L’ELEZIONE DEL ROMANO PONTEFICE
[«Renovatio», VII (1972), fasc. 2, pp. 155-156.]
Molti, troppi, hanno parlato a proposito e, soprattutto, a sproposito della futura elezione del Romano Pontefice, ossia della legge che ordina il Conclave. E evidente che si è cercato di fare una pressione, assolutamente impropria, per far accettare criteri nuovi e discutibilissimi nell’elezione papale. La questione è di estrema gravità e pertanto la nostra rivista ritiene di doverne parlare. Chiunque voglia porre il problema di una riforma del Conclave deve aver presente che questa compete solo alla autorità suprema nella Chiesa e che pertanto gli eventuali interlocutori, quando propongono riforme, debbono tener conto di questo principio. – Vediamo l’aspetto teologico di fondo. Il Concilio Vaticano nel canone, che segue il capitolo secondo della bolla Pastor Æternus, così recita: «Si quis ergo dixerit non esse ex ipsius Christi Domini institutione seu jure divino ut beatus Petrus in primatu super universam Ecclesiam habeat perpetuos successores, aut Romanum Pontificem non esse beati Petri in eodem primatu successorem, anathema sit» (D. S. 3058). Il che significa che al vescovo di Roma spetta la successione di Pietro. Se la successione tocca al Vescovo di Roma, e non ad un altro, ciò significa il legame assoluto tra l’episcopato romano e la successione petrina. Se ne deve inferire logicamente e necessariamente che il Papa è tale perché è Vescovo di Roma. Questo vincolo causale tra l’episcopato romano e la successione petrina diventa più chiaro se si legge tutto il capitolo secondo della citata costituzione (D. S. 3057); diventa chiarissimo se si attende a tutta la Tradizione e specialmente alla tradizione primitiva, quella che risente con immediatezza e certezza delle disposizioni prese dal Principe degli Apostoli. Infatti Clemente (secolo primo) interviene fortemente nella Chiesa di Corinto con una lunghissima e solenne lettera, mentre è ancor vivo e geograficamente più vicino l’apostolo Giovanni, in nome della Chiesa romana. E evidente che egli ritiene desumere dalla sua sede episcopale il potere di occuparsi della lontana Chiesa di Corinto, sulla quale poteva intervenire unicamente come Pastore Universale, trovandosi Corinto ben fuori della dizione romana. Lo stesso modo di esprimersi di Clemente hanno i due grandi testimoni della primissima età, Ignazio d’Antiochia ed Ireneo, nei testi notissimi. – Ciò premesso, non si capisce come teologicamente si possa sostenere una separabilità del Primato nella Chiesa dalla Sede Vescovile romana o negare con fondamento che la Sede Romana sia essa il titolo giuridico della successione a Pietro. – Messo in chiaro l’aspetto teologico fondamentale, non è affatto ozioso considerare la logica che Cristo ha messo nella sua Chiesa. Vi è un Primate, vi sono Vescovi successori degli Apostoli che sono tali per Diritto Divino nel quadro della cattolicità del collegio e del diritto del Primate. Cellule costitutive della Chiesa sono le singole chiese locali, guidate da un successore degli Apostoli. Tutti i fedeli fanno parte della Chiesa, ma la ragione immediata della sua unità e cattolicità sta nelle chiese particolari sotto Pietro. L’errore che si fa da molti, e lo si è visto bene nelle recenti e non sempre ortodosse diatribe sulla «Lex fundamentalis», è proprio quello di assimilare la divina costituzione della Chiesa ad una qualunque costituzione degli Stati. L a prima è assolutamente unica ed è inimitabile, come altre cose nel seno della Chiesa. Appare chiaro quindi perché Cristo abbia affidato il primato a Pietro e perché questi lo abbia esercitato e lasciato ai suoi successori, come Vescovo di una designata cellula della Chiesa, la diocesi di Roma. – Ciò posto, nessuna idea di costituzione democratica o federalistica può affiorare quando si pone teologicamente e giuridicamente la questione della elezione del Romano Pontefice. E la Chiesa romana che deve eleggere il suo Vescovo. – Non si può trascurare l’aspetto pratico della questione, aspetto che per sua natura appartiene alla storia. – La “legge del Conclave”, alla quale si arrivò con Nicolò II nel 1059, chiuse, con la riserva del diritto di elezione ai soli Cardinali, un travaglio, talvolta umiliante, di mille anni. Si noti che i Cardinali, come tali, appartengono alla Chiesa romana e solo ad essa, in qualità di suoi Vescovi suburbicari, di suoi preti, di suoi diaconi. La ragione teologica, nella necessaria ed inevitabile riforma di Nicolò II, era perfettamente rispettata. La “legge del Conclave” poggia su due cardini: l’esclusivo diritto del Sacro Collegio e la “clausura”. Questa seconda non fu posta subito: venne in seguito per obbedire a situazioni evidenti ed a necessità gravi. I due cardini si sostengono a vicenda. E ovvio che l’elezione affidata a un corpo elettorale troppo ampio sarebbe, umanamente parlando, più difficile e più influenzabile e perciò con minor garanzia di ragionevolezza e di rispondenza ai supremi interessi della Chiesa. Soltanto con un corpo di uomini, accuratamente scelti, è possibile che nell’elezione prevalga, quanto può nelle cose umane, il criterio del vero bene. La Clausura del Conclave è ancor più necessaria; coi mezzi moderni, con le tecniche moderne, senza clausura assoluta non sarebbe possibile sottrarre un’elezione alla pressione di poteri esterni. Oggi le superpotenze (e le potenze minori) hanno troppo interesse ad avere dalla loro parte, per condiscendenza o per debolezza, la più alta Autorità morale del mondo. E farebbero tutto quello che sanno benissimo fare. Le pressioni per rovesciare la sostanza della legge del Conclave potrebbero essere guidate dalla volontà di ottenere proprio questo risultato.
(Quest’ultima precisazione del Santo Padre in esilio, quanto mai opportuna, è stata vissuta sulla propria pelle proprio durante il Conclave della sua elezione, il 26 ottobre del 1958, Conclave in cui non è stata da tutti [leggi Tisserant] osservata la clausura, e nel quale i poteri mondiali, utilizzando i massoni della quinta colonna [leggi Roncalli, Lienart, Bea & C.] hanno determinato l’elezione di un falso pontefice, molle burattino nelle loro mani, per demolire la Chiesa Cattolica e trasformarla in una “conventicola” gnostica simil-massonica che perdura tuttora nella setta vaticana del “novus ordo”, e durerà probabilmente fino a quando non interverrà l’Autorità Massima della Chiesa Cattolica, il suo Capo divino, cioè Gesù Cristo il Messia, Figlio di Dio! – Nell’augurarci che questo avvenga quanto prima, prepariamoci con preghiera perseverante chiedendo misericordia per noi, “pusillus grex”, e per i traditori usurpanti! – ndr. -).
[n.b.: Grassetti e colore sono redazionali]