DOMENICA IV DI QUARESIMA (2018)
Introitus Is LXVI:10 et 11.
Lætáre, Jerúsalem: et convéntum fácite, omnes qui dilígitis eam: gaudéte cum lætítia, qui in tristítia fuístis: ut exsultétis, et satiémini ab ubéribus consolatiónis vestræ. [Allietati, Gerusalemme, e voi tutti che l’amate, esultate con essa: rallegràtevi voi che foste tristi: ed esultate e siate sazii delle sue consolazioni.]
Ps CXXI:1.
Lætátus sum in his, quæ dicta sunt mihi: in domum Dómini íbimus. [Mi rallegrai di ciò che mi fu detto: andremo nella casa del Signore].
Amen Lætáre, Jerúsalem: et convéntum fácite, omnes qui dilígitis eam: gaudéte cum lætítia, qui in tristítia fuístis: ut exsultétis, et satiémini ab ubéribus consolatiónis vestræ. [Alliétati, Gerusalemme, e voi tutti che l’amate, esultate con essa: rallegràtevi voi che foste tristi: ed esultate e siate sazii delle sue consolazioni].
Orémus.
Concéde, quæsumus, omnípotens Deus: ut, qui ex merito nostræ actiónis afflígimur, tuæ grátiæ consolatióne respirémus. [Concédici, Te ne preghiamo, o Dio onnipotente, che mentre siamo giustamente afflitti per le nostre colpe, respiriamo per il conforto della tua grazia].
Lectio
Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Gálatas.
Gal IV:22-31. “Fratres: Scriptum est: Quóniam Abraham duos fílios habuit: unum de ancílla, et unum de líbera. Sed qui de ancílla, secúndum carnem natus est: qui autem de líbera, per repromissiónem: quæ sunt per allegóriam dicta. Hæc enim sunt duo testaménta. Unum quidem in monte Sina, in servitútem génerans: quæ est Agar: Sina enim mons est in Arábia, qui conjúnctus est ei, quæ nunc est Jerúsalem, et servit cum fíliis suis. Illa autem, quæ sursum est Jerúsalem, líbera est, quæ est mater nostra. Scriptum est enim: Lætáre, stérilis, quæ non paris: erúmpe, et clama, quæ non párturis: quia multi fílii desértæ, magis quam ejus, quæ habet virum. Nos autem, fratres, secúndum Isaac promissiónis fílii sumus. Sed quómodo tunc is, qui secúndum carnem natus fúerat, persequebátur eum, qui secúndum spíritum: ita et nunc. Sed quid dicit Scriptura? Ejice ancillam et fílium ejus: non enim heres erit fílius ancíllæ cum fílio líberæ. Itaque, fratres, non sumus ancíllæ fílii, sed líberæ: qua libertáte Christus nos liberávit”.
Omelia I
[Mons. G. Bonomelli, “Nuovo saggio di Omelie” vol. II, omel. VII, Marietti ed. Torino, 1898]
“Sta scritto che Abramo ebbe due figli, uno dalla schiava, l’altro dalla libera. Ma il figlio della schiava nacque secondo la carne; il figlio poi della libera nacque in virtù della promessa. Le quali cose contengono una figura; perché quelle due donne figurano due Testamenti: l’uno sul monte Sinai, che genera a servitù, e questo è Agar. Perché Sina è un monte in Arabia, che risponde all’odierna Gerusalemme, e serve coi suoi figli. Ma la Gerusalemme in alto è libera, ed essa è la madre nostra. Perciocché sta scritto: Rallegrati, o sterile, che non partorivi: tripudia ed esclama tu, che non sentivi doglie di parto: perché sono più assai i figli della deserta, che non di colei che ha marito. Ora noi, fratelli, alla maniera d’Isacco, siamo figli della promessa. Ma siccome allora, quello che era generato secondo la carne, perseguitava il generato secondo lo spirito, così anche avviene al presente. Ma che cosa dice la Scrittura? Caccia via la schiava e il suo figlio; perché il figliuolo della serva non sarà erede col figliuolo della libera. Il perché, o fratelli, noi siamo figli, non della schiava, ma della libera, della libertà, onde Cristo ci ha affrancati „ (Gal. IV, 22-31).
L’apostolo S. Paolo aveva annunziato il Vangelo e stabilita la Chiesa nella Galazia, provincia romana, posta quasi nel centro dell’Asia Minore, come sappiamo dagli Atti apostolici (XVI, 6). Quella Chiesa era composta per la maggior parte di pagani, ma non vi doveva mancare un gruppo di Ebrei, i quali a quell’epoca erano sparsi in tutte le città principali d’Oriente per ragione dei loro traffici, come appare dagli stessi Atti apostolici, scritti da S. Luca. Questo gruppo di Giudei disseminati per la Galazia turbarono fortemente la pace di quella Chiesa: essi volevano che i nuovi convertiti al Vangelo osservassero tutta la legge mosaica, considerando il Cristianesimo come una giunta fatta al mosaismo; e poiché S. Paolo riprovava altamente questo errore, che restringeva la Chiesa di Cristo nelle fasce del mosaismo, presero a combattere lo stesso Apostolo, negando o mettendo in dubbio la sua missione divina. Per ribattere questa calunnia, stabilire la propria autorità e mostrare che la sinagoga era cessata per dar luogo alla Chiesa di Cristo, l’Apostolo, l’anno 52 o 53 dell’era nostra, scrive la sua lettera, della quale avete udita or ora una piccola parte, che si legge nella S. Messa. Nelle poche righe riportate S. Paolo sotto la figura di Agar e di Sara, d’Ismaele e d’Isacco, ci mostra adombrata la sinagoga e la Chiesa, il carattere passeggero e ristretto di quella e il carattere stabile e universale di questa. L’argomento è profondo ed elevato, ed è degno di tutta la vostra attenzione. – “Sta scritto, che Abramo ebbe due figli, uno dalla schiava, l’altro dalla libera. „ È questo un richiamo alla storia e all’origine del popolo ebreo. Abramo ebbe due mogli, Agar, la schiava, e Sara, la libera. Non occorre farvi osservare che allora era permessa, per ragioni specialissime, la pluralità delle donne, come era tollerata la schiavitù e tollerato il divorzio. Era una società in sul suo formarsi, si mettevano le basi del mosaismo, preparazione lontana del Cristianesimo, e nessuna meraviglia che in quello vi fossero gravi imperfezioni, che dovevano cessare in questo. La casa nel suo primo sorgere presenta appena le linee principali, rozza, non è abitabile o assai difficilmente; solo in seguito si compie la fabbrica, si abita, si pulisce, si