G. FRASSINETTI: CATECHISMO DOGMATICO (I)

Catechismo dogmatico

[Giuseppe Frassinetti, priore di S. Sabina di Genova; Ed. Quinta, P. Piccadori, Parma, 1860]

Avendo avuto benigna accoglienza questa mio piccolo lavoro non solo tra noi dove già da molti anni ne fu esaurita la prima edizione, ma anche in Napoli ed in Firenze dove fu ristampato, credo bene riprodurlo con alcune correzioni ed aggiunte; altre necessarie quale é quella che riguarda il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria Ss. ed altre più utili ai tempi. Io pubblicavo questo compendio specialmente in servizio dei chierici che istruiscono i fanciulli nella dottrina cristiana senza avere ancora percorso tutti i trattati della Teologia Dogmatica; aveva tuttavia anche in mira il vantaggio delle persone secolari cui mancano alle volte certe cognizioni perché non si trovano così facilmente nei libri che hanno alle mani; per es. quelle riguardanti la S. Bibbia, le tradizioni, la Chiesa, i Concili, il Papa, la Grazia, la Giustificazione ecc., cognizioni singolarmente importanti oggigiorno per gli errori che si vanno spargendo nel popolo con tanta temerità. Ed è appunto per questo che anche più volenteroso ne intraprendo la ristampa, sperando che possa riuscire sempre più opportuna. – Si dirà che avevamo già all’uopo molti compendi della Dottrina cristiana, certo più pregevoli che questo mio, di che non si può dubitare; ciò non ostante non saprei se essi uniscano le due qualità che mi parevano specialmente al mio scopo desiderabili: cioè somma brevità, e universalità di tutte le materie teologiche dogmatiche più necessarie e più utili. Io d’altra parte era fin dal principio, e lo sono tuttavia, molto lontano dal credere in qualche modo necessario il mio esiguo lavoro; mi basterebbe che fosse qualche poco vantaggioso. – Non tocco quelle controversie le quali richiedono nel lettore fondo d’istruzione o lunghi trattati; ma le sole verità dogmatiche, e quelle che quantunque non siano definite di fede, sono però maggiormente conformi al comune insegnamento dei teologi. – Mi protesto di sottomettere ogni mia proposizione e parola al giudizio della S. Romana Chiesa di cui mi glorio di essere ubbidientissimo figlio, e i di cui interessi nella mia tenuità vorrei promuovere finché io viva.

PROLOGO:

DELLA RELIGIONE

 I

Necessità della Religione.

È necessario che gli uomini abbiano una Religione?

Presupposta la certezza dell’ esistenza di Dio, della quale non può dubitare nessun uomo che ragioni, è necessario che gli uomini abbiano una Religione, che cioè prestino il loro culto all’Essere Supremo, per cui hanno l’esistenza e tutti i beni, che è Dio.

Perché si dice che dell’esistenza di Dio non può dubitare uomo che ragioni, mentre dubitarono, anzi negarono l’esistenza di Dio vari filosofi che oltre all’essere molto dotti avevano finissimo criterio, e profondamente ragionavano?

Nessuno dei veri filosofi, cioè dei buoni ragionatori, anche pagani, ha mai dubitato dell’esistenza di Dio. Solo alcuni i quali non ostante la finezza del loro ingegno si abbandonarono ad ogni infamia e delitto, temendo il castigo di Dio, e non volendo migliorare la loro vita, cercarono di persuadersi che Dio non vi fosse, onde arrivare, se fosse stato possibile, ad essere empii senza timore e rimorso; e perciò bestemmiarono che Dio non v’è: ma nemmeno essi n’erano persuasi. Infatti dopo di avere bestemmiato in vita che Dio non vi era, o pentiti, o disperati confessavano in morte che vi era Dio. Come un malato cui molto rincresce il morire cerca di persuadersi che risanerà dalla sua malattia, quantunque abbia ragioni evidenti che lo convincano in contrario; così questi filosofi scellerati, cui l’esistenza di un Dio rincresceva sommamente, cercavano di persuadersi che Dio non vi fosse, quantunque della sua esistenza avessero ragioni evidentissime.

Per qual ragione presupposta l’esistenza di Dio è necessario che gli uomini prestino il loro culto a questo Essere Supremo?

Per quella ragione che un figlio deve amare il suo padre, un suddito deve stare soggetto al suo re, il beneficato deve essere grato al benefattore ecc. Questo Essere Supremo è nostro Padre, nostro Re, e nostro Benefattore Sovrano.

II

Necessità della Religione rivelata.

È sufficiente una religione naturale, cioè un culto dato a Dio secondo i dettami della sola umana ragione, o pure si richiede un culto determinato positivamente da Dio manifestatoci per mezzo di una rivelazione soprannaturale?

L’umana ragione da sé sola non basta a farci conoscere tutte le verità che ci sono necessarie alla giusta cognizione di Dio; per sé sola, non può determinare con quali sacrifici, e con quali riti debba l’uomo riconoscere il suo supremo dominio, e debba onorarlo inoltre da per sé sola non è valevole a determinare tutte le leggi della retta morale. Omettendo tutti gli altri argomenti che si potrebbero addurre, basta osservare, che questa proposizione non è che un fatto innegabile. Nessuno dei filosofi che parlarono di Dio e dei suoi attributi, col solo lume della ragione naturale arrivò a dare una giusta idea di questo Essere Supremo; e mentre tutti convennero che si dovesse onorare ed adorare, non seppero mai convenire nella qualità dei sacrifici, e dei riti che si dovessero adoprare (Vien qui in proposito ciò che dei filosofi Deisti scriveva lo stesso Rousseau (Emil., t. 3, p. 21): « Se consideri le loro ragioni non ne troverai quasi nessuna che non sia in distruzione…. in null’altro sono d’accordo che nel contraddirsi vicendevolmente.). Le leggi della morale quando furono lasciate in mano dei soli filosofi, piegarono sempre o per un verso o per l’altro all’ingiustizia, e alla turpitudine. I filosofi greci pagani riconobbero la necessità di una rivelazione, e stavano aspettandola e desiderandola (Ecco i sentimenti di Platone nell’Alcib., dial. 2: Socrate: — La cosa più sicura è che noi aspettiamo pazientemente, e certo bisogna aspettare, finché venga chi ci ammaestri circa i nostri doveri verso Dio, e verso gli uomini. D — Alcib. — Quando sarà quell’ora, e chi ci ammaestrerà in queste cose? fortemente desidero di veder questo maestro! — Socrate: — Quegli, di cui parliamo ha cura delle cose tue; ma deve fare, secondo io la penso, come narra Omero aver fatto Minerva con Diomede. Minerva dissipò le nebbie che offuscavano gli occhi di Diomede, ed egli vide gli oggetti che gli stavano avanti. Così è necessario che una densa caligine sia tolta dagli occhi del tuo intelletto, affinché meglio tu discerna il ben dal male, il che per ora non puoi. — Alcib. — Oh venisse! Oh dissipasse queste tenebre! Io per quanto è in me, purché migliore addivenga di quel che sono, sarei dispostissimo ad ogni cosa ch’ei comandasse. — Socrate: — Così deve farsi finché nella nostra ignoranza non conosciamo quali sacrifici piacciano a Dio, e quali lo disgustino. — Alcib. — Quando quel dì sarà venuto, con buon successo placheranno Dio i nostri sacrifici, e confido nella sua bontà che questo di non sia per essere molto lontano. – Ecco come anche i filosofi gentili desiderassero una Religione rivelata, e come ne riconoscessero la necessità).

Perfezionandosi l’umana ragione pare che potrà essa arrivare a quel punto cui finora non è pervenuta, di conoscere bene gli attributi di Dio, i modi di onorarla a Lui accetti, e tutte le regole della retta morale; e or pare che stante il gran progresso dei lumi siam già presso alla meta, sicché da qui avanti non sarà necessaria una rivelazione soprannaturale?

Da tanti secoli nei quali stanno i filosofi studiando come perfezionare le facoltà dello spirito umano, se la nostra ragione fosse capace di una perfezione assoluta, sarebbe ormai perfettissima, e conosceremmo le cose tutte, a così dire, meglio degli Angeli; ma invece la repubblica dei filosofi (parlando di quegli che sdegnano i lumi della rivelazione) si trova sempre in maggior confusione, e in maggiori tenebre; cosicché senza dubbio venti secoli innanzi, Platone, Aristotile ed altri pagani dettavano una filosofia molto più ragionevole, retta e costumata, che i nostri filosofi irreligiosi. L’uomo ha un fondo d’ignoranza e malizia in natura che non si potrà scandagliare giammai e, se vuole perfezionare veramente le facoltà del suo spirito, bisogna che al lume della ragione unisca i lumi della rivelazione. Del progresso poi dei lumi del nostro secolo non spetta a noi giudicare, ne giudicheranno i secoli futuri senza passione, e senza amor proprio. Si deve credere che non vorranno negargli lode di buon progresso nelle scienze industriali; se uguale vorranno dargliela nelle scienze metafisiche e morali si può  finor dubitare. Noi frattanto sfidiamo i nostri filosofi irreligiosi a mettersi tra loro d’accordo, mentre finché non fanno che intronarci le orecchie con un confuso battagliar di sistemi tutti fra loro irreconciliabili, non possiamo nemmeno intendere quel che ci dicano. – Si mettano d’accordo, e potremo cominciare a supporre che vogliano perfezionare l’umana ragione. Finché sempre più si sprofonda il vorticoso caos delle loro opinioni, che possiam credere o dire? Perciò la ridicola speranza del pieno perfezionamento dell’umana ragione, non può esentarci dal riconoscere la necessità di una Religione rivelata, la quale ci ammaestri nella cognizione di Dio, nei modi di adorarlo, e nelle regole dei retti costumi.

III

Caratteri della Religione rivelata.

Varie sono le religioni al mondo le quali si dicono rivelate da Dio; ma essendo queste tra loro contrarie non possono essere rivelate tutte, una sola sarà quella che Dio avrà rivelato; frattanto come noi la discerneremo. dalle altre?

Certamente Dio che è verità, non può rivelare, come vere, cose tra loro contrarie, ciascuna delle quali suppone la falsità delle altre; perciò fra tutte le religioni che si dicono rivelate, una sola deve essere figlia della vera rivelazione. Per discernere questa da tutte le altre non fa bisogno di astruse ricerche e prolisse dimostrazioni. Come si distingue un diamante prezioso tra i frantumi del fragile vetro, così si distingue la vera Religione rivelata da quelle che sono false. Le Religioni che si dicono rivelate sono il Paganesimo, il Maomettismo, il Giudaismo, e il Cristianesimo.

1° – Il Paganesimo che è un grande aggregato, o per meglio dire, un gran caos d’innumerevoli culti, ripugna alla ragione, mentre si può dire che di ogni cosa fa un Dio. E anzi, secondo i suoi dettami, ciò che in un luogo è Dio cui si devono immolare le vittime, è vittima in un altro che si deve immolare ad un Dio. In Egitto si sacrificava al Bue, in Grecia il Bue era sacrificato. E, come riporta un antico, gli stessi sacerdoti di un luogo disputavano tra loro quale tra due animali fosse la vittima da sacrificarsi, e quale il Dio a cui si dovesse fare il sacrificio. Questa religione ha tutti i caratteri della follìa, e niuno della divinità.

2° –  Il Maomettismo parimente nulla ha di Divino. Non profezie avverate, non miracoli operati; nato nell’ignoranza, nell’ignoranza nutrito, fu stabilito e propagato con la sola forza delle armi. La barbarie è il suo sostegno, il mal costume è il suo pascolo, e tutt’insieme la sua speranza per la vita avvenire; non vi fu Saggio giammai che non lo abbia abborrito e deriso.

3° – Diversamente bisogna parlare del Giudaismo. Esso ha profezie avverate, miracoli operati; i suoi libri sono santi, e portano impresso il carattere della Divinità; perciò la Religione Giudaica fu Religione rivelata da Dio. Ma non doveva essere questa religione perpetua, doveva dar luogo a quella di cui non era che la figura. I suoi libri lo dicono chiaro che si sarebbe formato un nuovo popolo, che questo avrebbe avuto una nuova legge e un nuovo sacrificio; perciò la religione Giudaica fu già quel culto col quale voleva Iddio essere onorato dagli uomini; adesso non più. E mirabilmente apparisce l’abbandono in cui Dio la lasciò: senza tempio, senza sacerdozio e senza sacrifici, per giunta senza terra, sicché gli Ebrei sparsi per tutto il mondo, dappertutto sono stranieri. Pertanto la religione Giudaica dice da sé, che essa non è più quella che piaccia a Dio, che in suo luogo è sottentrato il Cristianesimo. Questa adesso è l’unica Religione che abbia i caratteri della Divinità, e unicamente gli avrà fino alla fine del mondo.Tutte le profezie dei libri santi confermano la sua veracità. Infiniti miracoli attestano ch’essa è opera di Dio. La religione Cristiana è quella che dà agli uomini la più grande e perfetta idea dell’Essere Supremo che possa aversi, insegna il modo il più sublime in cui si deve adorare, e prescrive regole di costumi tutte appoggiate sulla giustizia e sulla santità; sicché il più rozzo Cristiano purché sia istruito nei primi rudimenti della sua fede, è più dotto in divinità, in culto e in moralità di qualunque filosofo non cristiano. Basta conoscere la Religione Cristiana per sentirsi come sforzati a proclamarla la vera, quella che gode di tutti i caratteri della Divina Rivelazione.

Come può avvenire che mentre Essa ha tutti i caratteri della Rivelazione, sia frattanto la più combattuta?

Bisogna osservare da chi venga la guerra, perché dal genere del nemico si conosce la qualità della cosa combattuta. La Religione Cristiana fu sempre combattuta più di tutte le altre religioni che sono al mondo; ma fu sempre combattuta dagli empii e dagli scostumati. I persecutori della Religione Cristiana, come ci mostra la storia, furono sempre i più famosi nei vizi, e i più fieri tra questi furono sempre mostri di delitto e d’infamia. Qual meraviglia, che i cattivi odiino il bene, e tanto più lo odiino quanto è più grande? Frattanto questo continuo combattimento, mentre forma il suo onore, ci fa conoscere un altro carattere della sua Divinità. Fu sempre la più combattuta, e sempre la più grande e inalterabile; dopo venti secoli di combattimenti, è sempre la stessa, piena di forza e vigore, e si stende trionfalmente per tutta la terra, mutando i suoi oppositori in suoi figli allorquando la conoscono. Il fatto ci assicura della sua indefettibilità oltre la promessa che n’ebbe da Dio.

Nella Religione Cristiana però vi sono tante sètte tra loro nemiche: quale sarà la vera?

Nessuna delle sètte; queste sono tutte false. È vera quella che non è setta, quella ch’è fondata dagli Apostoli, che ha la loro fede, e le loro costumanze; quella che tutte le sètte combattono, come tutti gli errori combattono la verità. Quella che per tutto il mondo si estende, abbraccia tutti i tempi, e perciò si appella, ed è veramente la Religione Cattolica. Tutte le sètte hanno per capi uomini disertori dalla Religione di Cristo e degli Apostoli: perciò non si possono chiamare cristiane se non in quanto riconoscono Cristo, e pretendono onorarlo al loro modo. Non si possono poi chiamar cristiane in quanto facciano parte di quella Religione che veramente Cristo formò. Il fatto dimostra che sono separate da questa, perché combattono contro di lei. Di questo parleremo al Cap. I, § 3  (1).

(1) Considerando tali cose qui brevissimamente accennate si vede chiara e manifesta l’irrazionalità dell’indifferenza in materia di Religione. Se Dio si deve onorare con un culto, se Egli ha rivelato quale sia quello che da noi vuole, se nel manifestarcelo ci avverte che ogni altro culto d’innanzi a Lui è abbominazione (essendo questa una delle fondamentali verità della Religione Cattolica) com’è possibile che noi vogliamo credere essere Iddio indifferente per qualunque sorta di culto che si trovi in questa terra? E poi sarà cosa ragionevole il supporre che Dio si stimi onorato ugualmente dal casto e puro culto cristiano, come dall’impuro ed infame del paganesimo? Gli sarà grata la strage delle ventimila vittime umane che annualmente si sacrificavano nel Messico idolatra quando si squarciava il petto a quelle infelici per strapparne il cuore ancor vivo e palpitante, parimente che l’innocente e pio sacrificio dei nostri altari? Potevano piacergli le strida e gli urli della più orribile disperazione che intronavano quelle sale di spavento e di morte, come gli inni pacifici pieni di riconoscenza e di amore, che rallegrano i nostri templi? Mi parrebbe meno mali il supporre che Dio non esista, che il supporre l’esistenza di un Dio così stupido ed insensato quale sarebbe quello che si reputasse onorato ugualmente da tutte le sorta di culto che furono e sono al mondo.

 

DIFESA DELLA FEDE

DIFESA DELLA FEDE

[Dom Guéranger: l’Anno Liturgico, vol. I, Paoline ed. – 1957, impr.]

… abile a trasformarsi in angelo di luce (II Cor. 11, 14), l’eterno nemico rivestì il suo apostolo [Nestorio] d’una duplice bugiarda aureola di santità e di scienza; l’uomo che più d’ogni altro doveva manifestare l’odio del serpente contro la donna ed il suo seme, si assise sulla cattedra episcopale di Costantinopoli col plauso di tutto l’Oriente, che si riprometteva di veder rivivere in lui l’eloquenza e le virtù d’un nuovo Crisostomo. Ma l’esultanza dei buoni fu di breve durata perché nello stesso anno dell’esaltazione dell’ipocrita pastore, il giorno di Natale del 428, Nestorio, approfittando dell’immenso concorso di fedeli venuti a festeggiare il parto della Vergine-Madre, dall’alto del soglio episcopale lanciò quella blasfema parola: «Maria non ha generato Dio: il Figlio suo non è che un uomo, strumento della divinità ». – A queste parole la moltitudine fremette inorridita; interprete della generale indignazione. Eusebio di Doriles, un semplice laico, si levò in mezzo alla folla a protestare contro l’empietà. In seguito, a nome dei membri di questa desolata Chiesa fu redatta una più esplicita protesta, diffusa in numerosi esemplari, anatemizzando chiunque avesse osato dire: « Altro è il Figlio unico del Padre, altro quello nato dalla Vergine Maria ». Generoso atteggiamento che fu allora la salvaguardia di Bisanzio e gli valse l’elogio dei Concili e dei Papi!

Quando il pastore si cambia in lupo, tocca soprattutto al gregge difendersi.

Di regola, senza dubbio, la dottrina discende dai Vescovi ai fedeli; e non devono i sudditi giudicare nel campo della fede, i capi. Ma nel tesoro della rivelazione vi sono dei punti essenziali, dei quali ogni cristiano, perciò stesso ch’è cristiano, deve avere la necessaria CONOSCENZA e la dovuta CUSTODIA. Il principio non muta, sia che si tratti di verità da credere che di norme morali da seguire, sia di morale che di dogma. I tradimenti simili a quelli di Nestorio non sono frequenti nella Chiesa; tuttavia può darsi che alcuni pastori tacciano, per un motivo o per l’altro, in talune circostanze in cui la stessa religione verrebbe ad essere coinvolta.

In tali congiunture, i VERI FEDELI sono quelli che attingono solo nel loro Battesimo l’ispirazione della loro linea di condotta; non i pusillanimi …

… che, sotto lo specioso pretesto della sottomissione ai poteri costituiti, attendono, per aderire al nemico o per opporsi alle sue imprese un programma che non è affatto necessario e che non si deve dare loro …

FESTA DELL’ANNUNCIAZIONE [2018]

L’ ANNUNCIATA

[G. Dalla Vecchia: “Albe primaverili”; G. Galla ed. Vicenza, 1911]

(PANEGIRICO)

“Et virtus Altissimi obumbrabit tibi. „

E la virtù (potenza) dell’Altissimo ti adombrerà.

(Luc. I, 35)

ESORDIO. — Rutilante celesti fulgori, l’arcangelo Gabriele scende dalle celesti sfere; drizza il volo alla piccola Nazaret; penetra nella stanza solitaria della vergine Sposa di S. Giuseppe … ; e il nome della vergine avventurata, Maria … — La saluta riverente, la conforta turbata agli angelici accenti, le propone la sublime dignità di Madre di Dio.

— Sono vergine, proclama la pia, e come avverrà questo? E l’Angelo: Lo Spirito Santo scenderà su te; e la potenza dell’Altissimo ti adombrerà di nube divina, come un dì la vetta del Sinai. — Tutto santo sarà il tuo figlio, vero Figliuolo di Dio… Et virtus Altissimi obumbrabit tibi… — E l’umile verginella: Ecco l’ancella del Signore, si faccia in me secondo il tuo accento. — Et Verbum caro factum est. Maria è Madre di Dio! — Chi può scandagliare questo abisso di dignità, di grandezza, a cui viene, innalzata Maria? — Ella stessa non poteva spiegare così arcano Mistero. Nec ipsa explicare potest quod capere potuit (S. Agost.).

— Vediamo dunque: 1. come si preparò Maria a tanta grandezza … 2. la sublime elevazione di Maria, perché Madre di Dio.

PARTE PRIMA

I . – Come si preparò Maria alla divina Maternità. —

Dal momento, che neh’ amoroso decreto dell’Incarnazione era prefisso, che il Verbo incarnato avesse una madre, Ella certo doveva possedere una eccezionale ricchezza di doni ricevuti, di meriti acquistati … E così avvenne appunto in Maria. Meritorum verticem usque ad solium divinitatis erexit (S. Agost.).

(a) Concepita senza ombra di peccato originale, si conserva libera da ogni colpa attuale … Fino dal primo istante gode il libero uso della ragione; e tosto si dona, e consacra al Signore; lo contempla, lo ama …

— I suoi meriti già, si elevano sopra le vette più sublimi dai monti di Sion; è già superiore agli Angeli ed ai santi. Quolibet tempore meruit. (B. Alb. Magno).

— Scrive S. Pietro Damiani: La prima grazia, che il Signore conferì a Maria, sormontò la grazia ultima del più eccelso Serafino; viene superata solo da quel Dio che l’ha creata. Solumque Opificem opus istud supergredi.

— Maria, poi, moltiplica ininterrottamente gli atti di amore, di unione, di conformità; quindi moltiplica del continuo i meriti ed anche l’effusione di nuove grazie su lei … Per singulos actus huiusmodi ita crescebat Ma gratia, ut fleret duplo maior, quam in principio erat (Suarez.)

— Meritava di giorno e di notte; ego dormio, sed cor meum vigilat; (Cantico) mentre l’anima sua liberamente tendeva senza interruzione al suo Dio. (S. Bernardino da Siena).

(b) Il profeta Isaia vaticinava: Ecce virgo concipiet et pariet filium (VII, 14); ecco che una Vergine concepirà e partorirà un figliuolo. — Dunque vergine, nel più stretto senso della parola, doveva essere la Madre del Salvatore del mondo. — E Maria?

— A soli tre anni si presenta al tempio del Signore, dove passerà la fanciullezza accanto all’Arca santa. La santa Bambina pronta risponde alle intime voci dello Sposo divino e, perfettamente conscia del suo sacrificio, consacra al Signore la sua anima, il suo corpo, col voto di verginità (S. Anselmo). Così questa vezzosa bambina innalza, la prima, il prezioso stendardo della sacra verginità (S. Ambrogio); e coi vincoli più ardenti, più intimi e santi, si stringe a Dio, purità per essenza.

(e) E la sua vita nel tempio, in mezzo alle nobili fanciulle, che venivano educate in quel luogo santo? — Mente umana non può certo scoprirne gl’ignoti orizzonti. Secondo S. Anselmo, la purità di Maria (e colla purità procede parallela la santità) deve dedursi, in qualche modo, dalla stessa purità e santità di Dio, dall’amore reciproco delle persone della SS. Trinità, dalla divina potenza che vuole rendere Maria degna di diventare Madre del Figlio di Dio. Chi può narrare il fervore della sua prece, la pronta sommessione della sua obbedienza, la profondità della sua adorazione, l’attività assidua del suo lavoro, la soavità del suo silenzio, la dolcezza della sua parola, l’attrattiva del suo esempio, le fiamme del suo amore, la generosità dei suoi sacrifici? — Nulla in lei di leggero, o puerile. — Assidua allo studio dei sacri Libri, si cibava della parola di Dio, vero pane angelico, ed a stento prendeva il cibo necessario alla vita. Contemplava ogni dì il gaudio degli Angeli, e sprezzava le vane cose del mondo. Vergine colomba, fissava l’innamorata pupilla nello Sposo divino, e con inni di grazie, con tutta 1’effusione dell’anima, supplicava l’eterno Creatore della terra e dei cieli (S. Tarasio). – Era in lei tale sublimità di virtù e di meriti, da essere pronta ad accogliere nel suo seno il Figlio di Dio. Talis eligitur Virgo, quæ tantum haberet meritum, ut Dei Filium in se susciperet (S. Agost.).

— L’Angelo stesso, a nome di Dio, proclama la santità di Maria; ave, gratia piena; ave, la piena di grazia; così conveniva alla dignità di Madre di Dio. In Matre Dei fuit gratia tali dignitati proportionata (S. Tom.).

— E poi quel: Come avverrà questo, se sono vergine; quomodo fiet istud, quoniam virum non cognosco ? Questi accenti non sono forse 1’ultimo rito, con cui Maria consacra tutta se stessa, quale tempio vivente, a quel Dio, che doveva fra poco prendervi possesso; proprio come si dedicano le nostre chiese prima che vi entri Gesù sacramentato? Deo dicata et consacrata caro! (S. Greg. Nisseno).

— Oh ! sì, Vergine immacolata e santa, acconsenti all’angelica parola; accetta di essere la Madre del promesso Salvatore e nostra Madre ancora, Madre di amore. Acconsenti! lo attende la terra … , il cielo…, Dio… Momento unico al mondo! L’umile Verginella china la fronte, giunge le mani, pronuncia: Ecco 1’ancella del Signore, fiat mihi secundum verbum tuum… Maria è già Madre di Dio.

