IL MAGISTERO IMPEDITO: [di S. S. GREGORIO XVII] ORTODOSSIA: CEDIMENTI, COMPROMESSI (2)

IL MAGISTERO IMPEDITO:

[di S. S. GREGORIO XVII]

ORTODOSSIA: CEDIMENTI, COMPROMESSI (2)

[in: Riv. Dioces, Genov., 1961, pp. 270-308]

L’infiltrazione protestantica tra i cattolici.

Noi dobbiamo amare i nostri fratelli protestanti. Noi crediamo che la bontà divina è grande anche verso di loro, utilizzando le sante e rette intenzioni, tutt’altro che mancanti tra di essi. Noi preghiamo perché si avverino tutte le condizioni necessarie per una loro confluenza nella verità, quale fu fin da principio e quale i padri loro per tanti secoli accettarono. Noi intendiamo acquistare quella carità e umiltà che, dopo la Grazia di Dio, solo servono veramente ad avvicinare le anime. Se pertanto ci accingiamo a parlare, come è nostro preciso dovere, non è affatto contro di loro, quasi fossimo mossi da acredine e disprezzo, no. Non è di loro che qui discorriamo, ma di un clima che è rimasto immanente nella storia moderna da Lutero in poi e che agisce, non attraverso il proselitismo, ma attraverso forme culturali e stati d’animo. Si tratta di un «clima», che periodicamente compare nella storia si chiami esso giansenismo, o illuminismo, od altro che felpatamente ritorna ai giorni nostri. Parliamo adunque di questo «clima» ed insieme di debolezze infiltrate in mezzo a taluni cattolici. La infiltrazione, sulla quale richiamiamo l’attenzione, può talvolta consistere in proposizioni erronee e peggio, magari appena superate; ma qui prendiamo di mira piuttosto metodi, mode, problematiche, stati d’animo, simpatie, i quali, se li obblighiamo ragionando a svelarsi e risolversi nei rispettivi precedenti logici, finiscono coll’arrivare a principi tipicamente propri della Pseudoriforma. La «infiltrazione» non è la lotta; è qualcosa di peggio. Il Concilio Vaticano II costituisce un grande e provvidenziale appello, oltre che al mondo pagano a tutti i nostri fratelli separati [Il Santo Padre, è costretto a concedere qualcosa ai “nemici” che gli avrebbero censurato ed impedito la pubblicazione dello scritto. Ma paradossalmente egli ne trae spunto per affermare la Verità Cattolica di sempre, in contrasto con le evidenti eresie proclamate nel conciliabolo sunnominato. –ndr.-] È ovvio che si studino le questioni in modo da presentarle accessibili a chi vuole la verità e Cristo. È giusto che si eliminino tutte le ragioni non necessarie di dissenso. È cristiano che pertanto si dimostri la massima comprensione. Ma sarebbe insipiente, per riportare altri alla sponda giusta, cominciare a scivolare lungo la china. Chi scivola si perde e salva nessuno. Scriviamo adunque nell’intendimento di seguire il vero apostolico indirizzo del Concilio, ormai praticamente convocato. Il criterio teologico è il mezzo con il quale si giudica e si conclude in teologia. Esso viene ampiamente esposto e documentato in un trattato apposito, il De locis theologicis. Senza di esso non si fa la Teologia. Molti non sanno neppure che esista e tuttavia, mancando del «principio» necessario per discorrere di qualsiasi argomento relativo alla Rivelazione divina ed alla Chiesa, dissertano sul Cristianesimo, cercano di insegnarlo perfino alla sacra gerarchia. Le conseguenze sono facili ad immaginarsi. Il protestantesimo, riducendo tutto alla sola Parola di Dio scritta, rinnegando Tradizione, Magistero e Chiesa e riducendo tutto al «libero esame», ha annullato il trattato De locis theologicis. Se si vuole: ha annullato tutto l’importante corpo di dottrina cattolica, esposto e vagliato nel De locis theologicis. La infiltrazione gravissima protestantica sta nel fatto che, brano a brano, deformazione su deformazione, questo trattato lo si lascia cadere nel nulla. Abbiamo davanti pubblicazioni, nelle quali si parla con accento dubitativo della divina tradizione; abbiamo davanti esempi concreti di indipendenza da qualsivoglia criterio teologico nella interpretazione della sacra Scrittura… Nella prima parte di questa lettera si è parlato di un certo modo di intendere la teologia, la predicazione e le catechesi kerigmatiche, che non può armonizzarsi col sicuro senso cattolico. Quello che là abbiamo esposto può essere riletto e collocato qui. Si tratta di una via inconscia forse ai più, ma vera, per camminare verso il «libero esame». Un punto delicato e necessario del «criterio teologico» è costituito dal magistero ecclesiastico. Il magistero è solenne ed è ordinario. Nel magistero ordinario entrano tutti i vescovi della Chiesa Cattolica. Quando si raduna il Concilio, essi entrano anche in atti del magistero solenne. Si comincia a discutere la autorità dei vescovi. E non si dimentichi che la piramide per noi ha la sua base nella Chiesa. È essa che garantisce e spiega autenticamente la Parola di Dio. Se si comincia a discutere anche marginalmente questa base, messa da Cristo, si sa già dove si andrà a finire logicamente. Difesa la Chiesa è difeso tutto. Attaccata la Chiesa è attaccato tutto. Il diavolo questo lo sa molto bene. – Per capire quanto veniamo dicendo, occorrono due brevi premesse.