adorna; cosi avvenne del mosaismo: le sue istituzioni imperfette rispondevano alla natura di quel popolo, ma dovevano finire alla venuta di Cristo, che protestò d’essere venuto a compire la legge mosaica: Non veni solvere legem, sed adimplere. – Abramo dalla schiava Agar ebbe Ismaele, che fu il padre delle genti idumee. Egli dicesi nato secondo la carne, che è quanto dire, secondo il corso naturale delle cose; da Sara ebbe Isacco, e dicesi nato secondo la promessa, cioè fuori del corso della natura, per effetto della divina promessa, in altri termini, per miracolo o virtù sovraumana. Da Isacco trae origine il popolo ebraico, eletto da Dio ad essere il depositario delle promesse divine, e da lui doveva venire l’aspettato Salvatore. Tutto questo sappiamo dalla storia, narrata nel libro sacro della Genesi. Accennando questo fatto di Abramo e delle due mogli, Agar, la schiava, e Sara, la libera, e dei due figli da loro avuti, l’uno in modo naturale, l’altro per divina promessa, S. Paolo, con quella sicurezza che gli veniva dalla sua missione, annunzia questa sentenza: “Queste cose contengono una figura — Qua sunt per allegoriam dicta. „ Che cosa è la figura, della quale qui parla l’Apostolo e che suppone conosciuta dai fedeli? Sarebbe disonore e colpa che i Cristiani d’oggi non conoscessero ciò che conoscevano i primi Cristiani, “ai quali era indirizzata la lettera dell’Apostolo. Eppure non credo di offendervi, o dilettissimi, dicendo che molti tra voi non sanno che cosa sia la figura od allegoria, sì frequente nei Libri sacri, di cui in questo luogo favella S. Paolo. Non vi sia grave pertanto ascoltarmi con tutta l’attenzione. – Allorché nei Libri santi noi leggiamo i fatti che avvennero, dobbiamo tenere che avvennero veramente come sono narrati. Leggiamo per modo d’esempio che Noè fabbricò l’arca e che in essa egli e i suoi figli furono salvi dalle acque dell’universale diluvio? Noi dobbiamo tenere per indubitato questo fatto, che Noè costruì veramente l’arca, che veramente venne il diluvio, e che Noè con i suoi figli trovò in quella la sua salvezza. Leggiamo che Abramo condusse sul monte il figlio Isacco, che portava le legna per il sacrificio? Leggiamo che nel deserto cadde la manna e che di essa si nutrì per tanti anni il popolo ebreo? Leggiamo che Mosè nel deserto levò in alto un serpente di bronzo e che quelli che erano morsicati dai serpenti, riguardandolo, guarivano? Leggiamo ancora che prima della Pasqua il popolo doveva mangiare l’agnello sacrificato? Ebbene: noi dobbiamo tenere che tutte queste cose si fecero precisamente come sono descritte. Ma, seguendo l’insegnamento dei Libri santi e dei Padri, dobbiamo anche tenere, che quei fatti sono simboli o figure di altri fatti, che dovevano più tardi avvenire nella nuova legge. Così l’arca, in cui Noè con la sua famiglia si salva dal diluvio, è figura del Battesimo, che ci salva dalle acque del peccato originale; Isacco, che carico delle legna, sale sul monte, il serpente innalzato nel deserto, adombrano Cristo, che sale il Calvario, che pende dalla croce; la manna del deserto è simbolo della santa Eucaristia e l’agnello pasquale rappresenta Cristo. Se non tutti, molti fatti dell’antico Testamento, non vi è dubbio, raffigurano altri fatti del Nuovo, e per noi essi sono come altrettante parole, altrettante pagine dei Libri divini, che ci ammaestrano. – Ora tale appunto, per testimonianza di san Paolo, è il fatto di Abramo, di Agar e di Sara, di Ismaele e d’Isacco, ricordato nella lettera che commentiamo. Agar, col figlio Ismaele, rappresenta l’antico Patto e il popolo ebraico; Sara, col figlio Isacco, simboleggia il nuovo Patto e la Chiesa di Gesù Cristo. Hæc sunt duo Testamento. Il primo Testamento, o Patto, Dio lo strinse con Mosè, sul monte Sinai, allorché diede la legge e promise al popolo ebreo la terra di Canaan e la sua protezione, e il popolo accettò la legge e si obbligò ad osservarla. Il secondo Testamento, o Patto, lo fece tacitamente Cristo con gli Apostoli e con tutti i credenti, ai quali diede la nuova legge e promise tutti i beni spirituali e la vita eterna, ed essi accettarono e si obbligarono all’osservanza di tutti i suoi precetti: Testamento o Patto suggellato nella santa Eucaristia e col sacrificio della croce. Il primo Testamento, raffigurato in Agar e dato sul Sinai, “genera a servitù, „ dice san Paolo. Che vuol dire “genera a servitù? „ Agar era schiava e il figlio, perché figlio di schiava, seguiva la condizione della madre e come schiavo dovevasi considerare. La madre e il figlio, schiavi, raffigurano il primo Testamento, o il popolo ebreo: esso, rispetto alla Chiesa, al popolo del quale Cristo sarà capo, è schiavo: esso è soggetto ad una legge piena di cerimonie e di prescrizioni gravose, come la circoncisione: ad una legge, che per molte trasgressioni infligge pene gravi e per alcune infligge persino la pena di morte. Quella legge, considerata nel suo insieme e specialmente nelle sue pene, è una legge da schiavi, perché è legge non d’amore, come si conviene ai figli, ma di timore e terrore, come è proprio di schiavi. Le sue ricompense, direttamente, riguardano i beni passeggeri e materiali della terra. Ecco perché l’antico Testamento si dice che genera alla schiavitù, ossia forma dei servi, perché s’impone col timore. – L’Apostolo illustra i rapporti tra l’antico e il nuovo Testamento con una osservazione semplicissima, dicendo: “Il monte Sinai, che è in Arabia e su cui fu data la legge, risponde alla odierna Gerusalemme:„ in altre parole, il Sinai e l’odierna Gerusalemme sono congiunti per modo che formano una cosa sola, si trovano nella stessa condizione: la Gerusalemme, o sinagoga odierna, raffigurata da Agar, forma i suoi figli sotto la legge del timore, essa non è che il tipo e la figura della Chiesa e deve cessare, come