Maria Madre di Dio. — Accettando la divina maternità, scrive S. Tomaso, Maria meritò più di tutti gli Angeli ed i santi, in tutti i loro atti, affetti, e pensieri . ..

(a) Maria infatti è perfettamente libera; non le viene imposto di accettare un ministero così sublime; che 1’Angelo glielo propone, le chiede, se acconsenta di prendere una parte così intima all’Incarnazione, e quindi alla Redenzione… Maria crede, accetta… Ecce ancilla…, fiat mihi.

— Non basta. Maria con umiltà, ma fermezza, dichiara all’Angelo, che vuole salva la propria verginità; e l’Angelo l’assicura: Spiritus Sanctus superveniet in te, anzi le aggiunge, che diverrà Madre per 1’opera onnipotente dell’Altissimo, al quale niente è impossibile. Quia non erit impossibile apud Deum omne verbum (‘Luca I, 37).

— Vi è di più. — Per dare liberamente e consciamente il consenso, Maria doveva conoscere e la grave responsabilità che si assumeva e, almeno nelle linee generali, le pene, le angosce, il martirio riservato alla Madre del Redentore del mondo. — E dinfatti ( Faber) dietro i raggi fulgenti della futura grandezza, a cui era prescelta, Maria vede designarsi l’ombra sanguinante del Golgota, che pareva giungere fino a Lei … Eppure: Fiat mihi! Quanto sei grande, o Maria! — Al Fiat dell’ Onnipotente, il mondo usciva dal nulla; al Fiat umile e generoso di Maria, il Verbo si fa carne nel suo seno verginale. – Colui, che non possono contenere la terra ed i cieli, si asconde in questa vergine sposa, ed ora, per privilegio unico al mondo, Madre e Vergine… Dio è figlio della sua creatura!…

(b) Lo Spirito Santo col vergine sangue di Maria forma un corpo bellissimo, vi crea un’anima perfettissima; a questo corpo ed a quest’anima si aggiunge la Persona del Verbo… Eccovi Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, vero Figlio di Dio, e vero figlio di Maria. – Dunque Maria è il tempio vivente, dove il Pontefice divino offre il grande sacrificio delle sue umiliazioni, sacrificio, che si compirà più tardi con la morte di croce.

— Maria è il talamo nuziale, dove il Verbo celebra le sue mistiche nozze coll’umana natura, che egli associa e disposa alla sua natura divina, in una sola persona … . Dum esset rex in accubitu suo, nardus mea dedit odorem suavitatis (Cantic.). Ed intanto i gigli della purezza, della verginità, delle virtù, dei meriti di Maria profumano olezzanti questo arcano Banchetto di amore; nardus mea dedit odorem suavitatis.

— Maria è Madre di Dio! dunque la Regina degli Angeli i quali, nel dì della prova, avendo adorato riverenti il Mistero dell’incarnazione del Verbo, implicitamente ne hanno ancora venerata la Madre, loro futura regina.

— Madre di Dio! Dunque Maria entra nelle più intime relazioni colla SS. Trinità. — È la mistica sposa dello Spirito Santo, che in lei operò tale stupendo prodigio, quod soli datum est nosci, cui soli datura est experiri (S. Bernardo). — E’ la Madre del Figlio di Dio, che si lascerà portare dalle sue braccia, nutrire del suo latte, e la chiamerà col nome ineffabile di! Madre. —. E con l’eterno Padre? — O abisso di grandezza, di elevazione! Maria, sulla terra, per effetto di grazia genera quel medesimo Figlio, che il Padre genera in cielo per perfezione di natura. — Il Padre lo genera con un atto del suo intelletto, Maria col fìat, cioè con un atto della sua volontà. Il Padre senza concorso di madre, Maria senza concorso di padre. — L’eterno Genitore trova le sue compiacenze nel suo Figlio unigenito; e Maria? — Chi può dirmi l’ebbrezza di gaudio nel dire a Gesù: Tu sei mio figlio; nel tempo io ti ho dato là vita? —. Ah! che i riverberi (Ugo di S. Vittore) della divinità fatti balenare sullo spirito di Maria, i lumi, le tenerezze, i doni dal divin Verbo a lei comunicati, poteva bene goderli, ma neppure Ella poté spiegarli.Più ancora. Maria ha non solo le grandezze ed i gaudi, ma ancora tutti i diritti di Madre. — Gesù, che ha dato e conserva la vita a Maria, Gesù il re dei secoli, che tutto ha creato e per cui furono fatte tutte le cose; Gesù, a cui obbediscono tremebondi gli alati serafini, sì Gesù, obbedisce alla sua creatura, alla Vergine sposa di Giuseppe; obbedisce a Maria, povera, ignorata, dimenticata; et erat subditus illis (Luca). Obbedisce a Maria, perché Maria è sua Madre. Maria Madre di Dio! È una dignità, che tocca l’infinito; così il beato Alberto Magno. — Dio può fare dei mondi più belli, ma non può fare una Madre più bella e grande di Maria; così S. Bonaventura.

— Maria stessa nell’estasi dell’amore, che ammira ed esulta, esclama rapita: Cose meravigliose ha operato in me 1’Onnipotente. Fecit mihi magna qui potens est. Maria Madre di Dio è un prodigio unico dell’amore onnipotente di Dio. Et virtus Altissimi obumbrabit tibi.

PARTE SECONDA

III. La divina maternità della Vergine è il fondamento inconcusso della nostra confidenza in Maria. —

Il Padre, come l’ha associata alla sua paternità di natura riguardo al Verbo incarnato, così 1’ha associata alla sua paternità di adozione verso di noi suoi figli adottivi.

— Quindi ne viene, che Maria è potente…, ed ancora che Maria ci ama, ed ha pietà di noi.

(a) È la figlia primogenita dell’Altissimo, e non può certo avere un rifiuto dal Padre, che la vide così generosa ed intrepida nel sacrificare tutta se stessa per entrare nelle sue amorose e divine intenzioni. — Gesù Cristo nulla negava sulla terra alla Madre sua; per lei, alle nozze di Cana, anticipava 1’ora dei miracoli; la coronava regina degli angeli e dei santi, del cielo e della terra; oh! Gesù Cristo nulla può negare ai desideri, alle suppliche della sua Genitrice. – In cielo Maria è l’arbitra, la regina, la tesoriera del Cuore di Gesù, che sulla croce affidava all’amore della Madre sua la causa della Chiesa, di tutti i credenti. Quindi (il Damiani) la preghiera di Maria, i n cielo, non è una supplica, ma un comando; e, se Dio è onnipotente per natura, Maria è onnipotente per grazia. Omnapotentia supplex. Infatti la potenza di Maria deve corrispondere ai privilegi ricevuti, alla santità da lei acquistata, al ministero sublimissimo esercitato lungo la vita, alla sua cooperazione nell’Incarnazione e nella Redenzione. — Ora, tutto questo, solo Iddio lo può comprendere nella sua totalità; e così pure Dio solo conosce i limiti della potenza di Maria.

(b) Madre di Gesù: ma lo divenne solo per noi, che siamo i fratelli minori di Gesù, nostro fratello primogenito: quindi siamo suoi figli adottivi, figli di amore. — Come, per farla Madre del suo Figlio divino, il Padre la ricoprì della sua ombra onnipotente, così per far la nostra madre di adozione le trasfuse nel cuore le tenerezze della sua misericordia e bontà. — Ella, dice S. Agostino, è veramente nostra madre secondo lo spirito, perché colla sua carità ha cooperato alla nascita dei fedeli nella Chiesa. – Di più, Maria è entrata nelle intenzioni, nei desideri, negli affetti del Cuore amoroso di Gesù, che per noi patì e morì sulla croce; e, dopo Gesù, non vi è chi ci ami, quanto la Vergine Madre di Dio. Per noi accettò di diventare Madre del nostro Redentore; per noi l’offerse sull’altare del tempio; per noi lo nutrì, lo vegliò, lo riservò ai flagelli, alla croce, alla morte; per noi volle essere presente agli estremi aneliti del suo Diletto crocefisso; per noi, se fossero mancati i carnefici, lo avrebbe confitto sul legno ferale. — E per questo suo amore meritò, che 1’agonizzante Signore la proclamasse ufficialmente Madre nostra; Donna, ecco il tuo figlio. In Ioanne intelligimus omnes, quorum beata Virgo per charitatem effecta est mater (S. Bernardino da Siena).

E Maria ci ama. — Lo dicono i templi, gli altari a lei dedicati, le lampade votive, i cuori d’argento sospesi alle pareti dei suoi santuari; i ceri scintillanti, i fiori olezzanti innanzi alle sue immagini. — Lo dice la storia della Chiesa e del mondo; gl’immensi pellegrinaggi alle cappelle a lei sacre: soprattutto lo dice il nostro cuore sussultante di amore per la nostra tenerissima Madre celeste. Col cuore gonfio di gioia, di confidenza e di amore, andiamo a questo mistico Trono di misericordia, andiamo a Maria. A lei ergiamo suppliche ardenti per noi, per la Chiesa, per la società, per i derelitti, per i peccatori. – Alle sue mani materne affidiamo 1’anima nostra, il nostro corpo, la nostra famiglia, i nostri interessi, e con tutta confidenza la preghiamo di farci sentire gli effetti del suo amore.

— Monstra te esse matrem. Sì, o Maria, tu sei la Madre nostra. Con la tua potenza abbatti le infernali squadre, congiurate alla nostra eterna rovina. — In gemito e pianto a te innalziamo la prece, la pupilla, il cuore. — Tergi le nostre lagrime, ci sostieni se deboli, ci illumina se dubbiosi; ne allontana i perigli, ci afforza nella lotta, ci dona la vittoria, ne ottieni il trionfo. — Ci accogli peccatori, ne scuoti se tiepidi, ed ai giusti dona la perseveranza nel bene. – O clemente, o pia, o dolce Vergine Maria, la tua parola tutto può, tutto ottiene, tutto strappa al Cuore di Dio … Dilla dunque anche per noi peccatori, questa parola di amore… E nel cielo canteremo in eterno le lodi della tua materna potenza e bontà. Et virtus Altissimi obumbrabit tibi.

L’Angelus.

[Dom Guéranger: l’Anno Liturgico, vol. I, Ed. Paoline, Alba 1957- impr.]

Non chiuderemo questa giornata senza ricordare e raccomandare la pia e salutare istituzione che la cristianità solennizza giornalmente in ogni paese cattolico, in onore del mistero dell’Incarnazione e della divina maternità di Maria. Tre volte al giorno, al mattino, a mezzogiorno e alla sera, si ode la campana e i fedeli, all’invito di quel suono si uniscono all’Angelo Gabriele per salutare la Vergine Maria e glorificare il momento in cui lo stesso Figlio di Dio si compiacque assumere umana carne in Lei. – Dall’Incarnazione del Verbo il nome suo è echeggiato nel mondo intero. Dall’Oriente all’Occidente è grande il nome del Signore; ma è pur grande il nome di Maria sua Madre. Da qui il bisogno del ringraziamento quotidiano per il mistero dell’Annunciazione, in cui agli uomini fu dato il Figlio di Dio. Troviamo traccia di questa pratica nel xiv secolo, quando Giovanni XXII apre il tesoro delle indulgenze a favore dei fedeli che reciteranno l’Ave Maria, la sera, al suono della campana che ricorda loro la Madre di Dio. – Nel XV secolo S. Antonino c’informa nella sua Somma che il suono delle campane si faceva, allora, mattina e sera nella Toscana. Solo nel XVI secolo troviamo in un documento francese citato da Mabillon il suono delle campane a mezzogiorno, che si aggiunge a quello dell’aurora e del tramonto. Fu così che Leone X approvò tale devozione, nel 1513, per l’abbazia di Saint-Germain des Près, a Parigi. D’allora in poi l’intera cristianità la tenne in onore con tutte le sue modifiche; i Papi moltiplicarono le indulgenze; dopo quelle di Giovanni XXII e di Leone X, nel XVIII secolo furono emanate quelle di Benedetto XIII; ed ebbe tale importanza la pratica, che a Roma, durante l’anno giubilare, in cui tutte le indulgenze eccetto quelle del pellegrinaggio a Roma, rimangono sospese, stabilì che le tre salutazioni che si suonano in onore di Maria, avrebbero dovuto continuare ad invitare i fedeli a glorificare insieme il Verbo fatto carne. Quanto a Maria, lo Spirito Santo aveva già preannunciati i tre termini della pia pratica, esortandoci a celebrarla soave « come l’aurora » al suo sorgere, splendente « come il sole » nel suo meriggio e bella « come la luna » nel suo riflesso argenteo.

331

a)

– Angelus Domini nuntiavit Mariæ,

Et concepit de Spiritu Sancto.

Ave Maria.

– Ecce ancilla Domini,

Fiat mihi secundum verbum tuum.

Ave Maria.

– Et Verbum caro factum est,

Et habitavit in nobis.

Ave Maria.

Ora prò nobis, sancta Dei Genitrix,

Ut digni efficiamur promissionibus Christi.

Oremus.

Gratiam tuam, quæsumus Domine, mentibus nostris infunde: ut qui, Angelo nuntiante, Christi Filii tui incarnationem cognovimus, per passionem eius et crucem ad resurrectionis gloriam perducamur. Per eumdem Christum Dominum nostrum. Amen.

b)

Regina cœli lætare, alleluia:

Quia quem meruisti portare, alleluia,

Resurrexit, sicut dixit, alleluia.

Ora prò nobis Deum, alleluia,

Gaude et lætare, Virgo Maria, alleluia,

Quia surrexit Dominus vere, alleluia.

Oremus.

Deus, qui per resurrectionem Filii tui Domini nostri Iesu Christi mundum lætificare dignatus es: præsta quœsumus, ut per eius Genitricem Virginem Mariam perpetuæ capiamus gaudia vitae. Per eumdem Christum Dominum nostrum. Amen (ex Brev. Rom.). [Nel periodo pasquale]

[Fidelibus, qui cum primo diluculo, tum meridiano tempore, tum sub vesperam vel cum primum postea potuerint,  precationem Angelus Domini cum statutis versiculis et oratione, aut tempore paschali antiphonam Regina cœli item cum usìtata oratione, aut demum quinquies salutationem angelicam Ave Maria devote recitaverint, conceditur [ai fedeli che avranno recitato al mattino, mezzogiorno e sera le preghiere suddette con versicolo e orazione, si concede …]:

Indulgentia decem annorum [dieci anni] quoties id egerint [ogni volta]; Indulgentia plenaria suetis conditionibus, si quotidie per integrum mensem eamdem recitationem persolverint (S. Pæn. Ap., 20 febr. 1933). [ENCHIRIDION INDULGENTIARUM, Tip. Pol. Vatic. – 1952]

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE IL MODERNISTA APOSTATA DI TORNO: IL FERMO PROPOSITO

Questa stupenda enciclica di Papa Sarto, scritta in italiano, si collega al Magistero del suo “immenso” predecessore, Papa Leone XIII, ed in particolare alla lettera cardine delle Encicliche sociali, la “Rerum Novarum”, della quale si ricordano i principi ivi enunciati. Qui poi il Santo Padre ancora annuncia e ribadisce che, nella soluzione dei problemi sociali, oltre che spirituali, occorre “restaurare tutto in Cristo”, motto del suo Pontificato ed ineludibile principio di vita, fondamento imprescindibile di ogni azione sociale e politica, oltre che naturalmente spirituale. A questo principio deve conformarsi, secondo il Sommo Pontefice, ogni azione o attività del Cattolico, religioso o laico; nell’ambito sociale e politico si ribadisce, una volta di più, la necessità dell’osservanza della dottrina cattolica e la sottomissione umile e piena alla Santa Chiesa di Cristo, la Chiesa Cattolica ed alla sua Gerarchia. Sono i princîpi di sempre della dottrina cristiana, che hanno portato in altri tempi uomini bruti, pagani, incivili, barbari, alla sommità della civiltà umana in ogni campo ed in ogni luogo. Questi sono i princîpi che purtroppo coloro che reggono oggi i destini dei popoli, i politici di ogni schieramento e fazione, hanno abiurato, apostatato e contraddetto ostinatamente, cercando inutilmente “ricette” e filosofie alternative che si dimostrano nel tempo pure disastrose, foriere di indigenza e distruzione materiale, di instabilità sociale, disperazione personale e di gruppo, di tracolli e crisi economiche di ogni tipo, senza trovare soluzione alcuna capace di incidere sui reali bisogni delle popolazioni, ormai asservite a sistemi falsamente democratici, ove regna l’interesse di pochi, oppressori di deboli e di [resi] miseri. Riprendano le guide dei popoli, i concetti che la Chiesa Cattolica ha espresso infallibilmente nel tempo, se si vuole veramente riportare l’umana società alla concordia sociale ed al benessere sia materiale che soprattutto spirituale, veicolo per raggiungere l’unico obiettivo dell’essere umano: la salvezza eterna.

