I PAPI IN ESILIO
[cioè i “veri” Papi, quelli che, secondo i demenziali tesisti ed i sedevacantisti acefali, sono … Papi “occulti” e che quindi … non hanno neppure l’ombra della cattolicità!]
GLI ULTIMI GIORNI DI PIO VI
[J.-J. Gaume, Catechismo di perseveranza, vol. III – Torino 1881]
Ma non bastava all’empietà di aver scemato la santa tribù; per annientare il sacerdozio, s’accinse a farne perire il Capo supremo. Possenti armate marciano per l’Italia, entrano a Roma, e s’impadroniscono ben tosto del venerabile Pontefice Pio VI. Uno scellerato entra nel palazzo del Papa, ritenuto in camera da una grave indisposizione, gli significa che non è più Re di Roma, ma che però la repubblica francese vuole assegnargli una pensione: « Io non ho mestieri di pensione, gli risponde dignitosamente il vicario di Gesù Cristo, un semplice bastone invece del pastorale basta alla mia qualità di pontefice: e basta un rozzo saio a chi deve spirare sulla cenere e sotto povere lane. Io adoro la mano dell’Onnipossente che punisce il pastore per le colpe del suo gregge; voi potete tutto sul mio corpo, ma l’anima mia è superiore ai vostri attacchi; voi potete distruggere le abitazioni dei vivi, ed anche le tombe dei trapassati, ma non distrarrete già la nostra santa Religione; essa sussisterà dopo di voi, dopo di me, siccome ha sussistito prima di noi, e si perpetuerà sino alla fine dei secoli ». Quegli a cui il Pontefice volgeva queste parole cosi nobili era un calvinista: nell’uscire, comanda al prelato che si trovava nell’anticamera del Papa, di andargli dire di preparasi a partire da Roma e che èra mestieri che l’indomani alle sei del mattino il Papa fosse in viaggio. Ma vedendo che il Prelato esitava ad incaricarsi della crudele ambasciata, entra egli stesso e notifica il fiero ordine a Pio VI, che non poté frenarsi dal rispondere: « Io sono vecchio di ottantun anno, e sono stato cosi male questi due ultimi mesi, che mi credevo giunto agli estremi, ed ora appena comincio a riavermi. Del restò, io non posso abbandonare il mio popolo, né i miei doveri; lo voglio morir qui », a che il repubblicano rispose aspramente: «Voi morrete egualmente bene altrove: e se non posso determinarvi a partire, si adopreranno del mezzi di rigore per costringervi ». Quando fu uscito, il Papa si affrettò di andare a rianimare le sue forze ai piedi del crocifisso in una camera vicina, e ritornò poscia dicendo a coloro che lo servivano: « Dio lo vuole; prepariamoci a soffrire tutto ciò che ci destina la Provvidenza». – La notte dal 19 al 20 febbraio del 1798 vennero per toglierlo dal Vaticano. Pio VI volle prima ascoltare la santa Messa, che fu celebrata nella sua camera. Ma i soldati impazienti si sdegnano delle lentézze del sacerdote che offre il santo Sacrificio; e temendo che il popolò si sollevi contro di loro vogliono che Sua Santità sia fuori di Roma prima del crepuscolo; e con nuove bestemmie minacciano di trascinar fuori il Pontefice prima che la Messa sia terminata. Era infatti appena finita, due ore prima del giorno, che lo strappano dalla sua abitazione; ma siccome, a motivo della grave sua età, della sua debolezza e della paralisi che faceva notevoli progressi, non poteva camminare che a lenti passi, soprattutto nel discendere la scala del Vaticano, i satelliti furono arditi di sollecitarlo con parole, ed anche più brutalmente per affrettare il suo passo. – Finalmente, chiuso il Pontefice in una carrozza dei suoi domestici, io si trascinò precipitosamente. Già il 22 febbraio, giunto presso il lago di Bolsena, s’incontra in alcuni preti francesi che là si trovavano errando travestiti per la loro sicurezza chi da mendicante, e chi da soldato, con abiti che alcuni pietosi militari francesi loro avevano prestato. Allora più non ascoltando che il sentimento della riconoscenza e della fede, uno di loro si avvicina al momento della fermata. Pio VI, che lo conosceva, e conservava anche in mezzo ai suoi dolori la santa gioia rdi un’anima pura gli disse sorridendo. «Vi siete voi dunque fatto soldato?