IMPUGNARE LA VERITA’ CONOSCIUTA

Questo è il più grave peccato della nostra epoca!

Il Signore stesso ci ha fatto sapere che il peccato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato né in cielo né in terra, e la storia ce ne ha dato e ce ne da continuamente conferma: si pensi alla fine dell’impero di Oriente e di Costantinopoli massacrata e cancellata come entità cristiana dall’invasione dei barbari islamici; alla fine dei popoli dell’est che hanno negato e negano ancora il “filioque” Cattolico, ai maroniti e copti ortodossi [oggi assaliti in Egitto, Siria, Iraq etc. dalla solita barbarie islamica]. Ma certamente il nostro Occidente, una volta cristiano, non sta messo molto meglio, perché in quanto a verità impugnate, non è secondo a nessuno e non ha nulla da imparare da chicchessia dal 1958 in poi, basti pensare ai dogmi sempre creduti che dal conciliabolo roncalli-montiniano sono calpestati allegramente dallo sterco e dal letame modernista, apparentemente diviso tra sedevacantismo e progressismo conciliarista, le due corna ramificate del baphomet lucifero! Quindi anche all’Occidente, se i conti tornano considerando la parola di Cristo-Dio e gli avvenimenti storici passati e recenti, sarà riservata la sorte annunziata nei santi Vangeli. – In allerta ci aveva messo anche, con la sua spirituale statura, un santo profeta dei tempi appena passati: San Luigi Grignion de Montfort, che nella sua “Preghiera infuocata” ci descrive nei dettagli i giorni nostri così: “ … La divina legge è trasgredita, il vostro Vangelo abbandonato, i torrenti di iniquità inondano sulla terra e travolgono perfino i vostri servi. Tutta la terra si trova in uno stato deplorevole, l’empietà regna sovrana; il vostro santuario è profanato e l’abominio è fin nel luogo santo”; che sintesi perfetta, lascia senza parole! – È quanto ci conviene meditare in questi giorni dell’ottava di Pentecoste. Proponiamo a questo proposito la rilettura dell’ultima parte di una meravigliosa lettera Enciclica di S. S. Leone XIII, ove questo concetto viene ribadito dall’autorevolezza del Vicario di Cristo … anche questa oggi contestata come dogma di fede.

Da “Divinum illud munus” Enciclica di Leone XIII del 9 maggio, 1897: “… Noi dobbiamo amare lo Spirito Santo, ed è questa l’altra cosa che vi raccomandiamo, perché lo Spirito Santo è Dio, e noi dobbiamo “amare il Signore Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze nostre” (Dt VI,5), e poi Egli è il sostanziale, eterno e primo Amore, e non vi è cosa più amabile dell’amore; tanto più poi dobbiamo amarLo, per gli immensi benefici ricevuti, i quali se sono da una parte testimonianza dell’affetto di chi li fa, sono dall’altra richieste di gratitudine da chi li riceve. E questo amore reca due non piccoli vantaggi. Anzitutto ci spinge ad acquistare una conoscenza sempre più chiara dello Spirito Santo, perché “chi ama – come dice l’Angelico – non è contento di una qualunque notizia dell’amato, ma si sforza di penetrare nelle cose sue più intime, come è scritto dello Spirito Santo che, essendo l’Amore di Dio, scruta le cose divine anche più profonde”. L’altro vantaggio è di aprire sempre più largamente l’abbondanza dei suoi doni, perché come la freddezza chiude la mano del donatore, così al contrario la riconoscenza l’allarga. Perciò soprattutto è necessario che tale amore non consista solo in aride speculazioni e in ossequi esteriori, ma dev’essere operoso, fuggendo il peccato, con cui si fa allo Spirito Santo un torto speciale, giacché quanto noi siamo e abbiamo, tutto è dono della divina bontà, che viene attribuita soprattutto allo Spirito Santo; orbene il peccatore l’offende mentre è beneficato, abusa per offenderLo dei doni ricevuti, e perché Egli è buono, prende ardire a moltiplicare le colpe. – Di più, essendo lo Spirito Santo Spirito di verità, se qualcuno manca o per debolezza o per ignoranza, troverà forse scusa davanti al tribunale di Dio, ma chi per malizia impugna la verità, fa un affronto gravissimo allo Spirito Santo. E tal peccato è adesso sì frequente, che sembrano giunti quei tempi infelicissimi, descritti da Paolo, nei quali gli uomini per giustissimo giudizio di Dio accecati, avrebbero tenuta la falsità per verità e avrebbero creduto al “principe di questo mondo”, al demonio bugiardo e padre di menzogna, come a maestro di verità: “Insinuerà Dio fra essi lo spirito dell’errore perché credano alla menzogna” (2Ts II,10), e “molti negli ultimi tempi abbandoneranno la fede per credere agli spiriti dell’errore e alle dottrine dei demoni” (1Tm IV,1). [cioè il Sedevacantismo ed il “Novus ordo” –ndr.-] – Ma poiché lo Spirito Santo abita in noi, quasi in suo tempio, come sopra abbiamo detto, ripetiamo con l’Apostolo: “Non vogliate contristare lo Spirito Santo di Dio, che vi ha consacrati” (Ef. IV,30). E per questo non basta fuggire tutto ciò che è immondo, ma di più il cristiano deve risplendere per ogni virtù, soprattutto della purezza e della santità, per non disgustare un Ospite sì grande, giacché la mondezza e la santità si convengono al tempio. Quindi lo stesso Apostolo grida; “Non sapete che voi siete tempio di Dio e lo Spirito di Dio abita in voi? Se alcuno oserà profanare il tempio di Dio, sarà maledetto da Dio; infatti santo dev’essere il tempio e voi siete questo tempio” (1Cor III, 16-17): minaccia tremenda, ma giustissima. – Infine dobbiamo pregare lo Spirito Santo, del quale abbiamo tutti grandissimo bisogno. Siamo poveri, fiacchi, tribolati, inclinati al male, ricorriamo dunque a Lui, che è fonte inesausta di luce, di fortezza, di consolazione, di grazia. E soprattutto dobbiamo chiederGli la remissione dei peccati, che ci è tanto necessaria, giacché “lo Spirito Santo è dono del Padre e del Figlio e i peccati vengono rimessi per mezzo dello Spirito Santo come per dono di Dio”, e la liturgia più chiaramente chiama lo Spirito Santo “remissione di tutti i peccati”. – Sulla maniera poi d’invocarLo, impariamo dalla Chiesa, che supplice si volge allo Spirito Santo e lo chiama coi titoli più cari: “Vieni, padre dei poveri, datore dei doni, luce dei cuori, consolatore perfetto, ospite dolce dell’anima, dolcissimo sollievo“: e lo scongiura che lavi, che sani, che irrori le nostre menti e i nostri cuori e conceda a quanti in Lui confidano il “virtù e premio“, “morte santa“, “gioia eterna“. Né si può dubitare che tali orazioni non siano ascoltate, mentre ci assicura che “Egli stesso prega per noi con gemiti inenarrabili” (Rm VIII, 26). Inoltre dobbiamo supplicarlo con fiducia e con costanza perché ogni giorno più ci illumini con la sua luce e ci infiammi della sua carità, disponendoci così per via di fede e di amore all’acquisto del premio eterno, perché Egli è “il pegno dell’eredità che ci è preparata” (Ef 1,14). – Ecco, venerabili fratelli, gli ammonimenti e le esortazioni Nostre intorno alla devozione verso lo Spirito Santo, e non dubitiamo affatto che apporteranno al popolo cristiano buoni frutti in considerazione principalmente della vostra sollecitudine e diligenza. Certo non verrà mai meno l’opera Nostra in cosa di sì grave importanza, anzi intendiamo incoraggiare questo slancio di pietà nei modi che giudicheremo più adatti al bisogno. Intanto, avendo Noi, due anni or sono, col breve Provida matris raccomandato ai Cattolici per la solennità di pentecoste alcune particolari preghiere per implorare il compimento della cristiana unità, Ci piace sulla stessa cosa adesso aggiungere qualche cosa di più. Decretiamo dunque e comandiamo che in tutto il mondo cattolico quest’anno e sempre in avvenire si premetta alla Pentecoste la novena in tutte le chiese parrocchiali e anche in altri templi e oratori, a giudizio degli ordinari. Concediamo l’indulgenza di sette anni e sette quarantene per ogni giorno a quelli che assisteranno alla novena e pregheranno secondo la Nostra intenzione, l’indulgenza plenaria poi o in un giorno della novena, o nella festa di Pentecoste o anche fra l’ottava, purché confessati e comunicati preghino secondo la Nostra intenzione. Vogliamo parimenti che di tali benefici godano anche quelli che, legittimamente impediti, non possono assistere alle dette pubbliche preghiere, anche in quei luoghi nei quali queste a giudizio dell’ordinario non possano farsi comodamente nel tempio, purché in privato facciano la novena e adempiano alle altre opere e condizioni prescritte. E Ci piace aggiungere dal tesoro della Chiesa che possano lucrare di nuovo l’una e l’altra indulgenza tutti coloro che in pubblico o in privato rinnovano secondo la propria devozione alcune preghiere allo Spirito Santo ogni giorno durante l’ottava di pentecoste sino alla festa della santissima Trinità inclusa, purché soddisfino alle altre condizioni sopra ingiunte. Tutte queste indulgenze sono applicabili anche alle anime sante del purgatorio. – E ora il Nostro pensiero ritorna a ciò che dicemmo in principio per affrettarne dal divino Spirito con incessanti preghiere l’adempimento. Unite, dunque, venerabili fratelli, alle Nostre preghiere anche le vostre, anche quelle di tutti i fedeli, interponendo la mediazione potente e accettissima della beatissima Vergine. Voi ben sapete quali relazioni intime e ineffabili corrano tra Lei e lo Spirito Santo, essendone la Sposa Immacolata. – La Vergine con la sua preghiera molto cooperò sia al mistero dell’Incarnazione sia all’avvento dello Spirito Santo sopra gli Apostoli. Continui Ella dunque ad avvalorare col suo patrocinio le Nostre comuni preghiere, affinché si rinnovino in mezzo alle afflitte nazioni i divini prodigi dello Spirito Santo, celebrati già da Davide: “Manderai il tuo Spirito e saranno create e rinnovellerai la faccia della terra” (Sal CIII,30). –

[i grassetti sono redazionali].