san Pio X

Il fermo proposito

Lettera Enciclica

Il fermo proposito, che fin dai primordi del Nostro Pontificato abbiamo concepito, di voler consacrare tutte le forze che la benignità del Signore si degna concederCi alla restaurazione di ogni cosa in Cristo, Ci risveglia nel cuore una grande fiducia nella potente grazia di Dio, senza la quale nulla di grande e di fecondo per la salute delle anime possiamo pensare od imprendere quaggiù. Nello stesso tempo però sentiamo più che mai vivo il bisogno di essere secondati unanimemente e costantemente nella nobile impresa da voi, Venerabili Fratelli, chiamati a parte dell’ufficio Nostro pastorale, da ognuno del Clero e dei singoli fedeli alle vostre cure commessi. Tutti in vero nella Chiesa di Dio siamo chiamati a formare quell’unico corpo, il cui capo è Cristo: corpo strettamente compaginato, come insegna l’Apostolo Paolo (Eph. IV, 16), e ben commesso in tutte le sue giunture comunicanti, e questo in virtù dell’operazione proporzionata di ogni singolo membro, onde il corpo stesso prende l’aumento suo proprio e di mano in mano si perfeziona nel vincolo della carità. E se in quest’opera di “edificazione Corpo di Cristo” (Eph. IV, 12) è Nostro primo ufficio d’insegnare, additare il retto modo da seguire e proporne i mezzi, di ammonire ed esortare paternamente, è altresì dovere di tutti i Nostri figliuoli dilettissimi, sparsi pel mondo, di accogliere le parole Nostre, di attuarle dapprima in se stessi e di concorrere efficacemente ad attuarle eziandio negli altri, ciascuno secondo la grazia da Dio ricevuta, secondo il suo stato ed ufficio, secondo lo zelo che ne infiamma il cuore. – Qui vogliamo soltanto ricordare quelle molteplici opere di zelo in bene della Chiesa, della società e degli individui particolari, comunemente designati col nome di azione cattolica, che fioriscono per grazia di Dio in ogni luogo e che abbondano altresì nella nostra Italia. Voi ben intendete, Venerabili Fratelli, quanto esse Ci debbano tornar care e quanto intimamente bramiamo di vederle rassodate e promosse. Non solo a più riprese ne abbiamo trattato a voce con parecchi almeno di voi, e col principali loro rappresentanti in Italia nell’occasione che essi Ci recavano in persona l’omaggio della loro devozione e del loro affetto filiale, ma altresì pubblicando Noi su questo argomento o facendo pubblicare con la Nostra Autorità vari Atti, che tutti già conoscete. Vero è che alcuni di questi, come richiedevano le circostanze per Noi dolorose, erano piuttosto diretti a rimuovere gli ostacoli al più spedito procedere dell’azione cattolica e a condannare certe tendenze indisciplinate, che con grave danno della causa comune si andavano insinuando. Però Ci tardava il cuore di rivolgere a tutti eziandio una parola di paterno conforto e di eccitamento acciocché sul terreno, per quanto è da Noi, sgombro dagli impedimenti, si continui ad edificare il bene e ad accrescerlo largamente. Ci è dunque ben grato di farlo ora con le presenti Nostre Lettere a comune consolazione, nella certezza che le parole Nostre saranno da tutti dolcemente ascoltate e seguite. – Vastissimo è il campo dell’azione cattolica, la quale per sé medesima non esclude assolutamente nulla di quanto, in qualsiasi modo, diretto od indiretto, appartiene alla divina missione della Chiesa. Di leggieri si riconosce la necessità del concorso individuale a tant’opera, non solo per la santificazione delle anime nostre, ma anche per diffondere e sempre meglio dilatare il Regno di Dio negli individui, nelle famiglie e nella società, procurando ciascuno, secondo le proprie forze, il bene del prossimo con la diffusione della verità rivelata, con l’esercizio delle virtù cristiane e con le opere di carità o di misericordia spirituale e corporale. Questo è il camminare degno di Dio, a che ci esorta San Paolo, così da piacergli in ogni cosa, producendo frutti di ogni opera buona e crescendo nella scienza di Dio: “Ut ambuletis digne Deo per omnia placentes: in omni opere bono fructificantes et crescentes in scentia Dei” (Coloss. I, 10). – Oltre a questi però v’è un gran numero di beni appartenenti all’ordine naturale a cui la missione della Chiesa non è direttamente ordinata, ma che pure sgorgano dalla medesima, quasi naturale sua conseguenza. Tanta è la luce della Rivelazione cattolica, che si diffonde vivissima su ogni scienza; tanta la forza delle massime evangeliche, che i precetti della legge naturale si radicano più sicuri ed ingagliardiscono; tanta infine l’efficacia della verità e della morale insegnate da Gesù Cristo, che lo stesso benessere materiale degli individui, della famiglia e della società umana si trova provvidenzialmente sostenuto e promosso. La Chiesa, pure predicando Gesù Cristo crocifisso, scandalo e stoltezza innanzi al mondo (I Cor. I, 23), è divenuta ispiratrice e fautrice primissima di civiltà; e la diffusione per tutto dove predicavano i suoi Apostoli, conservando e perfezionando gli elementi buoni delle antiche civiltà pagane, strappando dalla barbarie ed educando a civile consorzio i nuovi popoli che al suo seno materno si rifugiavano, diede all’intera società, bensì a poco a poco, ma con tratto sicuro e sempre più progressivo, quell’impronta tanto spiccata, che ancora oggi universalmente conserva. La civiltà del mondo è civiltà cristiana; tanto è più vera, più durevole, più feconda di frutti preziosi, quanto è più nettamente cristiana; tanto declina, con immenso danno del bene sociale, quanto all’idea cristiana si sottrae. Onde, per la forza intrinseca delle cose, la Chiesa divenne anche di fatto custode e vindice della civiltà cristiana. E tale fatto in altri secoli della storia fu riconosciuto e ammesso; formò anzi il fondamento inconcusso delle legislazioni civili. Su quel fatto poggiarono le relazioni tra la Chiesa e gli Stati, il pubblico riconoscimento dell’autorità della Chiesa nelle materie tutte che toccano in qualsivoglia modo la coscienza, la subordinazione di tutte le leggi dello Stato alle divine leggi del Vangelo, la concordia dei due poteri dello Stato e della Chiesa, nel procurare in tal modo il bene temporale dei popoli, che non ne abbia a soffrire l’eterno. – Non abbiamo bisogno di dirvi, o Venerabili Fratelli, quale prosperità e benessere, quale pace e concordia, quale rispettosa soggezione all’autorità e quale eccellente governo si otterrebbero e si manterrebbero nel mondo, se si potesse attuare ovunque il perfetto ideale della civiltà cristiana. Ma posta la lotta continua della carne contro lo spirito, delle tenebre contro la luce, di satana contro Dio, tanto non è da sperare, almeno nella sua piena misura. Onde continui strappi si vanno facendo alle pacifiche conquiste della Chiesa, tanto più dolorosi e funesti, quanto più la società umana tende a reggersi con principi avversi al concetto cristiano, anzi ad apostatare interamente da Dio. – Non per questo è da perdere punto il coraggio. La Chiesa sa che le porte dell’inferno non prevarranno contro di lei; ma sa ancora che avrà nel mondo premura, che i suoi Apostoli sono inviati come agnelli tra lupi, che i suoi seguaci saranno sempre coperti d’odio e di disprezzo, come d’odio e di disprezzo fu saturato il divino suo Fondatore. La Chiesa va quindi innanzi imperterrita, e mentre diffonde il Regno di Dio là dove non fu peranco pregiudicato, si studia per ogni maniera di riparare alle perdite nel Regno già conquistato. “Restaurare tutto in Cristo” è stata sempre la divisa della Chiesa, ed è particolarmente la Nostra nei trepidi momenti che traversiamo. Ristorare ogni cosa, non in qualsivoglia modo, ma in Cristo: “in Lui, tutte le cose che sono in Cielo ed in terra, soggiunse l’Apostolo (Eph. I, 10): ristorare in Cristo non solo ciò che appartiene propriamente alla divina missione della Chiesa di condurre le anime a Dio, ma anche ciò che, come abbiamo spiegato, da quella divina missione spontaneamente deriva, la civiltà cristiana nel complesso di tutti e singoli gli elementi che la costituiscono. – E poiché Ci fermiamo a quest’ultima sola parte della restaurazione desiderata, voi vedete, o Venerabili Fratelli, di quanto aiuto tornano alla Chiesa quelle schiere elette di Cattolici che si propongono appunto di riunire insieme tutte le forze vive, a fine di combattere con ogni mezzo giusto e legale la civiltà anticristiana, riparare per ogni modo i disordini gravissimi che da quella derivano; ricondurre Gesù Cristo nella famiglia, nella scuola, nella società; ristabilire il principio dell’autorità umana come rappresentante di quella di Dio; prendere sommamente a cuore gli interessi del popolo e particolarmente del ceto operaio ed agricolo, non solo istillando nel cuore di tutti il principio religioso, unico vero fonte di consolazione nelle angustie della vita, ma studiandosi di rasciugarne le lacrime, di raddolcirne le pene, di migliorare la condizione economica con ben condotti provvedimenti; adoperarsi quindi perché le pubbliche leggi siano informate a giustizia, e si correggano o vadano soppresse quelle che alla giustizia si oppongono: difendere infine e sostenere con animo veramente cattolico i diritti di Dio in ogni cosa e quelli non meno sacri della Chiesa. – Il complesso di tutte queste opere sostenute e promosse in gran parte dal laicato cattolico e variamente ideate a seconda dei bisogni propri di ogni nazione e delle circostanze particolari in cui versa ogni paese, è appunto quello che con termine più particolare e certo nobile assai suoi essere chiamato azione cattolica, ovvero azione dei cattolici. Essa in tutti i tempi venne sempre in aiuto della Chiesa, e la Chiesa tale aiuto ha sempre accolto favorevolmente e benedetto, sebbene a seconda dei tempi si sia variamente esplicato. – Ed è infatti da notare qui subito, che non tutto ciò che potrà essere stato utile, anzi unicamente efficace nei secoli andati, torna oggi possibile restituire allo stesso modo: tanti sono i cangiamenti radicali che col correre dei tempi s’insinuano nella società o nella vita pubblica, e tanti i nuovi bisogni che le circostanze cambiate vanno di continuo suscitando. Ma la Chiesa nel lungo corso della sua storia ha sempre ed in ogni caso dimostrato luminosamente di possedere una meravigliosa virtù di adattamento alle variabili condizioni del consorzio civile, talché, salva sempre l’integrità e l’immutabilità della fede e della morale, e salvi egualmente i sacrosanti suoi diritti, facilmente si piega e si accomoda in tutto ciò che è contingente ed accidentale alle vicende dei tempi ed alle nuove esigenze della società. La pietà, dice San Paolo, a tutto si acconcia possedendo le promesse divine, così per i beni della vita presente, come per quelli della vita futura. “Pietas autem ad omnia utilis est, promissionem habens vitæ, quæ nunc est, et futuræ” (I Tim. IV, 8). E però anche l’azione cattolica, se opportunamente cambia nelle sue forme esterne e nei mezzi che adopera, rimane sempre la stessa nei principi che la dirigono e nel fine nobilissimo che si propone. Perché poi nello stesso tempo torni veramente efficace, converrà diligentemente avvertire le condizioni che essa medesima impone, se ben si considerino la sua natura ed il suo fine. – Anzitutto dov’essere altamente radicato nel cuore che lo strumento vien meno, se non è acconcio all’opera che si vuol eseguire. L’azione cattolica (come si ritrae ad evidenza dalle cose anzidette) poiché si propone di ristorare ogni cosa in Cristo, costituisce un vero apostolato ad onore e gloria di Cristo stesso. Per bene compierlo ci vuole la grazia divina, e questa non si dà all’apostolo che non sia unito a Cristo. Solo quando avremo formato Gesù Cristo in noi, potremo più facilmente ridonarlo alle famiglie, alla società. E però quanti sono chiamati a dirigere o si dedicano a promuovere il movimento cattolico devono essere cattolici a tutta prova, convinti della loro fede, sodamente istruiti nelle cose della Religione, sinceramente ossequienti alla Chiesa ed in particolare a questa suprema Cattedra Apostolica ed al Vicario di Gesù Cristo in terra; di pietà vera, di maschie virtù, di puri costumi e di vita così intemerata che tornino a tutti di esempio efficace. Se l’animo non è così temprato, non solo sarà difficile promuovere negli altri il bene, ma sarà quasi impossibile procedere con rettitudine d’intenzione e mancheranno le forze per sostenere con perseveranza le noie che reca seco ogni apostolato, le calunnie degli avversari, le freddezze e la poca corrispondenza degli uomini anche dabbene, talvolta perfino le gelosie degli amici e degli stessi compagni di azione, scusabili senza dubbio, posta la debolezza dell’umana natura, ma pure grandemente pregiudizievoli e causa di discordie, di attriti, di domestiche guerricciuole. Solo una virtù paziente e ferma nel bene, e nello stesso tempo soave e delicata, è capace di rimuovere o diminuire questa difficoltà, così che l’opera a cui sono dedicate le forze cattoliche non ne vada compromessa. Tale è la volontà di Dio, diceva San Pietro ai primitivi fedeli, che col ben fare chiudiate la bocca agli uomini stolti. “Sic est voluntas Dei, ut bene facientes obmutescere faciatis imprudentium hominum ignorantiam” (I Petr. II, 15). – Importa inoltre ben definire le opere intorno alle quali si devono spendere con ogni energia e costanza le forze cattoliche. Quelle opere devono essere di così evidente importanza, così rispondenti ai bisogni della società odierna, così acconce agli interessi morali e materiali, soprattutto del popolo e delle classi diseredate, che mentre infondono ogni migliore alacrità dei promotori dell’azione cattolica pel grande e sicuro frutto che da sé medesime promettono, siano insieme da tutti e facilmente comprese ed accolte volonterosamente. Appunto perché i gravi problemi della vita odierna sociale esigono una soluzione pronta e sicura, si desta in tutti il più vivo interesse di sapere e conoscere i vari modi onde quelle soluzioni si propongono in pratica. Le discussioni in un senso o nell’altro si moltiplicano ogni dì più e si propagano facilmente per mezzo della stampa. È quindi supremamente necessario che l’azione cattolica colga il momento opportuno, si faccia innanzi coraggiosa e proponga anch’essa la soluzione sua e la faccia valere con propaganda ferma, attiva, intelligente, disciplinata, tale che direttamente si opponga alla propaganda avversaria. La bontà e giustizia dei principi cristiani, la retta morale che professano i cattolici, il pieno disinteresse delle cose proprie non altro apertamente e sinceramente bramando che il vero, il solo, il supremo bene altrui, infine l’evidente loro capacità di promuovere meglio degli altri anche i veri interessi economici del popolo, è impossibile non facciano breccia sulla mente e sul cuore di quanti ascoltano e non ne aumentino le file, fino a renderli un corpo forte e compatto, capace di resistere gagliardamente alla contraria corrente e di tenere in rispetto gli avversari. – Tale supremo bisogno avvertì pienamente il Nostro Antecessore di b. m. Leone XIII, additando soprattutto nella memoranda Enciclica “Rerum Novarum” ed in altri documenti posteriori, l’oggetto intorno al quale precipuamente doveva svolgersi l’azione cattolica, cioè “la pratica soluzione a seconda dei principi cristiani della questione sociale“. Noi pure, seguendo così sapienti norme, col Nostro Motu proprio del 18 Dicembre 1903 abbiamo dato all’azione popolare cristiana, che in sé comprende tutto il movimento cattolico sociale, un ordinamento fondamentale che fosse quasi la regola pratica del lavoro comune ed il vincolo della concordia e della carità. Qui dunque ed a questo scopo santissimo e necessarissimo devono anzitutto aggrupparsi e solidarsi le opere cattoliche, varie e molteplici nella forma, ma tutte egualmente intese a promuovere con efficacia il medesimo bene sociale. – Ma perché quest’azione sociale si mantenga e prosperi con la necessaria coesione delle varie opere che la compongono è soprammodo importante che i cattolici procedano con esemplare concordia tra loro; la quale per altro non si otterrà mai, se non vi ha in tutti unità di intendimenti. Su tale necessità non può cadere dubbio di sorta alcuna; tanto chiari ed aperti sono gli insegnamenti dati da questa Cattedra Apostolica, tanta la viva luce che vi hanno sparso intorno coi loro scritti i più insigni tra Cattolici d’ogni paese, tanto lodevole esempio che più volte, anche da Noi medesimi, si è proposto ai Cattolici di altre nazioni, i quali appunto per questa concordia ed unità di intendimenti, in breve tempo hanno ottenuto frutti fecondi e assai consolanti. – Ad assicurarne poi il conseguimento, tra le varie opere degne egualmente di lode, si è dimostrata altrove singolarmente efficace un’istituzione di carattere generale, che col nome di Unione popolare è destinata ad accogliere i Cattolici di tutte le classi sociali, ma specialmente le grandi moltitudini del popolo intorno ad un solo centro comune di dottrina, di propaganda e di organizzazione sociale. Essa infatti, poiché risponde ad un bisogno egualmente sentito quasi in ogni paese, e poiché la sua semplice costituzione risulta dalla natura stessa delle cose quali egualmente per tutto s’incontrano, non può dirsi che sia propria più di una nazione che di un’altra, ma di tutte, dove si manifestano gli stessi bisogni e sorgono i medesimi pericoli. La sua grande popolarità la rende facilmente cara ed accettevole e non disturba né impedisce alcun’altra istituzione ma piuttosto a tutte le istituzioni dà forza e compattezza poiché con la sua organizzazione strettamente personale sprona gli individui a entrare nelle istituzioni particolari, li addestra al lavoro pratico e veramente proficuo, ed unisce gli animi di tutti in un unico sentire e volere. – Stabilito così codesto centro sociale, tutte le altre istituzioni d’indole economica, destinate a risolvere praticamente e sotto i vari suoi aspetti il problema sociale, si trovano come spontaneamente raggruppate insieme nel fine generale che le unisce, mentre pure, a seconda dei vari bisogni a cui si applicano, prendono forme diverse e diversi mezzi adoperano, come richiede lo scopo particolare proprio di ciascuna. E qui Ci torna ben caro di esprimere la Nostra soddisfazione pel molto che in questa parte si è già fatto in Italia, con certa speranza che, posto l’aiuto divino, si faccia ancora assai più nell’avvenire, rassodando il bene ottenuto e dilatandolo con zelo sempre più crescente. Nel che si rese grandemente benemerita l’Opera dei Congressi e Comitati Cattolici, grazie all’attività intelligente degli uomini esimi che la dirigevano, e che a quelle particolari istituzioni furono preposti o le dirigono tuttora. E però tale centro od unione di opere d’indole economica, come fu da Noi espressamente conservata al cessare dell’anzidetta Opera dei Congressi, così dovrà continuare anche in seguito sotto la solerte direzione di coloro che le sono preposti. – Contuttociò, perché l’azione cattolica sia efficace sotto ogni rispetto, non basta che essa sia proporzionata ai bisogni sociali odierni; conviene ancora che si faccia valere con tutti quei mezzi pratici, che le mettono oggi in mano il progresso degli studi sociali ed economici, l’esperienza già fatta altrove, le condizioni del civile consorzio, la stessa vita pubblica degli Stati. Altrimenti si corre rischio di andare tentoni lungo tempo in cerca di cose nuove e mal sicure, mentre le buone e certe si hanno in mano ed hanno fatto già ottima prova; ovvero di proporre istituzioni e metodi propri forse di altri tempi, ma oggi non intesi dal popolo, ovvero infine di arrestarsi a mezza via non servendosi, nella misura pur concessa, di quei diritti cittadini che le odierne costituzioni civili offrono a tutti e quindi anche ai Cattolici. E per fermarsi a quest’ultimo punto, certo è che l’odierno ordinamento degli Stati offre indistintamente a tutti la facoltà di influire sulla pubblica cosa, ed i Cattolici, salvo gli obblighi imposti dalla legge di Dio e dalle prescrizioni della Chiesa, possono con sicura coscienza giovarsene, per mostrarsi idonei al pari, anzi meglio degli altri, di cooperare al benessere materiale civile del popolo ed acquistarsi così quell’autorità e quel rispetto che rendano loro possibile eziandio di difendere e promuovere i beni più alti, che sono quelli dell’anima. – Quei diritti civili sono parecchi e di vario genere, fino a quello di partecipare direttamente alla vita politica del paese rappresentando il popolo nelle aule legislative. Ragioni gravissime Ci dissuadono, Venerabili Fratelli, dallo scostarsi da quella norma già decretata dal Nostro Antecessore di s. m. Pio IX e seguita poi dall’altro Nostro Antecessore di s. m. Leone XIII durante il diuturno suo Pontificato, secondo la quale rimane in genere vietata in Italia la partecipazione dei Cattolici al potere legislativo. Sennonché altre ragioni parimenti gravissime, tratte dal supremo bene della società, che ad ogni costo deve salvarsi, possono richiedere che nei casi particolari si dispensi dalla legge, specialmente quando voi, Venerabili Fratelli, ne riconosciate la stretta necessità pel bene delle anime e dei supremi interessi delle vostre Chiese e ne facciate domanda. – Ora la possibilità di questa benigna concessione Nostra induce il dovere nei Cattolici tutti di prepararsi prudentemente e seriamente alla vita politica, quando vi fossero chiamati. Onde importa assai, che quella stessa attività, già lodevolmente spiegata dai Cattolici per prepararsi con una buona organizzazione elettorale alla vita amministrativa dei Comuni e dei Consigli provinciali, si estenda altresì a prepararsi convenientemente e ad organizzarsi per la vita politica, come fu opportunamente raccomandato con la circolare del 3 dicembre 1904 alla Presidenza generale delle Opere economiche in Italia. Nello stesso tempo dovranno inculcarsi e seguirsi in pratica gli altri principi che regolano la coscienza di ogni vero cattolico. Deve egli ricordarsi sopra ogni cosa di essere in ogni circostanza e di apparire veramente cattolico, accedendo agli offici pubblici ed esercitandoli col fermo e costante proposito di promuovere a tutto potere il bene sociale ed economico della Patria e particolarmente del popolo, secondo le massime della civiltà spiccatamente cristiana e di difendere insieme gli interessi della Chiesa, che sono quelli della Religione e della giustizia. – Tali sono, Venerabili Fratelli, i caratteri, l’oggetto e le condizioni dell’azione cattolica, considerata nella parte sua più importante, che è la soluzione della questione sociale, degna quindi che vi si applichino con la massima energia e costanza tutte le forze cattoliche. Il che però non esclude che si favoriscano e si promuovano anche altre opere di vario genere, di diversa organizzazione, ma tutte egualmente destinate a questo o quel bene particolare della società e del popolo ed a rifiorimento della civiltà cristiana sotto vari determinati aspetti. Sorgono esse per lo più grazie allo zelo di particolari persone e si diffondono nelle singole diocesi e talvolta si aggruppano in federazioni più estese. Ora, sempreché sia lodevole il fine che si propongono, siano fermi i principi cristiani che seguono e giusti i mezzi che adoperano, sono anch’esse da lodare e incoraggiare per ogni modo. E si dovrà lasciare loro una certa libertà di organizzazione, non essendo possibile, che dove più persone convengono insieme, si modellino tutte in medesimo stampo e si accentrino sotto un’unica direzione. L’organizzazione poi deve sorgere spontanea dalle opere stesse, altrimenti si avranno edifici bene architettati, ma privi di fondamento reale e perciò al tutto effimeri. Conviene pure tener conto dell’indole delle singole popolazioni. Altri usi, altre tendenze si manifestano in luoghi diversi. Quel che importa è che si lavori su buon fondamento, con sodezza di principi, con fervore e costanza, e se questo si ottiene, il modo e la forma che prendono le varie opere, sono e rimangono accidentali. – Per rinnovare ed infine accrescere in tutte indistintamente le opere cattoliche l’alacrità necessaria, e per offrire occasione ai promotori e ai membri delle medesime di vedersi e conoscersi scambievolmente, di stringere sempre meglio i vincoli della carità fraterna fra loro, d’animarsi l’un l’altro con zelo sempre più ardente all’azione efficace e di provvedere alla migliore solidità e diffusione delle opere stesse, gioverà mirabilmente il celebrare di tempo in tempo, secondo le norme già date da questa Santa Sede, i Congressi generali e parziali dei Cattolici italiani, che devono essere la solenne manifestazione della fede cattolica e la festa comune della concordia e della pace. – Ci resta a toccare, Venerabili Fratelli, di un altro punto di somma importanza, ed è la relazione che tutte le opere dell’azione cattolica devono avere rispetto all’Autorità ecclesiastica. Se bene si considerano le dottrine che siamo andati svolgendo nella prima parte di queste Nostre Lettere, si conchiuderà di leggieri, che tutte quelle opere che direttamente vengono in sussidio del ministero spirituale pastorale della Chiesa e che si propongono un fine religioso in bene diretto delle anime, devono in ogni menoma cosa essere subordinate all’autorità dei Vescovi, posti dallo Spirito Santo a reggere la Chiesa di Dio nelle diocesi loro assegnate. Ma anche le altre opere, che, come abbiamo detto, sono precipuamente istituite a ristorare e promuovere in Cristo la vera civiltà cristiana e che costituiscono nel senso spiegato l’azione cattolica, non si possono per niun modo concepire indipendenti dal consiglio e dall’alta direzione dell’Autorità ecclesiastica, specialmente poi in quanto devono tutte informarsi ai principi della dottrina e della morale cristiana; molto meno è possibile concepirle in opposizione più o meno aperta con la medesima Autorità. Certo è che tali opere, posta la natura loro, si debbono muovere con la conveniente ragionevole libertà, ricadendo sopra di loro la responsabilità dell’azione, soprattutto poi negli affari temporali ed economici ed in quelli della vita pubblica amministrativa o politica, alieni dal ministero puramente spirituale. Ma poiché i Cattolici alzano sempre la bandiera di Cristo, per ciò stesso alzano la bandiera della Chiesa, ed è quindi conveniente che la ricevano dalle mani della Chiesa, che la Chiesa ne vigili l’onore immacolato e che a questa materna vigilanza i Cattolici si sottomettano, docili ed amorevoli figliuoli. – Per la qual cosa appare manifesto quanto fossero sconsigliati coloro, pochi invero, che qui in Italia e sotto i Nostri occhi vollero accingersi a una missione che non ebbero da Noi, né da alcun altro dei Nostri Fratelli nell’episcopato, e si fecero a promuoverla, non solo senza il debito ossequio all’Autorità, ma perfino apertamente contro il volere di lei, cercando di legittimare la loro disobbedienza con frivole distinzioni. Dicevano anch’essi di alzare in nome di Cristo un vessillo; ma tal vessillo non poteva essere di Cristo, perché non recava tra le sue pieghe la dottrina del divin Redentore, che anche qui ha la sua applicazione: “Chi ascolta voi, ascolta me; e chi disprezza voi, disprezza me” (Luc. X, 16); “Chi non è meco è contro di me; e chi meco non raccoglie, disperde” (Ib. XI, 23), dottrina dunque di umiltà, di sommissione, di filiale rispetto. Con estremo rammarico del Nostro cuore abbiamo dovuto condannare una simile tendenza ed arrestare autorevolmente il moto pernicioso che già si andava formando. E tanto maggiore era il dolor Nostro, perché vedevamo incautamente trascinati per così falsa via buon numero di giovani a Noi carissimi, molti dei quali di eletto ingegno, di fervido zelo, capaci di operare efficacemente il bene, ove siano rettamente guidati. – Mentre però additiamo a tutti la retta norma dell’azione cattolica, non possiamo dissimulare, Venerabili Fratelli, il pericolo non lieve al quale, per la condizione dei tempi, si trova oggi esposto il Clero; ed è di dare soverchia importanza agli interessi materiali del popolo, trascurando quelli ben più gravi del sacro suo ministero. – Il sacerdote, elevato sopra gli altri uomini per compiere la missione che tiene da Dio, deve mantenersi egualmente al disopra di tutti gli umani interessi, di tutti i conflitti, di tutte le classi della società. Il suo proprio campo è la Chiesa, dove ambasciatore di Dio predica la verità ed inculca col rispetto dei diritti di Dio il rispetto ai diritti di tutte le creature. Così operando, egli non va soggetto ad alcuna opposizione, non apparisce un uomo di parte, fautore degli uni, avversario degli altri, né per evitare l’urto di certe tendenze o per non irritare in molti argomenti gli animi inaspriti si mette nel pericolo di dissimulare la verità o di tacerla, mancando nell’uno o nell’altro caso ai suoi doveri; senza dire che dovendo trattare ben spesso di cose materiali, potrebbe trovarsi solidale in obbligazioni dannose alla sua persona, e alla dignità del suo ministero. Non dovrà dunque prender parte ad associazioni di questo genere, se non dopo matura considerazione, d’accordo col suo Vescovo, ed in quei casi soltanto, ne’ quali l’aiuto suo è immune da ogni pericolo e torna di evidente profitto. – Né in tal maniera si raffrena punto il suo zelo. Il vero apostolo deve “farsi tutto a tutti, per tutti salvare” (I Cor. IX, 22); come già il divin Redentore, deve sentirsi muovere a pietà le viscere, “mirando le turbe così vessate, giacenti quasi pecore senza pastore” (Matth. IX, 36). Con la propaganda efficace degli scritti, con l’esortazione viva della parola, col concorso diretto nei casi anzidetti s’adoperi adunque a fine di migliorare eziandio, entro i limiti della giustizia e della carità, la condizione economica del popolo, favorendo e promovendo quelle istituzioni che a ciò conducono, quelle soprattutto che si propongono di ben disciplinare le moltitudini contro l’invadente predominio del socialismo e che ad un tempo le salvano e dalla rovina economica e dallo sfacelo morale e religioso. In questo modo l’assistenza del clero alle opere dell’azione cattolica mira ad un fine altamente religioso, né tornerà mai d’impedimento, sarà anzi di aiuto al suo ministero spirituale, allargandone il campo e moltiplicandone il frutto. – Ecco, o Venerabili Fratelli, quanto Ci premeva esporre ed inculcare intorno all’azione cattolica da sostenere e promuovere nella nostra Italia. —Additare il bene non basta; è necessario eseguirlo in pratica. Nel che tornerà di grandissimo aiuto l’esortazione vostra altresì ed il paterno vostro immediato eccitamento al ben fare. Siano pure umili i principi, purché veramente si cominci, la grazia divina li farà crescere in breve tempo e prosperare. E tutti i Nostri diletti figliuoli, che si dedicano all’azione cattolica, ascoltino di nuovo la parola che Ci sgorga tanto spontanea dal cuore. Nelle amarezze onde siamo tuttodì circondati, se vi ha alcuna consolazione in Cristo, se alcun conforto Ci vien dalla carità vostra, se vi ha comunione di spirito e viscere di compassione, diremo Noi pure con l’Apostolo Paolo (Phil. II, 1-5), rendete compiuto il Nostro gaudio con la concordia, con l’identica carità, col sentimento unanime, con l’umiltà e debita soggezione, cercando non il proprio comodo, ma il bene comune, e trasfondendo nei vostri cuori quei medesimi sentimenti, che in sé nutriva Gesù Cristo, Salvatore nostro. Sia Egli il principio di ogni vostra impresa: “Quanto voi dite o fate, sia tutto nel nome del Signore Gesù Cristo” (Coloss. III, 17); sia Egli il termine d’ogni vostra operazione: “Conciossiaché da Lui, e per Lui, ed a Lui sono tutte le cose; a Lui gloria nei secoli” (Rom. XI, 36). Ed in questo giorno faustissimo, che ricorda gli Apostoli, quando, ripieni di Spirito Santo, uscirono dal Cenacolo a predicare al mondo il Regno di Cristo, discenda eziandio su tutti voi la virtù del medesimo Spirito e pieghi ogni durezza, ritempri gli animi freddi, e quanto è sviato rimetta sul retto sentiero: “Flecte quod est rigidum, fove quod est frigidum, rege quod est devium“. – Auspice intanto del divino favore e pegno del Nostro specialissimo affetto sia l’Apostolica Benedizione, che dall’intimo del cuore impartiamo a voi, Venerabili Fratelli, al vostro Clero e al popolo italiano.

Dato a Roma, presso San Pietro, nella Festa della Pentecoste, 11 Giugno 1905, del Nostro Pontificato anno II.

DOMENICA IN ALBIS [2018]

DOMENICA I DOPO PASQUA

Incipit

In nómine Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.

Introitus 1 Pet II, 2.

Quasi modo géniti infántes, allelúja: rationabiles, sine dolo lac concupíscite, allelúja, allelúja allelúja. [Come bambini appena nati, alleluia, siate bramosi di latte spirituale e puro, alleluia, alleluia,]

Ps LXXX:2. Exsultáte Deo, adjutóri nostro: jubiláte Deo Jacob. [Inneggiate a Dio nostro aiuto; acclamate il Dio di Giacobbe.]

Quasi modo géniti infántes, allelúja: rationabiles, sine dolo lac concupíscite, allelúja, allelúja allelúja. [Come bambini appena nati, alleluia, siate bramosi di latte spirituale e puro, alleluia, alleluia.]

Oratio

Orémus.

Præsta, quaesumus, omnípotens Deus: ut, qui paschália festa perégimus, hæc, te largiénte, móribus et vita teneámus. [Concedi, Dio onnipotente, che, terminate le feste pasquali, noi, con la tua grazia, ne conserviamo il frutto nella vita e nella condotta.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Joannis Apóstoli. – 1 Giov. V: 4-10.

“Caríssimi: Omne, quod natum est ex Deo, vincit mundum: et hæc est victoria, quæ vincit mundum, fides nostra. Quis est, qui vincit mundum, nisi qui credit, quóniam Jesus est Fílius Dei? Hic est, qui venit per aquam et sánguinem, Jesus Christus: non in aqua solum, sed in aqua et sánguine. Et Spíritus est, qui testificátur, quóniam Christus est véritas. Quóniam tres sunt, qui testimónium dant in coelo: Pater, Verbum, et Spíritus Sanctus: et hi tres unum sunt. Et tres sunt, qui testimónium dant in terra: Spíritus, et aqua, et sanguis: et hi tres unum sunt. Si testimónium hóminum accípimus, testimónium Dei majus est: quóniam hoc est testimónium Dei, quod majus est: quóniam testificátus est de Fílio suo. Qui credit in Fílium Dei, habet testimónium Dei in se”.  [Carissimi: chiunque è nato da Dio trionfa del mondo; e ciò che ha trionfato del mondo è la nostra fede. Chi è che vince il mondo, se non chi crede che Gesù è figliolo di Dio? È Lui che è venuto per mezzo dell’acqua e del sangue, Gesù Cristo: non nell’acqua solo, ma nell’acqua e nel sangue. Ed è lo Spirito che attesta, perché lo Spirito è verità. Poiché sono tre che rendono testimonianza in cielo: il Padre, il Verbo e lo Spirito Santo: e questi tre sono una sola cosa. E sono tre che rendono testimonianza in terra: lo Spirito, l’acqua e il sangue: e questi tre sono concordi. Se ammettiamo la testimonianza degli uomini, dobbiamo tanto più ammettere la testimonianza di Dio, che è superiore. Ora è Dio stesso che ha reso testimonianza al suo Figlio. Chi crede nel figliolo di Dio ha in sé la testimonianza di Dio.]

