GREGORIO XVII – IL MAGISTERO IMPEDITO: EQUILIBRIO DELLA PERSONALITA’ (2)

GREGORIO XVII

IL MAGISTERO IMPEDITO:

EQILIBRIO DELLA PERSONALITÀ (2)

[Lettera pastorale scritta per la Pasqua del 1964; «Rivista Diocesana Genovese», 1964; pp. 252-268.]

V. – Vogliate ora considerare la seguente proposizione:

«La cultura, emanazione della persona umana, è parallela al Cristianesimo».

Siamo nuovamente ai paralleli e nello stesso senso. Nessun dubbio che la cultura sia una emanazione della persona umana, accumulata tra i tempi diversi e le persone diverse, come ricerca, invenzione, approfondimento, ricchezza della umana esperienza esteriore ed interiore, intuizione di cose maggiori, approfondimento d’ogni argomento presentabile all’intelletto umano o vibratile nella sua emotiva percezione. Nessun dubbio e la massima stima. Ma quello che conta è il fatto che un effetto della persona non può essere superiore alla persona stessa e, se questa è soggetta alla legge di Dio e all’unico fine, lo sarà anche quella; talché ove c’è una necessaria e naturale convergenza non ci sono più parallele. Queste non si incontrano mai. La proposizione è una rinnovata edizione di altra già considerata e mira allo stesso scopo, staccare il contegno umano dalla piena dipendenza da Dio e dall’ordine soprannaturale, il mondo dal Cristianesimo e lasciare «più aria» a tutti. Ottima cosa avere «più aria», purché sia nei limiti della legge di Dio. Lo stesso pensiero umano, analogico soltanto in quel che concerne la parola di Dio, ha una funzione preparatoria di ben altra cognizione e di ben superiore gloria. Voler una storia che se ne possa andare per proprio conto, anche senza parola di Dio, è voler che un cieco vada a zonzo per una landa sconosciuta. La cultura ha i suoi metodi ed ha i suoi momenti, nessuno glielo nega, ma è anche legata a tutte le debolezze e deficienze umane, all’effimero ed al transitorio, e di questo deve tenere pur conto. Del resto il tenerne conto non le ruba alcuna libertà seria ed oggettiva. Le porta via solamente il carattere polemico contro ciò che è vincolante nella fede e nella Parola di Dio. La cultura ha un immenso margine e non ha alcun bisogno di proclamarsi o indipendente o paritaria alle cose divine; ma l’intelletto umano deve essere obbediente a Dio non meno della volontà. Aver bisogno di proclamarsi paritaria all’ordine divino, od anche solo parallela, sarebbe un accettare l’inammissibile principio delle due verità e che l’intelletto umano si è talmente ristretto da non poter far più altro che giocare sulla irriverenza alle cose divine. Ma a tutto il discorso sulla cultura parallela al Cristianesimo, sta sotto un’altra grave e rovinosa affermazione: “la indipendenza della natura rispetto all’ordine soprannaturale”. Ora qui la questione è grossa e può riassumersi così. L’ordine naturale non può esigere quello soprannaturale e ciò per definizione. Però, posto che Dio abbia fatta la elevazione all’ordine soprannaturale, tutte le cose naturali non trovano il loro collocamento giusto se non nella finalità di quello. Posto che il Verbo si sia fatto carne, ogni cosa è soggetta a Lui in cielo, in terra e negli inferni. Parlare quindi di zone extraterritoriali è semplicemente negare il chiaro significato della incarnazione del Verbo e sue conseguenze. Noi crediamo che il discorso sulla cultura potrebbe portarci molto lontano, ma non è l’impegno nostro di questo momento. A noi importa solo affermare che la cultura non costituisce la zona nella quale l’uomo possa aggiudicarsi una libertà di peccato e di disperazione, che altrove non riuscirebbe in alcun modo a giustificare. Ci importa non meno affermare, come logica conseguenza delle cose dette, che la cultura, ove non rispetti le stesse leggi supreme, alle quali l’uomo è tenuto, si vendica contro di lui stesso regalandogli miti insussistenti, spingendolo a follie nefaste (ricordiamo l’ultima guerra mondiale e taluni suoi momenti), immergendolo infine nella tristezza e nella disperazione. Occorre non fare della persona un mito che prenda il posto di altri miti: rimanga quello che è; i miti hanno sempre portato alle esasperazioni ed al dolore.

