CAPITOLO PRIMO
I LADRI NELLA GIUDEA.
Etimologia della parola ladro. — Ladri o briganti molto numerosi nella Giudea ai tempi di Nostro Signore Gesù Cristo. — Testimonianza dello storico Giuseppe. — Caccia data ai ladri da Erode, e dai governatori Romani Pilalo, Felice, e Festo.
Perché questo gran numero di briganti nella Giudea.
« Insieme con Gesù eran condotti anche due altri, che erano malfattori, per esser fatti morire, E giunti che furono al luogo detto Calvario, quivi crocifissero lui, e i ladroni uno a destra, l’altro a sinistra. E Gesù diceva: Padre perdona loro: conciossiachè non sanno quel che si fanno. E spartendo le vesti di lui, le tirarono a sorte …E uno dei ladroni pendenti lo bestemmiava dicendo: se tu sei il Cristo salva te stesso e noi. – E l’altro rispondeva sgridandolo, e dicendo: nemmeno tu temi Iddio, trovandoti nello stesso supplizio? E quanto a noi certo che con giustizia, perché riceviamo quel che era dovuto alle nostre azioni; ma questi nulla ha fatto di male. E diceva a Gesù: Signore, ricordati di me, giunto che Tu sia nel tuo regno. E Gesù gli disse: oggi sarai meco nel paradiso1.» – I due malfattori, che salivano il Calvario col fìgliuol di Dio erano ladri, latrones. Questa parola latina esprime non già un truffatore o un mariuolo, ma un vero ladro di strada, un brigante. « Gli antichi, dice Festo, chiamavano ladri, latrones i soldati mercenarii. Oggidì si dà questo nome ai ladri di strada, sia perché essi attaccano i viandanti di fianco, qaod a latere adoriantur, sia perché si nascondono per tendere loro insidie, vel quod latenter insidiantur 2. » – La legislazione di tutti i popoli li puniva di morte. Presso i Romani il più crudele ed il più ignominioso dei supplizi, la crocifissione, era loro riserbata. « La ragione di ciò è, dice s. Gregorio Nisseno, perché il brigante, per ottenere il suo intento, non rifugge dal ricorrere anche all’omicidio. Egli è armato, si associa altri compagni, sceglie i luoghi più favorevoli al delitto, e perciò le leggi lo condannano alla pena degli assassini » Così i malandrini, facevano allora quello che fanno ancora ovunque i loro successori. Armali insino ai denti, errando per le montagne, nascosti nelle caverne, appostati in imboscate sulle pubbliche vie, in luoghi appartati, essi attaccavano i passeggeri, e li percuotevano; e se non li uccidevano, li lasciavano semivivi e coperti di ferite. Senza dipartirci dal Vangelo, ne abbiamo la prova nella storia o parabola del viaggiatore da Gerusalemme a Gerico. Ne è questa la sola volta che il testo sacro parla dei ladri di strada. Nel giorno della passione, noi troviamo Barabba ladro insigne, sedizioso ed assassino. Finalmente due ladri sono i compagni di supplizio del Figliuol di Dio. – Si può domandare, perchè l’Evangelio, cosi parco nell’accennare le particolarità, constata a più riprese l’esistenza dei briganti nella Giudea. Soprattutto si può domandare, perché nostro Signore prende a soggetto di una delle sue più belle parabole il fatto di un viandante assalito dai ladri. La storia sacra e la storia profana insieme ce ne danno la risposta. La prima ci dice: che per essere compreso dalle moltitudini l’ammirabile Divin Maestro traeva le sue istruzioni dalle cose che erano da tutti conosciute. La seconda aggiunge, che all’epoca in che Egli viveva, e sino allo sterminio della nazione, la Giudea era infestata dai briganti. D’onde proveniva questa strana situazione? Da una parte i Giudei nella loro qualità di popolo di Dio, si credevano affrancati da ogni dominazione straniera. Dall’altra essi avevano dovuto soffrir crudelmente dai re di Siria ed anche dai Romani. L’odio per lo straniero, che bolliva nel cuore della nazione, si manifestava con ribellioni e sommosse incessantemente rinascenti. Dispersi dalla forza pubblica, i ribelli si ritiravano nelle montagne, e non tardavano, come abbiamo visto anche ai giorni nostri, a divenire terribili briganti. Vuolsi sapere la causa che produsse la riputazione di Erode, e gli spianò la via al trono? Ascoltiamo lo storico Giuseppe Ebreo: « Antipatro, egli dice, avendo acquistato un gran potere, confidò il governo della Galilea al suo figliuolo Erode ancora giovanissimo, mentre non aveva che quindici anni: ma la giovinezza non toglieva nulla alla di lui capacità. D’un carattere ardente e risoluto, non tardò a trovare l’occasione