cessano le ombre al sopravenire della luce. Questa sinagoga, «questa Gerusalemme, madre di schiavi, deve cedere il luogo alla vera Gerusalemme, che è in alto, che è libera, ed essa è madre nostra — Illa autem, quæ sursum est Jerusalem, libera est, quæ est mater nostra. „ Chi è dessa questa madre nostra, che è, o viene dall’alto? che è simboleggiata da Sara? Essa è la Chiesa, fondata da Gesù Cristo e sua sposa fedele, che da Lui non sarà mai reietta, come da Abramo fu reietta Agar. Essa viene dall’alto: Quæ sursum est, perché il suo capo e fondatore è Gesù Cristo stesso, che viene dal cielo, ed Egli la regge e governa fino alla fine dei tempi; perché riceve dall’alto la verità e la grazia, e perché le sue speranze ed il suo amore sono sempre lassù in cielo, termine fisso del suo pellegrinaggio sulla terra. E perché la Chiesa si chiama Gerusalemme? Perché la parola Gerusalemme significa Visione della pace, e per la Chiesa l’uomo ottiene la pace vera con Dio, e perché il Vangelo, il codice della pace, fu promulgato per la prima volta in Gerusalemme, dove nacque la Chiesa il dì della Pentecoste. – E perché la Chiesa si chiama libera? Perché volge tutte le sue cure e tutti i suoi sforzi a liberarci dal peccato, dalle passioni, dall’errore e dal supremo di tutti i mali, l’eterna perdizione. Essa dicesi libera, perché è sciolta da tutti gl’impacci della sinagoga e conduce alla virtù con la persuasione e con l’amore più che col timore, e perciò essa è raffigurata in Sara, ch’era moglie di Abramo, non schiava, ma libera. E finalmente perché la Chiesa si chiama madre e madre feconda e più feconda della sinagoga? Perché essa col Battesimo genera i figli a Dio, e con gli altri Sacramenti, con la parola e con tant’altri mezzi li nutre e li cresce. La sinagoga fu e doveva sempre rimanere ristretta al solo popolo d’Israele: la Chiesa per contrario doveva raccogliere nel suo seno non solo i figli d’Israele, ma i Gentili, e crebbe rapidamente, allargò dovunque le sue tende, e mentre pareva condannata alla sterilità, condannata a perire in mezzo ai nemici, Ebrei e Gentili, soverchiò la sinagoga, ed i figli di quella sono di questa senza confronto più numerosi. – L’Apostolo viene alla conclusione e pratica applicazione del simbolo o figura, che sopra ha esposto, e dice: “Ora noi, fratelli, siamo figli alla maniera di Isacco, figli della promessa.„ Voi, o Galati, non appartenevate alla sinagoga: voi eravate Gentili; ma, avendo creduto in Cristo e ricevuto il suo Battesimo, diventaste figli di Abramo, non secondo la carne, ma secondo lo spirito, a somiglianza di Isacco, che nacque ad Abramo, non per legge naturale, ma solo in virtù della promessa divina. Voi, o Galati, un tempo Gentili, ora siete i veri figli di Abramo, come lo fu Isacco meglio di Ismaele. Qui naturalmente all’Apostolo doveva affacciarsi il fatto, allora quotidiano, dell’odio e della feroce persecuzione, che gli Ebrei movevano dovunque ai Cristiani, e Paolo stesso più che tutti n’era la vittima. Questo fatto gli porge il destro di completare la spiegazione della figura biblica di Agar e di Sara, di Ismaele e d’Isacco: Osservate, così in sentenza l’Apostolo, osservate ciò che narra Mosè nella Genesi. Ismaele nacque da Agar prima di Isacco: Ismaele, il figlio della schiava, maltrattava, perseguitava Isacco, il figlio di Sara, la libera, e avuto per promessa divina. E ciò che avviene al presente. Vedete questa sinagoga, questi Ebrei, veri figli di Agar, perseguitano dovunque i credenti in Cristo, i figli della Chiesa, i figli della promessa divina, adombrati in Isacco. Quale sarà l’esito di questa persecuzione della sinagoga contro la Chiesa? Voi lo potete vedere anticipatamente in Agar ed Ismaele, in Sara ed Isacco. Sara un giorno, visto Ismaele offendere e perseguitare il suo Isacco, indignata disse ad Abramo: “Manda via la schiava ed il figlio suo, perché il figlio della schiava non sarà l’erede col figlio della libera. „ Ed Abramo, benché a malincuore, scacciò Agar ed Ismaele e costituì Isacco suo erede. La sinagoga perseguitò, pose a morte Gesù Cristo, fondatore della Chiesa; perseguitò, flagellò, sbandeggiò ed uccise quanti poté degli Apostoli e dei discepoli di Gesù Cristo. Iddio, benché a malincuore, ripudiò questa sinagoga persecutrice della sua Chiesa. Dissi, a malincuore, perché essa pure, la sinagoga, era opera delle sue mani, sua figlia, come Ismaele era figlio di Abramo: in essa fiorirono i patriarchi ed i profeti: ad essa furono dati i Libri santi e la legge: per essa conservò il culto del vero Dio sulla terra e tenne viva la face della fede e della speranza nel futuro Messia: da essa venne secondo la carne il Figliuolo stesso di Dio, il Salvatore del mondo: ma la sua ostinazione in respingere la verità, in perseguitare Cristo ed i suoi discepoli le trasse in capo la riprovazione e fu reietta co’ suoi figli. – Il ripudio della sinagoga è una terribile lezione per noi, o dilettissimi. È verità certissima di fede, che la Chiesa cattolica-romana, della quale noi siamo figli, sarà sempre la sposa di Gesù Cristo; essa non sarà mai reietta, quasi infedele, come fu reietta la sinagoga; ma se la Chiesa, madre nostra, non sarà mai ripudiata da Gesù Cristo, perché sarà sempre la fedele depositaria delle verità per Lui insegnate, ne segue forse che noi non possiamo essere scacciati dal suo seno? Ohimè! carissimi: ciò pur troppo può avvenire, ed avviene sotto i nostri occhi. Quanti dei nostri poveri fratelli, generati dalla Chiesa a Gesù Cristo, nutriti col cibo della grazia e della parola di Dio per tanti anni, rigettarono la verità, si separarono dalla Chiesa, anzi, volsero contro di lei le mani spietate e la perseguitarono? Ah! costoro imitano pur troppo Ismaele, che molesta e vuol opprimere Isacco, e da Gesù Cristo saranno ripudiati. Non sia