a)La Chiesa è la base concreta di tutto. L’abbiamo ripetuto or ora. Intatti Gesù ha consegnato tutto alla Chiesa. Quello che ha insegnato rimane vivente, e non cristallizzato, proprio perché affidato ad un organismo vivente. La stessa sacra Scrittura neotestamentaria è nata entro la Chiesa ed è posteriore alla Chiesa. La verità rivelata, nelle mutevoli epoche della storia, è garantita dall’azione viva del magistero ecclesiastico, il dogma e la morale in costanza vengono porti agli uomini in modo duraturo e sicuro da questa base. Abbiamo detto: la base della piramide. Senza tale base, ogni cosa perde una sostanziale sicurezza, può divenire incerta, discussa, compromessa. Non ci si può mai dipartire da questa verità certa ed essenziale. –  La Chiesa è dove sta Pietro. Infatti il ragionamento fatto per la Chiesa or ora può essere ripetuto per Pietro rispetto alla Chiesa stessa. Con Pietro sono i vescovi. Non si difende Pietro, se si attaccano i vescovi; non si difendono i vescovi se si attacca Pietro. I vescovi sono subordinati a Pietro e pertanto, nella affermazione ora fatta, non vi è la riversibilità perfetta, ma si afferma la unità gerarchica. Ogni fedele ha almeno due superiori dai quali non può prescindere mai, il proprio Vescovo e, al di sopra di lui, il Papa. – Come è vero che la Chiesa è la base della piramide in concreto, così è vero che un cattolico comincia ad essere vero cattolico e vero militante solo colla perfetta subordinazione al «suo» Vescovo, ai vescovi uniti e al Capo dei vescovi, il romano Pontefice. – Si tratta di verità elementari, indiscutibili, chiare.

b) E naturalissimo che quanti, o nell’inferno o in terra, vogliono attaccare il Regno di Dio, ossia la piramide, attacchino per prima la Chiesa che ne è la base. Questa naturalezza logica rende avvertiti. Non si attacca mai la base se non nella intenzione (anche recondita) di attaccare il rimanente. Gli attacchi alla Chiesa rivelano di natura loro questo logico diagramma, sempre più o meno intenzionale. Non vale staccare Cristo dalla Chiesa; chi attacca la Chiesa attaccherà Cristo o si forgerà un Cristo per suo uso e consumo, diverso da quello vero e pertanto si metterà fuori della via della salute. – Non sottovalutiamo mai gli attacchi fatti alla Chiesa di qualunque natura siano. Non para ventiamoci dietro alla considerazione che ci sono uomini… I giudei sbagliarono perché si paraventarono dietro al fatto che Gesù, per essere di oscura famiglia nazaretana, poteva sembrare a loro che rappresentasse nulla. – La storia dimostra quello che abbiamo detto. Alla corte di Ludovico il Bavaro, per parte di Marsilio Patavino, all’inizio del XIV secolo si insegnavano contro la Chiesa le stesse cose che, opportunamente dolcificate, vengono scritte oggi su qualche settimanale italiano. Ecco gli effati più comuni che insinuano a proposito della Chiesa:

– «La Chiesa ha nulla a vedere con l’ordine temporale».

E proposizione falsa, perché la Chiesa da Cristo è stata costituita società perfetta e visibile, nonché dotata di mezzi che entrano nell’ordine temporale appunto perché sensibili e non solamente spirituali.

– «La Chiesa è cosa indifferente per la comunità statale, la quale pertanto sotto questo aspetto è di natura sua essenzialmente laica».

Si tratta di proposizione falsa, perché suppone che lo Stato sia un ente giuridico assolutamente neutro. Lo Stato, espressione giuridica della società di uomini organizzati civilmente, anche se è ente solo morale risulta dalla comunità di uomini concreti, rappresenta uomini concreti, guida uomini concreti ed è gestito da uomini concreti. Per tutti questi motivi la obbligazione morale, che segue sempre ogni uomo e tutti gli uomini anche associati, ricade sullo Stato, quanto è possibile alla sua natura, e ricade totalmente sugli uomini che lo gestiscono e che sono capaci in modo pieno di responsabilità morale. – Dunque la legge eterna vale anche per lo Stato e non esiste onestamente lo Stato neutro. Anche lo Stato di per sé deve essere ossequente alla volontà divina, non meno, anzi, più del privato cittadino. Dunque lo Stato deve rispettare la volontà divina manifestata attraverso la Rivelazione. Che molte volte non sia in zona di luce e in capacità di fare questo purtroppo lo sappiamo; ma l’ordine divino nel cosmo non cambia se si hanno situazioni politiche tali da non favorire (a loro danno) la osservanza della legge di Dio. Che poi anche accada nella storia più o meno lontana esserci taluni Stati dichiaratamente neutri meno nocivi di Stati altrettanto dichiaratamente cattolici, è ben noto a tutti. Ma si tratta di un bene per accidens e non di un bene per sé. La legge divina non cambia. Un cattolico non può sostenere una proposizione come quella in aggetto.

