GREGORIO XVII – IL MAGISTERO IMPEDITO: 1° corso di ESERCIZI SPIRITUALI “LA PERFEZIONE” (3)

GREGORIO XVII:

IL MAGISTERO IMPEDITO

I. corso di ESERCIZI SPIRITUALI

LA PERFEZIONE

(3)

4. – L’atto di fede

Sospendiamo per un momento lo studio dei motivi che ci spingono a prendere la decisione di perfezione, per cominciare a studiare gli elementi della perfezione stessa, di cui avete avuto ieri la definizione e di cui spero avrete l’idea chiara, semplice, riassuntiva. Il primo punto che logicamente si presenta a proposito della perfezione è la fede. Perché tutto parte dalla fede, tutto è proporzionato dalla fede nel nostro cammino spirituale verso Dio, nel ritmo di questo incedere verso Dio, nel modo e nel metodo di questo nostro progresso verso l’alto. Tutto comincia dalla fede, e tutto in certo modo è proporzionato dalla fede. Pertanto chi si mettesse a battere la via di Dio, che è la via della perfezione, prescindendo da uno studio della fede, perderebbe semplicemente il bandolo della matassa, non avrebbe più la luce, se ne andrebbe avanti con la testa nel sacco. Richiamo la vostra attenzione su una verità. La ricerca della perfezione, l’esplorare il cammino nostro d’avvicinamento a Dio non è una questione dell’istinto né del sentimento. L’istinto e il sentimento potranno venir bene, perché sono due capacità in fondo emotive che sussidiano la nostra energia, che umanizzano la nostra strada e la fanno digerire meglio; ma chi credesse di poter affidare il proprio cammino verso Dio all’iniziativa dell’istinto e, quanto sarebbe peggio, all’iniziativa del sentimento, credo che finirebbe per concludere poco o niente. – Bisogna sempre cominciare a ragionare, e prima di tutto bisogna raggiungere la saggezza, la sapienza, e per raggiungere la sapienza bisogna aver prima la scienza, e per avere la scienza, in questo caso, bisogna prima ragionare della fede. E’ ben questo il tracciato logico, altrimenti la via spirituale rimane sospesa sui trampoli e non si conclude nulla. Che cosa è l’atto di fede? E’ essenzialmente un atto d’intelletto, un atto con il quale l’intelletto aderisce, ossia accetta una verità, e l’accetta spinto da questo motivo: l’autorità di Dio rivelante. Ossia io faccio l’atto di fede quando dico: la mia mente aderisce e accetta questa proposizione, per esempio: Dio è trino, e l’accetta e vi aderisce perché Dio l’ha rivelata. Il motivo è questo e solo questo. Non l’accetto perché a me pare conveniente, no; questo non sarebbe un atto di fede; non l’accetto perché a me pare molto logico e molto opportuno supponendo d’aver studiato l’Ars Magna di Raimondo Lullo; se anche a me sembra possibile, se anche a me sembra razionale, io non l’accetto perché a me sembra razionale, l’accetto perché Dio l’ha rivelata, l’accetto sulla parola di Dio. Questo è l’atto di fede. – Ora vediamo un po’ punto per punto. L’atto di fede è un atto dell’intelligenza, un atto di adesione intellettuale. Pertanto qui non c’entra nessun sentimento, nessuna emozione. Le emozioni aiuteranno, spingeranno, imbottiranno, levigheranno, ma le emozioni qui non c’entrano. La sostanza dell’atto di fede è un atto essenzialmente intellettuale; badate che è per questo che lo si fa in piedi, perché nell’atto di fede è la sommità dell’uomo che si muove, l’intelletto. L’atto di fede è domandato all’uomo nella sua sostanza, espressione e azione migliore. Se voi cantate il Credo gregoriano, il terzo, quello che normalmente si canta alla Messa degli Angeli, osserverete una cosa: il Credo terzo è un canto sillabico, non vi è alcun lirismo; però quando finisce e arriva all’Amen, l’Amen non è più sillabico, diventa lirico; è un lirismo abbastanza lungo e complicato, tanto che riesce difficile farlo eseguire con uniformità quando si tratta di una grande massa corale. Perché quando si canta il Credo tutto il testo è sillabico e l’Amen diventa lirismo? Bisogna riportarci a quei monaci i cui nomi si sperdono nel Medioevo. Noi non sappiamo chi furono i compositori di questa melodia del Credo terzo, non sappiamo dire se non che si proiettano talmente indietro che non arriviamo a individuarli; ma siccome erano persone che vivevano abbastanza lontane dal mondo per potere intendere