mai, che alcuno di noi si tragga sul capo tanta sventura! Siamo all’ultima sentenza dell’Apostolo, che è come l’epilogo dei versetti che avete uditi: “Il perché, o fratelli, noi siamo figli non della schiava, ma della libera, della libertà, onde Cristo ci ha affrancati. „ Noi tutti siamo Ebrei, siamo Gentili, noi tutti che abbiamo creduto in Cristo, non apparteniamo alla sinagoga, ma alla Chiesa, siamo figli di essa, che sola rimane sempre con Cristo, e con essa abbiamo la libertà dei figli di Dio. La libertà, portataci da Cristo e della quale qui parla S. Paolo, è quella stessa di cui dicesi sopra fornita la Chiesa, “La Gerusalemme in alto è libera — Quæ sursum est Jerusalem, libera est, quæ est mater nostra. „ Per una confusione funesta di cose e di parole, quando si pronuncia questa santa e cara parola libertà, comunemente si intende la libertà di fare il bene ed il male, di fare come piace, seguendo la verità o l’errore. Se questa, o dilettissimi, fosse la vera e propria nozione di libertà, i santi e gli Angeli, la Vergine, che sono in cielo, non sarebbero liberi; Cristo, Dio-Uomo, e Dio stesso non sarebbero liberi, perché non possono fare il male, non possono seguire l’errore, e voi sapete che lassù in cielo la libertà è perfetta e che Dio è la fonte della libertà vera. La libertà,, o cari, è la facoltà di scegliere ciò che vogliamo, e dove non c’è scelta, ivi non è libertà: la scelta poi si può fare tra bene e male, oppure tra varie cose tutte buone. La libertà di scegliere tra bene e male, come nell’ordine presente di cose abbiamo noi, è libertà, ma libertà debole, inferma, imperfetta, mentrechè la libertà di poter scegliere solamente tra le cose buone, è libertà perfetta, come quella dei beati e di Dio stesso. La libertà di poter scegliere anche l’errore ed il male, qual è la nostra quaggiù sulla terra, è una vera imperfezione, che un giorno sarà tolta. Ditemi, o cari figliuoli: se voi poteste avere la sanità del corpo in modo da non potervi mai ammalare, vi parrebbe di trovarvi in istato migliore o peggiore di chi può ammalarsi? Senza dubbio preferireste di avere la sanità in guisa da non poterla mai perdere: e chi non la vorrebbe possedere a questo modo? Sarebbe una sanità perfettissima. Or bene: dite lo stesso della libertà di fare il bene e il male. Il poter fare il male è come il potersi ammalare: è una libertà imperfetta; il non poter fare il male, e poter fare soltanto il bene, è come il non potersi ammalare; è la libertà nella sua massima perfezione, è la libertà dei santi e di Dio, i quali possono scegliere ciò che loro piace, ma unicamente tra le cose buone. È questa la libertà che Cristo ha portato sulla terra; la libertà di fuggire l’errore per seguire la sola verità, di combattere e vincere il male per fare unicamente il bene, di respingere il vizio, per esercitare unicamente la virtù. E quanto più noi ci scioglieremo dalle tenebre dell’errore per camminare nelle vie della verità, combatteremo il male ed il vizio e faremo il bene e praticheremo la virtù, tanto più sarà perfetta la nostra libertà e simile a quella di Gesù Cristo: Qua libertate Christus nos liberavìt! O bella e santa libertà dei figli di Dio, che sulla terra ci presentano anticipato lo spettacolo del cielo! Non dimenticatelo mai, o dilettissimi; noi saremo tanto più liberi quanto saremo più lontani dal peccato, più liberi e padroni delle nostre passioni e più fedeli osservatori dei nostri doveri. Ecco la libertà, la vera libertà onde Gesù Cristo ci ha affrancati.
Graduale Ps CXXI: 1, 7
Lætátus sum in his, quæ dicta sunt mihi: in domum Dómini íbimus. [Mi rallegrai di ciò che mi fu detto: andremo nella casa del Signore].
Fiat pax in virtúte tua: et abundántia in túrribus tuis. [V. Regni la pace nelle tue fortezze e la sicurezza nelle tue torri.]
Tractus Ps. CXXIV:1-2
Qui confídunt in Dómino, sicut mons Sion: non commovébitur in ætérnum, qui hábitat in Jerúsalem. [Quelli che confídano nel Signore sono come il monte Sion: non vacillerà in eterno chi àbita in Gerusalemme.]
Montes in circúitu ejus: et Dóminus in circúitu pópuli sui, ex hoc nunc et usque in sæculum. [V. Attorno ad essa stanno i monti: il Signore sta attorno al suo popolo: ora e nei secoli.]
Evangelium
Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Joánnem.
Joann VI:1-15
“In illo témpore: Abiit Jesus trans mare Galilaeæ, quod est Tiberíadis: et sequebátur eum multitúdo magna, quia vidébant signa, quæ faciébat super his, qui infirmabántur. Súbiit ergo in montem Jesus: et ibi sedébat cum discípulis suis. Erat autem próximum Pascha, dies festus Judæórum. Cum sublevásset ergo óculos Jesus et vidísset, quia multitúdo máxima venit ad eum, dixit ad Philíppum: Unde emémus panes, ut mandúcent hi? Hoc autem dicebat tentans eum: ipse enim sciébat, quid esset factúrus. Respóndit ei Philíppus: Ducentórum denariórum panes non suffíciunt eis, ut unusquísque módicum quid accípiat. Dicit ei unus ex discípulis ejus, Andréas, frater Simónis Petri: Est puer unus hic, qui habet quinque panes hordeáceos et duos pisces: sed hæc quid sunt inter tantos? Dixit ergo Jesus: Fácite hómines discúmbere. Erat autem fænum multum in loco. Discubuérunt ergo viri, número quasi quinque mília. Accépit ergo Jesus panes, et cum grátias egísset, distríbuit discumbéntibus: simíliter et ex píscibus, quantum volébant. Ut autem impléti sunt, dixit discípulis suis: Collígite quæ superavérunt fragménta, ne péreant. Collegérunt ergo, et implevérunt duódecim cóphinos fragmentórum ex quinque pánibus hordeáceis, quæ superfuérunt his, qui manducáverant. Illi ergo hómines cum vidíssent, quod Jesus fécerat signum, dicébant: Quia hic est vere Prophéta, qui ventúrus est in mundum. Jesus ergo cum cognovísset, quia ventúri essent, ut ráperent eum et fácerent eum regem, fugit íterum in montem ipse solus.”