Omelia I

[Mons. Bonomelli: “Nuovo saggio di Omelie”, Marietti ed. Torino, vol. I; 1899 – Omel. XV]

Di S. Giovanni, oltre il Vangelo, che porta il suo nome, abbiamo tre lettere: le due ultime piuttosto che lettere, si potrebbero dire biglietti, perché brevissime, affatto confidenziali e prive d’importanza sia dogmatica, sia morale, sia polemica, e indirizzate a persone private. – La prima lettera, da cui è tolto il brano recitatovi, è di grandissima rilevanza sotto ogni rispetto, e si direbbe un’eco del Vangelo, tanto a quello è somigliante. Quando fu scritta? Prima o dopo il Vangelo? Lo ignoriamo. A chi fu scritta? Questo pure ignoriamo, né di ciò vi è traccia in tutta la lettera: essa non porta indirizzo né a principio, né infine, non saluti, a differenza di tutte le altre lettere, e perciò sembra uno scritto esortativo indirizzato in generale alle Chiese da lui fondate. L’argomento della lettera è stabilire la divinità di Gesù Cristo e la verità della umana natura assunta, contro alcuni eretici gnostici, che cominciavano a negarla, e inculcare la necessità della fede in Lui e la carità scambievole fra i credenti. – Mandati innanzi questi pochi schiarimenti generali sulla lettera di S. Giovanni, poniamo mano alla spiegazione dei versetti, che avete udito. “Quanto è nato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria, che ha vinto il mondo, la nostra fede!” Che cosa è la terra, o dilettissimi? È un campo di battaglia. Chi sono i combattenti? Da una parte Cristo, coi suoi seguaci, che Lo precedettero, che vissero con Lui e che dopo di Lui vivranno fino al termine dei secoli, continuando l’opera di Lui; dall’altra il demonio, coi suoi seguaci, da Adamo ed Eva fino all’ultimo uomo che vivrà sulla terra. Quali sono le armi, che si adoperano? Dalla parte di Cristo e suoi seguaci: la verità, la fede, la speranza, la carità, l’umiltà, la purezza, la mortificazione e andate dicendo: dalla parte del demonio e suoi seguaci: la menzogna, l’empietà, l’odio, l’orgoglio, la sensualità, le passioni tutte sfrenate. Tutti gli uomini pigliano posto più o meno in questi due gran campi di battaglia. S. Giovanni, che tratteggia più volte questa gran lotta in tutti i suoi scritti, qui ci fa sapere che tutti quelli che sono nati da Dio [Il testo dice: Tutto ciò che è nato da Dio vince il mondo; perché non dice: Chiunque è nato da Dio, ecc.? Credo che quel neutro equivalga propriamente al chiunque, che indica persona; ma forse Giovanni usò il: Tutto ciò ecc. in forma neutra, perché con la persona volle significare tutti i doni della fede, della grazia ecc. che vengono da Dio.), ossia tutti quelli che per il Battesimo sono rigenerati e divenuti figliuoli di Dio ed esercitano le virtù proprie dei figliuoli di Dio, che hanno il loro compimento nella carità, come sopra ha detto, vincono il mondo]. – Con questa parola, “mondo”, san Giovanni non intende certo di significare la terra che calpestiamo, ma gli uomini che vivono secondo le massime del mondo, gli schiavi delle sue cupidigie e, in una parola, i seguaci di colui che Gesù Cristo stesso chiamò “principe di questo mondo”, gli uomini malvagi colle loro passioni! – Sì, ripiglia S. Giovanni, spiegando meglio il suo concetto e ripetendo la stessa verità in altra forma: Questa è la vittoria, cioè quelli riportano la vittoria, quelli hanno in mano l’arma sicura della vittoria sul mondo, che hanno la fede: la fede li farà vincitori del mondo. Che fede è questa che ci farà vincere il mondo e le sue passioni? Non certo la sola fede, nuda delle opere, che è morta per se stessa: ma la fede viva, che dalla mente discende al cuore, che dal pensiero si travasa nelle opere, che, secondo l’espressione di san Paolo, opera per la carità. Datemi un uomo che creda fermamente ciò che la fede insegna e ciò che crede per fede pratica con le opere, che al Simbolo congiunga il Decalogo: quest’uomo naturalmente disprezzerà il mondo, respingerà le sue lusinghe e calpesterà i suoi piaceri colpevoli: quest’uomo, ossia la fede di quest’uomo vincerà il mondo: “Hæc est Victoria, quæ vincit mundum, fides nostra”. – Né di questa sentenza si appaga S. Giovanni, ma la ribadisce nel versetto seguente in forma d’interrogazione e piena di energia: ” Chi è mai colui che vince il mondo, se non chi crede che Gesù è il Figliuolo di Dio? Come se dicesse: Nuovamente e più fortemente l’affermo: solo colui che crede ed opera conformemente alla fede, vince il mondo: a chi non crede è impossibile vincere il mondo. E questa fede, o Giovanni, in chi si appunta? In Chi si compendia? Da chi trae origine e forza? In Gesù Cristo, autore e consumatore della fede, come scrive S. Paolo, “autore”, perché viene da Lui, “consumatore”, perché Egli solo ci dà la forza di attuarla nelle opere, Gesù Cristo, che è il Figliuolo di Dio! Accenna con questa espressione al fondamento di tutta la nostra fede, che è la divinità di Gesù Cristo. Perciò badate che S. Giovanni non dice già che — Gesù è Figliuolo di Dio — ma sì “che è “il” Figliuolo di Dio”, cioè Figliuolo per eccellenza, Figliuolo unico, Figliuolo proprio di Dio, a Dio Padre consustanziale. Scolpitevela bene addentro nel cuore questa verità, o cari: Gesù Cristo è Dio ed Uomo, vero Dio e vero Uomo: se voi togliete in Lui la divinità, non vi resta che l’uomo, è distrutta la redenzione, perché un uomo non poteva riscattarci dal peccato, non poteva soddisfare la divina giustizia, cade tutta la sua autorità, e noi ci troviamo ai piedi d’un uomo, siamo adoratori di un uomo, il massimo dei delitti. Crediamo dunque che Gesù è il Figlio di Dio, Dio come il Padre, ed uniti a Lui saremo forti della sua forza, e come Egli ha vinto il mondo, così lo vinceremo noi pure. – Gesù Cristo è il Figlio di Dio, vero Dio! Ma come lo sappiamo noi? Come si è provato tale? Ascoltate S. Giovanni: “Gesù è il venuto per acqua e sangue”. Come per acqua? Lascio alcune interpretazioni date e mi attengo a quella che mi sembra più chiara, più naturale e meglio fondata. Gesù, allorché ricevette il battesimo al Giordano, ricevette la solenne testimonianza dal Padre, che disse: ” Questi è il Figliuolo mio diletto, in cui trovo tutte le mie compiacenze: Lui ascoltate” [Alcuni vogliono intendere quelle parole ” E venuto nell’acqua, pel battesimo, cioè viene in noi col battesimo. Ma le parole del versetto 9° non lo permettono, perché là si parla di testimonianza resa a Gesù, la massima, quella del Padre]. – Testimonianza splendidissima ripetuta colle stesse parole nella Trasfigurazione. Ma Gesù è anche il venuto nel sangue, cioè nella passione e morte, che non si può disgiungere dalla risurrezione, nella quale provò luminosamente ch’Egli era Dio, Signore della morte e della vita. E qui S. Giovanni, quasi per ribadire la cosa, ripete: Gesù è il venuto [È da osservare quel modo di dire assai efficace : “Il Venuto”, come si ha nel greco, che designa Gesù Cristo come il Messia, “Il Venuto” per antonomasia], non nell’acqua soltanto, ma nell’acqua e nel sangue: ha provato ch’Egli era Dio nel suo battesimo di acqua e nel battesimo del suo sangue, coronato dalla sua gloriosa Risurrezione. Alle prime due prove tiene dietro la terza, dicendo: “E lo Spirito attesta, che Cristo è la verità”, cioè è veramente il Figlio di Dio! E che vuol dire in questo luogo S. Giovanni? Nel Vangelo (Cap. XV, vers. 26) S. Giovanni riferisce queste parole dette da Gesù nell’ultima Cena: “e quando verrà il Paraclito, che vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità, che procede dal Padre, Egli farà testimonianza di me”, vale a dire, “vi farà conoscere che Io sono il Figlio di Dio”, Gesù Cristo dunque afferma che la venuta dello Spirito Santo sarebbe stata una prova, una solenne testimonianza della sua divinità, ed è quella notata dallo stesso S. Giovanni nella sua lettera. Onde per conchiudere in poche parole le sentenze di S. Giovanni, noi dobbiamo tenere che Gesù Cristo ci mostrò la sua divinità nel suo Battesimo al Giordano, nella sua Passione, morte e risurrezione, e finalmente nella venuta dello Spirito Santo, nella trasformazione degli Apostoli e nella fondazione della Chiesa. E non erano quelli miracoli solenni, strepitosissimi, che mostravano la sua divina potenza? Non cadevano sotto gli occhi di tutti? Non si potevano verificare da tutti con la massima facilità? – S. Giovanni, proseguendo, fa cenno d’una analogia e mette innanzi un paragone per confermare la sua sentenza, e il paragone è questo: “Poiché son tre, che attestano in cielo: Padre, Verbo e Spirito Santo, e questi tre sono una cosa sola; e tre sono quelli che attestano in terra, lo Spirito, l’acqua ed il sangue, e questi tre riescono ad una sola cosa”, E volle dire: Il Padre, il Verbo e lo Spirito Santo con le loro manifestazioni esterne dal cielo hanno attestata e comprovata la missione divina di Gesù Cristo, e come le tre divine Persone sono una sola cosa, una sola essenza o sostanza, così la loro testimonianza esterna si unisce e si concentra in una sola, attestando la stessa verità, così le tre grandi manifestazioni esterne, ad intervalli succedute sulla terra e accertate dagli uomini, al Giordano, nella passione, morte e Risurrezione di Gesù Cristo, e nella venuta dello Spirito Santo, tornano allo stesso, raffermano la medesima verità, e mettono in luce la divina origine e missione di Gesù Cristo. – Allora si comprende ciò che S. Giovanni soggiunge nel seguente versetto: “Se noi accettiamo la testimonianza degli uomini, maggiore è la testimonianza di Dio: e la testimonianza di Dio è quella con cui ha attestato intorno al Figliuol suo”. Se noi accettiamo, e dobbiamo accettare, la testimonianza degli uomini degni di fede, e credere quello ch’essi affermano, a maggior ragione dobbiamo accettare la testimonianza stessa di Dio che dal cielo ripetutamente attesta intorno a Gesù Cristo, e ci assicura ch’Egli è il Figlio dell’Eterno. Insomma il sacro Scrittore ci mette innanzi tre Testimoni in cielo e tre sulla terra: i tre Testimoni in cielo sono le tre divine Persone distintamente nominate e che sono una sola cosa o natura; e i tre testimoni sulla terra, pure nominati, spirito, acqua e sangue, siano fatti, siano persone, cospiranti nella stessa cosa e affermanti anch’essi sulla terra ciò che le tre Persone attestano dal cielo. Voi vedete, o cari, che non si poteva esprimere in forma più precisa e più netta il grande mistero della augusta Trinità. S. Giovanni proclama che sono tre le Persone divine, Padre, Figlio, o Verbo, e Spirito Santo, e che queste tre Persone sono una cosa sola od unica essenza. È quel mistero, che abbiamo imparato bambini sulle ginocchia della madre e al catechismo in chiesa; che abbiamo professato la prima volta che facemmo il segno di croce, e nel quale e pel quale fummo rigenerati nel Battesimo e accolti nel grembo della Chiesa. Questo mistero trascende le forze della nostra povera ragione, è vero; ma Dio lo ha rivelato chiarissimamente, la Chiesa lo professa come una delle verità fondamentali della fede, e noi lo dobbiamo tenere con tutta fermezza. Sappiate poi anche, o dilettissimi, che se la sola ragione non può dimostrare e conoscere questa verità con le sole sue forze, nondimeno essa, studiandolo, vi trova tanta convenienza, tanta luce, tante armonie, che per poco ne è rapita ed è costretta ad esclamare: “la santa Trinità delle Persone nella unità della essenza, è mistero, mistero altissimo, ineffabile, ma non solo non offende la ragione, la illumina, armonizza con essa, getta un riverbero di luce su tutto il creato, specialmente sulla natura dell’uomo: la S. Trinità è un mistero per la ragione umana, ma sarebbe più grande mistero il non ammetterlo”. Crediamo adunque, o cari, sì alto mistero, crediamolo con la semplicità con cui lo credevamo fanciulli, persuasi che, se supera le forze della ragione, ad essa non si oppone, anzi ad essa mirabilmente consuona. – Siamo all’ultima sentenza del nostro commento: “Chi crede nel Figlio di Dio, ha in se stesso la testimonianza di Dio”. Chi legge e medita alcun poco le sante Scritture e particolarmente gli scritti di S. Giovanni, sa bene che la stessa verità si ripete spesse volte, o, dirò meglio, la si presenta sotto varie forme, sia per inculcarla meglio, sia per farcene vedere tutti i lati, che non sempre si affacciano subito sotto una sola forma. E ciò, se non erro, accade in questo versetto, nel quale conferma e si svolge meglio ciò che sopra è detto. Chi crede nel Figlio di Dio, chi per fede viva, salda ed operosa unisce la sua mente e il suo cuore a Gesù Cristo, Figlio di Dio, forma quasi una cosa sola con Lui, ed ha in sé, come un germe, la verità e la vita eterna, che poi a suo tempo si manifesterà in tutta la sua pienezza; possiede con la grazia e con la fede viva Gesù Cristo stesso, del quale San Paolo ebbe a dire che, “Cristo abita in noi per la fede”. – Osservate di grazia, o dilettissimi: se voi tenete stretto alla vostra persona, p. es. un corpo qualunque odoroso, un mazzo di fiori, non è egli vero, che voi partecipate della loro fragranza finché ad essi vi tenete uniti? Ciò che avviene del nostro corpo avviene altresì della nostra mente e del nostro cuore. Se noi con la mente ci teniamo fermi alle verità della fede, e con la nostra volontà le veniamo attuando nelle opere, la nostra mente e la nostra volontà si abbelliscono della bellezza di quelle verità, e quasi direi rimangono imbalsamate della fragranza della grazia, e si trovano necessariamente unite a Lui, dal quale vengono la verità e la grazia, che è Gesù Cristo stesso. Allorché voi pensate al padre, alla madre, all’amico lontani e li amate, non è egli vero che in qualche modo il padre, la madre, l’amico sono nella vostra mente e nel vostro cuore? Lo dite voi stessi: “Noi li abbiamo in mente, li teniamo sempre nel nostro cuore”. — È ciò che insegna S. Tommaso. E in questo senso che si dice Gesù Cristo abitare in noi, Dio dimorare in noi e spandersi in noi lo Spirito di Lui, e noi diventare suoi templi, sue membra, e partecipi della divina natura. – Vedete, o cari, un granello, che è affidato alla terra: sembra che voi, possedendo quel piccolo granello, non possediate che quel piccolo corpicciuolo, cosa da nulla per se stesso; ma aspettate alcuni mesi, lasciate compiere alla natura il suo occulto lavorìo. Che è avvenuto? Il granello è cresciuto e, fatto pianta, ha prodotto i suoi fiori e finalmente i suoi frutti che cortesemente ci porge, curvando sotto essi i suoi rami. Eravate possessori d’un solo granello, e più tardi siete possessori d’una pianta e di molti saporosi frutti. Così noi, o dilettissimi: ora, qui in terra possediamo il granello della fede, la radice della carità; un giorno troveremo che il granello è diventato albero carico di frutti di vita eterna. E quando verrà questo giorno? Quando, chiudendo gli occhi a questa luce del tempo, li apriremo alla luce della eternità; quando, addormentandoci la sera qui sulla terra, ci sveglieremo al mattino in cielo!

Alleluja

Alleluia, alleluia –

Matt XXVIII:7. In die resurrectiónis meæ, dicit Dóminus, præcédam vos in Galilæam. [Il giorno della mia risurrezione, dice il Signore, mi seguirete in Galilea.]

Joannes XX:26. Post dies octo, jánuis clausis, stetit Jesus in médio discipulórum suórum, et dixit: Pax vobis. Allelúja. [Otto giorni dopo, a porte chiuse, Gesù si fece vedere in mezzo ai suoi discepoli, e disse: pace a voi.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum S. Joánnem.

 Joannes XX: 19-31.

“In illo témpore: Cum sero esset die illo, una sabbatórum, et fores essent clausæ, ubi erant discípuli congregáti propter metum Judæórum: venit Jesus, et stetit in médio, et dixit eis: Pax vobis. Et cum hoc dixísset, osténdit eis manus et latus. Gavísi sunt ergo discípuli, viso Dómino. Dixit ergo eis íterum: Pax vobis. Sicut misit me Pater, et ego mitto vos. Hæc cum dixísset, insufflávit, et dixit eis: Accípite Spíritum Sanctum: quorum remiseritis peccáta, remittúntur eis; et quorum retinuéritis, reténta sunt. Thomas autem unus ex duódecim, qui dícitur Dídymus, non erat cum eis, quando venit Jesus. Dixérunt ergo ei alii discípuli: Vídimus Dóminum. Ille autem dixit eis: Nisi vídero in mánibus ejus fixúram clavórum, et mittam dígitum meum in locum clavórum, et mittam manum meam in latus ejus, non credam. Et post dies octo, íterum erant discípuli ejus intus, et Thomas cum eis. Venit Jesus, jánuis clausis, et stetit in médio, et dixit: Pax vobis. Deinde dicit Thomæ: Infer dígitum tuum huc et vide manus meas, et affer manum tuam et mitte in latus meum: et noli esse incrédulus, sed fidélis. Respóndit Thomas et dixit ei: Dóminus meus et Deus meus. Dixit ei Jesus: Quia vidísti me, Thoma, credidísti: beáti, qui non vidérunt, et credidérunt. Multa quidem et alia signa fecit Jesus in conspéctu discipulórum suórum, quæ non sunt scripta in libro hoc. Hæc autem scripta sunt, ut credátis, quia Jesus est Christus, Fílius Dei: et ut credéntes vitam habeátis in nómine ejus.” – [In quel tempo, la sera di quel giorno, il primo della settimana, essendo, per paura dei Giudei, chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli, venne Gesù, si presentò in mezzo a loro e disse: Pace a voi! E detto ciò mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono nel vedere il Signore. Ed egli disse loro di nuovo: Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, così anch’io mando voi. E detto questo, soffiò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo. A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi; a chi li riterrete, essi saranno ritenuti. E uno dei dodici, Tommaso, detto Didimo, non era con loro quando venne Gesù. Ora gli altri discepoli gli dissero: Abbiamo visto il Signore. Ma egli rispose loro: Non crederò se non dopo aver visto nelle sue mani la piaga fatta dai chiodi e aver messo il mio dito dove erano i chiodi e la mia mano nella ferita del costato. Otto giorni dopo i discepoli si trovavano di nuovo in casa e Tommaso era con loro. Venne Gesù a porte chiuse e stando in mezzo a loro disse: Pace a voi! Poi disse a Tommaso: Metti qua il tuo dito, e guarda le mie mani; accosta anche la tua mano e mettila nel mio costato; e non voler essere incredulo, ma fedele. Tommaso gli rispose: Signore mio e Dio mio! E Gesù: Tommaso, tu hai creduto perché mi hai visto con i tuoi occhi; beati coloro che non vedono eppure credono. Gesù fece ancora, in presenza dei suoi discepoli, molti altri miracoli, che non sono stati scritti in questo libro. Queste cose sono state scritte, affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e affinché credendo, abbiate vita nel nome di lui.] – R. Laus tibi, Christe!

OMELIA II

 [Bonomelli: Omelie, vol. II, om. XVI]

