STORIA
DEL BUON LADRONE
DEDICATA AL SECOLO XIX.
DI MONSIGNOR GAUME
[Prato, Tip. Guasti. 1879]
PREFAZIONE
Dedica di questa Istoria al secolo decimonono. — Ragioni di questa dedica. — Il secolo decimonono trova nel buon Ladrone il suo modello. — Colpevole al pari di lui, come lui può e deve pentirs i.— La sua conversione è la soluzione unica di tutti i problemi sociali. — Risposta alle difficolta. — Utilità di questa Istoria: essa rivela molti fatti curiosi, dimenticati o poco noti: — Dessa unisce la Storia evangelica con la Storia profana: — apre l’anima ai più nobili sentimenti, l’ammirazione e l’ amore; — ed è un preservativo o un rimedio possente contro lo scoraggiamento e la disperazione.
I.
Io amo i Santi che non furono sempre santi. Se parrà strana una tal propensione; è ella forse degna di biasimo ? Un illustre dottore della Chiesa la spiega e la giustifica con queste parole: « Noi comprendiamo, dice s. Ambrogio, l’utilità dei peccati de’ santi, ed il perché la Provvidenza li permise. Destinati a servirci di modello, è bene per noi che abbiano alcuna volta errato. Se non ostante le insidie di che sovrabbonda il cammin della vita, non avessero eglino mai messo il piè in fallo percorrendolo, noi ci perderemmo d’animo, e deboli come ne siamo, ci sentiremmo tentati a crederli di una natura superiore alla nostra e quasi divina, soggetta a fallire peccando. Persuadendoci di essere di altra inferiore natura, un tal concetto ci distoglierebbe da una imitazione riguardata come impossibile. Quindi è che la grazia di Dio ha lasciato anche a loro sentire un po’ la propria debolezza, affinché la loro vita fosse per noi un modello di accessibile imitazione, ed i loro atti fossero una doppia lezione di fedeltà e di penitenza. Il perché, quando io leggo le loro cadute, vedo che parteciparono della mia debolezza, e ravvisandoli non esenti da infermità, prendo fiducia di poter correre dietro ai loro passi » [S. Ambrogio, In prior. Davidis apolog., cap. II.]
II.
Or ecco la storia di un gran peccatore, divenuto un gran santo. Essa è dedicata ad un gran peccatore, che ha il più urgente bisogno di divenire un gran santo. Il secolo decimonono è il nome di questo gran peccatore. Nel colpevole illustre richiamato alla sua memoria, gran peccatore, gran ladro e gran santo, il secolo decimonono riconoscerà esattamente quello che egli è, e quel che deve essere. – Il dire di questo secolo che è un gran peccatore ed un gran ladro, al pari di quello del Calvario, non è un calunniarlo. Il dire che dee pentirsi, e pentirsi senza ulteriore indugio, egli è un mostrargli la sola via di salute, che gli resta. – Il dire che può pentirsi, egli è un ridestare in esso la fiducia ed incoraggiare i suoi sforzi. Uopo è stabilire queste tre proposizioni per giustificare la dedica di questa storia, e dimostrarne la convenienza e l’utilità.
III.
1.° Dire del secolo decimonono che è un gran peccatore, e come quello del Calvario, un gran Ladro, non è un calunniarlo. — Un secolo si caratterizza non già per i fatti ch’esso presenta, ma sì per lo spirito generale che lo distingue. Questo spirito si rivela nelle idee dominanti in fatto di politica e di religione. Alla loro volta codeste idee hanno la loro espressione nella condotta dei governi, nelle istituzioni, nelle leggi, nei pubblici costumi e nelle occupazioni e passatempi preferiti, nei libri e nei giornali che godono del favor popolare. In una parola, un secolo si caratterizza per l’insieme delle sue aspirazioni e tendenze intellettuali, religiose e sociali. – Che in questo secolo vi abbiano delle individualità più o meno numerose, non partecipanti al general movimento, e che queste diano segno della loro indipendenza, con atti isolati o collettivi in opposizione allo spirito dominante, non perciò il secolo conserva meno il carattere che lo distingue, e per il quale si è in diritto di definirlo. Ciò sia detto per mostrare che noi siamo ben lontani dal voler sminuire e molto meno negare il bene che oggigiorno si fa, pur sostenendo il nostro giudizio sul secolo decimonono considerato nel suo insieme. Veniamo alle prove. Qual è mai lo spirito del secolo decimonono? È desso cattolico, o no ? Per farne retto ed imparziale giudizio, non è da prendersi in esame presso una sola nazione. Ragion vuole che, nelle loro generali manifestazioni, siano considerate tutte le nazioni almeno dell’Occidente. – È forse lo spirito cattolico che regna nella Russia, nella Prussia, nella Svezia, nella Danimarca, nell’Inghilterra, in tutti i paesi protestanti e scismatici, vale a dire per lo meno, nella metà dell’Europa? E qual è lo spirito che domina nelle nazioni, che diconsi ancora cattoliche, Francia, Spagna, Austria, Portogallo, Italia? Come nazioni tendono esse al Cattolicesimo, o alla parte opposta? Cosa puerile sarebbe il discutere una siffatta questione: il solo proporla è lo stesso che risolverla.
IV.
Or il secolo decimonono faccia il suo esame di coscienza. V’ha una legge, la più santa di tutte le leggi, e madre di tutte le leggi degne di questo nome; una legge discesa dal cielo e data da Colui, innanzi al quale deve curvarsi ogni fronte, star muto ogni labbro, piegarsi ogni ginocchio; una legge che ha la sanzione di ricompense e pene temporali ed eterne; una legge, della quale il battesimo rende l’osservanza ben più rigorosa pei popoli cristiani, che per le nazioni infedeli. Questa legge, che si compone di dieci articoli, si chiama il Decalogo. – Or di questi dieci articoli, qual è quello che il secolo decimonono osservi sul serio, e secondo lo spirito del divino legislatore, in Russia, in Francia, in Italia e presso le altre nazioni d’Europa? O piuttosto qual è quella nazione che, da nord a mezzogiorno non li violi tutti apertamente ed ostinatamente? Egli è doloroso a dirsi; ma al veder la condotta del secolo decimonono, non si può mettere in dubbio che per esso Iddio è non un so qual vecchio re quasi detronizzato, i cui consigli, le cui prescrizioni, i cui divieti, le cui promesse e minacce, oggetto d’indifferenza per gli uni, e di scherno per gli altri, non pesano più sulla vita delle nazioni, come nazioni, di quello che sul piatto di una bilancia una leggerissima piuma. – Dove trovate voi la parte di Dio nella, politica dei e, nei discorsi e negli atti officiali dei governi? Si potrà nominare un solo uomo di stato veramente cristiano in tutta la moderna Europa? Il secolo decimonono non fa ora dei codici nei quali non si rincontra una sola volta il nome di Dio? Qual secolo anche pagano, ha mai proferito e lasciato proferire tante bestemmie contro quel nome adorabile, e contro tutto ciò, che Egli adombra della sua divina maestà? Tranne quella della spada, qual potenza è sacra per esso? E son tuttavia sacri per esso i giorni riserbati al riposo? E qual’è l’andazzo dei pubblici costumi? Depositaria della divina autorità e ministra delle sue leggi, la Chiesa è ella pel secolo decimonono l’oggetto di un’esemplare venerazione? Promotrice e guardiana della vera civiltà, riceve forse la Chiesa il ben meritato omaggio di una positiva riconoscenza, e di un filiale attaccamento?