Dio, nella stessa costruzione musicale erano guidate da una intuizione teologica perfetta. – Chi sente la Messa di Papa Marcello, di Pier Luigi da Palestrina, rimane stupito dalla velocità con la quale si canta il Credo. Passa in un attimo il Credo della Messa di Papa Marcello, la più grande Messa forse della prima epoca classica della musica polifonica. Passa in un attimo; ma quando arriva all’Amen, si direbbe che non finisce più, perché si trasforma in una fuga; prende quegli andamenti arditissimi della grande composizione e pare che non trovi, come un uccello che vola, dove andare a posare, come una colomba di Noè. Ma perché questo? Perché quella gente costruiva la musica, ma viveva in un ambiente che era saturo di teologia. La parola più grande che si dice nel Credo è l’Amen; e l’Amen perché dalla prima all’ultima parola del testo le proposizioni si enunciano, si mettono lì davanti; e non è mica detto che mentre si dicono non ci sia l’atto di adesione dell’intelletto: io credo in Dio Padre Onnipotente; ma la espressione ufficiale, riassuntiva, per la quale si dice: è così, accetto, è l’Amen. Badate che l’atto di fede è in questo momento dell’intelletto che aderisce, che accetta e dice: ita est. Diteli bene tutti gli Amen che si dicono in chiesa, diteli con tutta l’anima: sono la vittoria sul mondo. Sapete perché? Osservate bene gli uomini: sono buoni poi, in fondo, non sono poi tutti cattivi, gli uomini; ma sono talmente nell’incertezza che si direbbe non hanno più nessuna sicurezza di vita. E tutto è incerto, tutto è problematico, tutto è dubbio. Oggi uno ha 1’impressione d’ essere scemo se non fa della problematica. Questo povero mondo fa veramente pietà; dove noi sentiamo la superiorità sul mondo, perché noi dobbiamo sentirla questa superiorità sul mondo in cui siamo quando andiamo verso Dio, è quando diciamo quell’Amen, quando abbiamo la sicurezza definitiva, quando viviamo di sicurezza. Dunque l’atto di fede è un atto di intelletto. Ma l’intelletto non è una ruota che giri a vuoto. L’intelletto si dipana attraverso le idee, attraverso il giudizio, attraverso il raziocinio. Lo sanno bene quelli che studiano la logica, visto che senza studiare la logica è difficile studiare la teologia. L’intelletto non gira a vuoto: o ha un oggetto o non gira, e allora è chiaro che perché l’atto di fede sia veramente una cosa seria, bisogna che ci sia la cognizione dell’oggetto, ossia della verità di fede. E’ vero che questa cognizione può essere anche riassuntiva, implicita, ma allora si avranno degli atti di fede molto riassuntivi e molto impliciti. – Io posso dire: credo tutto quello che mi insegna la Santa Chiesa Cattolica; faccio un atto di fede che è completo, d’accordo, ma l’oggetto di questo atto di fede è molto riassuntivo: quello che insegna la Santa Chiesa Cattolica. In questo c’è atto di ossequio alla volontà di Dio il quale vuole che io accetti come maestra infallibile e unica della rivelazione divina la Santa Chiesa Cattolica; ma sarebbe meglio che sapessi il I, il II, il III, il IV, il V e gli altri articoli del Credo. Li sapessi bene, li sapessi con quella diffusione e profondità che mi può dare la teologia. Più ne so e meglio è. Lo capite ora perché la teologia serve sempre di più a fare gli atti di fede? Io insisto su questo punto perché la ricchezza della vita spirituale comincia dall’ atto di fede, perché l’atto di fede dipana una delle sue grandi ricchezze, non l’unica, proprio la ricchezza dell’oggetto, la ricchezza conosciuta dell’oggetto. Più conosco, più ne so; più riesco a contemplare e più il mio atto di fede è vivificante e più la fede entra nella mia vita trionfalmente, come una di quelle grandi travature che reggono tutto il tetto e non lasciano ad altri di reggere niente. Perciò è opportuno che regga tutto la fede, che non lasciamo a nessuna altra cosa l’incarico, la possibilità di reggere in noi. Ma tutto finisce per essere retto dalla fede in noi se l’oggetto della fede è molto chiaro, cioè se è chiara la proposizione a cui si aderisce, che si accetta, quando l’oggetto della fede è così dettagliato, è così, vorrei dire, sezionato e reso per tal modo in una distribuzione di toni intellettuali digeribile