– «La Chiesa non ha il diritto di dare in nessuna contingenza ai Cattolici, consigli od ingiunzioni che non riguardano fatti religiosi».

La proposizione, così come suona, non regge. Infatti la Chiesa può fare quello che ritiene giusto per la sua libertà e per il bene delle anime. Il giudizio di colleganza tra fatti estranei alla sua diretta competenza e il suo specifico scopo le appartiene in modo insindacabile. Infatti, se così non fosse, non potrebbe provvedere ase stessa e non sarebbe società perfetta. La colleganza tra fatti meramente terreni e la sua missione è molte volte ben evidente, sia cerche quei fatti incidono sul bene delle anime, sia anche per altri motivi contingenti. – Queste ed altre proposizioni tendono a scavare un corridoio che da una parte e dall’altra imprigioni la Chiesa, la metta eventualmente alla mercé di altre forze, la allontani da ogni presenza nella società umana. E un tentativo che sta nella stessa via della negazione. Anche qui la infiltrazione protestantica è evidente. La cosa diventa meglio configurata se si riflette al combinato tentativo di sminuire la valenza della sacra gerarchia e dell’ordine sacro con la attribuzione ai laici di una funzione di guida o di mediazione che non è affatto nel divino concetto di Cristo e che in fondo mira ad una laicizzazione della Chiesa. Di questo abbiamo trattato a suo tempo nella nostra lettera Ortodossia, errori, pericoli ed a quella rimandiamo, avvertendo solo che in proposito noi siamo dinanzi ad una vera infiltrazione protestantica. – Lo stesso si può dire di un certo concetto «comunitario». Non c’è dubbio che la parola «comunitario» può essere usata benissimo ed è da molti usata benissimo. Non però da tutti. Infatti, mentre può servire a sottolineare il carattere di «unità vivente» e di «famiglia di Dio» che ha la Chiesa e che si irradia su tutte le sue manifestazioni, può contenere, e di fatto contiene nella palese intenzione di taluni, due aspetti che non possono essere accettati: si tratta anzitutto di una accentuazione democratica tendenzialmente restrittiva del carattere gerarchico della Chiesa e per questo vale quanto si è detto sopra; si tratta assai più frequentemente di una messa in luce della azione pubblica e liturgica della Chiesa, che vuole ignorare la presenza del rapporto individuale – pietà privata – tra i singoli fedeli e Dio. – Le chiese cattoliche sono destinate, sì ed anzitutto, alla assemblea dei fedeli in taluni momenti, ma sono pure destinate durante l’intera giornata, per la presenza del tabernacolo e del confessionale, all’incontro santifìcatore e purificatore dei singoli fedeli col loro Signore. Cosa che molti architetti moderni ignorano magnificamente, senza che molti li riprendano. Di questo discorreremo più avanti, perché rientra in un certo concetto di «spogliazione» di cui ci dovremo occupare. – Ci rendiamo ben conto che l’argomento dei «laici» è perfettamente ortodosso quando tende a farli partecipare di più nella loro posizione subordinata alla attività della Chiesa e, soprattutto, all’apostolato. Così la idea comunitaria è eccellente quando mira a combattere un individualismo contrastante col grande precetto del Signore. Non è di questo che qui ci lamentiamo; è solamente degli equivoci ai quali si prestano spesso i modi nuovi di porre idee antiche, nonché i termini nuovi e per nulla necessari. – Il razionalismo in storia legge ed interpreta i fatti escludendo a priori in essi qualsivoglia realtà o causalità soprannaturale. Il che è chiaro. Ma, per mantenere in pregiudizio suo, dato che esistono fatti soprannaturali dalle nitide risultanze esterne e rilevabili, è obbligato ad andare oltre ed essere palesemente irrazionale. Ossia arriva a negazioni pure e semplici contro i fatti. Per farlo con minor onta dà credito a quello cui non si potrebbe dare scientificamente credito, passa dall’argomento di rassomiglianza alla conclusione di dipendenza e viceversa, etc, dimenticando sempre le valide regole del sillogismo. Per questa via il razionalismo arriva a severità in alcuni settori ed a larghezze in altre; ha simpatie di elezione ed antipatia di repulsione, assimila le enfasi e le condanne di moda. L’elenco delle conseguenze sarebbe lungo. Esso sta tutto nel principio razionalistico, che non sempre ostenta, ma in ragione di questo principio, dovendo deviare il suo corso a fatti ad esso ostici, si trova necessitato a manifestazioni irrazionali. – Esistono scrittori che sanno e vogliono essere razionalisti. Di questi non ci occupiamo. Esistono scrittori che non vogliono essere razionalisti, ma sono messi in gran rispetto dal razionalismo, dalle sue pompose affermazioni, dalle sue severe conclusioni e finiscono, anche a non volerlo, col far propri i canoni secondari del razionalismo stesso. Essi mettono in pace la propria coscienza dicendo a se stessi che la verità non teme oltraggio, che seguono la rigorosità scientifica, che chi dice male di se stesso o della propria parte è maggiormente credibile di chi ne dice bene, perché in tal modo è disinteressato. Qualche ragione c’è sempre per giustificarsi, è solo questione di adattarla convenientemente, di dire o capire in parte, soprattutto di tacere gli aspetti molesti. Ora noi ci occupiamo di costoro e la ragione la si vedrà appresso. E opportuno esemplificare. In un’opera illustre, analizzandola pazientemente, siamo rimasti colpiti da un fatto strano. Il discorso portava ad eretici: costoro avevano tutte le scuse. Il discorso portava a Papi: questi avevano tutte le severità. Il contrasto era marcato e penoso. I centuriatori di Magdeburgo, se fossero vivi, avrebbero di che essere soddisfatti. La verità è eguale per tutti, siamo d’accordo; tuttavia la compiacenza per gli uni e la animosità per gli altri, anche se poteva essere uno «snob» qualunque, non era più questione di verità. Compiacenza e animosità sono sentimenti, non strumenti di verità e di