Mons. J.- J. GAUME: STORIA DEL BUON LADRONE (15), capp. XXVI-XXVII

CAPITOLO XXVI.

RICOMPENSA DEL BUON LADRONE.

Delizioso mistero compiutosi nella sua anima. — Egli sente di essere perdonato. — È assicurato di perseverare. — Assicurato di possedere una gloria immacolata, una felicità pura ed immortale.— Godimento di questa felicità. — Ammirazione di S. Bernardo. — Ora misteriosa in cui il paradiso gli fu promesso. — Qual è questo paradiso. — Spiegazione di S. Agostino e di S. Tommaso.— È egli entrato il primo ìu paradiso?

Disma aveva fatto ciò che deve fare ogni peccatore penitente. Egli era rientrato in se stesso, si era pentito, confessato, ed erasi rivolto a quel Dio che in tanti modi e sì lungamente aveva offeso. Tutto ciò lo aveva fatto con perfetta sincerità e con un coraggio eroico: e la Misericordia, non trovando più ostacoli, entra ben tosto nella di lui anima, come la luce in un appartamento spalancato ai suoi raggi. Ma ciò non basta: la misericordia si getta su lui, come l’ape sul fiore, come la più tenera Madre sul figlio dell’amor suo da lungo tempo perduto. –  E che di più possiamo dire per dare un’idea di un sì delizioso mistero? Un gran colpevole è condannato a morte. Egli è solo, legato mani e piedi nel fondo di un nero carcere. Sta innanzi alla sua coscienza una vita intera di iniquità. Prima di salire al patibolo, due manigoldi lo flagellano: nel passato i rimorsi; nell’avvenire la vista dell’estremo supplizio. Finalmente uno strano rumore gli ferisce l’udito: è il carceriere che viene colle sue grosse chiavi ad aprir 1’uscio della prigione agli sgherri della giustizia. Il reo è condotto via: per poco ancora, ed avrà subito una morte obbrobriosa e crudele. In mezzo a sì lugubre e funesto apparecchio, il re giunge e gli dice: « Tu sei assoluto. » E chi potrà mai esprimere la gioia, la impressione di contento che una tal parola produrrebbe sul povero condannato?… Ma mille volte più grande fu il gaudio di Disma, allorché intese il Salvatore dirgli: « Oggi sarai meco in paradiso. A provarlo basta svolgere il senso di quelle ineffabili parole. Dapprima vogliono dire: Tu sei perdonato. « Io son perdonato! Ed è ciò possibile? Io invecchiato nel delitto; io giustamente condannato al supplizio il più infamante; io, la cui anima è più nera del carbone; io l’orrore dei miei simili; io già destinato all’inferno, io son perdonato, io son 1’amico di Dio! Sì, lo sento, io son perdonato! Non v’ha più un peso che opprime la mia coscienza; non più rimorsi! Una pace sconosciuta m’inonda l’anima, e la inebria, e la fa uscire fuori di se! » E ben si comprende che una simile parola, uscita da una tal bocca, e diretta ad un uomo qual si era Disma, era capace di farlo morire. Disma è perdonato; ma sarà durevole la sua felicità? Non ha egli da temere di perderla con ricadere nel peccato? No. Fatto certo del suo perdono, il fortunato penitente non lo è meno della sua perseveranza. Egli ne ha pegno la parola infallibile; che dico? Il giuramento, il solenne giuramento del suo Redentore. – La parola Amen dicono i santi Dottori, è il giùramento di Dio. Usandola a riguardo del Buon Ladrone, Nostro Signore gli dà l’inalterabile sicurezza, ch’ei persevererà fino alla morte nella fede, nella speranza, nella sincerità del suo ravvedimento. Né ciò è tutto. Quasiché il divino Maestro avesse temuto che il suo caro Disma potesse rimanere in qualche inquietezza, replica quella solenne parola: Amen, Amen,, in verità in verità io tel dico. Oblio pel passato, sicurezza per l’avvenire … immensi favori, e pure essi non sono che un primo saggio della misericordia verso il Buon Ladrone e una debole