LA GNOSI, UN CANCRO NEL SENO DELLA CHIESA -II-
LE DEFICIENZE E LE INCONGRUENZE DELLA GNOSI
1° Il Panteismo
Negli insegnamenti degli gnostici, c’è una cascata di incoerenze che conducono a conclusioni prive di ogni senso ed i primi apologisti cristiani, i Padri della Chiesa non hanno mancato di far risaltare con le loro argomentazioni le incongruenze della loro dottrina. Sant’Ireneo, ad esempio, nel suo « Adversus Hæreses », si ripropone di confutare tutto il loro sistema. Ecco come Mons. Freppel riassume il suo argomentare: « O voi separate Dio dal mondo, o confondete Dio ed il mondo, e nell’uno e nell’altro caso, distruggete la vera nozione di Dio. Se ponete la creazione al di fuori da Dio, nel senso che questa esiste indipendentemente da Lui, qualunque nome diate a questa materia eterna, che la chiamiate “vuoto”, “Caos”, “Tenebre”, poco importa: voi limitate l’Essere divino, ne circoscrivete l’ambito di attività praticamente in modo da negarlo! Dio non può esistere che a condizione di essere infinito, di racchiudere in sé l’universalità degli esseri e non ce n’è uno che possa esistere da se stesso o sfuggire alla sua potenza di Essere sovrano. Voi avete un bel dire che il mondo potrebbe essere stato formato da Angeli e da qualche altra potenza secondaria (qui il Demiurgo, Yahvé), delle due cose, l’una: o essi hanno agito contro la volontà del Dio supremo, o in obbedienza ad un suo comando. Nella prima ipotesi voi accusate Dio di impotenza; nel secondo caso, voi siete ricondotti, vostro malgrado, alla dottrina cristiana, che vede gli Angeli semplici strumenti della volontà divina. Dunque, o ammettete la creazione, o rinunciate per sempre a trovare il vero Dio. » In questa prima alternativa, gli gnostici sono condannati ad inventarsi, il loro “pleroma”, privo di ogni potere, il gran “Tutto” indicibile, inconoscibile, incosciente, impersonale. La creazione del mondo materiale sarebbe una catastrofe maldestra di una divinità inferiore, che ha voluto manifestare la sua indipendenza e la propria volontà agendo all’insaputa della Divinità-Pleroma. È il caso di Yahvé. « Ma se al contrario voi ponete la creazione in Dio, in modo tale che essa si riduca ad un puro sviluppo della sua sostanza (si tratta dunque di Emanazione), entrate in una via ancor più inestricabile. Allora tutto ciò che nella creazione è imperfetto e impuro ricade su Dio stesso, la cui sostanza diviene la loro. Voi dite che il mondo è il frutto dell’ignoranza e del peccato (il peccato di Yahvé), il risultato di una incoerenza o di una caduta del Pleroma, una degenerazione progressiva dell’Essere o, secondo la vostra metafora preferita, “una macchia sulla tunica di Dio”; ma non vedete che in questa confusione dell’infinito con il finito, è la natura stessa che decade, che degenera, che è intaccata dal vizio e dall’imperfezione? È possibile alterare più gravemente la nozione di Dio? Voi non potete sfuggire a questa conseguenza se non tornando al dogma cattolico della Creazione che, benché sia misterioso, racchiude l’unica soluzione ragionevole, perché distingue perfettamente ciò che non deve essere separato né confuso. » Tale fu l’insegnamento di Sant’Ireneo. Si vedrà più avanti come essa resti pertinente anche nei confronti del panteismo moderno professato ad esempio da Hegel ed dai Marxisti, o più recentemente dal modernista novus ordo come è evidente tra l’altro in una sedicente pseudo-enciclica gnostico-anticristica e demenziale anticattolica, che ingannevolmente richiama il cantico di San Francesco d’Assisi. In effetti se il mondo e Dio non fanno che un solo Essere, bisogna introdurre in questo mondo divino il movimento, gli accidenti, le imperfezioni, il male: il panteismo sarà necessariamente evoluzionista [l’evoluzionismo, non è una teoria scientifica, anche perché non ha ricevuto mai nessuna conferma da chicchessia, né da ricercatori, né da veri scienziati, anzi biologi e genetisti hanno dimostrato da tempo l’assoluta impossibilità che il materiale genetico possa modificarsi in organismi accoppiabili in tempi brevi e con mutazioni multiple contemporanee che, nel calcolo delle probabilità, non hanno praticamente alcuna possibilità di verificarsi; esso è bensì una “filosofia” di carattere gnostico panteistica, portata avanti dalle logge e dalle conventicole massoniche e dai suoi adepti che vengo opportunamente presentati dai mass media [anch’essi gestiti dalla quasi totalità dai “grembiulini” a scacchi], come grandi scienziati senza averne alcun titolo dimostrabile, e che vengono, per conferire loro lustro, insigniti da roboanti premi, fregi, medaglie e prebende che ingannano i poveri “allocchi” e “babbei” che credono ancora alle fandonie spacciate per libera scienza sperimentale o teorica che sia].
