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GRAZIA
[G. Bertetti: I Tesori di San Tommaso d’Aquino; S.E.I. Ed. Torino, 1922]
1. Necessità della grazia. – 2. Suoi effetti. — 3. Grazie gratis date [Contra Gent., 3, q. 147-154]
1. Necessità della grazia. — Le creature razionali, secondo la convenienza della loro natura, pervengono a una più alta partecipazione del fine che non le altre creature. Essendo di natura intellettuale, possono con la loro operazione attingere la verità intelligibile: il che non è dato alle altre creature prive d’intelligenza. Oltre l’intelletto e la ragione, per cui si può discernere e investigare la verità, furono anche date all’uomo le forze sensitive, interne ed esterne, in aiuto all’investigazione della verità. Gli fu anche dato l’uso della parola, affinché possa per mezzo di essa manifestare a d altri i suoi pensieri, e così ne risulti un vicendevole aiuto nella conoscenza della verità e in tutte le altre cose necessarie alla vita. Ma poi oltre ancora, l’ultimo fine dell’uomo è costituito in una conoscenza tale della verità da eccedere le sue facoltà naturali: cioè nella visione della stessa prima verità in se stessa. Se dunque l’uomo è ordinato a un fine che sorpassa le sue forze naturali, ha bisogno d’un aiuto soprannaturale da Dio per poter raggiungere un tal fine; ne ha bisogno per non poter esser allontanato dai molti impedimenti che vi si frappongono: impedimenti nella debolezza della ragione che facilmente è tratta in errore e disviata dal retto cammino, impedimenti nelle passioni e nelle affezioni che ci trascinano alle cose sensibili e inferiori, impedimenti anche nell’infermità del corpo che ci disturba nell’esercizio degli atti virtuosi. Questo aiuto divino rispetta però la libertà dell’uomo e non gli reca alcuna coazione a fare il bene. Dio provvede a tutte le cose secondo il loro modo: provvede dunque all’uomo e a ogni creatura ragionevole secondo il modo loro proprio d’agire volontariamente e d’essere padroni dei loro atti. Essendoci dato il divino aiuto allo scopo precipuo di farci raggiungere il nostro fine, e tendendo noi al fine per mezzo della volontà, Dio non esclude da noi l’atto della volontà, anzi ce lo forma precipuamente (Philipp., 2, 13). All’ultimo fine perveniamo con atti di virtù, e premio della virtù ci si propone appunto la felicità: ora nella virtù è essenziale da parte nostra la libera scelta, che non soffre alcuna violenza e coazione. L’aiuto divino ci è dato non per i nostri meriti (come sostenevano i Pelagiani), quasi dipendesse da noi il principio della nostra giustificazione, e da Dio ne dipendesse il compimento. L’effetto del divin aiuto è superiore alla facoltà della natura, e non è proporzionato agli atti che l’uomo produce secondo la facoltà naturale. Quella conoscenza soprannaturale del fine, che precede necessariamente il modo della volontà, non può venirci altronde che da Dio: a ciò non basterebbe la nostra ragione naturale. Di qui si spiegano quelle parole: « Non per le opere di giustizia fatte da noi, ma per sua misericordia ci fece salvi, mediante la lavanda di rigenerazione e di rinnovellamento dello Spirito Santo» (Tit., III, 5); «non è dunque di chi vuole né di chi corre, ma di Dio che fa misericordia » (Rom., IX, 16). A volere e a operare il bene noi abbiamo bisogno d’esser prevenuti col divino aiuto; noi siamo gli ultimi operatori, Dio è il primo movente; Dio è il duce, noi siamo ì soldati. Si dà gratis ciò che si dà a qualcuno senza un merito precedente: gratis dunque si dà all’uomo l’aiuto divino che previene ogni merito umano. Di qui il nome di grazia con cui è chiamato: «se per grazia, dunque non per le opere, altrimenti la grazia non è più grazia » (Rom., 11, 6). Ma non solo perché vien concessa gratuitamente si dice grazia: si dice grazia anche perché mediante essa, come una speciale prerogativa, l’uomo si rende grato a Dio, che con amore speciale ci aiuta a conseguire un bene superiore alla nostra natura, ossia il perfetto godimento non d’un bene creato, ma di se stesso. – Perché l’uomo possa, in modo quasi connaturale, facile e dilettevole, fare il bene e farlo bene, gli occorrono oltre le potenze naturali alcune perfezioni e abiti di virtù. Dio che a tutti provvede secondo la lor natura, ci dà la sua grazia come una forma o una perfezione per il conseguimento del nostro ultimo fine. Perciò la grazia di Dio si designa come una luce nella Scrittura: « Eravate tenebre una volta, ora siete luce nel Signore » (Ephes., V, 8). Luce, cioè principio del vedere, è quella perfezione che ci promuove alla visione di Dio, nostro ultimo fine. È un errore dunque il dire che la grazia di Dio non pone nulla nell’uomo, come nulla si pone in chi si dice d’aver la grazia del re, ma solo nel re che gli accorda i suoi favori. Tal errore deriva dal non badare alla differenza fra l’amor divino e l’amor umano: l’amor divino è cagione del bene che Dio ama in noi; non sempre l’amor umano.