OMELIA DI PENTECOSTE DI S.S. GREGORIO XVII

 

OMELIA DI PENTECOSTE DI S.S. GREGORIO XVII

[che gli a-cattolici eretici e scismatici si ostinano a chiamare Cardinal G. Siri]

PENTECOSTE – S. Messa (1979)

Il testo evangelico (Gv XX, 19-23), che ci riporta al giorno stesso della Risurrezione del Signore, narra un’anticipazione della Pentecoste: parla di una prima diretta effusione dello Spirito Santo sugli Apostoli per dare ad essi il potere di rimettere i peccati. Ma il vero oggetto di questa, che è tra le massime solennità della Chiesa, la Pentecoste, è narrato nella prima lettura tolta dal 2° capitolo degli Atti degli Apostoli (vv. 1-11). Quello è l’oggetto, e su quello io invito voi a convergere le vostre riflessioni. – Il fatto della Pentecoste è grandioso, solenne, stupendo; riecheggia, ma in forma più dolce, la grande manifestazione del Sinai accaduta molti secoli prima per la promulgazione del Decalogo (cfr. Es XIX). Questa seconda promulgazione di tutto l’operato di Cristo, già ormai compiuto, ha un carattere più dolce, più amabile, adattandosi al tenore che la Provvidenza ha assunto nel Nuovo Testamento. Ora nel fatto della Pentecoste, oggetto della riflessione in questo giorno, bisogna distinguere alcune cose. La prima è il fatto esterno: il vento impetuoso che ha scosso le fondamenta della città; le fiammelle ardenti scese sul capo dei singoli che erano nel Cenacolo, fatto grandioso; la presenza, anzi la presidenza – e voglio sottolinearlo – della Santissima Vergine, perché nel Cenacolo c’era Maria. Ad Ella non erano state date le chiavi di Pietro, ma stava al di sopra delle chiavi di Pietro ed era Ella, la Madre del Signore, in ragione della dignità e della Venerabilità del suo ufficio, a tenere almeno nell’onore la presidenza di quella piccola assemblea degnata di un tanto fatto divino, che riecheggiava l’antico Sinai. Ma di questo parlerò stasera dopo i vespri, non ora. – C’è una seconda cosa: la vera Pentecoste. Perché la vera effusione dello Spirito Santo non è stata né il vento, né le fiammelle, né il chiarore, niente; questo era semplicemente un involucro esterno per accompagnare ad uomini che capiscono tutte soltanto attraverso le cose materiali, accompagnare a loro e lasciare un’adeguata impressione l’effusione interna dello Spirito Santo. La vera Pentecoste non si vedeva. E la vera Pentecoste, quella alla quale sono partecipi tutti i fedeli fino alla fine del mondo, non si vedrà, se non in casi straordinari, mai. Ora, anche in questa Pentecoste interiore c’è da fare una distinzione, cioè quello che è stato dato agli Apostoli allora e che è dato anche a noi nel Battesimo, nella Cresima, in tutti i Sacramenti e in tutti gli atti soprannaturali che noi compiamo, e quello, invece, che è state caratteristico per gli Apostoli. Bisogna distinguere: anche noi entriamo nella Pentecoste, ma non come loro. Vediamo prima quello in cui entriamo anche noi nella Pentecoste. Essi avevano la Grazia divina, cioè quella dignità soprannaturale che rende quanto è possibile la creatura partecipe della stessa natura divina, che è radice per cui gli atti fatti in state di Grazia hanno tutti un valore eterno, oltre che soprannaturale: quella dignità per cui si diventa figli adottivi di Dio, non più soltanto servitori; quella dignità che innalza ontologicamente, obbiettivamente – non è cavalierato che sta tutto nella medaglia appesa sul petto-, è intima, interiore e tocca le sorgenti dell’essere e della vita, per cui siamo, vivendo in questo mondo, appartenenti ad un ordine e ad una famiglia divina. Quello l’avevano e l’abbiamo anche noi, se siamo in Grazia di Dio; vorrei sperare che in questa chiesa, in questo momento, non ci fosse nessuno che sia in disgrazia del Signore, perché avrei paura che qualche cosa venisse giù. Ma non è qui solo: c’era e c’è in noi quell’intervento continuo soprannaturale che si chiama Grazia attuale, per prevenire, accompagnare, dando luce, forza e costanza. Tutti gli atti buoni, che noi compiamo e che possono essere valevoli, anche indirettamente, all’eterna salute e al merito che avremo nella gloria di Dio, l’ebbero loro e li abbiamo noi. I doni dello Spirito Santo, che sono quell’intervento divino che appresta l’anima, la allena ad aprirsi alla Grazia di Dio comunque essa venga data e in qualunque misura essa venga data, l’ebbero loro, li abbiano noi. – Ricordiamocene qualche volta, non fosse altro per portare rispetto a quel tanto di divino che è in noi, al quale pensiamo così poco, al quale pensando forse troveremmo la forza di evadere dalle strettoie degli avvenimenti che ci sono imposti dalla cattiveria del mondo. – Ma veniamo a quello che era proprio degli Apostoli. Ecco, mi sforzerò di descriverlo come so, per deduzione, perché è grande e sfugge in se stesso alla nostra penetrazione; ci è chiaro negli effetti. Gli Apostoli ebbero intera e perfetta la carica apostolica per convertire il mondo. Vi prego di misurare questa carica: prima dubitosi, paurosi, facili a suggestioni in un senso e nell’altro; immediatamente campioni che affrontano tutti nel giorno stesso i capi del popolo, e parlano a tutto il popolo, non hanno più paura né delle beffe – e gliene hanno fatte quel giorno e di grosse – né di insulti né di interpretazioni né di minacce. Niente da quel giorno e poi sempre. Tutta la lettura degli Atti degli Apostoli, libro meraviglioso della luminosità divina della Chiesa, mostra quest’atteggiamento ben alieno dalla paura, dal complesso di timidità, con un coraggio immenso che ha affrontato tutto. Badate bene: hanno affrontato un mondo che era marcio e hanno incominciato ad affrontarlo nel Medio Oriente, che era la culla di tutto il marciume, senza paura, a fronte alta, soli, poveri, niente in mano per potersi cambiare gli abiti e mangiare; questo hanno percorso il mondo, e tutto quello che vediamo di cristiano oggi è stato loro, è la conseguenza di quello che hanno fatto loro. Non lo dico io, l’Apostolo lo dice: sono il fondamento loro e restano il fondamento. Se pensiamo che questi uomini per questa carica spirituale non solo hanno affrontato tutto, ma hanno abbandonato tutto – meno uno, Giovanni, è da credere che tutti avessero famiglia -: il paese, la loro lingua, le loro usanze! Hanno affrontato tutto, e i due più coraggiosi di tutti hanno affrontato Roma. La carica che ebbe Pietro in quel giorno non lo fece restare a porre la sua sede primaziale di tutto l’universo in Antiochia, che sarebbe stata comoda e abbastanza vicina tanto all’Oriente che all’Occidente. No, la carica lo ha portato a portare la sede in Roma, dove stava sedendo un mostro imperiale che si chiamava Nerone, sapendo che là l’avrebbero ucciso. Questa carica! Noi possiamo entrare nei meandri del nostro spirito e parlare del sentimento che deve essere stato investito da tutto, di tutto quello che emerge dal nostro subcosciente che raccoglie dal passa e quasi antevede il futuro, di tutti i meandri della psicologia: là dentro è entrato questo Spirito divino. Non so dirvi di più di questa carica. So dirvi solo quello che è successo dopo, e da quello che è successo dopo si misura la carica del momento. – Ci sono tante anime che nella loro Pentecoste una certa carica, non come quella, ma una certa carica la ricevono e, se la ricevono, se la tengano nell’umiltà e nel silenzio. Si ricordino che a presiedere il giorno della Pentecoste c’era la Vergine Madre del Signore, che, appena diventata tale, per prima cosa partì e andò servire sua cugina, vecchia e in procinto di dare alla 1uce Giovanni Battista, le cui reliquie stanno là. Ha cominciata così la Madre di Dio, che ha presieduto il giorno della Pentecoste, e si è ritirata nel silenzio, protetta dall’usbergo dell’Apostolo vergine Giovanni. L’ha seguito, e quello ha piegato la sua vita all’incarico avuto da Cristo in Croce di conservarla nel silenzio; e nel silenzio del mondo se ne è andata per lasciare il posto ai cori angelici. Non dimentichiamo: nella gloria della Pentecoste, al sommo di quella stupenda piccola assemblea, sta la Vergine Madre del Signore. Ma i1 Magnificat l’ha cantato lei una volta, ora per Lei lo cantiamo noi.

DOMENICA DI PENTECOSTE

Introitus

Sap 1:7. Spíritus Dómini replévit orbem terrárum, allelúja: et hoc quod cóntinet ómnia, sciéntiam habet vocis, allelúja, allelúja, allelúja [Lo Spirito del Signore riempie l’universo, allelúia: e abbraccia tutto, e ha conoscenza di ogni voce, allelúia, allelúia, allelúia].

Ps LXVII:2 Exsúrgat Deus, et dissipéntur inimíci ejus: et fúgiant, qui odérunt eum, a fácie ejus. [Sorga il Signore, e siano dispersi i suoi nemici: e coloro che lo òdiano fuggano dal suo cospetto]. V. Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto. R. Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, et in sæcula sæculórum. Amen

Spíritus Dómini replévit orbem terrárum, allelúja: et hoc quod cóntinet ómnia, sciéntiam habet vocis, allelúja, allelúja, allelúja [Lo Spirito del Signore riempie l’universo, allelúia: e abbraccia tutto, e ha conoscenza di ogni voce, allelúia, allelúia, allelúia].

Oratio

V. Dóminus vobíscum. R. Et cum spiritu tuo.

Orémus. Deus, qui hodiérna die corda fidélium Sancti Spíritus illustratióne docuísti: da nobis in eódem Spíritu recta sápere; et de ejus semper consolatióne gaudére.[O Dio, che in questo giorno hai ammaestrato i tuoi fedeli con la luce dello Spirito Santo, concédici di sentire correttamente nello stesso Spirito, e di godere sempre della sua consolazione.] Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate eiusdem Spiritus Sancti Deus, per omnia sæcula sæculorum. R. Amen.

Lectio

Léctio Actuum Apostolórum.

