GREGORIO XVII
IL MAGISTERO IMPEDITO:
CHIESA – FEDELI – MONDO -III-
Ortodossia –III-
[Lettera pastorale del 5 agosto 1962; «Riv. Dioc. Genovese», 1962, pp. 208-248].
Lo scandalo della Incarnazione
Ecco di che si tratta. Il Verbo di Dio si è fatto uomo. L’umanità intera di Gesù Cristo è stata accolta e sostenuta in unione sostanziale (ipostatica) dalla divina Persona del Figlio eterno del Padre. In Cristo c’è Dio e l’uomo, c’è la divinità perfettissima e la umanità anche materiale coi suoi limiti e le sue imprescindibili caratteristiche. L’umanità è accolta. Questo ha scandalizzato molti eresiarchi antichi: hanno avuto torto, perché hanno messo a Dio limiti i quali sarebbero andati bene soltanto per loro. Ma questo in altra forma continua a scandalizzare molti moderni, per nulla ritenuti eresiarchi e per nulla coscienti di esserlo. Ecco come avviene lo scandalo che, in definitiva, abbiamo giustamente chiamato nel titolo «lo scandalo della Incarnazione». – Il binomio delle cose divine ed umane in Cristo, nella Incarnazione, costituisce norma suprema, tipo e legge per tutto il rimanente della Rivelazione e della costituzione della Chiesa. Dappertutto sono presenti i due elementi, umano e divino, nella Chiesa, nei Sacramenti, nel Sacrificio. Ossia dappertutto, come in Gesù c’è una umanità completa, c’è elemento materiale. Come Gesù Cristo uomo ebbe fame, sete, sonno, stanchezza, collasso di forze, morte, così il ritmo di questa umanità, perfetto e armonioso tra le luci e le ombre, si distende e si stempera nel rimanente. Come si deve accettare la umanità di Gesù Cristo, si deve accettare la umanità del rimanente. Respingerla nel rimanente è finire col respingere la divina logica della Incarnazione. Si può aver pena che Gesù si sia addormentato in barca e si può averla perché può sembrare a tutta prima una diminuzione di dignità. Ma è così; debbo accettarlo e debbo anche capire di riflesso, se non mi riesce direttamente, che non c’è alcuna diminuzione di dignità, ma solo rivelazione commovente di amore. Per lo stesso motivo debbo accettare che nella Chiesa, umana e divina insieme, ossia con lo stesso ritmo analogico, qualcuno dorma, qualcuno abbia collassi, qualcuno muoia, qualcuno riveli macerazioni e disfacimenti che si convengono alla morte. Debbo accettare che gli strumenti umani dei quali si serve l’opera evangelizzatrice in qualche momento abbiano tutti i segni caratteristici delle cose umane, soggette al caldo, al freddo, alla infezioni, alla paralisi. Non ho il diritto di esigere diversamente, anche se abbiamo il dovere di agire in senso contrario. – Si tratta infatti soltanto di accettare la logica della Incarnazione, la quale ci impone di accettare l’umanità in Cristo e in tutto il resto, con le conseguenze che ebbe in Cristo e con le conseguenze analogiche e diverse che ebbe nel rimanente. Se non si accetta questo, non si accetta la logica di Cristo Dio e uomo, si disdegna la umanità, si entra nella luciferiana vanità delle cose perfette, come se si fosse noi perfetti e come se le vicende di questo mondo potessero esserlo. Forse si manterrà l’ossequio di Cristo; ma che ossequio è mai questo che, se avesse intelligenza sufficiente, ipocritamente dovrebbe arrivare a rinnegarlo? Chi osserva bene la storia, si potrà accorgere che la gnosi si è scandalizzata della Incarnazione per la presenza della umanità e della materia in Gesù Cristo. La gnosi, questa gnosi, è risorta tante volte in modi diversi. Nel Medioevo ha tentato di sovvertire la filosofia instillandole lo scandalo dell’uso dei sensi e cioè della conoscenza sensibile e della evidenza immediata attraverso i sensi per spingerla a partire, nelle sue elucubrazioni, da una quota più alta della terra. Uno dei meriti maggiori di san Tomaso d’Aquino è di avere sbarrato, in certo senso per sempre, la via a questa infiltrazione gnostica. Egli comincia sempre press’a poco così: Apparet et sensu constai…. Lo stesso giansenismo tra le altre malefatte vanta anche quella di avere insinuato che malamente la