di mostrare il suo coraggio. Avendo incontrato Ezechia, capo di briganti, il quale alla testa di una numerosa banda infestava le frontiere della Siria, si precipitò su di lui e l’uccise insieme a gran numero di ladri suoi compagni. Quest’impresa gli meritò al più alto grado l’affezione dei Siri, poiché ne aveva appagati i voti liberando il paese dal brigantaggio. Per la qual cosa essi pubblicavano da per tutto nelle città e nei villaggi che egli era il loro liberatore, e che a lui erano debitori del tranquillo godimento dei loro beni. Questi elogi lo fecero conoscere a Sesto Cesare, parente del gran Cesare, e governatore allora della Siria. Una delle grandi occupazioni di Pilato durante i dieci anni del suo governo, e dei suoi successori Felice, Sesto ed altri, nel tempo della loro presidenza, fu di dare la caccia ai briganti. – Il paese ne era pieno, quando l’ anno 51 di Gesù Cristo, nono anno del regno di Claudio, Felice prese possesso del suo governo. – Il temuto capo dei briganti era Eleazaro figlio di Dineo. Già da venti anni questo vecchio malandrino era il terrore della provincia. Spesso le truppe romane lo avevano perseguitato nelle montagne, che gli servivano di ricovero. Molti della sua compagnia erano stati presi, ed all’istante giustiziati per ordine di Felice; ma Eleazaro era sempre sfuggito. Or essendo inutile la forza, Felice ricorse all’astuzia. Fece domandare ad Eleazaro un abboccamento, con giuramento che non gli sarebbe fatto nessun male. Avendo Eleazaro a ciò condisceso, appena entrò nella tenda di Felice, fu caricato di catene, ed inviato a Roma per subire nel carcere Mametino il supplizio riserbato ai più grandi malfattori. – La morte di Eleazaro non pose fine al brigantaggio; anzi tutto al contrario, si manifestò questo con nuova recrudescenza, e fini coill’infestare tutta la Giudea. Non udivasi parlare che di villaggi saccheggiati ed incendiati, di viandanti arrestati, di abitatori sgozzati. In questa trista condizione Festo successore di Felice trovò la Giudea, allorché ne venne a prendere 1’amministrazione. L’anno 58 di Gesù Cristo decimo di Nerone. Una delle cause di questa recrudescenza fu il malcontento dei Giudei di Cesarea. Questa città era abitata da Giudei e da Siri, che godevano dei medesimi privilegi, e vivevano sul piede di un’intera eguaglianza. I Siri, gelosi dei Giudei, vollero togliere a questi il diritto di cittadinanza, ed a questo intento, i principali fra essi scrissero a Berillo antico professore di Nerone, corrompendolo per via di doni, affinché ottenesse dall’imperatore il consenso alla loro domanda. Presto se ne vide il successo. Appena fu conosciuto il rescritto imperiale che i Giudei entrarono in piena ribellione; [Joseph., Antiq., Jud., lib. XX, c. VII.]; si formarono in tutto il paese delle bande di briganti, alla cui testa si pose un Mago impostore che attirava la folla nel deserto, la lusingava con vane speranze, e prometteva di renderla invulnerabile. Al fine di mettere un termine a questo stato di cose reso intollerabile, Festo spedì un corpo d’armata, cavalleria e fanteria che diede la caccia ai briganti, e massacrò l’impostore con tutta la sua truppa. – Per una ben meritata disposizione della divina giustizia, quegli orgogliosi Giudei i quali ricusavano di riconoscere un Messia pacifico, e che crocifiggevano la Verità in persona, accettavano tutte le chimere; e sempre in guerra, per sostenerle arrischiavano anche la loro vita. E sarà sempre così fino alla fine dei secoli. Datemi una nazione, una società, un’epoca che scuota il giogo del Principe della pace, che insorga contro la Verità vivente, e la vedrete infallibilmente cadere sotto la tirannia del principe della guerra e del padre della menzogna; e se Dio non interviene con un’azione diretta e sovrana, questo mondo affascinato camminerà d’errori in errori, di rivoluzioni in rivoluzioni, fino a che si sbrani di propria mano, o qualche capo di barbari venga a metter fine alla sua colpevole esistenza. – Non era difficile adunque trovare dei ladri nella Giudea, e possiamo credere che i due ladri del Calvario abbiano fatto parte delle tante numerose bande sparse nel paese. Queste particolarità storiche non solo servono a spiegare la menzione, che più volte si fa nel Vangelo, dei ladri nella Palestina, ma autorizzano altresì la tradizione di cui ora parleremo.