parte della sua ricompensa. Vediamone il seguito. Se non contento di accordare la sua grazia, al reo di cui facemmo parola, il Re avesse detto: oggi stesso io ti condurrò meco alla Corte, e prenderai parte alla mia gloria, alla mia potenza, ed a tutti i miei godimenti: la lingua umana non potrebbe sicuramente esprimere le emozioni dì un uomo, richiamato ad un tratto dalle porte della morte ai più vivi splendori della vita, e dal fondo di un carcere all’altezza di un trono. Ma anche più grande è la sua impotenza ad esprimere i sentimenti di Disma nell’udire il re dei re dirgli: « In verità, in verità ti dico: oggi tu sarai meco in Paradiso. » – Quello che può affermarsi con uno dei suoi panegiristi si è, che l’annunzio di una siffatta felicità assorbì ogni sensazione di dolore: Latro plagarum immemor, dilectione dilatatur. [Arnold. Carnot., De sept. verb.]. – Precursore di un altro insigne convertito, Disma può egli pur dire come s. Paolo: « Sono inondato dall’allegrezza in mezzo a tutte le nostre tribolazioni. » [II Cor., VII, 4.] – Precursore dei martiri, egli provò quello che essi provarono. In mezzo ai più crudeli tormenti, furon veduti ebbri di gioia cantare sugli eculei, sorridere sotto le ruote, e coi piedi sugli ardenti carboni dire ai loro giudici: « Giammai noi ci trovammo ad una sì lieta festa, ad un sì lauto convito: nunquam tam jucunde epulatìs sumus [Ad. SS. Mar. et Marc.]. – Questa coesistenza del dolore e della gioia è chiaramente spiegata da s. Tommaso [3. p. q. 46. art. 8, ad I.]. – La sola cosa che il Salvatore promette al suo diletto compagno di morte non è già di renderlo felice in mezzo ai suoi mortali affanni: Egli lo assicura di una felicità assoluta, e non già nel corso di un anno, di un mese, ma per quel medesimo giorno. I Padri della Chiesa sen vanno in estasi nel considerare i tesori di tenerezza contenuti in quelle divine parole. Per essi tutti ascoltiamo s. Agostino ed un contemporaneo di s. Bernardo. Il primo si esprime così: « Sovvengati di me, disse il Buon Ladrone; e non ora, ma quando sarai rientrato nel regno tuo. Io son reo di tanti delitti, che non posso sperare un pronto riposo. Che le mie pene si prolunghino pure fino al tuo definitivo trionfo, non è certamente soverchio per i miei peccati. Allorché sarai rimesso nel tuo trono di gloria, allora mi perdonerai. Egli rimetteva ad un avvenire non vicino la sua salvezza; ma il Salvatore gli offrì il Paradiso che egli non osava domandare. » Ecco le parole del secondo: « In verità, ti dico, oggi sarai meco in paradiso. E chi mai? Tu che mi hai confessato tra i tormenti della croce, tu sarai meco nelle delizie del Paradiso. Con me, egli disse! Bontà ammirabile! Egli non disse semplicemente: tu sarai accolto in Paradiso, o tu sarai in Paradiso con gli angeli; ma con me. Tu sarai ricolmato di gioia vedendo Colui che tu desideri. Tu vedrai in tutta la sua maestà colui che tu confessi in mezzo ai dolori. Io non fo attendere ciò che prometto: oggi stesso tu verrai con me. – « Il dolce e pietoso Gesù ascolta subito, promette subito, e subito dà. Chi può dunque disperare di un Dio sì facile a dare ascolto, sì pronto a promettere, e sì puntuale a dare? … E noi pure che conosciamo la vostra benignità, noi speriamo in voi, perché non abbandonate mai coloro che vi cercano s. » Tal’è la premura del Salvatore d’introdurre nel cielo il suo diletto, che passa sopra a tutte le regole dell’ordinaria sua provvidenza. Egli stesso ha stabilito S, Pietro a custode della celeste Gerusalemme: a lui solo dava il diritto di aprirne le porte. Ma nella circostanza della quale parliamo, Nostro Signore non bada a quella