IL SACRAMENTO DELLA PENITENZA
[Lettera pastorale scritta il 17 dicembre 1967; «Rivista Diocesana Genovese»,1968. pp. 28-63 ]
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La prudenza nell’esercizio della Penitenza
La prudenza è una virtù cardinale che compone nel modo debito la obiettiva riflessione e deliberazione con la motivata e serena decisione. È una sintesi e per questo è una virtù difficile, non eccessivamente usata e più facilmente svisata in precipitazione o irresolutezza. La prudenza nel Sacramento della Penitenza riguarda il contegno generale e riguarda il giudizio in particolare.
1. – Cominciamo dalla prudenza nel contegno in generale. Consta dei seguenti elementi.
– La netta coscienza della propria umana debolezza, della propria emotività, le brecce nella sfera affettiva, le reazioni comuni agli uomini comuni. Questa conoscenza porta ad una umile accettazione di uno stato di fatto ed a tutte le conseguenze. Per taluni entra utilmente la memoria a documentare la debolezza preferita. Quando si sa di esser debole, non si fa l’eroe. Oggi si sfornano teorie per distruggere questo buon senso; purtroppo tali teorie in uomini non molto provveduti distruggono il buon senso, ma non distruggono la realtà dei fatti e delle condizioni. Si dice che i pericoli li creiamo noi con le inibizioni morali e che pertanto basta annullare le inibizioni morali per annullare i pericoli. – La risposta a questa teoria è data dalle conseguenze della medesima: l’accresciuta immoralità, anticipazione di tutte le brutture, crescente inconsistenza della famiglia, degenerazione del tessuto sociale, dilagare della pazzia e della anormalità. Questo, senza tener conto dell’esame obiettivo della natura, al di fuori di quanto è spaventosamente cresciuta la infelicità degli uomini e, si direbbe, la stessa incapacità di godere, nonostante l’aumento generale e vorticoso del benessere. Qualcuno dice anche che il male non esiste, che, comunque agiamo, siamo tutti buoni. Difatti. Lo spettacolo del simile che mangia il proprio simile – per fermarci solo a quello – cresce a tutti i livelli e qualche volta si esibisce anche dove non dovrebbe. Non anestetizziamo il mondo con teorie stupide e ricordiamoci che un mondo anestetizzato è un mondo prossimo a morire. La debolezza c’è e con essa tutti dobbiamo fare i conti: non basta la pubblicità o la popolarità a coprire le sue insufficienze e le sue vergognose deformazioni.
– La netta coscienza delle debolezze degli altri. -Si conoscono a poco a poco e proprio per questa distribuzione della esperienza nel tempo la cautela deve essere aumentata. Il novellino abbia la umiltà di accettare questo, altrimenti sarà facile per lui cadere. Ora, il sesso, le anormalità ben diffuse, la sfera affettiva in cerca di appoggi, sono argomenti che spingono tutti i confessori a rivestire la autentica corazza. E difficile accorgersi subito come e quanto questi elementi si insinuino nella confessione. Pertanto è necessario sempre sospettarne la presenza, ammetterne la possibilità e contenersi con tutti i riguardi. Tale atteggiamento interiore ed esteriore può subire un certo rallentamento quando si è arrivati a conoscere a fondo di che stoffa è fatto il penitente. – Parliamo, anche in questo caso, solo di un «certo» rallentamento, perché anche se c’è posto nella vita per la onesta amicizia, questa non ha come sede delle sue effusioni un Sacramento in cui si agisce in nome e per deputazione divina. L’argomento dovremo riprenderlo in sede propria.
– La netta coscienza dei «limiti» nei quali agisce il Sacramento.
Il salotto, il pettegolezzo, la agenzia di informazione, gli sfoghi di sentimenti di rabbia, di invidia e di gelosia, le dolci conversazioni, il rilassamento della amabile compagnia etc. si trovano tutti fuori dei limiti del Sacramento. Il sacerdote, quando entra in confessionale, è e deve essere un altro uomo da quello che agisce fuori del confessionale. La stessa confidenza, finché indica semplice e pura apertura dell’anima in materia che riguarda il Sacramento o il dovere da esercitare nel Sacramento, potrà ammettersi; diversamente va esclusa. La delicatezza, la soavità senza smancerie, la dolcezza, la amabile pazienza, la educazione – tutte cose che stanno bene nel Sacramento – non debbono arrivare alla pericolosa confidenza. La osservanza delle regole canoniche per il locus aptus della confessione sia mantenuta; ha una profonda giustificazione umana e psicologica. Da venti anni andiamo insistendo con tutti che i confessionali degli uomini vanno assimilati in gran parte a quelli delle donne, almeno per quanto riguarda la distinzione e separazione della sede e l’uso di una certa grata. Sconsigliamo qualunque confessore dall’uso di carezze, abbracci, etc. Dirà taluno: «ma questo si legge di certi santi». Ecco la risposta: si faccia prima santo, comprovi veramente di esserlo con il dono dei miracoli e dopo ne discuteremo. Se noi pensiamo che certe ganghe, note nella storia grande e piccola, sono nate dai confessionali nei quali queste regole non si osservavano, troviamo pieno motivo di insistere con i nostri consigli.