da farlo diventare facilmente e abitualmente sangue nostro e vita della vita nostra. E tutto questo discende dal fatto che l’atto di fede è un atto di intelletto. – Ma io qui ho detto molto poco. Quest’atto d’intelletto da che cosa viene, non dico determinato, che è un’altra cosa, ma azionato? Che cos’è che prende il mio intelletto, consentitemi l’espressione, per il collo e lo fa piegare? Perché qui ci vuole una presa per il collo, dato che la fede non è la visione, perché la visione annullerebbe la fede; difatti noi perderemo tutti la fede e la virtù della fede nel momento in cui moriremo. Quando entreremo di là, quando arriveremo al cospetto di Dio, in Paradiso, dove speriamo di giungere tutti quanti, dove ci diamo appuntamento, allora perderemo la fede, perché c’è la visione, mentre la fede è adesione a una verità non perché io la veda con evidenza ma perché me lo ha detto Iddio. Capite perché c’è inconciliabilità tra la visione beatifica e l’atto della virtù della fede? Sicché la fede, così utile, così magnifica, è una cosa moritura, di natura sua, come la speranza. Anche la speranza cessa nel momento in cui si tocca la cosa sperata; quando non c’è più niente da sperare perché si ha tutto, la speranza muore. Lo dice chiaramente S. Paolo nel cap. 13 della Prima Lettera ai Corinti: « Nunc autem fides, spes, caritas, maior autem caritas ». Però quando io non sarò più bambino, dice S. Paolo, lascerò le cose che sono dei bambini; e cioè fin qui io vedo in specchio e in enigma la fede, ma allora io vedrò chiaramente, sicut cognitus sum, come sono veduto da Dio: la visione immediata, e pertanto cesserà la fede. Allora che cos’è che prende il mio intelletto per il collo e dice: aderisci, accetta? E’ la volontà. Qui c’entra la volontà. C’entra come motore estrinseco; « l’atto della fede in sé stesso è intellettivo, ma ha bisogno d’essere piegato dalla volontà; ci vuole l’energia della volontà. A questo punto non è questione soltanto di luce, è questione di forza, e allora è proprio qui che, essendo l’atto di fede piegato dalla volontà che interviene a imporlo, chiama in causa l’energia; ha bisogno di quella e può risentire della debolezza di quella. Fermiamoci un istante. E’ evidente che la fede ha bisogno di un nutrimento, non solo del nutrimento dello studio, ma anche del nutrimento energetico dell’orazione. E’ a questo punto della analisi dell’atto di fede dove si capisce che la fede ha bisogno continuo della orazione, e naturalmente ha bisogno di tutti gli altri mezzi coi quali si aumenta l’energia nostra, cioè ha bisogno di tutte quelle sorgenti della grazia di Dio che sono i sacramenti, i sacrifici, ecc. Ha bisogno di tutto, perché la nostra volontà, poveretta, ha bisogno di ricevere l’elemosina da ogni cosa, tanto è meschina. – Ora quando si tratta di quello che viene a noi ex opere operato dalla Santa Messa e dai sacramenti, beh, ci pensa abbastanza per conto suo a venire; ma quando andiamo un po’ più in là e l’iniziativa rimane nostra, l’iniziativa si chiama orazione. Se non si prega, è molto difficile che la virtù della fede rimanga con quella chiarezza, solidità ed efficacia innervante tutta quanta la vita, senza la quale non possiamo parlare di cammino alla perfezione. Su questo secondo punto ritornateci spesso, perché fa vedere, con l’introspezione dello stesso atto di fede, la necessità di abbinare sempre la fede con la orazione. Noi non possiamo dare alla nostra fede tutto quello splendore e tutta quella forza che trascina, che costruisce, che edifica, che penetra i cieli, se manca l’orazione. Ed è per questo che Nostro Signore ha detto: « Sine intermissione orate ». La fede è la prima cosa che è dentro di noi, e la fede a gran voce chiede l’orazione e soprattutto l’orazione mentale. Ma a questo punto come fa la volontà a muoversi e a imporre l’atto di fede? Badate bene com’è l’analisi della fede. L’atto di fede è un atto d’intelletto; era, mentre questo atto d’intelletto non è mosso dall’evidenza, che non è il suo motivo proprio, ma dalla volontà, a sua volta questa volontà è mossa dall’intelletto. Insomma l’intelletto fa due parti, quello di cui vi ho parlato prima è la parte costitutiva essenziale dell’atto di