Uno dei temi più dibattuti tra i residui Cattolici del “pusillus grex”, è il matrimonio. Ci si chiede soprattutto se il matrimonio contratto nella falsa chiesa dell’uomo, o nelle chiesuole scismatiche dei sedevacantisti o dei gallicani fallibilisti, etc., sia valido, nullo, sacrilego, se ci si possa ritenere “coppie di fatto” mai unite dal vincolo matrimoniale o conviventi, se il vincolo falso si possa sciogliere, o di fatto sia già sciolto, se i figli siano legittimi … e non mancano amenità o facezie quanto mai inopportune in una questione sì seria e che coinvolge la salvezza o la dannazione di numerose anime. In effetti l’argomento è stato da sempre dibattuto e complicato, come cominceremo a vedere tra poco, conteso tra legislatori, teologi, canonisti etc. Per tanti aspetti l’argomento è di non facile approccio e può risultare per certi versi troppo tecnico o addirittura noioso. Armati di santa pazienza, come l’importanza dell’argomento giustifica ampiamente, ci “abbeveriamo” alla fonte della “Enciclopedia Cattolica”, ultima opera cattolica edita nella Città del Vaticano, quando ancora c’erano autorità valide, che garantiscono così la veridicità e l’affidabilità, diremmo la infallibilità, dello scritto riportato quasi per intero. Abbiamo ritenuto di suddividere in 5 parti la voce in esame, ed alla fine abbiamo tratte alcune considerazioni generali da utilizzare nei casi più comuni onde rispondere agli interrogativi più pressanti, lasciando alle autorità competenenti “in esilio” l’esame di ogni singola problematica, se richiesto. In ogni caso, si resta aperti al contributo di Cattolici ed acattolici in buona fede, onde chiarire al meglio possibile la vicenda “Matrimonio” in questo tempo in cui questo istituto di fondamentale importanza per la vita del Cattolico e della società in generale, riceve rovinose picconate da ogni parte, dai governi a guida massonica e laica (compreso il nostro, gestito dai “fratelli d’Italia” delle logge del grande oriente e degli illuminati, per non parlar d’altro … ); dalla falsa chiesa della setta modernista vaticano-cattolica usurpante, che ha addirittura istituito il “divorzio cattolico breve” (sic!), con allo studio nientemeno che il matrimonio tra sodomiti; da tutti i papaveri prezzolati dei mass-media, oramai assurti a “sibille cumane” e “pitonesse di Efeso”, che profetizzano ed offrono oracoli a buon mercato con l’unico intento di abbattere [si fieri potest] la dottrina cattolica e la vita familiare cristiana. Ma bando alle polemiche e si dia inizio all’esame della problematica in oggetto. [Nota redazionale]
MATRIMONIO (1)
[ENCICLOPEDIA CATTOLICA, vol. VIII, COLL. 407 e segg. – Ente per l’Enciclopedia Cattolica e per il libro cattolico – Città del VATICANO- impr. 1952]
MATRIMONIO [M.]: – Storicamente considerato, può definirsi l’unione dell’uomo e della donna al fine della propagazione e dell’educazione del genere umano. E poiché tale scopo non potrebbe rettamente conseguirsi se le relazioni fra i due sessi non fossero sottoposte ad una disciplina, fin dall’epoca più antica, per necessità stessa di natura, si assiste, presso tutti i popoli, allo stabilirsi di un istituto giuridico-sociale che è appunto il M. . La parola M. viene dal latino matris munus munium, che indica la parte rilevante della donna nella famiglia. Altri nomi: coniugio (lat. coniugium), che il Catechismo di Trento ( parte 2 a , cap. 6, 8) spiega: « quia mulier cum viro quasi uno iugo astringitur »; connubio (lat. connubium, da nubere, velare, dall’usanza di porre sul capo della sposa il flammeum) dalla stessa radice viene la parola nozze (lat. nuptiæ).
SOMMARIO : I. Il M. come Sacramento. – II. Il M. presso i primitivi.[omissis] – III. Storia del M . – IV. Diritto e teologia morale. – V. Liturgia del M.
IL M. COME SACRAMENTO. È il Sacramento che prepara i nuovi candidati al regno di Dio. Ha origine (M. in fieri) dal mutuo e libero consenso di due persone di diverso sesso, che si uniscono in perpetuo, allo scopo di procreare e educare la prole al culto di Dio. Dal mutuo consenso nasce il vincolo indissolubile tra i coniugi (M. in facto esse).
SOMMARIO : I. Il M. in teologia dogmatica. Indole sacramentale del M. – II. Natura del Sacramento del M. – III. Fini del M.
I. IL M. IN TEOLOGIA DOGMATICA. INDOLE SACRAMENTALE DEL M.
– I Sacramenti della Nuova Legge sono segni sensibili produttivi della Grazia, istituiti da Gesù Cristo. Siccome il M. è un’istituzione naturale, che vige fin dalle origini dell’umanità, occorre cercare nelle fonti della Rivelazione, se consti della sua positiva elevazione all’ordine soprannaturale disegno efficace della Grazia.