È sì bello, sì caro questo racconto, tutto spirante un’aria di semplicità e di candore senza esempio, che mi tarda di venire, non ad una spiegazione, della quale non v’è bisogno, ma alla pratica considerazione delle singole parti, che riusciranno dolci e fruttuose, se vi compiacerete porgere, come siete soliti, tutta la vostra attenzione. – “Allorché fu sera, in quello stesso primo giorno della settimana, cioè la nostra Domenica, ed essendo chiuse le porte del luogo dov’erano radunati i discepoli per timore dei Giudei, Gesù venne e stette in mezzo a loro, e disse: Pace a voi ! „ – Era la sera del giorno della risurrezione, cioè la domenica stessa della Pasqua, dopo le nove circa; perché sappiamo da S. Luca (C. XXIV, 33 seg.) che erano presenti i due ritornati quella sera stessa da Emmaus, e non potevano aver compiuto il loro cammino in meno di tre ore, come dicemmo. I due discepoli avevano appena narrata l’apparizione di Gesù ai dieci Apostoli e agli altri ivi raccolti, e udito dell’apparizione fatta a Pietro: eran ancora tutti in preda ad una grande agitazione conseguenza naturale dei fatti di quella giornata, della speranza, del dubbio ed anche del timore e, come suole avvenire, dovevano vivamente discutere tra loro, ed ecco Gesù, nella sua forma naturale, senza rumore alcuno, apparire in mezzo a loro, pronunciando il saluto solito, degli Ebrei: Schalom, “la pace a voi. „ – Come rimanessero tutti quei discepoli è facile immaginarlo. Parmi vederli immoti, quasi estatici, fermi gli occhi sul volto di Gesù, impotenti a pronunciare una parola, per poco senza respiro, come inconsci di se stessi, ondeggianti tra la gioia di vedere il Maestro, e il timore d’avere innanzi a sé un’ombra, uno spirito, Per incorarli e accertarli della verità, Gesù mostrò loro le cicatrici delle mani e del fianco, e ripeté il saluto: “Pace a voi” e, come narra S. Luca, completando il racconto, disse loro: Palpatemi e vedete: perché uno spirito non ha né ossa, né carne come mi vedete avere. – Poi domandò da mangiare, e mangiò un po’ di pesce e di miele. — Allora finalmente gli Apostoli e i discepoli smisero ogni timore ed ogni dubbio, e dovettero prorompere in grida di gioia e cadere ai suoi piedi e baciarglieli e sciogliersi in lacrime, come ciascuno può immaginare. Tutto ciò il Vangelista, ch’era presente, espresse con la solita sua parsimonia di linguaggio in queste cinque parole : “Gavisi sunt discipuli, viso Domino”! — I discepoli, visto il Signore, ne gioirono. Dopo la tempesta la calma, dopo il dolore la gioia, dopo gli strazi e le agonie il tripudio e la letizia più pura: la vista di Gesù tutto fa dimenticare a questi poveri discepoli, e certo non v’ebbe mai sulla terra gioia eguale alla loro. Miei cari, non dimentichiamo mai che la nostra vita quaggiù è una serie continua di pene e di gioie, di amarezze e di dolcezze, di giorni sereni e di giorni procellosi, e allorché questi imperversano, attendiamo quelli fidenti e tranquilli, e allorché questi brillano sopra di noi, prepariamoci alle ore della prova. – Gesù, dice il Vangelo, entrò, essendo chiuse le porte per timore dei Giudei. E come il corpo, il vero corpo di Gesù Cristo passò attraverso le porte o alle pareti? Se la voce nostra passa attraverso le porte e le pareti: se il raggio del sole passa attraverso l’acqua ed il cristallo: se ora la scienza ha scoperto raggi di luce che attraversano anche corpi solidi ed opachi, perché altrettanto non potrebbe fare un corpo glorioso e fatto spirituale, come dice S. Paolo? Tal era il corpo di Cristo. Egli, dice il Crisostomo, non bussò alla porta, non l’aperse, né sfondò per non atterrire gli Apostoli: “Januas non pulsavìt, ne turbarentur”. Quanta delicatezza! quanto amore per i suoi cari! Noi non sappiamo ciò comprendere, è vero, ma confessiamo, soggiunge S. Agostino, che Dio può fare cose che noi non intendiamo: ci basti il sapere che Dio può tutto, e non cerchiamo più oltre! – Ora sappiate, o cari, che vi furono e vivono tuttora, uomini ai quali non fanno difetto né ingegno, né dottrina, i quali osarono affermare, che i buoni Apostoli, in quella sera, furono vittima d’una illusione, credettero vedere e udire Gesù risorto, e non videro, né udirono che un fantasma, un’ombra creata dalla loro fantasia e dall’ardente loro brama di vedere ed udire redivivo il Maestro. Ma ci dicano questi dotti, ci dicano in nome del cielo: gli Apostoli e i discepoli, colà raccolti, che dovevano essere più di dodici persone, erano tutti vittima della propria fantasia? E tutti insieme, proprio nello stesso momento? Credere di vedere tutti, nello stesso momento, una persona, di udire tutti la stessa parola, e non vedere, non udire che un’ombra? E vederla sì da vicino e nella stessa figura e ingannarsi? Non solo vederla e udirla per pochi istanti, ma per qualche tempo, vedere le cicatrici delle mani e dei piedi e del costato e toccarle, e vederlo mangiare ed essere sempre e tutto giuoco della fantasia? Ed aver tale persuasione d’aver veduto Cristo risorto da non dubitarne mai, da patire e morire per Lui? E notate che gli Apostoli erano sì poco disposti a credere che fosse veramente risorto che, vedendolo, dubitavano e sospettavano che fosse un fantasma. E poi questa apparizione fatta la sera della Pasqua non bisogna separarla dalle tante altre che avvennero dopo, fino all’ultima solenne, allorché salì al cielo. San Paolo attesta che Gesù Cristo si mostrò risuscitato a circa 500 persone, nel periodo di quaranta giorni, in diversi luoghi e in diverse maniere: il dire od anche solo il sospettare che tutte queste apparizioni fossero effetto d’una allucinazione, è cosa sì strana, sì enorme, sì incredibile da mettere in dubbio tutti i fatti della storia più certi, da gettarci in uno scetticismo universale, e da urtare contro le leggi del senso comune in guisa da credere ragionevolmente essere allucinati davvero gli spacciatori di siffatte ipotesi e favole. – Ma è da ritornare al nostro racconto evangelico. Poiché Gesù ebbe ripetuto la cara parola “Pace a voi, „ soggiunge: “Siccome il Padre mandò me, così Io mando voi. „ Questa forma di parlare sì alta e sublime vuole essere spiegata: essa importa che la missione degli Apostoli e dei discepoli è, non solo simile, ma eguale, per quanto lo può essere, a quella che ebbe Cristo dal Padre: essa afferma l’identità della missione, ossia dell’ufficio di Cristo e dei suoi Apostoli, l’identità del fine, dei mezzi e del modo. Il Padre, così si ha da intendere la espressione di Cristo, il Padre ha mandato me con piena autorità di ammaestrare, di sciogliere i peccati, di dare la grazia di offrire il divin Sacrificio, ed Io do a voi la stessa autorità, sotto di me: “siete vicari miei [gli Apostoli ed i loro successori nella Sede Apostolica e nell’episcopato sono vicari di Cristo e non successori, perché il vicario ha il potere istesso di colui del quale è vicario, ma ne deve usare nel modo e nella misura che gli è determinata; mentreché il successore può anche modificare le cose stabilite da colui del quale è successore. Il Papa è vicario di Gesù Cristo, non successore, perché la sua potestà è delegata e circoscritta dai limiti posti da Cristo stesso.]: il Padre ha mandato me per santificare e salvare le anime, e voi pure santificate e salvate le anime: il Padre ha mandato me per vincere e guadagnare i cuori non con la forza, ma con la carità, con la persuasione, e così fate voi pure: il Padre mi ha mandato perché dia la mia vita per la salute del mondo: altrettanto fate voi: il Padre ha mandato me come un agnello in mezzo ai lupi, e così Io mando voi come agnelli in mezzo ai lupi: in una parola, voi avete lo stesso potere, che tengo Io dal Padre, e voi lo eserciterete nel modo stesso che l’ho esercitato io. Carissimi! comprendete la grandezza e l’eccellenza veramente divina della potestà della Chiesa, che risiede nel Capo in tutta la sua pienezza, e si spande da Lui in tutti i gradi della gerarchia in diversa misura! Nella Chiesa riguardiamo sempre Cristo vivente, operante, ammaestrante e santificante: si mutano gli uomini, che esercitano il potere, ma il potere è sempre quello: è come l’acqua d’un fiume, che muta il letto e le rive entro le quali scorre; ma è sempre la stessa: è come una gemma, che muta le persone che se ne adornano, ma essa non muta mai. “Come Gesù ebbe ciò detto, alitò sopra di loro, e disse: Ricevete lo Spirito santo. „ – E perché Gesù Cristo alitò loro in volto? Poiché Iddio a principio ebbe formato di poca argilla il corpo del primo uomo, gli alitò in volto, infuse in esso la vita del corpo, e quella troppo più preziosa dell’anima: doppia vita dell’anima e del corpo che doveva propagarsi nella futura generazione: qui, l’Uomo-Dio, il secondo Adamo, alita in volto ai suoi Apostoli e discepoli, rappresentanti la sua Chiesa, e infonde in essi quel soffio di vita divina, che essi dovranno propagare nella nuova generazione fino al termine dei secoli. Mirabile riscontro fra quel primo soffio di vita, che viene da Dio, e questo secondo, che viene dall’Uomo-Dio [“Qui initio naturam nostram, creavit et Spiritu sancto signavit, rursus in initio renovandæ natura sufflatione Spiritum discipulis largitur ut sicut creati ab initio fuimus, sic etìam renovaremur (S. Cyrill. Alex, in Joan.)! E perché Gesù alitò in volto ai suoi discepoli? L’alito è una cotale emanazione che esce da noi, una cotale effusione del nostro essere, che si comunica ad altri. Ora la fede ci insegna che lo Spirito santo è lo Spirito, ossia l’Emanazione amorosa del Padre nel Figlio e del Figlio nel Padre, consustanziale ad entrambi, e perciò assai opportunamente con quell’alito Gesù Cristo adombrò lo Spirito Santo, non già che quell’alito materiale fosse lo stesso Spirito Santo (cosa, più che assurda, ridicola), ma molto bene lo raffigurava. Certamente con quell’alito Gesù Cristo diede agli Apostoli e ai loro successori il potere divino, di cui tosto si parla. L’uomo, perché composto di spirito e di corpo, ha sempre bisogno di alcun che di sensibile per conoscere ciò che è spirituale, e non riceve questo che per mezzo di quello. Voi ora ricevete la verità, che è invisibile, ma la ricevete per mezzo della mia parola, che è sensibile: voi ricevete la grazia invisibile, ma sempre per mezzo dei Sacramenti, che sono mezzi visibili, noi ci uniamo a Dio per mezzo di Gesù Cristo, che è Dio, ma anche Uomo. Che più? Noi vediamo che l’autorità stessa umana si dà agli uomini con segni visibili, che saranno una divisa militare, un diploma, una corona, uno scettro. Era dunque ben naturale che Gesù Cristo, volendo dare agli Apostoli il suo potere, alitasse sopra di loro, quasi per significare, che come il suo soffio passava da Lui in loro, così con esso e per esso passava in loro il suo potere. – Ora vediamo, o dilettissimi, qual sia il potere che Gesù col misterioso suo soffio volle dare agli apostoli. Udite: “Quelli ai quali rimetterete i peccati, saranno rimessi: quelli ai quali li riterrete, saranno ritenuti. „ Se dovessi spiegarvi ampiamente questa sentenza di nostro Signore si richiederebbe un lungo discorso: mi restringerò a ciò che è necessario e voi raddoppiate la vostra attenzione, che l’argomento lo esige. Gesù Cristo non dà qui il potere di predicare la verità, di consacrare il suo corpo adorabile, di reggere la Chiesa od altro: dà il potere di rimettere o perdonare i peccati, di ritenerli ossia di rifiutare di perdonarli. L’oggetto dunque di questo potere divino sono i peccati, tutti i peccati, sempre e senza eccezione. Ma come si deve esercitare questo potere di perdonare o non perdonare i peccati? Forse col predicare la divina verità e con essa eccitare la fede e quindi ottenere la remissione dei peccati, come già dissero i fratelli nostri protestanti ? No, per fermo: se così fosse, il potere dato da Cristo di ritenere i peccati avrebbe significato il potere di non predicare, mentre Cristo comandò espressamente di predicare a tutte le genti. Più: se il potere di annunziare la verità è il potere stesso di perdonare i peccati, chiunque ammaestra nelle cose della fede, sia uomo, sia donna, sia cristiano, sia pagano, sia laico, sia prete, può rimettere i peccati; anzi potrebbero perdonare i peccati anche i libri, perché anche i libri, come gli uomini, e talora meglio degli uomini, ci insegnano le eterne verità. È dunque cosa manifesta che qui Gesù Cristo non diede il potere di predicare, ma un altro potere ben diverso. E quale? Considerate che Gesù Cristo conferisce agli Apostoli un doppio potere, quello di rimettere e quello di non rimettere i peccati. In qual maniera si deve esercitare questo potere? A caso? a capriccio? Andando per le vie gli Apostoli potranno dire agli uni, come loro talenta: “A voi sono rimessi i peccati”; e agli altri: “A voi non sono rimessi”? Certamente no; sarebbe cosa stolta, indegna di uomini che si rispettano, quanto più di Dio, che è la stessa sapienza! È dunque chiaro che gli Apostoli debbono perdonare i peccati o ritenerli secondo ragione, ossia debbono perdonarli a quelli ai quali è giusto perdonarli, e ritenerli a quelli ai quali è giusto ritenerli, e perciò devono avere una norma, una regola sicura, secondo la quale rimetterli o non rimetterli. Ora perché gli Apostoli e loro successori potessero sapere se si doveva dare il perdono o no secondo la regola evangelica, era assolutamente necessario che conoscessero le colpe di ciascuno e le disposizioni dell’animo, in una parola, era necessario che potessero entrare nei segreti della coscienza: solo allora avrebbero potuto sapere con sicurezza se dovessero assolvere o non assolvere. – Ma come entrare nei penetrali della coscienza senza la confessione volontaria dei propri peccati? Gesù Cristo dunque col dare quel doppio potere di rimettere o non rimettere i peccati, istituì necessariamente la Confessione, come mezzo indispensabile per esercitare ragionevolmente o l’uno o l’altro dei due poteri. Una similitudine chiarirà la cosa. – Il capo supremo di giustizia costituisce un giudice, gli assegna il campo della sua giurisdizione, egli dice: Giudicate, assolvete o condannate quanti saranno condotti innanzi al vostro tribunale. — Ditemi, o cari: potrà egli il giudice assolvere o condannare gli accusati come meglio gli piace, senza conoscere lo stato delle cose, udire l’accusato, esaminare le prove? No, sicuramente: sarebbe un insulto alla giustizia e al buon senso. Quelle parole del capo supremo della giustizia: “Assolvete o condannate gli accusati, „ vanno intese così: Udite, esaminate, conoscete debitamente lo stato degli accusati, accertatevi della loro innocenza o della loro reità, e allora usate del vostro potere di assolvere o di condannare, a norma di giustizia. Ecco come si debbono intendere le parole di Gesù Cristo, il sommo ed eterno Giudice: Quelli, ai quali, rimetterete i peccati, saranno rimessi; quelli, ai quali li riterrete saranno ritenuti. — Esse domandano da parte degli Apostoli e di quanti eserciteranno il loro ufficio la cognizione della causa, ossia la manifestazione della coscienza, ossia la Confessione, affinché si possa pronunciare sentenza secondo ragione e giustizia, e dire: “Ti assolvo, … non ti assolvo”. — Cristo dunque, dando il potere di assolvere o non assolvere i peccati, impose manifestamente ai peccatori l’obbligo di manifestare la loro coscienza, come condizione necessaria per l’esercizio del potere stesso. La cosa è sì chiara che non vi spendo intorno altre parole. – S. Giovanni continua il suo racconto, e dice: “Ma Tommaso, uno dei dodici, chiamato Didimo, non era con loro, quando venne Gesù; il Vangelo non dice per qual ragione Tommaso, che si chiamava anche Didimo, cioè gemello (forse perché gemello), era assente, né importa cercarla. Appena i discepoli l’ebbero visto, il primo loro saluto, come è facile immaginare, fu il grido che eruppe spontaneo dal loro cuore: “Abbiamo veduto il Signore. „ Sì lieto annunzio, sembra a noi, doveva ricolmare di gioia l’afflitto Tommaso: eppure non ne fu nulla. Misteri del cuore umano! Gli si assicurava dai compagni, che i desideri sì ardenti del suo cuore erano adempiuti, che Gesù era risorto, ed egli rifiuta ogni loro fede, si ostina a consumarsi nel dubbio e nel dolore, e pronuncia queste parole:” S’io non vedo nelle mani di Gesù la squarciatura dei chiodi e non vi metto il mio dito e non pongo la mia mano sul suo costato, non crederò. „ Era un linguaggio pieno di presunzione, di superbia, di caparbietà e oltraggioso verso i suoi fratelli. Era un dir loro sul viso, che li riputava tutti allucinati, visionari, fanatici, o bugiardi: era un dubitare delle promesse del divino Maestro e un pretendere che si mostrasse direttamente anche a lui; e notate che questa ostinazione dell’Apostolo durò per otto giorni. Egli voleva vedere e toccare le ferite delle mani e del costato del Maestro prima di credere: ma non le avevano vedute e toccate i suoi compagni? I loro occhi e le loro mani non valevano bene i suoi occhi e le sue mani? Perché quell’orgoglioso e ostinato: “Non credo? „ Io sono d’avviso che il buon Tommaso non si rendesse ragione del fallo, di cui si rendeva colpevole, e che dinanzi alla sua coscienza fosse immune da peccato grave: penso anche che, sopraffatto dal dolore per la morte del Maestro, non sapesse riaversi dal profondo scoramento in cui era caduto, né aprire il cuore alla speranza; ma, se mi è lecito dire un mio pensiero, in fondo a quell’anima afflitta e un po’ caparbia v’era un’altra causa, che lo teneva fermo nella sua ostinazione e che aveva la radice in una delle tante debolezze del cuore umano. Il povero Tommaso udiva che Gesù era apparso alle donne, a Pietro, a Giacomo, ai due che se ne andavano ad Emmaus, ai dieci suoi compagni nell’onore dell’apostolato: vedeva d’essere ormai il solo quasi dimenticato da Gesù: si sentiva umiliato e il suo cuore n’era punto sul vivo. Era naturale un risentimento, un certo dispetto di gelosia, d’amor proprio offeso, che cercava dissimulare e coprire dicendo: “Se non lo vedo, se non lo tocco anch’io, non crederò. „ Ma l’amoroso Gesù, pieno di compatimento pel suo caro Apostolo, permise la sua ostinazione per dare a lui una prova del suo affetto, e raffermare lui e gli altri tutti nella certezza della propria risurrezione. – “Otto giorni appresso (precisamente come oggi, ottava della Pasqua), i suoi discepoli erano ancora dentro quella casa e Tommaso con loro. Venne Gesù a porte chiuse, e stette in mezzo, e disse: Pace a voi! „ Ciascuno di noi comprende come a quella apparizione improvvisa il buon Tommaso, più che gli altri, dovesse sentirsi rimescolare il sangue, martellare il cuore e confondere tutte le idee: gioia e timore, rimorsi e giubilo, come le onde sopra uno scoglio, si avvicendavano nell’anima sua. Quel Gesù, che si era ostinato a negare risorto, ricusando fede alle sue promesse e alle affermazioni dei fratelli, era lì, a due passi; i suoi occhi, in un primo istante, incontratisi con quelli del Maestro, confusi, umiliati, si erano chinati a terra. I pensieri dei suoi compagni si riflettevano nell’anima sua, sentiva di meritare i loro rimproveri e più ancora quelli del Maestro, e li aspettava ed aspri…. Che cuore fu il tuo, o Tommaso, allorché in mezzo a quel solenne silenzio aspettavi di udire la parola di Gesù, parola severa, parola di duro e meritato rimprovero? Ma conosceva il Maestro, il suo cuore, la sua bontà, e temendo pure sperava. Quella voce, dolce e sì cara, in fondo alla quale si sentiva un lamento, un rimprovero, ma paterno, si fe’ udire: “Tommaso: qua il tuo dito (era un richiamo delicato alle sue proteste); qua il tuo dito e vedi le mie mani: stendi la tua mano e mettila sul mio costato [Bisogna dire che quel colpo di lancia, che trapassò il petto di Gesù già morto in croce, fosse rimasto profondamente fitto nella fantasia e nella memoria di Tommaso e di tutti gli Apostoli, perché lo notano in modo speciale] e fa di essere non incredulo, ma credente. „ Oh bontà, oh benignità, oh tenerezza del divino Maestro! Non un rimprovero, non un accento di sdegno contro l’Apostolo sì ostinato. Anzi Gesù lo invita a fare ciò che desiderava e a pigliarsi quella prova che esigeva qual condizione della sua fede e a smettere così la sua pervicacia. Poteva essere più benigno e più indulgente? Quelle parole, come una punta acuta penetrarono nel cuore di Tommaso, lo riempirono di dolore, di gioia e di gratitudine, e fuor di sé, nell’impeto dell’amore onde riboccava, con gli occhi gonfi di lacrime, e con voce rotta dai singulti, cadde ai piedi di Gesù, esclamando: “Signor mio e mio Dio! „ In queste parole non c’è neppure un verbo, ma esse dicono tutto. Esse volevano dire: O Signore, o Dio mio! vi credo, vi amo, mi pento, vi ringrazio, vi benedico, vi adoro, sono vostro, tutto vostro, perdonatemi, fate di me ciò che volete. Notate quella professione sì chiara di Tommaso: Dio mio! Vede un uomo, e protesta che quest’uomo è suo Dio! Il miracolo della risurrezione, congiunto a tutti gli altri miracoli, dei quali egli stesso era stato testimonio, alla dottrina, che aveva udita da Gesù Cristo, gli fece sentire e vedere in Gesù Cristo, in quell’uomo, che gli stava innanzi, il Figlio di Dio, e gli strappò quelle parole eloquentissime : “Signor mio e Dio mio [“Videbat tangebatque hominem et confitebatur Deum, quem non videbat neque tangebat? Sed per hoc quod videbat atque tangebat, illud, jam remota dubitatione, credebant” – S. August., Tract. 121]! „ Quanta carità e soavità in quella esortazione di Gesù Cristo: “Fa di essere non incredulo, ma credente” e poco dopo in quelle altre: “Perché hai veduto, o Tommaso, hai creduto: beati coloro, che non hanno veduto ed hanno creduto.” Questa sentenza deve tornare carissima a noi, o figliuoli dilettissimi. Noi non abbiamo veduto, non abbiamo udito, non abbiamo toccato Gesù Cristo nella sua umanità risorta, eppure abbiamo creduto e crediamo fermamente alla sua risurrezione e alla sua divinità, che ci fu annunziata dagli Apostoli e ci si ripete dalla Chiesa, e più felici di Tommaso, noi siamo da Cristo stesso dichiarati beati. – Siamo alla chiusa del nostro Evangelo. “Molti altri miracoli fece Gesù alla presenza dei suoi discepoli, che non sono scritti in questo libro, ma questi sono stati scritti affinché crediate che Gesù è il Cristo, Figlio di Dio, e affinché credendo, abbiate, nel nome di Lui, la vita eterna. „ – Da queste parole di S. Giovanni apprendiamo, che Gesù operò molti altri miracoli, oltre a quelli da Lui e negli altri tre Evangeli registrati, che Giovanni senza dubbio conosceva; perché voi, o cari, non potete ignorare che non tutto ciò che Gesù disse e fece fu scritto negli Evangeli, ma solo ciò che allo Spirito Santo parve necessario ed utile a nostro ammaestramento; il resto, in parte almeno, giunse a noi per la viva tradizione che si conserva nella Chiesa. S. Giovanni poi, in quest’ultimo versetto ci dice il fine o la ragione che lo mosse a scrivere il Vangelo, che fu quello che i lettori credessero Gesù essere il Cristo, cioè il Messia aspettato, il Figlio di Dio, eguale al Padre, e credendo questo, che è il fondamento della fede e vivendo conformemente a questa fede, potessero ottenere la vita eterna, meta ultima della fede e speranza nostra, vita eterna, che Iddio misericordioso conceda a me, a voi, a tutti gli uomini. [Qui è necessaria una avvertenza. È cosa evidente che qui si chiudeva il Vangelo di S. Giovanni. Come sta che segue dopo un altro capo, che è l’ultimo? In esso si narra distesamente un’altra apparizione avvenuta sul lago di Genesaret. Questo capo XXI, ora ultimo, certamente fu scritto da S. Giovanni dopo qualche tempo, quasi appendice. Per qual motivo? Per distruggere l’opinione, divenuta quasi generale, ch’egli, Giovanni, non avesse a morire fino alla seconda venuta di Cristo. In questo capo egli spiega le parole di Cristo, che, malintese, diedero occasione all’errore].

Credo …

Offertorium

 Orémus

Matt XXVIII:2; XXVIII:5-6. Angelus Dómini descéndit de cœlo, et dixit muliéribus: Quem quaeritis, surréxit, sicut dixit, allelúja. [Un Angelo del Signore discese dal cielo e disse alle donne: Quegli che voi cercate è risuscitato come aveva detto, alleluia.]

Secreta

Suscipe múnera, Dómine, quaesumus, exsultántis Ecclésiæ: et, cui causam tanti gáudii præstitísti, perpétuæ fructum concéde lætítiæ. [Signore, ricevi i doni della Chiesa esultante; e, a chi hai dato causa di tanta gioia, concedi il frutto di eterna letizia.]

Communio

[Joannes XX:27] Mitte manum tuam, et cognósce loca clavórum, allelúja: et noli esse incrédulus, sed fidélis, allelúja, allelúja. [Metti la tua mano, e riconosci il posto dei chiodi, alleluia; e non essere incredulo, ma fedele, alleluia, alleluia.]

Postcommunio

Orémus.

Quæsumus, Dómine, Deus noster: ut sacrosáncta mystéria, quæ pro reparatiónis nostræ munímine contulísti; et præsens nobis remédium esse fácias et futúrum.

I MEZZI NECESSARI ALLA SALVEZZA

  1. “I mezzi necessari alla salvezza” di S. Alfonso

Sant’Alfonso Liguori (morto nel 1787), vescovo e dottore della Chiesa

Sui mezzi necessari per la salvezza. 
di S. Alfonso M. de’ Liguori

Io sono voce di uno che grida nel deserto: raddrizzate la via del Signore” – Giovanni 1:23

Tutti vorrebbero essere salvati e godere della gloria del Paradiso; ma per conquistare il Paradiso, è necessario camminare sulla giusta via che conduce alla beatitudine eterna. Questa strada è l’osservanza dei comandamenti divini. Per questo, nella sua predicazione, il Battista esclamò: “Rendi dritta la via del Signore”. Per poter camminare sempre sulla via del Signore, senza deviare a destra o a sinistra, è necessario adottare i mezzi adeguati. Questi mezzi sono, innanzitutto, la diffidenza di noi stessi; in secondo luogo, la fiducia in Dio; in terzo luogo, la resistenza alle tentazioni.

Primo mezzo. Diffidenza di noi stessi

1. “Con timore e tremore”, dice l’Apostolo, “sviluppa la tua salvezza” – [Fil. II:12]. Per assicurarci la vita eterna, dobbiamo essere sempre penetrati dal timore; dobbiamo avere sempre timore di noi stessi (con paura e tremore) e diffidare del tutto delle nostre forze, perché, senza la grazia divina, non possiamo fare nulla.”Senza di me“, dice Gesù Cristo, “non puoi fare nulla“.: “Non possiamo fare nulla per la salvezza delle nostre anime”. San Paolo ci dice che noi non siamo capaci nemmeno di un buon pensiero. “Non però che da noi stessi siamo capaci di pensare qualcosa come proveniente da noi, ma la nostra capacità viene da Dio”[II Cor. III: 5]. Senza l’aiuto dello Spirito Santo, non possiamo nemmeno pronunciare il nome di Gesù per meritare una ricompensa. “E nessuno può dire: “Signore Gesù”, se non per mezzo dello Spirito Santo” – I Cor.XII: 3

2. “Miserabile l’uomo che si affida a se stesso sulla via di Dio”. San Pietro ha sperimentato il triste effetto della fiducia in se stessi. Gesù Cristo gli disse: “In questa notte, prima del canto del gallo, mi rinnegherai tre volte” – [Matt. XXVI: 34]. Confidando nelle proprie forze e nella sua buona volontà, l’Apostolo rispose: “Sì, anche se dovessi morire con Te, non ti rinnegherò” – [v.35]. Quale fu il risultato? Nella notte in cui Gesù Cristo venne preso, Pietro fu rimproverato nella corte di Caifa di l’essere uno dei discepoli del Salvatore. Il rimprovero lo riempì di paura: tre volte negò il suo Maestro e giurò di non averlo mai conosciuto. L’umiltà e la diffidenza in noi stessi ci sono così necessarie, che Dio ci permette talvolta di cadere nel peccato, affinché, con la nostra caduta, possiamo acquisire l’umiltà e la conoscenza della nostra stessa debolezza. Per mancanza di umiltà anche Davide cadde: quindi, dopo il suo peccato, disse: “Prima di essere umiliato, andavo errando” – Sal. CXVIII:67.

3. Quindi lo Spirito Santo pronuncia: benedetto l’uomo che ha sempre paura: “Beato l’uomo che ha sempre paura” – Prov. XXVIII:14. Chi ha paura di cadere, diffida delle proprie forze, evita il più possibile tutte le occasioni pericolose e si raccomanda spesso a Dio, preservando così la sua anima dal peccato. Ma l’uomo che non ha paura, e che è pieno di fiducia in se stesso, si espone facilmente al pericolo del peccato, raramente si raccomanda a Dio e così cade. Immaginiamo una persona sospesa su di un grande precipizio sopra una corda tenuta da un’altra persona. Sicuramente griderebbe costantemente alla persona che lo sostiene: tieni duro, tieni duro; per l’amor di Dio, non lasciarti andare. Siamo tutti in pericolo di cadere nell’abisso di ogni crimine, se Dio non ci sostiene. Quindi dovremmo costantemente implorarlo di tenere le sue mani su di noi e aiutarci in tutti i pericoli.

4. Alzandosi dal letto, san Filippo Neri soleva dire ogni mattina: “O Signore, tieni la tua mano oggi su Filippo; se non lo fai, Filippo ti tradirà”. E un giorno, mentre camminava per la città, riflettendo sulla propria infelicità, spesso diceva: “Io dispero, mi dispero”. Un certo religioso che lo ascoltò, credendo che il santo fosse davvero tentato dalla disperazione, lo corresse e lo incoraggiò a sperare nella divina misericordia. Ma il santo rispose: “Io dispero di me stesso, ma confido in Dio”; quindi, durante questa vita in cui siamo esposti a tanti pericoli di perdere Dio, è necessario per noi non vivere sempre con grande sfiducia in noi stessi, ma pieni di fiducia in Dio.

