ERESIA
[G. Bertetti: I Tesori di S. Tommaso d’Aquino”, S.E.I. Ed. Torino, 1918]
1. Che cos’è l’eresia (in ep. la ad Cor., 11, lect. 4; in Ep. ad Tit. 3, lect. 2; S. Th., 2a 2e, q. III, art. 2). — 2. I gravissimi danni dell’eresia (Seni., 4, dist. 13, q. 2; in ep. 2a ad Timoth., 2, lect. 3; in Matth., 13, 26; 8. Th., 2a 2 a e , q. 11, art. 3).
1. Che cos’è l’eresia. — Secondo S. Gerolamo (in ep. ad Gal.), eresia è una parola greca, che significa elezione: ossia è l’eleggersi quella disciplina che ciascuno crede migliore. Di qui si possono ricavare due cose:
1° che l’eresia consiste essenzialmente nel seguire una privata disciplina, quasi per elezione propria, invece della disciplina pubblica dataci da Dio;
2° e insieme consiste nell’aderire pertinacemente ad una disciplina privata; poiché l’elezione importa una ferma adesione; eretico pertanto è detto colui che, sprezzando la disciplina della fede divinamente rivelata, segue con pertinacia il proprio errore.
Una cosa può appartenere in due modi alla disciplina della fede: direttamente o indirettamente. Direttamente come gli articoli di fede che son proposti a credersi di per se stessi: onde l’errore circa essi fa di per sé l’eretico, posto che vi sia la pertinacia; né può alcuno essere scusato da tal errore per ignoranza, principalmente intorno a quelle verità che la Chiesa solennizza e che comunemente sono in bocca dei fedeli, come il mistero della Trinità, la nascita di Gesù Cristo, e simili. Indirettamente spettano alla disciplina della fede quelle verità che non son proposte a credersi di per se stesse, ma, se si negassero, ne deriverebbe qualche cosa di contrario alla fede: così, se si negasse che Isacco fu figlio d’Abramo, ne seguirebbe un errore contrario alla fede, cioè che la Sacra Scrittura contenga qualche cosa di falso. Qui non si può accusar alcuno d’eresia, salvo che sia così ostinato da perseverare nel suo errore, anche quando scorgesse le conseguenze che ne deriverebbero. E dunque la pertinacia che fa l’uomo eretico: la pertinacia per cui nelle cose direttamente o indirettamente di fede non si vuol sapere di sottostar al giudizio della Chiesa. Tal pertinacia procede dalla radice della superbia, che fa preferire l’opinione privata a tutta la Chiesa. Onde l’Apostolo dice: « Se alcuno insegna diversamente e non s’acquieta alle sane parole del Signor nostro Gesù Cristo e alla dottrina ch’è conforme alla pietà, è un superbo che non sa nulla, ma si ammala per dispute e questioni di parole» ( la Tim., VI, 3, 4). Ogni eretico è nell’errore: ma non chiunque si trova nell’errore è eretico. Non è eretico, se il suo errore non è circa il fine della vita umana o circa quello che appartiene alla fede o ai buoni costumi. Eretico è chi erra circa il fine della vita umana (come chi sostenesse gli errori degli Stoici e degli Epicurei), chi erra circa la fede (come chi negasse la Trinità di Dio), circa i buoni costumi (come chi dicesse che la fornicazione non è peccato). Se però non è pertinace nel suo errore, ma è disposto a correggersi secondo la determinazione della Chiesa, e ciò non fa per malizia, ma per ignoranza, non è eretico. – Se poi ci furono dei sacri dottori che talvolta dissentirono circa le cose di fede, ciò accadde perché o si trattava di cose indifferenti per la fede o di cose bensì appartenenti alla fede ma non ancora definite dalla Chiesa: ma dopo che la Chiesa universale con la sua autorità ha pronunciato il suo giudizio, sarebbe eretico chi pertinacemente contraddicesse a tali definizioni. – E l’autorità della Chiesa risiede principalmente nel Sommo Pontefice: perciò S. Gerolamo scriveva a S. Damaso papa (in exposit. Symb.): « Quest’è la fede, o beatissimo padre, che abbiamo imparato nella Chiesa Cattolica; ma se qualcosa di meno esatto o di poco santo fosse stato per avventura esposto, noi desideriamo che sia emendato da te, che tieni la fede e la sede di Pietro. Se poi questa nostra esposizione sarà approvata dal giudizio del tuo apostolato, chiunque mi vorrà incolpare dimostrerà che non io sono eretico, ma è lui un inesperto o un malevole o anche un acattolico ».