scienza. Abbiamo ipotizzato anche un’altra spiegazione, che cambia nulla: si coltiva molto una virtù singolare, quella di fare qualcosa che piaccia ai propri avversari o nemici. Virtù o no: essa non dovrebbe entrare in storia. E tuttavia in storia entra il complesso di inferiorità verso il togato razionalismo, dalle molte citazioni e dalle imponenti bibliografie, con tuttavia la sostanza descritta sopra. – La storiografia di taluni cattolici sta mettendo sotto inchiesta i Papi che hanno difeso tutto. Non importa neppure che ci sia la santità di mezzo. Le virtù ammirate sono quelle di lasciar correre, di sopportare, di abbandonare il campo, il che sarebbe «avere la mente larga». San Pier Damiani ed in genere i riformatori non hanno più buona stampa. Sarebbe difficile difenderli dalla taccia di esagerazione, o di avidità politica. – Molti fatti soprannaturali non hanno lasciato una scientifica documentazione. Niente di strano: spesso l’ultima cosa che viene in mente, quando essi avvengono, è quella di chiamare un notaro per redigere regolare istrumento di constatazione. Dimostrare autentica fobia contro il soprannaturale conosciuto per tradizione veneranda e non più scientificamente documentabile, quando si sa che, dimostrato un solo miracolo, tutti i miracoli diventano possibili e non espungendi a priori, è accettazione del razionalismo. Forse anche per paura o per complesso di inferiorità. – Non che si chieda di ammettere per dimostrato quello che non lo è; si chiede solo di non avere la fobia verso quello di cui Gesù Cristo ha riempito il suo pellegrinaggio terreno ed al quale ha affidato di dimostrare per tutti i tempi la verità del suo divino intervento. La scienza è una cosa, ma non va confusa colla paura, colla acredine e coi complessi di inferiorità rispetto al razionalismo. – Il razionalismo gode di svuotare tutto quanto riguarda la Chiesa, di ridurla ad una larva, di umiliare persone e fatti verso i quali si è sempre avuta venerazione. Un certo razionalismo, astrattamente parlando, si è rivelato in tutti i cicli storici, ma nessuno può dubitare che quello oggi invadente sia, e nel metodo e nel principale oggetto, un frutto di area protestantica. Abbiamo qui scelto la storia, ma tracce qualificate di una tale infiltrazione si trovano anche altrove. Il protestantesimo ha fatto uso grande della sacra Scrittura. L’ha mantenuta come libro divino, almeno il protestantesimo storico. È difficile parlare di molte sette protestanti. Circa la interpretazione della sacra Scrittura ha bandito il principio del libero esame; ossia il principio più incongruente che sia mai esistito, tanto più incongruente in quanto applicato ad un libro ritenuto di origine divina. Infatti il libero esame permette di seguire i limiti personali, le carenze personali, le fissazioni personali, le passioni, i ripicchi e i comodi personali, nonché tutte le suggestioni altrui, le quali entrate nell’anima, non importa in che modo dall’esterno, diventano tare personali. – Col libero esame ha aperto la porta al razionalismo in una forma tale che ne ha portato, esso per il primo, le conseguenze. Mentre faceva questo, teneva la Bibbia nei templi al luogo d’onore e, abolita pressoché tutta la divina liturgia, colla Bibbia sostituì tutto o quasi. – Ogni predicatore parlò sempre a titolo personale e, se talvolta non lo fece, fu incongruente. La Bibbia fu magnificata e fu svuotata. Magnificarla da una parte e svuotarla dall’altra è segno di infiltrazione protestante. Metterla in onore ed applicarle sornionamente qualche canone, che riflette il libero esame, è certamente cosa degna dello stesso giudizio. – Il cattolicesimo ha nel patrimonio della sua fede la verità dell’ispirazione delle sacre Scritture. Esso crede che tale libro sia di Dio. Tale fede ha mutuata dalla Parola di Dio scritta e dalla divina tradizione. La arduità del tema permette si possano fare molte questioni marginali, che qui non ci interessano. Resta la verità certa della ispirazione biblica e questa per ora è sufficiente. – Un libro che ha per autore primo, vero ed adeguato, Iddio è, sotto un certo aspetto, terribile a considerarsi da noi piccoli uomini. L’autore vero del libro sa tutto ed è provvidente rispetto a tutto. Tale autore sa di tutti i cambiamenti di ingegno letterario, di gusto e di pazzia che si susseguiranno nel mondo fino alla sua fine. Come provvidente, il libro è stato fatto in modo da evitare gli insormontabili ostacoli di tutti i tempi, da portare a tutti i tempi la stessa novella e da offrire per tutti i tempi con verità, coerenza e senza inganno quello che può dare un libro animato ed in certo modo vivente, perché opera di Dio. Si tratta di un libro, insomma, che deve guidare il genere umano in tutte le sue tortuosità e con inenarrabili fecondità. – Per tale motivo gli uomini finiranno di trarre dalla Bibbia, nel pellegrinaggio terreno, quello che vi debbono trarre solamente il giorno del giudizio universale. Gli uomini salvi in cielo lo considereranno in altra luce, della quale non ci è dato parlare, la luce della visione eterna. Questo libro che, per essere opera del divino Provvidente, ha da dire in unità e coerenza qualcosa a tutte le età venienti, porta con sé naturalmente enigmi per la nostra età; gli enigmi stanno sempre dove entra Dio e rappresentano il margine col quale Egli nell’opera sua sopravanza la nostra corta intelligenza. Per questo motivo abbiamo detto trattarsi sotto un certo aspetto di un libro «terribile», da aprirsi in ginocchio con assoluta venerazione. Un libro simile, perché divino, non potrà mai essere letto avendo come criterio primo e dirimente uno strumento o criterio meramente umano. La logica è evidente. E per tale motivo che il primo e supremo criterio per leggere debitamente la Sacra Scrittura non può essere che uno strumento divinamente garantito. Esso è il Magistero ecclesiastico interprete di una divina tradizione. Contro