2. – Effetti della grazia. — La grazia che ci rende grati a Dio è in noi effetto del divino amore. Effetto proprio del divino amore è il farci amar Dio: poiché chi ama, ha come scopo principale del suo amore il farsi amare dalla persona amata. — Il fine ultimo a cui l’uomo è condotto con l’aiuto della grazia divina è la visione di Dio per essenza, visione propria dello stesso Dio: e così questo bene finale è comunicato da Dio all’uomo. – Non può dunque l’uomo esser condotto a questo fine, se non si unisca a Dio per la conformità della volontà, il che è effetto proprio dell’amore, essendo proprio degli amici il volere e il non volere le stesse cose, e il goderne e il dolersene. Per la grazia dunque che ci fa grati a Dio noi siamo diretti al fine comunicatoci da Dio e perciò diveniamo amanti di Dio. — Alla perfezione d’un’opera si richiede costanza e prontezza d’azione, e ciò s’ottiene principalmente con l’amore che ci fa apparir leggiere le cose difficili e gravi. Dovendo la grazia rendere perfette le nostre operazioni, è necessario che per essa si costituisca in noi l’amore di Dio. Con l’amor di Dio la grazia ci dà pure la fede. — Il moto per cui tendiamo all’ultimo fine con la grazia è volontario, non violento. Ora, il moto Volontario può esserci solo verso una cosa conosciuta: conosciuto dunque da noi dev’essere il fine cui tendiamo volontariamente. Ma non potendo noi aver questa conoscenza secondo l’aperta visione nello stato di mortali, quaggiù l’abbiamo per fede. — Il modo di conoscere la verità segue il modo della natura di chi conosce; ma per il raggiungimento dell’ultimo fine s’aggiunge sopra la natura dell’uomo una perfezione, cioè la grazia: è dunque necessario che sopra la cognizione naturale dell’uomo s’aggiunga in lui qualche cognizione che oltrepassi la ragione naturale. Quest’è la cognizione della fede, ch’è di quelle cose che non si vedono con la ragione naturale. In ogni amante sorge il desiderio d’unirsi per quanto è possibile con l’amato: di qui si spiega il gran piacere che si prova a vivere insieme con gli amici. Se dunque con la grazia l’uomo è fatto amante di Dio, sorge necessariamente in Lui il desiderio d’unirsi, per quanto è possibile, a Dio. La fede poi, causata dalla grazia, ci dichiara possibile questa unione dell’uomo con Dio secondo il perfetto godimento, in cui consiste la beatitudine. Dunque dall’amor di Dio deriva nell’uomo il desiderio di goder Dio; ma il desiderio d’una cosa molesterebbe l’anima del desiderante, se non ci fosse la speranza di conseguir l’oggetto desiderato: fu dunque conveniente che negli uomini, in cui l’amor di Dio e la fede son prodotti dalla grazia, fosse anche prodotta la speranza d’acquistar la futura beatitudine. – Oltre a ciò, nelle cose ordinate alla consecuzione di qualche fine desiderato, quando spuntano le difficoltà, si trova un sollievo nella speranza. Or bene, quante difficoltà spuntano sul cammino per cui ci dirigiamo verso la beatitudine, verso il fine di tutti i nostri desideri! A spianarci queste difficoltà la grazia ci dà la speranza: «Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, il quale per sua misericordia grande ci ha rigenerati a una viva speranza, con la risurrezione di Gesù da morte: a un’eredità incorruttibile e incontaminata e immarcescibile, riservata nei cieli » ( la PETR., 1, 3, 4); « siamo stati fatti salvi dalla speranza » (Rom., VIII, 24).