CAPITOLO II,
IL BUON LADRONE.
Fuga della sacra famiglia in Egitto. — Incontro dei ladri nel deserto. — Questo fatto molto verosimile in se stesso è attestato dalla tradizione. — Autorità di questa tradizione: essa è notata in vari monumenti del secondo e terzo secolo. — Che si deve pensare dei vangeli apocrifi. — Testimonianze dei secoli posteriori; Eusebio Alessandrino, Gregorio di Tours, S. Anseimo, Vincenzio di Beauvais. — Il grande istoriografo di Gesù Cristo, Laudolfo di Sassonia, il sapiente P. Orilia, e molti altri.— Quello che accadde in questo incontro. — Previdenza dell’infinita misericordia del Signore.
La strage degli innocenti era imminente, e fra tante vittime Erode ne cercava una sola. Iddio che si ride dei proponimenti degli uomini, salvò questa sola vittima, ed il regale assassino non altro vantaggio riportò dalla sua barbarie, che l’orrore della posterità. Giuseppe avvertito da un Angelo, prende il Bambino e la di lui Madre, lascia la sua dimora nel silenzio della notte, ed in tutta fretta si dirige verso l’Egitto. [Matt. II, 13-14] – Due vie potevano condurvici; la via di mare, e quella di terra. Prendendo la prima bisognava venire fino a Ioppe (Giaffa) o ai dintorni di essa, ed attraversare venti leghe di un paese popolatissimo; il che per i fuggitivi sarebbe stato lo stesso che correre quasi certissimo pericolo di essere riconosciuti; ed arrestati. – Di più arrivati al luogo d’imbarco potevano vedersi costretti ad attender anche più giorni 1’occasione della partenza, ed in tal caso ogni ora di dilazione sarebbe stata un ora di nuovo pericolo. Finalmente era necessario aver mezzi di pagare il viaggio, e la sacra famiglia era povera; ed è anzi molto probabile che lo fosse più ancora in questa circostanza, in cui l’ordine di partenza essendo venuto inaspettatamente e nel mezzo della notte, non si era potuto fare alcun preparativo. Quest’ordine pressante come un grido di allarmi, rispettato come un ordine del cielo, non permetteva né titubanza, né dilazione. Queste ragioni ed altre ancora sono sì gravi da non poter supporre che la sacra famiglia abbia scelta la via di mare. – Restava la via di terra; la quale aveva anch’essa i suoi pericoli. Da una parte, tra le frontiere meridionali della Giudea, e la terra di Egitto, stendevasi un deserto di quaranta leghe, che bisognava necessariamente attraversare. D’altra parte abbiamo veduto che la Palestina e i dintorni erano da molto tempo infestati da briganti, i quali, naturalmente, e diremmo anche quasi infallibilmente, dovevano incontrarsi, più che altrove, in questi luoghi appartati, lontani dalle abitazioni, e sopratutto nel mezzo di una vasta solitudine, che era la via obbligata delle carovane; in questi luoghi, essi potevano, senza timore di esser visti o conosciuti, esercitare la loro colpevole e troppo spesso sanguinaria professione. – Questa fu la strada che scelsero gli illustri fuggitivi: e l’arte, interprete della tradizione, rappresenta costantemente la sacra famiglia fuggitiva verso l’Egitto per la via di terra; e dipinge S. Giuseppe, che con una mano appoggiata ad un bastone, conduce con l’altra la modesta cavalcatura, sulla quale è assisa la SS. Vergine col bambino Gesù in braccio. Un’altra tradizione, della quale il terzo secolo offre già alcuni monumenti scritti nelle lingue orientali, ci fa conoscere che la sacra famiglia non iscampò al pericolo comune, e fu incontrata dai briganti del deserto. Prima di riportare i particolari di questo incontro, ci sembra utile di addurre qualche prova in appoggio di un avvenimento, che secondo la medesima tradizione occupa un vasto campo nella vita di S. Disma. – Nel fatto che la sacra famiglia come tanti altri viaggiatori, sia stata sorpresa dai ladri nella sua fuga in