— La chiara coscienza dell’ufficio.
L’ufficio è quello del giudice e – dopo – del medico e del padre. L’ufficio del medico e del padre è in ordine al fine del Sacramento che è quello di togliere il peccato e di prevenire il peccato accrescendo la virtù. Non si tratta dunque di fare il medico a tutti gli effetti pensabili. Per questi, se saranno giustificati, ci sarà posto fuori del confessionale, a norma delle leggi canoniche. Il confessore non è un conversatore, un assistente sociale, un amicone. Deve confortare, certamente, ma sempre nella dignità e carità confacenti al Sacramento, mai nella forma, magari diluita, – che potrà essere onesta o disonesta a seconda dei casi – che appartiene ad una sfera di sentimento, al tutto impropria e sconveniente per il Sacramento. Il Sacramento della Penitenza è un contatto spirituale profondo: deve essere terribilmente difeso, anche per il rispetto verso le anime, dal pericolo di diventare un contatto meno che purissimamente spirituale e funzionale.
— Il chiaro avveduto giudizio su tutte le colleganze possibili con il Sacramento della Penitenza. Le colleganze sono tutti gli incontri fuori confessionale, i discorsi spirituali a due, le direzioni spirituali. Sembrerebbe che quanto accade fuori del Sacramento sia pure fuori dell’oggetto di cui trattiamo. Non è così, perché esistono, tra il Sacramento e fuori, sia il rapporto di causa ed effetto, sia il rapporto circostanziale od occasionale, sia la identità delle persone che hanno agito nel Sacramento; e pertanto la prudenza, regina in questo, ha il diritto di continuare ad essere regina anche in quanto è a questo per qualunque titolo collegato. – Le chiacchiere prima e poi non sono mai necessarie, se non contenutissime e giustificate da educazione, conoscenza, ragioni di fatto emergenti e valevoli. Esse generalmente servono a far perdere al penitente la pietà e la devozione, che è pur conveniente se non addirittura necessaria, prima e dopo la amministrazione del Sacramento. – I discorsi spirituali a due possono essere santissime cose e possono essere preludio di pessime cose. La maggior parte di coloro che hanno perduto le penne nel loro ministero hanno cominciato con incontri di carattere spirituale e persino mistico. Accadde anche a Tertulliano. Per questo motivo i discorsi spirituali fuori del confessionale e collegati con quello vanno prudentissimamente razionati e cautelati. Il luogo dove si tengono è bene sia controllabile dagli altri; la diversità di sesso, o le particolari caratteristiche degli interlocutori sono da soppesarsi severamente agli effetti della cautela; ogni forma confidenziale va esclusa. Il sacerdote prudente, prima di concedere tali colloqui, ragioni, preghi e sia deciso quando occorre dire di no. –
La direzione spirituale è congeniale con il Sacramento della Penitenza.
Infatti lo stesso Sacramento, con la sua parte di giudizio e di illuminazione, contiene una direzione spirituale. È logico che questa in clima più disteso e più diffuso possa estendersi fuori del Sacramento. Anzi molte volte deve estendersi fuori di esso, perché è uno degli ausili più afferenti alla vera formazione delle anime. Qui ci è sufficiente ricordare che tutte le ragioni di prudenza vanno considerate a proposito della direzione spirituale, con la sola aggiunta che, essendo questa bene spesso necessaria, non può e non deve evitarsi, deve favorirsi e pertanto richiede maggiori sussidi spirituali e la massima serietà in chi la attua. Riparleremo a suo tempo dell’argomento.
– Netta coscienza del dovere del distacco del cuore, della modestia, della vigorosa e pronta rinuncia. Nessuno che non sia libero è in grado di guidare utilmente gli altri, solo le cose or ora enunciate danno la necessaria libertà.
La indipendenza di spirito necessaria al confessore
Nessuno penserà che qui parliamo della indipendenza contraria alla verità, alla legge, alla virtù. Si tratta di altro. Il penitente con le sue doti fisiche, intellettuali e morali, con la sua maggiore abilità può esercitare una influenza indebita sul confessore. Parliamo di influenza indebita, perché, finché si tratta, ad esempio, di dare edificazione, nulla potrebbe essere ritenuto indebito. È adunque da questa indebita influenza che si deve sottrarre il confessore ed è esclusivamente in questo senso che parliamo di indipendenza.