VI. Ecco un’altra proposizione da esaminare con attenzione:

«La autonomia della persona genera l’autonomia della filosofia».

Anzitutto la filosofia resta la scienza della vera e suprema realtà e per questo non è possibile considerarla come alterabile a piacimento. Essa è la scienza dei più alti principi che dimostra attraverso la evidenza, in quanto parte dal sensibile, ed attraverso le supreme ragioni, in quanto agisce deduttivamente. Ma è non meno delle scienze esatte ancorate alla realtà. Essa è quello che è tutte le cose, qualunque possano essere le esercitazioni della personale fantasia, restano quello che sono. La autonomia della filosofia ha un senso come lo può avere la autonomia della geografia o della matematica. Finché autonomia significa che il suo procedimento non ha da dipendere dal procedimento matematico etc. la cosa ha un senso, ma quando significasse la cessazione di ogni remora all’intelletto umano perderebbe ogni senso. Naturalmente una autonomia di tale genere sarebbe figlia della fantasia liberamente creatrice di sogni più o meno validi, ma certo non allineati sulla linea della realtà e verità. L’argomento quindi in se stesso appare di dubbio valore. Ma le cose peggiorano se veniamo alla persona umana. È questa che con la sua intelligenza filosofa e pertanto va alla ricerca delle supreme verità. Ma questa a proposito della verità non è affatto autonoma; deve prendere ed affermare quello che è. Non può alterare pertanto la serie dei numeri, non più di quanto possa alterare la affermazione relativa ai principi. Già si è dimostrato che la persona umana restando tale, siccome l’ha munificamente fatta Dio, è subordinata ed ha limiti. Un limite invalicabile è la verità obbiettiva. La originalità potrà esplicarla nel modo ed anche nel metodo, ma non circa quello che è indissolubilmente legato alla realtà. La originalità è meglio invocarla per la letteratura che non per la filosofia. Abituati a modificare la disposizione della materia e ad asservirne le forze, noi subiamo il fascino di poter asservire anche la verità; ma il carattere assolutamente effimero delle cose umane, per l’uomo stesso che si attarda a filosofare, lo avverte che la presunzione è al tutto illusoria. Abituati da quattro secoli a fare della verità un riflesso sempre più soggettivo noi crediamo di avere acquisito un diritto per prescrizione ed il metodo idealistico ha creduto di poterlo baldanzosamente proclamare. Ma in questo campo di cose non si danno acquisizioni per prescrizione. Pertanto l’aspetto della cultura moderna in quanto si considera indipendente da canoni ad essa antecedenti ed ancorati alla verità obbiettiva è solamente uno scherzo di cattivo gusto che l’uomo fa a se stesso. – Si noti la contraddizione profonda che la cultura porta oggi con sé: da una parte la certezza delle sue investigazioni scientifiche e delle sue applicazioni tecniche, dall’altra la più allegra libertà su ogni affermazione che non sia legata ad una formula di sperimentazione scientifica. Essa cammina su due strade, il che non va a vantaggio della sua serietà e del suo fecondo durare. – Abituati al protestantico libero esame, noi lo vogliamo spesso applicare nella più assoluta libertà di indagine e di conclusione, come se davanti a noi non ci stesse Dio. La vera lotta fatta al Magistero Ecclesiastico ed al campo in cui più si esercita il suo intervento, la Divina Tradizione, si trova in questo autentico e genuino influsso protestantico. Ma non è questione di cultura, è solo questione di orgoglio. – La cultura passa per tutte le strade, raccoglie tutte le umane espressioni, ma viene pure il momento in cui deve coi suoi geni fare una cernita per dare rilievo a quello che merita e lasciare in ombra quello che è nozione, episodi entrambi fantastici, senza alcuna luce di veri eterni principi. La cultura non è solamente un carro di raccolta di tutto quello che si produce: essa raggiunge se stessa quando seleziona, quando compara con riferimenti certi ed eterni, quando fa maturare l’uomo nel suo intimo e soprattutto nella sua finezza di apprendere, di pensare e di riesprimere. La funzione di «maturazione» è insita alla cultura non meno di quanto le sia insita quella di «coltivazione»; essa non è tale quando corrompe e deteriora cose sane e vitali, le quali hanno necessità di restare nell’uomo per un ideale nel tempo e per un riferimento valevole nella eternità. Finalmente non dimentichiamo che come non esistono due vicende umane separate e parallele, quella moralmente umana e quella soprannaturale, non esistono due verità e la relativa onesta capacità di scegliere. Ciò posto si ha come conseguenza immediata e rigorosa che la verità soprannaturale, anche se nell’uomo ha bisogno di