fede, ma prima di fare quella, ne fa un’altra che è sua propria: passa un ordine alla volontà. Ve lo spiego subito. La volontà da che cosa è mossa per poter muovere l’intelletto? Da un ordine dell’intelletto; è l’intelletto che dice alla volontà: prendi me stesso e piegami. L’intelletto dà un ordine alla volontà, perché alla volontà si danno ordini, alla volontà non si danno ragionamenti, perché la volontà è una facoltà motiva, non facoltà intellettiva; è spirituale, sì, ma motiva. Ma questo ordine dato alla volontà è preceduto da un giudizio emesso dall’intelletto, in quanto l’intelletto si determina a dare quest’ordine alla volontà perché prima ha dato un giudizio. E il giudizio qual è? E il cosiddetto giudizio di credibilità e di credendità. Il giudizio è questo: ci sono motivi sufficienti perché io possa credere. Non solo il giudizio di credibilità. Se io posso credere, io debbo credere; allora do un ordine alla volontà che muova tutto l’apparato. – Su che cosa è basato questo giudizio di credibilità e di credendità? Sono tutti i prolegomeni della fede. E su che cosa vertono i prolegomeni della fede? Sull’oggetto della fede? Cioè i prolegomeni della fede mi dimostrano forse che Dio è Padre onnipotente, Padre, Figlio e Spirito Santo, l’Incarnazione? No, i prolegomeni della fede non dimostrano l’oggetto della fede; dimostrano il motivo della fede, cioè il fatto che Dio ha interposto la sua autorità rivelando e ha garantito con la sua autorità, che è la ragione più alta della certezza. L’autorità di Dio è infinitamente più alta della mia evidenza, ed è infinitamente più valevole della scienza, di ogni scienza umana e anche sovrumana; l’autorità di Dio si è interposta e pertanto mi dà la garanzia di questa verità. Io non vedo, la verità, non vedo l’oggetto, non lo vedo direttamente, ma interviene Iddio e mi dice: t’avverto che ci sono Io. Allora mi posso fidare. Allora il lavoro previo dell’intelletto è di assicurare se è vero che Dio ha parlato o no; e questo può essere fatto in modo scientifico, e ci sono parecchie strade per farlo applicando gli stessi canoni coi quali si giudicano tutti gli altri fatti che cadono nell’ambito della storia e che sono registrati dalla storia. Lo stesso criterio, gli stessi strumenti di constatazione, di prova, la stessa efficacia di conclusione scientifica. L’intelletto dice: posso credere e, continuando a guardare, dice: debbo credere. Allora posso dare ragionevolmente l’ordine alla volontà. Ma forse voi direte: e perché l’intelletto deve dare ordine alla volontà che muova sé stesso? Non potrebbe muoversi da sé? Non può. Perché? Perché l’intelletto è mosso dall’oggetto suo proprio, dall’evidenza; e non c’è l’evidenza nella fede; si può raggiungere tutt’al più, il che è bastevole, l’evidenza del « motivo ». Io non dimostro la verità di fede, dimostro l’autorità del testimone, il quale testimone, essendo Iddio, è più che sufficiente, e mi permette di colmare ogni passaggio logico e d’arrivare alla certezza assoluta. – Mi direte: ma perché ha fatto questo riassunto dell’analisi della fede? L’ho fatto per poter venire a delle conclusioni, perché vediate chiaro nelle conclusioni. Intanto perché capiate che la fede è razionale, ha un procedimento razionale, ma non poggia sulla ragione; perché la ragione si ferma a dimostrare il motivo della fede, ma non l’oggetto, e per questo rimane il merito della fede. Ma si chiude un anello, e la fede è perfettamente razionale perché è provato il motivo, cioè l’autorità del teste. – Anche se io non ho assistito al fatto, sono pienamente qualificato per accettare il fatto che mi ha affermato il teste quando il teste è Dio. Ma il mio scopo non è tanto di fare della teologia, il mio scopo è spirituale; io sono qui e sto predicando a me stesso gli Esercizi a voce alta. E ho detto tutto questo, oltre che per dimostrare la razionalità della fede, per farvi toccare con mano le caratteristiche dell’atto di fede. E la prima caratteristica dell’atto di fede è la fermezza: cioè è l’atto più fermo di tutti. Perché la fermezza è proporzionata alla solidità del motivo sul quale ci si appoggia, è vero? Questa cosa è ferma tanto quanto sono fermi i fondamenti che la reggono. Se