La Contrizione.
[G. Bertetti: I Tesori di San TOMMASO d’Aquino”; S.E.I. Ed.Torino, 1918]
1- Che cosa è la contrizione. — 2. Di che cosa dobbiamo noi avere la contrizione. —3. Quanta dev’essere la contrizione. — 4. Quanto tempo deve durare. — 5. Quale effetto produce (Seni., 4, dist. 17, q. 2; Quól., 1, 9).
1- Che cos’è la contrizione. — È il dolore dei peccati congiunto col proponimento di confessarli e di soddisfarvi. — Principio d’ogni peccato è la superbia, per cui l’uomo attaccato alle sue voglie, si scosta dai divini comandamenti; distruggerà dunque il peccato ciò che farà allontanar l’uomo dalle sue voglie. Eigido e duro si dice colui che rimane ostinato nelle sue voglie: così si dice che s’infrange colui che finalmente si strappa dalla sua ostinazione. Ma tra l’infrangersi e lo sminuzzarsi o il contrirsi nelle cose materiali (da cui son tratti questi vocaboli a designar le cose spirituali) c’è differenza: infrangersi è spezzarsi in grandi parti, sminuzzarsi o contrirsi è spezzarsi in piccolissime parti. E poiché alla remissione del peccato si richiede che l’uomo interamente rinunci all’affetto del peccato che lorendeva duro e ostinato, per ragione di somiglianza si chiama contrizione l’atto per cui si perdona il peccato. – La contrizione deve aver con sé unito il proponimento di confessare i peccati e di soddisfarvi: sia perché non si può esser certi d’aver avuta una contrizione sufficiente per togliere tutto il peccato, sia perché la confessione e la soddisfazione son cose comandate da Dio, e sarebbe trasgressore della legge di Dio chi non confessasse i suoi peccati e non vi soddisfacesse. – Nella contrizione c’è un doppio dolore dei peccati: uno nella parte sensitiva, e questo dolore non è essenzialmente contrizione in quanto è atto di virtù, ma piuttosto n’è l’effetto. Come la virtù della penitenza infligge al corpo una pena esteriore per ricompensar l’offesa fatta a Dio per mezzo delle membra, così infligge anche alla parte concupiscibile, che concorse nel peccato, la pena del dolore. Tuttavia può appartenere alla contrizione questo dolore sensibile, in quanto è parte del sacramento: perché i sacramenti son fatti per essere non solo in atti interni, ma anche in atti esterni. L’altra specie di dolore consiste nella volontà: e questo dolore non è altro che il dispiacere d’un male; e così la contrizione è un dolore per essenza e un atto della virtù della penitenza. Infatti, siccome il gonfiarsi della propria volontà per fare il male porta di per sé il male in genere, così l’annichilamento e il quasi stritolamento della volontà cattiva porta di per sé il bene in genere, perché è un detestare la propria volontà per cui s’è commesso il male. La contrizione adunque, che ciò appunto significa, porta una rettitudine di volontà; la contrizione dunque è un atto di penitenza, cioè di quella virtù che ci fa detestare e distruggere il peccato commesso.
2. Di che cosa dobbiamo noi avere la contrizione. — Dobbiamo aver la contrizione di tutti e singoli i peccati mortali da noi commessi. — Nessun peccato mortale si rimette, se il peccatore non è giustificato; ma per esser giustificati ci vuole la contrizione: dunque la contrizione è necessaria per ogni peccato mortale. — Tutti i peccati mortali convengono fra di loro nell’allontanamento da Dio. Diverse malattie richiedono medicine diverse; ed essendo la contrizione una medicina da applicarsi a ciascun peccato mortale, non basta una sola contrizione comune a tutti i peccati. Bisogna però distinguere fra il principio e il termine, della contrizione. Quanto al principio, cioè quanto al pensare ai peccati e dolersene almeno con dolore d’attrizione, è necessario che la contrizione sia di ciascun peccato mortale di cui ci si ricorda. Ma quanto al termine, cioè quanto al dolore già vivificato dalla grazia, basta che ci sia una sola contrizione comune a tutti i peccati, e ciò in virtù delle disposizioni precedenti. E se i peccati non si ricordano più?… Bisogna distinguere: — se il peccato ce lo ricordiamo soltanto in modo generale e non in modo particolare, dobbiamo farne la ricerca nella nostra memoria, essendo necessaria la contrizione speciale per ciascun peccato mortale; e posto che non ci riuscissimo nella nostra ricerca, basta che ce ne pentiamo secondo la conoscenza che ne abbiamo, e col peccato ci pentiamo pure della dimenticanza dovuta alla nostra negligenza: — se poi il peccato ci cadde interamente dalla memoria, allora l’impossibilità ci scusa dal debito, e basta una contrizione generale di tutto quello in cui abbiamo offeso Dio: ma se il peccato ci venisse poi alla memoria, allora saremmo tenuti ad averne una contrizione speciale, com’è scusato dal pagare il debito un povero che non può, ma è tenuto a pagarlo non appena lo possa.