Acts II:1-11

“Cum compleréntur dies Pentecóstes, erant omnes discípuli pariter in eódem loco: et factus est repéente de coelo sonus, tamquam adveniéntis spíritus veheméntis: et replévit totam domum, ubi erant sedentes. Et apparuérunt illis dispertítæ linguæ tamquam ignis, sedítque supra síngulos eórum: et repléti sunt omnes Spíritu Sancto, et coepérunt loqui váriis linguis, prout Spíritus Sanctus dabat éloqui illis. Erant autem in Jerúsalem habitántes Judaei, viri religiósi ex omni natióne, quæ sub coelo est. Facta autem hac voce, convénit multitúdo, et mente confúsa est, quóniam audiébat unusquísque lingua sua illos loquéntes. Stupébant autem omnes et mirabántur, dicéntes: Nonne ecce omnes isti, qui loquúntur, Galilaei sunt? Et quómodo nos audívimus unusquísque linguam nostram, in qua nati sumus? Parthi et Medi et Ælamítæ et qui hábitant Mesopotámiam, Judaeam et Cappadóciam, Pontum et Asiam, Phrýgiam et Pamphýliam, Ægýptum et partes Líbyæ, quæ est circa Cyrénen, et ádvenæ Románi, Judaei quoque et Prosélyti, Cretes et Arabes: audívimus eos loquéntes nostris linguis magnália Dei.” [Giunto il giorno di Pentecoste, tutti i discepoli stavano insieme nello stesso luogo: e improvvisamente si sentí un suono, come di un violento colpo di vento: che riempí tutta la casa ove erano seduti. Ed apparvero loro delle lingue come di fuoco, che, divise, si posarono su ciascuno di essi, cosicché furono tutti ripieni di Spirito Santo e incominciarono a parlare in altre lingue, secondo che lo Spirito concedeva loro. Soggiornavano allora in Gerusalemme molti Giudei, uomini religiosi di tutte le nazioni della terra. A tale suono si radunò molta gente, e rimase attònita, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. E si stupivano tutti, e si meravigliavano, dicendo: Costoro che parlano, non sono tutti Galilei? E come mai ciascuno di noi ha udito il suo linguaggio natio? Parti, Medi ed Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadocia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia, della Panfilia, dell’Egitto e della Libia, che è intorno a Cirene, e pellegrini Romani, tanto Giudei come proseliti, Cretesi ed Arabi: come mai abbiamo udito costoro discorrere nelle nostre lingue delle grandezze di Dio?]

Deo gratias.

 Alleluja Allelúja, allelúja

Ps CIII:30 Emítte Spíritum tuum, et creabúntur, et renovábis fáciem terræ. Allelúja. Hic genuflectitur.

Veni, Sancte Spíritus, reple tuórum corda fidélium: et tui amóris in eis ignem accénde.

Sequentia

Veni, Sancte Spíritus, et emítte cælitus lucis tuæ rádium. Veni, pater páuperum; veni, dator múnerum; veni, lumen córdium. Consolátor óptime, dulcis hospes ánimæ, dulce refrigérium. In labóre réquies, in æstu tempéries, in fletu solácium. O lux beatíssima, reple cordis íntima tuórum fidélium. Sine tuo númine nihil est in hómine, nihil est innóxium. Lava quod est sórdidum, riga quod est áridum, sana quod est sáucium. Flecte quod est rígidum, fove quod est frígidum, rege quod est dévium. Da tuis fidélibus, in te confidéntibus, sacrum septenárium. Da virtútis méritum, da salútis éxitum, da perénne gáudium. Amen. Allelúja.

Evangelium

 Sequéntia sancti Evangélii secúndum Joánnem.

Gloria tibi, Domine!

Joannes XIV:23-31

“In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis: Si quis díligit me, sermónem meum servábit, et Pater meus díliget eum, et ad eum veniémus et mansiónem apud eum faciémus: qui non díligit me, sermónes meos non servat. Et sermónem quem audístis, non est meus: sed ejus, qui misit me, Patris. Hæc locútus sum vobis, apud vos manens. Paráclitus autem Spíritus Sanctus, quem mittet Pater in nómine meo, ille vos docébit ómnia et súggeret vobis ómnia, quæcúmque díxero vobis. Pacem relínquo vobis, pacem meam do vobis: non quómodo mundus dat, ego do vobis. Non turbátur cor vestrum neque formídet. Audístis, quia ego dixi vobis: Vado et vénio ad vos. Si diligere tis me, gaudere tis utique, quia vado ad Patrem: quia Pater major me est. Et nunc dixi vobis, priúsquam fiat: ut, cum factum fúerit, credátis. Jam non multa loquar vobíscum. Venit enim princeps mundi hujus, et in me non habet quidquam. Sed ut cognóscat mundus, quia díligo Patrem, et sicut mandátum dedit mihi Pater, sic fácio.”  [In quel tempo: Gesú disse ai suoi discepoli: Chiunque mi ama osserverà la mia parola, e il Padre mio lo amerà, e verremo da lui, e faremo dimora presso di lui. Chi non mi ama non osserva le mie parole. E la parola che udiste non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Queste cose vi ho detto mentre vivevo con voi. Il Paràclito, poi, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel nome mio, insegnerà a voi ogni cosa, e vi ricorderà tutto quello che vi ho detto. Vi lascio la pace, vi dò la mia pace: ve la dò non come la dà il mondo. Non si turbi il vostro cuore, né si impaurisca. Avete udito che vi ho detto: Vado e vengo a voi. Se voi mi amaste, vi rallegrereste certamente che io vado al Padre, perché il Padre è maggiore di me. Ve l’ho detto adesso, prima che succeda: affinché quando ciò sia avvenuto crediate. Non parlerò ancora molto con voi. Viene il príncipe di questo mondo e non ha alcun potere su di me; ma bisogna che il mondo sappia che amo il Padre e agisco conformemente al mandato che il Padre mi ha dato.]

Laus tibi, Christe!

Per Evangelica dicta, deleantur nostra delicta.

 

OMELIA

della Domenica della Pentecoste

[“Omelie”, del Canonico G.B. Musso, I vol. 1851-impr.]