V.
Se non ché, la violazione audacissima della più santa delle leggi non è già la più grande iniquità del secolo decimonono. V’ha una differenza enorme tra la reità d’un figlio, che disobbedisce al padre, riconoscendo pur sempre la paterna autorità, e quella di un figlio, che non solo trasgredisce i paterni comandi, ma nega ancora la paterna autorità. E di questa reità è imputabile il secolo decimonono. Non contento di ribellarsi a Dio ed alla sua Chiesa disconosce la loro autorità: « Io sono norma e regola a me medesimo, così nel pensare, nel discorrere e nell’operare. Che bisogno ho io di Gesù Cristo e della sua Chiesa? Qual’uopo ho del Papa? Combattere la loro tirannica autorità è mio buon diritto; scuoterne il giogo è mia gloria, e liberarne la umanità egli è aprire ad essa un’èra di libertà, di progresso e di felicità. » Ed ecco per chi vuole intenderlo il perpetuo ritornello del secolo decimonono in tutta la sua estensione, e l’ultima parola del suo modo di pensare più o meno officiale. – Quindi ciò che per l’addietro non era mai avvenuto, i titoli dei suoi pubblici fogli sono: Il Libero Pensiero, La Morale Indipendente, e pur anche l’Àteo.
VI.
Di là proviene ancora il tutto nuovo carattere del male all’epoca nostra. In tutti i tempi v ’ebbero degli errori; ma la legale riconoscenza dei dritti dell’errore nelle nazioni cattoliche, ch’è quanto dire la patente concessa ai falsi monetarii della verità di batter falsa moneta pubblicamente; ma società formate in piena luce col fine palese di tener lontano come un malefico il Cristianesimo dalla culla del bambino, dal capezzale del moribondo, e se sia possibile, di soffocarlo nel fango; ecco ciò che nel secolo decimonono solamente si è veduto avverarsi. – Del pari in tutti i tempi v’ebbero delitti e misfatti contro la proprietà ed i buoni costumi; ma l’apologia del furto e della disonestà, e con essa la glorificazione del suicidio, ecco altresì quel che non si ritrova, col lascia-passare delle opinioni, se non nel secolo decimonono. Finalmente in tutti i tempi vi furono tumulti e ribellioni contro le legittime potestà; ma la teoria della rivoluzione e del regicidio, anzi la consacrazione del principio dell’uno e dell’altra, con la proclamazione legale della sovranità dell’uomo, ecco ciò che invano si cercherebbe fuorché nel secolo decimonono. Negazione dell’autorità divina e della coscienza umana, si è questo il distintivo carattere della sua perversità. A giudizio di ogni spirito imparziale, essa è ben al di sopra di quella dei secoli precedenti. « Chi può senza fremere risovvenirsi (diceva il conte de Maistre) del frenetico fanatismo del sedicesimo secolo, e delle spaventevoli scene di che fece spettacolo al mondo! Qual furore sopratutto contro la Santa Sede! Noi tuttora arrossiamo per la natura umana, leggendo nelle storie del tempo le sacrileghe ingiurie vomitale da quei novatori villani contro la romana gerarchia. « Nessuno dei nemici della fede si è mai ingannato. Tutti, battendosi contro Dio, si battono invano; ma tutti sanno ove bisogna battere. Ciò che v’ha di più notevole si è, che a misura che i secoli passano, gli attacchi contro l’edificio cattolico si fan sempre più poderosi, di maniera che, sempre dicendo: Non si può andar più, oltre, si rimane sempre ingannati. » [Du Pape, t. II, p. 271.] E di tal verità è prova evidentissima il nostro secolo.
VII.
Il decimonono secolo è dunque un gran peccatore;, ma soprattutto un gran Ladro. La borsa o la vita era stata fin qui la parola del ladro di pubblica strada. — La borsa e la vita è la parola del secolo decimonono. Di due specie sono i beni dell’uomo, i beni del corpo, e i beni dell’anima. Beni del corpo, la borsa; beni dell’anima, la vita. Il ladro di pubblica strada prende la borsa e lascia la vita; il secolo decimonono prende la borsa e la vita. – Esso prende la borsa. Non è ancora compito un secolo che la Chiesa Cattolica era la più ricca proprietaria del mondo. La Francia, la Spagna, il Portogallo, l’Italia ed una parte notabile dell’Alemagna erano coperte di proprietà della Chiesa. Essa oggigiorno non ha più nulla di proprio, e se alcuna cosa le rimane, è per la precaria tolleranza degli spogliatori quali son sempre disposti, come pur confessano, a stendervi l’avida mano. – In questo stesso momento l’Italia finisce di vendere i beni della Chiesa; e gran mercé di Dio se al Capo augusto di quella ricchissima Chiesa rimane un angolo di terra indipendente su cui riposare il capo. E questo piccolo possesso, oppugnato da mille sofisti, e sempre minacciato dalle armi degli invasori, uopo è difenderlo a costo del più puro sangue, senza potersi ripromettere che lo sarà sempre con fortunato successo. Certo giammai il furto sacrilego fu praticato in simile proporzione e con sì sfacciata impudenza!
VIII.
Uno è il diritto di proprietà, ed è ugualmente sacro nella persona del prete come in quella di qualsiasi uomo del secolo. Violatore di questo diritto nell’ ordine religioso, il secolo decimonono non poteva a lungo rispettarlo nell’ordine sociale. E con quale impassibilità non ha esso spogliato Re e Principi di sangue reale! La storia conta già più di sessanta troni rovesciati da esso. E ben superiore è il numero dei re e delle regine, dei principi e delle principesche famiglie spogliate dei loro diritti ereditari, e della loro personale fortuna, espulsi, esiliati; di sovrani divenuti vassalli, ed erranti per le diverse contrade dell’Europa, cercando un’ospitalità che non sempre vien loro accordata. – Non parliamo delle provincie ingiustamente invase, né delle nazionalità soppresse, né delle mostruose tasse imposte ai vinti a profitto dei loro depredatori. Notiamo soltanto che a tutte queste ingiustizie, a tutti questi furti a mano armata, il secolo decimonono impresse il proprio suggello della sua perversità. Col suo più mellifluo tuono di voce, esso li chiama annessioni, risultati inevitabili delle aspirazioni dei popoli, conseguenza legittima del nuovo diritto.
IX.
Come il torrente che scende dalla montagna e si precipita nella valle che copre di arena e di fango e che devasta; così il furto esercitato nelle alte regioni è disceso negli ordini inferiori della società. Tra tutti gli altri, il secolo decimonono è il secolo delle subite scandalose fortune; scandalose per la loro rapidità, scandalose per la loro enormità, scandalose per i mezzi adoperati a farne acquisto. Per quanto poco iniziato uno sia di ciò che avviene, e non potrebbonsi nelle diverse carriere amministrative, industriali, commerciali, finanziarie indicar persone, che quindici o venti anni addietro potevano dirsi poveri, e che ora posseggono un patrimonio di milioni? Come persuadersi che questi rapidi acquisti di ricchezze siano esclusivo frutto di onesto lavoro, il prodotto legittimo di un’ industria, o di mezzi non condannevoli né avanti a Dio né avanti agli uomini? Fin qui l’opinion pubblica si ricusa di crederlo.