Secondo mezzo: fiducia in Dio.

5. San Francesco di Sales afferma che la sola attenzione all’autodifesa, a causa della nostra debolezza, ci renderebbe solo pusillanimi e ci esporrebbe al grande pericolo di abbandonarci ad una vita tiepida o addirittura alla disperazione. Più diffidiamo delle nostre forze, più dovremmo confidare nella misericordia divina.Questo è un equilibrio, dice lo stesso Santo, in cui più si alza il livello di fiducia in Dio, più scende il livello di diffidenza in noi stessi.

6. Ascoltatemi, o peccatori che avete avuto la disgrazia di aver offeso finora Dio, e di essere condannati all’inferno: se il diavolo vi dice che rimane poca speranza per la vostra salvezza eterna, rispondete con le parole della Scrittura: “Nessuno che ha sperato nel Signore, è stato confuso” – Eccl.II:11.Nessun peccatore che ha sempre creduto in Dio è mai andato perso.Fate, quindi, un fermo proposito di non peccare più; abbandonatevi nelle braccia della divina bontà; e state certi che Dio avrà pietà di voi e vi salverà dall’inferno. “Getta le tue cure sul Signore, ed Egli ti sosterrà” – Sal.XLIV:23.Il Signore, come leggiamo in Blosius, un giorno disse a santa Gertrude: “Chi confida in me, mi fa talmente violenza che non posso che ascoltare tutte le sue suppliche”.

7. “Ma”, dice il profeta Isaia, “ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza, mettono ali come aquile, corrono senza affannarsi, camminano senza stancarsi” – XL: 31. Coloro che ripongono la loro fiducia in Dio rinnoveranno la loro forza; essi metteranno da parte la propria debolezza e acquisiranno la forza di Dio; voleranno come aquile sulla via del Signore, senza fatiche e senza mai mancare. Davide dice che “la misericordia comprenderà colui che spera nel Signore” – Sal.XXI: 10. Colui che spera nel Signore sarà circondato dalla sua misericordia, così che non sarà mai abbandonato da essa.

8. San Cipriano dice che la divina misericordia è una fonte inesauribile. Coloro che ne portano la fiducia più grande, ne traggono le più grandi grazie. Quindi, il Profeta Reale ha detto: “La tua grazia, Signore, sia sopra di noi, ché abbiamo sperato in Te” – Sal.XXXII: 22. Ogni volta che il Diavolo ci terrorizza ponendo sotto i nostri occhi la grande difficoltà di perseverare nella grazia di Dio, nonostante tutti i pericoli e le occasioni peccaminose di questa vita, lasciate che, senza rispondergli, eleviamo gli occhi a Dio, e sperando che bella sua bontà ci invierà certamente un aiuto per resistere ad ogni attacco. “Ho alzato gli occhi verso le montagne, da dove mi verrà l’aiuto? ” – Sal.CXX: 1. E quando il nemico ci rappresenta la nostra debolezza, diciamo con l’Apostolo: “Posso fare tutto in Colui che mi da forza” – Fil.IV:13. Da me stesso non posso fare nulla; ma confido in Dio così che, per sua grazia, sarò in grado di fare tutte le cose.

9. Quindi, nel mezzo dei più grandi pericoli di perdizione ai quali siamo esposti, dovremmo continuamente rivolgerci a Gesù Cristo e gettarci nelle mani di Colui che ci ha redenti con la sua morte, e dovremmo dire: “Nelle tue mani io raccomando il mio spirito: Tu mi riscatti, o Signore, Dio verace “- Sal.XXX: 6. Questa preghiera dovrebbe essere detta con la grande sicurezza di ottenere la vita eterna, e ad essa dovremmo aggiungere: “In te, o Signore, ho sperato, non lasciarmi confuso per sempre” – Sal.XXX: 1

Terzo mezzo: resistenza alle tentazioni.

10. È vero che quando ricorriamo a Dio con fiducia, in pericolose tentazioni, Egli ci assiste; ma, in certe occasioni molto urgenti, il Signore a volte desidera che cooperiamo e facciamo violenza a noi stessi onde resistere alle tentazioni. In tali occasioni, non sarà sufficiente ricorrere a Dio una o due volte; sarà necessario moltiplicare le preghiere e spesso prostrarsi e sospirare davanti all’immagine della Beata Vergine e del Crocifisso, gridando nelle lacrime: Maria, Madre mia, aiutatemi; Gesù, mio ​​Salvatore, salvami, per la tua misericordia, non abbandonarmi, non permettere che io mi perda.

11. Teniamo presente le parole del Vangelo: “Quanto è stretta la porta e dritta è la via che conduce alla vita: e pochi sono quelli che la trovano” – Mat.VII:14. La via per il Cielo è diritta e stretta: coloro che desiderano arrivare in quel luogo di beatitudine camminando per le vie del piacere, saranno delusi; e quindi pochi lo raggiungono, perché pochi sono disposti ad usare la violenza per resistere alle tentazioni. “Il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono” – Matt.XI: 12. Nello spiegare questo passaggio, uno scrittore dice: “Vi quæritur, invaditur, occupatur”. Deve essere ricercato e ottenuto con la violenza: chi vuole ottenerlo senza inconvenienti, o conducendo una vita dolce e regolare, non lo acquisisce e ne sarà escluso.

12. Per salvare le loro anime, alcuni Santi si sono ritirati nel chiostro;alcuni si sono rinchiusi in una grotta; altri hanno abbracciato tormenti e morte. “I violenti se ne impadroniscono”. Alcuni lamentano la loro mancanza di fiducia in Dio; ma non percepiscono che la loro diffidenza deriva dalla debolezza della loro risoluzione di servire Dio. Santa Teresa soleva dire: “Di anime irresolute il Diavolo non ha paura”. E l’uomo saggio ha dichiarato che “i desideri uccidono i pigri” – Prov.XXI:25. Alcuni vorrebbero essere salvati e diventare santi, ma non risolveranno mai di adottare i mezzi della salvezza, come la meditazione, la frequentazione dei Sacramenti, il distacco dalle creature; oppure, se adottano questi mezzi, presto li abbandonano. In una parola, sono soddisfatti dei loro desideri infruttuosi, e così continuano a vivere nell’inimicizia con Dio, o almeno nella tiepidezza, che, alla fine, li conduce alla perdita di Dio. Così in loro sono verificate le parole dello Spirito Santo, “i desideri uccidono il pigro“.

13. Se, quindi, desideriamo salvare le nostre anime e diventare santi, dobbiamo prendere la decisione forte, non solo in generale di donarci a Dio, ma anche in particolare di adottare i mezzi adeguati, senza mai abbandonarli mai dopo averli presi una volta. Quindi non dobbiamo mai smettere di pregare Gesù Cristo e la sua Santissima Madre, per ottenere la santa perseveranza.

UNA PAROLA AL FEDELE NEO-CONVERTITO (fr. UK)

Una parola al fedele neo-convertito.

Caro fedele,

poiché alcuni di voi hanno chiesto di darvi un’istruzione almeno sommaria, qui potete trovare alcune indicazioni sul come organizzare la vita cattolica nelle circostanze in cui la maggior parte del clero ha cessato di praticare la Fede cattolica e è divenuto seguace della religione del “Novus Ordo”.

Il Papa e pochissimi sacerdoti continuano a servire la Chiesa Cattolica in esilio, e i Cattolici possono fare la loro confessione, partecipare alla Santa Messa e ricevere la Santa Comunione non più di due volte all’anno.

Bisogna capire che non solo è in esilio l’alta Gerarchia, ma bensì anche tutta la gerarchia ed i fedeli. Tutta la Chiesa conduce la sua missione in Eclissi.

Tale situazione non è nuova per la Chiesa di Cristo. La Beata Vergine Maria, gli Apostoli, molti Santi in tempi di persecuzione, furono esiliati e finanche Nostro Signore fu esiliato: per un po’ fu “nascosto in un campo … come una perla preziosa di grande valore” (San Matteo XIII: 44-46), poi però, nel momento giusto, essa fu ritrovata per brillare sulla croce.

«Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù, il quale, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. » [Filip. II, 4-8]

E così non è una novità per la Sua Chiesa seguirlo sulla via della Croce, verso l’esilio!

Nostro Signore Gesù Cristo creò questo mondo, ma il mondo lo mandò in esilio: “Era nel mondo, e il mondo fu creato da lui, e il mondo non lo conobbe. Venne tra i suoi, e i suoi non lo accolsero “(San Giovanni 1: 9-11). Ma quelli che lo accolsero, divennero figli di Dio: “Ma a tutti quelli che l’hanno ricevuto, ha dato il potere di diventare figli di Dio, a quelli che credono nel suo Nome, che sono nati non da sangue, né dalla volontà della carne, né dalla volontà dell’uomo, ma da Dio “(San Giovanni 1: 12-13).

Purtroppo, coloro che hanno accolto il Nostro Signore Gesù Cristo, sono una minoranza, e questa minoranza è permanentemente perseguitata dal mondo che “non Lo ha ricevuto”. “Se il mondo ti odia, sappi che ha odiato Me, prima di te … Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche te” (San Giovanni XV: 18-23).

Ma questa non è una causa di disperazione o di panico, poiché abbiamo il “Sommo Sacerdote Misericordioso e Fedele” (Ebrei II:17), che è in grado di aiutarci: “… infatti proprio per essere stato messo alla prova ed avere sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova “.[Ebr. II, 18], abbiamo il Buon Pastore che dice: ” Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno”. [Luc. XII, 32]

Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!” [Matt. VII, 13-14].

Quando qualcuno si converte dal “Novus Ordo” alla Religione Cattolica, non cambia solo il luogo di culto, né la giurisdizione… cambia totalmente la fede, la morale e la disciplina. Ciò significa che i Cattolici non hanno il diritto di sentirsi liberi di fare ciò che vogliono, come hanno fatto in passato, quando erano membri della larga e comoda falsa religione del “Novus Ordo”.

La via verso il Regno di Dio è una via di numerose e benefiche limitazioni. Coloro che vogliono entrare nel Regno di Dio devono prendere su di sé il giogo di Gesù Cristo ed imparare da Lui ad essere miti ed umili di cuore, così come Lui stesso è mite ed umile di cuore. (San Matteo XI: 29-30).

Falso culto:

Molti convertiti non sapevano ad esempio, che violando il primo comandamento, un uomo commette peccato mortale. Ma dal momento stesso in cui un convertito conosce la verità, è obbligato ad abbandonare tutte le pratiche proibite, per tutto il resto della vita.

I Cattolici sono obbligati ad osservare tutti i Dieci Comandamenti di Dio, i Precetti della Chiesa nonché la Fede, la Morale e la Disciplina nella sua integrità.

Spesso dopo la conversione alcune persone cercano ancora di continuare in pratiche e costumi falsi, assolutamente inutili e persino dannosi per i Cattolici. Lo fanno “per inerzia”, ​​o perché pensano che la fede del “Novus Ordo” e la Fede della Chiesa Cattolica siano uguali o solo un po’ diversi. E se qualcuno, dopo essersi unito alla Chiesa Cattolica, intende ancora praticare la falsa fede, la morale e la disciplina precedente, la sua conversione è nulla, e non si è unito affatto alla Chiesa Cattolica!

Il primo Comandamento tra l’altro, proibisce di credere in “messaggi”, “rivelazioni”, “ispirazioni”, “voci” ecc., ricevuti in un sogno o in una “visione”.

Se qualcuno dice che ha visto Gesù, o la Madre di Dio, o gli Angeli o i Santi, e che tutti devono fare ciò che “essi hanno loro detto”, bisogna essere cauti e tenere presente questo avvertimento di Dio: “Quindi, se c’è qualcuno che ti dirà: Ecco, ecco Cristo, o eccolo là; non credergli. Perché sorgeranno falsi cristi e falsi profeti e mostreranno grandi segni e prodigi, tanto da ingannare (se possibile) persino gli eletti. Ecco, te l’ho detto prima “(San Matteo XXIV: 23-25). E anche  San Paolo, l’Apostolo, dice: ” … nessuna meraviglia; poiché satana stesso si trasforma in un angelo di luce “(2 Corinzi XI:14).

Una credenza in una strana “immagine” su una pietra, su un legno, su una superficie  d’acqua, su un vetro, ecc., che in qualche modo ricorda remotamente strane creature, o anche un uomo, un Angelo, ecc., è una sorta di falsa adorazione … Spesso accade questo, quando qualcuno vuole presentare la “propria” immaginazione come “messaggio molto importante dal cielo” per il mondo.

Quando vediamo il mondo che ci circonda, creato da Dio, non dovremmo adorare la creazione stessa, perché è proibito dal primo comandamento, ma dovremmo piuttosto glorificare e ringraziare Dio Creatore per la sua potenza e la eterna carità nei nostri confronti. La via migliore per la glorificazione di Dio è il ringraziamento è l’adempimento dei Comandamenti di Dio.

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L’approvazione della Chiesa delle rivelazioni private, significa semplicemente che esse non contengono nulla contro la fede e la morale. Non pecca mai mortalmente chi li nega perché non è convinto che vengano da Dio. (Teologia morale)

Vera adorazione:

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I. Il Sacrificio.

Il culto di Dio richiede l’offerta del Santo Sacrificio della Messa, a cui i fedeli sono obbligati ad assistere nelle occasioni comandate.

II. L’Adorazione.

Concetto. L’adorazione è l’atto dell’adorazione divina con la quale riconosciamo l’Infinita Maestà e la Signoria di Dio, la nostra dipendenza da Lui e la sottomissione a Lui.

Obbligo.

a) L’adorazione nel senso proprio (cultus latriæ) può e deve essere resa a Dio solamente.

È reso a Lui e Lui soltanto è adorato in quanto Dio stesso  (ad esempio: la Santissima Trinità, Gesù Cristo, il Santissimo Sacramento) a causa della Sua eccellenza; Gli viene offerto relativamente, quando sono venerate le immagini di Dio, gli strumenti della Sacra Passione, ecc., per l’eccellenza di Dio con cui hanno una relazione così stretta.

b) Un culto speciale (cultus duliæ) è dovuto agli Angeli e ai Santi, poiché come amici di Dio anch’essi partecipano alla Sua eccellenza.

Una maggiore adorazione (cultus hyperduliæ) di quella offerta a qualsiasi altra creatura, è dovuta alla Madre di Dio, perché anche Ella condivide in modo speciale la Sua eccellenza.

– I Santi canonizzati possono essere venerati ovunque sulla terra con qualsiasi atto di culto di dulia; il Beato invece, solo in quei luoghi dove la Santa Sede permette la loro venerazione e nella maniera da essa approvata (C. 1277).

– Il titolo di “Venerabile”, o di “Servo di Dio” non consente la pratica della venerazione pubblica (C. 2115); la venerazione privata di una tale persona non è però proibita.

– Solo gli Angeli e quei Santi e Beati che sono stati riconosciuti come tali dalla Chiesa possono essere invocati pubblicamente. In privato possiamo implorare tutti i giusti in cielo e sulla terra, ed in particolare anche i bambini battezzati che muoiono prima di raggiungere l’uso della ragione, così come anche le Anime del Purgatorio. (Teologia morale)

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Alcune parole sulla preghiera:

I Cattolici dovrebbero pregare quotidianamente con preghiere mattutine, preghiere serali, notturne, con varie preghiere da rivolgere a nostro Signore, alla Madre di Dio, agli Angeli e ai Santi, il Credo, le preghiere ai pasti e prima di ogni azione, ecc., le Novene, fare spesso il segno della croce.

È ottima cosa che i Cattolici preghino il Santo Rosario uniti  nelle loro famiglie quotidianamente o tutte le volte che possono, almeno la domenica e le festività di obbligo, secondo gli orari di lavoro dei membri della famiglia.

È molto consigliabile fare un esame quotidiano di coscienza e un atto di contrizione perfetta; ma l’obbligo di confessare i peccati davanti a un sacerdote rimane sempre, appena sia possibile.

Ed è molto bello ricevere frequentemente la Comunione Spirituale, quando non si ha la possibilità di partecipare alla Santa Messa.

Quando un Vescovo o un Sacerdote saranno in grado di venire dai fedeli, allora essi potranno confessare i peccati e ricevere la Santa Comunione.

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L’omissione volontaria delle preghiere quotidiane è raramente esente da ogni colpa, poiché è il risultato di negligenza e tiepidezza. (Teologia morale)

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Altro sulla preghiera:

Se i fedeli saranno in grado, potranno riunirsi in una sala, in gruppo di tre o più persone per pregare il Santo Rosario. I giorni preferibili sono le domeniche e le feste comandate. Nessuno può essere un leader, né un “capo”, né un “profeta” in quelle riunioni del Rosario. Un Fedele per volta può condurre una decina del Rosario. Se è presente un uomo ad un incontro di preghiera, egli ha la priorità di condurre il Santo Rosario, oppure può delegare le donne nel condurre una, due o tre decine del Rosario.

A causa delle circostanze molto difficili della Chiesa in Eclissi, l’alta Gerarchia non vieta la preghiera del Santo Rosario, fatta in un piccolo gruppo  di due persone, anche per telefono. Tale pratica è una forma di devozione non ufficiale, ma straordinaria, ed è consentita a mo’ di privilegio per coloro che vivono lontani e non possono essere fisicamente presenti alle riunioni del Rosario, o per coloro che hanno bisogno di preghiere in circostanze difficili. Non sono consentite “video-conferenze”.

Le cosiddette “conferenze telefoniche di preghiera” per gruppi più grandi, costituiti da più di due persone, non sono consentite, perché non sono sicure. Lo stesso vale per le “videoconferenze”.

Nessun fedele laico o laica può far da predicatore, catechista, insegnante durante le riunioni del Rosario, né in sala né per telefono (vedi: Falsa adorazione).

È proibito ai Cattolici di pregare insieme ai non cattolici.

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La partecipazione attiva dei Cattolici ai servizi di culto non cattolici è del tutto vietata (C. 1258).

Chiunque si oppone alle prescrizioni del C. 1258 e prende parte a servizi non cattolici è sospettato di eresia (C. 2316).

La presenza passiva è consentita solo per una buona ragione, ad esempio: Soldati e prigionieri possono partecipare a tali servizi se comandati a farlo per ordine, ma non se imposti in odium fidei. (Teologia morale)

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I due corpi della Chiesa Cattolica:

[dal Catechismo di Baltimora] :

490. Come possono essere divisi i membri della Chiesa sulla terra?

I membri della Chiesa sulla terra possono essere divisi in: coloro che insegnano e coloro che vengono istruiti. Coloro che insegnano, cioè il Papa, i Vescovi e i Sacerdoti, sono chiamati: Chiesa docente, o semplicemente la Chiesa. Coloro che vengono istruiti sono chiamati: Chiesa discente, o semplicemente i fedeli.

http://www.baltimore-catechism.com/lesson11.htm

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[da: Il “Catechismo spiegato”, del Rev. Francis Spirago]:

“La Chiesa Cattolica consiste in un corpo docente ed un corpo discente. Al primo appartengono il Papa, i Vescovi e i Sacerdoti; al secondo tutti i fedeli. I sacerdoti sono gli assistenti dei Vescovi; essi ricevono i loro ordini dal Vescovo e sono anche suoi figli spirituali; il loro compito è quello di eseguire i comandi del Vescovo; anche quando sono chiamati ad assistere ai Concili, non votano come giudici, ma solo come consiglieri, né hanno poteri per scomunicare. I sacerdoti hanno solo una parte del potere episcopale, e il loro ufficio può essere esercitato solo con il mandato del Vescovo. Questa mandato è detto: missione canonica (missio canonica).

“Manuale per sacerdoti, insegnanti e genitori a cura del Rev. S.G. Messmer, D.D., D.C.L., Vescovo di Green Bay. IL CATECHISMO SPIEGATO dall’originale di Rev. Francis Spirago, professore di teologia, a cura del rev. Richard F. Clarke S.J., data di pubblicazione 1899.

Nel Concilio di Trento, è scritto: [CANON V]:  Se qualcuno dovesse dire, che nella Chiesa Cattolica non c’è una Gerarchia nell’ordinazione divinamente istituita, composta da Vescovi, Sacerdoti e Ministri, sia anatema “.

http://www.thecounciloftrent.com/ch23.htm

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I doveri dei laici derivano principalmente dalla legge naturale, dalla legge divina positiva e dai precetti della Chiesa.

I diritti dei laici sono in gran parte riducibili al diritto fondamentale di ricevere dal clero i beni spirituali necessari alla salvezza, secondo le regole della disciplina ecclesiastica. – Questi diritti possono essere fortemente limitati, ad es. in una persona che si unisce ad una setta non-cattolica o incorre in una censura ecclesiastica, in particolare la scomunica (C. 87). Ma un battezzato non può mai essere privato di nessuno dei diritti che ha in virtù del carattere indelebile del Battesimo, né può perdere la sua inalienabile pretesa della speciale sollecitudine della Chiesa, e, in pericolo di morte, se è giustamente disposto, ai Sacramenti necessari alla salvezza.(Teologia morale).

I fedeli non appartengono alla Chiesa docente o alla Gerarchia. Un fedele può essere un insegnante o un catechista solo con l’esplicito permesso di un Vescovo o di un prete. Quando i fedeli reclamano un’autorità sulla Gerarchia, essi agiscono in contrasto con l’insegnamento della Chiesa.

In alcuni, casi dei fedeli possono avere autorità su altri fedeli.

I genitori hanno autorità sui propri figli naturali ed adottivi, hanno il dovere di governare, educare ed insegnare ai bambini. – Nell’estremo bisogno un laico può amministrare il Battesimo, se sa come agire secondo il rito della Chiesa.

 Sacramento del Battesimo:

Il Battesimo dell’acqua è necessario per il raggiungimento della salvezza come mezzo indispensabile per raggiungere il fine. Solo in casi eccezionali può prenderne il posto il Battesimo del desiderio o del sangue.

Il Battesimo del sangue consiste nel soffrire la morte per Cristo. Funziona quasi ex opere operate, cioè non è richiesto alcun atto soggettivo, e quindi anche i bambini possono essere giustificati in questo modo.

Il Battesimo del desiderio consiste in un atto di contrizione perfetta o di amore perfetto, che agisce in qualche modo come un desiderio del Battesimo.

Né il Battesimo del desiderio né quello del sangue, imprimono un carattere indelebile.

Il Battesimo condizionale è sempre necessario ogni volta che ci sia un dubbio, anche minimo, sulla validità del Battesimo ricevuto. Se non vi sono dubbi sulla validità del Battesimo ricevuto, non si può essere battezzati, nemmeno condizionatamente, sebbene il Battesimo sia stato amministrato da un laico o da un eretico. Prima di ribattezzare condizionatamente a causa di un dubbio, si deve cercare di rimuovere il dubbio con un’indagine accurata.

Gli effetti del Battesimo sono:

la remissione dei peccati, sia l’originale che i personali, e la pena dovuta al peccato;

l’imprinting del carattere battesimale,

l’infusione della grazia santificante,

delle virtù soprannaturali e dei doni dello Spirito Santo,

e soprattutto il conferimento di un diritto alle grazie necessarie per condurre una vita cristiana.

I peccati personali e le pene così contratte, sono rimessi solo in seguito ad con una contrizione almeno imperfetta. – Pertanto, se un adulto deve essere battezzato, deve essere esortato a produrre un atto di contrizione.

 

Ministro del Battesimo solenne.

Il ministro ordinario è un qualsiasi sacerdote. Battezzare è un diritto pastorale. L’Ordinario o il pastore locale possono permettere ad altri di battezzare. A parte il caso della necessità, è mortalmente peccaminoso battezzare senza il permesso almeno presunto del parroco.

Ministro straordinario è il diacono.

II. Ministro del Battesimo valido e privato, può essere qualsiasi persona.

Perciò anche il Battesimo amministrato dai non credenti e dagli eretici è valido. Per quanto riguarda l’intenzione si veda al n. 451.

Lecitamente i laici possono battezzare solo in pericolo di morte e quando non ci sia un sacerdote (C. 742). Fare altrimenti è mortalmente peccaminoso. – Un’eccezione è permessa e persino necessaria quando un bambino deve essere battezzato nel grembo materno. – Un’usanza contraria è prevalente nei distretti missionari, dove i catechisti o altri fedeli laici battezzano, al di fuori della necessità impellente, ogni volta però che non sia presente alcun sacerdote.

Se possibile, dovrebbero essere presenti nel Battesimo privato due o almeno un testimone, dai quali possa essere attestata l’amministrazione del Battesimo stesso (C. 742).

Nel Battesimo privato si userà sempre l’acqua ordinaria.

La materia prossima legale presso la Chiesa occidentale consiste nella triplice infusione, cioè, il battezzante versa tre volte l’acqua sulla testa di chi viene battezzato mentre pronuncia la forma.

La formula del Battesimo prescritto per la Chiesa latina recita:

Ego te baptizo in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti“.

Battesimo degli adulti. È valido il Battesimo di chiunque abbia l’uso della ragione ed abbia l’intenzione di essere battezzato. – Nel dubbio sull’intenzione di una persona in pericolo di morte, il Battesimo è amministrato condizionatamente.

(451). Il battesimo è valido se amministrato da un medico ebreo che agisce con l’intenzione di fare ciò che fa la Chiesa, o come fanno i Cristiani.

Non viene amministrato nessun Sacramento se si compiono semplicemente i gesti sacramentali come per la pratica (ad es. di un seminarista), o per burla.

Una sola e medesima persona deve impiegare la materia e recitare la formula. Pertanto, il Battesimo non è valido se una persona versa l’acqua mentre un’altra pronuncia le parole. (Teologia morale).

Il Battesimo in un gruppo che si pretende tradizionale, dove i ministri usano la forma di rito latino o la forma di rito bizantino, può essere ritenuto valido. Il Battesimo in tutti gli altri gruppi deve essere investigato secondo l’insegnamento della Chiesa Cattolica.