1. Scrittura. – Nelle prime pagine della Bibbia è delineata la struttura del M. come istituzione naturale (Gen. I, 27-28; II, 18-24), i cui elementi costitutivi sono chiaramente indicati: a) come officium naturæ risultante dall’indole dei sessi e dalla loro mutua attrazione; Dio vi soggiunse una positiva conferma: « Et creavit Deus nomine ad imaginem suam; ad imaginem Dei vreavit illum, masculum et feminam creavit eos. Benedivitque illi Deus et ait: crescite et multiplicamini et replete terram » (ibid.,I,27-28) ; b) è caratterizzato da due doti fondamentali: l’unità e l’indissolubilità « quamobrem relinquet homo patrem suum et matrem et adhærebit uxori suæ; et erunt duo in carne una (ibid., II, 24); c) è orientato al fine principale della procreazione: « Crescite et multiplicamini et replete terram » (ibid., 1, 28; cf. Tob. 8, 9 ) e a quello secondario del mutuo aiuto: « Dixitque quoque Dominus Deus: non est bonum hominem esse solum, faciamus ei adiutorium simile sibi » (Gen. 2, 18); d) porta fin dalle origini qualche cosa di sacro (cf. I Tob. 8, 9; P. Heinisch, Teologia del Vecchio Testamento, trad. it., Roma 1950, p. 217), che tutti i popoli riconobbero nelle cerimonie religiose, di cui circondarono le nozze. Dal vecchio al nuovo Adamo la primitiva unità e indissolubilità non venne sempre osservata, neppure presso il popolo eletto, che per la sua dura cervice ottenne da Dio stesso una temporanea dispensa (cf. Heinisch, op. cit., pp. 220- 22), né, tanto meno presso i pagani, che, abbandonatisi al divorzio ed alla poligamia, scesero presto a quel basso livello morale, da cui Gesù Cristo venne a liberare il mondo. Egli infatti prima restituì il M. alla primitiva purezza, richiamando in vigore la legge dell’unità: Mat. XIX, 9; Mc. X, 11; Lc. XVI, 18) e della indissolubilità: « Quod Deus coniunxit, homo non separet (Matt. XIX, 6), poi lo elevò alla dignità di Sacramento. – Tale elevazione adombrata nel modo di agire di Cristo (cf. Leone XIII, encicl. Arcanum, divinæ sapientiæ, 10 febbr. 1880) è più chiaramente suggerita da s. Paolo, nel celebre testo di Eph. 5; dopo aver detto che l’uomo deve armare la sposa come Cristo ha amato la Chiesa, soggiunge: « per questo l’uomo abbandonerà il padre e la madre sua e si stringerà alla sposa sua e saranno i due una sola carne sola. Questo mistero è grande, io però parlo rispetto a Cristo e alla Chiesa. – Pertanto anche voi, ciascuno ami la sua sposa come se stesso, la sposa poi abbia in riverenza il marito. » – Largamente discusso l’inciso: « Sacramentum hoc, mysterium magnum est, ego autem dico in Christo et in Ecclesia » (v. 32). Il Gaetano, G. Estio, B. Giustiniani soprattutto L. Godefroy (Mariage dans l’Ecriture, in DThC, IX, coll. 2066-71), I. Vosté (Commentarius in epist. ad Eph., 2a ed., Roma 1932, pp. 272-88) e F. Amiot (L’enseignement de st Paul, II, Parigi 1938, p.8) ritengono che da questo testo nessuna prova può dedursi dell’indole sacramentale del M., poiché il versetto va riferito al mistero dell’unione di Cristo con la Chiesa, di cui la primitiva istituzione del M. fu simbolo (figura, typus). Ma, come osserva F. Prat (La teologia di San Paolo, trad. it., II, Torino 1937, p. 270), quest’ipotesi non sembra ammissibile, poiché suppone una intollerabile tautologia: questo mistero, cioè l’unione di Cristo con la Chiesa, è grande, relativamente a Cristo e alla Chiesa. Pertanto la maggior parte degli interpreti, riferisce il μυστήριον [musterion] al M. e vi scorge il fondamento di una prova biblica della sua indole sacramentale. Il processo dimostrativo, molto vario, può essere ridotto a tre tipi di argomentazione:
a) Ex analogia fidei. — I segni sacri seguono l’indole dell’economia soprannaturale cui appartengono; nel Vecchio Testamento non ebbero efficacia santificatrice (Gal. IV, 9 : « infirma et egena elementa »), ma furono soltanto immagini e figure futurorum honorum; nel Nuovo Testamento al contrario hanno avuto da Dio, per i meriti del Redentore, una virtù soprannaturale, con cui penetrano nella coscienza, santificandola (cf. IX-10). In Eph. V, 32 si tratta di un segno sacro, che ebbe origine nella creazione e perdura nella Redenzione (s. Paolo infatti parla ai cristiani ed esalta la grandezza morale del loro M. considerato come segno sacro), si deve pertanto ritenere che nel Vecchio Testamento il M. fu un simbolo ordinato da Dio a significare la futura unione di Cristo con la Chiesa (signum prognosticum, senza alcuna efficacia santificatrice), e che nel Nuovo Testamento rimane, per volere divino, come segno di una realtà già compiutasi sulla Croce, le mistiche nozze di Cristo con la Chiesa e pertanto un signum rememorativum, che appartenendo alla Nuova Legge possiede la prerogativa di santificare interiormente (signum demonstrativum Gratiæ). Né deve fare impressione il diverso orientamento, che acquista il M. nei successivi stati della Legge e della Grazia… se la circoncisione fosse stata conservata da Gesù Cristo come segno della sua alleanza con