questa verità cattolica non c’è che il libero esame, ossia la fine di tutto! – La penetrazione scientifica, che riuscisse ad ottenere effetti contrari alla fede, all’intendimento divino, al rispetto di quanto sempre ci sopravanza se entra in campo Dio, non sarebbe più né scientifica, né cattolica. Dove entra Dio, la scienza stessa insegna od almeno intuisce che non si compiono certi passi. Il protestantesimo è spogliazione. H a spogliato la Chiesa del suo stesso essere, della sua tradizione. Ha spogliato la sacra Bibbia del necessario ed insostituibile canone di interpretazione. Ha spogliato la liturgia, dalla quale ha eliminato in sostanza quasi tutti i Sacramenti e lo stesso divin Sacrificio, sicché ne è rimasto un po’ di letture, di canti e di sermoni. Ha allora logicamente spogliato le chiese delle immagini sacre, del tabernacolo, spesso dell’altare – non del pulpito, diventato semplice suppedaneo di uomini e non di ministri di Dio -, nelle sacre solennità. Questi templi protestanti, inutili ad una divina regia liturgica, hanno teso a prendere, non appena una certa sopravvivente tradizione cattolica è svanita, un aspetto simile ai luoghi che nulla hanno di sacro. Comunque quando gli si è presentata una conformazione architettonica al tutto laica, non hanno avuto nulla da opporre. E a buon diritto. A che certe concezioni architettoniche per accogliere una assemblea quasi simile a tutte le altre assemblee? E così, dove si trova la spogliazione, si trova il senso protestante. Ora guardiamo. In questa nostra lettera abbiamo già elencato un certo numero di spogliazioni: a proposito della tradizione, della teologia, del criterio teologico, della Chiesa… Tutti quegli argomenti potrebbero essere ripetuti, a nuovo titolo ed a buon diritto qui. Essi denunciano una probabile origine comune. Una spogliazione, con giustificazioni persino di sapore pastorale, viene fatta a carico del giorno del Signore e di questa ci occuperemo in lettera a parte, ugualmente diretta al nostro clero. Nella prassi liturgica, molti ormai si sono ridotti alla sola santa Messa. Noi abbiamo già scritto più di una volta che, per salvare la pratica della Messa nel popolo, bisogna salvare dell’altro: la rimanente preghiera pubblica, la catechesi inserita nel culto divino e, quanto è possibile, tutto l’ordo liturgicus. Non è vero che gli uomini abbiano molto da fare: mai gli uomini civili hanno fatto tante feste ed un orario lavorativo così contratto come ai nostri giorni. Non è dunque qui il motivo per cui non si può dare a Dio un maggiore tempo ed è assolutamente insipiente cercare ragioni per giustificare autentici difetti. – Osservate la spogliazione operata e subita a proposito dei tempi sacri di penitenza. Qualcuno ha persino vergogna a parlarne e teme di essere tacciato di retrogrado. Spogliazione anche qui. Queste cose non si accettano fatalisticamente, come un male necessario. Molti continuano a gettare il discredito su tutte quelle pratiche della pietà privata che preparano il fervore della azione liturgica e che costituiscono una sorta di avvicinamento facile per le singole anime a Dio. Senza questa riduzione in volgare moltissimi perdono addirittura il senso della preghiera ed è opportuno riflettere quale sia il grado di decoro spirituale di una assemblea liturgica di fedeli, nella quale per mancanza di allenamento personale i singoli stanno a guardare e non sanno più pregare od aver consuetudine e dimestichezza con le cose sante. Ad un popolo che deve ogni mattina emergere dalle nebbie di una materialità sempre più accentuata, per non dire di peggio, non si può togliere o decurtare quella prassi di pietà che costituisce in sostanza una reale traduzione delle cose difficili e solenni. Ma quando l’istinto della spogliazione è entrato, esso ha come prima tappa il fanatismo. Leggersi in proposito la storia del XVI secolo.Le mode artistiche meritano sotto questo profilo una particolare attenzione. Non è un mistero per nessuno che segua i fatti culturali come i modelli di chiese più divulgati e creduti sono quelli concepiti in area protestante. Non è affar nostro discorrere qui della fantasia e della capacità creativa artistica, rivelatasi spesso tarda nei secoli passati in talune zone, dove fino a cinque lustri innanzi non si sapeva fare una chiesa la quale non riprendesse il modello di cinque e fino sei e sette secoli addietro. Sarebbe interessante occuparsene. Ma qui ci interessa il fatto che i modelli decantati e quasi imposti come tipo sono cresciuti là ove il tempio serve solo per un’ora la settimana, e serve solo per qualche canto, lettura e sermone. Là è logico ci sia una spogliazione. Perché dovrebbero essere caldi i muri quando sono destinati ad una assemblea che ha spento la regia, la coreografia, il simbolo, il dramma e con essi le divine rappresentazioni di misteri reali ed efficienti sotto simboli materiali?Così si è giunti alla infatuazione di credere distinzione quello che è solo spogliazione. Gli ornati possono certo essere triti, accademici, volgari; ma esistono ornati che non sono tutto questo. Eppure tutto è cacciato. Gli altari, in nome della semplicità, sono più valevoli manto più simili alla primitiva sovrapposizione di alcune pietre con ma monotonia impressionante. I tabernacoli ridotti a scatolette tollerate e sformate, nonostante la chiara mente della Chiesa espressa nel decreto della S. C. dei Riti del 3 settembre 1958. La miseria dei tabernacoli è il segno della miseria nella stima di cose divine. In questa nostra diocesi abbiamo riservato a Noi personalmente la approvazione di qualunque tabernacolo costruendo e siamo ben decisi ad impedire che la irrazionalità e la irriverenza si impadronisca del primo sia pure materiale omaggio a Gesù Cristo. E tutto perché? Arte? No; spogliazione. Citiamo testi certamente autorevoli oggi in campo di arte e lodati, probabilmente in modo inavvertito, anche dai cattolici.