X.
E che pensare poi della giustizia del secolo decimonono nelle transazioni commerciali ed anche nelle ordinarie relazioni di compra e vendita? È stato detto già: di tutte le scienze moderne, quella che ha progredito più è la scienza del rubare. Pare che la chimica non sia stata inventata per altro, che per falsificare più abilmente i prodotti dell’industria, e fino le sostanze alimentari. Se dobbiamo credere alle rimostranze, ai lamenti che sentiamo farsi per ogni dove, ed ai processi che del continuo si tengono nei tribunali, vi han pochi, i quali possano dire: « Son certo che il vino che io bevo non è punto adulterato, e che sostanze nocive non v’hanno nel pane ch’io mangio, nell’olio che mi fa lume. – « Io sono egualmente sicuro che non v’ha cotone in quella stoffa ch’io compro, perché la credo di refe, di seta, o di lana, e che non v’è frode nella fabbricazione degli oggetti che acquisto per mio uso, e che ognuno rifugge dall’ingannarmi sulla misura e sul peso, e dal vendermi per buone delle merci danneggiate, o d’infima qualità. – « In fine io ho la certezza che nella mia casa non v’ha frode alcuna, e che né i miei domestici, né i miei operai, né tampoco i sarti o le sarte mi rubino in modo alcuno, e che se talvolta vi ha furto, la è cosa ben rara e seguita sempre da un sincero pentimento, e da una giusta riparazione. »
XI.
Ma ciò non è tutto. Posseduto da uno sfrenato amore della ricchezza, il secolo decimonono ha posto in voga due cose, che ad ogni istante compromettono la giustizia, cioè, il ciarlatanismo e la concorrenza illimitata. Di che mai dal principio alla fine dell’anno, son ripiene le ultime pagine dei giornali ? Di annunzii. E le cantonate delle città di che sono tappezzate? Di avvisi stampati di ogni colore e di ogni dimensione. E questi annunzii ed avvisi che dicono mai? Essi dicono che, in virtù di novelli processi e di condizioni eccezionalmente fortunate, si vende a buon mercato, e tale da non credersi, tutto ciò che v’ha di meglio, e di più bella apparenza in fatto di tessuti o di derrate d’ogni genere. Voi correte a comprare, e siete rubato. Essi dicono che sì scoprirono talune preparazioni medicinali di tanta efficacia da guarire le malattie più ribelli ad ogni rimedio. Voi comprate e siete rubato. Essi dicono che si è formata una società con un capitale di più milioni per dar vita ad una industria, il cui successo è talmente sicuro, che oltre l’interesse della loro moneta gli azionisti riceveranno ricchi dividendi. Sedotti dall’esca del guadagno, rassicurati dai nomi che figurano nel manifesto, i gonzi accorrono, e ne dividono la sorte. – Il ricco, l’artigiano, il domestico recano, chi le sue rendite, chi i suoi risparmi, e chi il suo salario; e per accrescere il numero dei creduli, nei primi anni gli interessi sono regolarmente pagati. Vi si aggiunge pur anco un dividendo, che peraltro resta ad aumento del capitale sociale; e ben tosto non vi han più né interessi, né dividendi, né capitale; tutto è perduto. In questa specie di furti, il secolo decimonono può vantarsi di portare la palma su tutti.
XII.
E non meno a tutti gli altri secoli va esso innanzi per la novella invenzione che dicesi concorrenza illimitata. Come applicazione della libertà rivoluzionaria, la concorrenza illimitata ha per iscopo di produrre più che uno può al miglior mercato possibile; e chi non vede in essa una permanente tentazione di frode e di furto? Il mio vicino vende a tal prezzo gli stessi prodotti ch’ io vendo ; acquista credito, e la sua concorrenza cagiona la mia rovina, e m’impedisce di far fortuna. È dunque necessario ch’io venda a più basso prezzo di lui. Ma se impiego le stesse materie, se fo uso dello stesso metodo di fabbricazione usato finora, il prezzo di fattura rimarrà sempre Io stesso così per me, come per lui, e gli avventori continueranno a preferirlo. Come dunque eludere la difficoltà ? Alterando le materie prime con la mescolanza di altre affini e di minor costo, e ponendo minor cura nella fabbricazione: in una parola rubando.
XIII.
Il seguente fatto riassume tutte queste specie di falsificazioni nate dalla concorrenza illimitata. Regnava il Buon Luigi Filippo, e i Deputati della Gironda domandavano la riduzione della imposta sui vini. Con una patetica esposizione rappresentavano la misera condizione dell’industria vinicola, e particolarmente le gravezze insopportabili, che pesavano sulla loro provincia. Un deputato di non so qual’altro dipartimento dirigendosi all’oratore, gridò dicendo: « Io domando, come voi, non solamente la riduzione, ma la soppressione del diritto fiscale sul vino, se voi potrete provarmi che in commercio vi ha un solo ettolitro di vino di Bordò che sia pretto e vero Bordò, » Si tacque allora il deputato della Gironda, la camera rise, e la domanda fu rigettata. più furto, ma è abilità, saper fare. A forza di raggiri indefinibili, sappiate procurarvi cento mila lire di rendita, e voi certamente avrete la riputazione di uomo abile. Abbiatene due cento mila, e sarete un grand’uomo, al quale saranno accessibili tutte le sale di ricevimento aristocratiche. – Senza che gli sia pur passato pel capo di farlo imprigionare come un nemico dell’umana società, o di separarlo da essa come un pazzo della più pericolosa natura, il decimonono secolo ha inteso un sofista proclamare questa massima: La proprietà è il furto.
XV.
È tale l’aberrazione del senso morale, che a prevenire i tremendi effetti di un siffatto principio, uomini di stato stimaronsi obbligati a pubblicare dei volumi per confutarlo. I loro sforzi furon essi coronati di buon successo? Mi è lecito dubitarne. Dopo come per l’innanzi, grandi furti ebbero luogo, poche o nessune restituzioni. Al tempo istesso, il socialismo minaccia la società. E che sono mai il socialismo, il comunismo, il dritto al lavoro, la democrazia universale, la grande repubblica mazziniana, la rivoluzione in una parola, se non il furto eretto a principio? Incoraggiata dagli uni, glorificata dagli altri, più o meno ben accolta da quanti non son cattolici di vecchia data, la rivoluzione può, per le future sue rapine, come per le sue passate ingiustizie, contare su quel decreto d’indennità, al quale il secolo decimonono ha dato corsoe valore: È un fatto compiuto.Ed ecco nell’ordine materiale accennate alcune delle attinenze del secolo decimonono col principio della giustizia. Ora vediamo quali sono esse nell’ordine morale.
XVI.