umanità si avvicina alle cose divine. Oggi siamo ad una situazione analoga: lo sdegno che la Chiesa sia anche umana, che Dio abbia lasciato anche in essa il gioco della libertà e per conseguenza delle umane passioni… Si strappano le vesti, si sentono coperti di vergogna e, dacché i comunisti hanno reso di moda la autocritica, si rifugiano in essa, dando alla Chiesa, alle autorità, ai preti, ai cattolici la colpa di tutto; e credono di essere veritieri e generosi, mentre sono soltanto dei fuorviati nel giudizio. – Bisogna accettare che la Chiesa sia anche umana, come bisogna accettare che Gesù Cristo sia anche un uomo. Ma come non è ammesso scandalizzarsi della umanità di Cristo, non è ammesso scandalizzarsi della umanità della Chiesa, ed è ora di finirla con tutta la patologia masochista di taluni cattolici, i quali vanno a gara nel dir male della Chiesa, opera di Cristo, strumento necessario della salvezza. Non è né serio, né cattolico, né giusto l’impiegare di proposito tempo, risorse ed ingegno per illustrare tutte le pecche della umanità della Chiesa, quando ciò serve soltanto ad aumentare il coro vociferante degli increduli e dei laicisti, e a diminuire la capacità della stessa per la salute delle anime. – Un tale indirizzo non può spiegarsi se non con l’intenzione almeno subcosciente di spezzare una autorità, barriera di verità e di legge, allo scopo di conseguire, non diremmo una libertà, ma una licenza che Gesù non ammette. – È qui dove la nuova gnosi scopre le sue batterie ed è l’unico punto dove diventa sincera. Essa accoglie l’istinto fatiscente della mondana depravazione e vuole arrivare alla dissoluzione dell’autorità. La umanità della Chiesa, la scoria umana che consegue il suo umano aspetto sono un grande pretesto. Esse sono assunte anche come fondamento di una doppiezza, perché generalmente l’azione di scalzare l’autorità è accompagnata dalla ricerca, magari spasmodica, del «potere». Rivela il suo carattere tardo, perché non comprende che al concetto di autorità si sostituisce una cosa sola, la violenza. Ed è per questo che abbiamo usato in contrapposto il termine «potere». La nuova gnosi è entrata nella cultura e nella storia. Si diletta a disfare i Santi ed è felice quando può scrivere un libro in cui crede di dimostrare che un Santo è degno di stima minore di quella goduta prima, od in cui le riesce di far vedere che un grande Papa era più o meno un sovrano ambizioso di potere o che la pietà di certe popolazioni è superstizione e stupidità. Ha piacere di distruggere, e così si trova situata piuttosto tra i pedissequi di Sartre che tra i seguaci di Cristo. – Noi dobbiamo sempre proporre ai fedeli la via della santità, dobbiamo a quella richiamarli senza reticenze. Questo fa parte della nostra sincerità verso di loro, perché il mandato ricevuto da Cristo è questo e non altro. Se lo accantoniamo, noi non siamo più veramente fedeli verso il Salvatore, né sinceri verso le anime a noi commesse. E per questo motivo che nel 1958 vi abbiamo indirizzato una pastorale assai lunga dal titolo: “L’impegno ascetico della parrocchia”. Non c’è dubbio che per richiamare sempre i fedeli a salire verso la vita moralmente e soprannaturalmente più perfetta occorre essere in una situazione che non ci conduca al ridicolo, occorre cioè della coerenza. Ma si tratta di un dovere netto. È chiaro dobbiamo chiedere tutto, ed inculcare la disistima dei compromessi. Per compiere il dovere di inculcare sempre e coerentemente ai nostri fedeli il dovere della «ascesi verso Dio», noi dobbiamo fortemente escludere dalla nostra vita anche la più piccola ombra di mondanità. Se noi riveliamo i difetti comuni agli uomini spiritualmente incolori o deviati o depravati, non assolveremo mai il nostro compito. Questo è certamente fondamentale e non finiremo di ripeterlo. La partecipazione ai comuni appetiti, ai comuni intrallazzi, ai comuni, anche se non disonesti, piaceri, alle comuni mollezze, ci toglie il carattere virile della nostra missione. L’incontro sul piano dei difetti