disposizione, riprende le chiavi e senza consultare altri, apre Egli medesimo il suo regno al suo fedele compagno. Si è questa un’ingegnosa riflessione di Arnaldo di Chartres. Non vi adombrate, dice egli a S. Pietro, voi principe degli Apostoli e portinaio del cielo, lo non vi vedo a piè della Croce: il timore vi tiene lontano, e non avete nemmeno il coraggio di accompagnare la Madre del vostro Maestro, né le pie donne che intrepidamente si stanno appiè della Croce. Voi non fate uso alcuno dell’apostolica vostra autorità di legare e di sciogliere. Mentre inchiodati alle loro croci il Salvatore ed il peccatore si trattengono a parlare insieme, voi siete assente, e, permettete ch’io ve lo dica, trascurate il vostro officio di portinaio. Il sommo Sacerdote vi supplisce forzando le vecchie serrature; ed il Ladrone primizia dei disperati introdotto dallo stesso Signore nel regno dei cieli, è collocato sul trono stesso di Lucifero: e colui, al quale voi forse non avreste perdonato più di sette volte, benché colpevole più di settantasette volte, è assolto dal buon Gesù e regna con gli Angeli. – « Riassumete le vostre funzioni, ed imparate a perdonare … non contate né il numero né la lunga durata dei peccati. La divina clemenza non conosce limite alcuno, non è circoscritta dalla quantità né limitata dal tempo. Vi sia pure qualcuno che implori, e vi sarà qualcuno che esaudirà. Che vi sia qualcuno che si penta, e vi sarà qualcuno che perdonerà. Notate l’ora, che è l’ora estrema; osservate la persona che è un gran peccatore. Peccati enormi, peccati in gran numero, peccati antichi, in un batter d’occhio son cancellati per l’azione della grazia, e così totalmente scompaiono che non rimane ombra di macchia in quell’anima lavata dal battesimo della misericordia! « Modello di ravvedimento, esemplare di speranza, predicatore della misericordia, il Ladrone del Calvario si pente, ed in un attimo ei trova ciò che cerca; e ciò ch’ei domanda, l’ottiene. Per lui non v’hanno fiamme espiatrici. Ei va diritto al paradiso, messaggero del nostro perdono, primizia e testimonio del nostro riscatto, e per primo egli vi entra in mezzo agli applausi dei cori angelici. Oggi stesso tu sarai con me nel Paradiso: Hodie me cum eris in Paradiso » [Arnold. Carnot.in Bibl.Max. PP., t. XIII. part. 4, p. 1266]. In qual momento preciso furono pronunziate queste parole, le più dolci che mai risonar possano ad orecchio umano? il dicemmo: anche nelle più piccole circostanze della passione del Redentore del mondo ogni cosa è mistero. Meditandole al lume della tradizione, i santi Dottori vi scoprono armonie ammirabili. La parola che schiudeva il cielo al buon Ladrone, e nella sua persona al genere umano tutto quanto, fu pronunziata precisamente all’ora del mezzodì. E perché? Perché all’ora precisa del mezzodì il vecchio Adamo fu cacciato dal Paradiso, la cui porta restò chiusa fino alla morte del novello Adamo. Deriva da ciò che l’ora del mezzogiorno è sempre stata pei Cristiani un’ora santa. Notiamo le osservazioni di alcuna di quelle alte intelligenze. Noi preghiamo a mezzogiorno, perché essa è l’ora nella quale il Figlio di Dio fu posto in Croce. Creato all’ora sesta del giorno, Adamo peccò alla sesta ora: perciò la riparazione ebbe luogo all’ora stessa della caduta. Mostrando in figura la sua persona e la sua Chiesa agli antichi patriarchi, il Desiderato delle nazioni, all’ora di mezzogiorno si fece vedere ad Abramo sotto la quercia di Mambre. Era mezzodì, quando Giuseppe mangiò coi suoi fratelli che lo calarono nella vuota cisterna. Fu all’ora di mezzogiorno che l’ammirabile Ruth, bella figura della Chiesa, si avvicinò a