Per colpevole che e’ sia, il furto della borsa può passare per un peccato da nulla in confronto col furto della vita. La verità è la vita dell’uomo, è il suo pane, il suo vino, l’aria sua respirabile; è il suo padre e la sua madre, come già fu detto nelle lingue orientali. La verità è la sua fede, la sua speranza, la sua consolazione; è la bussola che dirige l’esistenza, e la forza che dà lena a portarne il peso. La verità è lo scudo che protegge l’onore, la innocenza, la forza nelle incertezze dello spirito, contro gli smoderati desideri del cuore, e contro le insidie e le lusinghe del mondo. – Il più reo pertanto di tutti i furti sì è quello della verità. Spogliandone quell’essere, da un canto sì misero, che si chiama uomo, egli è un renderlo cieco, e condannarlo a brancolare nel vuoto; egli è un farlo zimbello d’ogni fantasma, e sospingerlo barbaramente di precipizio in precipizio; egli è un cangiarlo in bestia immonda alternativamente e crudele, in fino a che, torturato da dubbi, perda ogni lume di ragione; o che stanco di una vita senza norma e senza scopo, invochi il nulla e ponga fine ai suoi giorni.
XVII.
Il decimonono secolo è egli reo di un simile furto? E n’è egli veramente reo più che ogni altro secolo? Non si ha che aprir gli occhi per rispondere a simili interrogazioni. Che sono mai quei milioni di scritti cattivi, opuscoli, libri, giornali, canzoni, farse, opere teatrali, romanzi, incisioni, stampe di ogni formato ed anche del più basso prezzo, che ogni sera, dal principio alla fine dell’anno, partono da tutte le capitali d’Europa, se non bande di ladroni, che in tutti i luoghi abitati, e fin nei più umili villaggi, vanno a pervertire le menti, a profanare i cuori, ad assassinare le anime? Al giovine han tolto il rispetto alla paterna autorità, alla donzella il pudore, al ricco la pietà, al povero la rassegnazione, a tutti il sentimento cristiano, la vita soprannaturale, e con essa ogni conforto nel presente, ogni speranza nell’avvenire; inestimabili tesori comperati al prezzo del sangue di un Dio, e deposti col Battesimo nel cuore del cristiano.
XVIII.
E che sia cosi, il fatto non può revocarsi in dubbio. Agli ottimisti più dichiarati esso rivelasi per lo straripamento della vita materiale. Come ai tempi che precedendo il diluvio, l’uomo del nostro secolo, perduta la vita dello spirito è fatto carne, ed i movimenti del suo cuore invece di sollevarsi in alto, vanno abbassandosi. Soggiogare la materia, sorprendere i segreti della materia, manipolare e trasfigurar la materia, glorificarsi nella materia; consumar tutta la vita nei godimenti della materia; nulla vedere, nulla desiderare e nulla ammettere fuori della materia; sprezzare, deridere, calunniare, perseguitare coloro che gli propongono altra cosa che la materia: ecco 1’uomo qual è fatto dai ladroni della verità. – A tutti questi ladroni mille volte più rei di quelli che forzano gli scrigni, il secolo decimonono lascia libero il campo. Essi sono i suoi veri figli, e s’ispirano del suo spirito e realizzano il suo pensiero. Al punto di vista morale egualmente che al punto di vista materiale, dire che il secolo decimonono è un ladro, ed un gran ladre, non è dunque un calunniarlo.
XIX.
2.° Il dir poi che esso deve pentirsi, e pentirsi al più presto, è un indicargli la sola via di salute che gli rimanga. — Ripetere che la situazione dell’Europa è grave, estremamente grave; che la presente società è malata e seriamente malata; che nell’antico mondo, come nel nuovo, fermentano elementi di dissoluzione universale: egli è questo un esprimere delle verità triviali; tanto son esse ora conosciute. Indarno i piaggiatori non cessano di cullare colle loro lodi il secolo decimonono. « La tua educazione è perfetta, gli dicono, e tu hai bene di che vantarti al paragone dei secoli precedenti. Tu sei abbastanza forte per avanzarti nella via del progresso. Giammai non fu il mondo più illuminato, più libero e prosperoso. Giammai le grandi nazioni dell’Europa non furono governate con maggior sapienza, e maggior gloria. Le agitazioni che provi, non sono che superficiali: nè mai l’edifìcio sociale riposò sopra più solide basi. » – Ma il secolo decimonono non è perciò completamente rassicurato. Un segreto istinto lo avverte, non essere egli nell’ordine, e tutto ciò che è fuor dell’ordine non può durare. L’ordine porta seco la pace, e la pace non si trova in alcun luogo. Vero è che in questo momento tutte le parole dei re suonano pace; ma tutte le loro braccia fanno apparecchi di guerra. Per ogni dove da un giorno all’ altro la guerra minaccia di venire ai fatti. Di qui ha origine quel sentimento sconosciuto nelle epoche regolarmente costituite, la paura. – Il secolo decimonono prende di assalto città stimate inespugnabili; ed ha paura. Con un pugno di soldati riporta lontane e strepitose vittorie su potenti nemici; ed ha paura. Sei milioni di baionette vegliano a rassicurarlo; ed ha paura. Esso domina gli elementi, sopprime le distanze, moltiplica le meraviglie della sua industria; ed ha paura. L’oro cola in gran copia dalle sue mani; nei suoi vestimenti la seta ha preso luogo della rustica stoffa di lana; la natura tutta quanta è fatta tributaria del suo lusso; la sua vita è somigliante al festino di Baldassarre; ed ha paura. Le nazioni temono delle nazioni: i re dei popoli: i popoli dei re. La società ha paura del presente ed ancora più dell’avvenire: e troppo generale è questo sentimento per non dover essere ben fondato.
XX.
Perché mai il secolo decimonono ha tanta paura? Noi lo abbiamo già detto: egli è perché sente bene di non essere nell’ordine. E perché non è esso nell’ordine? Perché è reo di peccato, e di gravissimo peccato. Il suo capitale delitto è quello di essere in piena insurrezione contro Dio, re e legislatore supremo, e contro la Chiesa depositaria dei diritti di Dio, ed organo delle sue volontà. – « Dappoiché non vogliono conciliarsi collo spirito che mi anima, né accettare un ordine sociale che mi è a grado, né approvare la libertà, la civiltà, il progresso, com’io l’intendo, Iddio e la Chiesa facciano i fatti loro; io più non voglio che su di me abbiano influenza ed impero. Io saprò ben vivere e prosperare senza di essi, lungi da essi e, loro malgrado: Nolumus hunc regnare super nos. » Tal’è senza che si possa negare, il grido d’insensata ribellione, che tutte riassume le generali aspirazioni del secolo decimonono. Noi la diciamo insensata e ben a ragione. Questo secolo pretende di vivere e prosperare volgendo le spalle al Cristianesimo ed alla Chiesa. Ma tra associati, la separazione esige la liquidazione. Che dunque il Cristianesimo e la Chiesa riprendano, e ne hanno bene di diritto, tutto quello che han dato al secolo decimonono, e che gli danno tutto giorno e a tutte le ore, di lumi, di credenze, di costumi, di principii sociali, di libertà, di utili istituzioni, di rispetto al principio di autorità e di proprietà; e vedremo quello che rimarrà al secolo decimonono. La insurrezione dell’uomo intanto non vale a detronizzare Iddio. L’orgoglio di un vermicciolo non istrappa la folgore dalla mano dell’Onnipotente. Come la calamita attira il ferro, così il peccato attira il castigo. Checché si faccia per divagarsi e vivere spensierato, il secolo decimonono comprende una tale inesorabile attrazione; e quindi è che ha paura. Come mai sottrarsi al castigo e sostituire la fiducia alla paura? Per trovare la soluzione del definitivo problema, mille pensatori si affaticano e studiano. Ogni giorno gli uomini di differenti partiti recano il loro progetto di scampo e di salvezza. Gli uni si fan campioni dell’assolutismo, e combattono la democrazia ed il sistema costituzionale. Gli altri esaltano la pura democrazia, e mostrano i pericoli dell’ assolutismo, e l’inefficacia del regime costituzionale. Molti levano alle stelle il regime costituzionale, ed hanno in orrore la democrazia al pari dell’assolutismo. E quei che sono indifferenti sulla forma dei governi, si confidano di rigenerare l’Europa, per virtù dell’industria, della pubblica istruzione e della materiale prosperità. – Quindi a mille a mille le teorie economiche, politiche e sociali; ed assolute affermazioni, e negazioni assolute. Quindi molte e nobili intelligenze che consumano le loro forze in una sterile agitazione. Quindi insomma, quella gran guerra dell’ignoranza, – Magnum inscientiæ bellum, di cui dice la Scrittura, che non lascia nelle anime se non dubbi, stanchezza e sconforto, e nelle società vani conati, e prove, e riprove eterne. Babele certamente non fu teatro di una maggiore confusione d’idee e di linguaggio. Il secolo decimonono ha dato ragione a tutte le opinioni. L’una dopo l’altra ha fatto saggio di tutte le svariate forme di governo. L’industria è divenuta la sua vita, l’istruzione la sua più sollecita cura, il benessere materiale il suo Nome; ma non perciò è guarito.