e del comportamento mondano è sempre e solo servito al male. Esistono degli uomini di fede, i quali per fortuna vanno a cercare oggi i «lontani» là dove generalmente sono spensierati e facili di costume. Ma questi uomini sanno che proprio per questo la loro vita deve essere singolarmente e rilevatamente austera. Vorremmo infine si considerasse che, ai punti ai quali siamo giunti nella lotta tra lo spirito e la materia, sarà solo una guerra totale dello spirito che potrà avere ragione. E la «guerra totale» è la stessa fatta dagli Apostoli; formare dei cristiani capaci anche del martirio e creare sempre più serrata la rete di anime che vivono a tutti gli effetti e in tutte le conseguenze la vita cristiana. A tutti diamo tutto, ma ai fermenti capaci di moltiplicare la vita diamo la prima e la suprema attenzione. Il dare tutto a tutti finirà col cambiare il volto anche esterno delle cose, il dare, soprattutto a singoli di speciale elezione ed a gruppi di maggiore consistenza e coraggio, faciliterà la fermentazione cristiana della massa. Non tutti ricevono allo stesso modo. – Dunque, né attraverso l’insegnamento, né col silenzio, né col compromesso noi possiamo ammettere che si abbiano due coscienze, una privata ed una pubblica; che si abbiano due morali, una per sé ed una per gli altri; che si ammetta il tipo di vita in cui non può assolutamente resistere l’ordinamento divino della famiglia, dell’amore che lo genera, della resistenza al peccato; che si accetti, come fosse cessata la umana debolezza, ogni forma di esperimento nel piacere; che si perda il tempo; che non si santifichi pienamente la festa e non si dia al Signore la prima parte di tutto. Chi vorrà seguirà e chi non vorrà non seguirà; ma a questo modo avremo fatto il nostro dovere ed avremo almeno salvato la patente e netta distinzione tra il bene ed il male, tra la virtù ed il peccato. – Questo volevamo dire e qui riassumiamo. Esistono delle negazioni che direttamente attaccano la ortodossia. Esistono dei comportamenti generali, dei quali in un processo sarebbe difficile provare il delitto di eresia o di ribellione alla legittima autorità della Chiesa, ma che in realtà sono identici a quelli che promanano formalmente dalla eresia. A modo loro, certo, ma senza dubbio sono lesivi della ortodossia. Abbiamo voluto attirare l’attenzione su alcuni comportamenti che riguardano il nostro dovere verso i fedeli «ut fidelis quis inveniatur» (l Cor. IV, 2). Ciò per dimostrare che tali comportamenti «in facto» non salvano l’ortodossia e a poco a poco finiscono coll’inoculare incoscientemente gli errori e le eresie formali. Il cammino del male può essere duplice: dall’intelletto agli atti, ma anche dagli atti all’intelletto. Non basta guardarsi soltanto dal primo.
La Chiesa e la vita pubblica
Entriamo in un campo delicato nel quale l’ortodossia «di fatto» – almeno quella – può facilmente cadere. Vogliamo soltanto che i nostri sacerdoti abbiano in proposito alcune idee molto chiare, affinché non accada di loro che diventino anche in buona fede avversari sia nell’ordine intellettuale, sia nell’ordine pratico della ortodossia cattolica. Di quanto verremo dicendo, abbiamo posto le premesse nel primo capitolo di questa nostra lettera. Neppure intendiamo qui avventurarci nella funzione storica della Chiesa, fatto ben rilevato ed evidente. Vogliamo soltanto richiamare i sani e solidi principi che regolano i rapporti tra la Chiesa e quei suoi figli i quali entrano nella vita pubblica, siano o non siano qualificati rappresentanti dei Cattolici. Per un cattolico l’ordine è uno, la coscienza è una come Dio è uno. Un cattolico non può ignorare che mai gli è concesso di fingere che Dio, che Gesù Cristo non esista. La ragione di questo è che i motivi obiettivi sono permanenti e valgono tanto per gli individui che per le comunità. E le ragioni della certezza di Dio sono obiettive. Pertanto il rispetto alla legge divina naturale o rivelata per un cattolico precede ogni altra considerazione, la orienta ed anche la limita. Per