Rooz nel suo campo, come la Chiesa a Nostro Signore, e divenne sua sposa, e si nutrì del suo bene. Fu all’ora di mezzogiorno che la Samaritana, figura della Chiesa de’ Gentili, s’imbatté nel Redentore, seduto al pozzo di Giacobbe. A cagion di Adamo, e per riparare al suo fallo nel medesimo giorno e all’ ora medesima, nella quale era stato commesso, Nostro Signore montò sulla croce all’ora sesta, nella sesta età del mondo, alla sesta ora del medesimo milionario, e della sesta settimana; infine alla sesta ora del sesto giorno. Tutto questo era misteriosamente annunziato dal sesto giorno della creazione che durò sei giorni. – Ma qual è il paradiso, del quale il Buon Ladrone fu posto in possesso il giorno medesimo della sua morte? Egli è certo che Nostro Signore in quel giorno non salì al cielo col Buon Ladrone, ma discese al Limbo per annunziare, come dice S. Pietro, la loro liberazione alle anime dei giusti. L’anima del Buon Ladrone vi discese con Lui, e come quella degli altri giusti, godè della visione beatifica: ora la visione beatifica è quella che forma la perfetta felicità, o il paradiso. « Si scioglie, dice S. Agostino, da ogni ambiguità il senso delle parole di Nostro Signore, se si considerano dette da Lui non come uomo, ma come Dio. Infatti, come uomo, il Cristo doveva essere in quel giorno nel sepolcro, quanto al corpo; e quanto all’ anima nel Limbo. Ma, come Dio, egli è sempre per tutto: e ovunque sia il paradiso, tutti i beati vi sono da che son con Colui che è dappertutto » – S. Tommaso ragiona allo stesso modo di S. Agostino: « Subito dopo la sua morte, Nostro Signore discese all’inferno, e liberò i Santi che vi si trovavano, non già cavandoli fuori di là in quel momento, ma illuminandoli con lo splendore della sua gloria. E conveniva che l’anima sua rimanesse nel Limbo tutto quel tempo che il corpo suo doveva giacere nel sepolcro. La parola del Signore al Buon Ladrone: Oggi sarai meco in Paradiso, deve dunque intendersi, non di un paradiso terrestre e corporale, ma di un paradiso spirituale, ove son tutti quelli che godono della gloria divina. Così quanto al luogo, il Buon Ladrone discese al Limbo con nostro Signore, perché si verificasse la parola: Oggi sarai meco in Paradiso : ma quanto al premio, egli fu nel Paradiso, perché là egli ebbe la visione beatifica come gli altri Santi. » [p 3 p., q. 52, art. 4. Ad 4 et 3.].Ma fu egli il primo a goderne, innanzi a tutti i patriarchi e profeti, e a tutte le anime giuste ch’erano nel Limbo? S. Agostino, il Crisostomo, S. Eulogio, ed altri Padri ancora pare che lo credano, poiché dicono, che il Buon Ladrone fu il primo che entrasse nel cielo Se le parole di questi grandi Dottori debbono esser prese alla lettera, è forza concluderne che il Buon Ladrone godè della visione beatifica dal momento stesso, in cui Nostro Signore gli disse: Oggi sarai meco in Paradiso; altrimenti egli non ne avrebbe goduto che dopo gli abitanti del Limbo. Infatti, Nostro Signore essendo morto prima di lui, la sua anima discese al Limbo innanzi a quella di Disma, e vi recò il Paradiso, ossia la visione della gloria divina. Checché ne sia, appena spirato, il buon Ladrone si trovò in possesso, e possesso eterno di una felicità, di cui l’occhio umano non ha pur potuto veder l’ombra la più leggera in tutte le maggiori felicità della terra, e della quale non potrebbero i più magnifici racconti destare la minima idea, e che sopravanza tutto ciò che il suo cuore può desiderare di più grande in potenza, in bellezza, in soavità, ed in gloria. È ella questa tutta la ricompensa che per la sua fede conseguì il buon Ladrone? Lo vedremo nel seguente Capitolo.