l’umanità, si avrebbe ragione di pensare che essa sarebbe divenuta un Sacramento in senso stretto. Rivolta verso il passato e non più verso l’avvenire, avrebbe mutato significato e direzione, sarebbe divenuta capace di produrre effettivamente la Grazia dell’alleanza interiore tra Dio e le anime, mentre abbandonata, come un elemento naturale, perdette ogni valore alla morte di Cristo. Così il M., che sotto la Legge era il tipo e la figura della futura unione di Cristo con la Chiesa, cambiò significato (perché Dio lo conservò in ratione signi) quando questa unione fu consumata sul Golgota; da profetico divenne commemorativo, da speculativo pratico, da inerte efficace. – Questo genere di d’argomentazione, svolto con calore da D. Palmieri (De M. christiano, Roma 1880, pp. 62-70), fu accolto da H. Hurter (Theologiæ dogmaticæ compendiun, III, Innsbruck 1900, p. 592), L. Billot (De Sacramentis, Roma 1930, pp. 346-50), L. Lercher – F. Dander (Institutiones theologiae dogmaticae, IV, II, Innsbruck, 1949, pp. 336-39) e da molti altri. – b) Ex oneribus. – Gli sposi cristiani, nei loro mutui rapporti, devono ispirarsi alle relazioni che vigono tra Cristo e la Chiesa: da una parte sottomissione rispettosa fino al sacrificio (Eph. V, 22-24), dall’altra amore e devozione fino alla morte (ibid., 25-29). La gravità di questi obblighi soprannaturali (cf. Mt. XIX, 10) implica una fonte corrispondente di grazie e di aiuti divini. S. Paolo suppone appunto che le a n i m e dei coniugi cristiani siano immerse in una sfera di soccorsi celesti, quando li esorta con calore, a imitare i rapporti di Cristo con la Chiesa, di cui il loro M. è l’emblema. Quest’argomento è comune a tutti i teologi (v., p. es., M. Cordovani, Il Santificatore, 2a ed., Roma 1946, p. 364 sgg). – c) Ex parallelismo. — Il M. cristiano riceve la sua fisionomia dal mistero dell’unione di Cristo con la Chiesa, di cui, secondo s. Paolo, è l’immagine vivente. Non è soltanto un esemplare che rimane fuori, ai margini delle mistiche nozze di Cristo, ma una copia, una riproduzione germogliata da quell’unione, impregnata della medesima essenza, che non solo raffigura, ma riproduce, attivo ed efficiente dentro di sé, il mistero dei rapporti di Cristo con la Chiesa. I due coniugi cristiani, già membri del Corpo mistico, rafforzano nella loro unione soprannaturale i vincoli vigenti tra Cristo e la Chiesa, del cui mistico connubio diventano una propaggine e un prolungamento. L’espressione vivente e l’attuazione concreta dell’unione di Cristo con la Chiesa, affinché realizzi perfettamente quanto significa, deve necessariamente riprodurre e incarnarne le linee fondamentali e le note distintive, cioè l’unità, l’indissolubilità e la santità. Questa prova, toccata con l’usuale profondità da M. – G. Scheeben ( I misteri del cristianesimo, trad. it., Brescia 1949, p. 445-46) , è stata svolta da J . Fischer (Ehe und Jungfràulichkeit im Neuen Test., Mùnster 1919, p. 44), I. B. Colon (Paul [saint], in DThC, XI, coll. 2421-22), C. Adam (La dignità sacramentale del M., trad. it., Milano 1935, p. 16), B. Bartmann (Manuale di teologia dogmatica, trad. it. , III, Alba 1950, p. 350), J . Huby (Les Epitres de la captività, 13° ed., Parigi 1947, pp. 246-248). Questi argomenti, pur non essendo decisivi e tali non ritenuti dai loro autori, rivestono un carattere di spiccata probabilità, che dà piena ragione della studiata frase del Concilio di Trento: « Paulus innuit » ( Denz – U, 969).
SS. Padri. — La Chiesa visse la dottrina di s. Paolo prima di spiegarla scientificamente. In pratica ritenne il M. un negotium sanctum, avvolto nelle ombre del mistero di Cristo. S . Ignazio di Antiochia, all’inizio del sec. II, attesta che il M. dei fedeli era celebrato con l’autorizzazione del vescovo: « Decet ut sponsi et sponsæ de sententia episcopi coniugium faciant, ut nuptiæ secundum Dominum sint, non secundum cupiditatem. Omnia ad honorem Dei fiant » (Ad Polyc, 5, 1). Tertulliano, riferendo quanto era già in uso fin dal sec. II, enumera con precisione gli interventi della Chiesa nella celebrazione del M.: « Unde sufficiamus ad enarrandam felicitatem eius Matrimonii, quod Ecclesia conciliat et confirmat oblatio et obsignat benedictio, Angeli renuntiant, Pater rato habet ? » (Ad uxorem, 2, 9: PL 1, 1415). Da questo testo risulta che il M. non solo si solennizzava coram Ecclesia (« de sententia episcopi, Ecclesia conciliat »), ma era già circondato dai più augusti riti: l’offerta del sacrificio eucaristico (oblatio) e la benedizione sacerdotale (benedictio), di cui si ha una testimonianza esplicita nel Prædestinatus, 3, 31: « Sacerdotes nuptiarum initia consecrantes et in Dei mysteriis sociantes » (cf. s. Ambrogio, Ep. 19, 7: PL 16, 98). L’originario innesto dei nuptiarum solleoni nell’actio liturgica era richiesto dalla persuasione, che la Chiesa in seguito esplicitamente manifestò nei suoi Sacramentari ed Eucologi, nei quali pose il M. tra i Sacramenti veri e propri, e formulò preghiere che