lui vale la parola di Pietro: «Se sia giusto innanzi a Dio obbedire piuttosto a voi anziché a Dio, giudicate voi» (At. IV, 19); su di lui incombe preciso e inderogabile l’avvertimento di Gesù Cristo: «Chi dunque mi avrà riconosciuto davanti agli uomini, lo riconoscerò anch’io davanti al Padre mio che è nei cieli; chi poi mi avrà rinnegato davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre» (Mt. X, 32)! – Ciò significa che in nessun caso per lui una questione può essere trattata indipendentemente dalla morale e dalla verità di Dio. E per restare su questa unica e non discutibile posizione egli deve affrontare ogni difficoltà ed accettare ogni evento. Naturalmente chi non è cattolico o chi, pur cattolico, non ha sentimenti e idee degni della fede nella quale è nato ed è stato battezzato, ripudierà talvolta queste affermazioni, accettando invece proposizioni laiciste che ne sono il contrario. Ma questo farà per una deformazione soggettiva. La obiettività delle cose resta sempre quella che si è detta: Dio esiste, ha creato, è Signore, è sommo legislatore, ogni cosa deve essere soggetta in cielo e in terra alla sua volontà. Resterà, per i singoli che contestano il dominio di Dio sulle cose pubbliche, la questione personale se e come siano essi responsabili del loro errore ed eventualmente della loro colpa obiettiva. “Singuli videant”. Resterà la questione delle collettività che accettano un tale modo di pensare offensivo alla divina Presenza ed alla divina Provvidenza; quando si tratta di collettività la questione delle responsabilità diventa difficile a decifrarsi per la molteplicità dei fattori anche inconsci che vi giocano. Non dobbiamo qui occuparci di questo. – Se non si può ammettere mai da un cattolico una idea agnostica nella vita civile e tanto meno un contegno agnostico, vuol dire che non sono accettabili:
a) il concetto di una coscienza civile perfettamente disgiunta e indipendente o parallela ad una coscienza morale. Pertanto non sarà ammissibile il caso di compiere in nome della coscienza civile quello che fosse condannato dalla coscienza morale. Questo non significa che si debba escludere il criterio della superiorità del bene comune, perché tale superiorità del bene comune rispetto al bene privato, nei suoi giusti limiti, è perfettamente ammessa dalla legge morale. Nessuno pertanto può accusare il cattolico che agisce sempre secondo la legge morale di diventare insensibile di fronte alle esigenze del bene comune;
b) il criterio machiavellico nel reggimento della pubblica cosa. Il criterio machiavellico consente al reggitore la menzogna, l’inganno ed anche la sopraffazione, strumenti ritenuti necessari per governare gli uomini e per ottenere pertanto un bene comune. Tale criterio viene anche impropriamente chiamato «ragione di Stato». Il criterio machiavellico è immorale; è ritenuto furbizia e si rivela sempre debolezza; ha per fondamento il pessimismo. Infatti parte dal presupposto che gli uomini siano talmente stupidi e talmente malfatti che non possano essere guidati se non impiegando con loro la falsità, l’inganno e la sopraffazione. – Nessuno può negare, a parte i meriti letterari, che Machiavelli abbia fatto la più raffinata interpretazione della capacità di impostura e di inganno e che questa porti a lui l’elogio della raffinatezza, ma non quello della grandezza. Il criterio machiavellico è il rimedio dei deboli. Esso diviene per taluni accettabile dopo che con maggiore o minore forzatura sono riusciti a trovare una certa tranquillità sull’errore prima denunciato e pertanto dopo che sono riusciti a credere nella esistenza di una coscienza civile, indipendente da quella morale. Con questo non occorre altro per essere perfettamente machiavellici. – Il Cattolico pertanto sa che nella vita pubblica deve avere uno stile, il quale lo differenzi, sia per il coraggio delle sue condizioni in privato ed in pubblico, sia per la moralità della sua condotta, in ogni affare individuale o d’interesse comune. Vi possono essere le situazioni