– Tutto ciò che è piacere umano deve essere cautamente ed anche energicamente respinto. Anche se il piacere non è in sé peccaminoso, ma a più forte ragione se fosse peccaminoso. Attenti che parliamo di piacere «umano» per indicare quello che parte dai sensi ed arriva ai sensi, dalla naturale sfera affettiva ed in quella agisce, dalla vana compiacenza ed in quella compie le sue evoluzioni. Un piacere puramente spirituale sul bene che si compie, sulla luce che irradia, sul mutamento di purificazione che viene operato, non potrebbe essere chiamato «piacere umano». Tuttavia certi sentimenti possono quasi incoscientemente mutarsi in piaceri d’altra natura.
– Con non minore rigidità deve respingersi dall’esercizio del Sacramento ogni umano interesse, nel senso che – nell’ambito di esso – nulla deve ammettersi che abbia per fine un interesse. Amministrare il Sacramento ad un certo modo, con particolare selezione di penitenti, con particolari cure e magari attrazioni per taluni di essi, in modo da cavarne un lucro, una possibilità di potere su vicende umane e magari politiche, un dominio di famiglie… sarebbe cosa al tutto dissona dalla santità e dalla indipendenza di un tale sacramento. Vi sono delle conseguenze del genere, che possono venire senza alcuna anche lontana intenzione da parte del confessore. In tal caso nulla gli si potrebbe imputare con giustizia, però bisognerebbe ricordargli che di tali effetti egli deve usare con infinita cautela (talvolta potrebbe esser nel caso di respingerli), sicché non ne venga direttamente od indirettamente danno al Sacramento, alla Religione, all’Ordine ecclesiastico. – Ci sono sacerdoti i quali, per essere i confidenti spirituali di taluni personaggi a loro devoti, possono avere la tentazione di influire su persone e su fatti, su affari e vicende, che non sono assolutamente di loro pertinenza. Non si lascino ingannare scendendo su un terreno che può non essere il loro, evitando ambizioni e vane compiacenze, ricordando che la grazia del loro stato è per guidare anime verso una maggiore purificazione e perfezione. Fa parte del loro obbligo rispondere a quesiti sulla moralità di affari, vicende, imprese; rispondano serenamente per quanto sanno e possono, ma sempre in ordine ad indicare la giusta via secondo Dio e mai in ordine a far essi l’uomo d’affari, l’uomo politico, il gestore d’un qualunque potere umano.
Il Sacramento della Penitenza non è un ponte per raggiungere la posizione o l’esercizio di un potere estraneo a quello del Sacramento.
La serietà del Sacramento domanda che non si faccia sfoggio di una competenza che non si ha. Nessun sacerdote presuma di dare consigli medici. Se ha conoscenze di medicina se ne serva, ove occorresse, per quanto può fare come sacerdote e soprattutto per formulare il ragionevole dubbio di inviare il penitente da un medico. Fosse lui stesso medico, sempre salve tutte le convenienze, il consiglio, è meglio lo dia fuori confessione. Nessuno si prenda responsabilità per le quali Cristo non ha istituito il sacramento della Penitenza. Vi sono tante altre faccende umane per le quali può prendere il prurito di trattare in confessione. Si resti estremamente cauti, perché quella non è per sé materia di confessione. Se una giusta causa, ad esempio di carità, ci fosse, pare consigliabile parlarne dopo aver assolto l’impegno del Sacramento. – La questione è delicatissima allorché si tratta della convenienza o meno di contrarre matrimonio. Finché la convenienza riguarda l’aspetto morale e religioso il confessore, dopo aver pensato a fondo e pregato, potrà cautamente arrivare a dare anche un consiglio risolutivo. Ma quando si è fuori dell’aspetto morale e religioso, il confessore eviti ogni responsabilità che non gli competa. Se fuori del Sacramento, per esperienza, competenza, argomenti ben noti potesse dire in materia qualcosa di più, vada estremamente cauto, perché non ne venga danno a quelli che intenderebbe beneficiare e non scenda un ombra sul suo ministero. Nel nostro, ormai lungo, ministero episcopale abbiamo conosciuto casi nei quali sarebbe stato meglio il sacerdote avesse parlato solo di quello cui era deputato, non oltre. – Nessuno presuma di guidare affari pubblici attraverso qualificati penitenti. Questa di guidare è una tentazione che può venire e non è detto che nessuno ci caschi. Ma, oltreché una grave presunzione ed equivalente responsabilità, costituirebbe una aberrazione nel Sacramento. Se si sa si risponda sul valore morale delle azioni; per il rimanente si rispetti la libertà di chi ha diritto a decidere. Insomma la indipendenza del Sacramento e del ministro stanno in questo: nel distacco del cuore da tutte le cose terrene, nella purezza per cui resta alieno da ogni profana contaminazione. – Non si può finire il discorso senza parlare anche della indipendenza dalla curiosità. Il pericolo di soggiacervi è quasi sempre immediato, sia per la materia, sia per la facilità con cui troppi penitenti indulgono ai particolari, alla prolissità, alla chiacchiera. Per la seconda volta rimandiamo la materia ai testi approvati sul modo e sui limiti della interrogazione al penitente. Chi indulge in confessione alla curiosità non sa mai dove e come può finire.
[Continua …]