conoscenze previe, resta dominante e riferimento inevitabile della verità puramente naturale. Non si capisce pertanto e non si capirà mai perché si debba portare la cultura cristiana verso la cultura umana, mentre la verità, la logica e la esigenza stanno esattamente nel contrario. – Concludendo: la autonomia della filosofia non ha senso se questa autonomia la si proclama di fronte alla obbiettiva verità, recata dalla obbiettiva evidenza. Ha senso solamente se la si ripete a proposito delle altre scienze umane, del cui metodo potrà casualmente servirsi, ma alle quali deve proporre il metodo suo proprio, eccezione fatta per i dati storici i quali sono e restano quello che sono. Talvolta la autonomia della filosofia può intendersi come un tentativo di originalità, più audace e più facilmente inventiva, più vivace nel dare sviluppo alla filosofia stessa. E questo un significato che può anche accettarsi a patto di salvare quanto detto sopra. In ogni caso la ricerca di originalità deve restare pudica e sempre riguardosa verso quello che è acquisito e certo e tale da doversi ritenere illuminato dalla luce della obbiettiva sicurezza. Nessuno vuol negare che anche i tentativi arditi permettono talvolta di squarciare le nubi ed arrivare a contemplare tratti di cielo altrimenti non visibili, ma allora noi siamo nella autonomia di esperimento che può, a talune condizioni, rientrare benissimo nella metodologia delle ipotesi di lavoro. Il tutto evitando lo spettro, che aduggia sinistramente, di proposizioni o di concezioni assai più soggettive che reali. E in questo senso che il campo di ricerca, non solamente e pedantemente erudita, resta immenso e lascia a molti uomini di mietere glorie le quali sono ben più stimabili dei fiori caduchi. Per l’uomo la autonomia vera è di fronte a se stesso: che non diventi servo di quello che ha fatto , delle sue abitudini e delle sue passioni, dei suoi errori e dei suoi fatti, del pallido riflesso che l’opinione altrui, laudativa e plaudente, può riverberargli sopra in modo passeggero. La autonomia è bene intenderla dai propri sogni, dalle proprie chimere, non dalle obbiettive ragioni e dalla obbiettiva verità. La persona umana è certamente una cosa grande, ma non è tanto grande da prendere il posto di Dio, principio supremo della verità, del bene, della bellezza, dell’essere. – E certo che la teologia non si è occupata di taluni settori aperti alla filosofia umana ed alla cultura. È certo ed è giusto. Ma questo non significa affatto che ove non entrano chiari limiti di fede si possa fare quello che si vuole. Infatti i limiti obbiettivi della verità evidente o giustamente dedotta continuano a contare, anche se in taluni settori non li raggiunge la teologia e il dettame di fede. I limiti sono limiti, da qualunque parte vengano. Il soggettivismo autonomo iniettato nella filosofia e nella cultura ha questo tragico effetto: di sottrarre l’uomo al suo cielo, ossia alle cose che veramente gli convengono per una eterna, perfetta sapienza e renderlo succube di un altro cielo fittizio o nefasto dal quale prima o poi ritrarrà eccitamenti insani, pretese impossibili e, finalmente, tristezza, odio, guerra e morte. – Il soggettivismo finisce coll’essere una negazione della trascendenza. Negata la trascendenza che cosa resta all’uomo, quando non ha più nulla cui appoggiarsi e rimane l’unico appoggio di se stesso, tanto debole, spesso ammalato e costretto ad una parabola di decadenza della età? Infatti la negazione della trascendenza in parole povere si riduce a questo ed a questo volevamo arrivare, perché si intendesse come una falsa interpretazione della persona e personalità umana porta più lontano di quel che si creda e in una direzione assai diversa da quella che poteva forse opinarsi nei facili entusiasmi. – La filosofia moderna ha da scegliere tra l’uomo e Dio, tra la trascendenza e la immanenza, ma non ha affatto da scegliere tra la verità e la propria distruzione. Che essa accetti una luce da qualunque parte le venga non è affatto indecoroso e se questa luce le può giungere dalla superiore certezza della fede è meglio per essa. La fede ha un oggetto che è distinto da quello della filosofia, ma la distinzione non impedisce il reciproco aiuto e, tanto meno, la sicura norma perché la filosofia umana sia orientata nel modo più confacente e meno dannoso agli uomini. Essi hanno bisogno di luce, di sicurezza, hanno bisogno di orizzonti eterni più di quanto non abbiano bisogno del pane. Non distruggiamo tutto questo in nome di una sciocca vanità di indipendenza, quando tutte le cose – e lo vediamo bene – ci lasciano liberi, ci possono servire, ma anche ci condizionano. – In conclusione: autonomia sia, mai però di fronte alla verità