espressamente attribuiscono alle nozze cristiane l’efficacia della Grazia (cf. D . Palmieri, De Matrimonio christiano, Roma 1880, pp. 54-55; L. Duchesne, Origines du culte chrétien, 2 a ed., Parigi 1898, pp. 413 – 19 ; A . Villien, Les Sacrements. Histoìre et liturgie, 2a ed., ivi 1931, pp. 335 – 402) . La stessa idea è svolta nei monumenti archeologici. Ivi gli sposi cristiani sono comunemente rappresentati nell’atto di porgersi la mano; tra loro viene posto come segno della mutua unione (concepita sempre nell’ambito della Grazia) o la mano del Signore circondata dai monogrammi costantiniani, talora seguita da una iscrizione (p. es., nel sarcofago di Tolentino: « Quos paribus mentis iunxit M. dulci Omnipotens Dominus »), o la colonna gemmata simbolo della Chiesa, o Gesù ritto in mezzo ai coniugi con la scritta;, o Cristo, considerato come « Pro nubo » delle nozze dei suoi fedeli, p. es., nel frammento Albani, secondo la spiegazione di s. Paolino da Nola: « Absit ab his thalamis vani lascivia vulgi Iuno, Cupido, Venus, nomina luxuriæ. Sancta sacerdotis veneranda pignora pacto iunguntur; comun pax, pudor et pietas … Tali lege suis nubentibus adstat Iesus Pronubus » (Carm., XXV, 9-12, 151 : P L 51, 633. 636; cf. O. Marucchi, La santità del M. confermata dagli antichi monumenti cristiani, Roma 1902; G . Wilpert, La fede della Chiesa nascente secondo i monumenti dell’arte funeraria antica, Città del Vaticano 1928, pp. 249 – 55). – Parallelo alla tradizione liturgica ed archeologica, d’indole prevalentemente pratica, è il ripensamento teoretico dei motivi evangelici e paolini concernenti il M. Dal sec. III al V tre concetti sono costantemente ripetuti: a) il M. cristiano è il simbolo dell’unione di Cristo con la Chiesa (Clemente Aless., Strom., 3, 12: PG 8, 1186; Origene, Fragm. in Io., 3, 29: CB, IV, 520; id., Hom. 11 in Num.: PG 12, 643; Crisostomo, Hom. 40 in Eph.: ibid., 62, 140; s. Ilario di Poitiers, Tractatus de mysteriis, 3: CSEL, 65, 4 – 5; s. Ambrogio, Ep., 76: PL 16, 399; Ambrosiaster, In Eph., 5, 31: ibid., 17, 399); b) cui è connessa l’infusione della Grazia: « Siratum est apud Deum Matrimonium … habens iam ex parte divina e Gratia; patrocinium » (Tertulliano, Ad uxorem, 2, 7, PL I, 1229); « Deus quidem est, qui duo in unum compegit … et quotiamo coniunctionis auctor est Deus, propterea iis in est Gratia, quia Deo coniuncti sunt; quod non ignorans Paulus connubium Verbo Dei consentaneum gratiam esse pronuntiat » (Origene, In Mt., 14, 16: PG 13, 1229; cf. s. Epifanio, Hæres, 51, 30: ibid., 41, 941; s. Innocenzo, Ep., 3 6 : PL 20, 602; s. Cirillo Aless., In Io., 2, 1: PG 73, 224); c) la cui elevazione all’ordine della Grazia avvenne a Cana di Galilea, ove il Redentore perfezionò l’opera del Creatore : « In Cana Galilea e externæ sunt celebratæ nuptiæ… ut quod deerat emendaret ac iucundissimi vini suavitat emulceret et Gratia » (s. Epifanio, Hæres., 51, 30: PG 41, 941); « Cum nuptiæ celebrarentur … adest quidam Mater Salvatoris, sed et ipse cum discipulis suis invitatus venit … ut gener ationis humanæ principium sanctificaret » (s. Cirillo Aless., In Io., 2, 1 : PG 73, 224); « Vadit ad nuptias Dei Filius ut, quas dudum potestate constituit, tunc praesentiæ suæ benedictione sanctificet » (s. Massimo di Torino, Hom., 23 : PL 57, 274; cf. Teodoreto di Ciro, Hæret. fabularum compendium, 5, 25: PG 83, 537; s. Giov. Damasceno, De fide orihod., 4, 2 4 : ibid., 94, 1209). S. Agostino, caldo difensore della liceità del M. contro i manichei e Gioviniano, era preoccupato di porre in luce il tripartitum bonum: fides, proles, Sacramentum (De nuptiis et concupiscentia, 11: PL 44, 421; De bono coniugali, 24, 32 : ibid., 40, 394). Fermando la sua attenzione sull’ultimo punto della trilogia (Sacramentum), s. Agostino svolge ampiamente il simbolismo paolino (cf. B. Alves Pereira, La doctrine du Mariage selon st. Augustin, Parigi 1930, pp. 184-223) e conclude costantemente che la res Sacramenti è l’indissolubilità del M., la quale imita in modo perfetto la inscindibilità delle mistiche nozze di Cristo con la Chiesa: « Huius procul dubio Sacramenti res est ut mas et fœmina connubio copulati, quamdiu vivunt, inseparabiliter perseverent » (De nuptiis et concupiscentia, 1, 10: PL 44, 420); « Bonum nuptiarum, quod ad populum Dei pertinet, est etiam in sanctitate Sacramenti, per quam nefas est etiam repudio discedentem alteri nubere. » (De bono coniugali, 24, 31 : ibid., 40, 394). Il vincolo dei coniugi cristiani (res Sacramenti) è talmente profondo che può essere paragonato al carattere indelebile del dell’Ordine (ibid.). In questa prospettiva la Grazia è vista nel M. solo di scorcio, come la regione ultima (cui si allude forse nella parola sanctitas) del vincolo dei coniugi, immagine perfetta dell’unione di Cristo con la Chiesa. Ma s. Agostino non deve essere isolato dagli altri Padri di cui accettò l ‘ insegnamento, e tanto meno dagli scrittori africani, soprattutto da Tertulliano, di cui continuò la tradizione dottrinale.
Scolastici. – L’insegnamento dei Padri nella particolare formulazione agostiniana, divenne comune. Trasmesso al medio evo nella rapida sintesi di S. Isidoro di Siviglia (De ecclesiasticis officiis, 2, 20: PL: 83, 812), riaffiorò timidamente nei secc. IX-XI, per affermar pur nelle modifiche e negli ampliamenti che subì , attraverso le opere teologiche e canonistiche del secolo XII: Ugo di Amiens (Contra hæreticos, 3, 4: PL 192, 1289), Abelardo (Epitome theologiæ, 31: ibid. 178, 1747), Ugo di S. Vittore (De Sacramentis: ibid. 176, 481-82, 494: con una distinzione singolare tra Sacramentus majus e minus), Onorio di Autun (Elucidarium, 2, 16, ibid. 172, 1147, Pietro Lombardo (IV Sent., d. 26, c, 6), presso il quale è già imbastita un’intera trattazione sistematica de Matrimonio, che, perfezionata da s. Bonaventura e da s. Tommaso, divenne la dottrina classica della teologia cattolica. – Maturatasi fin dalla metà del sec. XII la speculazione sul significato intimo di Sacramento della Nuova legge che implica il concetto inscindibile di segno e di causa (id efficit quod significat), esso fu applicato al M. si ebbe così l’occasione di affermare, in forma scientifica quanto la tradizione dei Padri, attinta dalle fonti bibliche, aveva insegnato in modo semplice e popolare. L’applicazione non avvenne senza contrasti: nel sec. XII Abelardo, pur riconoscendo al M. la dignità di magnæ rei Sacramentum, lo riteneva Sacramento non spirituale e pertanto « non alicuius meriti ad salutem, sed propter inconvenientiam ad salutem concessum » (Epitome theologiæ, 28: PL 178, 1738); mentre Ugo di S. Vittore lo considerava vera fonte di Grazia (De Sacramentis, II, 2, C. 8: ibid. 186, 496). – Questa oscillazione dottrinale continuò per un secolo (dal 1150 al 1250) presso canonisti e teologi e venne definitivamente eliminata dal chiaro insegnamento di S. Tommaso (IV Sent., d. 26, q. 2, a. 3), la cui efficacia non fu sminuita dalla tenace resistenza dell’Olivi e di Durando, poiché accolta nel Decretum prò Armenis (Denz.-U, 695e 702), divenne dottrina autentica della Chiesa. – Già da secoli i romani pontefici avevano annoverato il M. tra i veri e propri Sacramenti della Nuova Legge: nel Concilio Lateranense II (1139) e Veronese sotto Lucio III (1184), nella Epist. ad Umbertum, (1198) e nella Professio fidei Waldensìbus præscripta (1208) di Innocenzo III, nella Professio fidei M. Paleologo proposita (1274) di Gregorio X, nella condanna dei Fraticelli da parte di Giovanni XXII ( Denz – U , 367, 402, 406, 424, 465, 490).
Errori protestanti. — È contro questo secolare e solenne insegnamento, che urtarono le audaci innovazioni di Lutero: « Mai si legge che abbia ricevuto la Grazia di Dio chi ha preso moglie. Anzi neppur il simbolo stato istituito da Dio nel M . . . I l M . dunque venga pure inteso come un’allegoria dell’unione di Cristo e della Chiesa, ma non come Sacramento istituito da Dio; è un Sacramento introdotto nella Chiesa degli uomini per ignoranze delle cose e delle parole » (De capti vitate Babylonica, 7, in M. Lutero, Scritti politici, a cura di G. Panzieri Saija, Torino 1949, pp. 314, 317). Per il « riformatore » il M. è una necessità assoluta della vita, come il bere e il mangiare, regolato quindi da leggi maramente umane, da ritenersi pertanto un affare esclusivamente civile: ein weltlich Ding (cf. A. Kawerau. Die reformation und die Ehe, Halle 1892; L. Cristiani, Du lutheranisme au protestantisme, Parigi 1911, pp. 181-82; J. Pasquier, Luther, in DThC, IX, coll. 1276-82) . Queste idee furono condivise da tutti i protestanti, particolarmente da Calvino (cf. Institutio christianæ religionis, 4, 19), che nel commento alla Lettera agli Efesini stigmatizzò l’insegnamento cattolico di crassæ ignorantiæ hallucinatio (Opera Calvini, in Corpus reformatorum, LXXIX, 227).
Concilio di Trento. – Contro questo svisamento della verità lottarono con ardore e erudizione i teologi cattolici del cinquecento (cf. V. Zollini, De Matrimonii Sacramento novatorum errores, catholicorum exsplanationes, Roma 1943 ; tesi inedita dell’Ateneo di Propaganda Fide) e emise le sue solenni definizioni di Concilio di Trento, sess. XXIV (11 nov. 1563), che vigorosamente affermò l’indole sacramentale del M., trattando inoltre delle sue proprietà (Denz – U, 969-82). Le limpide e precise formule di Trento, felice epilogo della tradizione cristiana, che tanta uggia recarono ai regalisti e ai febroniani, accesi « secolarizzatori » del M., vennero riprese e illustrate, secondo le esigenze dei tempi, da Pio VI contro Scipioni Ricci (Denz-U, 1556-60), da Pio IX, nel Syllabo (Ibid. 1765-76); da Leone XIII nell’enciclica Arcana divinæ sapientiæ, 10 febbr. 1880 (ed. F. Hürt, Roma 1942), di cui sono celebri la concisione del dettato e la robustezza delle formole; da Pio X, nel decreto Lamentabili contro i modernisti ( Denz-U, 2251); da Pio XI nella classica encicl. Casti connubii, 31 dic. 1930 (ed. ed. Hürt, Roma 1942).