CAPITOLO XXVII.

RICOMPENSA DEL BUON LADRONE

( Continuazione)

La risurrezione complemento della felicità. — I resuscitati del Calvario. — Apertura dei sepolcri. — Risurrezione. — In qual momento avvenne. — Insegnamento di Suarez. — Numero dei resuscitati e loro apparizioni. — Chi eran essi. — Sentimenti dei Padri.— Loro ascensione in corpo ed in anima. — Quella del Buon Ladrone.

La felicità dei Santi che sono ora nel cielo, è una felicità inalterabile e senza fine; ma può essere accresciuta. E lo sarà effettivamente quando avverrà la risurrezione della carne, allorché riunita l’anima al corpo glorificato, l’uomo diverrà nuovamente un essere perfetto. Questo aumento di felicità, la ragione ben lo comprende, e la teologia lo insegna. [S. Thom ., Suppl, p. 93. art. 1, corp.]. II Buon Ladrone attende ancor egli questo accrescimento di beatitudine? Tale si è la interessante questione che andiamo a discutere. Noi leggiamo nell’Evangelio: « Ma Gesù, gettato di nuovo un gran grido, rendé Io spirito. Ed ecco che il velo del Tempio si squarciò in due parti da sommo a imo: e la terra tremò, e le pietre si spezzarono, e i monumenti si aprirono: e molti corpi dei santi che si erano addormentati risuscitarono. E usciti dai monumenti, dopo la risurrezione di Lui entrarono nella città santa, e apparvero a molti. » S. Matth., XXVII, 50, 53.] Tutti questi prodigi erano la prova e la conseguenza del più grande di essi, la morte dell’Uomo-Dio su di una croce. Il velo del tempio si squarcia, perché il regno della legge Mosaica è finito. Le pietre si spezzano, la terra trema, si oscura il sole, e tutta la natura è sconvolta, perché fa manifesto, come può, il suo dolore per la morte del suo Creatore, ed annunzia l’estremo sconvolgimento, dal quale sarà preceduto il finale Giudizio. L’un dei due ladroni è convertito, riprovato 1’altro: figura profetica di quanto avverrà a tutto il genere umano. Si aprono i sepolcri, e la morte vinta rende le sue vittime, annunzio dell’universale redenzione e della futura risurrezione. Non è del nostro compito il trattenersi su ciascuno di questi miracoli: uno solo fra essi deve occuparci, ed è quello della risurrezione de’morti. Quando quei morti risuscitarono? a chi apparvero? Chi furono quei morti? E che fu poi di loro? Cosa certa è che Nostro Signore, il capo dell’ umanità, risuscitò il primo; quindi s. Paolo lo appella il primogenito dei morti, primogenitus ex mortuis. Veruna risurrezione pertanto ebbe luogo prima del giorno di Pasqua. S. Matteo lo dice in termini precisi : « Usciti dai monumenti dopo la risurrezione di Luì: Exeuntes de monumentis post resurrectionem suam. » Che così dovesse avvenire, si comprende facilmente. Perché quei santi personaggi erano richiamati alla vita? Per rendere testimonianza della risurrezione di Nostro Signore; ma non potevano essi renderla prima che questa si adempisse! [S. Hier., in Matth XXVII, 52 Se il Vangelo parla della risurrezione di quei morti, nel medesimo tempo in cui parla degli altri prodigi avvenuti alla morte del Salvatore, egli è perché il sacro storico nel suo rapido racconto riunisce tutti i fatti miracolosi, benché non tutti avessero luogo nel medesimo giorno. Non v’ha compendio di storia antica o moderna che non offra esempi di un simile modo di racconto. Del rimanente l’apertura dei sepolcri avvenne al momento stesso che Nostro Signore spirò: emisit spiritum. La Provvidenza lo permise per rendere più evidente la risurrezione di quei morti, che per la durata di due giorni, si poterono vedere giacenti senza vita nei loro sepolcri. [Suarez, De Myster. Christi, quaest. LIII, art. 3, n . 