questi fondamenti sono di nebbia, misurate voi! Se questi fondamenti sono di pietrisco, andrà un po’ meglio. Se questi fondamenti sono di pietra, pietre ben cementate, sarà ancor meglio. Se questi fondamenti sono tutti quanti di cemento armato e rivestiti in modo tale da essere assicurati contro qualsiasi deterioramento del ferro stesso, sarà ancora meglio. E se questi fondamenti sono la roccia stessa, allora siamo a posto. Non saremo a posto per i terremoti, perché la roccia trasmette meglio le vibrazioni del terremoto, ma comunque, fuori dei terremoti, certo colla roccia ci si sta benissimo, le cose sono assicurate nel modo massimo. Siccome il fondamento sul quale poggia l’atto di fede, cioè il motivo della fede, è la stessa autorità di Dio rivelante, non si può concepire un atto più certo, più sicuro, più capace di dare garanzia; e siccome la sicurezza dell’atto è sempre proporzionata al motivo su cui s’appoggia, l’atto di fede fruisce di una certezza che è superiore a tutte le altre certezze scientifiche che noi possiamo avere. Perché quelle sono date, quando lo sono; dall’evidenza nostra naturale, niente più, quando pure lo sono. Perché non bisogna dimenticare che regolarmente il 50% delle conclusioni scientifiche sono rimangiate da quelle che vengono dopo, perché non erano affatto conclusioni scientifiche. Dico 50% nella ipotesi più benigna; io non posso dimenticare che un giorno il più grande scolaro di Fermi, che forse era più scienziato del suo maestro, mi diceva che è il 95%. Io non sono in grado di giudicare; ma ho interpellato altri grandi uomini e, facendo la media delle risposte che mi hanno date, sono arrivato al 50%. Questo per dire cosa dobbiamo pensare della cosiddetta sicurezza e certezza scientifica. Ma fosse anche il 100%, v’avverto che è di natura diversa; la fermezza dell’atto di fede è superiore a qualunque certezza di carattere scientifico, fosse anche certezza del 100%. Noi siamo della gente certa, non della gente tormentata come da un complesso d’inferiorità, che dubita di tutto, che sempre presenta la realtà più innegabile in forma problematica; cioè noi non siamo degli ammalati. Il mondo è ammalato, e la sua malattia è l’incertezza. Noi siamo al suo servizio per cavarlo fuori. Ma noi Cristiani siamo della gente certa, e tanto siamo Cristiani in quanto siamo certi. Badate. Siamo nel secolo V e principio del VI: è l’epoca delle invasioni barbariche, durante le quali l’uno o l’altro di questi messeri del nord si prende il capriccio di fare delle passeggiate per tutte le varie strade dell’impero; e giungono fino a Roma; epoca in cui t’arrivano i Vandali in Africa, e S. Agostino se ne muore leggendo i Salmi penitenziali mentre la sua città è circondata dai barbari. In questo momento in cui la Chiesa Occidentale tutta raccolta attorno ai Papi, ai Vescovi, succede qualcosa. Quattro monaci marsigliesi si sono montati la testa. Si tratta di un puntino invisibile. Ma la Chiesa, che ha avuto l’incarico di custodire la verità, bada anche ai puntini quasi invisibili, perché questi finiscono col fare come le nuvole che s’allargano e poi viene la tempesta. Si trattava di questo: citavano che proprio all’initium fidei non è necessario che arrivi la grazia, si può fare anche senza la grazia di Dio. All’initium, cioè all’attimo primo nel quale in una mente sboccia fuori questa puntina, questa testa d’erba che si chiama fede, l’atto di fede ci si può arrivare da sé. E ci si sono accaniti per un secolo sul Semipelagianesimo. La questione e stata risolta definitivamente nel 529 con la condanna nel Concilio di Orange. Se all’initium fidei si dovesse ammettere che ci si arriva da soli, si sconvolgerebbe tutta quanta la costruzione che sta sopra. Guardate che conto ha fatto la Chiesa anche dei più piccoli particolari che riguardano la dottrina circa l’atto di fede. Perché ha fatto questo conto? Perché la purezza della dottrina circa lo stesso atto di fede domina tutta la perfezione, tutta la vita spirituale. Questo è l’insegnamento storico. Ecco perché, parlando della perone e dicendo che dobbiamo uscire da questi Santi Esercizi con la volontà seria della perfezione, ho voluto occuparmi dell’atto di fede e della fede.