OMELIA II
[Idem, omel. VIII]
“Gesù se n’andò all’altra riva del mare di Galilea, che è di Tiberiade. E gran moltitudine lo seguitava, perché vedevano i miracoli ch’Egli faceva sopra gl’ infermi. Ma Gesù salì sul monte e quivi rimaneva coi suoi discepoli. Era poi vicina la Pasqua, la festa dei Giudei. Ora Gesù, levati gli occhi e vedendo la grande moltitudine venuta a lui, disse a Filippo: Onde compreremo noi del pane per dar da mangiare a costoro? “Ma lo diceva, tentandolo, perché Egli sapeva ciò che era per fare. Filippo gli rispose: Duecento danari di pane non basterebbe loro, perché ciascun d’essi ne pigliasse un boccone. Uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro, gli disse: ” Vi è qui un fanciullo, che ha cinque pani d’orzo e due pesci: ma questo che è tra tanta, gente? Gesù intanto disse: Fate che la gente si adagi; in quel luogo vi era erba assai. La gente vi si adagiò in numero di cinquemila adulti. E Gesù prese i pani, e rese le grazie li distribuì alla gente, e similmente dei pesci, quanti ne vollero. E poiché furono saziati, disse ai suoi discepoli: Raccogliete gli avanzi, che non vadano a male. E raccolsero ed empirono dodici corbelli di avanzi, rimasti a quelli che ne avevano mangiato, dai cinque pani d’orzo. Intanto coloro, veduto il miracolo operato da Gesù dicevano: Questi è veramente il profeta, che deve venire al mondo. Ma Gesù, conoscendo che verrebbero e lo rapirebbero per farlo loro re, si ritrasse di nuovo tutto solo sul monte„ (Giov. VI, 1-15). Voi ora avete udita la narrazione d’uno dei maggiori miracoli operati da Gesù, fattaci dall’evangelista Giovanni, che ne fu testimonio. Esso è riferito anche dagli altri tre Evangelisti, quasi con le stesse parole. Ora tutti sanno che S. Giovanni, il quale fu l’ultimo a scrivere il suo Vangelo, studiosamente omette le cose narrate dagli altri e quelle ricorda che da loro furono omesse: come avvenne dunque che, quasi contro il suo costume, riferisce questo miracolo ch’era già registrato dai tre Evangelisti che lo precedettero? Forse l’indusse a narrarlo la grandezza del miracolo istesso; ma è ragionevole il credere che Giovanni riportasse questo miracolo per aprirsi la via a narrare la promessa della S. Eucaristia che tenne dietro al miracolo, promessa che non si trova nei tre altri Vangeli. Quale che ne fosse la causa, che Dio solo conosce con certezza, mio dovere è quello di darvi la spiegazione del Vangelo recitatovi, e dover vostro è quello di udirla con devota attenzione. – La testa del Precursore era caduta poco prima sotto il ferro del carnefice, per opera del tristo Erode, tenuto nei lacci di rea passione dalla scaltra e scellerata Erodiade. I dodici Apostoli tornavano lieti dalla missione alla quale, quasi a prova, Gesù li aveva mandati, e narravano ciò che avevano fatto ed insegnato. – Gesù era in Cafarnao e la folla senza tregua lo assediava a tal che non aveva pur tempo di prendere il cibo. La morte del Precursore lo avvertiva della sua sì dolorosa e sì prossima: sentì il bisogno di ridursi in luogo più tranquillo con i suoi cari, e disse loro: “Venite in disparte, in luogo solitario, e riposatevi alquanto „ (Marco, VI, 30 seg.). Montò sulla nave con i suoi discepoli e comandò di condurlo sulla riva orientale del lago, e quivi approdato, volse il passo verso il monte che vi sovrasta. Il lago di Tiberiade o mare di Galilea, come lo chiamavano gli Ebrei! Ogni qualvolta leggo questo nome o l’odo pronunciare, ricordo l’impressione inesprimibile, che sentii allorché il 20 di Ottobre del 1894, dalla costa occidentale che sopra di esso si erge alta ed erta, lo vidi per la prima volta. Esso è come incassato tra monti e colli che lo circondano; monti e colli deserti, quasi brulli, desolati. Il lago è senza dubbio il fondo d’un cratere di vulcano spento: le sue rive solitarie, senza alberi che lo rallegrino, senza vie, vi riempiono l’anima d’una tristezza indefinibile. Quel lago liscio, lucido come un cristallo, ma senza una barchetta che lo solchi: quella muraglia di color ferrigno, che dal lato orientale lo serra e gli sta a sopracapo: quel silenzio di morte, che regna su quell’ampia stesa, un dì sì lieta e ridente e coronata da popolosi villaggi, vi pesano sul cuore, vi riempiono di malinconia indicibile, vi invitano a meditare ed a piangere. Evidentemente su quella regione, che dovrebb’essere incantevole, è passata l’ira del cielo e grava la mano punitrice di Dio. O lago di Tiberiade, quante volte io ripenso a te e ti vedo dipinto nella mia mente!… Un anno prima che Gesù consumasse il suo sacrificio sul Calvario, sull’umile barchetta dei suoi apostoli attraversava quel lago e domandava ai luoghi ermi e solitari della sponda orientale un po’ di riposo. Tosto si sparse d’ogni intorno la fama della sua venuta e fu un correre a Lui da tutti i villaggi vicini. Gesù si era ritratto in quei luoghi solitari per avere un po’ di pace, e le turbe gli si affollavano intorno, bramose di udirlo, ed Egli, il pietoso Maestro, le accoglieva con ogni bontà. Il favore popolare che lo seguiva dovunque e che sì facilmente inebria chi lo cerca, lasciava tranquillo Gesù, che né lo coltivava, né lo respingeva. I suoi occhi pieni d’amore e di compatimento si fermavano su questa moltitudine, che lo seguiva e di cui vedeva le miserie morali: era come un gregge senza pastore. Gesù li ammaestrava, risanava gli infermi e con i miracoli confermava le sue parole di vita, e poi “saliva un colle e quivi si fermava con i suoi discepoli. „ Il sole calava dietro i monti della Galilea e dei suoi ultimi raggi vestiva le loro spalle. Qui S. Giovanni avverte che era vicina la Pasqua, la gran festa degli Ebrei: Erat autem proximum Paschat dies festus Judæorum. Gli Apostoli, inquieti per l’ora tarda e perché in quel luogo era impossibile procurarsi il cibo, come sappiamo dagli altri tre Evangelisti, dissero al Maestro: “Il luogo è deserto, l’ora è tarda: rimanda tutta questa gente, affinché se ne vadano nei villaggi e nelle capanne vicine e vi trovino viveri e tetto. „ Gesù rispose loro: “Tutta questa gente mi fa compassione: essa mi segue da tre giorni e non ha di che mangiare se io la mando via digiuna, verrà meno per strada, perché molti di loro son venuti da lontano.