difficili della vita pubblica. Non autorizzano, neppur esse, ad andare contro la coscienza morale. Esse sono: i casi in cui si deve subire, anche avendo usato di tutte le proprie possibilità, ed allora varrà ricordare che la vittima in quanto tale non può avere colpa; i casi in cui la scelta sta tra il male maggiore e il male minore, fermi restando, però, la osservanza delle leggi morali sulla cooperazione ed il principio del duplice effetto; i casi in cui si deve tener conto del diritto della libertà altrui, fermo rimanendo che il diritto e la libertà altrui non possono mai esigere azioni in compossibili con la legge di Dio. – La impossibilità per un cattolico (e per ogni uomo che sia anche solo nella verità naturale) di ammettere un concetto agnostico dello Stato e della vita pubblica indica anche i limiti nei quali può essere applicato il concetto democratico. La democrazia sta sotto e non sopra la legge di Dio, come tutte le forme possibili di umana convivenza. In essa può essere oggetto di decisione democratica solamente quello che Dio ha lasciato alla libera disponibilità degli individui e della collettività, non altro. È un errore (il quale ricade in quello sopra denunciato della coscienza civile al tutto indipendente) il credere che alla disponibilità democratica sia aperto qualunque oggetto. Oltre che errore è pericolo per la democrazia stessa, perché ad uccidere le umane esperienze non esistono malattie più mortali delle loro stesse esagerazioni. La falsità del principio agnostico e la affermazione del suo contrario hanno una importante conseguenza per il cattolico che entra nella vita pubblica. Egli deve accettare tutto il diritto pubblico della Chiesa e prima ancora il diritto divino sopreminente sul quale esso si fonda. – Altra cosa è che egli venga a trovarsi, come reggitore, in posizione tale da poter sempre ed in tutto corrispondere ai postulati di questo diritto. Infatti può darsi il caso in cui egli sia limitato da situazioni giuridiche e da situazioni di fatto contro le quali non può nulla; può darsi il caso che urgere oltre un certo limite il diritto della Chiesa finisca col diventare per circostanze accidentali più un danno che un vantaggio. Ma egli deve avere nell’animo il pieno rispetto di quel diritto che deriva dalla istituzione di Cristo e deve restare nella imposizione coraggiosamente operativa di rispettarlo quando ciò gli è possibile; riflettendo che in questo non gli sarebbero giovevoli davanti a Dio né le debolezze, né il calcolo del proprio interesse. Finalmente egli deve accettare l’azione magisteriale della Chiesa. E prevedendo tale conclusione che noi abbiamo dedicato una parte della nostra lettera a questo argomento. Determinare se qualcosa è morale o meno, se corrisponde o meno alla legge di Dio, per il cattolico che intende stare con Gesù Cristo appartiene al magistero ecclesiastico. La Chiesa non interviene a giudicare direttamente e per sé dell’aspetto politico nell’esercizio del potere, ma a giudicare della conformità o meno di quello alla verità e alla legge divina. – Secondo quel giudizio il cattolico deve regolare la sua coscienza e la sua azione. Egli sa benissimo che non esistono due leggi, una per lui ed un’altra per chi non ha come lui il dono integro ed operante della fede. Sa che la legge divina obiettivamente obbliga tutti allo stesso modo, che tuttavia Dio tollera la libertà anche abusata degli uomini, dalla quale oltre le colpe, e spesso prima delle colpe, nascono gli errori. Sa che questi, colpe ed errori, fanno velo all’intelletto e creano situazioni penose di dissidio e di difficoltà, tra le quali egli può e deve dar prova della sua fedeltà, della sua forza, della sua resistenza e della sua capacità di merito. Tutto questo è difficile e dimostra che la vita pubblica e soprattutto l’esercizio del potere esigono una preparazione spirituale, in cui vigoreggi la capacità di rinuncia. Tutto può decadere quando entrano nell’esercizio della vita pubblica e del potere l’ambizione e l’interesse personale.