– «Il criterio supremo della architettura del secolo XX è la fabbrica».

La Chiesa va bene se assomiglia a una fabbrica. Tutto si spegne. Anche gli uomini ad una certa ora del giorno abbandonano la fabbrica, ove sentono di essere stati meno uomini, e fuggono: neppure si voltano a guardarla.

– «L’artista è completamente libero riguardo alla natura e non può essere giudicato che in rapporto alla propria personalità».

L’opera d’arte evidentemente dovrebbe allora interessare solo l’artista, non gli altri. L’opera è una sua manifestazione intima.

– «I principi della dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino autorizzano l’artista a manifestare liberamente le sue opinioni e soprattutto la sua responsabilità personale. Si scopre che libertà e sensibilità sono consorelle. L’artista non obbedirà che alle proprie suggestioni… Egli sarà invitato ad affrancare la sua individualità, a tradurre delle impressioni «egoiste» sentite davanti alla vita… la caratteristica del rinascimento del XX secolo apparirà più decisamente quando l’egotismo «sottometterà l’altruismo, quando il culto della personalità dominerà quello tradizionale della socialità». – Nessuna legge: solo se stessi! Con questo criterio si erigeranno templi a Colui che, senza peccato, è andato in Croce per tutti gli altri? Il cammino verso l’«egotismo», che sarebbe meglio chiamare chiaramente «egoismo», è sempre nella direzione dell’isolamento e della povertà dell’essere, anche se c’è la ricchezza di vibrazioni. La carica conseguente sarà disperata. Ecco la volontà della spogliazione e del brutto. – Gli uomini annoiati per non avere un senso di vita, che sia riflesso eterno, strappano e dilaniano quello che trovano. Fare così lo chiamano anche esistenzialismo. – Diventa sempre più chiaro il fenomeno di una progressione filosofica, nata da una rivolta religiosa e che invade il campo dell’arte al punto per cui bene spesso non è questione di arte quanto di affermazioni ideologiche. Il peso di questa progressione filosofica, che è recentemente arrivata al misticismo del «nulla», appare invadere ed animare un campo che noi ci ostiniamo a chiamare ancora «arte» e che spesso è solo travatura d’uno stato d’animo o di un filosofema senza armonia. – L’importante è avvertire l’abbinamento del diagramma filosofico con quello artistico, il facile predominio del primo. Allora si capisce quale sapore abbiano le spogliazioni. Concludiamo questo capitolo.

La rivolta contro l’ordinamento ecclesiastico, contro il carattere assoluto della verità, contro la legge, la affermazione del determinismo insieme alla proclamazione di una ineluttabilità della colpa e pertanto di una ineluttabilità della licenza, la rivolta contro i legami di verità dell’intelletto hanno caratterizzato il triste avvenimento del XVI secolo, al quale resta tuttavia legato per più lati il filo della attuale storia. Tutti questi elementi si vedono ricomparire, anche mimetizzati, anche solo sussurrati. È la infiltrazione. E non si tratta di episodi staccati, si tratta di una trama che ha una volontà distruttiva.