VII. Ecco una proposizione che frequentemente ricorre:

«La personalità va istruita e non educata e guidata: ha in sé di che guidarsi». –

Questa proposizione è semplicemente falsa per più motivi. È falsa perché suppone non esista né i l dogma del peccato originale, né le conseguenze dello stesso. E falsa perché è contraddetta dalla esperienza di una continua umana debolezza, bisognosa di aiuto, di sostegno e di conforto da ogni parte. È falsa perché non tiene conto delle stato ciclico in cui si svolge la vita umana. Parte da zero e tramonta, ha bisogno di dipendere dai sensi e attraverso questi riesce a muovere il proprio intelletto; ha la radice della sua autonomia nella forza di volontà e questa l’acquista, non se la trova naturalmente irrobustita in modo pieno e perfetto. – Eppure la proposizione è comoda per due motivi: per riversare sopra se stessi tutti i motivi della superbia e pertanto della rivolta contro ogni limite ed ogni autorità; e per disimpegnarsi dai compiti della educazione e dall’impegno di cominciare a fare quello che si insegna agli altri. – E per tale motivo che questa teoria trova pronti assertori. Essa comincia ad eliminare ogni autorità naturale e deve logicamente finire col ritenere solo una propria mandataria: l’autorità civile. E la conflagrazione dell’orgoglio. Le autorità intermedie ricevono in un modo o nell’altro il loro valore dalla autorità divina ed appare chiaro subito il collegamento tra la irreligiosità e cotesto modo di pensare e di orientare la vita umana. – Si ritorna sempre allo stesso bivio. Gli uomini, di fronte alle proprie responsabilità ed ai propri inevitabili rimorsi, si sentono sempre più piccoli, più bimbi, più bisognosi di appoggio ed è per questo che la proposizione sopraddetta può essere riguardata come la peggiore mala azione, perpetrabile ai loro danni. Ma fa parte del sistema, quello che abbiamo denunciato subito fin dalla critica alla prima proposizione. Se non si assume là e subito in quella sede una posizione netta, diventa necessario arrivare alla miseria di questo abbandono, per il quale i giovani, pur apparentemente circondati di tanti sussidi, in realtà crescono senza umano calore come i figli di nessuno. – La proposizione cerca di salvarsi con una speciosa ragione: aspettiamo che essi scelgano! A parte le considerazioni di carattere generale già fatte e che potrebbero aggiungersi, la proposizione non tiene conto di un fatto naturale. Si formano prima le abitudini, che non il raziocinio, gli istinti sono anteriori alle stesse abitudini, quando il raziocinio è sufficientemente irrobustito per scegliere, già quasi tutto è costruito. L’intervento occorre durante la costruzione, ed è per questo che non sarà mai sufficiente la istruzione senza la vera e propria educazione. La educazione ha il merito di condurre quando manca ancora il conducente. E tutto qui. Le demolizioni che si fanno della famiglia, della autorità, dei genitori, dei superiori, della funzione del giusto timore, etc. … sono le demolizioni del futuro uomo, il quale potrà gloriarsi di essere autonomo e non sarà più capace di esserlo. Ci sarebbe stato facile trattare qui di nuovi rapporti tra personalità ed arte. Ma non lo abbiamo fatto perché l’argomento poteva uscire dal campo nostro pastorale. Ma ci sentiamo in obbligo avvertire che le stesse regole valgono anche per quel campo e che non sarebbe sincero con Dio creare qua e là zone extraterritoriali, nelle quali, con la scusa che l’uomo sia un po’ più uomo (e sarebbe scusa inane), in verità si faccia il tentativo di ridurre il comando e la sovranità di Dio. Ci sono tuttavia alcuni aspetti che dobbiamo chiarire prima di terminare questa nostra lettera.