7. p . 802]. – Ora il giorno di Pasqua, immediatamente dopo che il novello Adamo fu uscito dal suo sepolcro vincitore della morte e dell’inferno, apparvero nelle vie e sulle piazze di Gerusalemme, in gran numero, quei risorti dicendo: « Il Cristo è risuscitato, e noi ha risuscitato con lui. Riconosceteci; non siamo già dei fantasmi. Vedete e toccate: il dubbio non e più possibile. Credete adunque in Lui; adoratelo come Figlio di Dio; amatelo come vostro Redentore, e piangete su quanto venne fatto contro di Lui. » Può bene immaginarsi quale impressione dové produrre, nei diversi quartieri della città, la presenza ed il linguaggio di tali testimoni! Abbiam detto nei diversi quartieri della città, ed il sacro testo ci autorizzava a dirlo. Venerunt in sanctam civitatem. E ci autorizza ancora ad aggiungere, che quegli strani ma irrecusabili testimoni furono veduti e sentiti, non già da alcune persone soltanto, ma da un gran numero: et apparuerunt multis. – Quindi è che, oltre gli Apostoli e i Discepoli, molti dei Giudei presenti in Gerusalemme furono favoriti di questa eloquente apparizione. Nacque negli uni la fede, in altri si raffermò, ed un tal fatto più stupendo di ogni altro prodigio, dà la spiegazione delle numerose conversioni che ebbero luogo il giorno della Pentecoste. [Cor. a Lap., in Matth XXVII, 53]. Numerosi furono i risuscitati, numerosi i testimoni oculari, ed auricolari della loro risurrezione ; tale è la verità evangelica. Ma chi erano mai quei morti tornati in vita? e san Disma fu egli di questo numero? Fra quei testimoni dell’altro mondo, la tradizione nomina una parte dei santi personaggi dell’Antico Testamento, che, sia per le circostanze della loro vita, sia per lo splendore delle loro virtù, avevano avuto più significanti rapporti con Nostro Signore. Tali sono fra gli altri Adamo ed Èva, Àbramo, Isacco, Giacobbe, Melchisedecco, Mosè, Giosuè, Giobbe, Giona, Samuele, Isaia e gli altri Profeti. [S. Athan., Orat. de Pass. Dom., Origen., in Matth. Tract. 33, Alphons. a Castro, verb. Adam; Cor. a Lap., in Gen., v. 5, et in Matth. xxvii, 53, etc., etc.]. – A questi testimoni dell’antica età, Padri e figure del Messia, si aggiunsero dei contemporanei della generazione deicida, come Zaccaria, padre di s. Giovanni Battista, il santo vecchio Simeone, s Giuseppe, il Buon Ladrone ed altri ancora. [Theoph. Raynald., Metamorphos., etc., p. 355]. Tale è il sentimento di s. Epifanio, fedele depositario delle tradizioni di Gerusalemme, e della Palestina sua patria. [In Ancorato, etc.].  Ed è facile comprenderne la giustezza. In attestato della sua divinità, l’augusta Vittima del Calvario aveva fatto appello a tutti gli elementi; tutti erano concorsi, e la loro testimonianza era palpabile. I morti pure dovevano accorrere, e la loro testimonianza non doveva esser meno irrefragabile. Non bastava perciò di venire a dire in Gerusalemme: io sono Adamo, io sono Àbramo, io son Noè, io son Mosè: ma bisognava provarlo. A tale effetto il miglior mezzo si era, che persone conosciute, già morte e sepolte da dieci o quindici anni al più, venissero pieni di vita e di sanità, a dire ai loro parenti e ai loro amici: io son Zaccaria, io son Simeone, io son Disma, io son vostro padre, vostro fratello. Guardatemi bene, io non v’inganno, né posso ingannarvi. Io e