5. -Continuazione dell’atto di fede

L’atto di fede, fondamento della vita spirituale e pertanto della perfezione, non è tale da escludere la dubitabilità. Che significa questo? Significa che, con tutte le sue caratteristiche, non impedisce che intorno vi possano essere delle tempeste, che il dubbio possa assalirvi. E’ per questo che l’atto di fede ha bisogno d’essere armato dello studio del catechismo, della religione, della teologia, per dire i diversi gradi, secondo le diverse possibilità dei fedeli. Ha bisogno di essere armato della orazione umile che chiede a Dio il superamento dei difetti, delle ombre, dell’anemia. Ha bisogno d’essere armato di un metodo completo di vita spirituale. E’ chiaro che la dubitabilità può essere sconfitta da tutta questa armatura che l’esperienza indica come pienamente efficiente nella vita dei fedeli che intendono servire seriamente Dio. – Ma detto questo in linea generale, io vorrei venire a una questione di grande importanza in ordine al tema di questi Santi Esercizi. Il tema più particolare è questo: tra le onde adirate che possono gettarsi contro questa scogliera dell’atto di fede, c’è quella dei diversi modi di pensare che la fantascienza mentale moderna ci può regalare in una forma inconscia. Perché è facile mettere in guardia contro le eresie, contro gli errori, appunto perché si suppone che si presentino come sono, con proposizioni chiare, che chiaramente denunciano la deformazione della verità, tali che eccitano sempre in chi vuol vivere secondo Dio l’immediata reazione, la presa di posizione, la difesa, la ripugnanza. – Ma il guaio sta in quello che viene ammannito in dosi omeopatiche e che, peggio, viene diluito nell’atmosfera culturale in modo tale da togliere quello che stimola la reazione, da creare nella mente, più che degli errori contro la fede, degli stati d’animo, i quali finiscono poi col produrre lo stesso effetto, come se si fosse diventati erranti nella fede. E ne parlo, non perché io mi preoccupi qui dell’aspetto intellettuale, ma perché mi preoccupo dell’aspetto spirituale; perché l’insorgere di taluni stati d’animo finisce sempre col far deragliare qualche cosa dalla ordinata e giusta via spirituale e diventa un attentato costante contro la perfezione. – Se noi fossimo costituiti in grazia, costituiti nella verità, se avessimo i doni preternaturali dei nostri primi parenti e potessimo non essere attaccati nella nostra ignoranza, potremmo non preoccuparci di queste tempeste subcoscienti, di questi attacchi marginali che vengono in forme diluitissime e quasi non avvertibili. Ma siccome siamo deboli e deboli su tutta la linea, siccome siamo facilissime prede delle ombre che emergono dagli stati d’animo, siccome non sempre abbiamo quella difesa della dottrina profondissima, agguerritissima, delicatissima nel saper sceverare anche i filamenti più reconditi, bisogna che, proprio per amore di questa perfezione alla quale ci vorremmo incamminare, noi ci immunizziamo, ci vacciniamo a tempo. Ecco, si tratta di fare una vaccinazione tempestiva perché, ripeto, dinanzi a tutti i rumoreggiamenti che il male può fare dinanzi alla nostra fede e che possono essere sempre magnificamente superati, ce n’è uno che mi pare il più difficile a superarsi, perché è il più nascosto ed è diluito nell’aria. Non è mai accaduto in tutta la storia a noi nota che determinate dottrine filosofiche siano filtrate così in tutta la cultura, in tutto il costume al punto da

far pensare la massa della gente a modo loro e in modo che non si accorga di pensare a quel modo. Fino a qualche decennio fa, i mezzi di trasmissione della cultura erano legati a due sole forme: alla scuola e ai libri. La scuola era frequentata relativamente da pochi, i libri erano letti ancor meno. Io ricordo quando uno, comperando una dozzina di libri all’anno, in fondo poteva dirsi al corrente. Oggi io credo che se anche uno ne compera non una dozzina ma milleduecento all’anno, non potrà dire veramente di essere al corrente. Comunque una volta c’era la scuola, e questo era uno strumento ridotto, e il libro, e questo era uno strumento non troppo diffuso. Oggi questi due strumenti sono ingranditi enormemente. Ma a questi si sono aggiunti degli strumenti diffusori della, chiamiamola così, cultura annacquata; la radio e la televisione sono entrate in tutte le case. La gente è rimpinzata dalla mattina alla sera di cultura. Per conseguenza la maggior parte della gente si trova impregnata senza saperlo di una dottrina filosofica. Quale? Se noi passiamo al filtro tutte le pubblicazioni, dico tutte quelle che escono fuori dell’ambiente cattolico, compreso anche qualche pezzo di qualcuna che esce nell’ambiente cattolico, noi vediamo che il 40% si riduce a opere idealiste; l’altro 40% si riduce a opere esistenzialiste; quello che rimane è il freudismo; è il meno appariscente ma è quello che beneficia più dei due precedenti. E voi trovate nello stile della gente tutte queste cose; perfino nello stile dell’operaio che impasta il cemento trovate queste cose. – Il nostro tempo vive essenzialmente