La necessità della grazia

La personalità umana non la si completa agli effetti soprannaturali, agli effetti della perfezione e della resa, senza la grazia attuale. Essa presuppone di per sé, anche se talvolta è perduta, la grazia santificante. Ma il nostro discorso è volto anzitutto alla grazia attuale, perché così postula l’argomento in oggetto. La grazia attuale è erogazione di energia soprannaturale, che eleva l’atto umano, lo proporziona al fine eterno e gli infonde una forza ed una luce superna. Senza di essa la persona umana non può fare qualcosa di completo e può fare nulla che abbia valore e merito soprannaturale. Abbiamo già avuto occasione di dire questo, considerando la prima proposizione presentata all’esame. La necessità della grazia è dimostrata da due elementi.

a) La legge della proporzione. Se ogni atto libero dell’uomo deve servire al fine eterno cui soprannaturalmente è chiamato, deve avere valore, dignità e figura adeguati a quello. Deve in sostanza essere «elevato» per raggiungere la giusta proporzione. Nell’ordine divino tutto è perfettamente proporzionato e non si danno cause inferiori agli effetti. Per questa legge di proporzione ogni atto deve essere mosso, elevato ed aiutato dalla grazia divina. Si apre un mondo nuovo nel quale veramente vive l’uomo e nel quale si ritrova la ragione della sua verità e della sua umiltà.

b) Il fatto della umana debolezza. Ci sarebbe stata comunque, ma il peccato originale l’ha aumentata e tutti i supervenienti peccati concorrono ad aumentarla. Essa è un fatto e tutti lo conoscono a sufficienza. Certe cose si possono dire contando sul fatto che gli uomini non vedono l’interno degli altri uomini, ma non sarebbe neppure possibile tentare di dirle qualora tutti vedessero tutto. Gli istinti, i sentimenti, le abitudini sono pesi ai quali solo si oppone veramente la grazia. I cedimenti, le tentazioni, il loro persistere, il loro sfruttamento dei momenti peggiori, le condizioni fisiche: tutto apporta qualcosa al contingente della umana debolezza. La illusione che qualcosa sfugga crea l’altra illusione di pensare se stessi come capaci di concludere nel campo della perfezione! Le conseguenze diventano ovvie.