3. – Grazie gratis date. — Son certi effetti di grazia ordinati all’istruzione e alla confermazione della fede, e l’Apostolo li enumera dicendo: « All’uno è dato per mezzo dello Spirito il linguaggio della sapienza, all’altro il linguaggio della scienza secondo il medesimo Spirito, a un altro la fede per il medesimo Spirito, a un altro il dono delle guarigioni per il medesimo Spirito, a un altro l’operazione dei prodigi, a un altro la profezia, a un altro la discrezione degli spiriti, a un altro ogni genere di lingue, a un altro l’interpretazione delle lingue ( la Cor.,. XII, 8-10). – Da Dio solo, che perfettamente comprende se stesso e che naturalmente vede la sua essenza, ci possono arrivare le cose di fede. Or bene, nella manifestazione delle cose di fede, come in tutte le opere divine, c’è un ordine. Alcuni ricevono immediatamente la verità di Dio, altri da questi, e così per ordine fino agli ultimi. Le cose invisibili, la cui visione forma i beati, e che sono oggetto di fede, vengono anzitutto rivelate con aperta visione da Dio agli Angeli beati; poi per mezzo degli Angeli ad alcuni uomini, non già con aperta visione, m a con una certezza che deriva dalla divina rivelazione. Questa rivelazione delle cose invisibili fatta da Dio appartiene alla sapienza, la quale consiste appunto nel conoscere le cose di Dio (Sap., VII, 27-28; Eccli., XV, 5). Ma poiché «le cose invisibili di Dio, si vedono dopo averle intese per mezzo delle cose fatte » (Rom., 1, 20), con la divina grazia non solo ci si rivelano le divine cose, ma anche alcune delle create: il che appartiene alla scienza (Sap., VII, 17; 2 ° Paralip., 1, 12). – Quei che ricevono la rivelazione da Dio devono, secondo l’ordine stabilito da Dio, istruir altri; e ciò non potendosi fare senza il linguaggio, fu necessario che loro si desse anche l a grazia, del parlare, secondo che richiede l’utilità delle persone da istruire ( ISA., 50, 4; Luc., XXI, 15). E perciò, quando per mezzo di pochi doveva predicarsi la virtù della fede fra diverse genti, furono alcuni ammaestrati da Dio a parlar diverse lingue (Act., II, 4 ). – L’insegnamento, se non è di cose per sé evidenti, ha bisogno di conferma per essere accolto; ma le cose di fede non sono per sé manifeste all’umana ragione; di qui la necessità d’una conferma per le parole di quei che predicano la fede. Non potendosi aver tal conferma per mezzo di qualche principio della ragione con modo dimostrativo, perché le cose di fede sorpassano la ragione, ci fu bisogno di alcuni indizi che chiaramente dimostrassero come da Dio erano derivate le parole dei predicatori, i quali operavano intanto cose che Dio solo poteva compiere, come la guarigione degli infermi e altre siffatte meraviglie (MATTH., X, 8; MARC., XVI, 20). Un’altra conferma si ha quando i predicatori di verità risultano aver detto il vero circa le cose occulte che possono poi manifestarsi: allora si crede anche quando dicono cose che sfuggono all’esperimento degli uomini. Necessario fu quindi il donò della profezia, per cui gli uomini possono conoscere e indicare ad altri, per rivelazione di Dio, le cose future e occulte ( la Cor., 24, 25). Quelli che ricevettero la rivelazione immediatamente da Dio, non solo la narrarono agli uomini contemporanei, ma la scrissero per l’istruzione dei posteri; dovettero pertanto esserci anche di quelli che ne interpretassero gli scritti: il che s’ha dalla grazia di Dio, come dalla grazia di Dio s’ha la rivelazione (Gen., XL, 8). – Vengono infine quei che credono fedelmente alle cose rivelate e interpretate: e questo s’ha col dono della fede. Ma poiché gli spiriti maligni fanno qualcosa di simile a ciò ch’è di conferma alla fede, tanto nei prodigi quanto nella rivelazione del futuro, è necessario che gli uomini, per non essere ingannati dalla menzogna, sappiano discernere spirito da spirito ( la JOAN., IV, 1). – In tutti gli effetti accennati della grazia occorre considerare una differenza. Benché a tutti competa il nome di grazia, perché gratuitamente e senza alcun merito anteriore si conferiscono, tuttavia il solo effetto dell’amore si merita il nome di grazia in quanto ci rende grati a Dio (Prov., VIII, 17). Perciò la fede, la speranza, e gli altri effetti ordinati alla fede, possono trovarsi anche nei peccatori, che non sono grati a Dio; invece il solo amore è dono dei giusti, perché « chi rimane nella carità, rimane in Dio, e Dio è con lui» (la JOAN. , IV, 16). – C’è ancora un’altra differenza da considerare negli effetti della grazia. Alcuni d’essi son necessari per tutta la vita dell’uomo, come il credere, lo sperare, l’amare e ubbidire ai comandi di Dio, perché non potrebbe aversi altrimenti la salvezza: e a questi effetti si richiedono in noi alcune perfezioni secondo cui possiamo operare a suo tempo. Altri effetti son necessari, non più per tutta la vita, ma in determinati tempi e luoghi, come il far miracoli, predire il futuro, e simili: e a questi effetti non si danno perfezioni abituali, ma si fanno da Dio alcune impressioni che cessano col cessar dell’atto. Si ripetono le medesime impressioni, quando sarà opportuno il ripetere l’atto: così i profeti, in qualsiasi rivelazione, sono illustrati da un nuovo lume; così in qualsiasi operazione di miracoli s i richiede una nuova efficacia della virtù divina.