di idealismo. E’ opportuno avvertirne un aspetto concreto perché, avvertendolo, ci se ne può guardare. L’idealismo ha fatto la trasposizione completa dall’oggetto il soggetto, ha invertito le parti. Non è il soggetto che dipende dall’oggetto, ma l’oggetto che dipende dal soggetto. Questo rovesciamento l’aveva iniziato Lutero, ha camminato qua e là per l’Europa nella testa degli uomini per quattro secoli e alla fine è stato completo. La cosa avvenuta nella trasposizione tra soggetto e oggetto è questa, che siccome non siamo noi che dipendiamo dalla realtà, ma siamo noi che la creiamo, ecco, della realtà si può dire quello che si vuole. Esaminate voi ora la mentalità diffusa oggi e troverete costantemente questo carattere: si dice quello che si vuole. Io parlo della stampa del gran mondo; a certi margini dove sta la brava gente che non è completamente intossicata, le cose vanno diversamente, ma purtroppo non sono i più. Nel gran mondo le cose stanno così: ognuno dice quello che vuole, quello che crede. Dà dei fatti l’interpretazione più spontanea che gli sgorga dalla penna con meno difficoltà. E perché tutto questo? Per quel tanto di idealismo che sta dietro le spalle. L’idealismo è morto, così lo si insegna poco ufficialmente, pochissimo. Ma hanno applicato qualche canone dell’idealismo, quello sì. E quello è l’idealismo che sopravvive; l’idealismo classico è press’a poco tramontato, ma rimane il metro dell’idealismo, e noi ne siamo inquinati. V’è persino chi scrive libri spirituali con metodo idealistico. Perché uno dice quello che gli viene in mente, se lo inventa; non studia, non va a fare la consultazione mentre scrive; pensa quel che gli pare e vende così, e tutto va bene. Noi siamo stati intrisi di questo metodo. C’è un secondo coefficiente che rappresenta il 40% di tutta la cultura non cattolica del nostro tempo. E’ l’esistenzialismo. Non ripeto quello che ho detto, perché le cose se ne vanno con lo stesso ritmo, con la stessa penetrazione, con gli stessi effetti dell’idealismo. Ma vorrei darvi un elemento concreto per reperirli. L’esistenzialismo capovolge l’essenza e l’esistenza. Per l’esistenzialismo la cosa più vera che vale non è l’essenza, è l’esistenza. Traducete in parole povere: è il fatto che vale, non l’idea. Tra i fatti, il più clamoroso è l’angoscia, il nichilismo. Pertanto il pessimismo. Vi prego di guardare il modo di ragionare che s’è diffuso da tutti questi strumenti che io vi ho messo dinanzi. Ciò che conta è il fatto. E’ questo che vale e basta. Ecco il capovolgimento tra essenza ed esistenza. Potevano sembrare questioni oziose, queste, quando nell’800 si stava a discutere fra i teologi se essenza ed esistenza si distinguevano o non si distinguevano; se si doveva stare con i Suareziani o contro i Suareziani. Allora, per grazia di Dio, queste questioni si facevano nella scuola, e anche se qualcheduno poteva deviare dalla linea obbiettiva, la cosa rimaneva nella scuola e finiva lì. Nel nostro tempo di queste cose non c’è più rimasto nulla nella scuola, ma è rimasto lo stile, che annulla l’idea. Il fatto è questo. – Basta. E così siamo arrivati alla legge della giungla. Dei fatti poi, quello più sintomatico è quello dell’angoscia e della disperazione. Oggi non si scrive più un romanzo che, o nella conclusione o nella stesura o nel modo con cui la vicenda è pensata, non sia tale da ispirare le idee più nere e la più profonda tristezza della vita. E badate che questo entra anche in casa nostra più di quello che non si creda. Io parlò della problematica, della mania della problematica; la problematica non è altro che un sottobosco della filosofia esistenzialista. – Il terzo coefficiente è il freudismo. La filosofia di Freud è morta prima che morisse Freud, ma ne è rimasta di lui qualche cosa nella terapia medica, qualche cosa più o meno discutibile, più o meno apprezzabile. La sua filosofia è morta prima che morisse lui, ma quello che è tragico è che non ne è morto il metodo. Come dell’idealismo dove dell’idealismo, è rimasto il metodo e sta entrando dappertutto, nella testa di tutti e porta la responsabilità delle stravaganze del nostro tempo, e dell’esistenzialismo di cui è entrato incoscientemente il metodo nella cultura, nei modi di agire, in tutte le stravaganze della nostra età, così allo stesso modo è avvenuto del freudismo: morto Freud, è entrato il suo metodo nel costume, ed è il più diffuso di tutti. – Voi sapete che il metodo di cura di Freud sta nel portare il paziente a gettar fuori di sé stesso tutto quello che ha di più recondito e di più brutto in fondo all’anima; e di più brutto perché questo metodo terapeutico, nel piano filosofico concepito da Freud, ha due principi: l’uomo sarebbe azionato da due principi: il principio del sesso e il principio della morte, uno più macabro dell’altro. E pertanto si vede il freudismo nell’atto in cui obbliga una povera creatura a metter fuori tutto quello che ha di più orribile, di più innominabile; che se per caso non ce l’ha, per fare come fanno gli altri, lo inventerà. – Ma dovrà mettere fuori