questi che voi vedete con me, siamo ciò che noi vi diciamo, testimoni, cioè, della divinità di Gesù di Nazareth, la cui potenza ci ha richiamati alla vita. In una tal condizione, la testimonianza non lasciava nulla a desiderare, e l’eterna sapienza aveva raggiunto il suo scopo. I gloriosi testimoni dei quali parliamo non fecero che passare, per sparire prontamente e di bel nuovo morire? Il sentimento dei più gravi Dottori, fondato sull’autorità dei Padri, si è che quei santi personaggi rimasero visibilmente sulla terra fino al giorno dell’Ascensione, mostrandosi, come Nostro Signore stesso, a coloro che ne erano degni, testibus præordinatis, e confermando colla loro miracolosa presenza la divinità di Nostro Signore, e della Chiesa che era per nascere dal Cenacolo. Il giorno dell’Ascensione, essi salirono al cielo in corpo ed anima, al seguito del divin Redentore, che li presentò all’eterno Padre ed agli Angeli, siccome trofei della sua vittoria, e primizie del genere umano rigenerato. I grandi teologi che sostengono questa opinione sì bella e sì consolante, sono fra gli altri il venerabile Beda, s. Anselmo, Rabano Mauro, Pascasio Ratberto, Druthmaro, Ruperto, Gaetano, Giansenio, Dionigi il Certosino, Maldonato, Cornelio a Lapide, ed il celebre Suarez. Noi dicemmo che essa è fondata sull’autorità dei Santi Padri e dei Dottori, ed ecco le parole di alcuno di essi. « Vi han sulla terra, dice s. Epifanio, delle reliquie dei Santi, tranne di quelli che risuscitarono e sono entrati nella santa città. » [Hæres. 35. in fine.Nella sua lettera Sinodale, riportata ed approvata dal sesto Concilio; s. Sofronio, Patriarca di Gerusalemme si esprime così: « Dopo tre giorni, Nostro Signore vien fuori dal sepolcro, e con lui fa venir fuori tutti i morti, e dalla corruzione li conduce all’immortalità per la sua risurrezione dalla morte. » – Prima di esso è più affermativo ancora Eusebio, « Il corpo di Nostro Signore è risorto, e molti corpi di santi ch’eran defunti, risuscitarono e con Nostro Signore entrarono nella vera città celeste. » S. Anselmo, citando il venerabile Beda, il quale afferma che questi santi sono entrati al Cielo con Nostro Signore dice: « Non bisogna prestar fede alcuna ai temerari, i quali pretendono che quei santi ridivenissero polvere. » Demostr. Evangeli lib. IV, c. XII.Parlando del Buon Ladrone in particolare, il P. Teofilo Rainaldo si esprime così: « Egli era molto conveniente che Nostro Signore avendo avuto il Buon Ladrone per compagno delle sue umiliazioni e della sua croce, lo avesse altresì della sua risurrezione, e della sua gloria nella integrità della sua rigenerata natura.Il Buon Ladrone pertanto tutto intero, e non diviso, sarà con Gesù Cristo tutto intero. Si aggiunga che nessuna reliquia si è mai trovata del Buon Ladrone. Or non è verisimile che Nostro Signore avesse lasciato in perpetuo sepolto nella terra un siffatto tesoro, se veramente la terra lo possedeva. » [Metamorphos., etc., c. VIII, p. 554].  