2. I gravissimi danni dell’eresia. — L’eresia reca maggior danno che qualsiasi altro peccato, perché sovverte la fede, ch’è il fondamento di tutti i beni e senza di cui più nessun altro bene resta. – L’eresia è un vizio contagioso; degli eretici sta scritto che « molto s’avanzano nell’empietà e il loro discorso va serpendo come cancrena » (2a Tim., II, 16-17). D a principio, dicono cose vere e utili: ma poi quando si accorgono d’essere ascoltati, vi mescolano vomitando cose mortifere. Da principio nascondono la scienza, dicendo qualcosa di bene e predicando ai laici; poi inseriscono delle critiche contro il clero, che son volentieri accolte, e così allontanano il popolo dall’amar il clero, e per conseguenza dall’amar la Chiesa. Allora prendono a insegnare e a spiegare la lor malizia, cominciando da cose leggere e venendo finalmente alla manifestazione aperta di se stessi e della lor dottrina. – Perciò la Chiesa esclude gli eretici dal consorzio dei fedeli, e principalmente quei che corrompono altri, affinché non solo con l’anima ma anche con il corpo siano segregati da loro i semplici, che facilmente possono esser corrotti. Si deve estirpare il vecchio fermento, perché corrompe tutta la massa (la Cor., V, 7); si devono allontanare dal gregge i lupi per opera dei pastori (JOAN., 10); si devono estirpare gli omicidi, che tolgono agli uomini la vita corporale: dunque si devono molto più estirpare gli eretici, che tolgono la vita spirituale. Sì grave è il peccato degli eretici che si meritano non solo d’essere separati dalla Chiesa mediante la scomunica, ma ancor si meritano d’essere esclusi dal mondo mediante l a morte. Poiché è molto più grave corrompere la Fede per cui s’ha la vita dell’anima, che falsare la moneta per cui si provvede alla vita temporale. Laonde, se i falsi monetari e gli altri malfattori son subito mandati giustamente alla morte dai principi secolari, molto più gli eretici, non appena convinti d’eresia, possono non solo essere scomunicati, ma anche essere giustamente uccisi. – La Chiesa usa però misericordia per la conversione degli erranti; e perciò non subito condanna un eretico, ma « dopo la prima e la seconda correzione, » come insegna l’Apostolo (Tit., III, 10); che se poi si mantiene ostinato, la Chiesa, non sperando più della sua conversione, provvede alla salute degli altri, separandolo dalla Chiesa con sentenza di scomunica; poi lo abbandona al braccio secolare, perché con la morte lo levi via dal mondo. « Si devono resecare le carni putride, si deve cacciare la pecora scabiosa dall’ovile, affinché tutto il corpo e tutto l’ovile non imputridiscano e muoiano. Ario fu una sola scintilla in Alessandria: ma poiché non fu subito soffocata, la sua fiamma devastò tutto il mondo » ( S . GEROLAMO, in Galat., 5).
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Su questa questione dell’eresia ci sono alcuni “cani sciolti” che presumono di esprimere pareri liberi e dettati dai loro stati emotivi, non sempre lucidi, spesso isterici, non avendo nessuna cognizione di teologia dogmatica o ancor peggio, di teologia morale. A questi soggetti, di cui il Signore ci aveva a suo tempo parlato (Vangelo sec S. Matteo cap, VII, v. 6), e che San Pietro bene inquadrava nella sua Seconda Lettera al cap. II, v. 22, che si permettono di applicare le loro deliranti idee a chicchessia, non ultimo il Santo Padre Gregorio XVII, (uno che la teologia l’aveva insegnata per decenni ai massimi livelli), non avendo cura della propria anima e della loro salvezza, rispondiamo semplicemente con la dottrina della Chiesa, senza aggiungere nemmeno un trattino o una virgola. A questi “teologi da salotto allo sbaraglio” proponiamo un breve testo dal Compendio di Teologia Morale di E. Ione, un testo con imprimatur che è stato e rimane tuttora un pilastro inattaccabile ed inaccessibile a questi “novelli protestanti” che si credono cattolici tenendo però un piede nel personale “libero pensiero”, il magistero “fai da te”! Ci torna utile al proposito, un pensiero di De Maistre, riportato dal grande abate J. Berthier nel suo Sommario di teologia dogmatica e morale (p. 42): « Non vi è nulla di più infallibile che l’istinto dell’empietà. Guardate ciò che essa odia, ciò che la mette in collera, ciò che essa attacca sempre, ovunque e con furore: è la verità ».
123 § 3 . Infedeltà – Apostasia – Eresia.
I . L’infedeltà è la mancanza di fede in una persona non battezzata. Essa è peccato in quanto è colpevole, e allora si dice incredulità. – L’infedeltà, totalmente involontaria, non è affatto peccato. Chi colpevolmente trascura di conoscere la vera fede, pecca leggermente o gravemente secondo che la sua negligenza è leggera o grave. — Finché, però, uno non ha ancora alcun dubbio ragionevole riguardo alla religione che professa, non ha alcun obbligo grave di investigare oltre. — Quando ad alcuno le verità di fede sono state sufficientemente proposte a credere, l’infedeltà è sempre peccato grave.