„ Fermiamoci qui un istante, o dilettissimi. Vi piaccia considerare la bontà e la tenerezza di cuore che apparisce in quelle parole uscite dalle labbra di Gesù Cristo: “Tutta questa gente mi fa compassione: essa mi segue da tre giorni e non ha di che mangiare, se Io la mando via digiuna, verrà meno per la strada, perché molti son venuti da lontano. „ – In questi accenti sì semplici, sì naturali, sì pieni d’affetto, si sente oscillare tutta l’anima di Gesù Cristo: essi sono come un gemito strappatogli dal cuore alla vista di tanti poverelli che soffrono: l’altrui patire è suo patire. Ora Gesù, salendo al cielo, non ha mutato natura: è sempre quel desso, tutto amore e pietà per chi soffre nel corpo e più assai per chi soffre nello spirito. In Lui dunque collochiamo ogni speranza, a Lui ricorriamo in ogni bisogno e se le turbe, anche senza pregare, furono nutrite da Lui nel corpo, come, pregando, non lo saremo noi, nel corpo e nello spirito? Gesù, voltosi a Filippo, con amabile sorriso, quasi per chiedergli consiglio, gli disse: “E donde compreremo noi pane da dar da mangiare a costoro? „ Egli si volse a Filippo, forse perché gli era più presso, o fors’anche perché, come pensa il Crisostomo, era d’una ingenuità e d’un candore meraviglioso, e ne diede un saggio non dubbio più tardi, allorché nell’ultima Cena disse a Gesù: “Facci vedere il Padre, e questo ci basta. „ – L’Evangelista, riferita la domanda di Gesù a Filippo, s’affretta a soggiungere che lo scopo di essa era di mettere alla prova l’Apostolo e udire che ne pensasse. Nessuno degli Apostoli rispose, com’era sì facile, dopo i tanti miracoli veduti: “Tu solo, o Maestro, puoi dare da mangiare a sì grande moltitudine: tutto è a te possibile. „ Il buon Filippo, sorpreso da quella domanda sì semplice del Maestro, non seppe dare altra risposta di questa infuori: “Duecento danari di pane non sarebbe bastevole loro perché ciascuno ne pigliasse un boccone.„ Il danaro, di cui parla Filippo, rispondeva ad 80 dei nostri centesimi, ond’era come dire: ” Cento sessanta lire non sarebbero sufficienti per comperare tanto pane da darne un frusto solo a tanta gente. „ E non pensava l’ingenuo apostolo che si trovavano in luogo deserto, dove quando pure avessero avuto tesori da profondere, non era possibile avere un po’ di pane. In quella “Andrea, fratello di Simon Pietro, uno dei discepoli, „ si fece innanzi, e udito di che si trattava, quasi a confermare ciò che aveva detto Filippo, disse: “Vi è qui un fanciullo, che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma questo che è tra tanta gente? „ Non è superfluo il far notare la confidenza tutta paterna, con la quale Gesù trattava coi suoi discepoli e la confidenza tutta filiale, con cui essi usavano col divino Maestro. Chiunque tiene autorità sopra gli altri, si specchi in questo sovrano modello e chi è soggetto, veda come gli Apostoli trattavano con Gesù Cristo! L’autorità sia sempre paterna e la dipendenza sia filiale, affinché quella non traligni in dominio e questa non degeneri in servitù. – Il pane d’orzo, che si trovava avere presso di sé quel fanciullo, che il Vangelo non dice chi fosse, era alimento del povero popolo. Parmi evidente che sia la domanda di Gesù e la risposta di Filippo e quella d’Andrea e l’accertamento che erano cinque i pani e due i pesci fossero tutte cose disposte a studio affinché il miracolo della moltiplicazione risplendesse in tutta la sua luce agli occhi degli Apostoli e delle turbe. – S. Giovanni continua il suo racconto: “Gesù intanto disse: “Fate che la gente si adagi; in quel luogo vi era erba assai. „ Queste parole: “Fate che la gente si adagi, „ sono rivolte da Cristo ai suoi Apostoli, ed essi tosto si sparsero in mezzo a quella moltitudine, disponendo le persone a brigate di cento e cinquanta in cerchio e facendole sedere sull’erba, che abbondava in quel luogo e in quella stagione (doveva essere sui primi del mese di marzo), già calda in quei paesi. Il Vangelo ci fa sapere che il numero approssimativo di quelle turbe poteva salire a circa cinque mila adulti, senza tener conto dei fanciulli e delle donne, come avverte S. Matteo, onde non è esagerazione il dire, che quella moltitudine, compresi tutti, poteva essere di oltre dieci mila persone. “Allora Gesù prese i pani, e rese le grazie, li distribuì alla gente che si era adagiata, e similmente dei pesci, quanto ne vollero.