Non ha ragione chi grida forte per il solo fatto di gridar forte.

I cedimenti e i compromessi a danno dell’ortodossia, almeno in forma potenziale, non avvengono solo a proposito di argomenti abbastanza definiti, come quelli dei quali ci siamo occupati fin qui. Avvengono o possono avvenire su qualunque argomento, in qualunque momento, per qualsivoglia ragione se c’è di mezzo la ignoranza teologica, la presunzione morale, la rivincita dei falliti, la invidia degli insoddisfatti, la sete di giustificazione dei deboli caduti. Sotto questo profilo diventa interessante studiare e denunciare non i punti in cui p ò vulnerarsi la ortodossia, ma la ragione, la grande ragione permanente per la quale si può perdere la testa e, a proposito di qualunque oggetto, mettere in palio la stessa ortodossia. Quale è questa ragione permanente? E il rumore, la potenza materiale, la imperterrita sicumera, la regia del gran mondo. Tutto questo dà la impressione del diluvio, del giudizio universale; fa credere di essere caduti fuori strada, di essere miseri, piccoli, ridicoli, incapaci; dona una sorta di collasso psicologico e finisce col far scappare in tutte le direzioni o col convincere ad acchiappare correndo gloriosi carrozzoni, apparentemente signori di tutte le strade. Il mondo ha ragione, anche se fa cose insensate e caduche, perché grida forte. Ma non è affatto vero. E una illusione. Anche se non è vero, l’effetto c’è. Purtroppo. Ecco gli animosi, i mali vanno a ridimensionare tutti i margini della ortodossia, perché hanno la impressione di essere altrimenti ritenuti arretrati. Fuggono a precipizio in talune direzioni, perché vedono fuggire. Se non ci fossero di mezzo questioni ben serie e gravi doveri, sarebbe divertente assistere a raduni ove la educazione impartita ha i suoi frutti in affermazioni del genere: «In talune circostanze bisogna disobbedire alla Chiesa». – Ecco gli intelligenti, i quali, visti i cartelloni teatrali di questo o quell’altro centro, spesso composti con lavori di più che dubbia moralità, ritengono essere ormai definitivamente tramontata la moralità e cercano di ridurla opportunamente nei libri e nelle affermazioni, per non trovarsi con nessun compagno sulla strada della virtù. – Ecco i pusilli i quali, andando a zonzo per un centro mondano e rilevando ovunque atteggiamenti al tutto materiali e sfrenatamente impudenti, testimoniano a se stessi che ormai la causa del bene è perduta e che è meglio far finta di acclimatarsi, magari per fare «del bene alle anime». Il chiasso, il volume, la parata esterna, la facile vittoria degli elementi riottosi, la potenza, la propaganda, la grande orchestra subissano e da questa terrorizzante esperienza si animano le fughe in direzione del razionalismo, del marxismo, del modernismo, della rivoluzione, della indisciplina, della politica squinternata, dei tradimenti, dei veri suicidi. Tutto è montatura ed è sufficiente non guardarla, camminando sereni per la propria strada. E montatura perché ogni notte, ogni stanchezza, ogni malattia, ogni aridità interiore (questa soprattutto), ogni rimorso distrugge alla base tutto questo. E montatura, perché tutto questo è sotto il terrore del mago apprendista, il quale è riuscito a scatenare le forze e non riesce più ad imbrigliarle, ma sta per esserne sommerso. E montatura, perché il male si vede ed il bene assai meno. E montatura perché la voce più forte è quella di Dio. E montatura perché, anche invisibilmente, tra tutto questo avanza l’opera della grazia di Dio e incessantemente si consumano gli olocausti dei veri credenti, degli autentici fedeli. La minore visibilità del bene è favorevole alla maggiore virtù ed al più grande merito. Tutto questo che fa la voce grossa impallidirebbe a morte immediatamente solo che sprizzasse la scintilla della guerra nel mondo. E da questa ormai solo la misericordia di Dio ci salva. Non val la pena di fuggire dinanzi ad un nemico che fugge, né di dar credito ad una voce pur forte, ma ogni giorno arrochita dalla morte. Vogliamo discorrere qui brevemente di alcuni effetti della «voce grossa». Un effetto potrebbe essere la imitazione. In realtà il misterioso fluido delle impressioni porta alla imitazione. Comprendere il tempo e gli uomini, sfruttare gli strumenti onesti in ordine all’apostolato, ma sempre e solo come strumenti, sviluppare le doti di relazione per adeguarsi meglio allo stato d’animo ed ai bisogni dei propri fratelli non è «imitare». Questo è scegliere con discernimento ed accettazione dopo un giudizio obbiettivo e indipendente. La imitazione è simile ad una procura generale, rilasciata a chi non si conosce, almeno nel caso del quale ci stiamo occupando. Essa, sempre in questo caso, non è scelta ragionata; è accettazione di criterio e di linea. In casa nostra possono farsi adeguamenti e aggiornamenti di metodo o di strumenti. Nulla ci sarà da dire quando questo accadesse «scegliendo» oculatamente e niente affatto «imitando». – Il tema di giudizio fondamentale sul «mondo» che il divin Salvatore