Ispirazioni

È questo il memorabile giorno in cui lo Spirito Santo disceso in forma di fuoco sopra i discepoli, con Maria Vergine nel Cenacolo congregati. Se mi chiedete, uditori umanissimi, perché venne in questa forma di fuoco? Io vi rispondo con l’angelico dottor S. Tommaso (3 P, q. 39. A. 7.) che lo Spirito Santo prese “forma sensibile di questo elemento per significare ch’Egli produce nell’anime nostre quegli effetti, che sono propri del fuoco. Il fuoco illumina, purifica, consuma. Lo Spirito Santo illumina la mente, purifica il cuore, consuma le viziose abitudini: “Deus noster ignis conmmens est” (ad. Ebr. XII, 29). Ma perché in noi produca questi salutevoli effetti, è necessario aprirgli la strada con accogliere e mettere in pratica le sue sante ispirazioni. Si verificherà allora ciò che Gesù Cristo ha promesso nell’odierno Vangelo, che lo Spirito Santo c’insegnerà e ci suggerirà ogni cosa appartenente alla nostra eterna salute: “Ille docebit vos omnia, et suggeret vobis omnia”. Ma come potrà insegnare, se chiudiamo le orecchie alle sue voci? Come potrà suggerirci i mezzi e la via da tenere per andar salvi, se chiudiamo gli occhi alla sua luce? È dunque della somma importa importanza, anzi della massima necessità, il profittare della sua luce, l’ascoltare la sua voce, il seguire le sue sante ispirazioni. Ispirazioni, notate bene quel che mi accingo a dimostrarvi, ispirazioni, dall’accogliménto, o rifiuto delle quali può dipendere la nostra eterna salvezza, o la nostra eterna perdizione. Uditemi cortesemente! – Noi siamo pellegrini su questa terra: peregrinamur a Domino” (2 Cor. V, 6). In questa nostra pellegrinazione, i nostri passi sono indirizzati alla casa dell’eternitàIbit homo in domum æternitatis suæ” (Prov. XVI, 5), e di quella eternità felice, o sventurata a cui l’uomo viatore avrà diretti i suoi passi,in domum æternitatis suæ”. Posto ciò, egli è certo che in qualità di viatori o di pellegrini ci troviamo sovente ad un bivio, in capo a due strade, l’una a destra, l’altra a sinistra, una che al bene ci porta, l’altra al male, una di salute, l’altra di perdizione. Tutto il punto sta a metter bene il primo piede, a dar il primo passo nella buona strada. Si chiama dallo Spirito Santo un tal passo: “initium viæ bonæ, principio di buon sentiero, che sul cominciare da una ispirazione, la quale ci suggerisce una limosina o una preghiera, una confessione da farsi, o un vizio da emendarsi, un’occasione da fuggire, o una virtù da praticare; alla quale ispirazione secondata vien poi dietro una serie non interrotta d’altri passi virtuosi, che dirittamente ci conducono fino all’ultima meta, fino alla beata eternità. – La predestinazione degli eletti, come con i santi Agostino e Tommaso insegnano, e i teologi, altro non è che la divina prescienza, e l’ordinazione dei mezzi valevoli a condurre i predestinati all’eterna beatitudine; onde siccome la sua provvidenza ha disposto di darci l’esistenza e la vita, così la sua bontà ha decretato di farci sentire nel tal tempo, nella tal circostanza quella santa ispirazione, la quale se prontamente si accoglie e s’eseguisce, come il primo anello di ben contesta catena, trae seco l’altre grazie, gli altri lumi, gli altri mezzi, che facilmente conducono all’ultimo beato fine. Vediamolo in pratica. Dove cominciò la predestinazione, la santità di tanti eroi, che veneriamo sugli altari? Da un’occasione per essi fortuita, ma dallo Spirito Santo diretta a commuoverli, accompagnata dall’impulso della sua grazia, e da un raggio della superna sua luce. Entra a caso in una Chiesa S. Antonio Abate ancor giovanetto, mentre si legge il santo Vangelo, ciò che sente lo crede detto a se stesso, e sull’istante vende tutto ciò che possiede, lo dà ai poveri, fugge dal mondo, si nasconde in un deserto, diviene Patriarca di monaci, caro a Dio, terribile ai demóni. Una limosina prima negata, e poi per commovente ispirazione concessa, innalzò alla più gran santità un Francesco d’Assisi. Giunge casualmente alle mani d’Ignazio di Loyola un libro devoto, comincia a leggerlo per rompere l’ozio; ma leggendo, lo Spirito del Signore lo illumina, profitta di questo lume, rompe i legami, del mondo, e si fa uno dei più zelanti promotori della gloria di Dio. La vista del contraffatto cadavere del complice dei suoi disordini, congiunta con una luce alla mente e con un tocco al cuore, converte sul momento la peccatrice Margherita da Cortona in una fervidissima penitente. Un avviso della propria madre ben accolto da Andrea Corsini lo cangia di lupo in agnello in un chiostro del Carmelo, e lo fa un Vescovo santissimo! Ditemi ora, uditori, se questi santi, e tanti altri di cui son piene l’ecclesiastiche storie, avessero disprezzata quell’ispirazione, negletta quella chiamata, ributtata quella grazia, volete dire che, rifiutato il primo passo, avrebbero poi potuto più metter piede in quella virtuosa carriera, che li portò all’onore degli altari, ed alla patria dei beati? V’è molto a dubitarne. L’occasione è calva, diceva un antico-uomo di senno, una volta che sia passata non si può più tenere per i capelli. Gesù Cristo chiamò i suoi discepoli a seguitarLo, e li chiamò passando, “cum pertranserit, e li chiamò una sola volta, e sull’istante Simon Pietro abbandonò la sua barca, Matteo il suo banco, i figli di Zebedeo, Giovanni e Giacomo, le loro reti, e cominciarono così la carriera dell’apostolato, che li rese tanto accetti a Dio, e tanto benemeriti della sua Chiesa. – Per l’opposto quei due seguaci della legge di Mosè, invitati dal Redentore a seguirLo, perché trovarono scuse, uno per assistere al funerale del padre, l’altro per spedire gli affari domestici, perdettero la bella sorte d’essere annoverati fra i suoi discepoli, e S. Agostino li piange come perduti. Ah, diceva pertanto lo stesso Agostino, fratelli miei, osservo nel santo Vangelo che Gesù dispensa i suoi benefici come lampi fuggitivi, e via passando, “pertransit benefaciendo”, e vi confesso apertamente, e v’assicuro, che mi riempie di timore Gesù che passa. “Fratres mei, dico, et aperte dico, timeo Jesum transenuntem(Serm. 18 de verb. Dom.). La sua chiamata è una luce che balena alla mente: chi non profitta di questa luce resterà al buio, camminerà fra le tenebre, incontrerà inciampi e precipizi; e perciò il Redentore ci avvisa a camminare al favor di questa luce acciò non ci sorprendano tenebre per noi fatali: “Ambulate dum lucem habetis, ne vos tenebræ comprehendant” (Jo. XII, 33). – È vero che talora rinnova le sue chiamate, Iddio pietoso, e fa di nuovo risplendere la sua luce, anche a chi chiuse gli occhi per non vederla; ma di qui appunto nasce il pericolo per l’uomo caparbio, che ostinato nelle sue ripulse vie più si indura, come una incudine al dir di Giobbe (Giob. XLI, 15), sotto i colpi di grave martello. Non vi fu anima tanto dalla divina grazia amorevolmente assediata con replicate ispirazioni, quanto quella di Giuda. Osservate la traccia amorosa tenuta dal divino maestro per espugnare il cuore di questo suo discepolo traditore. Gesù scopre, e comincia a dargli indizio d’avere scoperto il suo iniquo disegno. Voi siete, dice ai suoi discepoli, per purezza di cuore costituiti in grazia e mondi; ma tutti non lo siete Vos mundi estis, sed non omnes(Jo. XIII, 10). Poteva Giuda conoscere l’infelice suo stato, e sentirne rimorso, ma non si muove. Replica Gesù e con più forza gli mette innanzi l’enormità del suo delitto con dire: Uno fra voi è per malizia un vero Demonio: “Ex vobis unus diabolus est”, e Giuda non inorridisce. Passa ad intimargli l’atrocità della pena che va ad incorrere, pena per la quale sarebbe meglio per lui che mai veduta avesse la luce del giorno: “Bonum erat ei si non fuisset homo ille” (Mat. XXVI, 24); e Giuda è insensibile. Parla Gesù in genere finora, e non lo nomina per lasciargli un segreto ritiro a ravvedersi, ma nulla giova. Torna alle prese il buon Salvatore, e alquanto più chiaro: un di voi, o miei discepoli, un di voi mi tradirà: “Unus ex vobis tradet me, e Giuda dissimula. Più chiaro ancora: La mano del traditore è meco su questa mensa. “Manus tradentis me mecum est in mensa” (Luc. XXII, 21): assai più chiaro: Chi meco in questo piatto pone la mano, desso è colui che mi tradirà: “Qui mecum intingit manum in paropside, hic me tradet” (Mat. XXVI, 23), e Giuda fa il sordo, e tutto disprezza. E via, finalmente gli dice Gesù, vanne pure, ed il reo attentato che volgi in mente affrettati ad eseguirlo. “Quod facis, fac citius” (Jo. XII, 21). Non fu già questo un precetto, dice qui il Crisostomo, non comanda Iddio un’azione sì indegna, un tradimento, “non est vox praecipientis”. Non fu consiglio, una somma bontà non può consigliare un eccesso cotanto esecrabile, “non est vox consulentis”. Che dunque volle significare Cristo con quelle parole? Volle dimostrare il giusto e tremendo abbandono ch’Egli faceva di quel cuore indurito, come non più capace di ravvedimento e di emenda. “Cum Judas, conchiude il citato Dottore, esset inemendabilis, dimisit eum Christus” (Hom. 73 in Io.). Ma pure Giuda dà qualche segno di penitenza, restituisce il danaro ai sacerdoti, rende la fama al suo divino Maestro, si ritratta, confessa d’aver tradito il sangue d’un giusto. Ahimè nulla giova, movimenti sono questi d’un disperato, non d’un convertito. Dio vi guardi, miei cari, dall’imitare nel rifiuto delle divine ispirazioni questo discepolo prevaricatore, incontrerete la stessa sorte. Farete forse come Giuda qualche opera apparentemente buona, ma non vi gioverà ad uscire da quel precipizio, che dopo tanti avvisi non avete voluto schivare. – Potete forse lagnarvi che Iddio non v’abbia parlato? Dio vi parlò quando vi trovaste in quella malattia, quando per lo spavento di morte temporale ed eterna vi fece conoscere lo stato deplorabile dell’anima vostra: prometteste allora, se Dio vi accordava grazia d’uscirne, di cangiar vita, Egli vi esaudì, e voi non adempiste la fatta promessa. Vedeste esposto in Chiesa, o condotto al sepolcro il cadavere di quella donna, colpita nel fior dell’età, foste presente al funerale di quel facoltoso, ed una voce vi disse al cuore: “ecco dove va a finire la beltà e la ricchezza”. La vanità delle terrene cose disingannò in quel momento il vostro intelletto, ma la volontà non si arrese a romperne il colpevole attacco. Quel rimorso, fratello mio, quel rimorso, che vi lacera il cuore, è una grazia da voi non conosciuta, con cui Iddio pietoso vi stimola ad emendar costume, a troncare quella scandalosa corrispondenza; che conto ne fate? Vi avvisa per mezzo di quel congiunto, di quell’amico, di quel buon cristiano a ritirarvi da quella licenziosa conversazione, a lasciare quel giuoco, quel ridotto, quel malvagio compagno, che ascolto gli date? “Figlio, dice a più d’uno di noi, se non paghi gli operai, se non soddisfi quel debito, se non dismetti quella lite ingiusta, se non adempi quel pio legato, non sperare salute.” – “Figlio, dice a quell’altro, le partite di tua coscienza son mal in ordine, datti fretta d’aggiustarle con una generale confessione: fa’ al presente quel che desidererai voler fare in punto di morte”. Tutte queste e simili voci, pensieri, sentimenti, ispirazioni, rimorsi, sono chiamate di Dio, sollecito del vostro bene; se chiudete l’orecchie, come un aspide sordo, Iddio offeso, Iddio disprezzato tratterà voi come da voi venne trattato. Così Egli si esprime e minaccia: “Vocavi, et renuistis, ego quoque in interitu vestro ridebo(Prov. I, 24. 26). Ponderate bene, peccatori fratelli miei, queste tremende divine parole. “Vocavi”, ch’Io vi abbia più volte chiamati, e tuttora vi chiami, non potete negarlo. Vi ho chiamati per bocca dei miei sacri ministri colla predicazione, per bocca dei vostri parenti con le ammonizioni, per mezzo di quelle disgrazie, di quelle infermità, con l’esempio dei buoni, col castigo dei malvagi: “Vocavi, et renuistis”, che abbiate ricusato di ascoltarmi, dovete confessarlo, ve ne convince la propria coscienza. Che cosa dunque potete aspettarvi? “Ego quoque”, che Dio cioè vi renda la pariglia, e nel maggior dei vostri affanni si rida di voi,in interitu vestro ridebo”. Miei cari, se si può dire di voi che fate continua resistenza agl’impulsi dello Spirito Santo, come ai contumaci Ebrei rinfacciò lo zelante Levita S. Stefano, “vos semper Spiritui Sancto resistitis(Act. VII, 51) , voi siete perduti. Sarete come una casa che minaccia ruina, che perciò si lascia vuota e abbandonata.Ecce relinquetur vobis domus vestra deserta( Mat. XXIII, 38): abbandono, segno fatale d’eterna riprovazione. Che Dio vi guardi!

Credo …

Offertorium

Dóminus vobíscum. R. Et cum spíritu tuo.

Orémus Ps LXVII:29-30 Confírma hoc, Deus, quod operátus es in nobis: a templo tuo, quod est in Jerúsalem, tibi ófferent reges múnera, allelúja. [Conferma, o Dio, quanto hai operato in noi: i re Ti offriranno doni per il tuo tempio che è in Gerusalemme, allelúia].

Secreta

Múnera, quaesumus, Dómine, obláta sanctífica: et corda nostra Sancti Spíritus illustratióne emúnda. [Santifica, Te ne preghiamo, o Signore, i doni che Ti vengono offerti, e monda i nostri cuori con la luce dello Spirito Santo]. Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate eiusdem Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum. R. Amen

Communio Acts II:2; II:4 Factus est repénte de coelo sonus, tamquam adveniéntis spíritus veheméntis, ubi erant sedéntes, allelúja: et repléti sunt omnes Spíritu Sancto, loquéntes magnália Dei, allelúja, allelúja. [Improvvisamente, nel luogo ove si trovavano, venne dal cielo un suono come di un vento impetuoso, allelúia: e furono ripieni di Spirito Santo, e decantavano le meraviglie del Signore, alleluja, alleluja.]

Postcommunio

S. Dóminus vobíscum. R. Et cum spíritu tuo.

Orémus. Sancti Spíritus, Dómine, corda nostra mundet infúsio: et sui roris íntima aspersióne fecúndet. [Fa, o Signore, che l’infusione dello Spirito Santo purifichi i nostri cuori, e li fecondi con l’intima aspersione della sua grazia.] – Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate eiusdem Spiritus Sancti Deus, per omnia sæcula sæculorum. R. Amen.