quello, la passione in sostanza. Andare a rimescolare in fondo al lago che raccoglie gli scoli di una città per far tornare a galla quello che fortunatamente s’era depositato in fondo: questo è il freudismo. – Ora vedete fino a che punto questo metodo è diventato pane dell’esperienza quotidiana quando osservate la mania di ricercare dappertutto il peggio, lo scandalo. Guardate i giornali di che cosa sono fatti e perché la gente legge i giornali: li legge il 70% per cercare quello, ecco il suggello del freudismo. – La ricerca del bassofondo melmoso, la dilettazione di trovare quello. E guardate fino a che punto s’è diffuso, come aleggia dappertutto il senso del disprezzo di tutto. Il che è logico, è coerente. Viviamo di disprezzo. Si disprezza tutto. La gente è contenta se può arrivare a sputare sugli altri, sull’autorità, sui grandi nomi della storia. Ma è infame abituare la gente a non avere più stima di nulla. Se qualcheduno di voi, che sta qua dentro, qualche giorno si trovasse a non stimare più nulla, è possibile, stia attento: non è farina del suo sacco. Quella è farina del sacco altrui. Cosa bevuta, di quelle diluite nell’ambiente. Quando uno si trova al punto che non ha più stima di nessuno, vuol dire che è annegato nell’ambiente. Cerchi di farsi la respirazione artificiale per un bel po’, poi può darsi che respiri coi suoi polmoni. – Vivete secondo Dio, vivete la fede. Vi dicevo, parlando della trama della vita, che vi sono persone che credono di vivere cristianamente, ma che hanno una trama pagana, anche se fanno la Comunione tutti i giorni. Ora debbo dire la stessa cosa di persone che credono di pensare cristianamente, cattolicissimamente, ma il loro pensare cattolicissimamente è cosa artificiale, di qualche momento, mentre nel sottofondo costante e compatto, che regge tutto, c’è un modo di vedere, di pensare, di giudicare, di sentire che è completamente avulso dall’indicazione cristiana. Hanno un concetto pessimistico di tutto e se lo sono presi dal freudismo. – Guardate un po’ ora; fate bene l’esame di coscienza. Guardate bene se per caso non ci sono dentro di voi questi reliquati coscienti o subcoscienti. Perché se nella vostra abitudine mentale voi doveste trovare la facilità alla problematica senza senso; se doveste trovare nelle vostre abitudini mentali la facilità di dire, così, quello che vi viene in bocca, senza preoccuparvi mai d’obbiettivare, di documentare, di ricercare, di essere aderenti alle indicazioni di una documentazione obbiettiva; se nelle vostre abitudini mentali doveste trovare questo rassegnato cedimento al fatto: quando una cosa è fatta, è inutile andare a cercare teorie; se nelle vostre abitudini mentali doveste trovare questa, di andare a rimescolare il peggio, di dover dare alle cose sempre l’interpretazione cattiva, di cavare sempre l’intenzione cattiva dai fatti, di tendere sempre al disprezzo, alla sottovalutazione dei propri fratelli, attenti! Prima di camminare nella via della santità bisogna levare questa roba dall’anima. Perché con questo piombo fuso e osceno nell’anima non si cammina, non ci si eleva, non si vola. E pensate che questa colata di piombo avviene di notte, mentre noi dormiamo, quando noi non ce ne accorgiamo, e poi la ritroviamo dappertutto. Bisogna difendersi. – Ci sono delle perversioni morali che non si catalogano e sono peggiori delle altre. Come bisogna rigenerarsi nell’acqua della semplicità, della purità, della chiarezza, della parola di Dio che sola ci fa intendere! Come avviene questa perversione? Come stato d’animo, non come idee. Poi, come una cellula fotoelettrica opera e trasforma,  a un certo momento questi stati d’animo riemergono come se fossero idee. Mi sono provato a domandare a molti artisti come intendevano l’arte. E mi hanno dato delle risposte. Ho chiesto loro se sapevano che cosa quelle risposte supponevano. Quasi mai mi è stato risposto quello che le loro risposte supponevano, potrei anche dire mai. Allora taluni di loro hanno sudato a spiegare che le loro risposte supponevano, né più né meno, il Breviario di Estetica del Croce, cioè la filosofia, e questa a sua volta supponeva la filosofia che il Croce aveva appresa dall’idealismo di Hegel. E cosa è avvenuto? E ‘ avvenuto che in costoro sono entrati degli stati d’animo, non avvertiti intellettualmente, non tradotti in proposizioni leggibili: ma questi stati d’animo a poco a poco sono diventati delle idee e li hanno innervati. Non hanno coscienza di dipendere da una filosofia; ma molte volte sembra più filosofia che arte, anche se essi non sanno quale filosofia seguano. Ho finito. Voi capite, vero, come persone che vivono nella cultura o ai suoi margini, che entrano nella grande corrente della vita, che debbono agire là e per quello che là si trova, debbano prepararvisi? E avrete anche capito che se non si risolve bene questa questione di perfetta indipendenza dell’anima nostra, nella sua fede, da quello che anche incoscientemente o subcoscientemente ci può essere propinato dal mondo nel quale viviamo, rischiamo di perdere la via della perfezione.