Egitto, non v’ha nulla d’impossibile; e si può anzi aggiungere che le nozioni storiche rammentate precedentemente lo rendono verisimile. È vero che non trovasi di un tal fatto parola nel Vangelo: ma il silenzio dei sacri scrittori non ne distrugge l’autenticità; poiché non tutto è stato scritto nel nuovo Testamento, e lo stesso Apostolo S. Giovanni dice, che il Libro divino contiene appena la minima parte dei fatti relativi a N. S. Gesù Cristo. [« Sunt autem et alia multa quæ fecit Jesus; quæ si scribantur per singula, nec ipsum arbitror mundum capere posse eos, qui scribendi sunt, libros. » XXI, 25]. – Vi sono anzi dei punti essenziali, di cui non vi si trova alcun vestigio, come sono fra gli altri, la sostituzione della Domenica al Sabato, e la validità del Battesimo per infusione. Qui come altrove la tradizione supplisce al silenzio dell’Evangelo; poiché questa tradizione di buon ora si fissò nei monumenti scritti. S. Luca ci dichiara, che sin dai primi giorni del Cristianesimo apparve un gran numero di opere sulla vita di Gesù Cristo. Ciò si comprende facilmente; poiché, al dir di Eusebio, folle innumerevoli di persone, attirate dal rumore dei miracoli dell’Uomo-Dio, accorrevano in Palestina dalle estremità più lontane della terra per vederlo e domandargli grazie e favori. [Hist, lib. I c. XIII.]. – Or l’uomo è così fatto che sempre e dapertutto, anche nei secoli d’incredulità e di materialismo, si mostra avido del meraviglioso. Questi pellegrini, Giudei o stranieri, che avevano avuto la sorte di vedere Gesù di Nazaret, o che avevano conversato con coloro che lo avevano veduto, facevano a gara in pubblicare le minime particolarità della sua vita e de’suoi miracoli. – Fu questa l’origine moralmente certa dei numerosi scritti, ai quali fa allusione l’Evangelista. – Quali erano queste prime opere delle quali dobbiamo deplorare la perdita? Nessuno lo sa. Possiamo affermare almeno che esse servirono di base ad un gran numero di raccolte di tradizioni evangeliche sparse più tardi in Oriente ed in Occidente. Le une furono redatte con più pietà che critica; l’altre composte o falsificate dagli eretici, racchiudevano il veleno dei loro errori: alcuna di esse non apparteneva con certezza all’autore, di cui portava il nome; e la Chiesa nella sua infallibile saggezza le rigettò tutte dal canone delle S. Scritture. – Ma col dichiararle apocrife essa non ebbe intenzione di denunziarle per false e menzognere affatto: alla zizzania dell’errore si trova in esse mescolato il buon grano della verità. La verità si riconosce facilmente, allorché il racconto di questi apocrifi è conforme a quello degli autori canonici, o all’insegnamento tradizionale della Chiesa; ed i casi ne sono assai frequenti. Se a cagion d’esempio, riportano essi alcune particolarità relative a Gesù Cristo, alla S. Vergine, o agli Apostoli; qualora simili particolarità non abbiano nulla di puerile o di inverisimile, ed a più forte ragione nulla di contrario alla fede; se anzi appariscano conformi agli usi ed ai costumi dell’antichità; esse costituiscono come una tradizione di second’ordine, che non è affatto riprovata né riprovevole; tradizione che gode anche di un’autorità relativa, sulla quale riposano un certo numero di fatti entrati senza opposizione per parte della Chiesa nel dominio del pubblico. La Chiesa medesima si è servita contro gli iconoclasti della lettera di Abgaro, comunque fosse stata messa tra gli apocrifi da S. Gelasio Papa. [Ved. Baron. an. 31. n. 50]. – Nell’ottavo secolo, Papa Gregorio II, che doveva conoscere il decreto del suo predecessore, non teme di scrivere all’Imperatore iconoclasta Leone Isaurico in questi termini: « Trovandosi nostro Signore nei dintorni di Gerusalemme, Abgaro re d’Edessa, che aveva inteso parlare dei miracoli di Lui, gli scrisse una lettera, alla quale degnossi nostro Signore rispondere, e mandargli il suo adorabile ritratto. A vedere questa santa Immagine, non fatta per mano di uomo, accorri tu pure, o manda altri. Là accorrono e pregano molti dall’Oriente. » [Epist. I ad Leon. Isaur.]