PENTECOSTE

PENTECOSTE

[J.-J. Gaume: “Catechismo di perseveranza”, vol. IV, Torino, 1881]

Pentecoste, — Vigilia della Pentecoste. — Grandezza della festa della Pentecoste. — Sua storia-, differenza della Legge antica e della Legge nuova. — Effetti dello Spirito Santo negli Apostoli; doppio miracolo. — Effetti ch’ei produce in noi. — Quello che bisogna fare per rendercene degni.

 Pentecoste. — Un abile architetto ama sovente che si giunga al palazzo traversando lunghi viali, e la madre assennata ha lungo tempo aspettare al figlio la ricompensa che deve coronarne le giovani virtù: così la Chiesa vuole che le sue grandi solennità siano precedute da lunghi preparativi; e in ciò mostra una grande cognizione del cuore umano. L’Avvento ci prepara a Natale, la Quaresima a Pasqua, I tempo Pasquale a Pentecoste. «Noi ci prepariamo , dice Eusebio, alla festa di Pasqua con quaranta giorni di digiuno, e ci disponiamo alla Pentecoste con cinquanta giorni d’una santa allegrezza ». Perché dunque siffatta allegrezza? Lo Stesso storico ce lo dice. « A Pasqua, egli continua, riceviamo il battesimo; a Pentecoste riceviamo lo Spirito Santo che è la perfezione del Battesimo. La risurrezione di Gesù Cristo fortificò gli Apostoli; la Pentecoste consumò la loro carità e li rese invincibili. In quel giorno lo Spirito Santo fu dato con quella necessaria pienezza alla Chiesa per soggiogare l’universo; perciò io riguardo la Pentecoste come la maggiore di tutte le feste ». I dieci giorni che la precedono sono da ogni divoto cristiano consacrati al raccoglimento ed alla preghiera. Essi si chiudono nel cenacolo insieme con la santa Vergine e con gli Apostoli per disporsi a ricevere lo Spirito Santo nell’abbondanza dei suoi doni.

Vigilia di Pentecoste. — Tuttavia non sembra che questi preparativi bastino alla Chiesa, tanto è grande il suo desiderio di renderci degni de’ favori del divino suo Sposo. Ella ha istituito per la Pentecoste una vigilia solennissima l’uffizio della quale ha molta somiglianza con quello della vigilia di Pasqua. È facile comprenderne la ragione; in quelle due notti memorande era amministrato ai catecumeni il Sacramento della rigenerazione. Nei primi secoli l’uffizio cominciava da dodici lezioni, che, come quelle del Sabato santo, avevano per scopo l’istruzione de’ catecumeni. Oggi non se ne dicono che quattro, che hanno ancora rapporto al battesimo e alla legge di grazia. Nella prima si rammenta la promessa che Dio fece ad Abramo di benedire nella sua schiatta tutte le nazioni della terra; ora nel giorno della Pentecoste questa promessa riceve il suo perfetto compimento per l’effusione dello Spirito Santo che Gesù, figlio d’Abramo secondo la carne, invia nel mondo. – La seconda tratta della legge data da Mose, simbolo della legge nuova, promulgata nel giorno della Pentecoste, e di cui il Battesimo è l’ingresso. – La terza rappresenta la visione d’Ezechiello, e ci mostra quelle vaste campagne coperte d’ossa umane; e poi quell’ossa che si muovono e si riuniscono, ricomponendo corpi d’uomini; e quegli uomini che rivivono al soffio dello Spirito, immagine viva del genere umano alla nascita del Vangelo e della vita nuova che lo Spirito Santo gli comunica. – La quarta ha per scopo di manifestarci gli effetti dello Spirito Santo nelle anime, e la differenza che distingue quelli che ne sono animati, e quelli che vivono dello spirito del vecchio uomo. Nulla di più magnifico di queste lezioni, nulla di più grande delle istruzioni ch’esse racchiudono Seguono poi la processione, la benedizione dei sacri fonti, la Messa senza Introito come nel Sabato santo. La vigilia della Pentecoste è accompagnata da un digiuno, che era già in uso nell’ottavo secolo.

III. Grandezza della festa. — Tutti questi preparativi alla Pentecoste cattolica nulla hanno di esagerato, se riflettiamo all’eccellenza di questa festa. E primieramente per la grandezza del suo scopo essa lascia a molta distanza dietro di sé tutte le feste profane, e di tanto ella sorpassa la Pentecoste Giudaica di quanto la legge di grazia sorpassa la legge di timore, e il compimento del mistero della nostra redenzione i tipi e le figure che lo annunziavano. La terza Persona dell’augusta Trinità che discende sull’universo per rigenerarlo, come era scesa nel giorno della creazione sul caos per fecondarlo; il divino Redentore che pone l’ultima mano alla grand’opera ch’era l’oggetto di tutti i suoi misteri; un nuovo popolo destinato ad adorare Dio in spirito e in verità dall’aurora fino al tramonto; la faccia del mondo rinnovata; il Giudaismo annientato ; il Paganesimo percosso a morte; l’alleanza universale di Dio con gli uomini promessa da quaranta secoli e finalmente realizzata; tali sono le meraviglie e i soggetti di lode e di meditazione contenuti nella festa della Pentecoste. E voi volete che la Chiesa cattolica non esulti di giubilo nel celebrarla? Ma fa di mestieri essere stupido come l’indifferente per non sentirsi palpitare il cuore di riconoscenza e di gioia al ritorno di questa memorabile giornata. Forse che la Pentecoste non è la festa dell’incivilimento? Dite, o popoli cristiani, da qual epoca prendono origine i lumi, le costumanze, le istituzioni, le idee nuove che hanno cangiata la faccia dell’universo e istituita la legge di carità al diritto brutale del più forte, e vi hanno fatto quelli che siete? Se voi, o ingrati, fate mostra di obliarlo, la Chiesa cattolica ha cura di ripetervelo, come lo ripeté alle generazioni che vi precedettero, e come lo ripeterà alle generazioni che vi succederanno. Da diciotto secoli ella celebra la festa della Pentecoste, e voi dovreste, ricchi e poveri, monarchi e popoli, unirvi a lei per festeggiare questo giorno come festeggiate l’anniversario della vostra nascita; perché amo ripetervelo, il cenacolo fu la vostra cuna, e di là è derivata quella superiorità intellettuale e morale di cui andate sì orgogliosi.

Storia della festa. — Ora riduciamoci a memoria le circostanze meravigliose in mezzo alle quali si compì questo mistero. Dopo l’Ascensione del loro divino Maestro, gli Apostoli erano tornati a Gerusalemme ove attendevano gli effetti della sua promessa. Stavano essi adunati in m cenacolo, vale a dire in una camera alta, separata dal resto degli appartamenti siccome i tetti delle fabbriche della Palestina erano piuttosto schiacciati, la stanza la più alta era altresì la più grande e quindi la più appartata, e in essa i Giudei avevano i loro oratori particolari È opinione che gli Apostoli stessero adunati nella casa di Maria, madre di Giovan-Marco, quello zelante discepolo di cui parla san Luca. Ma qualunque fosse il luogo della loro riunione, essi rappresentavano la Chiesa universale. Erano colà in aspettativa delle promesse del loro divino Maestro, quando nel decimo giorno dopo l’ascensione e cinquantesimo dopo la risurrezione di Lui, lo Spirito Santo scese sopra di essi. Era una domenica, giorno di Pentecoste dei Giudei, affinché la nuova legge fosse pubblicata nel giorno medesimo in cui l’antica, che doveva essere soppiantata, era stata data sul monte Sinai. – Ma qual differenza! L’antica legge era stata promulgata in mezzo ai tuoni ed ai lampi e al suono delle trombe. Ella minava di morte i prevaricatori; essa era sopra tavole di pietra, ed aggravanti anziché no per la molteplicità dei comandamenti e degli esercizi ai quali doveva assoggettarsi un popolo ignorante e rozzo, che bisognava piegare alla obbedienza più per via del terrore che dell’amore. La nuova legge all’incontro è una legge non di terrore ma di grazia, destinata ad essere scritta non sulla pietra, ma nel cuore degli uomini. Figlia dello Spirito Santo, principio di consolazione, di dolcezza e di amore, non poteva essere promulgata col mezzo di un apparato spaventevole, né di minacce, come era stata accompagnata la pubblicazione della legge mosaica. Per molto tempo Iddio aveva avuto degli schiavi, Ei voleva ora avere dei figli. La domenica dunque, giorno di Pentecoste, verso le ore nove di mattina, mentre i discepoli erano tutti riuniti, odono improvvisamente un rumore simile a quello di vento gagliardo che viene dal cielo e che empie tutta la casa in cui sono rinchiusi. Questo segnale della venuta dello Spirito Santo è destinato a risvegliare la loro attenzione; esso è pieno di misteri. Quel vento che viene dall’alto, messaggero delle sante inspirazioni, è il soffio della grazia divina che sostiene nelle anime nostre la vita spirituale, come l’aria atmosferica sostiene la nostra esistenza fisica. La sua veemenza indica il potere della grazia sui cuori per cangiarli e vivificarli; s’Ei riempie tutta la casa, ciò è perché lo Spirito Santo presenta i suoi doni agli individui d’ogni paese, che ei trasforma in altri esseri, e che penetra tutte le nostre facoltà. A questo primo prodigio ne succede un altro. Ecco giungere delle lingue bipartite come di fuoco, che si posano sopra la testa di ciascuno de’ membri della fortunata adunanza. Egli è lo Spirito Santo medesimo che si compiace assumere forme esteriori, simboli dei sorprendenti effetti ch’Ei produce interiormente nelle anime. Al battesimo del Salvatore, esso apparisce sotto forma di una colomba per indicare l’innocenza e l’abbondanza delle opere sante, che sono il frutto del sacramento della rigenerazione. Oggi la sua presenza si manifesta sotto la forma di lingue di fuoco, emblema eloquente dell’unità di credenza e di amore che stava per fare di tutti gli uomini un solo popolo di fratelli. Il fuoco illumina, solleva, trasforma in sé tutto ciò che egli incendia; simili sono gli effetti che lo Spirito Santo produce nelle anime nostre. Il fuoco si mostra sotto la forma di lingue piuttosto che sotto la forma di cuori, per far comprendere che i doni dello Spirito Santo sono sparsi sopra gli Apostoli non solamente perché amino Dio, ma anche perché facciano che altri Lo amino, comunicando loro per mezzo della parola il fuoco della propria carità. Questa forma annunzia anche il dono delle lingue, che deve mettere gli Apostoli in grado di comunicare con le diverse nazioni, onde predicar loro la dottrina del divino Maestro [Si crede che il giorno della Pentecoste immediatamente dopo il miracolo della discesa dello Spirito Santo, il quale, dando nascita alla Chiesa, aboliva la Sinagoga, in tal giorno, io dico, si crede che san Pietro celebrasse la prima Messa per inaugurare solennemente il Cristianesimo]. Osservate qui il Salvatore che ripara alle ultime conseguenze del peccato. Avendo i discendenti di Noè voluto edificare la torre di Babele, furono dispersi dalla confusione delle favelle. Come castigo del loro orgoglio, quella confusione delle favelle cagionò la confusione delle idee, l’oblio delle sante tradizioni, e produsse odi ed eterne divisioni tra i popoli. Il dono delle lingue nella predicazione del Vangelo è il felice presagio della prossima riunione di tutte le nazioni nell’unità di credenza e di amore, per non più formare che una grande famiglia che pubblica la gloria del Signore da oriente a occidente.