– La grazia è data a tutti, ma aumenta con la orazione e i Sacramenti. Entrambi obbligano alla vera umiltà interiore. Per questo aspetto, oltre quanto si è già detto sopra, bisogna che la personalità costruisca se stessa con l’umiltà. Dio resiste ai superbi!

– L’ordine della grazia, per averlo veramente, impone se ne accetti il «sistema». Che è questo? Gesù ha legato tutto: la grazia alla Chiesa, la Chiesa alla Gerarchia, la Gerarchia ai Sacramenti. Non si può fare una selezione, accettare il Corpo Mistico e non il rimanente. – Occorre accettare tutto, senza riserve. I tentativi per ridurre qualche parte di questo insieme vanno a danno della grazia, e dell’insieme nel quale essa è divinamente racchiusa.

– Non è possibile una personalità seria che non abbia conoscenza e coscienza dei propri limiti e delle proprie necessità. Al di là di questo limite non c’è la personalità, ma la presunzione, che è una personalità contraffatta e deformata.

L’armonia della persona.

L’armonia della personalità è data dalle idee giuste, dalla umiltà, dalle virtù armonicamente fuse, dalla presenza di una soprannaturale intenzione, dallo sfruttamento perfetto dei mezzi della grazia, dai suoi frutti nella stessa vita di relazione. – Dei primi si è già parlato, resta da dire qualcosa di questi ultimi. La personalità cristiana ha un quadro sereno di rapporti coi superiori. Questi ci sono in tutti gli ordini e servono alla fermezza stessa della personalità, non al suo disfacimento. Tutti i superiori legittimi lo sono o in forza della istituzione divina o in forza di un ordine che Dio vuole nelle cose anche quando questo ordine lascia nelle mani dell’uomo. Si direbbe che da questo punto si misura il primo vero elemento di consistenza di una personalità cristianamente equilibrata. La stessa presenta un quadro di mitezza, di comprensione, di forza e di ragionevole indipendenza nei confronti degli altri. Parliamo di «altri» che non siano superiori e parliamo di quella indipendenza che non provoca e si asside orgogliosa, ma che ha sufficiente distacco dalle cose terrene per non esserne mai dominata o indettata oltre il giusto. In verità la simpatia che può sprizzare dalla personalità in modo più avvincente la troviamo qui. – La personalità cristiana equilibrata presenta un quadro di vera indipendenza rispetto ai beni meramente terreni. Qui tocca il suo aspetto e la sua dignità più profonda, qui ha le movenze di un’inimitabile arte, qui custodisce il segreto di una forza e di una costanza che la può rendere dominatrice, qui si impone anche silenziosamente in un irradiamento soprannaturale senza ombre e senza ristagni. Le personalità serie e cristiane sono svariatissime, perché potenziano le doti più svariate, ma ricevono dalla luce di Dio e la rifrangono. Con le ostentazioni, le acrimonie, gli orgogli inariditi, le disobbedienze, le vendette, gli egoismi non si costruiscono personalità, ma degli idoli deformi che possono avere qualche adoratore, e che sono condannati a non avere ad un certo momento altro adoratore che se stesso nella più arida delle solitudini. – Cari confratelli, vogliate meditare molto quello che vi abbiamo scritto, perché il veleno si insinua e potrebbe rovinare tutti i frutti della educazione che voi impartite. Noi ci siamo volutamente astenuti dal parlare di teorie e di nomi. Non abbiamo alcuna volontà di colpire, ma solo quella di salvare. Però una parola era necessario dirla e, se sarà necessario, ritorneremo sull’argomento. Pensate bene che tutta l’età moderna, serva della macchina, tenta di rifarsi una dignità, spesso perduta, con le proposizioni di cui ha fatto suo oggetto questa nostra lettera. Che il Signore vi aiuti sempre a capire tutto e bene.      [Fine]

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.