Il vero cattolico di fronte agli «altri»
Per «altri» qui intendiamo coloro che, pur battezzati ed anche qualche volta praticanti, nella vita pubblica (e spesso non solo in quella) si comportano come chi aderisce a principi teorici e pratici discordanti in qualunque modo dalla dottrina cattolica. Va da sé che, per il momento, non ci occupiamo in alcun modo di situazioni particolari. Qui trattiamo unicamente di principi. Solo appresso dovremo formulare la ipotesi di situazioni contingenti. Ecco dunque i princìpi che devono guidare il vero cattolico. La fede non la si impone a nessuno. Pertanto non sono ammissibili coercizioni quanto all’atto di fede; esso è, deve rimanere sempre atto libero, per dare così vero onore a Dio. Il fatto solo che non si possa da noi uomini, imporre l’atto di fede implica che si debba accettare come fatto che esistano uomini privi di fede. Il che ha ovviamente delle conseguenze giuridiche e pratiche. – La fede la si può e la si deve predicare a tutti ed anche i laici hanno in questo un dovere di collaborazione con la Chiesa, della quale sono membri e nella cui famiglia vivono. Ciò lo si ottiene anzitutto con la professione aperta della propria fede. Non si esclude affatto che in talune situazioni gravi e penose come quelle persecutorie si possano dare ragioni valide per tacere e ritirarsi, come quando non è possibile fare di più, o quando il tentare «oltre» diventerebbe più un danno che un vantaggio ai fini della Chiesa e della salvezza delle anime. Ma le situazioni gravi e penose alle quali alludiamo sono, lo si ritenga bene, casi piuttosto estremi e non debbono vedersi realizzate quando invece è solo questione di interesse o di paura. I mezzi giuridici e non giuridici, ma onesti, che sono possibili per condurre la propria azione nella direzione indicata dalla propria informata coscienza cristiana, debbono essere usati coraggiosamente. – La fede obbliga ad avere principi ben chiari nei rapporti cogli altri e pertanto indica da quale angolo si debbano vedere i problemi umani e sociali. Essi vanno sempre inquadrati nella finalità che hanno le cose terrene e nella misura definita da Cristo con le parole: «Ama il prossimo tuo come te stesso» (Mt. XIX,19). La dottrina cristiana spinge a considerare l’autorità e conseguentemente il potere come un servizio e non come un personale godimento. – La fede, con la chiarezza della legge divina, obbliga ad accorgersi: che la politica è il punto di confluenza di tutte le maggiori ambizioni e passioni, dove tutto facilmente può venire dirottato ben lontano dalle esigenze del bene comune, non esclusi modi apparentemente leciti per chi superficialmente giudica. Essa, la fede, severa con le ambizioni e le passioni, indicatrice di un distacco del cuore dai beni terreni, mette in guardia chi sente cattolicamente, perché non cada nella tentazione, la quale ha rovinato molti e nei secoli ha dato alla Chiesa i guai peggiori. Questa considerazione conduce ovviamente a ponderare con chiara precisazione qualunque collaborazione, non per escluderla sempre, ma per restare a questo proposito nella norma morale e per evitare quel facile inganno, che sempre è latente ove le illusioni degli uomini superano la loro capacità e spingono le loro ambizioni.
Le formazioni che agiscono nel campo civile con ispirazione cattolica
L’argomento ha non pochi contatti teorici e pratici con la l’«ortodossia». Ha tuttavia bisogno di una importante premessa, che meriterebbe una trattazione a parte e che qui ora non affrontiamo, ma della quale neppure possiamo tacere. Una comunità politica, fatta di Cristiani Cattolici, dopo quello che si è detto sopra, dovrebbe essere, naturalmente e chiaramente, in privato e in pubblico, di impronta cattolica. Questo sarebbe il frutto della logica e della coerenza di ogni anima cristiana, di molte anime cristiane, nonché il frutto della necessità per lo Stato di non essere agnostico. Dunque la società tipicamente cristiana può esistere anche se per la comune legge, che non conosce cose perfette in questo mondo, potrà avere difetti marginali. Questa «società cristiana» sorge e nasce con perfetta spontaneità dalle anime sinceramente cristiane. La naturalezza di questo è tale che, se si volesse dire altrimenti, ci si incontrerebbe fatalmente in una contraddizione. Di ciò abbiamo voluto avvertire, non tanto per difendere la società naturalmente cristiana del Medio Evo, ma perché appaia in quale considerazione debba tenersi la asserzione – così spesso difesa da pubblicazioni italiane