. – Alcuni anni dopo un altro sommo Pontefice, Adriano I informa Carlo Magno di quanto si era fatto nel Concilio tenuto a Roma sotto Stefano IV e gli dice: « Il nostro predecessore di santa memoria, il Signore Stefano, presedendo al sopradetto Concilio, riporta un gran numero di testimonianze degne di fede, che egli stesso conferma; indi soggiunge: ma non è da omettersi quello che per relazione dei fedeli, i quali vengono dalle parti di Oriente, abbiamo appreso noi stessi. Per verità il vangelo non parla di quanto essi riferiscono; pure non è cosa incredibile, affermando lo stesso evangelista, come molti altri prodigi operò Gesù, che non sono stati scritti in questo libro. Asseriscono essi dunque che il Redentore del genere umano, avvicinandosi il tempo di sua passione rispondesse a una lettera del re di Edessa, il quale desiderava di vederlo, ed offrirgli un asilo contro le persecuzioni dei Giudei. » [Apud Bar., an. 769, n. 8. Vedi ibid, an. 809, n. 17; an. 114, n. 17, etc.]. Segue poi la lettera di nostro Signore. Osservisi che S. Gregorio e Adriano scrivono lettere officiali ad imperatori, uno dei quali era nemico giurato delle sante immagini. Se le lettere di nostro Signore e di Abgaro, benché non ammesse nel canone delle scritture, non avessero avuto un’autorità molto rispettabile, come mai i sommi Pontefici avrebbero osato produrle con tale asseveranza in favore del culto tradizionale delle sante immagini? – I protestanti poi si mostrano talvolta meno disdegnosi di certi cattolici relativamente agli apocrifi. Quanto alle lettere di Abgaro conservateci da Eusebio, il dotto Pearson mostra una tal confidenza nelle primitive nostre tradizioni, che fa onore e alla sua imparzialità e alla sua erudizione.1 [Not. Ad Euseb. lib. I, c. XIII]. – Il dotto e saggio annalista della Chiesa Baronio non trova difficoltà alcuna di appoggiarsi agli apocrifi per stabilire, contro S. Girolamo, che quel Zaccaria ucciso dai Giudei fra il tempio e l’ altare è Zaccaria padre di S. Giovanni Battista. La regola da seguirsi, citando 1’autorità degli apocrifi, è quella indicataci dal gran cardinale: ammetterla cioè con prudenza, caute admittenda, e non sostenerla pertinacemente, mordicus defendi non deberi. [Ann. 48, n. 14. ann. 55. n. 5. et Iudex, t. I, p. 265, et 304]. – È inutile aggiungere essere nostra intenzione conformarvici in tutto il corso di questa storia. – « Le circostanze particolari contenute negli apocrifi, aggiunge Brunet, lungi dall’essere rimaste sterili, hanno avuto per una lunga serie di secoli razione la più potente e la più feconda sullo sviluppo della poesia e delle arti. L’epopea, il dramma, la pittura, la scultura del medio evo non hanno mancato di avervi ricorso. Trascurare lo studio dei vangeli apocrifi è lo stesso che rinunziare a scoprir le origini dell’arte cristiana. Essi sono stati la sorgente, alla quale gli artisti dopo l’estinzione del paganesimo hanno attinto tutto il loro vasto simbolismo: diverse circostanze rapportate da queste leggende, e consacrate dal pennello dei grandi maestri della scuola italiana, hanno dato luogo a tipi ed attributi che sono giornalmente riprodotti dalle arti del disegno.11. [Evang. apocryph. p. V. et VI; v. anche Bergier, Diz. artic. apocrifi, e vangeli.]