XXI
Dopo tante inutili esperienze, tante contraddittorie soluzioni, il cattolico osa pur esso proporre la sua, e perché non usare anch’egli di un diritto che ognuno si arroga? Per lui non è questo solamente un diritto, ma un dovere, poiché nel comune pericolo ogni uomo è soldato. A differenza di tutte le altre, la soluzione del cattolico non è un palliativo, nè un’utopia. Non è il parto di una mente umana, ma è proposta da Quello stesso, che fece sanabili tutte le nazioni. Essa è unica, e Iddio non ne conosce altra. Essa è quella, che da sei mila anni invariabilmente propone alle genti, trascinate all’orlo del precipizio dalle loro iniquità. Tutte le volte che essa fu abbracciata, i problemi sociali più complicati e difficili furono risoluti all’istante; svanirono i pericoli, restaurato fu l’ordine, e la pace tornò a discendere sulla terra. Essa è forzata, perché radicale: ed è radicale perché sola ripone ogni cosa al suo posto: Dìo in alto e l’ uomo a basso. Né è soltanto radicale. Legislatore e padre, Iddio volle che fosse pur facile, e la espresse in una sola parola: PENTIMENTO.
XXII.
Se dunque il secolo decimonono riconoscendo di aver forviato, risolve di rientrare nel buon sentiero e pentirsi, ei sarà salvo; altrimenti no; mille volte no. E si prenda ben sul serio la cosa; non si tratta qui, come diranno sicuramente certuni, di una soluzione mistica, totalmente estranea alla scienza politica e sociale, e conseguentemente di una soluzione di poca importanza rispetto alle cose di questo mondo. In vero così la discorrono coloro che han nome di sapienti, ma che non hanno la scienza, la quale procede dalla verità e conduce alla verità èVani enim sani omnes homines, in quibus non subest scientia Dei. Sap. XIII 1]: uomini presuntuosi che non dubitano di nulla perché non si accorgono di nulla, buoni soltanto a traviare i popoli colle loro utopie; e la cui vista, disse già s. Agostino, non va al di là del loro naso. Il vero si è che questa soluzione è talmente politica, talmente sociale, talmente decisiva nelle cose di questo mondo, che senza di essa tutte le soluzioni, tutti gli espedienti non han dato, né potranno dare mai alcun durevole risultato. Senza di essa, certamente potrete reprimere una sommossa come a Parigi nelle giornate di giugno 1848; ma ciò è reprimere una manifestazione della rivoluzione, ma non un vincere la rivoluzione. Potrete battere Garibaldi sulla via che conduce a Roma, come avvenne a Mentana nel 1867, ma questo è arrestare nella sua marcia un figlio della rivoluzione, non già vincere la rivoluzione. Come or ora fece il Corpo Legislativo Francese, potrete con un voto solenne confermare la conservazione di quel che rimane al santo Padre dell’antico suo stato; ma ciò è sospendere l’adempimento dei voti della rivoluzione, non un vincere la rivoluzione. Tutti questi atti ed altri della medesima specie son tanto meno vittorie, in quanto che i sedicenti nemici della rivoluzione cadono nella più manifesta contraddizione. Se eglino con una mano si oppongono alla rivoluzione, coll’altra le somministrano giornalmente novello vigore. E che altro mai si fa pubblicando e lasciando del continuo pubblicare, in tutte le lingue, le dottrine della rivoluzione in fatto di religione, di politica e di filosofia, non che di storia e di letteratura? Pretendete di tener saldo e conservare l’edificio, e lo lasciate minare! Volete raffrenare l’impeto del torrente, e ne accrescete le forze! Un fatto si distrugge con un altro; ma la rivoluzione non è un fatto. La rivoluzione è un principio, una potenza morale, un’idea: e le idee non si uccidono a colpi di fucile. Queste non possono esser vinte che da idee contrarie. L’idea rivoluzionaria è l’uomo in alto, e Dio in basso. Quindi la rivoluzione non sarà mai vinta, che quando si tornerà a riporre Dio in alto, e l’uomo in basso. E Dio non può essere posto in alto e l’uomo in basso che dal pentimento.
XXIII.