2° Il problema del male
Sant’Agostino ci racconta come egli fosse vissuto dieci anni tra i manichei, che furono gli gnostici del suo tempo: « Io credevo allora che non siamo noi che pecchiamo, ma è la nostra natura “estranea” che pecca in noi (nescio quam aliam in nobis peccare naturam) … mi piaceva molto credere che io non fossi mai colpevole … ero ben contento di giustificarmi e di respingere la mia colpa su non so quale principio da me distinto, benché fosse in me (et accusare nescio quid aliud, quod mecum esset et ego non essem), ed il mio peccato era tanto più incurabile quanto più credevo non peccatore … » . Ora io non sapevo quale principio fosse in me, per cui non ero io, ma Dio la fonte dei miei peccati: « C’è nel cielo una causa inevitabile che fa peccare (inevitabilis causa peccandi: è Venere, Saturno o Marte che vi hanno fatto fare tale azione, volendo così che l’uomo sia esente da ogni colpa e che questa sia anzi rigettata su Colui che ha creato i cieli e gli astri … Ora chi è Costui se non Voi, mio Dio! » (culpandus sit autem cæli et siderum creator et ordinator). – Si vede da questo passaggio, estratto dalle “Confessioni”, quale uso avessero fatto gli gnostici dell’astrologia. Io non so chi sia che pecca in noi, è Dio, dunque un “altro”, il grande colpevole. Tuttavia gli gnostici affermano simultaneamente che il nostro “pneuma”, puro spirito, è una fiammella divina e che pertanto esso è perfetto, incapace di qualunque colpa. – C’è in questo una incoerenza fondamentale a proposito della essenza divina. Se la sorgente del male è nella divinità, non si comprende come l’uomo, pretendendo di raggiungere questa pienezza divina che gli gnostici chiamano il “pleroma”, sfuggirebbe al male che si sforza poi di rigettare su Dio! Poscia non si vede come un essere divino supposto buono per natura, ad esempio Yahvé, il Creatore, avrebbe potuto produrre un cattivo effetto, ad esempio la materia. Questo attribuire il male alla divinità non solo non risolve la difficoltà, ma non fa che rimandare il problema e renderlo insolubile. Da dove viene dunque che il Creatore abbia voluto questa caduta delle anime nella materia? Le spiegazioni date dagli gnostici sono esitanti, fantasiose: opera maldestra, accidente, catastrofe … e non possono certamente soddisfare uno spirito che persegua un minimo di coerenza. Sant’Agostino ha impiegato del tempo per sfuggire alle attrattive degli gnostici; ma egli ha finito con abbandonare le loro idee quando comprese, in seguito alle frequentazioni col vescovo manicheo Faustinus, che questa difficoltà restava presso di loro senza risposta. Tertulliano ha fornito una risposta molto interessante a questo problema nel formidabile: “Trattato contro Marcione”, celebre gnostico di Roma e discepolo poco fedele del manichei. Ecco come egli riassume l’obiezione degli gnostici, che è poi sempre la stessa, anche nei moderni increduli: « Se il vostro Dio è buono, poiché aveva la prescienza ed il potere di impedire il male, perché ha sofferto che l’uomo, sua immagine e somiglianza, o piuttosto sua stessa sostanza per l’origine divina della sua anima (qui si riconosce l’idea dell’anima “fiammella divina”, cara agli gnostici) si è lasciato sorprendere dal demonio ed infedele è caduto nella morte? Se la bontà consisteva nel non volerla come tale, la prescienza nel non ignorare l’avvenimento, la potenza nel tenerla lontana, mai si sarebbe giunti a quanto non poteva avvenire con queste tre condizioni della maestà divina. Poiché questo è invece successo, è certo dunque che la bontà, la prescienza, il potere del vostro Dio, sono delle vane chimere. La caduta sarebbe stata possibile se Dio era come voi lo fate? Essa è sopraggiunta, e dunque il vostro Dio non ha né bontà, né prescienza, né potere. ». Il problema è posto in tutta la sua acuità e l’argomentazione blasfema è rimasta invariata fino ai nostri giorni. Ecco la risposta di Tertulliano, essa è ammirevole: « Mai Dio è così grande se non quando sembra piccolo allo sguardo degli uomini. Mai più misericordioso che quando la sua