124 II. L’apostasia è la completa defezione dalla fede cristiana da parte di una persona che nel battesimo aveva ricevuta la vera fede (can. 1325, § 2). Si diviene, quindi, apostata, per es. negando l’esistenza di un Dio personale o la divinità di Gesù Cristo. Non è richiesta l’incorporazione ad una setta religiosa. I fedeli che professano la dottrina del comunismo, materialista e anticristiano, e anzitutto coloro che la difendono e se ne fanno propagatori, benché a parole talvolta protestino di combattere la religione, mentre di fatto, sia per la dottrina, sia con l’azione, dimostrano di essere ostili a Dio, alla vera religione e alla Chiesa di Cristo, sono da considerarsi apostati dalla fede cattolica (S. Uff. Decr. 1 luglio 1949, AAS, XLI. 1949, p. 334). Circa la scomunica cfr. n. 437. — Coloro che soltanto si iscrivono o danno appoggio a partiti comunisti o ad organizzazioni dipendenti da essi (Gioventù comunista, Unione Donne Italiane, Associazione Pionieri Italiani, Sindacati propriamente comunisti, ecc.) peccano, ma per questo solo non devono essere considerati apostati. Circa la ammissione ai sacramenti, cfr. n. 462, 3°, 702.
III. L’eresia è un errore dell’intelletto, in seguito al quale un battezzato nega pertinacemente una verità rivelata da Dio e proposta dalla Chiesa a credere, oppure ne dubita soltanto (can. 1325, § 2). Si nega pertinacemente una verità, quando la si nega nonostante si sappia che dalla Chiesa è proposta a credere come rivelata divinamente. Chi non sa questo per ignoranza colpevole, non diventa — è vero — eretico formale, negando tale verità, ma si rende gravemente o leggermente colpevole contro la fede secondo la gravità della negligenza. Lo stesso vale di un eretico che dubita della verità della sua religione, ma per leggerezza colpevole o per negligenza non cerca di investigare oltre la verità. Allora soltanto diverrebbe eretico formale, quando tralasciasse di investigare, perché è risoluto di non farsi cattolico, anche se venisse a conoscere che la religione cattolica è la vera.
Si ha il peccato di eresia, non il delitto punito dal diritto ecclesiastico, quando uno nega una verità che falsamente ritiene sia rivelata da Dio e proposta dalla Chiesa; inoltre, quando colui che nega una verità, è credente, ma non battezzato, per es. i catecumeni; in fine, quando uno nega una verità solo internamente, ma non lo manifesta all’esterno.
Poiché l’eresia, secondo la sua intima natura, è un errore dell’intelletto, colui che solo esternamente finge di negare una verità di fede, ma internamente ne è convinto, non è eretico. Egli non incorre neppure le relative pene, quantunque in foro esterno venga considerato come eretico. Egli, non di meno, pecca gravemente per la negazione della fede.
Benché chi dubiti pertinacemente di una verità di fede sia eretico, pure non è eretico colui che sospende semplicemente il suo giudizio su una verità proposta da credere, senza però dubitarne positivamente; pecca ad ogni modo contro l’obbligo di fare un atto di fede. Chi, in una tentazione contro la fede, vacilla fra la resistenza e il consenso, ma non sospende con piena coscienza il suo assenso, pecca leggermente, perché resiste alla tentazione con negligenza.
Se siano eretici anche i Liberali, i Socialdemocratici o Socialisti, ciò dipende dal grado di adesione ai principi di tali partiti. È eretico per es. chi ritiene che lo Stato cristiano debba essere del tutto indipendente dalla Chiesa o che la Chiesa sia soggetta allo Stato. Similmente è eretico chi, per principio, non vuole riconoscere alla religione nessuna influenza sulla vita pubblica; chi, al posto del matrimonio, vuol sostituire il libero amore; chi afferma che la proprietà privata è un furto. — Tuttavia, per mancanza di istruzione, tali persone si trovano, alle volte, in buona fede. Se sia lecito al confessore di lasciarle così dipende dalla qualità del loro errore e dal maggiore o minore scandalo che danno. In particolare, sono da tener presenti, anche le istruzioni dei singoli vescovi. Poiché l’eresia presuppone una rivelazione divina, non è eretico chi nega una verità che è proposta a credersi dal magistero infallibile della Chiesa, ma che non è rivelata da Dio; pecca però gravemente. — Chi aderisce a una dottrina, la quale fu bensì condannata, ma non dal magistero infallibile della Chiesa, pecca non contro la fede, ma contro l’obbedienza dovuta alla Chiesa, fin tanto che non sia certamente dimostrato il contrario. – L’approvazione, da parte della Chiesa, di rivelazioni private importa soltanto che esse non contengono nulla contro la fede e i buoni costumi. Chi le nega, perché non persuaso che vengano da Dio, non pecca mai gravemente.
Nota: Lo scisma.
Lo scisma è ordinariamente congiunto con l’eresia. In tal caso, vale per gli scismatici quanto si disse degli eretici. — Se si presenta senza eresia, non costituisce peccato contro la fede, ma contro la carità. Per maggiori schiarimenti cfr. n. 43.
– Da: Eribero Jone, O.F.M. Cap.: Compendio di teologia morale, 3a ed. it. dalla 14° tedesca; Marietti ed. 1952. –
Prima di aprir bocca, consiglio a coloro cui piace giocare al “piccolo teologo deficiente”, di procurarsi almeno un manuale di teologia, anche un “Bignamino” per essi va benissimo!
Si consulti pure la voce dalla Enciclopedia Cattolica in: