Incipit
In nómine Patris, ☩ et Fílii, et Spíritus Sancti. Amen.
Introitus
Prov XXIII:24;25
Exsúltat gáudio pater Justi, gáudeat Pater tuus et Mater tua, et exsúltet quæ génuit te. [Esulti di gaudio il padre del Giusto, goda tuo Padre e tua Madre, ed esulti colei che ti ha generato.]
Ps LXXXIII:2-3
Quam dilécta tabernácula tua, Dómine virtútum! concupíscit et déficit ánima mea in átria Dómini. [Quanto sono amabili i tuoi tabernacoli, o Signore degli eserciti: anela e si strugge l’anima mia nella casa del Signore.]
Exsúltat gáudio pater Justi, gáudeat Pater tuus et Mater tua, et exsúltet quæ génuit te. [Esulti di gaudio il padre del Giusto, goda tuo Padre e tua Madre, ed esulti colei che ti ha generato.]
Oratio
Orémus.
Dómine Jesu Christe, qui, Maríæ et Joseph súbditus, domésticam vitam ineffabílibus virtútibus consecrásti: fac nos, utriúsque auxílio, Famíliæ sanctæ tuæ exémplis ínstrui; et consórtium cénsequi sempitérnum: [O Signore Gesú Cristo, che stando sottomesso a Maria e Giuseppe, consacrasti la vita domestica con ineffabili virtú, fa che con il loro aiuto siamo ammaestrati dagli esempi della tua santa Famiglia, e possiamo conseguirne il consorzio eterno:]
Lectio
[Ad Romanos, XII, 1-5]
Obsecro itaque vos fratres per misericordiam Dei, ut exhibeatis corpora vestra hostiam viventem, sanctam, Deo placentem, rationabile obsequium vestrum. Et nolite conformari huic saeculo, sed reformamini in novitate sensus vestri : ut probetis quae sit voluntas Dei bona, et beneplacens, et perfecta. Dico enim per gratiam quae data est mihi, omnibus qui sunt inter vos, non plus sapere quam oportet sapere, sed sapere ad sobrietatem: et unicuique sicut Deus divisit mensuram fidei. Sicut enim in uno corpore multa membra habemus, omnia autem membra non eumdem actum habent: ita multi unum corpus sumus in Christo, singuli autem alter alterius membra.
Omelia I
[Mons. Bobomelli, Omelie, vol. I, Torino, 1899]
Omelia XI.
– Vi esorto, o fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi in sacrificio vivo, santo, accettevole a Dio: ad offrire il vostro culto ragionevole. Non vi conformate a questo secolo; anzi riformatevi, rinnovando il vostro spirito, affinché conosciate quale sia la volontà di Dio buona, accettevole e perfetta. Perciocché in virtù della grazia concessami, io dico a tutti voi di non farla da savi più di quello che conviene, ma di essere savi con modestia secondoché Dio dà a ciascuno la misura della fede. Poiché come in un corpo abbiamo molte membra, ma non tutte le membra hanno la stessa operazione, così in molti siamo un corpo solo in Cristo, e ciascuno è membro l’uno dell’altro „ (Ai Rom. XII, vers. 1-5).
Così S.Paolo nei primi cinque versetti del capo XII ai Romani. — Nei capi antecedenti il grande Apostolo ha ragionato profondamente e a lungo della grazia di Dio, della sua gratuità e che nessuno può insuperbire dei doni ricevuti: in questi versetti discende alla parte pratica e tocca verità troppo necessarie a qualunque cristiano, qualunque sia il suo stato. Vi piaccia udirle e meditarle. “Vi esorto, o fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi in sacrificio vivo, santo, accettevole a Dio: ad offrire il vostro culto ragionevole.„ Due qualità soprattutto brillano nelle lettere dell’Apostolo, che sembrano ripugnanti tra loro, eppure in lui si accoppiano mirabilmente, e sono la forza del dire e la tenerezza dell’affetto, l’intrepidezza dell’Apostolo e il cuore del padre. Egli, come Apostolo, potrebbe comandare; invece preferisce esortare e supplicare, chiamando fratelli i suoi figli spirituali. Egli esorta, supplica, obsecro vos, fratres, per ciò che vi è di più commovente e di più dolce e caro, per la misericordia di Dio, per ciò che Iddio ha di più intimo, per la sua carità sì pietosa per noi. Vi piaccia, o dilettissimi, rilevare la differenza che corre tra l’autorità umana e civile e l’autorità sacra e religiosa. La prima riguarda solo gli atti esterni e si appoggia alla forza: la seconda entra nel santuario delle coscienze e domanda la persuasione e ritrae l’indole della autorità paterna. Perciò l’autorità sacra ed ecclesiastica, benché vera autorità e di tanto superiore alla terrena e civile, in generale rifugge dall’impero, dal costringimento, dal dominio, secondo le parole di Cristo e quelle del suo primo Vicario, che dissero di non esercitare il potere alla foggia dei re signoreggiando, ricordandoci che siamo fratelli e che chi comanda si governi come chi è soggetto. S. Paolo, ripieno di questo spirito di Cristo, scrive: “Fratelli, io vi scongiuro. „ L’Apostolo prega, non comanda! Questa idea sì sublime e sì bella della autorità fu portata sulla terra da Gesù Cristo. – Carissimi! Non sarebbe buona e santa cosa, allorché possiamo comandare ai nostri fratelli, imitassimo l’Apostolo, e invece li pregassimo e supplicassimo? Forse saremmo più prontamente e più soavemente obbediti. – E di cosa S. Paolo prega e supplica i suoi fratelli? Egli li prega di offrire i loro corpi in sacrificio vivo, santo, accettevole a Dio. Presso gli Ebrei e presso gli stessi Gentili si offrivano moltissimi sacrifici; si svenavano buoi, agnelli ed altri animali. No, no, grida l’Apostolo: non sono questi i sacrifici che dovete offrire a Dio: offrite i vostri corpi stessi, dice S. Paolo. Ma dobbiamo noi uccidere i nostri corpi in onore di Dio? No, non occorre uccidere i nostri corpi, che sarebbe delitto: il nostro sacrificio, a differenza degli antichi, che non piacquero a Dio, deve essere sacrificio vivo. Non dobbiamo ferire od uccidere il corpo per compire questo sacrificio, ma dobbiamo ferire, e se fosse possibile, uccidere le nostre passioni, che si annidano nel corpo. Uccidiamo la superbia, l’avarizia, la lussuria, la gola, l’ira, tutte le malnate tendenze, che militano nel nostro corpo, ed avremo offerto un sacrificio vivo, santo, gradito a Dio. Vi furono e vi sono ancora alcuni, che abusando di alcune sentenze della S. Scrittura, dissero, doversi onorare Dio in ispirito e verità e gli atti esterni del corpo non giovare a nulla, ed essere quasi d’impaccio al culto dello spirito. Voi vedete che l’Apostolo qui vuole che offriamo a Dio i nostri corpi: dunque anche il culto esterno e materiale è gradito a Dio. E in vero: non è esso ancora congiunto allo spirito e da esso inseparabile? Chi offre il corpo e i suoi atti se non lo spirito? E poi il corpo non è esso pure dono di Dio? Perché non lo offriremo a Dio, restituendogli, quasi dissi, lo stesso suo dono? Certo è il sacrificio del cuore, dello spirito, che Iddio vuole principalmente, ma non senza del sacrificio del corpo, che deve seguire quello dello spirito. — Non basta. L’Apostolo vuole un altro sacrificio, “il sacrificio o culto ragionevole. „ Che è questo culto o sacrificio ragionevole? Noi abbiamo il corpo e nel corpo le passioni disordinate: al di sopra del corpo abbiamo l’anima, e il vertice, la punta dell’anima è la ragione, di cui siamo sì teneri e sì superbi. Ebbene anche questa ragione dobbiamo sacrificarla a Dio, che ce l’ha data. In che modo? Con la fede. Allorché ci si presentano i misteri della fede, la nostra ragione ricalcitra, si irrita, vorrebbe ribellarsi, perché non li comprende e si sente umiliata e ferita. Ma i misteri ci sono imposti da Dio, che ci fa udir la sua voce per mezzo della Chiesa: noi li dobbiamo ammettere e credere con tutta la certezza; ancorché in se stessi non li intendiamo. Con uno sforzo supremo, sorretti dalla grazia, noi diciamo a Dio: Non comprendo ciò che mi imponete di credere: sottometto la mia mente, ve ne fo il sacrificio e credo. — Ecco il sacrificio più nobile che l’uomo possa fare dopo quello delle sue passioni e della sua volontà, il sacrificio della mente! — E noi lo facciamo ogni volta, che diciamo il Credo. – Non vi conformate a questo secolo. „ Offrendovi totalmente, corpo ed anima a Dio, è impossibile, soggiunge l’Apostolo, che abbiate a seguire questo secolo. Con la parola secolo, qui come altrove, l’Apostolo, vuol significare il mondo con le sue passioni e con la sua corruzione. Lo storico Tacito prende la parola secolo nel senso di S. Paolo, dove scrive: ” Corrumpere et corrumpi sæculum vicatur — il secolo altro non è che corrompere e corrompersi. „ Magnifica definizione! Ah! no, noi non seguiremo questo secolo, non approveremo le sue massime, non praticheremo i suoi costumi, condannati da Gesù Cristo, “ma ci riformeremo, rinnovando il nostro spirito. „ Con queste parole S. Paolo ci esorta ad ordinare la nostra vita internamente ed esternamente secondo i principii insegnati da Gesù Cristo nel Vangelo. – L’uomo nuovo è Adamo giusto ed innocente; nuovo, perché fatto immediatamente da Dio: ma quell’uomo nuovo si è profondamente alterato e corrotto per il peccato: Gesù Cristo è venuto per rifarlo, per rinnovarlo in se stesso, illuminando la sua mente con la luce della verità, e creando nel suo cuore uno spirito nuovo, lo spirito della grazia. – Figliuoli dilettissimi! Siamo noi simili al secolo, o siamo conformi a Gesù Cristo? La prova infallibile l’avremo nelle opere nostre: esse diranno se siamo discepoli del mondo o di Gesù Cristo. Se possederemo i principii, le verità predicate dal secondo Adamo, Gesù Cristo, potremo, continua S. Paolo, “giudicare qual sia la volontà di Dio buona, accettevole e perfetta.„ Al lume della fede, delle eterne verità insegnateci da Gesù Cristo ci sarà facile distinguere ciò che Dio vuole da ciascuno di noi: conosceremo chiaramente ciò che è bene, ciò che è meglio e ciò che è perfetto od ottimo, giacche sembra che questo voglia dire l’Apostolo con quelle tre parole volontà di Dio buona, accettevole, perfetta. Il Signore non vuole tutto da tutti egualmente: come nell’ordine naturale vi è la varietà dei doni, così vuole la stessa varietà nell’ordine sovrannaturale o della grazia. Questi vuole che vivano nel mondo, quelli chiama al chiostro: vuole che gli uni si santifichino in mezzo alle ricchezze, agli onori, nell’esercizio del potere e del comando; gli altri nella povertà, nelle umiliazioni, nell’ubbidienza; perché Egli, Iddio! è padrone de’ suoi doni e a Lui spetta determinare a ciascuno le vie che deve percorrere! Nostro dovere è quello di conoscere queste vie e metterci animosamente e confidentemente per esse per fare ciascuno la volontà di Dio. – Prosegue S. Paolo e dice: “Perciocché in virtù della grazia concessami, io dico a tutti voi di non farla da savi più di quello che conviene.,, Sono varie le grazie e vari gli offici che Dio dispensa secondo la sua volontà; a me ha concesso la grazia e il ministero dell’apostolato, e in virtù di questo ministero affidatomi, io dico e comando a voi tutti e singoli, senza distinzione, che cosa? “Di non farla da savi più di quello che conviene, ma di essere savi con modestia, secondoché Dio dà a ciascuno la misura della fede.,, – Questa espressione dell’Apostolo ebbe ed hai molte e varie interpretazioni, tutte buone per se stesse: ma mi sembra più naturale e migliore di tutte questa, che è confortata dall’autorità di S. Basilio e di S. Ambrogio. Sono varie e diverse le grazie di Dio, vari e diversi gli uffici, che affida agli uomini: ebbene! che ciascuno si contenga nel proprio ufficio e si guardi dall’invadere l’altrui. – Onde quella parola “secondo la misura della fede, „ si deve pigliare largamente, come se l’Apostolo dicesse: Ciascuno si contenga entro i limiti dei suoi doni e dell’ufficio suo, quale che esso sia. — Insegnamento fecondissimo di pratiche applicazioni è questo, o fratelli miei. Dio, che è la stessa sapienza e perciò lo stesso ordine, vuole che tutto sia ordinatissimo; perché tutto sia ordinatissimo e la terra rappresenti l’immagine del cielo e gli uomini abbiano in sé la somiglianza di Dio, è necessario che ciascuna creatura e ciascun uomo rimangano al proprio posto e adempiano le loro parti. Quando, o cari, una macchina lavora bene quando i singoli pezzi, ond’è composta, stanno al loro luogo e ciascuno fa la parte sua debitamente. Così la famiglia, la parrocchia, la società si trovano bene allorché i singoli membri stanno al loro posto e compiono a dovere il loro ufficio. Studiamoci, o cari, di mettere in pratica il documento dell’Apostolo e saremo buoni cristiani e buoni cittadini. Questa dottrina sì bella e sì naturale è illustrata dall’Apostolo con una similitudine a lui famigliare e che qualunque persona, anche di corta intelligenza, può facilmente comprendere. Eccovi la similitudine: “Poiché come in un corpo abbiamo molte membra, ma non tutte le membra hanno la stessa operazione, così in molti siamo uno solo in Cristo; e ciascuno è membro l’uno dell’altro. „ – Vedete il corpo umano, dice S. Paolo: esso è un solo corpo, ma ha molte e varie membra, occhi, orecchie, lingua, capo, mani, piedi, e via dicendo. Ciascun membro poi ha il suo ufficio speciale, di vedere, di udire, di parlare, di reggere, di lavorare, di camminare: un solo corpo, e molte membra, e queste non contrastano tra loro, né l’occhio vuol udire, né l’orecchio vedere, né il capo ubbidire, né le mani camminare, né i piedi sostituirsi alle mani: tutte le membra attendono al loro ufficio e l’uomo se ne trova benissimo. Così, conchiude S. Paolo, debb’essere nel corpo di Cristo, che è la Chiesa. Ciascun membro, ossia ciascun cristiano, non si consideri come isolato, ma come membro dello stesso corpo, e il bene comune consideri come bene proprio, ed allora nessuno violerà i diritti altrui ed avremo nella Chiesa, nella parrocchia, nella famiglia, nell’individuo l’ordine più perfetto, e nell’ordine la pace, la carità e tutto quel benessere anche materiale, che è possibile su questa terra. Felici le famiglie, felici le parrocchie, felice la società tutta se la gran legge qui stabilita dall’Apostolo fosse debitamente osservata!
Graduale
Ps XXVI:4
Unam pétii a Dómino, hanc requíram: ut inhábitem in domo Dómini ómnibus diébus vitæ meæ. [Una sola cosa ho chiesto e richiederò al Signore: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita.]
Ps LXXXIII:5.
Beáti, qui hábitant in domo tua, Dómine: in saecula sæculórum laudábunt te. Beati quelli che àbitano nella tua casa, o Signore, essi possono lodarti nei secoli dei secoli.
Allelúja
Allelúja, allelúja,
Isa 45:15
Vere tu es Rex abscónditus, Deus Israël Salvátor. Allelúja. [Tu sei davvero un Re nascosto, o Dio d’Israele, Salvatore. Allelúia.]
Evangelium
Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Lucam.
Luc II:42-52
“Cum factus esset Jesus annórum duódecim, ascendéntibus illis Jerosólymam secúndum consuetúdinem diéi festi, consummatísque diébus, cum redírent, remánsit puer Jesus in Jerúsalem, et non cognovérunt paréntes ejus. Existimántes autem illum esse in comitátu, venérunt iter diéi, et requirébant eum inter cognátos et notos. Et non inveniéntes, regréssi sunt in Jerúsalem, requiréntes eum. Et factum est, post tríduum invenérunt illum in templo sedéntem in médio doctórum, audiéntem illos et interrogántem eos. Stupébant autem omnes, qui eum audiébant, super prudéntia et respónsis ejus. Et vidéntes admiráti sunt. Et dixit Mater ejus ad illum: Fili, quid fecísti nobis sic? Ecce, pater tuus et ego doléntes quærebámus te. Et ait ad illos: Quid est, quod me quærebátis? Nesciebátis, quia in his, quæ Patris mei sunt, opórtet me esse? Et ipsi non intellexérunt verbum, quod locútus est ad eos. Et descéndit cum eis, et venit Názareth: et erat súbditus illis. Et Mater ejus conservábat ómnia verba hæc in corde suo. Et Jesus proficiébat sapiéntia et ætáte et grátia apud Deum et hómines.” [Quando Gesú raggiunse i dodici anni, essendo essi saliti a Gerusalemme, secondo l’usanza di quella solennità, e, passati quei giorni, se ne ritornarono, il fanciullo Gesú rimase a Gerusalemme, né i suoi genitori se ne avvidero. Ora, pensando che Egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di cammino, dopo di che lo cercarono tra i parenti e i conoscenti. Ma non avendolo trovato, tornarono a cercarlo a Gerusalemme. E avvenne che dopo tre giorni lo trovarono nel Tempio, mentre sedeva in mezzo ai Dottori, e li ascoltava e li interrogava, e tutti gli astanti stupivano della sua sapienza e delle sue risposte. E, vistolo, ne fecero le meraviglie. E sua madre gli disse: Figlio perché ci ha fatto questo? Ecco che tuo padre ed io, addolorati, ti cercavamo. E rispose loro: Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi di quel che spetta al Padre mio? Ed essi non compresero ciò che aveva loro detto. E se ne andò con loro e ritornò a Nazareth, e stava soggetto ad essi. Però sua madre serbava in cuor suo tutte queste cose. E Gesú cresceva in sapienza, in statura e in grazia innanzi a Dio e agli uomini.]
R. Laus tibi, Christe!
Omelia II
[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. I -1851-]
(Vangelo sec. S. Luca II, 42-52)
Perdita di Dio.
Maria e Giuseppe perdono il fanciullo Gesù, giunto all’età di dodici anni. Credevano, come ci narra S. Luca nell’odierno Vangelo, ch’Egli fosse in lor comitiva, insieme con altri molti della Galilea, che discendevano da Gerusalemme dopo la celebrazione d’una festa solenne; ma giunti ad un ospizio sull’imbrunir della sera, si mirano intorno e non veggono il divino Fanciullo. L’attendono ma inutilmente: ne domandano ai compagni del loro viaggio, ma nessuno ne sa dare conto: lo cercano fra gli amici e fra i congiunti, ma tutto è vano: immaginate qual dovett’essere il loro affanno. Pensavano bensì che qualche giusto e ragionevole motivo tratteneva Gesù da essi lontano; ma questo riflesso non era bastevole a consolarli. Oh con quanta amarezza passarono quella notte! Al primo spuntar del giorno si posero a rifare il cammino dall’ospizio a Gerusalemme, e al terzo dì finalmente lo ritrovarono nel Tempio, che in mezzo ai dottori li interrogava con loro stupore, e con meraviglia del popolo circostante. “Eh! figlio, prese a dirgli la Vergine Madre, figlio, io e il vostro nutrizio padre siamo andati in cerca di Voi con la mestizia nel volto e con la doglia nel cuore” : “Fili… pater tuus et ego dolentes quaerebamus te”. Maria e Giuseppe perdono Gesù e, come osserva il venerabile Beda con altri sacri espositori, lo perdono senza loro minima colpa, e pure tanto si attristano di questa perdita, e tanto si affannano per ritrovarlo. Quanto è mai diversa la condotta di molti cristiani! Perdono questi Gesù per propria colpa, perdono Dio e la sua grazia per lo peccato, e pur non si commuovono, non si contristano, non se ne pigliano pensiero. Così è: quanto sono sensibili e premurosi per la perdita di cose temporali, altrettanto sono stupidi e indolenti per la perdita di Dio. – E questo è appunto ciò che v’invito a meco compiangere, uditori devoti. Non ha bisogno di prova la prima parte del mio assunto; cioè, che per l’ordinario gli uomini della perdita dei beni terreni son tutti in pena ed in contristamento; pure diamo così di volo uno sguardo alle sacre pagine, per riscontrarne fra molti alcuni esempi. Perde Esaù la primogenitura, e alza clamori, e trae dal petto ruggiti a guisa di leone piagato a morte, “irrugiit clamore magno” ( Gen XXVII, 34) . Perde Cis le sue giumente, spedisce Saul suo figlio ad andarne in cerca. Saul, per quanto si aggiri per valli, per monti e per foreste, non gli vien fatto trovarle; e preso il consiglio del suo servo compagno, va a consultarne Samuele gran profeta in Israele. Perde il suo figliuol prodigo le sostanze assegnategli per sua porzione dal suo buon padre, ed è inconsolabile. Perde quel pastore, descritto in parabola nel santo Vangelo, una pecorella, e lascia nel deserto l’armento intero, e ne va in traccia per balze e per dirupi. Perde, a finirla, quella donna evangelica una dramma, moneta di poco valore, e mette tutta sossopra la casa finche non la ritrovi. Ma a che rammentar cose antiche? Non è questo il naturale effetto che producono nel cuor dell’uomo le cose smarrite? e la pena ordinaria di chi più o meno è attaccato ai beni di questa terra? Compatiamo la misera umanità, qualora per gravi infortuni è posta in cimento, qualora o per naufragio si perdono ricche mercanzie, o per sentenza contraria liti di somma importanza, o per prepotenza pingui eredità. Compatiamo ancora coloro, che per un anello, per un orecchino, per un fazzoletto ricorrono al parroco, acciò avvisi il popolo di quegli oggetti smarriti, e loro ricordi il proprio dovere per la necessaria restituzione. – Non si possono costoro né riprendere, né disapprovare, se usano diligenze, se adoprano mezzi per riavere ciò che hanno perduto. Ma di grazia perché almeno non si tiene questa pratica, quando per grave reato si perde Dio e la sua amicizia? Perché non si fa ricorso alla Vergine Madre, ai Santi del cielo, al confessore, acciò vi aiutino a ricuperare la grazia, e a riconciliarvi con Dio? Perché tanta sollecitudine per le perdite temporali, e tanta indifferenza, tanta freddezza per la perdita di Dio, perdita incalcolabile infinitamente maggiore della perdita d’un mondo intero? – Bramate sapere onde nasce tanta stupidezza? Ecco tre cagioni, alle quali, per ben comprenderle, vi prego porgere l’attento orecchio. La prima cagione, per cui, perduto Dio per lo peccato, non si sente il dolore di perdita, sì grande, è perché non c’è lume, non c’è fede, non c’è cognizione di Dio. Avviene a molti ciò che non di rado accade ad un fanciullo non ancor giunto all’uso di ragione. Perde questi una gemma preziosa, e non la cura, e non vi pensa: perde una carta dipinta, una palla da giuoco, un palco da trastullo, ed è inconsolabile, piange, singhiozza, pesta coi piedi la terra. Ed ecco il nostro caso. Perdiamo i beni fallaci, che un giorno bisogna lasciare, e siamo trafitti; si perde il sommo bene, ch’è Dio, e siamo insensibili. E fino a quando, o uomini già adulti e forse incanutiti, amerete ancora i pregiudizi dell’infanzia? “Usquequo… diligìtis infatiam? ( Prov. I. 22) Se conosceste che dir voglia perdere Dio, piangereste a lacrime di sangue. La spada più acuta, che ferisce il cuor d’un dannato, la pena più atroce che lo tormenta, è quel fisso contristante pensiero, quell’interna voce di acerbo rimprovero, che gli dice ad ogn’istante: “ubi est Deus tuus?” dov’è quel Dio che ti creò, quel Dio che ti ha redento, quel Dio che ti voleva salvo? dov’è, infelice, tu l’hai perduto! “Ubi est Deus tuus?” Dov’è quel Dio che nello stato di tua dannazione è l’oggetto dell’odio tuo, e al tempo stesso lo scopo del tuo desiderio, come unico rimedio a’ tuoi tormenti, dov’è? Questo Dio non è più per te, non è più tuo. Conosci ora per tua pena quel che conoscere non volesti per tua malizia. – La seconda cagione dell’umana insensibilità nella perdita di Dio è una fiducia ingannevole, una speranza fallace di riacquistare Iddio perduto con una penitenza futura. È vero, dice colui, dice colei, che sono in disgrazia di Dio, ch’Egli contro di me è giustamente sdegnato; ma voglio ben io riconciliarmi con Lui; non voglio vivere in questo stato, in cui non vorrei morire: perciò dato ch’io avrò compimento ai miei affari, ultimato quel negozio, finita quella lite, collocata la famiglia, quando avrò un tempo più comodo, più quiete, penso ben prevalermene per ricuperare tanto bene perduto, e non perdere me stesso. Ahi miei cari, queste vostre proteste non fan che mitigare il rimorso di vostra coscienza, e il dolore della vostra perdita; vi lusingano, vi addormentano in seno al peccato, con una speranza tanto più traditrice, quanto più lusinghiera. Accade a voi come a quel giocatore, che sente meno la pena del danaro perduto, perché spera in un altro giuoco rifarsi del danno sofferto; e questa speranza per lo più moltiplica le sue perdite, e lo getta in rovina. E poi se in questo tempo che differite la vostra conversione vi cogliesse la morte, che sarebbe di voi? Oh allora presi dallo spavento, chiamato in nostro aiuto un confessore, più facilmente ci volgeremo a Dio con un cuor contrito, e pieni di fiducia nella sua misericordia. Non più, miei dilettissimi, non più: questo è il maggior degl’inganni. Questa, seducente speranza ha popolato l’inferno; Iddio, dice S. Agostino, vi promette perdono, se in tempo vi convertite, non vi promette né tempo, né perdono, se differite. – Ma torniamo al nostro argomento. La terza, forse più forte cagione della nostra insensibilità nella perdita di Dio, è perché, se si perde Dio in questa vita, pure si godè dello stesso Dio. E come? Ecco: tutti i beni, che anche dai peccatori si gustano su questa terra, sono altrettante stille emanate da quell’oceano immenso di bontà ch’è Dio. Il sole che c’illumina, l’aria che ci pasce, i fiori che ci dilettano, le piante che ci ricreano, i frutti che ci nutriscono, tutte insomma le creature, o inanimate o sensibili o ragionevoli, son tutti beni che discendono da Dio sommo bene; ond’è che se il peccatore perde Dio bene infinito, pur gode Iddio ne’ beni sparsi nelle sue creature, e non si avvede della perdita del fonte, perché si disseta ai ruscelli. Ma quando poi l’anima sciolta dai legami del corpo comparirà, spirito ignudo, abbandonato e solo, innanzi a Dio, conoscerà allora che Dio è l’unico bene; l’infinito bene; che fuor di Lui in quel nuovo inondo altro bene non v’è, con cui trattenersi, con cui sfamarsi. E perciò una delle due: o l’anima è amica dì Dio, e troverà in Dio come in suo centro ogni bene, o di Dio nemica, e da Lui ributtata e divisa, non avrà più un attimo, un’ombra di bene. Non più mondo in quel terribile istante, non più corpo, non più creature. Piaceri, onori, gradi, ricchezze, amici, congiunti, tutto è finito; Dio, Dio solo è l’unico eterno, incommutabile bene, e fuori di Lui né si può sperare, anzi né pur si può immaginare, o fingere un altro bene. – Vogliamo noi, uditori carissimi, aspettare al mondo di là a conoscer la perdita del sommo bene, che è Dio? Ah anime mie care non vi sarà allora più