3. Quanta dev’essere la contrizione. — Secondo S. Agostino (De civit. Dei, 21, 3) ogni dolore si fonda sull’amore. Ma l’amore di carità, su cui si fonda il dolor di contrizione, è il più grande degli amori: dunque il dolor di contrizione sarà il più grande dei dolori. – Nella contrizione c’è però un doppio dolore: uno nella volontà e l’altro nella parte sensitiva. — Il dolore della volontà, che è essenzialmente la stessa contrizione, ossia il dispiacere del peccato commesso, è tale da eccedere ogni altro dolore: perché quanto più ci piace una cosa, tanto più ci dispiace il suo contrario; ora, sovra tutte le cose piace a noi il fine per cui si desiderano tutte le cose; perciò il peccato, che ci allontana dall’ultimo fine, ci deve dispiacere sovra tutte le cose. — Il dolore della parte sensitiva, ch’è cagionato dal dolore della volontà, o per quella necessità di natura che costringe le forze inferiori a seguire il movimento delle superiori, o per elezione del penitente che spontaneamente eccita in se stesso il dolore sensibile, non è necessario che sia il più grande di tutti i dolori. Infatti le forze inferiori son mosse più fortemente dai propri oggetti che non dalla ridondanza delle forze superiori, e perciò quanto più l’opera delle forze superiori è vicina agli oggetti delle inferiori, tanto più queste ne seguono il movimento: quindi nella parte sensitiva il dolore per una lesione sensibile è più grande di quello che le possa derivare dalla ragione. Parimenti il dolore ridondante dalla ragione che delibera di cose corporali è più grande di quello che ridonda dalla medesima ragione allorché debberà intorno a cose spirituali. – Laonde il dolore che del peccato deriva nel senso dal dispiacere della ragione non è maggiore degli altri dolori sensibili. Così si dica del dolore sensibile volontariamente assunto: sia perché un affetto inferiore non ubbidisce talmente all’affetto superiore da determinarne l’impressione voluta da questo; sia perché le impressioni volute dalla ragione negli atti di virtù hanno una determinata misura, che talvolta un dolore scompagnato dalla virtù non osserva, ma oltrepassa. Anche la contrizione, essendo un atto di virtù morale può, al pari di tutti gli altri atti di virtù morale, guastarsi per sovrabbondanza o per difetto. Certo non potrà mai esser soverchia la contrizione da parte del dolore che si trova nella volontà, cioè da parte del dispiacere del peccato in quanto è offesa di Dio: come non può esser mai soverchio l’atto d’amor di Dio su cui questo dispiacere si fonda e s’espande con l’espandersi della carità. – Ma può esser soverchia la contrizione da parte del dolore sensibile, come può esser soverchia l’estenuazione del corpo nel digiuno. In ciò deve prendersi per misura il dovere di conservarci in condizioni tali che ci permettano di compiere le opere richieste dal nostro stato. Il contrito è tenuto in generale a voler patire qualsiasi pena piuttosto che peccare, perché non si può aver contrizione senza la carità per cui si rimettono tutti i peccati. Ora, la carità ci fa amare Dio più di noi stessi, mentre il peccato ci fa operare contro Dio; l’essere poi punito è soffrire qualcosa contro noi stessi; perciò la carità richiede che anteponiamo qualsiasi castigo alla colpa. Non siamo però tenuti a discendere con l’immaginazione a questa o a quell’altra pena in particolare; Anzi faremmo cosa stolta, se angustiassimo noi stessi o altri su queste pene particolari. È evidente che, siccome le cose dilettevoli più ci piacciono considerate in particolare che in generale, così le cose terribili più ci spaventano considerate in particolare. Chi è disposto a soffrir la morte per Gesù Cristo, si sentirebbe vacillare nella sua generosa risoluzione, se si facesse a considerare tutti i tormenti che potrebbero straziare il corpo. Discendere a particolarità in siffatte cose è un indurre l’uomo nella tentazione, è un offrir occasione di peccato. – Non è poi cosa difficile il voler piuttosto esser senza colpa nell’inferno, che esser con la colpa in paradiso: perché, come dice S. Anselmo (De similitud.), un innocente nell’inferno non sentirebbe alcuna pena, e l’inferno non sarebbe più per lui inferno; invece un peccatore in paradiso non sentirebbe alcun gaudio di gloria, e il paradiso per lui non sarebbe più paradiso.