„ – Qui, come altre volte, Gesù Cristo prima di operare il miracolo, ringrazia il Padre suo, e S. Matteo nota che volse gli occhi al cielo: Aspiciens in cœlum, e pregò, benedixit, per far conoscere che l’opera ch’era per fare, veniva dall’alto e dovevasi ascrivere alla virtù divina. Poi prese a distribuire i pani e i pesci agli Apostoli, e questi, a mano a mano li distribuivano alle turbe; particolare questo registrato in Matteo, in Marco e Luca e che non deve passare inosservato. Così il Salvatore, che nel deserto aveva rifiutato di mutare in pani le pietre per soddisfare il suo bisogno personale, come suggeriva il demonio, ancora nel deserto moltiplica il pane per sfamare il povero popolo. Certamente Gesù Cristo poteva far sì che il pane e i pesci moltiplicati nelle sue mani passassero nelle mani di ciascuno di quella moltitudine senza l’opera degli Apostoli; chi ne può dubitare? Ma Gesù volle che quel pane e quei pesci, prodigiosamente moltiplicati, pervenissero a ciascuno in particolare, mercé il ministero degli Apostoli. Perché ciò, o dilettissimi? Primieramente, perché Dio suole usare della sua onnipotenza là dove è impotente l’uomo; ma là dove giunge la forza dell’uomo, all’uomo stesso ne lascia tutta la cura, perché Iddio non vuole sostituirsi all’uomo, né favorire l’inerzia o la pigrizia. Oltreché è da credere che Gesù Cristo volle servirsi dell’opera degli Apostoli nel distribuire il pane e i pesci moltiplicati nelle sue mani benedette, per farci conoscere che i doni celesti della verità e della grazia vengono da Lui, come da fonte prima, ma sono comunicati agli uomini mediante lo strumento dei suoi ministri. Il miracolo operato da Gesù Cristo non poteva essere più solenne ed evidente. Erano nel deserto; tanta provvisione di pane e pesce, quanta se ne richiedeva a saziare dieci mila bocche, dove si poteva avere? E avutala pure in qualsiasi modo, come occultarla a tanti testimoni? La moltiplicazione avveniva nelle mani di Gesù Cristo, sotto gli occhi, non solo degli Apostoli, ma delle turbe, non in un istante, ma continuamente, finché ve ne fu bisogno. E cosa affatto naturale, che a mano a mano si succedevano le distribuzioni di pane e pesce, gli Apostoli e le turbe meravigliassero e aguzzassero gli occhi per vedere donde e come proveniva tanto pane e tanto pesce e quindi rendessero impossibile ogni illusione. Il luogo, la moltitudine dei testimoni, la loro qualità, la natura del miracolo stesso, il modo, con cui fu operato e gli effetti che ne seguirono, mettono il fatto al di sopra d’ogni ombra di dubbio e ne pongono in tutta la luce la certezza assoluta. – So, o cari, che certi uomini, i quali professano di non seguire che la ragione e la sola ragione, tentarono di spiegare naturalmente il fatto. Sapete in qual modo? Udite: Le turbe rapite dalla parola affascinante di Gesù, dimenticarono il bisogno del cibo; saziate nello spirito, non sentirono le necessità del corpo: fu un miracolo di frugalità! O fors’anche ciascuno, quasi senza accorgersene, pose mano alle provvisioni portate seco e se ne nutrì, e reputò miracolo ciò che non era se non l’effetto naturale della gioia e dell’entusiasmo di udire il Profeta e d’una frugalità singolare. Figliuoli miei, se questo è seguire la ragione, la sola ragione, giudicatene voi (Renan). – Quel pane e quel pesce, che a vista d’occhio si moltiplicava nelle mani feconde del Salvatore, donde veniva? Era forse una nuova creazione dal nulla? Anche questo (e chi non lo sa?) il Verbo umanato poteva fare, ma è più comune sentenza che con la sua onnipotente virtù lo traesse dalla natura. – Vi piaccia, o carissimi, por mente a ciò che avviene continuamente sotto i nostri occhi. Voi seminate il grano, e questo per lavoro occulto di natura si scioglie, mette le radici, cresce in stelo, forma la spiga e ve lo dà moltiplicato. Voi pigliate del grano, lo macinate, ne formate la pasta, e cotto, eccovi sul desco il pane. E un lavoro lento di moltiplicazione e di trasformazione, effetto l’una e l’altra delle forze di natura, sparse nella terra, nell’aria, nell’acqua, nella luce, applicate e modificate opportunamente dall’uomo. Ora queste forze, che moltiplicano il grano, e ci danno secondo le leggi di natura il pane, onde ci nutriamo, vengono da Dio e sono totalmente a Lui soggette. Che fece Egli Gesù Cristo nel deserto, allorché moltiplicò il pane ed i pesci? Egli, Dio-Uomo, Causa suprema, in cui si contengono eminentemente tutte le cause ed i loro effetti, abbreviò ogni cosa e produsse in pochi istanti quel pane, che secondo il corso ordinario delle leggi di natura non si sarebbe potuto ottenere che nel volgere di alcuni mesi. Quel Dio che nei campi moltiplica il frumento con pochi granelli, scrive S. Agostino, moltiplicò i cinque pani nelle mani del Figliuol suo fatto uomo (In Jaonn. Tract. 24). E noi, continua il Santo, ammiriamo quel miracolo dei cinque pani moltiplicati una volta, e non badiamo all’incessante opera della Provvidenza, che con pochi grani moltiplica il frumento e nutre l’intera umana famiglia! E perché? Perché quello avvenne una sola volta e questa avviene continuamente sotto i nostri occhi, e per essere comune sembra quasi da meno: Assiduitate viluerunt. Figliuoli carissimi! Avvezziamoci a vedere in tutte le opere, in tutte le leggi della natura, che ci danno e conservano la vita, che rallegrano l’occhio o l’orecchio, la mano di Dio, che tutto prepara e dispone a servizio e diletto nostro, e a Lui rendiamone le dovute grazie. – E poiché furono saziati, prosegue il sacro testo, Gesù disse ai discepoli: “Raccogliete i resti, che non vadano a male.,, E raccolsero ed empirono dodici corbelli di avanzi rimasti a quelli che ne avevano mangiato, dai cinque pani d’orzo. „ Questo comando di Cristo di raccogliere i resti del pane non è senza ragione. Anzitutto quegli avanzi raccolti da quei medesimi che distribuivano il pane, mostravano meglio e facevano toccare con mano la certezza e la grandezza del miracolo: poi insegnava a tutti che non conviene, non è lecito disperdere nulla di quello che, se non è necessario, né utile a noi, lo può essere ad altri. Gli avanzi del ricco possono e debbono essere il nutrimento del povero: se così fosse, che ne sarebbe largamente sfamata tutta la turba dei poverelli! O Epuloni, dalla vostra mensa lasciate cadere almeno le briciole ai Lazzari che languiscono! – Manifestamente poi i dodici corbelli di avanzi raccolti ci indicano i dodici Apostoli, che distribuivano il pane, ond’è a dire che ciascun Apostolo, adempiendo l’ufficio di distributore, si serviva d’un corbello. “Intanto coloro, veduto il miracolo operato da Gesù, dicevano: “Questi è veramente il profeta, che deve venire al mondo.