Giudichi imparzialmente di ciò lo stesso secolo decimonono. Alla presente situazione, sì piena di pericoli e d’incertezze, non v’hanno che due soluzioni, e due solamente, la rivoluzionaria e la cattolica. Nella sua ultima formula, la soluzione rivoluzionaria è il rovesciamento completo dell’ordine religioso e sociale stabilito dal Cristianesimo; rovesciamento seguito dalla barbarie assoluta, e quel che è peggio, dalla barbarie letterata, e forse dall’una e dall’altra: perocché sarà l’uomo posto in alto, e Dio in basso in tutte le cose. – Nella sua ultima formula, la soluzione cattolica è la restaurazione universale dell’ordine religioso e sociale; restaurazione seguita da un’ èra di pace e di prosperità, perocché sarà Dio ricollocato in alto e 1’uomo in basso. Ora il primo, indispensabile elemento della soluzione cattolica è il pentimento. Così, e solamente così possono essere risoluti, nell’interesse dei governanti e dei governati i minacciosi problemi che ci incalzano: tra questi ricorderemo solamente la gran questione del momento: la Questione Romana. Al punto in cui si trova attualmente la questione romana sfida la sagacia di tutti i diplomatici e di tutti i congressi. Ond’è che solo il pentimento delle nazioni può risolverla. Sol esso può far rientrare nelle anime dei re e dei popoli il sentimento protettore della debolezza oppressa, ed il religioso rispetto dell’altrui proprietà. Solo per conseguenza può esso emendare la commessa ingiustizia. Solo esso può, intorno agli stati della Chiesa resi al legittimo possessore, rialzare la barriera di venerazione e di amore, che sì lungo tempo conservò intero e tranquillo il dominio temporale della Santa Sede, e con la sovranità temporale assicurò la indipendenza necessaria all’oracolo del supremo capo della vera Chiesa di Dio. – Non bisogna farsi illusione; il voto pronunziato dalla nostra Camera Legislativa il 5 dicembre 1867 non risolve punto la questione romana. Esso non è che un primo passo nella buona via, e speriamo che non sia l’ultimo: altrimenti lo statu quo quale ci si promette, sarebbe sotto ogni aspetto, una cosa ben deplorabile. Dal punto di vista politico, sarebbe esso per la Francia una incancellabile vergogna. Con qual diritto gli Italiani si sono impadroniti delle più importanti provincie della Santa Sede? Calpestando la firma posta dalla Francia alle stipulazioni di Villafranca ed al trattato di Zurigo; stipulazioni e trattato che nel modo più solenne garantivano la inviolabile integrità degli Stati della Chiesa, e ciò che accresce la gravità dell’insulto la si è che nelle provincie usurpate si ritrova la dote, che la figlia primogenita della Chiesa, la Francia, ebbe già costituita alla sua Madre. – E la Francia, la quale non avrebbe che a parlare per essere obbedita, soffrirà senza far motto simili oltraggi? Ma allora che diventa il nostro onor nazionale? Chi mai vorrà fidarsi più della nostra parola? Rovinare una nazione nei suoi materiali interessi, è un danno che può ripararsi: rovinarla moralmente, egli è un fallo irreparabile. Dal punto di vista religioso, per una parte sarebbe lo stesso che consacrare l’ingiustizia, e sullo spoglio sacrilego dei due terzi del patrimonio Pontificio far valere l’iniqua teorica del fatto compiuto. E dall’altra parte ridurre il Sommo Pontefice al possesso del lembo di terra che gli rimane, sarebbe un condannarlo alla mendicità. Si vedrebbe, diciamolo pur francamente, l’applicazione del programma di quel libercolo di trista memoria: Il Papa ed il Congresso. Lo che sarebbe lasciare al Papa il Vaticano, il suo cameriere, il suo cuoco, ed il suo giardino con qualche jugero di terra di più. E che altro mai sarebbe questo se non proprio il trionfo della rivoluzione? Si passino pure in rivista tutte le questioni di un ordine più o meno elevato, che or tengono l’Europa in una irrimediabile agitazione, e si arriverà sempre alla medesima necessaria, inevitabile soluzione; il pentimento. Del rimanente tal’è, in diversi termini, l’assioma di geometria sociale, contenuto nel famoso detto: La rivoluzione incominciala con la proclamazione dei diritti dell’uomo, non finirà che con la restaurazione dei diritti di Dio. Deh! possa finalmente il secolo decimonono prender sul serio il suo partito; e chiudendo l’orecchio a chi vuole addormentarlo adulandolo, ed agli utopisti che lo fan traviare, provvedere alla propria salvezza, rientrando nelle condizioni di vitalità divinamente prescritte alle nazioni!
XXIV.
3.° – Il dire che può esso pentirsi, egli è un ridestare in lui la fiducia ed un incoraggiarne gli sforzi. – Qui si affaccia l’obbiezione prevista fin dal principio, e della quale, quanto altri, sentiamo tutta la forza. « Domandare che il secolo decimonono si penta, è un tentar l’impossibile; lo sperarlo sarebbe follia. La proposta soluzione altro dunque non è che un’utopia. » Una parola in risposta. Più volte nel corso della sua esistenza, il popolo Ebreo si pentì: si pentirono pur essi i Niniviti, e una gran parte del mondo pagano si pentì all’annunzio della verità evangelica: più tardi tutte le nazioni, venute successivamente alla fede, si pentirono. Perché dunque il secolo decimonono non potrebbe far ciò che tante altre generazioni han potuto? Gli mancano forse motivi e mezzi per compiere un atto sì salutare? Noi Io sappiamo purtroppo: ciò che ad esso manca è la volontà. Questa manca ai governanti ed ai governati: manca ai doviziosi e ai negozianti: manca alla maggior parte di coloro che formano lo spirito pubblico, scienziati, giornalisti, uomini di lettere; e manca alle masse, grossolanamente ignoranti, e stupidamente incredule. Pure mancherà essa lor sempre? Ben doloroso sarebbe il pensarlo. Fin qui senza dubbio, il decimonono secolo si è mostrato ribelle alla voce di Dio ed alla voce della Chiesa, che non si rimasero di chiamarlo al pentimento. A più riprese, la Chiesa gli ha parlato per bocca del più mansueto dei Pontefici; e Iddio gli ha pur esso parlato col doppio linguaggio dei benefici, e dei castighi. – Dopo l’eccezionale benefìcio di una pace di quarant’anni, di che esso non volle profittare, vennero eccitamenti di una specie diversa. Per non farne una lunga enumerazione, l’anno scorso (ciò che non era mai avvenuto) tutti i flagelli di Dio ad una volta piombarono sul mondo. La peste negli uomini e negli animali; la misteriosa malattia delle uve, dei pomi di terra, della canna di zucchero e dei vegetali; la fame, la guerra, i terremoti; lo straripamento dei fiumi, e la invasione degli insetti voraci. Fuvvi giammai avvertimento più chiaro e più solenne?
XXV.
Malgrado l’immenso danno, il pubblico benessere non fu seriamente alterato, ed il secolo decimonono, rimasto sordo alla voce della Provvidenza, nulla ha cangiato nelle sue sciagurate abitudini; ma non è esausto il calice dell’ira divina. Fino a che non fu colpito dalla giustizia umana, istrumento della giustizia divina, il Ladrone del Calvario proseguì la sua vita di delitti e di brigantaggio; egli non pensava a pentirsi. Ma inchiodato che fu sulla croce, fu tu tt’altro. Nelle strette del dolore, ed in faccia alla morte, torno in sé; ascoltò la sua coscienza, si pentì, e fu salvo. Lasciate che l’angelo della giustizia versi fino alla feccia sul mondo ribelle il calice dell’ira divina. Senza un pronto pentimento, come quello di Ninive, quel calice sarà senza fallo versato. Tal si raccoglie qual si semina: e sì nell’ordine morale, come nel fìsico, questa legge è del pari inflessibile. Allorché dunque pel secolo decimonono sarà venuto il momento di raccogliere quel che ha seminato di dottrine sovversive intorno alla religione, alla società, alla proprietà, alla famiglia; e seminato a piene mani ogni giorno su tutta la faccia dell’Europa, non ostante i gridi di allarme di tutti gli uomini sensati, verranno allora i mietitori, e saranno quali si fecero. Sciami di selvaggi civilizzati, che arruolati in mille tenebrose sètte, si mostreranno in pieno giorno, e faran sentire al mondo spaventato ciò che siano le moltitudini ammaestrate a non creder nulla, fuorché alle disordinate passioni. – Infiammati di un odio senza freno e lungamente contenuto, i novelli barbari faranno quel che già fecero i barbari di altra età. Strumenti della divina giustizia, come già Nabucco a Gerusalemme, Attila nelle Gallie, Genserico a Roma, quando avranno compita la loro trista missione, incendiato, saccheggiato, massacrato e dispersa questa civiltà corrotta e corruttrice, che il mondo cristiano affascina e desola, come desolò già il mondo pagano; quando finalmente oppresso dal socialismo e dalla barbarie, il secolo decimonono sarà stremato di forze e di coraggio, allora, ci giova sperarlo, griderà: Misericordia! Esso imiterà il modello che la divina provvidenza pare aver fatto per lui, e del quale quest’opera gli richiama la consolante memoria. A solo fine di rialzar l’animo depresso dei più disperati peccatori e dei più corrotti secoli (dicono i padri della Chiesa), il Redentore del mondo volle coronare la sua vita con questo splendido esempio di misericordia.