. – Fra tutte queste opere noi ne citeremo due soltanto. L’una riferisce con qualche particolarità l’incontro della sacra famiglia coi ladri del deserto: l’altra dà il nome divenuto tradizionale dei due ladroni del Calvario. Il primo è l‘Evangelo della Infanzia, [Brunet, Evang. apocr., p. 54]. il quale risale almeno alla fine del secondo secolo. Scritto prima in siriaco, o in greco, fu tradotto poi nelle diverse lingue dell’Oriente e dell’ Occidente. Se ne trovaron copie in Egitto presso i Copti, nelle Indie presso i cristiani stanziati sulle coste del Malabar, presso gli Armeni ed anche presso i Musulmani; senza parlare dei popoli dell’Europa, ove le edizioni moltiplicate lo avevano reso popolare. [Brunet, Ibid., p. 53 et seg.]. – Questo scritto, chiunque siane l’autore, contiene fatti perfettamente avverati: tali sono le circostanze dell’adorazione dei Magi, e la causa della partenza della sacra famiglia per la terra di Egitto. « Ecco, dice il capo VII, ecco quello che avvenne. Mentre il Signore Gesù era nato a Betlelemme, città della Giudea, ai tempi del re Erode alcuni Magi vennero dal paese dell’Oriente a Gerusalemme, come l’aveva predetto Zorodascht (Zoroastro). Ed essi portarono seco alcuni doni, oro, incenso e mirra, ed adorarono il Bambino, e gli fecero omaggio dei loro doni. » Ed il capo IX: « Erode vedendo che i Magi non ritornavano da lui… cominciò a meditare nel suo spirito l’uccisione del Signore Gesù. Allora un angelo apparve a Giuseppe in sogno, e gli disse: Levati, prendi il bambino e la sua Madre, e rifugiati in Egitto. Ed al canto del gallo, Giuseppe si levò e partì. » Vi si trovano altri fatti che appartengono alla tra dizione di second’ordine, di cui abbiamo parlato, come l’incontro dei ladri e della sacra famiglia, che il capo XXIII descrive in questi termini. « Essi arrivarono quindi all’entrata del deserto, e saputo che questo era infestato dai ladri, si preparavano ad attraversarlo durante la notte. Ed ecco che nel medesimo istante vedono due ladri che erano addormentati, e vicino ad essi videro un gran numero di altri ladri, i quali erano i compagni di questa gente, e che erano pure immersi nel sonno. Questi due ladri si chiamavano Tito e Dumaco. [La tradizione meglio accertala dà differenti nomi a costoro, e nulla impedisce di ammettere che eglino avessero più e diversi nomi. Che forse la storia profana, e pur essa la storia evangelica, non fanno menzione di personaggi conosciuti sotto svariati nomi? Oggi stesso è forse rara cosa il vedere in ogni paese le relazioni giudiziarie, dar notizia al pubblico dei nomi che, oltre il lor proprio, moltissimi malfattori si ebbero per falsi delle loro audaci imprese?]. – II primo disse al secondo: ti prego dì lasciare andare in pace questi viaggiatori, per timore che i nostri compagni non li vedano. Ricusandosi Dumaco di ciò fare, Tito gli disse: Ricevi da me quaranta dramme, e prendi per pegno la mia cintura; e gliela presentava, pregandolo di non chiamare gli altri e di non gridare all‘arme. – « Maria scorgendo la buona disposizione di quel ladro ad usarle riguardo, gli disse: Iddio ti sorregga con la sua destra, e ti accordi la remissione dei tuoi peccati. Ed il Signore Gesù disse alla Madre: Madre mia, passeranno trent’anni, e i Giudei mi crocifìggeranno, e questi due ladroni saranno crocifissi con me, Tito alla mia destra e Dumaco alla sinistra; ed in quel giorno Tito sarà con me in paradiso. E poiché ebbe così parlato, la Madre gli replicò: che Iddio tenga lontano da te, figlio mio, avveramento di siffatto presagio: e proseguirono il viaggio verso una città idolatra. ». – II secondo e il più celebre di tutti è l’Evangelo di Nicodemo. Esso non ha quasi una frase che, quanto al sentimento, non si trovi in parecchi scrittori dei primi secoli, come s. Cirillo di Gerusalemme, Finnico Materno, s. Crisostomo, s. Ippolito. Quindi la sostanza del racconto non è da porsi in dubbio. Redatto nella sua forma attuale verso il quarto