—Santo Padre, gli rispose, noi lo siamo tutti, e lo saremo sempre di Gesù Cristo, e di Pio VI. — Ma a quale stato siete voi ridotti? — È nostra gloria di essere al vostro séguito. — Ma dove andate voi? — Che volete, santo Padre, la pecorella segue le tracce del pastore; e se non possiamo sempre seguirvi, voi sarete sempre accompagnato dai nostri voti per la vostra conservazione. — Ebbene conservate là vostra forza ed il vostro coraggio. — Si, beatissimo Padre, noi ne abbiamo un sì grande esempio dinanzi agli occhi, che saremmo ben colpevoli, se non l’imitassimo ». La carrozza parte, ed il Papa è tolto ai loro omaggi; essa lo depone il 29 febbraio a Siena nel convento degli Agostiniani, dove dimora fino al 25 maggio. – Quivi può respirare alquanto, e l’uno dei sacerdoti ch’egli aveva lasciato a Bolsena, quegli che aveva avuto la fortuna di parlargli, è ammesso alla sua presenza. E siccome si mostrava inquieto pei suoi patimenti: « Io soffro, gli rispose il Padre con le parole di san Paolo, ma non sono però abbattuto: — Patiar, sed non confundor ». Questo sacerdote invidiata la sorte di monsignor Marotti, che in qualità di segretario per le lettere latine, non si separava più dal santo Padre; e lo paragonava a san uhGerolamo incaricato già di somigliante uffizio presso del Papa Damaso, perseguitate anch’esso per la fede: « Si, rispose Pio VI con la più commovente umiltà, ma il Papa Damaso era veramente un santo, ed io non sono che un povero peccatore. » – La facoltà che aveva il Papa di comunicare con i suoi sudditi, e soprattutto il timore che si volesse da alcuni approfittare della vicinanza del mare per procurargli l’evasione, più ancora che non un terremoto successo, decisero i sospettosi persecutori a trasportarlo in un convento di Certosini a poca distanza da Firenze. Siccome le persone pie sapevano ch’egli era sfornito di sussidi pecuniari, e che i suoi tiranni esigevano inoltre che pagasse le spese del suo viaggio, gli offrirono gualche somma. Il suo cuore fu sommamente commosso di queste offerte di cui la Religione aveva destato la genèrosità; ma egli godeva del pari di poterne far senza, attesoché la munificenza dei sovrani d’Europa aveva creduto esser dovuto alla sua dignità di sovrano il provvedere a tutti i suoi bisogni. Fra gli omaggi di questo genere che ricevette allora, uno ve n’ebbe il quale sta a riguardo del donatore, come dell’oggetto, formava un contrasto troppo forte colla barbara condotta dei nostri rivoluzionari per non arrecargli qualche consolazione. Questo dono consisteva in un calice d’argento colla sua patena; il quale aveva sul piede le armi della Francia da un lato, e dall’altro una piccola croce. Esso gli era mandato dal bey di Tunisi con queste parole: « Santissimo Padre, questi malvagi francesi che vi hanno tutto rapito, non vi lasciarono senza dubbio un calice, ed io vi prego di gradire quello che io mi reco a dovere e ad onore di offrirvi ». Chi non direbbe che le ceneri di san Cipriano esalassero allora un prodigioso profumo di cattolicità, sulle coste di Cartagine, e che gli Arabi più non venivano che dalle rive della Senna? Il Direttorio allarmato dall’affetto che ispirava Pio VI e dall’irruzione delle truppe austriache in Italia, mandò ordine di tradurlo in