4. Quanto tempo deve durare la contrizione. — Fin quando ci troviamo nella vita presente, noi detestiamo gl’incomodi che c’impediscono o ritardano il termine del nostro viaggio. Il peccato da noi commesso ci fece ritardare il corso nostro verso Dio: perché non più potremo ricuperare quel tempo ch’era designato per il nostro cammino e che abbiamo perduto per il peccato. Dunque bisogna che sempre per tutto il tempo di questa vita, detestiamo il peccato. Peccando, ci meritammo la pena eterna che Dio ha commutato per noi in pena temporale: rimanga dunque, come pena spontaneamente assunta, nell’eterno dell’uomo, e cioè nello stato di questa vita, il dolore dei nostri peccati. « Non essere senza timore circa il peccato perdonato » (Eccli., 5, 5); « dove finisce il dolore, manca la penitenza: dove manca la penitenza, nulla più rimane di perdono » (S. AGOSTINO, De vera et falsa poenit.); « Dio, mentre assolve l’uomo dalla colpa e dalla pena eterna, lo lega col vincolo d’una perpetua detestazione del peccato » (UGONE DI S. VITTORE). Benché il peccatore penitente ritorni alla grazia e all’immunità dal reato di pena, tuttavia non ritorna giammai alla primiera dignità dell’innocenza: perciò sempre rimane in lui qualche cosa del peccato commesso. Può avere un limite la soddisfazione, la quale è una pena principalmente proporzionata alla limitazione della colpa da parte della conversione verso le creature; ma il dolore di contrizione corrisponde alla quasi infinità della colpa da parte dell’allontanamento da Dio: e perciò la vera contrizione deve sempre rimanere, fino alla morte. – Fino alla morte deve rimanere in noi la contrizione: e come dolore, e come atto di virtù informata dalla grazia, e come atto meritorio, sacramentale e in certo qual modo satisfattorio. Dopo morte, le anime che sono in cielo non possono avere la contrizione, perché non può esserci dolore tra la pienezza del gaudio; quelle che son nell’inferno soffrono il dolore, ma un dolore non informato dalla grazia; quelle che sono nel purgatorio hanno bensì il dolore dei peccati, ma il loro dolore è senza merito, non trovandosi più esse nello stato di poter meritare.
5. Effetto della contrizione. — La contrizione si può considerare sotto duplice aspetto, o come parte del sacramento o come atto di virtù: nell’uno e nell’altro modo è causa della remissione del peccato, ma in modo diverso. La contrizione come parte del sacramento è causa strumentale del perdono; come atto di virtù è quasi causa materiale, essendo le dovute disposizioni una quasi necessità per la giustificazione del peccatore. Il peccato si commette per amor disordinato, e si distrugge per il dolore cagionato dall’amor ordinato di carità. – La carità può poi estendersi talmente nel suo atto, che il dispiacere derivatone d’aver offeso Dio meriti non solo la remissione della colpa, ma anche l’assoluzione da ogni pena. D’altra parte, l a volontà può eccitare tanto dolore sensibile, che questa pena possa bastare alla cancellazione d’ogni altra pena e di tutta la colpa. Se n’ha l’esempio nel ladrone, a cui, per un unico atto di penitenza, fu detto: « Oggi sarai con me in Paradiso » (Luc., XXIII, 43). – S’avverta finalmente che per quanto piccolo sia il dispiacere del peccato commesso, purché sia bastante per determinare una vera contrizione, cancella ogni colpa. La contrizione è informata dalla grazia che ci fa graditi e cari a Dio e che cancella ogni colpa mortale, non potendo stare insieme grazia e peccato.