o quinto secolo, questo e vangelo fu ben presto diffuso e letto in tutto l’Occidente. Gregorio di Tours, Vincenzio di Beauvais, ed un gran numero di scrittori del Medio Evo ebbero spesso ricorso a quest’opera, la cui autorità non fu punto sospetta ai loro occhi. In Egitto Eusebio di Alessandria la commenta ed analizza con energica confidenza. In epoche non molto remote, l’Evangelo di Nicodemo leggevasi nelle Chiese Greche, non come parte della s. Scrittura, ma come opera edificante e di rispettabile autore. Quindi è che innumerevoli ne sono le edizioni fatte in tutte le lingue. [Brunet, Evang. apocr,, p. 215. 220.].- Al pari di quello dell’Infanzia, il Vangelo di Nicodemo riferisce, oltre i fatti divinamente certi, le particolarità tralasciate dal racconto, tanto rapido e conciso, del sacro testo. Eccone, fra gli altri, un esempio : « Gesù, dice il capitolo X, uscì dal Pretorio; e quando ebbe raggiunto il luogo chiamato Golgota, i soldati lo spogliarono delle sue vesti e il recinsero di un saio, e coronatone il capo di spine, e messagli nelle mani una canna, lo crocifissero insieme coi due ladroni ai suoi fianchi, Dima a destra e Gesta a manca. » Fondati su questi evangeli, o su monumenti ora perduti, numerosi testimoni, sulla scienza e buona fede dei quali non cade sospetto, tramandarono alla posterità così la memoria di questo memorabile incidente, come i nomi dei due ladroni. Fra le opere dì s. Agostino, una ve n’è una che porta il titolo De vita eremìtica; la quale per lunga serie di anni fu attribuita al gran Vescovo d’Ippona, ma che col dottissimo P. Raynaud crediamo piuttosto di s. Anseimo, Arcivescovo di Cantorbery. [Metamorpìios. latr. inter Op. t. IX, p. 457, ediz. in fol. Lugd. 1665]. Chiunque ne sia per altro l’autore, molto antico è un tale scritto, e sul punto che trattiamo, esso conferma la tradizione dell’Oriente e dell’Occidente. – Or ecco in quali termini la riassume. « Abbiate per vero quanto si dice della sacra famiglia, che arrestata dai masnadieri, dovette la sua salvezza al buon volere di un giovane di quella banda. La tradizione vuole che ei fosse figlio del capo di quei ladri. Arrestati gli augusti viaggiatori, esso vide il bambino in grembo della madre. La maestà, che splendeva sul volto ammirabile di quel figliuolo, lo colpì talmente, che punto non dubitò esser desso più che un uomo, e col cuore intenerito abbracciatolo: « O benedetto fanciullo, esclamò, se mai l’occasione ti si offra di aver pietà di me, sovvengati di me, né dimenticare l’incontro di questo giorno. » – « La tradizione ritiene che questo giovane fosse poi il ladrone crocifisso alla destra di Gesù Cristo. Rivoltosi dalla sua Croce al Signore, miracolosamente riconobbe in esso il maestoso fanciullo che aveva veduto nella sua gioventù, e tornandogli a mente il suo patto: Sovvengati di me, gli disse, quando sarai nel tuo regno. – Come incentivo di amore, non credo inutile servirsi di questa tradizione, senza alcuna temeraria affermazione del fatto » – Il dottissimo Cardinale s. Pier Damiano, morto nel 1072: attribuisce la conversione del Buon Ladrone alle preghiere della beatissima Vergine lieta di riconoscere in esso lui il masnadiere, che nel deserto aveva protetta e salvata la sacra famiglia. — Il giovane ladrone volle compiere la sua buona azione. Non solamente esso impedì lo spoglio degli augusti viaggiatori, ma offrì loro la sua capanna per riposare e passarvi la notte, somministrò ad essi quanto era necessario, e l’indomani diede loro una scorta sicura per accompagnarli. – Lunga in vero sarebbe la lista degli autori, commendevoli per scienza e per pietà, che si fecero campioni di questa medesima tradizione, e l’accettarono senza riserva. Tali sono particolarmente il Beato Giacomo de Voragine