Effetti dello Spirito Santo. — La discesa dello Spirito Santo operò sul momento negli Apostoli un doppio miracolo; miracolo interiore e miracolo esteriore. Miracolo interiore; tutte le loro facoltà furono arricchite dai doni di Dio. Il loro intelletto, rischiarato da una luce divina, penetrò senza fatica il senso delle antiche profezie e dei libri sacri, egualmente che i misteri della fede e tutte le verità rivelate. – La magnifica economia del Cristianesimo, il suo scopo, i suoi mezzi, il suo fine, la dolcezza sorprendente del loro Maestro, l’eccesso del suo amore per gli uomini, la profondità dei consigli di Dio, e il suo potere illimitato nelle diverse elargizioni della sua grazia, tutti questi abissi impenetrabili alle più perfette creature cessarono di essere oscuri per gli Apostoli. Quanto al loro cuore l’amor divino lo penetrò talmente che ne bandì tutto ciò che poteva esservi rimasto d’impuro, e lo riempi delle più abbondanti grazie e delle più sublimi virtù. Per dire tutto in una parola, lo Spirito Santo cangiò gli Apostoli in uomini nuovi. La prova autentica di questo cambiamento interiore è il miracolo esteriore della loro condotta. Udite voi quei dodici Galilei, quei pescatori incolti e illetterati che parlano tutti e scrivono con una eloquenza, una dignità, una profondità che produce l’ammirazione, e che citano al bisogno con aggiustatezza, e applicano con perfetta sagacia i passi i più difficili e a più astrusi dei libri santi? Tutto ciò dimostrava evidentemente ai più increduli, che essi non parlavano per virtù propria. Ugualmente incontrastabile era la prova che presentava il loro coraggio e il loro zelo per la gloria di Dio. Singolare spettacolo! Ecco dodici pescatori, il più audace dei quali, sono pochi giorni, rinnegò il proprio Maestro, sbigottito dalla voce di un’ancella, ecco, io li vedo affrontare i magistrati, i regnanti, la terra intera congiurata contro di loro: « Mirate, dice san Crisostomo, con quale intrepidezza essi procedono! Ecco trionfano di tutti gli ostacoli, come il fuoco trionfa della paglia in cui s’incontra. Città intere insorgono contro di loro, nazioni si collegano per distruggerli, guerre, fiere, ferro, fuoco li minacciano, ma indarno! Non si commuovono alla vista di questi pericoli più che se fossero sogni o nemici in pittura. Sono disarmati e fanno fronte a legioni armate. Uomini ignoranti osano entrare in arringo con una moltitudine di oratori, di sofisti, di filosofi, e li confondono. Paolo fiacca egli solo l’orgoglio dell’Accademia, del Liceo e del Portico; i discepoli di Platone, d’Aristotele e di Zenone ammutoliscono in faccia a lui » [Omel. IV in Act.]. – E affine di rendere dinanzi a tutti i secoli una testimonianza autentica di questo doppio miracolo compiuto negli Apostoli, ecco che il Giudaismo e il Paganesimo cadono, mentre il Cristianesimo si innalza sulle loro rovine. Ripeto che è la Pentecoste, intendete bene, che assegna l’epoca a questa rivoluzione morale, la più sorprendente di cui la storia conservi la ricordanza. E questo avvenimento sussiste tuttavia sempre vivo, sempre parlante, consolando la fede degli uni, mettendo alla disperazione l’incredulità degli altri, predicando a tutti l’amore d’una religione che ha cangiato la faccia della terra. – Queste meraviglie che lo Spirito Santo operò nel giorno memorabile della sua venuta, Ei le opera tuttora nelle anime ben disposte. I doni esteriori sono cessati, è vero, perché non sono più necessari; ma sono i doni interiori che possiamo ottenere. La Chiesa c’invita a domandarli, specialmente nel giorno della Pentecoste: e la Chiesa ha ragione; noi e la società intera con noi, ne sentiamo il bisogno più che mai. Perciò nell’uffizio di questo gran giorno l’affettuosa madre de’ cristiani, la protettrice della società, la Chiesa Cattolica, pone sulle labbra de’ suoi figli e canta con essi quell’inno sì efficace a chiamare lo Spirito Santo nei nostri cuori. “Veni, sancte Spiritus, et emitte coelitus Iucis tuæ radium”. Vieni, o Spirito Santo, c’illumina sempre di più, e fa che continuamente splendano agli occhi nostri i raggi della tua luce celeste. Veni, pater pauperum, veni dator munerum, veni lumen córdium. Vieni, tu sei il padre dei poveri, ed ahi! noi siamo poveri, tanto dei beni di questa vita, quanto dei beni della vita avvenire. A questo titolo noi siamo doppiamente meritevoli e della tua compassione e delle tue elargizioni. Deh! le prodiga a noi benefico, Tu che sei la luce dei cuori e il distributore di tutti i doni! “Consolator optime, dulcis hospes animæ, dulce rifrigerium”. Noi trasciniamo una vita miserabile nelle angosce, nella tristezza e nelle amarezze; invano cercheremmo tra gli uomini il nostro conforto. Noi non troviamo in essi che dei consolatori onerosi, che inaspriscono i nostri mali, o che ci lasciano nell’oppressione e nel dolore. Spirito consolatore, Tu sei il migliore amico, il solo che presenti un dolce refrigerio ad un’anima afflitta, il solo che le procacci un refrigerio gradevole. “In labore requies, in æstu temperies, in fletu solatium”. Noi troviamo in Te un riposo tranquillo dopo le nostre fatiche, un’ombra fresca nei calori dell’estate, una moderazione nell’ardore delle nostre passioni; tu asciughi le lacrime di cui solchiamo questo tristo passaggio dalla vita all’eternità. “O lux beatissima, reple cordis intima tuorum fidelium”. – Oh! luce piacevole e confortatrice, vieni a spargere dolce serenità nelle anime che ti sono fedeli: una penosa oscurità le circonda in certi momenti nubilosi; le riempi dunque di letizia che Ti accompagna. “Sine tuo numine, nihìl est in homine, nihil est innoxium”. Senza il tuo divino soccorso noi nulla abbiamo, nulla possiamo, nulla siamo; tutto in noi è sola debolezza, miseria, infermità. “Lava quod est sordidum , riga quod est aridum, sana quod est saucium.” – Purifica in noi tutto ciò che vi troverai d’immondo e d’iniquo; irrora questo cuore arido e disseccato; guarisci le piaghe dell’anima mia applicandole rimedi efficaci e salutari. “Flecte quod est rigidum , fove quod est frigidum, rege quod est devium.” Piega questo cuore ribelle e indocile, trionfa delle sue resistenze e della sua ostinazione; rendilo pieghevole alle tue inspirazioni persuasive; struggi quel ghiaccio, che lo rende sì freddo per gli oggetti che dovrebbero infiammarlo d’amore. Ohimè! s’ei si smarrisce nelle vie dell’iniquità, riconducilo nei sentieri della giustizia. “Da tuis fidelibus in te confidentibus sacrum septenarium.” Noi ponemmo in te tutta la nostra fiducia. E su chi dovremmo porla? Concedi a tutti i tuoi servi i doni preziosi che tu rechi dal cielo, cioè la sapienza, l’intelligenza, il consiglio, la forza, la scienza, la pietà, il timore di Dio, tutte le grazie di cui abbiamo un bisogno sì grande. “Da virtutis meritum, da salutis exitum, da perenne gaudium”. Adorna l’anima nostra di virtù solide e cristiane, che sole hanno merito ai tuoi occhi; conducine alla felice meta della salute, a quella gloria, a quelle delizie che non mai finiranno. Amen. Cosi sia * [Catechismo di Couturier; t. 1. Si crede generalmente Papa Innocenzo III, morto nel 1216, autore di quest’inno. Altri ne danno gloria al B. Hermann Contractus, monaco di Mezrow, morto nel 1505. Vedi Benedetto XIV, De festis Cttristi]. Non è d’uopo aggiungere che la festa della Pentecoste risale ai tempi Apostolici, e che in ogni tempo fu celebrata con la massima pompa. Diremo soltanto che nei secoli del medio evo, secoli incomprensibili per la presente nostra epoca d’indifferenza glaciale, esisteva nel giorno di Pentecoste un uso rituale che aveva alcun che di dramma sacro. Nel momento in cui il coro intonava l’inno ammirabile che abbiamo spiegato, uno strepito di trombe echeggiava per tutta la Chiesa, ad imitazione del veemente strepito di cui si parla nella narrazione di san Luca. Nel tempo stesso dall’alto della volta piovevano scintille mescolate con fiori d’ogni sorta, ma specialmente di foglie di rose rosse, simbolo della gioia e della diversità delle lingue, parlate dagli Apostoli alle diverse nazioni. Finalmente colombe a tal fine disciolte svolazzavano per tutta la chiesa, commoventi immagini di quello Spirito che è la forza e la dolcezza. Immaginiamoci dunque una riunione di fedeli adunati in una vasta navata, nel punto in cui al canto unanime della bella sequenza si accoppiava il suono fragoroso delle trombe e una pioggia di fiori e di fuoco in scintille che si smorzavano al di sopra delle teste e l’oscillare del volo delle colombe. Dicemmo che quell’anime dalla fede ardente s’identificavano deliziosamente, retrocedendo di qualche secolo, con quei discepoli, con quegli Apostoli, con quelle sante donne, e con Maria madre di Gesù nel cenacolo di Gerusalemme. Può egli immaginarsi di qual prodigi di devozione e di sacrificio fossero capaci anime così commosse, così vivificate? In quel momento di santa esaltazione, il cristiano del decimo terzo secolo non trovava cosa alcuna impossibile all’amor suo. Le Crociate, le istituzioni religiose, le cattedrali gotiche erette sono testimoni irrefragabili della costanza dell’amor suo; donde noi possiamo qui esclamare coll’autor-poeta della divina Salmodia, il santo cardinal Bona: « Colà si vede l’amore, quell’amore che dal cielo scendendo sopra la terra in fuochi che sono proprii di lui, scaglia nel tempo stesso i suoi pacifici fulmini ». [Scilicet hic amor est proprios effusus in ignes placido qui fulminat ictu?L’Univers; 2 giugno 1840]