La forma del battesimo condizionale è:

… nome … “Si non es baptizatus (a), ego te baptizo in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti“.

Ogni volta i laici intendano battezzare privatamente, al di fuori del caso di necessità (in pericolo di morte), devono chiedere per iscritto il permesso ad un sacerdote.

Un laico maschio ha sempre la priorità di battezzare rispetto ad una donna. Una donna può battezzare qualora non sia disponibile nessun uomo. Nel Battesimo privato, dovrebbero essere presenti due o almeno un testimone.

Sacramento della Penitenza.

La Penitenza è il Sacramento in cui i peccati di un peccatore pentito, commessi dopo il Battesimo, sono perdonati dall’assoluzione di un sacerdote.

a) La materia necessaria sono tutti i peccati mortali commessi dopo il Battesimo che non siano stati direttamente rimessi dal Potere delle Chiavi.

Se uno confessa un peccato mortale subito dopo aver ricevuto l’assoluzione, questa deve essere data di nuovo.

b) La materia libera e sufficiente sono tutti i peccati veniali commessi dopo il Battesimo, ed anche tutti i peccati mortali già confessati in precedenza e direttamente rimessi.

Un’accusa generale è sufficiente quando si ha solo la materia libera.

c) La materia insufficiente sono tutti i peccati commessi prima del Battesimo, le imperfezioni ed i peccati incerti.

Se uno confessa solo i peccati commessi prima del Battesimo o menziona solo le imperfezioni, non può essere assolutamente assolto.

Se si confessano solo i peccati dubbi, l’assoluzione può essere data condizionatamente.

Modo di dare l’Assoluzione.

L’assoluzione deve essere data:

– Oralmente; l’assoluzione per iscritto o mediante altri segni non è valida.

– Ad un soggetto personalmente presente.

– L’assoluzione è dubbiamente valida se il sacerdote e il penitente sono in stanze diverse tra le quali non ci sia comunicazione. (Teologia morale).

Santa Messa:

La Santa Eucaristia è Sacramento e Sacrificio.

 Il Santo Sacrificio della Messa è il vero e proprio Sacrificio del Nuovo Testamento in cui Cristo viene offerto, sotto le apparenze del pane e del vino, continuando così il Sacrificio della Croce in modo incruento.

Essenza del Sacrificio della Messa. Il sacrificio della Messa consiste essenzialmente nella Consacrazione; la Santa Comunione, tuttavia, è parte integrante del Sacrificio.

Poiché la Chiesa comanda la partecipazione a tutta la Messa, non adempie il suo obbligo domenicale chi è presente solo alla Consacrazione.

Il Sacramento della Santa Eucaristia nella sua realizzazione è inseparabilmente legato all’offerta di una oblazione. Il Santissimo Sacramento dell’Altare è il Sacramento in cui il Corpo e il Sangue di Cristo sono presenti sotto le forme del pane e del vino per il nutrimento spirituale delle nostre anime.

Il consacratore della Santa Eucaristia è solo il sacerdote validamente ordinato.

Per la ricezione della Santa Comunione è richiesta la pulizia esteriore.

Pertanto, non si può comparire alla Tavola Santa con abiti sporchi, lacerati o sconvenienti.

Anche il viso, le mani e tutto il corpo devono essere puliti. (Teologia morale).

 

CENSURE LATÆ SENTENTIÆ

– sono sostenute “ipso facto” dal commettere un reato. Scomunica individuale: Una scomunica “speciale modo”, riservato alla Santa Sede è comminata a: Chiunque, non essendo un prete, simula dicendo Messa o udendo una Confessione (C.2322). (Teologia morale).

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È una pratica insolita per i fedeli recitare una “versione abbreviata” della Santa Messa la domenica o nelle feste d’obbligo, o nei giorni feriali senza sacerdote. La comunione spirituale durante queste “messe abbreviate” senza sacerdote, sembra essere una simulazione del dire Messa. È proibito dal diritto canonico dire la santa Messa senza un prete.

Il Papa San Pio X ha espresso la sua speranza e il suo desiderio che il Messale Romano sia usato più comunemente dai fedeli di tutte le classi durante la loro partecipazione alla Messa.

Il Messale può essere utilizzato dai fedeli fuori dalla Santa Messa per lo studio. Anche i fedeli possono leggerne parti separate, come Salmi, preghiere, Epistola o Lezione, il Vangelo, le Antifone, il Credo ecc.  senza l’intenzione di simulare la Messa.

Per ricevere la Comunione spirituale al di fuori della Santa Messa, i fedeli non hanno alcun obbligo di leggere tutta la Messa o alcune parti da soli senza un sacerdote. Hanno solo bisogno di fare un atto di comunione spirituale, come il seguente:

Preghiere per la Comunione spirituale

Gesù mio, credo che voi state nel Santissimo

Sacramento. V’amo sopra ogni cosa e vi desidero

nell’anima mia. Giacché ora non posso ricevervi

sacramentalmente, venite almeno

spiritualmente nel mio cuore. Come già venuto, io vi

abbraccio e tutto mi unisco a Voi: non permettere

che io mi abbia mai a separare da Voi.

(Indulg. di tre anni ogni volta, leggendo qualsiasi formula; indulg. plenaria alle consuete condizioni se fatta ogni giorno per un intero mese).

Donne in Chiesa:

Secondo la Legge di Dio una donna è un aiuto per un uomo (Genesi II: 18-24), quindi la Chiesa non riconosce la guida delle donne in Chiesa. San Paolo, l’Apostolo, dice: “Le donne tengano il silenzio nelle chiese; perché non è permesso loro di parlare, ma di essere soggetti, come anche la legge dice. Ma se imparassero qualcosa, che chiedessero ai loro mariti a casa. Perché è una vergogna per una donna parlare in chiesa “(1 Corinzi 1XIV: 34-35), e “La donna impari in silenzio, con tutta sottomissione. Non concedo a nessuna donna di insegnare, né di dettare legge all’uomo; piuttosto se ne stia in atteggiamento tranquillo” (1 Timoteo II: 11-13).

Il ruolo proprio di una donna cattolica è quello di essere una buona figlia, una buona sorella, moglie, madre, parrocchiana, cittadina. Alcune donne hanno la vocazione per essere suora. Secondo la legge ecclesiastica, una donna può essere superiora, ad esempio in una congregazione religiosa femminile, canonicamente approvata  e stabilita dall’altaGerarchia .

LA DONNA NELLA CHIESA:

Codice di  ABBIGLIAMENTO

Durante la recita del Rosario per telefono, durante le riunioni del Rosario e la Santa Messa i Cattolici dovrebbero tenere un abbigliamento modesto.

Non è permesso alle donne e alle ragazze cattoliche di ricevere la Santa Comunione se i loro volti e le loro labbra sono dipinte, perché sarebbe un atteggiamento indecoroso al cospetto del Santo Sacrificio della Croce. La Santa Messa è il culto davanti all’Altare di Dio, non una cena a un tavolo comune, per cui le donne cattoliche non devono venire alla S. Messa con il viso truccato.

È proibito alle donne cattoliche di partecipare alla Santa Messa e alle riunioni di preghiera, indossando jeans, pantaloncini, pantaloni, ampi decolté, camicie senza maniche e t-shirt, in abbigliamento da spiaggia o da sport, vestiti con scritte e messaggi, loghi di grandi marchi, loghi sportivi, vestiti trasparenti. Una gonna o un vestito dovrebbero essere lunghi, così che quando ella è seduta, le sue ginocchia devono essere coperte. Anche le maniche dovrebbero essere abbastanza lunghe, fino al palmo delle mani o un po’ sotto i gomiti, nei tempi caldi dell’estate. La testa dovrebbe essere sempre coperta. Scarpe o sandali a seconda dei tempi; le calze sono richieste soprattutto quando la donna indossa sandali estivi aperti.

Anche gli uomini ed i ragazzi cattolici dovrebbero indossare un consono abbigliamento nel partecipare alla Santa Messa e agli incontri di preghiera. Vietati sono: jeans, pantaloncini, magliette senza maniche e t-shirt, vestiti da spiaggia, vestiti sportivi, vestiti con scritte o messaggi, loghi di grandi marchi, loghi sportivi, indumenti trasparenti. Essi dovrebbero indossare abiti composti, come un abito classico con cravatta o anche senza, pantaloni di stile classico e camicie a maniche lunghe. Scarpe o sandali semiaperti a seconda della stagione; le calze sono obbligatorie. Il principio essenziale del codice di abbigliamento nel culto cattolico è una manifestazione esterna di Fede, morale e disciplina. Poiché il centro del culto cattolico c’è la Croce di Gesù Cristo, si devono indossare abiti casti e modesti, specialmente quando si riceve la santa Comunione durante la santa Messa.

Sacramentali:

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I sacramentali sono oggetti o azioni che la Chiesa usa, ad imitazione dei Sacramenti, per ottenere favori, specialmente quelli spirituali, attraverso la loro intercessione (1144 C. J. C.).

I Sacramentali non conferiscono mai direttamente un aumento di grazia santificante o di remissione dei peccati. – Vero ministro dei sacramentali è un chierico a cui la Chiesa ha concesso le relative facoltà ed al quale non sia vietato l’esercizio di queste facoltà (C. 1146).

È vietato dare pubblicamente i sacramentali a non cattolici. Quindi, non dovrebbero essere date loro le candele benedette durante la Festa della Purificazione, le ceneri del mercoledì, le palme della Domenica di Passione.(Teologia Morale).

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Quando un cattolico dà un oggetto sacramentale a un non cattolico, potrebbe aspettarsi che l’acattolico usi il sacramentale per uno scopo superstizioso, per un rituale pagano, o gettar via l’oggetto sacramentale.

Digiuno ed astinenza

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La legge del digiuno obbliga tutti coloro che hanno completato il loro ventunesimo anno di età fino al sessantesimo anno (C. 1254).

La legge dell’astinenza obbliga tutti coloro che hanno completato il loro diciassettesimo anno di età fino al termine della loro esistenza (C. 1254).

L’impossibilità fisica o morale scusa dalla legge del digiuno.

Per esempio, persone malate o convalescenti, in condizioni di salute delicate, coloro che sono nevrotici o che sono soggetti a forti mal di testa, che non possono dormire quando digiunano, donne incinte o che allattano, donne durante il periodo delle mestruazioni, i poveri che non hanno abbastanza da mangiare in una unica volta per soddisfare la loro fame;

Una maggiore quantità di cibo in quaresima viene concessa a persone soggette a lavori stressanti fisicamente e mentalmente, a coloro che dovrebbero intraprendere un viaggio lungo e faticoso. Non si può intraprendere un duro lavoro allo scopo di eludere la legge del digiuno. Mogli, figli e servi sono scusati se il padrone di casa non consente loro altro cibo. Un invito a mangiare fuori, dove verrà servito cibo proibito, non deve essere accettato. Si potrebbe, tuttavia, accettare un simile invito se lo stesso comporterebbe una grave perdita per sè, o creerebbe inimicizia, ecc. (Teologia Morale).

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Da ricordare che la cremazione non è una pratica Cristiana., ma è condannata espressamente dalla Chiesa Cattolica, tanto che il diritto al funerale e alla Messa di anniversario viene rifiutato a coloro che richiedono che i loro corpi vengano cremati. (Teologia Morale).

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Per conoscere la fede

I fedeli possono studiare la fede cattolica attraverso siti approvati dall’alta gerarchia in esilio.

I fedeli hanno l’obbligo di studiare la Fede Cattolica

La Gerarchia in esilio consiglia:

Il Catechismo di Baltimora:

http://www.baltimore-catechism.com

Il Concilio di Trento

http://www.thecounciloftrent.com/

Anche dai Catechismi, che si possono scaricare in PDF e stampare su un foglio per tutti o per ogni famiglia.

C’è un buon Catechismo Cattolico in tre volumi che è conveniente stampare su fogli:

CATECHISM MADE EASY

Being A Familiar Explanation of The Catechism of Christian Doctrine

In Three Volumes

By The Rev. Henry Gibson, Catholic Chaplain to the Kirldale Gaol and Kirkdale Industrial Schools. Publication dates 1865, 1874, 1877

https://archive.org/details/CatechismMadeEasyV1

https://archive.org/details/CatechismMadeEasyV2

https://archive.org/details/CatechismMadeEasyV3

Il “Catechismo dogmatico” di G. Frassinetti

https://archive.org/details/ADogmaticCatechism1872

The Catechism explained, by Rev. Francis Spirago

By Rev. Francis Spirago, Professor of Theology
Edited by Rev. Richard F. Clarke S.J.

Publication date 1899

https://archive.org/details/catechismexplain00spiruoft

Spesso è utile rinfrescare alla memoria le parole pronunciate durante l’abiura dell’eresia e la professione di fede:

“Io, NN, dichiaro sinceramente e solennemente che sono stato educato nella falsa Religione (novus ordo, protestantesimo, o altra Religione, a seconda del caso), ma ora per grazia di Dio, essendo stato portato alla conoscenza della Verità, io credo fermamente e professo tutto ciò che la Santa Chiesa Cattolica e Apostolica romana crede e insegna, ed io rifiuto e condanno tutto ciò che essa rifiuta e condanna ”

La forma completa della professione di fede è qui:

http://www.tcwblog.com/182861443

Ricezione di convertiti e professione di fede 

[Rituale Romano, 1944, Supplemento per il Nord America]

(Secondo il modello approvato dalla Sacra Congregazione del Sant’Uffizio, il 20 luglio 1859 e con la nuova formula per l’abiura e la professione di fede che deve essere fatta dai convertiti, approvata dalla Suprema Sacra Congregazione del Sant’Uffizio come data in: la “Rivista ecclesiastica”, maggio 1942)

Nel caso di un convertito, prima di tutto bisogna fare un’indagine accurata sulla validità del suo precedente battesimo. Se si scopre che non è stato Battezzato o che il Battesimo ricevuto non sia valido, deve essere battezzati incondizionatamente. Se, tuttavia, dopo un’indagine diligente, rimane un ragionevole dubbio sulla validità del loro precedente Battesimo, deve essere battezzato in modo condizionale. Se, in terzo luogo, il battesimo fosse giudicato valido, deve richiedersi solo l’abiura o la professione di fede. In conformità, quindi, con la loro condizione ci sono tre metodi di ricezione delle conversioni:

I. Se non è battezzato o se il precedente battesimo non era valido – il convertito è battezzato incondizionatamente, e non seguono né l’abiura né l’assoluzione, poiché il Sacramento della rigenerazione lava via tutto.

II. Se il precedente battesimo è dubbio: il convertito è battezzato condizionatamente, osservando la seguente procedura: 1. Abiura o professione di fede e assoluzione condizionata dalle censure. 2. Battesimo condizionale. 3. Confessione sacramentale con assoluzione condizionale.

III. Se il precedente battesimo era valido: – 1. Abiura e professione di fede. 2. Assoluzione dalle censure. 3. Volendo si può procedere alle cerimonie supplementari del Battesimo (vedi modulo per adulti [o di bambini, secondo decreti più recenti]).

Il sacerdote rivestito di cotta e stola viola, siede davanti al centro dell’altare o, se è presente il Santissimo Sacramento, sul lato dell’Epistola. Il convertito si inginocchia davanti a lui e con la mano destra sul libro dei Vangeli (o il messale) legge quanto segue: (Se il convertito non può leggere il sacerdote, glielo legge lentamente e distintamente, in modo che possa capire e ripetere le parole.)

PROFESSIONE DI FEDE

Io, N.N., ______ anni, nato fuori dalla Chiesa cattolica, ho tenuto e creduto in errori contrari al suo insegnamento. Ora, illuminato dalla grazia divina, mi inginocchio davanti a voi, Reverendo Padre _____________, avendo davanti ai miei occhi e toccando con mano i santi Vangeli.  Con fede ferma, credo e professo ciascuno e tutti gli articoli contenuti nel Credo degli Apostoli e cioè: Credo in Dio, Padre onnipotente, Creatore del cielo e della terra; e in Gesù Cristo, il Suo unico Figlio, nostro Signore, che fu concepito dallo Spirito Santo, nato da Maria Vergine, soffrì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto; Discese all’inferno, il terzo giorno risuscitò dai morti; Salì al cielo e siede alla destra di Dio, il Padre onnipotente, da lì verrà per giudicare i vivi e i morti. Io credo nello Spirito Santo; la santa Chiesa Cattolica; la comunione dei santi; il perdono dei peccati; la risurrezione dei corpi e la vita eterna. Amen.

– Ammetto e abbraccio fermamente le Tradizioni apostoliche ed ecclesiastiche e tutte le altre costituzioni e prescrizioni della Chiesa.

– Ammetto la Sacra Scrittura secondo il senso che è stato sempre tenuto ed è tenuto dalla Santa Madre Chiesa, il cui compito è quello di giudicare il vero senso e l’interpretazione delle Sacre Scritture, e io non le accetterò mai né le interpreterò se non in accordo all’unanime consenso dei Padri.

– Professo che i Sacramenti della nuova legge sono in verità e precisamente, sette di numero, istituiti per la salvezza dell’umanità, sebbene non siano tutti necessari per ogni individuo: battesimo, confermazione, santa Eucaristia, penitenza, estrema unzione, ordini sacri, e Matrimonio. Professo che tutti conferiscono grazia, ed alcuni tra essi, il battesimo, la confermazione e l’ordine sacro non possono essere ripetuti senza commettere sacrilegio.

– Accetto e ammetto anche il rituale della Chiesa Cattolica nella solenne amministrazione di tutti i suddetti Sacramenti.

– Accetto e professo, in ogni parte, tutto ciò che è stato definito e dichiarato dal Sacro Concilio di Trento riguardo al peccato originale e alla Giustificazione. Professo che nel Santo Sacramento dell’Eucaristia ci sia veramente e sostanzialmente il Corpo ed il Sangue insieme con l’Anima e la Divinità di nostro Signore Gesù Cristo, e che lì avviene ciò che la Chiesa chiama transustanziazione, cioè il cambiamento di tutta la sostanza del pane nel Corpo di Cristo e di tutta la sostanza del vino nel Sangue di Cristo. Confesso anche che, ricevendo anche una sola di queste specie, si riceve Gesù Cristo, integro ed intero.

– Io sostengo fermamente che il Purgatorio esiste e che le anime ritenutevi possono essere aiutate dalle preghiere dei fedeli. Allo stesso modo, ritengo che i santi, che regnano con Gesù Cristo, devono essere venerati e invocati, perché essi offrono preghiere a Dio per noi e che le loro reliquie devono essere venerate.

– Professo fermamente che le immagini di Gesù Cristo e della Madre di Dio, sempre Vergine, così come di tutti i santi, devono ricevere il dovuto onore e venerazione. Affermo anche che Gesù Cristo ha lasciato alla Chiesa la facoltà di concedere le indulgenze, e che il loro uso è molto salutare per il popolo cristiano. Riconosco la Chiesa santa, romana, cattolica e apostolica come madre e maestra di tutte le chiese, e prometto e giuro la vera obbedienza al Romano Pontefice, successore di San Pietro, Principe degli Apostoli e Vicario di Gesù Cristo.

– Accolgo inoltre senza esitazione e professo tutto ciò che è stato tramandato, definito e dichiarato dai Sacri Canoni e dai Consigli generali, specialmente dal Concilio di Trento e dal Concilio Vaticano, e in modo speciale ciò che riguarda il primato e l’infallibilità del Romano Pontefice. Allo stesso tempo condanno e riprovo tutto ciò che la Chiesa ha condannato e riprovato. Questa stessa fede cattolica, al di fuori della quale nessuno può essere salvato, ora professo liberamente e ad essa quale aderisco sinceramente; lo stesso prometto e giuro di mantenerla e professarla con l’aiuto di Dio, intera, inviolata e con ferma costanza fino all’ultimo soffio di vita; e cercherò, per quanto possibile, che questa stessa Fede sia tenuta, insegnata e professata pubblicamente da tutti coloro che dipendono da me e da coloro di cui sarò incaricato.

Quindi mi aiuti Dio e questi santi Vangeli.

Il convertito rimane in ginocchio, e il sacerdote ancora seduto dice il Miserere (Salmo 50) o il De profundis (Salmo 129), aggiungendo alla fine un Gloria Patri.

Se qualcuno vuole venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. A che serve all’ uomo, guadagnare il mondo intero e subire poi la perdita della propria anima? “(San Matteo XVI: 24-27).

Possa Dio Onnipotente darmi la forza di essere umile soldato di Cristo in esilio ed un membro buono della Chiesa in Eclissi.

Un sac. della Chiesa in Eclissi:  fr. UK.

[trad. redaz. G.D.G.]

LA BESTEMMIA

 LA BESTEMMIA.

[G. Dalla Vecchia: Albe Primaverili; G. Galla ed. 1911]

Et vos inhonorastis me.

E voi mi avete vituperato.

( Joan. VIII. 49).

ESORDIO. — Gesù nel Tempio affollato dichiara apertamente

che non è figlio di Dio chi non ascolta le sue parole di verità e di vita. Propterea vos non auditis, quia ex Deo non estis (Ioan. VIII, 47). — Ma un’empia bestemmia risuona e si scaglia contro di Lui; lo si chiama Samaritano e posseduto dal Demonio (v. 48). — Gesù ne resta addolorato, e con una pazienza inarrivabile risponde: Io non sono indemoniato (49); ma onoro il Padre mio, e voi mi avete vituperato. Et vos inhonorastis me! Quanti cristiani, ai nostri giorni, alzano temerari la loro voce per offendere e bestemmiare Dio, la Vergine, i Santi, le cose sacre… Oh ! non vi pare di  sentire da questo Crocefisso la voce di Gesù: Voi, tanto amati da me, voi che siete il mio popolo eletto, voi che avete nelle vostre chiese il Sacramento dell’amor mio, voi redenti al prezzo infinito di tutto il mio Sangue, voi mi bestemmiate? Vos inhonorastis me?  – Vediamo dunque il grave delitto, che è la bestemmia e, santamente inorriditi, giuriamo odio eterno a questo linguaggio d’Inferno.

PARTE PRIMA

1° La bestemmia è un parlare ingiurioso contro Dio ed i santi. — Ereticale, se contiene un errore contro la fede, purché coll’animo di offenderlo, o di negargli qual che attributo … Semplice, o comune, quando con aggettivi ingiuriosi si offende il nome di Dio, il SS. Sacramento, la Madonna …, o per sfogo di rabbia, od altro motivo…

(a) Chi infrange un Comandamento della legge di Dio, offende il Signore; ma è un’offesa indiretta … Chi bestemmia, offende ed assale direttamente Dio stesso. — Un cittadino disobbedisce alle leggi, offende il re nei suoi ordini …; ma se gli va vicino e gli dice villanie … , in questo caso l’ingiuria è più grave… ; è reo di lesa maestà… Ecco quello che fa il bestemmiatore! E come osare di profanare quel nome santo, che gli Angeli e saltano venerabono? Sanctus, sanctus… Dominus Deus Sabahot… I cieli e la terra narrano le sue glorie… Coœli enarrant gloriam Dei… Terra tremuit et quievit; (Salmi) i demoni tremano a quel Nome potente… Et in nomine Iesu omne genuflectatur cœlestium,, terrestrium, et ìnfernorum (Filipp. II, 10), ed un cristiano oserà gettare contro di Lui i titoli più ingiuriosi, le parole più empie, le imprecazioni più triviali?

(b) È peccato gravissimo. — Il Crisostomo lo chiama il peccato più orrendo … ; nullum hoc peccato deterius; insegna che esso irrita singolarmente il Signore ; nihil ita exacerbat Deum. sicut quando nomen eius blasphematur.

— S. Girolamo aggiunge, che al suo confronto ogni colpa sembra leggera, che niente è più mostruoso della bestemmia. Nihil horribilius blasphemia. Omne peccatum, comparatum blasphemiæ, levius est. — E S. Bernardino: La lingua del bestemmiatore è come una spada, che penetra il cuore di Dio; e perciò nessun peccato racchiude in sé tanta iniquità, quanta ne contiene la bestemmia. È un peccato di pretta malizia.

(c) Il bestemmiatore è peggiore dei demoni. — Essi bestemmiano sotto i flagelli della giustizia di Dio … ; tu, nel momento, in cui Egli fa scorrere sul tuo capo 1’onda delle sue grazie … Ti conserva … , ti provvede…, ti . ama … Lo dovresti benedire…,, ed invece, ingrato, ti avventi su di Lui … , lo strazi col tuo parlare ingiurioso. E che ti ha fatto di male? — Quello che sei … , possiedi … , tutto suo dono. — La fede, i sacramenti, i rimorsi, le ispirazioni, le forze, la salute … ; tutto da Lui … Dunque sei un perfido…, un ingrato …

(d) Ne ricavi forse vantaggio ? — Il ladro … ha la cosa rubata … Il voluttuoso … qualche diletto… Ma tu niente … ; cioè sì; hai una colpa gravissima … sulla coscienza.

Forse ottieni onore ? — No; anzi sei disprezzato dagli Angeli; da chi ti sente proferire quei detti sacrileghi … Sei forse temuto ? — Allora ti mostri insolente, temerario contro il divino Benefattore… ; quindi un vile. — Le persone, che si rispettano, non pronunciano simili insulti. — L’è dei vigliacchi … , dei viziosi … Ti riesce meglio il lavoro ? — Ma ti manca allora la benedizione del Signore: e la casa, che non è benedetta da Dio, cadrà in rovina … — Ne sei forse contento ? — Il bestemmiatore, ha torvo lo sguardo, bieca la faccia, è irrequieto … ; sembra un dannato…

(e) E tu, sì povero e meschino, tu misero verme, osi ribellarti, ingiuriare 1’Onnipotente? — Ti può colpire di morte…, gettare in un inferno … Bisogna dire che ti manchi la fede… ; altrimenti non lo faresti di certo.

(f) Dai scandalo. — Da te i fanciulli imparano a maledire il loro Dio… E intanto la bestemmia dilaga con un crescendo pauroso… ; e l’immoralità procede di pari passo con questo parlare d’inferno. Iugiter tota die nomen meum blasphematur (Isaia LII, 4).