bontà si cela; mai più indivisibile nella sua unità che quando l’uomo percepisce due o più principi (ad esempio i manichei)… se si chiede a qual titolo è Dio, bisognerà necessariamente iniziare dalle opere che precedono l’uomo (marchiamo bene il senso di questa necessità; è l’uomo che fa così un processo a Dio secondo il proprio giudizio; ma occorre invece innanzitutto cercare al di sopra di lui il criterio del suo giudizio) affinché la bontà di Dio rivelata da Lui stesso e poggiante da allora su una base indistruttibile, ci fornisca un mezzo per apprezzare l’ordine e la saggezza delle opere successive (noi diremmo oggi un “criterio di giudizio” distinto dal nostro giudizio, nel qual caso noi non saremmo giudici e parte in causa). Dapprima, questo vasto universo con il quale si è rivelato, il nostro Dio, lungi dall’aver mendicato ad altri, l’ha tratto dal suo fondo, l’ha creato da se stesso (è la risposta agli gnostici che presentano Dio come una divinità inferiore, utilizzante le anime “fiammelle divine” eterne, per racchiuderle nella materia). – La prima manifestazione della sua bontà fu dunque il non permettere che il vero Dio restasse eternamente senza testimoni! Cosa vuol dire? … se non chiamare in vita delle intelligenze capaci di conoscerlo. C’è in effetti un bene paragonabile alla conoscenza ed al possesso della Divinità? (e non è in effetti questa tutta la ragione di essere gnostici visto che propongono tale scopo all’esistenza?). Benché questo bene sublime fosse senza chi lo apprezzasse, in mancanza di elementi ai quali manifestarsi, la prescienza di Dio contemplava nell’avvenire il bene che doveva nascere e lo affidò alla sua infinita bontà che doveva disporre l’apparizione di questo bene, che non ebbe niente di precipitato, nulla che somigliasse ad una bontà fortuita, niente che si tingesse di una rivalità gelosa e che bisogna datare dal giorno in cui cominciò ad agire. (Tutto questo corrisponde agli gnostici che affermano che Yahvé creò la materia per accidente, senza riflettere alle conseguenze catastrofiche della sua fantasia, o ancora per vanità, per mostrare la sua potenza alle altre divinità. Si vede come Tertulliano conoscesse bene i suoi avversari e sapesse all’occorrenza, rendere loro la pariglia.). È essa [la divina bontà] che ha fatto l’inizio delle cose: essa esisteva dunque già prima del momento in cui si mise all’opera: da questo momento, nacque il tempo, del quale gli astri ed i corpi luminosi fanno la distinzione, la concatenazione e le diverse rivoluzioni. Vi serviranno dei segni, Ella disse, per supportare i tempi, i mesi, gli anni (tutto questo in risposta agli gnostici che, fedeli discepoli degli astrologi, pretendevano che i pianeti fossero delle divinità inferiori e talvolta malefiche). Così non c’era alcun tempo prima dei tempi per Colui che ha fatto i tempi. Nessun inizio per Colui che ha creato un inizio. Così non avendo avuto un inizio e non essendo sottomessa alla misura dei tempi, non si può non vedere nell’infinita bontà divina che una durata immensa ed infinita; non si può considerarla come improvvisa, accidentale, provocata ad agire (come la bontà di una divinità capricciosa, capace in altri momenti di volontà malefica), essa non ha niente che possa offrire una rassomiglianza con il tempo; essa è eterna, uscita dal seno di Dio e di conseguenza considerata come infinita e pertanto, degna di Dio. – Se è vero che la bontà e la saggezza divina caratterizzano il dono fatto all’uomo, perdendo di vista la prima regola della bontà e della saggezza, non andiamo a condannare una cosa dagli accadimenti, né decidere ciecamente che l’istituzione è indegna di Dio perché l’istituzione è stata viziata nel suo corso, ma piuttosto entriamo nella natura del Fondatore che ha dovuto procedere così: poi in ginocchio davanti alla sua opera, rivolgiamo i nostri sguardi più in basso. – Senza dubbio, quando si trova, fin dai primi passi la caduta dell’uomo, senza aver esaminato su quale piano egli sia stato concepito, non è che troppo facile imputare all’architetto