Disposizioni alla Pentecoste. — Terminiamo con una riflessione utile al regolamento della nostra condotta. Un ardente desiderio di ricevere lo Spirito Santo, e specialmente una rinunzia ad ogni affezione smodata per le creature, sono i due mezzi essenziali per attrarlo al nostro cuore. Vedete fin dove questo divino Spirito spinge la gelosia! Certo, nessun sensibile attaccamento poteva essere più legittimo, più santo di quello dei discepoli, verso la presenza corporea del loro divino Maestro. Tuttavia quell’attaccamento doveva essere in certa maniera bandito dall’anima loro, affinché lo Spirito Santo andasse a prenderne possesso, e a riempirla: “Se Io non me ne vo – diceva loro il Salvatore – non verrà a voi il Paracleto” (Giov. XVI, 8). Se dunque è certo che il troppo grande attaccamento degli Apostoli alla presenza sensibile dell’umanità di Gesù Cristo fu un ostacolo alla discesa dello Spirito Santo in loro, chi sarà sì presuntuoso da lusingarsi di ricevere la visita del divino Paàcleto finché rimarrà schiavo del proprio corpo? Persuadersi che questa dolcezza celeste possa allignare coi piaceri de’ sensi, che questo balsamo divino possa mescolarsi con il veleno, i lumi dello Spirito Santo con le tenebre del secolo, sarebbe uno strano errore. Qual rapporto può esistere tra la verità e la menzogna, tra il fuoco della carità e il ghiaccio degli affetti mondani? No, no; più l’uomo diventa carnale, più lo spirito di Dio si allontana da lui. Ecco perché il Cristianesimo si distacca oggi giorno dagli individui e dalle nazioni. Ed essi da stolti dicono: il Cristianesimo è vecchio!! Oh insensati! Voi, sì, siete vecchi, siete indegni del Cristianesimo.

Preghiera.

O mio Dio che siete, tutto amore, io vi ringrazio che abbiate inviato lo Spirito Santo sopra gli Apostoli, e per mezzo di loro sopra tutta la terra; non permettete ch’io contristi mai in me questo Spirito divino. – Mi propongo di amar Dio sopra tutte le cose, e il prossimo come me stesso, per amor di Dio, e in prova di questo amore io temerò sempre di resistere alle inspirazioni della grazia.

MORTE AL CLERICALISMO O RESURREZIONE DEL SACRIFICIO UMANO -VIII- di mons. J. J. Gaume [capp. XXVII-XXIX]

CAPITOLO XXVII.

L’AMERICA DEL NORD. — HAITI. — IL MESSICO.

I.

Fin qui abbiamo dimostrata l’esistenza del sacrificio umano, nelle tre parti conosciute del mondo antico: l’Asia, l’Europa e l’Africa. Il fatto è universale e permanente. Non è dunque un affare di razza, di clima, di longitudine, di latitudine, d’una barbarie più o meno grossa o d’una civiltà più o meno progredita; è un affare di culto universale e permanente. II sacrificio umano ha dunque una causa universale e permanente. Questa causa non è nei lumi della ragione, né nelle tendenze della natura, né nella volontà di Dio. A meno che non si voglia rimanere a bocca aperta dinanzi a questo fatto spietato, non può altrimenti spiegarsi che per la parte che vi prese universalmente e permanentemente il grande omicida. Un altro fatto, non meno universale e non meno permanente, è la cessazione del sacrificio umano ovunque il Cristianesimo è predicato ed abbracciato.

II.

Poiché il mondo moderno s’è arricchito d’un nuovo continente, rimane a visitare, per completar la dimostrazione, questa nuova terra, che America s’appella. Per andarvi, attraversiamo il mare delle Antille, ed arrestiamoci alla grande isola d’Haiti, dove è avvenuto di recente un fatto che ha ottenuto una pubblicità giudiziaria. Nel mese di dicembre 1803, a Bizoton, alle porte della capitale d’Haiti, un tal Congo Pelle ricevette dal dio Vandoux [Il dio serpente adorato da Vandoux] l’ordine di fargli un sacrificio umano; era a questo prezzo che la fortuna visitar doveva la povera sua dimora. D’accordo colla sua sorella, Giovanna Pelle, risolse d’immolare al serpente la sua propria nipote, Chiarina di otto anni.

III.

La fanciulla fu condotta il 27 dicembre presso un tal Giuliano Nicolas, il quale, secondato da altri adepti, Floréal, Guerrier, e dalla donna Byard, le legò le braccia e le gambe. Chiarina fu allora trasportata nella casa di Floréal e posta in un luogo misterioso, che nel linguaggio degl’iniziati era detto Humfort. Vi rimase per quattro giorni, e il mercoledì, 30 dicembre, alle dieci di sera, la vittima fu di nuovo condotta presso Congo Pelle. L’ora del sacrificio era suonata.

IV.

Giovanna Pelle afferrata pel collo la sua nipotina, la strangolò, mentre che Floréal le comprimeva i fianchi e Guerrier le teneva stretti i piedi. Disteso per terra il cadavere, Florèal ne tronca con un coltello la testa, e lo scortica. Appena terminata questa operazione, Giovanna Pelle, Florèal, Guerrier, Congo, Nerina moglie di Florèal, Giuliano Nicolas, e le donne Roseide e Beyarv si precipitano sulla vittima, divorano le sue carni palpitanti, e ne bevono il sangue ancor caldo.

V.

Dopo quest’ orribile banchetto, i cannibali si recano in casa Floréal con la testa della povera Chiarina, la fanno bollire cogl’ignami e ne mangiano le parli carnose. Il cranio cosi spogliato è posto sopra un altare. Giovanna suona una campanella, e gli adepti eseguono una danza religiosa, girando attorno l’altare e cantando una canzone sacra, che probabilmente non era altro che il famoso inno: Eh! eh! bomba! ben! ben! Conga Bafio sé! Cinga manne de li, Cinga de ki la. Conga li!

VI.

Terminata che fu la cerimonia, la pelle e le viscere di Chiarina furono sotterrate presso la casa di Florèal. Si era già raccolto nei vasi il sangue che restava della vittima, il quale doveva essere preziosamente conservato. Quanto alle ossa, furono ridotte in polvere, perché la cenere doveva essere egualmente conservata. – L’ opera santa era compiuta, e gli adoratori del serpente si separarono scambiandosi lo a rivederci per il 6 di gennaio, giorno dei re, in cui dovevano fare un nuovo sacrificio. La vittima, celata in casa Florèal, non attendeva che il coltello sacro. La era una giovane figlia, chiamata Losanna, che Nereina avea involata sulla strada di Leogane. Avventuratamente ne fu dato parte alla giustizia; e gli antropofagi condannati a morte dal giurì, sono stati impiccati il 6 febbraio 1864. [Monitenr haitien. 13 marzo 1864].

VII.

Rimbarchiamoci ora, e navighiamo verso il Messico, per vedere quel che esso era avanti la predicazione del Clericalismo. Sul suolo messicano s’immolavano un gran numero di teocallis, o case degli dèi. Cotali Teo-callis avevano tutti la medesima forma, benché con dimensioni diversissime. Erano molti filari di piramidi, che si levavano a una grande altezza, nel mezzo d’un vasto ricinto quadrato, ed attorniato da un muro. Questo ricinto conteneva giardini, fontane, le abitazioni dei sacerdoti, e qualche volta anche magazzini d’armi.

VIII.

Sulla sommità d’una piramide troncata, a cui ascendevasi per una grande scala, si trovavano una o due cappelle in forma di torre, che rinchiudevano gl’idoli colossali della divinità, alla quale il Teocalli era dedicato. Era là finalmente che i sacerdoti mantenevano il fuoco sacro. Per effetto di questa disposizione dell’edificio, il sacrifìcio poteva essere veduto da una gran moltitudine di popolo.

IX.

Or sulla sommità di dette piramidi aveva luogo l’immolazione delle vittime umane. Da tempo immemorabile, gli Aztechi rendevano questo culto sanguinario, sopratutto al dio della guerra, chiamato lo Spavento. Era rappresentato con un dardo nella mano destra, uno scudo nella mano sinistra, colla testa coperta d’un elmo ornato di foglie verdi. L’altipiano centrale del Messico fu il primo teatro sul quale gli Aztechi cominciarono ad immolar gli uomini. Le loro guerre continue fornivano un sì gran numero di vittime, che i sacrifici umani furono offerti senza eccezione a tutte le loro divinità. Gli Aztechi non si contentarono di tingere di sangue i loro giganteschi idoli, essi divoravano una parte del cadavere, che i sacerdoti, dopo averne strappato il cuore, gettavano ai piedi della scala del Teocalli.

X.

Tale orrenda carneficina sorpassa tutte le proporzioni conosciute. Nel 1447, meno d’un secolo avanti la conquista spagnola, ebbe luogo, al Messico, la dedicazione d’un Teocalli o tempio in onore del dio della guerra, per opera di Ahuitzoll, re del Messico. Mai in alcun paese così spaventevole strage erasi compiuta per onorare il grande omicida. Gli storici indigeni, che non possono per questa parte esser accusati né d’ignoranza né di parzialità, portano a ottantamila il numero delle vittime umane immolate in questa festa, di cui danno la descrizione seguente.

XI.

Il re ed i sacrificatori montarono sul terrazzo del tempio. Il monarca messicano si colloca accanto la pietra dei sacrificio, su di una sedia ornata di pitture orribili. Al segno, dato da una musica infernale, gli schiavi incominciarono a salire i gradini del Teocalli, coperti d’abiti festivi e la testa ornata di piume.

XII.

A misura che arrivavano alla sommità, quattro ministri del tempio, con le facce tinte in nero e le mani in rosso, afferravano la vittima, e la stendevano supina sopra la pietra collocata a pie del trono reale. Il re si prostrava voltandosi successivamente verso i quattro punti cardinali [Parodia del segno della Croce]; quindi le apriva il petto da cui strappava il cuore, che mostrava palpitante verso i medesimi punti, e lo rimetteva in seguito ai sacrificatori. Questi andavano a gettarlo nel quanhaicalli, specie di truogolo profondo, destinato a tal uso sanguinoso. Compievano la cerimonia spargendo ai quattro punti cardinali il sangue che restava loro nelle mani.