„ Alla vista di quel miracolo, che per molti aspetti fu uno dei maggiori operati da Gesù Cristo, l’ammirazione, l’entusiasmo del popolo non ebbe più freno ed eruppe spontaneo da tutti i cuori il grido: “Questi è il profeta, il Messia promesso, che deve venire.,, E lo era veramente, ma non quale per mala ventura gli Ebrei lo aspettavano, vincitore dei nemici temporali e liberatore dal giogo degli stranieri sotto il quale fremevano, e creatore della grandezza terrena della nazione. I Galilei ardenti e bellicosi erano ancor pieni delle memorie e dei sogni di Giuda Gaulonita. Costui, messosi a capo del popolo, spacciatosi come uomo mandato da Dio a liberare la nazione, aveva eccitata una rivolta assai grave e diede non poco da fare alle soldatesche romane, come attesta Giuseppe Flavio. La passione politica (e gli stessi Apostoli non ne erano affatto immuni, come apparisce dal capo 1° degli Atti Apostolici) infiamma quelle turbe, sì facili per se stesse all’entusiasmo, volete religioso, volete politico. Si eccitano gli uni gli altri! “Questi è il profeta, il Messia, che aspettiamo! egli deve liberare la nazione dal giogo straniero: facciamolo nostro re, mettiamolo alla nostra testa e corriamo sopra Gerusalemme e proclamiamoci il nuovo regno d’Israele.,, Erano questi i discorsi, i propositi di quella folla, agitata dai due sentimenti più gagliardi sul cuore umano, quello della religione e quello della patria, che per essa si confondevano in un solo. Le agitazioni popolari sono terribili: si propagano come un incendio in una foresta e i caratteri più tranquilli, le anime più nobili, sono trascinate in modo pressoché irresistibile! Che fece Gesù in mezzo a quel bollimento della moltitudine? “Conoscendo, dice S. Giovanni! che verrebbero a rapirlo, per farlo loro re, Gesù si ritrasse di nuovo tutto solo sul monte e fece partire gli Apostoli sopra una nave, comandando loro di approdare all’opposta riva del lago (S. Marco, VI, 45; Matt. XIV, 22). Così per sventare gli stolti disegni di quella turba, Gesù si appigliò a tre mezzi, separare i discepoli da quelle turbe fanatiche, affinché loro non si comunicasse il contagio di quel fanatismo, accomiatarsi per bel modo dal popolo, invitandolo a sciogliersi e a ridursi ciascuno alle proprie case, e finalmente col ritrarsi destramente sul monte, sottraendosi agli occhi ed alle ricerche di tutti. – Prima di chiudere questa Omelia permettete un’ultima osservazione della più alta importanza. Gesù Cristo visse sotto gli Erodi usurpatori e sotto la dominazione straniera dei Romani. Questa particolarmente era odiatissima, e perciò frequenti furono le sommosse al tempo di Cristo e più dopo di lui fino all’ultima più tremenda, che trasse in capo ai Giudei lo sterminio della nazione, per opera di Vespasiano e di Tito suo figliuolo. Ebbene: leggete tutti quattro gli Evangeli: molte volte si porse occasione a Gesù Cristo di aprire l’animo suo intorno alle condizioni politiche del paese e a coloro che ne reggevano le sorti: molte volte gli scribi e i farisei, suoi implacabili nemici, e i partigiani di Erode si studiarono di cavargli di bocca qualche dichiarazione che fosse argomento di accusa presso le autorità o valesse a metterlo in mala voce presso il popolo e togliergli o scemargli il suo favore; ma non fu mai possibile strappargli una sola parola che lo mostrasse o nemico delle autorità, o avverso alle legittime aspirazioni del popolo. Con le parole e con le opere si mostrò rispettosissimo a tutte le autorità costituite, Egli che era sopra ogni autorità, e schivando con ogni cura d’immischiarsi nelle questioni politiche, che fervevano ardenti e minacciose intorno a Lui, attese unicamente a predicare le eterne verità, a mostrare la via del cielo, a salvare le anime. E una lezione dataci da Cristo, utile in ogni tempo, utile e necessaria particolarmente nel nostro e più particolarmente a noi Sacerdoti.
CREDO …
Offertorium
Orémus Ps CXXXIV:3, 6
Laudáte Dóminum, quia benígnus est: psállite nómini ejus, quóniam suávis est: ómnia, quæcúmque vóluit, fecit in coelo et in terra. [Lodate il Signore perché è buono: inneggiate al suo nome perché è soave: Egli ha fatto tutto ciò che ha voluto, in cielo e in terra.]
Secreta
Sacrifíciis præséntibus, Dómine, quaesumus, inténde placátus: ut et devotióni nostræ profíciant et salúti. [Ti preghiamo, o Signore, volgi placato il tuo sguardo alle presenti offerte, affinché giòvino alla nostra pietà e alla nostra salvezza.]
Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum. – R. Amen.
Communio Ps CXXI:3-4
Jerúsalem, quæ ædificátur ut cívitas, cujus participátio ejus in idípsum: illuc enim ascendérunt tribus, tribus Dómini, ad confiténdum nómini tuo. Dómine. [Gerusalemme è edificata come città interamente compatta: qui sàlgono le tribú, le tribú del Signore, a lodare il tuo nome, o Signore.]
Postcommunio
Orémus. Da nobis, quaesumus, miséricors Deus: ut sancta tua, quibus incessánter explémur, sincéris tractémus obséquiis, et fidéli semper mente sumámus. [Concédici, Te ne preghiamo, o Dio misericordioso, che i tuoi santi misteri, di cui siamo incessantemente nutriti, li trattiamo con profondo rispetto e li riceviamo sempre con cuore fedele.]