divino ciò che ci è accaduto, perché i piani della saggezza ci sfuggono (Gli gnostici dicevano che Yahvé era un architetto maldestro, “demiurgo”). – Ma dal momento che si riconosce la sua bontà fin dall’inizio delle sue opere, essa ci persuade che il male non è potuto emanare da Dio, ma la libertà dell’uomo, di cui si presenta a noi il ricordo, si offre come la vera cagione del male commesso (è per questo che gli gnostici ed i nostri moderni psicanalisti di sforzano di negare l’esistenza di questa libertà, perché questa implica una responsabilità). – Con questo, tutto si spiega. Tutto è salvato dal lato di Dio, vale a dire l’economia della sua saggezza, le ricchezze della sua potenza e del suo potere. Tuttavia ti sei sentito in diritto di esigere da Dio una grande costanza ed una inviolabile fedeltà alle sue istituzioni, affinché essendo ben stabilito il principio, tu possa cessare, o Marcione, di chiederci se questi avvenimenti possano padroneggiare sulla volontà divina. – Una volta convinto della costanza e della fedeltà di un Dio buono, costanza e fedeltà che si deve appoggiare su opere piene di saggezza, tu non ti stupirai che Dio, per arrestare nella loro immutabilità i piani che aveva arrestato, non abbia contrariato degli avvenimenti che non voleva affatto. In effetti se originariamente Egli aveva rimesso all’uomo la libertà di governarsi da se stesso, ed è stato degno della sua maestà suprema nell’investire la creatura di questa nobile indipendenza, punto che abbiamo dimostrato, di conseguenza aveva rimesso a lui anche il potere di usarne. Quando si accorda una facoltà si cerca di vincolarne o limitarne l’esercizio? – L’argomentazione di Tertulliano è rimarchevole in tutti i punti. Che l’uomo non si faccia dunque giudice e parte in causa: occorre invece un criterio di giudizio universale, anteriore al caso da risolvere: questo sarà la perfezione del mondo senza l’uomo. Dopo aver compreso bene la natura di un essere intelligente, se ne deduce che egli padroneggi i suoi atti. Questa maestria è nello stesso tempo libertà e responsabilità, le due facce di una stessa realtà con tutte le loro conseguenze. E soprattutto l’uomo non abbia da chiedere a Dio di modificare il suo piano della creazione solo perché egli non ne ha fatto un buon uso: questo sarebbe per lui imporre la volontà propria in seguito ai suoi errori; come se un colpevole, deferito ad un tribunale, volesse obbligare il giudice a modificare la legge per adattarla al nuovo stato di fatto creato dal suo reato (è quello che vediamo oggi: le leggi moderne non sono più l’espressione di un ordine oggettivo delle cose, ma della pratica corrente divenuta abitudine codificata). – Questa implicazione del libero arbitrio suppone, per essere pienamente probante, che non si faccia errore sulla libertà. In effetti, secondo la filosofia del senso comune, la volontà è sottomessa all’intelligenza, la quale è sottomessa alla conoscenza, la quale a sua volta è sotto la dipendenza totale della realtà. – Così, esiste un ordine oggettivo delle cose e la nostra volontà può trovarsi allora in opposizione con questo ordine: e questo è il male. Perché noi conosciamo, possiamo pensare un ordine diverso da quello che ci è stato dato; noi teniamo sotto un certo rapporto una distanza con il reale che ci offre un gioco, un margine di indeterminazione nella nostra volontà. – Per ottenere una piena libertà che sia una indipendenza totale dal creato reale, i filosofi moderni vanno a porre la volontà alla fonte dell’intelligenza. Così l’uomo diviene padrone del reale, e decide egli stesso del bene e del male. Ben presto, egli affermerà che il male non esiste. Di colpo l’uomo sarà libero ed irresponsabile. – Noi vedremo questo procedere del pensiero eretico, da parte degli gnostici, che rifiutano la libertà per rigettare la responsabilità, passando per gli psicoanalisti che negano l’esistenza del male, sopprimendo di colpo la responsabilità e così liberando le pulsioni, fino ai marxisti che deificano l’uomo e ne fanno il “creatore”, il motore della storia!