2° – Ed i castighi?

(a) Dio nel Levitico (XXIV., 16) minaccia la morte ai bestemmiatori:  et qui blasphemaverit nomen Domini, morte moriatur. — Al cenno di Mosè la terra inghiotte vivi i bestemmiatori del nome di Dio. Salumit della tribù di Dan è lapidato dal popolo… Oloferne viene ucciso da Giuditta … Golia dalla pietruzza di Davide … Sennacherib vede il suo esercito distrutto … Antioco muore ricoperto di piaghe…

— Se il Signore assicura, che non lascerà impunito chi nomina il suo nome invano, che sarà di chi lo bestemmia? Non enim habebit insontem Dominus eum, qui assumpserit nomen Dei sui frustra (Esodo XX)

(b) Nei primi secoli della Chiesa il bestemmiatore doveva fare per sette settimane pubblica penitenza… ; se non 1’accettava, era privato dei sacramenti e della sepoltura ecclesiastica … — I principi di Francia fecero leggi severe contro la bestemmia: si traforava e poi si tagliava la lingua a chi insultava il nome di Dio.

(c) S. Gregorio narra, che un fanciullo, a sei anni, proferì una bestemmia…, e morì all’istante … S. Bernardino racconta, che un soldato, cenando con gli amici, si pose a bestemmiare… Stramazzò a terra morto.

— La bestemmia provoca i pubblici flagelli … ; la peste, la guerra, la fame, le inondazioni. — Roberto, re di Francia, pregava un dì ai piedi del Crocefisso per ottenere la pace al desolato suo regno; ed una voce gli risponde: Punisci i bestemmiatori, ed avrai la pace. —

Sulle montagne della Salette la Vergine avverte il popolo cristiano di cessare dalle bestemmie, per non provare i fulmini della divina Giustizia … Per la bestemmia tante sventure pubbliche e private… Messina (Sicilia) crollava scossa dal terremoto, il giorno dopo, (1908) che un empio giornale pubblicava una poesia d’insulto al celeste Bambino.

(d) Il bestemmiatore sul letto di morte. — Il suo parlare è quello dell’Inferno; e già presenta i sintomi della dannazione … Oppresso dai dolori…, teme, si agita, trema … ; non invoca la Madonna ed i Santi … , che li ha tanto bestemmiati … Intorno al suo guanciale i demoni fanno una ridda infernale. — Muore…, è condannato. Imitaris linguam blasphemantem ? Condemnabit te os suum (Iob. XV 5, 6). – Per tutta 1’eternità sarà maledetto. Maledicti qui contempserint te, Domine… Damnati erunt omnes, qui blasphemaverint te, Domine (S. Scritt. passim.).

(e) Pretesti e scuse. 1° Io bestemmio solo quando vado in collera; del resto mai … Bella davvero! un peccato capitale, com’è la collera, un peccato, che rende l’uomo quasi una bestia, sarà scusa sufficiente per potere bestemmiare… In altre parole, invece di un peccato, farne due. – Mettiamo caso: Vai in casa di un amico; lo trovi irritato con la moglie, con i figli. Egli appena ti vede, ti regala un ceffone sulla faccia … ; e poi ti dice: Perdonami; ero in collera, e per questo ti ho percosso… Gli faresti buona questa scusa? — Ed un cristiano, perché in collera coi figli, con gli affari, con le bestie, si crederà lecito di bestemmiare ed offendere Dio?

2° – Ho provato tante volte a correggermi, ma non ne sono capace!

— Proprio – ? — Scommetto che, se ad ogni bestemmia dovessi sborsare cinque lire , oppure scontare due mesi di prigione, metteresti tutto 1’impegno per correggerti, e riusciresti davvero. È invece, che non ami e non temi il Signore; languida è la tua fede; dell’anima poco t’importa, e per questo bestemmi… Ma con Dio non si scherza; ed egli ti giudicherà severamente sulle parole che hai pronunciato. Et vos inhonorastis norastis me. — Propter peccata labiorum ruina proximat malo (Prov. XII, 13).

PARTE SECONDA

3° – La bestemmia dunque è un orribile delitto, che offende direttamente Dio stesso, provoca sulle famiglie, sulla società, sui miseri bestemmiatori la collera dell’Altissimo … Preme dunque togliere questa colpa orrenda dalla faccia della terra.

I mezzi, che deve usare il bestemmiatore per correggersi di quest’orrido vizio, sono:

(a) La mattina, fare una generosa risoluzione di non pronunciare in quel giorno la minima parola di offesa contro il Signore.

(b) Ti è sfuggita?… Subito, una breve giaculatoria. — Gesù mio misericordia!…

(c) L a sera, prima di coricarti, esamina se hai bestemmiato … , al caso, bacia tante volte i piedi del tuo Crocefisso, quante sono le bestemmie dette durante il giorno.

(d) Ti imponi qualche piccola preghiera per ottenere la grazia di smettere un parlare cosi esecrabile …, che ti rende peggiore dei Turchi …, che disonora la nostra patria … Con questi mezzi ti correggerai, e te ne chiamerai contento.

— Ma tutti siamo figli di Dio, dunque a tutti deve premere 1’onore del santo suo Nome. Tutti dobbiamo provare profondo il rammarico per gli strappazzi, le villanie, che 1’amoroso Signore riceve continuamente dalle labbra di tanti …, anche in giovane età… ; i quali proprio non sanno, almeno sembra, quello che fanno col loro linguaggio satanico. Ut unanimes uno ore honorificetis Deum (Rom. XV, 6). Tutti uniti, come in una santa crociata, muoviamo guerra alla bestemmia.

— Voi, o genitori, con l’esempio…, con la correzione…, coi castighi, fate che i vostri figli non prendano un abito così detestabile…

— Voi, o padroni, proibite ai vostri dipendenti simile parlare …; intimate loro: In casa mia non si bestemmia.

— Non si correggono ? — Licenziateli.

— Voi, fanciulle, se il vostro fidanzato bestemmia, abbandonatelo… Il padre, che bestemmia, attira sulla famiglia le maledizioni divine.

— Nessuno stringa amicizia con chi strapazza il Nome benedetto di Dio. — Chi gode di qualche autorità sugli altri, corregga, rimproveri …; chi non ne ha, volti le spalle al bestemmiatore, e lo consacri all’isolamento, al disonore.

— Preghiamo per la conversione dei miseri bestemmiatori … Sanctificetur nomen tuum…

— Se udiamo qualcuno prorompere in linguaggio sì empio, ripetiamo: Sia benedetto .. il nome di Gesù… ; Dio sia benedetto. « Sit Nomen Domini benedictum! » [indulgenza di 500 giorni ogni volta che, udendo una bestemmia, si reciti devotamente la giaculatoria suddetta (S. C. Indulg., 28 nov. 1903; S. Pæn. Ap., 9 dec. 1932). Così daremo lode al Signore; concepiremo un odio sempre più acerrimo contro questa colpa tanto detestabile … Remove a te os pravum (Prov. IV, 24). Guai! guai a chi bestemmia, e non si sforza di correggersi! Egli si associa al delitto dei Giudei, che deridevano ed insultavano il Figlio di Dio pendente dalla Croce, agonizzante in un mare di spasimi, per la nostra salute …- Moltiplica le iniquità, accumula a suo danno debiti enormi verso la divina Giustizia …; si priva dell’intercessione dei due potenti Avvocati, Gesù e Maria … Chi allora, se non si emenda, lo salverà dall’eterna dannazione? — Odio, dunque, odio eterno alla bestemmia.

8

SIT NOMEN DOMINI BENEDICTUM!

[Ps. CXII]

(Indulg. 500 giorni ogni volta che, udendo una bestemmia contro Dio, si reciti devotamente la preghiera giaculatoria . – S. C. Indulg., 28 nov. 1903; S. Pæn. Ap.., 9 dec. 1932)

CALENDARIO LITURGICO DELLA CHIESA CATTOLICA: APRILE 2018

APRILE [2018]

è il mese della Santa PASQUA e delle ROGAZIONI Maggiori

 LITANIE O ROGAZIONI.

[Dom Guéranger: “Istituzioni liturgiche”, vol. I]

ISTRUZIONE.

Litania, che vuol dire Preghiera, è parola greca derivata dal verbo lìtanevo, che significa: “prego”. Le Litanie Maggiori cadono nel giorno 25 Aprile, e si dicono maggiori, o perché ebbero origine dalla maggiore delle Chiese, quale si è Roma, o perché comandate in tutta la Cristianità da S. Gregorio, detto “Magno”, il quale, se non ne fu l’istitutore, dacché egli stesso ne parla come di cosa già in uso, fu però quel Papa che le universalizzò dopo di averle celebrate con una solennità tutta particolare, allorquando nel 598, per impetrare la cessazione della peste che desolava tutta Roma, chiamò tutto il Clero e, tutto il Popolo ad una Processione di penitenza che fece capo alla chiesa di Santa Maria Maggiore e durante la quale si serenò il cielo, cessò la mortalità, e si vide sulla mole Adriana un Angelo che rimetteva nel fodero la propria spada, per significare che il flagello era cessato. Fu in quella circostanza che all’antica mole Adriana si mutò il nome in quello di Castel sant’Angelo, e vi fu eretta la grande statua di S. Michele.

PER I GIORNI DELLE LITANIE

Dio della bontà e della misericordia, Padre amoroso ed Arbitro sovrano di tutta quanta la natura, che regolando ogni cosa secondo i consigli della vostra sapientissima Provvidenza, avete a noi assoggettate tutte le creature dell’universo perché ci fornissero, giusta il bisogno, il cibo, il vestito l’ alloggio, la difesa, e fino conveniente ricreazione; Voi da cui solo dipende 1’opportunità delle stagioni, la fecondità della campagna, la prosperità del commercio, la tranquillità degli Stati, la salute dei nostri corpi e la santificazione delle nostre anime, degnatevi di volger propizio il vostro sguardo sopra di noi, e fate che tutto ci serva ad alleviare le miserie del tempo per assicurarci beata la eternità. – Come liberaste Noè dalle acque del Diluvio, Lot dalle fiamme di Sodoma, Davide dagli orsi, Daniele dai leoni, e poi Naaman dalla lebbra, Tobia dalla cecità, la casa di Raab dall’eccidio, e la Samaria dalla fame, liberate ancor tutti noi da ogni inondazione, da ogni incendio, da ogni carestia, da ogni contagio, da ogni persecuzione e da ogni guerra. Purgate l’aria da ogni influsso cattivo, la terra da ogni insetto dannoso”, e mandate a suo tempo il vento e la rugiada, la serenità e la pioggia, onde ogni seme fruttifichi in abbondanza. Togliete ai nostri nemici, così pubblici come privati, cosi visibili come invisibili, la volontà e la forza di nuocere, onde tra noi regni costantemente la sicurezza e la pace. Allontanate insomma da noi tutti quanti i vostri flagelli, onde alle nostre preghiere uniamo sempre più fervorosi i nostri sinceri ringraziamenti. – Che se mai pei nostri peccati voleste visitarci con qualche traversia, dateci nel tempo stesso lo spirito della cristiana pazienza, onde, ricevendo dalle vostre mani, e sopportando in espiazione dei nostri falli i vostri paterni castighi, ci assicuriamo quel premio che voi tenete preparato nel cielo a chi porterà con rassegnazione la propria croce sopra la terra. Pater, Ave, Gloria.

Di seguito le Feste di APRILE

1 Aprile Dominica Resurrectionis    Duplex I.

2 Aprile Die II infra octavam Paschæ    Duplex I. classis

3 Aprile Die III infra octavam Paschæ    Duplex I. classis

4 Aprile Die IV infra octavam Paschæ    Semiduplex

5 Aprile Die V infra octavam Paschæ    Semiduplex

6 Aprile Die VI infra octavam Paschæ    Semiduplex – Primo Venerdì

7 Aprile Sabbato in Albis    Semiduplex  – Primo Sabato

8 Aprile Dominica in Albis in Octava Paschæ    Duplex I. classis

9 Aprile In Annuntiatione Beatæ Mariæ Virginis    Duplex I. classis *L1*

11 Aprile S. Leonis I Papæ Confessóris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

13 Aprile S. Hermenegildi Martyris    Semiduplex

14 Aprile S. Justini Martyris    Duplex *L1*

15 Aprile Dominica II Post Pascha    Semiduplex Dominica minor

17 Aprile S. Aniceti Papæ et Martyris    Simplex

21 Aprile S. Anselmi Epíscopi Confessóris et Ecclésiæ Doctóris    Duplex

22 Aprile SS. Soteris et Caii Summorum Pontificum et Mártyrum    Semiduplex

23 Aprile S. Georgii Martyris  Simplex

24 Aprile S. Fidelis de Sigmaringa Martyris    Duplex

25 Aprile S. Marci Evangelistæ    Duplex II. classis

26 Aprile SS. Cleti et Marcellini Summorum Pontificum et Mártyrum    Semiduplex

27 Aprile S. Petri Canisii Confessóris et Ecclesiæ Doctoris    Duplex

28 Aprile S. Pauli a Cruce Confessóris    Duplex

29 Aprile S. Petri Martyris    Duplex

30 Aprile S. Catharinæ Senensis Virginis    Duplex

LO SCUDO DELLA FEDE -V- LE FALSE PROFEZIE

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LO SCUDO DELLA FEDE

V – LE FALSE PROFEZIE E L’IPNOTISMO.

Le false profezie delle false religioni. — Le sibille. — I gabbammondi odierni. — Il Sonnambulismo, il magnetismo e l’ipnotismo. —  È desso lecito, sì o no?

— Per altro, ho inteso ad accertare che tutte le religioni hanno delle profezie. Se ciò fosse vero, tali profezie si dovrebbero conoscere. Ma io ti sfido a trovarmele in qualunque libro, di qualsiasi autore.

— Eppure ho appreso dalla storia, che presso tutti i santuari dei pagani vi erano delle pitonesse, degli indovini, che indicavano l’avvenire. So che a tal fine vi erano gli Aruspici che guardavano le viscere degli uccelli scannati, gli Auguri che osservavano il loro volo, l’Ariolo che si teneva stretto agli altari, il Fatidico che consultava la potenza del destino? L’Astrologo che mirava la posizione degli astri, … eccetera, eccetera.

E a simile genìa vorresti tu dare il nome di profeti? A loro riguardo non posso dirti se non che o erano bricconi matricolati, che si giovavano ad esempio della loro condizione di ventriloqui, di epilettici, di isterici, o di arti ciarlatanesche per ingannare i gonzi, come fanno pur troppo anche ai dì nostri per attestazione dei missionari e dei viaggiatori certi stregoni scellerati tra le tribù selvagge o barbare; oppure erano miserabili posti in qualche modo in comunicazione con satana, che alle volte dava loro dei segni per mezzo di treppiedi od altri simili strumenti, come li dà oggidì per mezzo di tavole parlanti, scriventi o semoventi. – E non ti salta agli occhi la differenza enorme, che passa tra questa cattiva razza e i profeti biblici? Gli indovini e pitonesse pagane, quando pretendevano indicar il futuro, si abbandonavano a grida, a gesti strani, ad agitazioni e convulsioni, a singulti, ad un linguaggio rotto ed equivoco, ad operazioni in fondo in fondo ridicole, e ciò facevano fra le tenebre o la semiluce, alla presenza di pochi fidi; al contrario i veri profeti, come attestano i Sacri libri, parlavano seriamente, chiaramente, in pubblico, nell’atrio dei templi, sulle vie o sulle piazze, senza far dei misteri, senza ricorrere a statue, a treppiedi, o ad altri simili strumenti, senza interesse personale, anzi affrontando talora, come già dissi, con santo coraggio lo sdegno del popolo. – E poi dimmi francamente; erano predizioni certe, quelle che gl’indovini pagani andavano facendo ? Ricordi quei famosi oracoli: Ibis, redibis, non, morieris in bello. — Dico tibi, Pyrrhe, populum romanum te victurum esse?

— Ma io non m’intendo di latino.

Se tu t’intendessi, vedresti come il primo di tali oracoli, secondo che si metta il non unito a redibis oppure a morieris, voglia dire queste due cose diverse: Andrai, non ritornerai, morrai in guerra — e —Andrai, ritornerai, non morrai in guerra, e che il secondo si può prendere in questi due opposti sensi: Dico a te o Pirro, che vincerai il popolo romano, e: Dico a te, o Pirro, che il popolo romano  vincerà te. Ora questi ghiribizzi di parole appositamente studiati per potersi poi scusare, qualora l’evento non riuscisse conforme al senso desiderato, erano desse profezie e valevano forse qualche cosa in favore di quelle religioni, in cui si andavano facendo?

— Certamente, che stando così le cose, tali predizioni tutt’altro che valere in favore di quelle religioni non potevano servire che a screditarle.

Dici giustamente; ed è perciò che lo stesso Cicerone asseriva, che non era possibile che due àuguri, due indovini, sapendo bene quanto ciurmassero il popolo, potessero guardarsi tra di loro senza ridere.

— Ma le sibille non furono vere profetesse! Mi pare che anche la Chiesa nel Dies iræ porti la testimonianza della Sibilla.

In quanto alle sibille può essere che siano esistite davvero. Si dice che fossero dieci, la Cumana, l’Ellesponziaca, la Frigia, la Tiburtina, l’Europea, l’Egiziana, la Persiana, la Libica, la Delfica e l’Eritrea. Si dice anzi, che abbiano fatto delle profezie riguardanti Gesù Cristo e Maria Vergine, e mi piace di fartele conoscere, almeno per una curiosità.

« Iam redit Virgo — Già torna la Vergine ». Cumana.

« De Virgine Hæbrea — Da una Vergine Ebrea ». Ellesponziaca.

« Annuntiabitur Virgo— La Vergine sarà annunziata ». Frigia.

« O felix mater 0 madre felice ». Tiburtina.

« Egredietur de utero Virginis — Uscirà dal seno di una Vergine ». Europea.

« De matre Deus — Da una madre Dio ». Egiziana.

« Et salus in gremio Virginis — E la salute nel seno di una Vergine ». Libica.

« De stirpe Judæorum — Dalla stirpe dei Giudei ». Delfica,

« Jacebit in fœno— Giacerà sul fieno». Eritrea,

Ma i libri sibillini, in cui sono contenute queste profezie, sono affatto apocrifi ed inventati dagli ebrei o dai primi cristiani col pio intento di indurre i pagani al conoscimento della verità. Ed in vero l’esistenza delle sibille si confonde con le favole mitologiche, Figurati che della sibilla di Cuma, che fu la più celebre, e che avrebbe abitato in ima spelonca vicina a quella città, si dice niente meno che Apollo la fece vivere tanti anni quanti granelli d’arena avrebbe potuto tenere in mano, sì che venuta decrepita non le rimase altro che la voce per profetare!

— Ma allora perché la Chiesa lascia nel Dies iræ quel cum Sibilla?

La Chiesa nella sua liturgia ha preso e adottato quell’inno, del resto grandioso ed efficacissimo, quale l’ha composto Fra Tommaso da Celano, uno dei primi e dei più celebri figli di S. Francesco, senza badar a questa minuzia, ma anche senza volere con ciò che si dia fede alle sibille ed ai loro libri.

— Ho inteso. Ma non vi sono però anche ai dì nostri di coloro, che predicono l’avvenire sulle pubbliche piazze e nei gabinetti magnetici

Coloro che anche ai dì nostri sulle piazze e nei gabinetti magnetici pretendono di predire l’avvenire, il più delle volte sono ciarlatani, impostori, gabbamondi, che abusano per loro interesse della dabbenaggine altrui. – Se poi vi sono degli spiritisti, dei mediums, che facciano realmente qualche vera divinazione, egli è perché si trovano o si mettono in comunicazione col diavolo, che, come ti dissi, con la intelligenza, di cui fu dotato da Dio quando fu creato angelo, e che ha conservato nella sua natura di spirito, benché maligno e dannato, può vedere molto più a fondo di noi, e da cause naturali, che gli stanno sotto lo sguardo, prevedere, o per lo meno arguire certe conseguenze che ne seguono o seguiranno. – Ma anche in questo caso non c’è profezia vera perché, benché si tratti di una predizione che l’uomo, con la sua debole intelligenza non potrebbe fare, si tratta sempre non di meno di una previsione e predizione di ciò che si può prevedere e predire nelle cause naturali. – E da ultimo poi ti osservo che accadendo durante il sonnambulismo, procurato altrui con arte (e specialmente alle donne nervose, deboli, isteriche), procurato cioè con la magnetizzazione e con l’ipnotismo, che si indovinino certe cose occulte e si faccia anche qualche predizione, in tutto ciò di profezie propriamente dette non c’è neppure l’ombra, essendo che tali divinazioni e predizioni non sono altro che o cognizioni più vive e profonde, che si acquistano nello stato di sonnambolismo, o induzioni da cause naturali, che si conoscono.

— A proposito, che cosa si ha da pensare del sonnambolismo, del magnetismo e dell’ipnotismo?

Il sonnambulismo è di due sorta: spontaneo o procurato altrui con arte. Il primo, si capisce, non dipende dal paziente che lo subisce; epperò non comporta responsabilità di sorta, tanto più perché, passato lo stato di sonnambolismo, il paziente non si ricorda più di nulla di quanto in tale stato gli è accaduto. Durante il sonnambolismo il soggetto non solo si alza a passeggiare durante il sonno, come esprime la parola, ma più assai che la parola esprima, mostra le relazioni abituali dello spirito e del corpo sospese, invertite, trasformate ed elevate ad un grado di potenza superiore allo stato di veglia. In questo stato il sonnambolo parla, discorre con altri su cose le più svariate, e conosce gl’individui tenendo gli occhi chiusi, compone dei versi, va e viene passando anche tranquillamente per luoghi pericolosi, e fa altre cose simili. Ora questo stato si può produrre in taluno artificialmente gettandolo nello stato di ipnotismo, ossia addormentamento, col magnetismo, cioè provocando in lui quei fenomeni che accadono durante il sonnambolismo naturale ed anche maggiori. Di fatti il magnetizzato, o ipnotizzato artificialmente, in quanto al corpo può restare rigido oppure prendere una flessibilità affatto insolita, cessando in lui le impressioni e l’uso dei sensi; e in quanto alla mente può diventare più perspicace, più energico, più attivo. Dicesi che allora veda cose e persone lontane, oda le loro parole, veda persino l’interno del corpo, e così ai malati sappia indicare la sede del male e suggerire i mezzi per guarire. Nota bene però il mio dicesi, perchè questi fatti, chi li ammette, chi no affatto. Di qual maniera il magnetizzante con la sua volontà produca nel soggetto lo stato d’ipnotismo, e stabilisca relazione con lui, e lo metta in relazione con altri, stante le diverse sentenze non si può ben dire. Chi parla di un fluido magnetico, che il magnetizzante irraggia nel magnetizzando, chi lo nega. Ma comunque siano le cose, è certo: 1° che questi fenomeni meravigliosi, se sono certi, non avvengono che a qualche indispensabile condizione, che sebbene occulta può essere del tutto naturale; 2° che l’uso dell‘ipnotismo è per lo meno pericoloso e può degenerare in aperti e gravissimi disordini morali d’ogni genere.

— Eppure ho letto varie volte sulla quarta pagina dei giornali ed ho anche inteso ad asserire, che ai dì nostri vi sono dei celebri magnetizzatori e delle valentissime sonnambole da loro magnetizzate, che anche di lontano indovinano molte malattie e indicano con precisione il modo di guarirle, purché si mandi loro qualche cosa appartenente all’ammalato, fosse anche solo il pezzetto d’un pannolino.

Avresti detto meglio « purché si mandi loro un buon vaglia postale ». Credilo, novantanove volte su cento in questo affare tutto mira lì, a carpire destramente del denaro a tanti poveri goccioloni, che nell’intendimento di essere guariti da qualche male preferiscono essere gabbati dalle sonnambole che dire una sola Ave Maria di cuore alla Madonna. E così quelli che negano fede alla potenza di Dio, della Vergine e dei Santi, confidano poi ciecamente in un ciurmatore qualsiasi.

— Credo anch’io che il più delle volte si tratti più di inganno e ciarlataneria che d’altro, e che però sia da sciocchi ricorrere a questi mezzi in caso di infermità. Ma quando si tratti di vero ipnotismo allora è lecito, sì o no, prender parte ad esperimenti in proposito per tentare la guarigione?

Ecco come ha risposto a questa domanda la Chiesa per mezzo della Suprema Congregazione del S. Ufficio in data 26 luglio 1899: « Se si tratta di fatti, che certamente siano superiori alle forze della natura, non è lecito. Quando la cosa è dubbia, si potrà tollerare purché si premetta la protesta di non volere aver parte a fatti preternaturali e non vi sia pericolo di scandalo ».

— E quando mai si tratterrebbe di fatti superiori alle forze della natura e quando no?

Se mercé l’ipnotismo ad esempio si ottiene davvero di conoscere ciò che altri pensa, di imporre ad altri di fare questa o quell’altra cosa, di sapere con certezza ciò che altrove, in luogo lontano si fa e si dice, e cose simili, allora si tratta di fatti superiori alle forze della natura e ben puoi capire se in tal caso l’ipnotismo, che può cagionare disordini gravissimi e spingere eziandio ad azioni le più capricciose e nefande, sia illecito. Quando invece si trattasse solo di una certa qual azione suggestiva, che procaccia ad un infermo conforto, accrescimento di forze, e serve anche a guarirlo, benché quell’azione suggestiva abbia carattere un po’ dubbioso, tuttavia se si intende di non voler affatto aver parte a fatti preternaturali, e non c’è alcuno che si scandalizzi, perché è conosciuto il buon intendimento che si ha, allora non ci sarebbe in ciò alcun male, epperò sarebbe lecito.

— Son contento di quanto ho appresso, e mi rimetto in carreggiata.