Infine il grande Arcivescovo di Reims, s. Remigio, trattando ex professo una siffatta questione, conchiude in questi termini: « Dobbiamo dunque credere senza esitare, che coloro i quali risuscitarono con Nostro Signore Gesù Cristo, salirono al cielo con esso lui. » La ragione stessa ce ne persuade. Nella gloriosa ascensione di questi illustri risorti essa vede altissime convenienze. E non era naturale che Nostro Signore entrando nel cielo, mostrasse subito, in quei santi personaggi in corpo ed anima, il frutto della sua completa vittoria sulla morte? Non era d’uopo che quelle anime, già fatte beate, fossero unite ai loro corpi gloriosi ed immortali? Ed il luogo proprio dei corpi glorificati non è forse il cielo? Può mai immaginarsi che quelle anime già in possesso della visione beatifica, rimanessero riunite a dei corpi mortali e corruttibili, e quindi esposti a sopportare le intemperie delle stagioni, il caldo, il freddo, e tutte le altre infermità della vita presente, e di più i dolori di una novella morte? Se quei gran santi avessero dovuto morire una seconda volta, assai meglio sarebbe stato per essi non risuscitare. Finalmente non era secondo ragione e convenienza, che Nostro Signore regnando in corpo ed anima in cielo, la sua umanità avesse compagni consimili della sua gloria, che coi suoi occhi vedesse e con essi potesse confabulare, e come uomo non rimanesse solingo e senza alcuna consolazione propria di quella sua umana natura? Da tutto il fin qui detto concludiamo con Suarez, e Cornelio a Lapide, che la sentenza, la quale sostiene che in anima e corpo siano in cielo i molti risorti del Calvario, è la più ragionevole e la più vera, la meglio fondata in autorità, la più conforme alla natura delle cose, alla bontà divina, ed alle convenienze della gloria di Nostro Signor Gesù Cristo. [« Verius alii censent, » dice Corn., in Matth., XXVII, 53; e Suarez: « Quocirca, omnibus pensatis, hæc sententia videtur verisimilior. Nam et majori auctoritate nititur, et est magis consentanea tum rebus ipsis, tum divinæ misericurdiæ, et pietati, et gloriam Christi magìs illustrai. « Ubi supra, q. LIII, art. 3, p. 806]. – Fra gli illustri compagni del suo trionfo, uno ve ne ha che Nostro Signore mostrò, e mostrerà eternamente con singolare predilezione, ed è questi il suo ben amato Disma. Sentiamo ciò che ne dice il Crisostoino: « Non vi ha re che, entrando trionfante nella sua capitale, faccia sedere al suo fianco un pubblico ladro, o anche qualcuno dei suoi servitori. Ebbene! Nostro Signore l’ha fatto. Ritornando nella divina sua patria, Egli condusse seco un ladro : né fu questo per il paradiso un disonore, ma una gloria. « Gloria pel paradiso è di avere un re assai potente da render meritevole delle voluttà celesti un ladro. Similmente quando il Signore ammetteva nel regno suo pubblicani e meretrici non era un disonore ma una gloria per il paradiso. Con ciò egli mostrava quanto grande fosse quel re dei cieli, che poteva rendere i pubblicani, e le pubbliche peccatrici abbastanza stimabili da meritare un tanto favore ed una sì grande felicità. – « E come noi ammiriamo un medico, soprattutto allorché Io vediamo guarire malattie giudicate insanabili, e render sani infermi disperati; così è giusto di ammirare Nostro Signore, soprattutto allorquando guarisce e sana piaghe insanabili, e riduce un pubblicano o una meretrice ad una sì perfetta sanità da renderli degni di assidersi in cielo con gli Angeli. « Ma, direte voi, che ha mai fatto quel Ladrone per meritare di passar dal patibolo ai cielo? Volete ch’io vi dica in due sole parole i suoi meriti ? Mentre Pietro negava locato in basso, ei confessava in alto. – Non dimentichiamo dunque questo Buon Ladrone; non vogliamo arrossire di riguardare come dottore colui, che Nostro Signore non dubitò d’introdurre pel primo con sè nel paradiso.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

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