Francia. Ma intanto già la Sua paralisi faceva spaventosi progressi, ed egli soffriva moltissimo specialmente a motivo dei vescicanti richiesti dalla malattia, allorché, senza punto badare ai suoi mali, gli agenti francesi io tolsero bruscamente dalla Certosa per condurlo a dormire di là da Firenze in un albergo, d’Onde l’indomani lo si fece partire prima dei giorno. Qual nuovo supplizio pel Santo Pontefice di traversare, durante i quattro mesi che gli rimanevano di viaggio, tante città e villaggi agitati dalla febbre rivoluzionaria, ove s’innalza da ogni, parte l’albero infame della rivolta e dell’empietà; ove quasi ogni fronte ne porta il triplice colore, e quasi ogni voce ne profferisce furibonda le orrende bestemmie. Che cibi e che riposi sono mai quelli che gli si lascerà prendere nelle cattive fermate, che si fanno per riposare i trenta dragoni col loro comandante, alla cui guardia è affidatone doloroso tragitto? – Confessiamo nullameno che arrivando a Parma fu alquanto confortato dai rispettosi riguardi del comandante francese di quella città, il quale non ascoltando che il suo cuore, meritò dai Sommo Pontefice un ben lusinghiero contrassegno di riconoscenza. Intanto la salute del papa peggiorava ogni giorno più: e pareva che non si avesse potuto aver la barbarie di trascinarlo più oltre: allorché, a metà della notte, il capitano della sua scorta venne ad intimargli l’ordine di partire fra quattr’ore. Quest’ordine concepito nei termini più minacciosi, non era che l’effetto di un falso allarme dell’avvicinarsi degli Austriaci, da cui si temeva venisse liberato. – Il Santo Padre, che punto non se lo aspettava, oppose la deplorabile sua situazione all’obbligo di partire. Si chiamano i medici per dirne il loro parere, ed obbligati dal capitano repubblicano di alzare le coperte da letto per mostrargli ignudo quel corpo venerabile ammaccato e lacero dai vescicanti, dichiarano che il Pontefice corre rischio di spirar per istrada se viene di bel nuovo esposto alle fatiche del viaggio. L’ufficiale esce allora per pochi istanti e ritorna dicendo tirannicamente: « Bisogna che il Papa parta. vivo o morto ». – Difatti al mattino per tempissimo il santo vecchio fu messo in viaggio per Torino: sperava esso che quivi almeno sarebbe finito il suo viaggio, e che vi troverebbe convenevole albergo; ma quando si vide rilegato in cittadella, alzando gli occhi e le mani al cielo: « io andrò, disse, adorando i divini voleri, ovunque vorranno condurmi ». – Il posdomani a tre ore dopo mezzanotte lo fecero partire per Susa, e per trasportare di là delle Alpi l’augusto vegliardo che fino allora non si era potuto mettere in carrozza o farnelo discendere se non coll’aiuto di una seggiola pieghevole fatta di cuoio e di cinghie, lo si mette sopra di una specie di portantina, che non era altro che una grossolana barella. Ai prelati, siccome alle altre persone del suo seguito, vennero destinati dei muli per salire su per quei greppi. La comitiva viene diretta verso il terribile passaggio del Monginevra, ed il Santo Padre è portato sulla montagna. Per lo spazio di quattr’ore egli cammina sospeso sopra stretti sentieri tra un muro di undici piedi di neve e fra spaventevoli precipizi. Alcuni ussari piemontesi gli fanno offrire le loro pellicce per ripararlo dal freddo insopportabile che regna ancora in quella elevata regione; ma i mali della terra ornai non potevano più nulla su quell’anima celeste: esso li ringrazia dicendo: « Io non soffro punto, e punto non temo: la mano del Signore mi protegge sensibilmente tra tanti pericoli. Su via, miei figli, miei amici, coraggio! mettiamo la nostra fiducia in Dio ». – Con questi sentimenti egli già aveva messo il piede sulla terra francese. Dopo oltre sett’ore di sì penoso tragitto, arrivava finalmente a Brianzone dopo il mezzodì del 30 aprile, giorno di martedì. – Oh come questo grande Pontefice, insensibile al dolore, non fu sorpreso del pari che confortato al vedersi venire incontro tanti cittadini, che guidati dalla fede, in mezzo al più santo entusiasmo gli davano i più splendidi contrassegni di una sincera pietà! Essi meritarono di sentire per i primi questa esclamazione del Pontefice: In verità, io vi dico, che non ho trovato tanta fede in Israello! – Venne alloggiato all’ospedale, in una stretta ed incomoda stanza, vietandogli di affacciarsi alla sola finestra che avesse, e dichiarandogli ch’egli è in ostaggio per la repubblica. Ben tosto gli si fanno sentire altri crepacuori col togliergli la maggior parte dei suoi e mandarli come ostaggi a Grenoble. Presso il Santo Padre più non resta che il suo confessore il P. Fantini, col suo fedele aiutante di camera, chiamato Morelli: ma la sua rassegnazione è sempre uguale. Senonché le vittorie degli Austriaci in Italia ispirando al Direttorio il timore che venissero a rapire il Papa anche a Brianzone, ordinano che egli venga pure trasportato a Grenoble. Ed il Vicario di Gesù Cristo vi viene condotto in un modesto calesse a due posti, avendo ai suoi fianchi i due soli consolatori che gli furono lasciati. – Gli omaggi resigli dalla pietà dei Grenoblesi durante i tre giorni ch’ebbero la sorte di possederlo sono superiori ad ogni espressione; vollero tutti accompagnarlo allorché lo si fece partire per Valenza, dove giunse il 14 di luglio. All’avvicinarsi a guasta città, il Santo Padre vide, siccome aveva ariste lunghesso tutto il cammino, una moltitudine di fedeli accalcati e bramosi di domandargli la sua benedizione: ammirabile e confortevole contrasto con quei feroci repubblicani, che un anno prima in questo giorno anniversario del primo funesto trionfo della rivoluzione, avevano arso con molti altri ritratti, anche quello di Pio VI nella stessa Valenza! Il Pontefice fu alloggiato in casa del Governatore, il cui giardino sovrasta alle rive del Rodano, ma questa casa, chiusa essendo nella cittadella, l’amministrazione centrale del dipartimento della Dròme, che sedeva nella città dichiarò con atto solenne che il Papa si trovava in arresto. Quindi impose alle persone del suo seguito di nulla fare e di nulla dire al di fuori che potesse avere sembiante di pietà; venne interdetta ogni comunicazione tra il terrazzo del castello e quel del convento dei Francescani, ov’erano racchiusi trentadue sacerdoti fedeli, molti dei quali avevano provato la beneficenza del Papa durante il loro soggiorno di carcerazione in Italia. Da parte loro, essi ricevettero la più rigorosa proibizione di farsi avanti per procurar di vedere il loro augusto e santo benefattore, a cui fu perfino vietato di uscire dal ricinto del giardino per timore, come si diceva, che non eccitasse dei tumulti e degli attruppamenti. Nessuno poté giungere sino a lui senza un permesso in iscritto, di cui l’amministrazione si mostrò molto avara. – Intanto il Direttorio della repubblica francese era divenuto più moderato, dacché dei cinque suoi membri i tre singolarmente accaniti contro il Papa erano stati costretti a cedere il loro posto ad uomini più umani. Non si vedeva dunque più dominare nè Treilhard, nè Merlin (de Donai), né specialmente quel Laréveillère Lépaux, il quale con mezzi violenti e con salariare adepti tra i più abbietti rivoluzionari pretendeva stabilire l’assurda sua religione, col nome di Teofilantropia e che consisteva