riparo all’inganno, più rimedio all’errore, non più tempo a profittevole ravvedimento. Dovremo allora esclamare con quel Sovrano, di cui parla la storia: “Omnia perdidimus”. Sedotto questi da lusinghiera beltà, e da furiose passioni invasato, corse a precipizio le vie del piacere, dell’errore e dell’empietà, e giunse in fine a quel termine da Dio a tutti costituito, al quale non si può passar oltre. Infermo, aggravato, giacente a letto, conobbe, come il grande Alessandro, che bisognava morire; “decidit in lectum, et cognovit quia moreretur” ( Mac. I), e data in giro una mesta occhiata a’ suoi favoriti, ahi me disgraziato! esclamò, che ho perduto la fede, la reputazione, l’amor de’ sudditi, la sanità, e fra poco sarò per perdere la vita, il regno, l’anima e Dio, “omnia perdidimus”. Tanto dovrà ripetere un’anima che abbia perduto Dio per colpa e per pena, “omnia perdidimus”. – Infelice pertanto chi aspetta a conoscere la sua disavventura quando non è più in tempo di ripararla. Infelicissimo chi aspetta a cercare Dio quando non si può più ritrovare. Cari ascoltanti, facciamo senno, ravviviamo la fede, apriamo gli occhi sul massimo nostro interesse. Ora in questo tempo accettevole, che ci accorda il pietoso Signore, andiamo in cerca di Dio, e sarà facile il trovarLo, “Quærite Dominum dum inveniri potest” (Isai. LV, 6). In punto di morte, ahi! che forse Lo cercheremo invano. No, peccatori fratelli miei, con Dio non si burla, “Deus non irridetur”. Cercate Dio in vita, perché in morte non lo troverete! Non son io che vel dico, lo dice a me, lo dice a voi l’infallibile Verità, lo dice Gesù Cristo, “quæretis me, et non invenietis” (Joan. VII, 34). E in un altro luogo ce lo ripete in termini di maggiore spavento: mi cercherete, e morrete in seno al vostro peccato: Quæretis me, et in peccato vestro moriemini (Joan. VIII, 21). – Che facciamo dunque? fino a quando noi stolti figliuoli degli uomini ameremo la vanità, e terremo dietro ai beni fuggevoli e bugiardi di questa terra? Deh! se ci cale l’eterna nostra salvezza, procuriamo essere di quella santa generazione, che altro non cerca, che Dio. Cerchiamo Dio sull’esempio e sulla scorta di Maria Vergine, e di S. Giuseppe, cerchiamoLo nel tempio ai piedi degli altari, a piedi dei suoi ministri; che poi dopo il breve corso di nostra vita Lo vedremo nel tempio della beata eternità, e al primo incontro sarà per noi oggetto di consolazione perpetua, come lo fu di temporanea alla Vergine Madre, ed al suo nutrizio padre. Che Dio ce ne faccia la grazia.
Credo …
Offertorium
Orémus
Luc II:22
Tulérunt Jesum paréntes ejus in Jerúsalem, ut sísterent eum Dómino. [I suoi genitori condussero Gesù a Gerusalemme per presentarlo al Signore.]
Secreta
Placatiónis hostiam offérimus tibi, Dómine, supplíciter ut, per intercessiónem Deíparæ Vírginis cum beáto Joseph, famílias nostras in pace et grátia tua fírmiter constítuas. [Ti offriamo, o Signore, l’ostia di propiziazione, umilmente supplicandoti che, per intercessione della Vergine Madre di Dio e del beato Giuseppe, Tu mantenga nella pace e nella tua grazia le nostre famiglie.]
Communio
Luc II:51
Descéndit Jesus cum eis, et venit Názareth, et erat súbditus illis. [E Gesù se ne andò con loro, e tornò a Nazareth, ed era loro sottomesso.]
Postcommunio
Orémus.
Quos cœléstibus réficis sacraméntis, fac, Dómine Jesu, sanctae Famíliæ tuæ exémpla júgiter imitári: ut in hora mortis nostræ, occurrénte gloriósa Vírgine Matre tua cum beáto Joseph; per te in ætérna tabernácula récipi mereámur: [O Signore Gesú, concedici che, ristorati dai tuoi Sacramenti, seguiamo sempre gli esempii della tua santa Famiglia, affinché nel momento della nostra morte meritiamo, con l’aiuto della gloriosa Vergine tua Madre e del beato Giuseppe, di essere accolti nei tuoi eterni tabernacoli.]