NATURA DEL SACRAMENTO DEL M. –
Contratto e Sacramento. – Intorno alla natura di questo Sacramento, la questione fondamentale, da cui tutte le altre logicamente dipendono, riguarda il rapporto in cui si trovano il contratto e il Sacramento: se cioè il M. dei cristiani, prima di essere un Sacramento, debba considerarsi come un contratto, in modo da potere distinguere in esso due elementi successivi, il primo dei quali debba considerarsi come fondamento necessario del secondo; o se invece il contratto resti compenetrato totalmente dal Sacramento. – La concezione che separa il contratto dal Sacramento entrò tardi nella dottrina, ed ebbe propugnatori fino al sec. XIX, per motivi non sempre di ordine teologico. Vi contribuirono alcuni teologi in buona fede, i quali non prevedevano certamente i frutti funesti che ne sarebbero derivati. – Il primo fu Melchior Cano (Opera theologica, II, Roma 1900, cap. 8), secondo cui il contratto matrimoniale non è che la materia del Sacramento, al quale si aggiunge la benedizione del sacerdote ministro come forma sacramentale. Ciò conduceva direttamente a ritenere concepibile un vincolo matrimoniale che non fosse Sacramento: e lo affermava egli stesso senza ambagi. Il teologo spagnolo ebbe molti seguaci fino alle soglie del sec. XIX (p. es., Silvio, Estio, Tournely, lo stesso Benedetto XIV, prima che divenisse papa). Alla medesima conclusione conduceva la teoria del Vasquez e dei Salmanticensi, secondo cui i due elementi sono certamente legati tra di loro, ma il contratto conserva il suo valore naturale, nel caso che i fidanzati intendessero concludere solo un contratto: rimarrebbe quindi in loro potere separare il contratto dal Sacramento. – Alcuni teologi e canonisti moderni, gallicani e giuseppinisti (p. es., M. A. de Dominis, Launoy, Nuytz), separavano ancor più il contratto dal Sacramento. Essi ritenevano che tra questi due elementi non esistessero che rapporti estrinseci, in quanto la benedizione del sacerdote si aggiungerebbe esteriormente al contratto. Per opera di questi teologi la distinzione dal terreno teologico scese su quello politico, prestando un valido argomento alle pretese dello Stato in materia matrimoniale. In tal maniera si favorì il M. civile moderno. – Secondo l’insegnamento cattolico, invece, nel M. cristiano il contratto e il Sacramento, pur essendo logicamente distinti, realmente si identificano, poiché « Cristo Signore elevò a dignità di Sacramento lo stesso contratto matrimoniale tra battezzati » (CIC, can. 1012 § 1). Il contratto, quindi, dal piano di officium naturæ viene innalzato all’ordine della Grazia, in maniera che questa sublimazione di valore compenetra il contratto integralmente. Non è concepibile una vivisezione, per cui il contratto rimanga nella zona di natura, e acceda, quasi a perfezionarlo, il Sacramento. Pertanto il CIC dichiara che « tra battezzati non può esistere valido contratto che non sia al tempo stesso Sacramento » (can. 1012 § 2). Tale dottrina, pur non essendo proposta nell’insegnamento ufficiale della Chiesa tamquam divinitus revelata, è però certa, anzi dalla S. R. Rota è stata giudicata proxima fidei (AAS, 11 [1919], p. 933). Del resto i Padri hanno ignorato la distinzione, come pure i teologi prima del sec. XVI. Inoltre Eugenio IV nel Decretum prò Armenìs implicitamente affermò che il contratto matrimoniale e il Sacramento nei fedeli non sono due cose distinte (Denz – U, 702) . L o stesso concetto è supposto dal Concilio di Trento, che attribuì valore sacramentale ai M. clandestini celebrati prima del decreto Tametsi (Denz-U, 990); ed è difeso validamente da Pio IX in un breve al Re di Sardegna (1852) e inoltre nell’allocuzione Acerbissimum vobiscum del 27 sett. 1852 ( Denz – U, 1640) e nella condanna degli errori contrari, contenuti nelle proposizioni 66 e 73 del Sillabo (Denz-U, 1766, 1773); da Leone XIII nell’encicl. Arcanum (10 febbr. 1880: Denz-U, n. 1854) e da Pio XI nell’encicl. Casti connubii (31 dic.1930: ibid., n. 2237).
Materia e forma. — Poiché il Sacramento non è altro che il contratto naturale elevato all’ordine della Grazia, ne segue che gli elementi costitutivi del Sacramento devono identificarsi con gli elementi costitutivi del contratto stesso. Il segno sensibile del Sacramento del M. pertanto è costituito dal reciproco consenso dei due sposi. Le parole che esprimono tale consenso vengono considerate come materia, in quanto contengono la donazione di una parte all’altra, e come forma, in quanto implicano l’accettazione di questa donazione. – Non si richiede tuttavia la formalità di determinate parole, perché Cristo non richiese come segno sensibile di questo Sacramento se non ciò che è necessario a costituire il contratto umano: è sufficiente pertanto qualsiasi segno, con cui venga espresso il consenso interno. – Tale dottrina, formulata dal Bellarmino, dal Suàrez, dal Sanchez, è ritenuta comunemente da quasi tutti i teologi moderni, e ricorre nella stessa cost. Paucis, del 19 marzo 1758, di Benedetto XIV. Non possono ad essa opporsi le parole del Concilio di Firenze, che stabilisce un triplice elemento per la costituzione del Sacramento « rebus tamquam materia, verbis tamquam forma et persona ministri », in base alle quali alcuni teologi sostennero che materia sono i corpi, e forma sono le parole con cui i contraenti si trasferiscono reciprocamente lo ius in corpus. Nel M. infatti, come nel Sacramento della Penitenza, non esiste una materia vera e propria. I corpi dei contraenti non costituiscono il contratto, ma ne sono piuttosto l’oggetto (materia remota circa quam). Il contratto viene concluso formalmente per il fatto che le parti esprimono esteriormente il loro consenso. In ciò consiste il segno sensibile del Sacramento del M. (cfr. s. Tommaso, IV Sent., d. 26, q. 1, a. I sol. 2). In un secondo momento vengono distinti, per analogia con gli altri Sacramenti, un elemento determinabile ed uno determinante, ossia una mutua donazione e una mutua accettazione del diritto sul corpo, rispettivamente chiamata materia e forma. – I teologi, che considerano il sacerdote come ministro del Sacramento del M., ritengono che il contratto sia la materia, e le parole della benedizione siano la forma che suggella e conferma il contratto. Già si è rilevato come tale opinione parta da un principio insostenibile. I sostenitori portano come argomento le parole del Rituale « Ego coniungo vos », ma occorre osservare come esse non esistono nei Rituali più antichi, e che il Concilio i Trento ne lasciò facoltativo l’uso e permise altre formule alquanto diverse (Denz-U, 990). Ciò non sarebbe stato stabilito, se la Chiesa avesse ravvisato in queste parole la forma sacramentale del M.