solamente nel far vista di amare Dio e gli uomini. Il Direttorio ricomposto in tal modo non inviava a ciascuno dei Commissari, che aveva in tutte le amministrazioni, se non se ordini e istruzioni pacifiche. Quegli, che apparteneva all’amministrazione della Dròme, giubilò di non riceverne delle contrarie ai sentimenti di rispetto, di cui lo avevano penetrato le virtù, l’età e la triste situazione del Pontefice; ma tutti gli altri amministratori, tranne un solo, conservando lo spirito e l’odio anticattolico di Laréveillère prevalsero sul Commissario di Parigi e continuarono a tormentare progressivamente Pio VI, fino a che egli discese nel sepolcro. – I rapidi progressi delle armate austriache e russe in Italia le avevano condotte quasi alla sommità della catena meridionale delle Alpi; il Direttorio spaventato credeva vederle calare sopra Valenza, onde la paura insinuandogli idee crudeli, comandò che il Papa fosse trasferito a Dijon; « ben inteso però, aggiunse egli, che il viaggio sia fatto a sue spese ». Proibiva anche espressamente di fermarsi a Lione, città rinomata per la sua zelante devozione alla santa Sede; ma quando l’ordine arrivò, l’ostacolo che le infermità del Santo Padre opponevano a tale traslazione si faceva insormontabile, ed egli stesso non più dubitò di esser giunto al suo fine. Alla vista del sepolcro, che si schiudeva davanti a lui, quella pastorale sollecitudine per tutte le Chiese, dalla quale era stato sempre animato, si spiegò più viva ed intensa. – In quel momento stesso in cui i suoi molti dolori lo avvertivano della morte vicina: « I miei patimenti fisici, ei disse, nulla sono in confronto delle angustie del mio cuore… i Cardinali, i Vescovi dispersi…! Roma, il mio popolo…! la Chiesa, ah! la Chiesa… ecco ciò che giorno e notte mi tormenta. In quale stato sono io per lasciarla! » Ei passa quasi le intere giornate a pregare; e nella notte si ode recitare dei salmi e farne fervorose applicazioni allo stato in cui si trova. Il 2° agosto incomincia a soffrire vomiti strazianti e altri accessi non meno violenti, che annunziano aver la paralisi attaccati gl’intestini. Ei fa chiamare il suo confessore, ed il giorno seguente è destinato ad amministrargli il santo viatico. Pio VI volendo riceverlo con tutte le prove di rispetto e di adorazione di cui si sente capace, chiede di essere aiutato ad uscire dal letto, e di esser vestito della sua sottana, del rocchetto , della mantellina e della stola. Rammaricandosi amaramente di non potersi inginocchiare, acconsente a comunicarsi seduto sopra una poltrona. La santa Eucaristia essendogli recata dall’Arcivescovo di Corinto, questo Prelato crede di dover domandargli prima di tutto nel presentargli il corpo di Gesù Cristo, s’ei perdona ai propri nemici: « Oh, si, con tutto il cuore, con tutto il cuore » risponde il Pontefice alzando gli occhi al cielo, e riportandoli sopra un crocifisso che ha in mano. Il suo maestro di cappella legge ad alta voce la professione di fede segnata nel Pontificato, e Pio VI, come se ricevesse dalla medesima forza novella, manifesta la propria adesione anche meglio che con le parole, poiché pone una mano sopra i santi Evangeli, e l’altra sul petto. Finalmente si comunica in maniera angelica, e tutti gli assistenti vivamente commossi si struggono in lacrime. Il giorno di poi alle otto di mattina l’Arcivescovo di Corinto giudica di non differire più oltre ad amministrargli il sacramento dei moribondi, e il Santo Padre accompagna la preghiera di ciascun’unzione con una pietà commovente. Dopo un’ora di raccoglimento, egli detta e forma un codicillo, col quale dà alcune disposizioni particolari a