XXVI.
E perché il secolo decimonono non vorrà farne suo pro? La scuola della sventura è per eccellenza la scuola della virtù e del ravvedimento. Non con altro mezzo che con la croce il Figlio di Dio ha salvato il mondo, e sulla croce soltanto si salvano le anime e i popoli. Senza dubbio il nostro secolo è un gran peccatore, e quel che è peggio un peccatore indurito. Ma se la voce delle sue iniquità grida vendetta, vi ha un’altra voce che grida misericordia: e come Iddio vuol perdonare, sempre avviene così. E qual’è mai la voce che domanda grazia pel secolo decimonono? La è la voce delle opere cattoliche per ogni dove moltiplicate, per ogni dove animate di novella attività; pie associazioni di carità, pellegrinaggi pubblici, ordini religiosi, apostolato della donna, propagazione della fede e missioni alle più remote parti del mondo. Ella è la voce di tutta quanta la Chiesa, che proclamando il domma dell’Immacolata Concezione di Maria, obbliga in certo modo la Regina degli Angeli a far prova della sua gran potenza; la Madre delle misericordie a disarmare lo sdegno di Dio; l’Èva novella a schiacciare anche una volta la testa del serpente. Ella è la voce degli eroici sacrifici, lo spettacolo dei quali impone l’ammirazione, e rivela tesori dj fede, riposti in cuori di venti anni. La è la voce del sangue il più puro generosamente versato per la causa di Dio e della Chiesa. La è la voce della lunga agonia dell’immortale Pio IX calunniato, tradito, spogliato e perseguitato come il suo divino maestro, e mansueto come Lui. – E chi può dire quanto pesino sulle divine bilance tante lacrime, tante preghiere, tante elemosine, tanti sacrifici, tante opere sante generosamente effettuale, e tante sofferenze accettate con la coraggiosa rassegnazione dei martiri? Quel che noi sappiamo si è che in questo solamente è fondata la speranza del secolo decimonono.
XXVII.
Gli verrà obbiettato. « L’opera vostra non conseguirà il suo intento. Il secolo decimonono è un essere collettivo. P arlare ad esso è parlare a tutti in generale: e parlare a tutti in generale, egli è lo stesso che non parlare ad alcuno. Predicazione nel deserto, vano rumore di cembalo risonante, tal sarà la vostra parola. Che val dunque cotesto libro? Quale importanza può avere? In un secolo come il nostro, dove mai troverà lettori? »
XXVIII.
A che val questo libro? Senza dubbio il secolo decimonono è un essere collettivo; ma l’essere collettivo si compone d’individualità. E queste hanno orecchie per sentire, una coscienza per giudicare, e mente e cuore per volere. Arrivando ad esse la parola, indirizzata a tutti, si individua e può diventare efficace. Del rimanente, tal è la condizione di ogni parola pubblica, scritta o parlata; e potrà dirsi che sia del tutto inutile? Oggi pure, come sempre, la parola è quella che governa il mondo.
XXIX
Riflettiamo poi che per esercitare una potente influenza, non è necessario che la parola s’impadronisca di tutti, e neppur di un gran numero al tempo stesso. – Nel bene, come nel male, le rivoluzioni furono sempre il fatto delle minorità. Dodici apostoli rivoluzionarono il mondo. In ciascuno dei diciotto secoli trascorsi si son veduti poveri Missionari levare in rivoluzione cristianamente intere popolazioni. Il medesimo avviene delle rivoluzioni in senso opposto. Anche oggidì, qualunque sia la grandezza del male, datemi dodici Re, sinceramente convertiti come uomini e come Re; meno ancora; quanti giusti si richiedevano per salvar Sodoma; e non dubitate, avverranno cose maravigliose. Oltre la naturale tendenza ad imitare i grandi, i popoli del secolo decimonono, bisogna render loro questa giustizia, son malvagi meno dei loro governi.
XXX.
« Ma i Re non si convertiranno. In luogo di farsi e chiamarsi, come Costantino, Vescovi al di fuori o come Carlo Magno, i Servitori di Gesù Cristo e i Sergenti della Chiesa, dimenticheranno sempre più a quali condizioni venne lor confidato il potere. Perdendo affatto l’istinto della propria conservazione, eglino e i popoli andranno incontro a inevitabili catastrofi. A che dunque gioverà questo libro? » – Nel pubblicar questa storia, noi prendemmo di mira il bene generale ed il bene particolare. Inutile, a vostro giudizio, pel primo fine, lo sarà pure del tutto pel secondo? Indicare il solo rimedio ai mali che tanto ci gravano, e alle calamità che ne minacciano; eccitare lo zelo di alcune sante vittime le cui lacrime ed espiazioni possono far piegare dal lato della misericordia la divina bilancia: sarà dunque nulla? Far conoscere in tutte le sue parti una meraviglia incomparabilmente più bella che tutti i capo-lavori dell’Esposizione universale: sarà dunque nulla? – « Se è egli ben fatto, dice la Scrittura, di tener nascosti i segreti dei Re, è cosa lodevole di rivelare e annunziare le opere di Dio. » [Tob., XII, 7]. – Or tra tutti i prodigi della sua destra, havvene uno che sia tanto degno di esser tramandato di generazione in generazione, e conosciuto fino all’estremità della terra, quanto quello della conversione del Buon Ladrone? Trarre il mondo dal nulla con una parola, egli è un miracolo dell’Onnipotenza. Con altra parola far di una pietra un figlio di Abramo, egli è un miracolo più grande ancora. Ma di un veterano del delitto, di un masnadiero già sospeso al patibolo, sul quale espia tutta una vita di furti e di opere di sangue, farne in men ch’io noi dico, un Apostolo, un evangelista, un santo canonizzato ancor vivo, è tale un prodigio che tuttii secoli non videro il simile, e che nel suo genere supera tutti gli altri.
XXXI.
« Qual’ importanza può egli aver questo libro? » Non tutti quelli che san leggere sono associati ai perniciosi giornali, grandi o piccoli, né fan loro pasto dei romanzi. Se un troppo gran numero si contenta di mangiar paglia e fieno, ven’ha, grazie al cielo, pur molti di quelli, che conservano gusti più puri, e che vogliono un nutrimento più sano. Sarà forse senza importanza offrire ad essi un alimento, che risponda ai loro nobili istinti? Sarà senza importanza forse soddisfare una legittima curiosità, rilevando delle circostanze, il cui interesse è proporzionato alla grandezza eccezionale del fatto a cui si attengono? Sarà egli senza importanza, specialmente oggigiorno, mantenere o risvegliare nelle anime i sentimenti che le nobilitano e le santificano: l’ammirazione, la confidenza, l’amore? E non solamente risvegliarli, ma con lo spettacolo di un sublime modello, elevarli al più alto grado di potenza? Sarà senza interesse per tante vittime dello scoraggiamento e della disperazione, trovare nel buon Ladrone la risposta perentoria ai loro dubbi, la calma delle loro agitazioni di spirito, la guarigione dei loro sinistri pensieri, ed una protezione potente presso il Padre delle misericordie?