Ministri. – Ministri del Sacramento del M. sono i contraenti stessi: data l’inseparabilità del Sacramento dal contratto, chi fa il contratto fa anche il Sacramento. Il sacerdote celebra il rito, non il Sacramento; la sua assistenza è solo di testimone qualificato, che riceve il consenso degli sposi in nome della Chiesa. – I Padri misero in rilievo la benedizione della Chiesa e la richiesero, ma nulla fa supporre che nella benedizione abbiano visto la forma necessaria: essi infatti non negarono mai la validità dei M . clandestini, La Scolastica ebbe un identico punto di vista. S. Tommaso considerò la benedizione del sacerdote come un sacramentale. Il M . si compie con il mutuo consenso (Sum. Theol.., Suppl. q. 45, a. 5), e questa concezione presso gli scolastici è tanto più degna di nota, in quanto essi misero molto in risalto l’azione del sacerdote nel Sacramento. – Il Concilio di Trento suppose la medesima dottrina poiché, sebbene abbia imposto di contrarre davanti al parroco e a due testimoni, tuttavia non contestò la validità dei M . clandestini (Denz-U, 990. Pio X, nella cost. Provida (18 genn. 1906) sul M., richiese la forma tridentina, ma in caso di assenza prolungata del sacerdote, dichiarò che il M. può essere contratto validamente e lecitamente davanti a due testimoni laici (Denz-U, 2069). Il Codice ha stabilito: « Matrimonium facit partium consensus in personas iure habiles legitime manifestatus » (can. 1081) [Il matrimonio nasce dal legittimo consenso manifestato]. Pertanto la sentenza contraria di Melchior Cano, dei gallicani e giuseppinisti, che un tempo ebbe molti aderenti, è oggi totalmente abbandonata.
Soggetto. – Soggetto capace di ricevere « validamente » il M. è solo il battezzato, che non abbia impedimenti dirimenti. – Per ricevere « lecitamente e con frutto » il M., occorre l’assenza degli impedimenti impedienti e lo stato di Grazia. Il M . contratto con gli impedimenti impedienti è valido, ma la Grazia non viene conferita, a motivo dell’ostacolo posto dal peccato grave al momento della conclusione del contratto. Quanto allo stato di Grazia, esso è richiesto perché il M. è un Sacramento dei vivi; tale stato può essere procurato o con la contrizione perfetta oppure con la Confessione. Quantunque lo stato di Grazia ottenuto con il Sacramento della Penitenza sia prescritto solo per l’Eucaristia, il CIC tuttavia ordina che il parroco esorti i fidanzati a confessare i loro peccati ed a ricevere piamente la S. Comunione prima della celebrazione del M. (can. 1033). – Non può darsi M. valido tra battezzati al tempo stesso anche Sacramento: ciò si verifica anche quando i contraenti non sono consapevoli di questo, o vogliono contrarre M. valido con l’esclusione del Sacramento, oppure errano credendo che il M. non sia un Sacramento. Ricevono quindi il Sacramento non solo i Cattolici, ma anche gli eretici, gli scismatici e gli apostati. Su questo non c’è controversia. Dibattuta invece è la questione se si abbia il Sacramento quando due coniugi infedeli si convertono e si battezzano. Secondo alcuni, si richiede la rinnovazione, espressa o tacita, del consenso; secondo altri tale M. non può mai elevarsi alla dignità di Sacramento. Oggi prevale l’opinione, già difesa dal Bellarmino (De Matrim. Sacramento, cap. 5), secondo diventa Sacramento nell’atto stesso in cui i due coniugi ricevono il Battesimo. Il Bellarmino è stato seguito da Sànchez, Perrone, Pesch, Billot, Cappello, De Smet, Wernz-Vidal. Tale opinione ha un fondamento biblico, poiché le parole di s. Paolo agli Efesini (Eph. 5, 32) erano rivolte a cristiani, di cui molti certamente si erano sposati nell’infedeltà; è fondata anche teologicamente, se si considera che causa efficiente del vincolo sacramentale nel M. tra battezzati è il consenso naturale dei fedeli, e che pertanto al carattere sacramentale del M. degli infedeli si oppone soltanto la carenza del Battesimo; sopravvenendo questo, il vincolo, permanente, viene elevato a significare l’unione di Cristo con la Chiesa, e a tale M. nulla manca perché ad esso non debba applicarsi il principio generale: « Matrimonium inter christianos est Sacramentum ». Un nuovo consenso, necessario per avere il Sacramento, è da escludersi, perché il Battesimo non scioglie, ma lascia in vigore il precedente M.; c’è sempre, quindi, un unico M. sempre perseverante, in cui l’originale consenso conserva sempre il suo valore. – Diversa : conclusione prevale nel caso del M. contratto tra un battezzato e un infedele. Vi è chi ritiene che un tale M. sia un Sacramento per la parte fedele (Sasse, Rosset, Pesch). Altri ciò affermano, quando sia intervenuta la dispensa dall’impedimento relativo. Ma la sentenza più comune non ammette questo sdoppiamento: se Sacramento non c’è, com’è certissimo, per il coniuge infedele, così, per l’inscindibilità del contratto e del Sacramento non vi può essere neppure per il coniuge fedele (Wernz-Vidal, Cappello, Noldin, Gasparri).