favore di quei che lo servono, e ne affida l’esecuzione al medesimo Arcivescovo, cui egli incarica inoltre di presiedere alle clausole del suo testamento, riguardanti il luogo e le circostanze della sua sepoltura. – Sciolto da ogni cura estranea alla salute dell’anima sua, più non si occupa che di offrire a Dio il sacrificio della sua vita, e le sue frequentissime aspirazioni non esprimono fuorché la impazienza di trovarsi unito a Gesù Cristo; Nell’intervallo ei recita i salmi Miserare mei e De profundis clamavi ad te, Domine. Spesso ripete quei versetti dell’inno Ambrosiano, sì efficace per mantenere la sua fiducia in Dio: Te ergo, quæsumus, tuis famulis subveni, quos pretioso sanguine redimisti; « Noi dunque, ve ne preghiamo, o Signore, accorrete in aiuto dei vostri servi, che avete comprati col vostro prezioso sangue ». – In te, Domine, speravi, non confundat in æternum; « O mio Dio, poiché ho in Voi riposta la mia speranza, io non andrò confuso nell’eternità ». Sono sì ardenti e si continue le sue preghiere in tutto il restante della giornata, che si crede necessario raccomandargli di moderare il suo fervore, per tema che la sua malattia s’inacerbisca; e realmente ha terminato di estenuare le sue forze, ma gli lascia la testa libera e tutta la sua cognizione. Ei ne profitta per porgere affettuosamente una mano paterna a tutti quelli del suo seguito, che attorniano il suo letto, e prendendo loro la mano la stringe teneramente per esprimere quanto è sensibile al loro attaccamento e grato alle loro premure. Verso mezza notte più certi sintomi annunziano a lui non meno che agli astanti, esser egli prossimo ad esalare l’estremo fiato. L’arcivescovo si mette a recitare le preci degli agonizzanti, e Pio VI, che vuol tenergli dietro con una devozione affettuosa e unirsi a lui di proposito deliberato, gli accenna di pronunziare adagio. Ripetendo interiormente ciascuna parola, ei ne aspira in certo modo i pensieri. Le preci proseguivano quando il santo Pontefice depose tranquillamente l’anima sua nel seno di Dio, ad un’ora e venticinque minuti dopo la mezza notte del 29 agosto 1799, in età di ottantun anni, otto mesi e due giorni. – Non mai la morte di un Pontefice destò negli animi si forte perturbazione, e forse giammai nessun Papa nell’abbandonare questa terra di esilio non ricevé altrettanti tributi di dolore, di amore e di venerazione. In Italia, in Spagna, in Germania, in Francia stessa, da per tutto infine, Pio VI fu benedetto e magnificato come un martire; in Pietroburgo ed in Londra si udirono gli elogi di quel sommo; e inoltre, fra i protestanti, strepitose conversioni furono il frutto di questa morte gloriosa. La stessa città di Ginevra rimase commossa, e uno dei suoi cittadini più illustri scriveva queste notevoli parole: « Il cattolico romano si vanterà della vittoria memorabile, che il suo Capo ha riportato sopra l’empietà, e il cristiano delle altre comunioni vedrà chiaramente ove la vera Chiesa risiede. Tante tribolazioni riserbate ai soli pastori della Chiesa romana gli mostreranno, che le altre Religioni, i cui ministri non ingenerano sospetto negli apostoli dell’empietà e della incredulità, non sono sicure, e che l’errore, quando il vizio fraternizza palesemente con lei, non deve punto sedurre. Ecco quali saranno, io spero, i frutti degli attentati commessi contro il Papa in vita e dopo la sua morte! » – La grande vittima era immolata; i flutti dell’empietà, che fino allora avevano traboccato dilatando le loro devastazioni, erano, come quei dell’Oceano, pervenuti al limite segnato dalla mano divina. Già si preparava il trionfo della Chiesa per mezzo della elezione