Chi avrebbe assunto la pericolosissima missione di farne la proposta a quei soldati? Se avessero respinta l’offerta e trascinato chi la faceva dinanzi al Sinedrio? Se, avuto il danaro, non avessero mantenuta la promessa e denunziato i corruttori? Chi poteva assicurare il segreto tanto necessario? Potevasi rapire il corpo con la forza, mettendo in fuga i soldati. Ci volevano armi e coraggio: supporre quelle e più questo in quegli uomini, in quelle angustie, è un sogno. Ma supponiamo che tentassero un colpo di mano e assaltassero le guardie. Queste vincitrici, il corpo rimaneva: vinte, avrebbero detto: siamo state soverchiate dal numero e il corpo fu involato dai discepoli e la trama nell’uno e nel1’altro caso era svelata. Ma i soldati potevano dormire e lo si disse dai Giudei: i discepoli vennero e se ne portarono il corpo di Cristo e fu possibile 1’affermazione: – Gesù è risorto -. I soldati dormivano! Tutti? E gli Apostoli e i discepoli potevano supporre che dormissero? E nessuno si destò al rumore dei discepoli, che venivano e tornavano, al rumore della grossa pietra levata dalla bocca del sepolcro? È troppo. E chi disse che i soldati dormivano? I soldati istessi. E i dormenti sono testimoni? E non furono puniti come infedeli al loro dovere? È troppo. Setto od otto anni appresso un Evangelista afferma solennemente, che i capi del popolo con danaro guadagnarono i soldati, perché spacciassero la favola, che mentre essi dormivano, i discepoli avevano fatto sparire il corpo di Cristo. Chi levossi a smentire il Vangelista? Nessuno! prova evidente che non era calunnia. Ma sovrabbondiamo in concessioni con i nostri avversari. Che donne e discepoli entrassero nell’infame ed empia congiura di affermare la Risurrezione di Cristo; che riuscissero a far scomparire il cadavere di Lui e tutto ciò fosse stabilito ed eseguito in quelle quarant’ore, che trascorsero fra la morte di Cristo e il grido emesso: – E risorto -. Voi vedete che è un cumolo di cose affatto moralmente impossibili. — Non im porta. — Si conceda tutto. – Esiste la congiura di ingannare la nazione e il mondo intero: ne fanno parte necessaria tutti i discepoli e le donne e spetta a queste fare i primi passi. Una congiura di questo genere, ordita in fretta e in furia, di cui fanno parte alcune decine di uomini e parecchie donne! Consci tutti della propria e dell’altrui debolezza, provata testè a fatti, potevano essi fidarsi a vicenda? Dove tra congiurati non sia sicura ed assoluta la fiducia, la congiura non è possibile. Perché quelle donne e quei discepoli di Cristo potessero accingersi alla scelleratissima impresa, bisogna supporli tutti, senza eccezione, tristi e malvagi in sommo grado: bisogna crederli tutti senza Religione, senza coscienza. Ingannare i loro fratelli e ingannarli in ciò che vi è di più augusto e di più santo, la Religione! Tener mano ad una congiura, che ha per iscopo di rovesciare la Religione propria e de’ loro padri per fondarne un’altra, il cui autore sarebbe un impostore od un pazzo! Dite: vi sembra possibile che Apostoli ignoranti, grossolani sì, ma onesti e retti; che codeste donne pie potessero e volessero prestarsi all’opera nefanda? – E proseguiamo ancora: Chi si accinge ad una impresa scabrosa e in cui sono in giuoco non la sola quiete, ma l’onore, la libertà e la vita istessa, a due cose particolarmente deve badare: l’impresa è possibile? Se è possibile, offre essa la speranza d’una mercede proporzionata ai pericoli e alle fatiche, che si devono sostenere? Per quanto li supponiamo ignoranti e inesperti del mondo codesti Apostoli e codeste donne, è forza convenire che dovevano vedere chiarissimamente la impossibilità della disperata impresa. Si riconoscevano poveri, ignoranti, timidi, nuovi del mondo, senza credito, senza amici, senza capo; vedevano di fronte a sé l’autorità della Sinagoga, per scienza, credito, ricchezza, potere, prestigio del passato, onnipotente; vedevano dietro ad essa l’autorità romana stessa, che nel terribile dramma del Maestro per timore aveva ceduto alla Sinagoga e l’aveva abbandonato al suo furore dopo averne tentato invano la difesa. Potevano essi nutrire speranza di riuscire là dov’era fallito il Maestro? E qual mercede attendere da un’ impresa sì dissennata se non le carceri, i flagelli, gli esili, la morte più crudele e il disprezzo e l’infamia nella memoria dei futuri? Erano tutte considerazioni d’una evidenza massima, che rendevano impossibile la congiura negli uomini più audaci e più perversi; che dire poi negli Apostoli e nelle donne, sì timidi, sì onesti e sì religiosi? E tempo di conchiudere il nostro ragionamento. Non si può sollevare il più lieve dubbio sulla verità della morte di Cristo: la certezza della sua Risurrezione non può essere maggiore per il numero e per la qualità dei testimoni, che l’affermano; essi non poterono essere ingannati, né allucinati; essi non ingannarono, né poterono ingannare, quand’anche per una ipotesi assurda l’avessero voluto. – Mi sembra d’aver mostrato a punta eli logica, tutto questo e chiusa ogni via a qualunque sofisma e ne appello a voi stessi, o fratelli, alla vostra ragione. Quale la conseguenza che ne discende? Questa: – Cristo è veramente risorto -. Dunque la dottrina ch’Egli ha insegnato è vera; dunque Egli è veramente Dio, il nostro Salvatore; prostrandoci pieni di fede e d’amore per Lui, coll’apostolo Tommaso esclamiamo: – Mio Signore e mio Dio! -.