Il segreto iniziatico
Negli gnostici c’è ancora una incongruenza o una deficienza di gran peso: la pratica del segreto. « Noi deteniamo, essi affermano, la chiave della salvezza. È sufficiente “conoscere” per raggiungere la perfezione, per essere sbarazzati di ogni sentimento di colpevolezza. Noi possediamo il mezzo infallibile per discolpare gli uomini. » E tuttavia questo mezzo essi lo conservano segreto; essi lo riservano a dei privilegiati: i Perfetti, gli “eletti”, i “Catari”, vale a dire i “puri”, coloro che hanno realizzato l’unità perfetta,, che hanno ricevuto l’illuminazione, i “monoicoi”, i “monaci”, essi solo capaci e degni di una tale “scienza”. – La difficoltà qui, resta senza risposta al riguardo del semplice buon senso. Quando si possiede un tale bene, lo si vuole naturalmente condividere con gli altri. La “Buona Novella” si urla sui tetti a meno che non si sia prigionieri di un orgoglio assurdo: comunicando ad altri la propria scienza in effetti, non la si perde; al contrario diffondendola intorno a sé, ci si ingrandisce, non fosse altro che per la riconoscenza e la stima che se ne ricave, oltre alla gioia che si prova nel condividere con gli altri le proprie convinzioni. – Per questa difficoltà, qualche apologista cristiano fa notare che gli gnostici rifiutavano di diffondere i propri scritti perché la lettura dei loro testi, sì oscuri ed indigesti, rischiava di nuocere alla loro reputazione ed allontanare così da questa setta molte anime. Certo! Tuttavia io penso che bisogna cercare altrove il vero motivo di questo segreto. « Larvateus prodeo »: questo è la divisa del serpente. « Io avanzo mascherato. » Per essere adorato, satana deve coprirsi con la maschera della propria divinità. Egli è “scimmia di Dio”. È una posizione molto scomoda per un essere, seppur angelico, che desidera ricevere gli omaggi degli altri. Se il serpente gettasse la sua maschera e si presentasse ciò che realmente è, “omicida e menzognero”, egli vedrebbe allontanare da sé gli uomini con orrore e disprezzo. – Egli sa bene che le dimostrazioni di adorazione che riceve dai suoi fedeli si indirizzano realmente a Dio, ma egli le ha fraudolentemente deviate su di lui, come avviene oggi nella falsa messa della setta vaticana del “novus ordo”, rito blasfemo che è da molti considerato ancora un rito cattolico. Ora, il serpente vuole essere adorato per se stesso. Ecco la ragione di essere di una setta iniziatica. – La maggior parte degli uomini si allontanano progressivamente da questa setta man mano che ne vedono l’orientamento. – Coloro che vogliono raggiungere la perfezione, i veri “eletti del dragone”, avranno, non so per quale aberrazione del comprendonio, riconosciuto veramente il serpente ed a lui allora indirizzano, in tutta “cognizione”, i loro omaggi. Ma essi saranno, in senso proprio, posseduti, non liberati. Ecco perché gli gnostici si sforzano di inculcare ai loro neofiti l’odio verso Dio Creatore. È la condizione preliminare indispensabile ad ogni conoscenza demoniaca. I differenti stadi dell’iniziazione, i diversi gradi massonici ad esempio, sono destinati a selezionare per eliminazioni successive tutti coloro che non sono adatti a questa conversione all’inverso. satana è colui che conosce. Quando Adamo ed Eva ebbero mangiato del frutto dell’albero della conoscenza (della “gnosi”), i loro “occhi si aprirono”. Tertulliano aggiunge nel suo “trattato contro Marcione”: « Ma se Adamo disobbedisce, non intende però blasfemare contro il Creatore; egli non censura l’Autore del quale aveva provato fin dall’inizio tutta la bontà e che costrinse ad essere giudice severo per una sua volontaria prevaricazione. Questo fu un colpo! Adamo non era che un novizio in fatto di eresia ». Egli non ha voluto utilizzare la conoscenza acquisita ergendosi contro Dio; egli fuggì da Dio con gran vergogna. Fu una grande delusione per il serpente! … ecco perché poi egli ha sempre cercato di preparare delle anime capaci di « comportarsi da blasfemi contro il Creatore ». È questa tutta la ragion d’essere delle società segrete e principalmente delle società massoniche.
[… Continua]