miracolosa di un nuovo Pontefice, e la giustificazione della Provvidenza incominciava dal castigo dei colpevoli. – La Francia ha osato dire all’Agnello dominatore: Non vogliamo che tu regni sopra di noi; gli uomini si sono abbeverati del sangue dei martiri; ora la mano di Dio si aggrava sopra la Francia e sopra i persecutori. – È sorto uno spaventevole uragano; la Francia ne è commossa fino dai fondamenti; monumenti, ricchezze, città, cittadini, tutto perisce: per dieci anni la storia del regno, già cristianissimo e ora ribelle a Gesù Cristo, è scritta colla punta di una spada intinta nel sangue. Non mai le generazioni furono spettatrici di avvenimenti cosi funesti. I grandi malvagi, che avevano spinta la Francia alla rivolta, non sfuggirono ai colpi della divina vendetta; l’uno è divorato dai cani; l’altro muore di miseria; quasi tutti periscono sul patibolo [Dei Presidenti della Convenzione nazionale in numero di sessanta tre, sedici furono ghigliottinati, tre si uccisero, otto furono deportati, sei condannati a perpetuo carcere, quattro impazzirono e morirono a Bicétre, due soli scansarono ogni condanna]. – Colui che alla crudeltà aveva unita la sacrilega derisione, Collot d’Herbois, atterrisce gli stessi negri per la spaventevole sua morte. Eccone in succinto la storia; ecco un avviso ai persecutori! Collot d’Herbois, empio forsennato e rivoluzionario esaltato, era intimamente collegato con Robespierre, che secondò negli abominevoli suoi progetti. Fu esso il principale autore dei massacri di Lione; e spedito in quella sventurata città nel 1793, vi fece perire per mano del carnefice, colla fucilazione o colla mitraglia, mille seicento vittime, il cui solo delitto era di aver voluto scuotere il giogo della tirannia. Ma il braccio del Signore non indugiò ad aggravarsi sopra di lui; la Convenzione temendo di opporsi alta pubblica opinione, che si era fortemente pronunziata contro quell’empio, ordinò il suo arresto il 2 marzo 1795, e quindi la sua deportazione alla Cayenne, ove era aborrito non solo dai bianchi ma anche dai negri, che nel loro linguaggio lo chiamavano il carnefice della Religione degli uomini. – « Confinato colà, cosi narra di lui un testimone oculare, egli gridava talvolta: lo sono punito, l’abbandono in cui io vivo è un inferno. Frattanto è assalito da una febbre infiammatoria che lo divora, sicché chiama in suo soccorso Dio e la Santa Vergine. Un soldato, al quale egli aveva predicato l’ateismo, gli domanda perché se ne facesse beffe pochi mesi prima: Oh! amico mio, ei rispose, la mia bocca ingannava il mio cuorl Poi soggiungeva : Dio mio, poss’io àncora sperar perdono? Mandatemi un consolatore, mandatemi qualcuno che distolga il mio sguardo dal braciere che mi consuma; mio Dio, concedetemi la calma! Era cosi tremendo lo spettacolo degli ultimi suoi momenti, che dovettero collocarlo separato da tutti; e mentre cercavano un sacerdote, egli spirò il 7 giugno 1797 con gli occhi semiapertì, con le membra stravolte, e vomitando in copia sangue e bava. I Negri, che avevano fretta di andare ad un ballo, non lo seppellirono che a fior di terra, a tal che il suo cadavere servi di pasto ai porci ed ai corvi! » [Simile in terra sarà la fine di coloro che costringono l’attuale Santo Padre all’esilio: i falsi pontefici marrani, i falsi prelati ingannatori delle anime riscattate da Gesù Cristo con il proprio sangue, il codazzo di sostenitori, imbonitori, inculcatori dell’errore e dell’apostasia, i servi della sinagoga di satana e del mundialismo nachita … ma cosa sarà questo in confronto al castigo eterno che li aspetta, se non si pentono? Miserere Domine, miserere –ndr.-]