Effetti. – Gli effetti di questo Sacramento consistono nella formazione del vincolo sacramentale, nell’aumento della Grazia santificante e nel diritto a tutte le grazie attuali necessari e per vivere cristianamente lo di M. – Il vincolo coniugale costituisce la res et Sacramentum; funge da causa dispositiva per l’infusione della Grazia, e preserva fino a quando non sia legittimamente disciolto. Il conferimento della Grazia santificante è verità di fede definita dal Concilio di Trento nella sess. VII, can. 6, 8 (Denz – U, 849, 851) e XXIV, can. 1 (Denz. – U, 791). Si tratta della Grazia seconda perché il M., simboleggiando l’unione di Cristo con la Chiesa, è un Sacramento dei vivi. Quando è ricevuto consapevolmente in stato di peccato mortale, è valido se ci sono tutte le altre condizioni, ma illecito. La Grazia in tal caso rivive in seguito, quando vien tolto l’ostacolo. Se invece è ricevuto in stato di peccato inconsapevolmente, produce « per accidens » la prima giustificazione per mezzo dell’attrizione. – Il diritto alle grazie attuali speciali costituisce uno degli aspetti della Grazia sacramentale, propria di questo sacramento, per mezzo della quale i coniugi vengono messi in grado di raggiungere le alte finalità della vita matrimoniale. Già s. Paolo accenna all’effetto negativo della moderazione della concupiscenza: « Per evitare l’impudicizia, ognuno abbia la sua moglie, e ogni donna abbia il suo marito » (I Cor. VII, 2 ; cf. I Thess. IV, 4 – 5). Il Concilio di Trento ricorda inoltre, tra gli effetti operati dal Sacramento, il perfezionamento dell’amore naturale e il consolidamento dell’unità indissolubile, dai quali gli sposi sono santificati, allo stesso modo che il vincolo che unisce Cristo con la Chiesa è vincolo di carità e santità (Denz–U, 969). La Casti connubii parla di vivere il M. « la cui efficace virtù, sebbene non imprima il carattere, è tuttavia permanente ». A questo riguardo l’enciclica commenta un testo di S. Roberto Bellarmino: « Il Sacramento del M. è simile all’Eucaristia, la quale è Sacramento non solo mentre si fa, ma anche mentre perdura; perché, fin quando vivono i coniugi, la loro unione è sempre il Sacramento di Cristo e della Chiesa » (De Matr., II, 6). Perciò tutti gli atti che traducono nella pratica, che continuano e ratificano nei particolari il dono vicendevole, ossia tutto quello che tra gli sposi è manifestazione dell’amore santificato, è fonte di Grazia. Per tal modo lo stato del M . può essere eminentemente santificante.
Poteri della Chiesa. – Il M. dei fedeli è sempre Sacramento, e il potere di amministrare i Sacramenti fu conferito esclusivamente da Gesù Cristo alla sua Chiesa; ad essa pertanto compete il diritto proprio, esclusivo, indipendente, di determinare quanto è necessario per la valida e lecita celebrazione del M. cristiano (can. 1038). – In particolare, rientra nei poteri specifici della Chiesa: a) interpretare e dichiarare in forma autentica ed esclusiva (non derogare e dispensare senza espresso mandato di Dio) il diritto divino, in virtù della sua potestà di magistero (can. 1322); b) determinare gli impedimenti dirimenti e impedienti, e prescrivere le condizioni richieste per la lecita e valida celebrazione del M.; c) procedere e sentenziare su tutte le cause matrimoniali circa l’esistenza, la validità, gli effetti e la soluzione degli sponsali e del M. stesso, e circa la separazione coniugale; d) costringere i coniugi delinquenti, anche con pene, all’osservanza delle sue leggi e delle sue sentenze. Questi poteri della Chiesa indirettamente si estendono anche sull’infedele, qualora questi voglia contrarre M. con un battezzato; onde la legge che obbliga direttamente uno dei contraenti, vincola indirettamente anche l’altro. Nel caso, il Battesimo di una parte basta a determinare la competenza della Chiesa in merito. – Da ciò segue che allo Stato non compete potere alcuno sulla liceità o validità del M. dei fedeli, per i quali il Sacramento non si distingue dal contratto. Esso può unicamente: a) fissare certe condizioni, obbligatorie civilmente, per chi voglia contrarre M., purché ciò sia richiesto dal bene pubblico e non contrasti con il diritto divino e canonico; b) legiferare sugli effetti temporali, separabili dalla sostanza del M. In questo la sua competenza è propria ed esclusiva. L’esercizio di questo potere della Chiesa già si riscontra in s. Paolo (I Cor. 5); fin dai primi secoli la Chiesa affermò questi suoi diritti, indipendenti dal potere civile, così che durante il medioevo il diritto canonico divenne prevalente, se non esclusivo. Non mancarono resistenze da parte dei principi, ed errori da parte dei canonisti e teologi regalisti. I protestanti, considerando il M. non più come Sacramento ma come semplice contratto, lo fecero dipendere esclusivamente dalla giurisdizione civile. Ma non mancarono teologi (Sànchez, Soto, Billuart) che, pur tenendo inseparabile per i fedeli il contratto dal Sacramento, concedevano ad ambedue le autorità il diritto proprio sul M., a meno che la Chiesa non volesse riservarsi, come si riservò, il diritto di stabilire l’esclusività. Ma anche in questo caso si concedeva allo Stato il diritto di stabilire impedimenti proibenti, riservando alla Chiesa i dirimenti. – La dottrina cattolica emerge da numerose ed esplicite dichiarazioni dell’insegnamento ufficiale della Chiesa: Concilio Tridentino (sess. XXIV, cann. 3, 4, 9, 12); Pio VI, Errores Synodi pistoriensis, propp. 58-60 (Denz – U, 1558 – 60); Breve ad archiep. Trevirensem, 1782; Ep. Ad episc. Motulensem, 1788; Pio IX, Syllabus, propp. 68-70 ( Denz – U, 1768-70); Leone XIII, encicl. Arcanum; Pio XI, encicl. Casti connubii; CIC, cann. 1016, 1038, 1040, 1960-61.