periodiche sedicenti di ispirazione cristiana, senza ombra di resistenza da parte di altre più pudiche pubblicazioni – secondo la quale non si può concepire in clima di libertà una «società cristiana». La asserzione è dunque falsa. Ma c’è di più: è ipocrita, perché si può ritenere venga espressa così per ottenere effetti interessanti. La questione sarà sempre, per una societas Christiana, che lo sviluppo del senso cristiano, dall’individuo alla somma degli individui, ossia alla loro comunità politica, avvenga naturalmente senza coartazioni indebite. La societas Christiana può esistere e sarebbe utile a tutti che esistesse. La vera ragione per cui la si vuol negare, rompendo la logica della propria fede, è la paura che la societas Christiana dipenda dalla Chiesa. – Quando la società è naturalmente cristiana non occorrono associazioni politiche che si distinguano per la ispirazione cristiana. A questo punto è doverosa un’altra affermazione. In una società che non fosse tipicamente cristiana, per la mescolanza delle vane religioni o per la parziale apostasia di molti credenti, si potrebbe ipotizzare uno stato di onestà nei supremi princìpi per i quali prevalessero i dettami del diritto naturale nella conformazione politica ed anche nella vita politica. Quando non c’è miseria questo di fatto accade, almeno qualche volta. In tal caso è possibile non sia necessaria, per difendere la libertà della Chiesa e della religione, una associazione politica di Cattolici come tali. In realtà quando in uno Stato esiste il vero rispetto delle libertà dei cittadini e della libertà di associazione, difese entrambe dagli aspiranti alle «signorie», esistono ragioni per una sufficiente anche se non perfetta libertà religiosa e possono mancare ragioni veramente cogenti per associazioni politiche cattoliche qualificate, siccome accade in qualche nazione. Le associazioni politiche di ispirazione cattolica sono sorte per difendere la libertà religiosa e, spesso, la libertà della Chiesa od almeno la dottrina sociale della Chiesa, in ambienti che erano guidati o da dottrine avverse alla religione o da principi laicisti. Se non ci fossero state esagerazioni persecutorie e schemi laicisti, probabilmente sarebbe mancata la ragione per cui sono sorti dei partiti cattolici. E vero che il bisogno di contrapporsi ad un concetto illuministico ed asociale dello Stato ha avuto la sua parte, e non disprezzabile, nel condurre ad inquadramenti politici; tuttavia non è poi certo se, con quella sola ragione, gli inquadramenti politici sarebbero sorti. Sono sempre le azioni che suscitano azioni in direzione contraria, quando non rimangono nel giusto equilibrio. Questo bisognava pur dire, perché all’inizio delle formazioni politiche cattoliche sta sempre una ispirazione profondamente religiosa e la netta volontà di difendere, in un ordine più cristiano, il diritto e la libertà delle anime e della Chiesa. – Quali allora i principi che regolano la linea morale di associazioni in campo civile che o sono di aperta ispirazione cristiana (cristiana in Italia vuol dire cattolica), o si presentano come polarizzatori e rappresentanti dei cattolici, soprattutto militanti? L’azione in campo civico (se si vuole: politico) in quanto tale, per sé, non è di competenza ecclesiastica. Da questo principio si possono trarre tutte le ovvie e legittime conseguenze, a patto che si contemperino coi principi egualmente veri che seguono. L’azione in campo civico non può prevalere né sulla verità né sulla legge morale. – L’azione in campo civico ha sempre un aspetto che pone un collegamento chiaro col Magistero ecclesiastico. Si tratta dell’aspetto morale anzitutto: su questo aspetto, e cioè sulla conformità o meno di una azione politica rispetto alla legge divina, è competente a giudicare la Chiesa ed il suo giudizio vincola la coscienza dei fedeli se viene dato in forma sufficiente e conveniente a creare il vincolo. Si tratta poi dell’aspetto ideologico, di quello cioè in cui una azione politica o diviene accettazione di una determinata dottrina o diviene appoggio diretto od indiretto alla medesima. In tal caso può accadere che non sta più salva la posizione mentale dei Cattolici rispetto alla sacra dottrina della Chiesa ed anche per questo caso il magistero della Chiesa può esprimere il suo giudizio nel campo dottrinale o di sua competenza. – C’è finalmente o può esserci nel fatto politico un terzo aspetto al tutto concreto e pratico ed è il collegamento tra il medesimo e certi o probabili danni della