ci ha lasciato deve stare in testa a tutte le nostre considerazioni ed azioni. E per questo che dobbiamo trovarci pronti a fare di tutto, che sia onesto e decoroso, ma sempre con lo spirituale «distacco» di chi si serve di strumenti per uno scopo, che sta ben oltre ed assolutamente «mai» per avere il «consenso soddisfatto» del mondo. – Un deplorevole effetto della «voce grossa» potrebbe essere la ambizione». La «inibizione» blocca e contrae la iniziativa e la vita. Nel caso, il blocco o la contrazione sarebbero frutto del malevolo giudizio, del clamore pubblicitario, della avversa opinione, della canea montata, ossia sarebbero sempre il frutto della «voce grossa». Tutti questi spiacevoli modi che gli uomini illegittimamente hanno per far paura agli altri possono venire considerati freddamente e con distacco, per ragionare in una linea di prudenza. Ma non debbono mai essere immessi nel campo emotivo, dove generano solamente paura, silenzio, passività, fuga. È meglio, anziché bloccare se stessi o contrarsi, avere la disposizione a creare onestamente negli altri delle emozioni. – Un caso abbastanza diffuso di «inibizione» si ha quando viene lanciata la accusa di «integralismo». Prima di chiudere questa lettera con è male parlare di tale faccenda. La parola «integralismo», appunto perché termina in «ismo», indica secondo la comune accettazione della nostra lingua un fatto «deteriore» e come tale un fatto in qualche modo spregevole. Esso indica infatti rigidità, consequenziarietà fanatica, esagerazione. Questo per la significazione in sé. Veniamo ora all’uso ed alla logica colla quale si lancia l’accusa di integralismo, quella che inibisce e contrae. A chiunque si renda scomodo per il fatto di voler aderire in tutto a Cristo ad alla Chiesa (che è poi obbiettivamente la stessa cosa), a chiunque ricusa di fare decurtazioni alla verità cattolica, alla prassi cattolica, alla coerenza cattolica, si getta in faccia l’accusa: «sei un integrale». Se qualcuno afferma che si deve obbedire alla Chiesa in qualunque piano, ove essa crede di intervenire, lo si rimprovera od irride: «sei un integrale». Se qualcuno non si fa prendere dalla smania di correre dove corrono tutti, solo perché corrono e senza ragione concreta, gli si dice: «sei un integrale». L’uso di questa parola nel senso deteriore è «guidato» dalla disonesta intenzione di creare un complesso di goffaggine e di ridicolo, ossia un complesso psicologico di inferiorità e mettere così in stato di essere arrendevole o inattivo, non per convinzione ragionata, ma per pura emotività. L’uso di usare parole caratteristiche per ottenere effetti psicologici (a tutti gli scopi) è vecchio. Un tempo si diceva per mettere paura «ha detto male di Garibaldi» e i poveretti, davanti a tale nefandezza solo ipotizzata, ammutolivano e andavano a nascondersi. In questo nostro momento si usano nel campo politico alcuni epiteti, che hanno la stessa logica, la stessa legittimità, lo stesso decoro e, spesso, lo stesso effetto, denotando disonestà da una parte, vigliaccheria dall’altra. – Ma noi, cari confratelli, non dobbiamo badare alle parole. Esse sono e restano parole. Le parole si possono udire e non ascoltare. Guai a chi di noi si riducesse in qualche parte del suo dovere, perché qualcuno gli lancia un titolo di scherno. L’uso illegittimo delle parole è come l’uso delle lettere anonime; basta non ascoltare e non leggere e le parole cadono, le lettere anonime non si scrivono. Queste cose insegnatele ai fedeli, specialmente a coloro che intendono militare spiritualmente nell’apostolato. Non mancano tentativi di gettare la divisione tra noi e di rendere inoperanti le forze migliori coll’uso sadico di una terminologia sfrecciante, si tratti di «integrale» od altro che tutti sanno. – Non disprezzate nessuno, ma disprezzate questi termini, questi metodi, e tirate avanti tranquilli. Lasciate dire: quando i carri armati hanno consumato la benzina, anch’essi si fermano. Ma se c’è qualcosa che è capace di fare andare in bestia il diavolo, usatelo. Con quello basta il segno della santa Croce. La «voce grossa» è voce moritura. L a Provvidenza e la grazia non sono affatto moriture. Cari confratelli, una seconda volta abbiamo scritto per difendere voi dalle insinuazioni del male. Il mondo prova effetti di dissoluzione a causa del malo uso della materia, resa molto obbediente, molto servizievole, ma anche molto tiranna. Questo rende noi più fastidiosi, noi che dobbiamo difendere il sacro deposito lasciatoci da Cristo e che dobbiamo, contro il prevalere della materia, continuare a salvare le anime. Anche di coloro che ci irridono. – Non temete mai, che chi irride è debole. Chi soffre, per generosa accettazione e con Gesù Cristo, è forte e può come Lui sempre vincere proprio nel momento in cui per il mondo se ne va in Croce. Non guardatevi intorno, guardate in alto e non temete. Ma restate fedeli alla verità!

 Fine. [Grassetti e colori sono redazionali]

 

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.