XXXII.
« In un secolo come il nostro, dove troverà esso lettori? » Egli è pur troppo vero, che il secolo decimonono, più che ogni altro, è affascinato dalla vanità delle cose mondane e periture. Ciò nondimeno si contano ancora nobili intelligenze e dei nobili cuori, i quali vivono altra vita che quella dei sensi. A motivo appunto dell’atmosfera di piombo, che col suo peso li soffoca, queste anime sentono più costante e più vivo il bisogno di respirare un aer puro, di conoscere ed ammirare tutt’altra cosa che la materia e le sue manipolazioni, di sperare ed amare ben altra cosa che pane e sensuali soddisfazioni. E tali saranno i lettori di questo libro.
XXXIII.
Il fatto cui n arra ha luogo nelle regioni superiori del mondo morale, del quale fa rilevare le sorprendenti realtà. Due elementi prodigiosamente combinati l’hanno prodotto: la grazia di Dio nella pienezza della sua efficacia e nella rapidità della sua azione; e la cooperazione dell’uomo in tutta l’energia della sua fede. Contemplandolo, abbiamo sotto gli occhi uno spettacolo che rende l’anima estatica e ne esalta l’ammirazione. Sommariamente ricordato nell’Evangelio, questo fatto unico e più bello a considerarsi che la stessa creazione del mondo, fu accompagnato da circostanze generalmente poco conosciute e nondimeno, per più rapporti, di un serio interesse. Queste da un canto aprono dei nuovi orizzonti allo studio dell’antichità; dall’altro canto, rannodando la storia sacra alla profana, rischiarano il sacro testo, raffermano la fede del cristiano, e danno una smentita di più a chi non presta piena fede al racconto evangelico. Il metterle in rilievo è, fra gli altri, intento di quest’opera.
XXXIV.
Ingolfarsi nelle cose materiali, e per naturale conseguenza, la ignoranza del mondo morale, delle sue leggi e delle sue magnificenze, non è la sola piaga del1’epoca nostra. Altre ve ne hanno vive non meno, e che di giorno in giorno tendono a dilatarsi: e da queste non son esenti gli stessi cristiani. Per gli uni parliamo dell’indebolimento della fede; per gli altri del manco di fiducia nella misericordia di Dio. – Questa fede, la quale se raggiungesse la grandezza di un granello di senapa varrebbe a traslocar le montagne; questa fede che nella persona dei primi cristiani vinse l’intero mondo, e nei loro discendenti potrebbe rigenerarlo; questa fede che dà ali alla preghiera, la conduce fino al trono di Dio, e ve la mantiene fino a che l’Altissimo l’abbia esaudita; fede che in ogni tempo ha operato un sì gran numero di strepitose conversioni, ed ottenuto contro ogni speranza, tanti insigni favori, questa fede, nelle grandi masse, va pur troppo visibilmente mancando.
XXXV.
Ora come ravvivarla? Col mezzo di grandi e luminosi esempi, « Come il fuoco, dice un antico autore, non è mai così necessario quanto nel rigore dei più gelidi inverni; così gli esempi di grandi e luminose virtù non son mai più utili ed opportuni, che quando il mondo è pieno di grandi vizi. Ed ancorché questi esempi non siano di persone viventi, ma di già morte da tanti secoli; ciò nondimeno, come le reliquie dei loro corpi, benché ridotti in polvere, hanno ancora una virtù divina da far miracoli, e le loro stesse immagini valgono talvolta, per la divina grazia, ad operare la conversione dei peccatori; così la storia della loro vita è una delle più preziose reliquie che di loro ci rimangono, e l’immagine della bellezza della loro anima, la quale è immortale, può ben tirare le benedizioni del Signore nello spirito e nel cuore dei lettori, per la virtù che lo Spirito Santo ha impressa in quelle antiche e mirabili fatture della sua grazia, e per la potenza dell’intercessione di quei gran santi a pro di coloro che li invocano leggendo la loro vita. E queste parole non bastano a dimostrare l’utilità della storia del buon Ladrone? Se havvi un più grande esempio di fede e di tutti gli effetti della sincera fede; l’amor di Dio, il disprezzo del rispetto umano, il coraggio a tutta prova, certo i Padri della Chiesa nol conobbero. E farlo rivivere, non è forse apprestare un rimedio di grande efficacia ad una delle più gravi infermità del secolo nostro?
XXXVI.
Veniamo alla diffidenza della misericordia di Dio. Questa infelice disposizione, che in molte anime altronde fedeli costituisce come il fondo della lor vita, ne forma anche il tormento e il pericolo. Vedendo in Dio più un giudice severo che un padre misericordioso, essa fa trovar duro e pesante un giogo dall’istesso Nostro Signore dichiarato soave e leggero; offusca la pietà, frange l’energia del bene, e ingenera il tedio e lo scoraggiamento. – Ben fortunate le sue vittime se non le conduce alla finale disperazione dopo aver abbandonato il freno a tutte le loro passioni. O non è dessa sanabile, o la guarigione di questa terribile malattia è nella storia che noi prendiamo a narrare. Dopo aver veduto spalancarsi la porta del cielo ad un ladro insigne, chi potrebbe più disperare? Quis hic desperet, sperante ladrone!
XXXVII
A coloro poi che sotto qualsiasi forma di condotta avessero avuto la disgrazia d’imitarne la vita, il Buon Ladrone insegna imitarlo nella sua morte. – Sia pur gravata di delitti e d’iniquità la vostra coscienza (egli lor dice) e presso al termine la vostra vita, un istante di sincero pentimento basta per chiudervi le porte dell’inferno ed aprirvi quelle del cielo. Ricordatevi soltanto che Quegli che ha promesso il perdono, non ha già promesso il domani. Profittate adunque dei giorno che ancor vi rimane. Bentosto verrà la notte e non avrete più tempo a pentirvi. » – L’istoria del Buon Ladrone non è solamente un incoraggiamento per i più gran peccatori, ma è pur anche un punto di appoggio pel sacerdote, il quale è chiamato ad assistere al peccatore moribondo negli Ergastoli, nelle Prigioni, negli Ospedali, nel tugurio del povero, e troppo spesso ancora nel palazzo del ricco. Quanto mai gli bisogna contare sui tesori dell’infinita misericordia di Dio! Potrà egli vederla brillare di una luce più rassicurante, che nella conversione di Disma crocifisso? Render popolare questa mirabile conversione, egli è un secondare i disegni pietosi del Padre delle misericordie, del Dio d’ogni consolazione. Egli è un prevenire la disperazione, non già un incoraggiare al male; perocché sul Calvario, presso la Croce a destra v’è pur la croce a sinistra. Egli è uno stimolo non già al disprezzo, ma all’amore di un Dio, la cui paterna bontà, come la giustizia, confonde la ragione umana. Possa quest’opera contribuire a formare in coloro che la leggeranno, disposizioni conformi alle intenzioni mille volte adorabili di Colui che venne a cercare e salvare, senz’alcuna eccezione, quei che si erano perduti. « Venit enim Filius hominis quærere et salvum facere quod perierat [Luc. XIX, 10] ».