religione e della Chiesa. Questa ha il diritto di difendersi ed ha il diritto di indicare ai suoi figli quello che ritiene pericoloso. I suoi figli non possono negarle né il diritto né la capacità di giudicare delle azioni o delle conseguenze di azioni ai suoi danni. – Gli atti della Chiesa, nella sua competenza, hanno valore per la coscienza di tutti e singoli i fedeli e possono spingere tale valore fino a creare la obbligazione di coscienza. Una formazione rappresentativa di Cattolici in campo civile (e pertanto anche politico) proprio in forza della sua ispirazione cristiana e cattolica ha doveri maggiori. Questo non ha bisogno di essere dimostrato, perché è noto a tutti che la legge cristiana, fondata su una divina rivelazione, domanda qualcosa di più della semplice legge naturale e perché qualunque collegamento, fosse pur solo ideale, con realtà superiori impone una perfezione maggiore. Ciò significa che ogni orientamento deve essere volto al «meglio» e mai al «peggio». Questi doveri maggiori vanno ben considerati sia nell’aspetto negativo che nell’aspetto positivo. Per mantenere una esposizione «ascendente» cominciamo dall’aspetto negativo. Dal punto di vista negativo una formazione cattolica in campo civile deve sempre evitare qualunque azione disonesta, qualunque prevalenza di interesse personale su interesse pubblico, qualunque «personalizzazione» della propria attività; le ragioni sono tutte nella morale cristiana; deve evitare qualunque impiego di mezzi illeciti, compresi tutti gli espedienti machiavellici, e pertanto qualunque concorrenza con chi batte vie riprovevoli. La ragione di questo è non meno evidente di quella detta prima. La collaborazione al male sta tra i mezzi illeciti e per i particolari rimandiamo i nostri confratelli agli ordinari testi di teologia morale: là ce n’è abbastanza! Dal punto di vista positivo una formazione di Cattolici in campo civico: deve far prevalere i «motivi ideali» su quelli di interesse anche immediato; deve tendere a realizzare nella giustizia la coesistenza di tutte le categorie e pertanto non può svolgere una lotta di classe: deve realizzare la concordia con la virtù e non soltanto coll’interesse o la convenienza, educando uomini a servire e non ad essere serviti; deve avere nel massimo grado il senso di responsabilità del vero bene comune. Infine, deve avere sempre presente che, per quanto autonoma nel suo aspetto meramente politico, non può considerare tale autonomia in modo lesivo della verità e della legge di Cristo, né può dimenticare che il proprio comportamento (anche per malizia di interpretazione altrui) deve evitare che cadano sulla Chiesa responsabilità sconvenienti o ingiuste o addirittura lesive del supremo bene delle anime, per il quale è stata costituita la Chiesa stessa. Nei confronti della Chiesa, anche ove mancassero ragioni giuridiche di interferenza della medesima in materie estranee alla diretta competenza sua, resta sempre la dignità della «maestra» e della «madre»; i rapporti stabiliti dalla forza magisteriale e dalla vera autorità materna non stanno nei parametri di un discorso politico e non defraudano le libertà politiche, ma tutti capiscono che trascendono queste cose e su queste cose irradiano per ragioni soprannaturali. Ecco dunque la Chiesa e il mondo. Il mondo per agitarsi ha le sue ragioni culturali, politiche, economiche, sociali e tecniche. Le ultime tendono a prendere un primato. Esse sono vicinissime alla materia, della quale si avvalgono, e possono raggiungere la forza indiscutibile e straripante della materia stessa. Sulla cultura prevale certamente ormai la rete materiale dei mezzi diffusivi che pongono la suggestione dei popoli in poche mani, frettolose e spesso partigiane. L’imitazione del mondo e la tentazione di riuscirgli graditi porta ad esercitare una immorale pressione sulla verità, dato che il mondo tende, nella sua corsa affannosa, a sostituire la verità col «fatto». E pertanto la verità, la ortodossia possono contare poco quando l’orgoglio, il piacere, l’interesse e il vuoto portano a considerare piuttosto l’utile del «fatto» che il dovere della «verità». Il mondo dà segni in cui si scorge la noia del suo asservimento alla materia ed alla luogotenente della medesima, la tecnica! La Chiesa non travierà mai. Noi possiamo traviare. E meglio rimanere cittadini della «città superna». Sant’Agostino al tramonto di una grande giornata del «mondo», scriveva i ventidue libri del De civitate Dei. È tempo di riprendere quel grande discorso.
[Fine]