Arcivescovo di Genova, il dotto Vescovo d’Equilio, Pietro de Natalibus, il P. Orilia dei Pii Operai, ed il grande storiografo di nostro Signor Gesù Cristo, Landolfo di Sassonia. II primo di essi, in un suo discorso, si esprime così: « La sacra famiglia allorché fuggiva in Egitto cadde nelle mani dei ladri. Uno di essi preso dalla bellezza del bambino: Io dico in verità, così parlò rivolto ai suoi compagni, che se Iddio potesse rivestirsi della nostra carne, giurerei che questo bambino è Dio. » Queste parole commossero quei banditi, e la Madre ed il pargoletto furono lasciati proseguire il viaggio senza far loro alcun danno ». – Al fatto principale il secondo aggiunge le seguenti circostanze: Il giovane ladrone, sorpreso dalla bellezza del Bambino, e dalla dolcezza di sua Madre, non solo si astenne dallo svaligiarli, ma li condusse nella sua caverna per passarvi la notte, somministrò loro quello che era ad essi necessario, e li fornì di una scorta per accompagnarli [Catatog. SS. lib. IlI, c.ccxxviii.]. – Landolfo di Sassonia non si allontana per nulla dalla tradizione, di cui sembra aver copiato la testimonianza in S. Anselmo [Oltre a ciò si deve notare che Maria fa presa insieme col fanciullo dai ladroni ec. Come in s. Anselmo, De vita eremitica, citato più sopra. Vita di Gesti Cristo, c. XIII, fol. 37, edizione di Venezia, 1531. in fol.]. – A siffatte autorità il P. Orilia aggiunge il peso della sua erudizione e della sua pietà, al pari degli accennati scrittori, egli non dubita punto dell’incontro della Sacra Famiglia coi masnadieri del deserto, e della influenza che esso ebbe sulla conversione del buon Ladrone. « Io potrei, egli dice, fare un non breve elenco degli autori che narrano il medesimo fatto, ma sarebbe cosa noiosa citarli tutti. [P. Orilia, Riflessioni, ec. c. II, pag. 10]. – Egli avrebbe potuto aggiungere che in Oriente è volgarissima questa tradizione, la quale egli tiene con quella fermezza, e diremo anche con la immobilità che lo caratterizza. Quanto poi alle varianti che si notano nei racconti dei nostri autori, sono esse forse tali da toglier fede al fatto principale? No certamente, secondo il nostro giudizio. La critica stessa la più severa non si ricusa di ammettere come veri nella sostanza un gran numero di fatti in vario modo narrati dagli storici. Tali sono, per citarne alcuni dei più celebri e dei meno revocati in dubbio, l’assassinio di Cesare, le conquiste del re Clodoveo, e puranco talune delle battaglie di Napoleone. – Una prova d’ordine morale può confermare le testimonianze della tradizione. La Provvidenza non opera mai a caso. La sua infinita sapienza abbraccia il presente, il passato ed il futuro, e la bontà ne uguaglia la sapienza. Chi sa che per far risaltar l’una e l’altra, non fosse disposta l’avventura dell’incontro nel deserto? Quante altre non meno misteriose combinazioni non troviamo noi nel Vangelo! Fu egli forse per caso che il lebbroso della montagna, la Samaritana, Zaccheo, Matteo si trovassero sul passaggio di Nostro Signore? Cieco chi in questi fatti non scorge la misericordia correre in cerca della miseria, ed il medico andare incontro al malato! – Così pure chiamando sul suo passaggio il giovane ladro, ed ispirandogli un vivo senso di umanità, Colui che disse: « Io era viaggiatore e mi deste l’ospitalità: » Colui che non lascia senza premio un semplice bicchier d’acqua fresca dato in suo nome all’assetato, avrà voluto deporre nell’anima di quel malfattore il germe prezioso che un giorno doveva così magnificamente manifestarsi sulla croce. Se così è, e nulla prova che sia altrimenti, abbiamo sin dal principio, di che ammirare la divina misericordia, della quale la conversione del buon ladrone è senza dubbio uno dei più consolanti miracoli.