XIII.

Dopo avere immolato cosi una moltitudine di vittime, il re stanco presentò il coltello al gran sacerdote, il quale lo porse a un altro, e cosi di seguito lino a che le loro forze fossero spossate. Raccontano che il sangue colava lungo i gradini del tempio, come l’acqua durante gli acquazzoni procellosi dell’inverno; e si sarebbe detto che i ministri fossero rivestiti di scarlatto.

XIV.

Questa spaventevole ecatombe durò quattro giorni, aveva luogo alla medesima ora e con lo stesso cerimoniale, nei principali templi della città; e i più grandi personaggi della corte vi compivano, in un coi sacerdoti, le funzioni stesse che Ahuitzotl al santuario del dio della guerra. I re tributari e i grandi, che avevano assistito ai sacrifici, vollero imitarlo nella dedicazione di alcuni templi. Il sangue umano non fu risparmiato: un autore messicano, Ixtlilxochitl, porta a più di centomila il numero delle vittime che s’immolarono in quell’anno.

XV.

Il fiume di sangue umano che in certe circostanze diventava un gran lago, non cessava mai di scorrere. A somiglianza de’ Greci, dei Romani, dei Galli, e degli altri popoli dell’antichità, i Messicani avevano pur essi le loro Targelie. In mezzo ad una fitta foresta, si trovava il sotterraneo consacrato a Pétéla, principe dei tempi antichi. Sotto quelle cupe volte, il viaggiatore contempla con stupore la bocca spalancata d’un abisso senza fondo, dove si precipitano mugghiando le acque d’una riviera. Quivi appunto nei momenti di prova, erano condotti con pompa coloro che erano fatti schiavi o prigionieri a tal fine. Ricoperti di fiori e di ricchi vestimenti, erano precipitati nell’ abisso in mezzo a nuvole d’incenso offerto all’idolo.

XVI.

Tutti i mesi dell’ anno venivano contrassegnati con sacrifici umani. Quello che corrisponde al nostro mese di febbraio, era consacrato ai Genii delle acque. Si compravano, per sacrificarli ad essi, dei fanciullini, che i padri offrivano sovente da se stessi, per ottenere nella prossima stagione l’umidità necessaria alla fecondazione della terra. Questi fanciullini erano portati in cima delle montagne, e là immolati; ma se ne riservavano sempre alcuni, per sacrificarli al cominciar delle piogge. Il sacerdote apriva loro il petto, e ne strappava il cuore, che era offerto in propiziazione alla divinità, e i corpicciuoli venian quindi apprestati in un banchetto da cannibali, ai sacerdoti ed alla nobiltà.

XVII.

Un altro mese era appellato lo Scorticamento umano. Il suo patrono era Aipé, il calvo o lo scorticato, altrimenti detto Totec, morto giovane e di morte infelice. Contraffazione diabolica di Nostro Signore, tanto più che questa divinità ispirava a tutti estremo orrore. Gli si attribuiva il potere di mandare agli uomini le malattie più gravi e schifose [Altro mezzo infernale di far detestare il Crocifisso]. Onde gli si offrivano ancora giornalmente sacrifìci umani!

XVIII.

Le vittime condotte ai suoi altari eran sollevate pei capelli, sino al terrazzo superiore del Teocalli. Cosi sospese, i sacerdoti le scorticavano vive, si rivestivano della loro pelle sanguinante e se n’andavano per la città accattando ad onore del dio. Quei che presentavano queste vittime erano tenuti a digiunare venti giorni anticipatamente, dopo di che si dividevano la carne delle medesime [Histoire des nations civìlisees du Mexique, t. Ili, p. 341, 503, ecc., dell’abate di Bourburg. — M. di Bourboug ha passato più di trenta anni in America, occupato alla ricerca delle antichità messicane. È senza dubbio l’uomo che meglio conosce il Messico. È stato anche posto alla testa della spedizione scientifica mandata in questo paese negli ultimi tempi dell’impero di Napoleone III. Vedi anche de Humboldt, Tue des Cordillères, t. II, p. 250, e t. I, p. 267, ecc.]. – Ecco quel che facevasi nel Messico avanti la predicazione del Clericalismo! Ed oggi vogliono sterminarlo, e dicono che tutte le religioni sono egualmente buone!

CAPITOLO XXVIII.

L’AMERICA DEL NORD

(Contiuuazione. )

I.

Al racconto delle crudeltà messicane che siam venuti tracciando, al quadro di quelle onde saremo testimoni in tutte le parti del nuovo mondo, una riflessione sorge naturalmente nel nostro animo. Molto si sono biasimate le crudeltà commesse dagli Spagnoli contro le popolazioni americane. Siamo lontani dall’approvarle; ma si può dire che esse furono un giusto castigo delle loro iniquità. Gli spagnoli trattarono questi popoli assetati di sangue e coperti di delitti secolari, come fecero gli Ebrei a riguardo dei popoli di Chanaan. Dio, dice un proverbio, non paga sempre il sabato!

II.

Continuiamo la nostra visita nell’America del Nord. Eccoci nell’Honduras, importante contrada conquistata da Ferdinando Cortez. Timidi schiavi del grande omicida, gl’idolatri di questo paese gareggiavano in barbarie coi Messicani, se pur non li superavano. Tre Dei principali, vale a dire tre demoni, erano l’oggetto del loro culto. Avevano loro innalzato tre grandi templi.

III.

Ogni anno, in giorni designati, venivano essi in gran pompa a sacrificarvi i loro padri e i loro figliuoli: ogni tempio era servito da un sacerdote, che presiedeva a questi empi sacrificii, e dava i responsi degl’idoli. Questo sacerdote si chiamava papa, come se il demonio avesse voluto usurpare pei suoi ministri il titolo che i cristiani danno al loro capo [Wadding, ar. 1527, n. 13].

IV.

Giunse finalmente per questo popolo l’ora della misericordia. I figli di san Francesco penetrarono coraggiosamente in questo paese, abbatterono i templi, e spezzarono gl’idoli. Non ha guari scosso il giogo dello spirito delle tenebre, gli stessi sacerdoti vedendo la debolezza dei loro dèi, abbracciarono la fede cristiana; e il sacrificio divino rimpiazzò il sacrificio umano.

V.

Verso il medesimo tempo, nel 1528, un figlio di san Domenico, Bernardino da Minaya, non meno zelante e non meno coraggioso dei figliuoli di san Francesco, si portò a Tepeaca, città situata non lungi da Messico. Già il culto esteriore degl’idoli eravi stato abolito dagli Spagnoli. Ma gli abitanti nascondevano attentamente i loro idoli per onorarli in segreto. Il missionario, saputo ciò, comandò a due giovani Indiani cattolici, di frugare per le case e di rompere gl’idoli. Eglino obbedirono, ma costò loro la vita.

VI.

Non era né per devozione e fede che questi poveri idolatri adoravano i loro dèi, e loro offrivano in sacrificio quanto avevano di più caro; ma unicamente per paura. Un religioso, testimone oculare, s’esprime cosi: « Essi non agiscono mai per un principio di virtù, ma per paura; Non fanno il crudele sacrificio dei loro figliuoli, per amore che portino ai loro falsi dèi, ma per la paura che hanno di riceverne del male. – « Questi falsi dèi sono tanti e sì diversi che neppur essi, gl’idolatri, ne sanno il numero; ne assegnano uno a ciascuna cosa, al fuoco, all’ aria, alla terra, agli uomini, alle donne, ai fanciulli, e pressoché ad ogni creatura [Alterazione diabolica della credenza negli angeli]. D’ordinario danno loro nomi di serpenti A chi sacrificano il cuor degli uomini, a chi il sangue, a chi offrono incenso, carta e diverse altre cose, secondo che dagli idoli stessi vien loro ordinato.

VII.

« Né oserebbero farne a meno, per timore che questi dèi sanguinari e carnivori non avessero ad ucciderli subito e divorarli. Così, per evitare la morte, onde credonsi minacciati, lor fanno a gara il sacrificio di ciò che hanno di più caro. Quest’idoli sono serviti da alcuni sacerdoti, i quali son riveriti come santi, e non si nutrono che della carne e del sangue che immolano» [Hist. gèn. des miss. cath., t. I parte 2 p. 402]. Sacrifici umani e antropofagia sotto tutte le forme, ecco quel che avveniva a Tepeaca e nei dintorni, avanti la predicazione del Clericalismo! E oggi vogliono sterminarlo! e dicono, che tutte le religioni sono egualmente buone!

VIII.

A conferma del racconto che si è letto, il venerabile vescovo di Messico, Giovanni di Quinarraga, scriveva il 12 giugno 1531 al capitolo generale de’ Francescani dell’Osservanza, riunito a Tolosa: « Miei reverendissimi Padri, noi lavoriamo con assiduità alla conversione degl’Indiani, e la grazia di Dio dà un felice successo alle nostre fatiche. I nostri religiosi hanno già battezzato più d’un milione di questi infedeli, demolito cinquecento loro templi, e fatto bruciare più di ventimila idoli. Abbiamo fatto fabbricare delle chiese e delle cappelle in più luoghi, dove la santa Croce è adorata. »

IX.

« La cosa più degna d’ammirazione si è che, in questa città dove non ha molto, era il costume di sacrificar tutti gli anni più di venti mila cuori di giovanetti o di giovanette, i religiosi hanno sì felicemente modificato queste crudeli e sacrileghe immolazioni, che tutti i cuori umani non sono più offerti oggi che al vero Dio, e solamente per sacrifìci di lode. È così che la divina Maestà vien servita con amore dai suoi figli senza che siano essi obbligati di pagarle il tributo inumano che il demonio esige da loro. »

X.

Ecco quel che avveniva in questa grande città di Messico, avanti la predicazione del Clericalismo. Ascoltiamo ciò che accadeva dopo. Il medesimo vescovo continua: « Questi piccoli innocenti, giovani garzoni e giovani zitelle, liberate dal timore d’essere immolate al demonio, digiunano spessissimo, sono assidui alla preghiera accompagnata dalle loro lacrime. Si confessano spesso, ricevono la santa Comunione con gran fervore, e spiegano esattissimamente ai loro genitori le istruzioni apprese. Si alzano a mezzanotte per dire l’officio della santa Vergine, per la quale hanno una devozione particolare.

XI.

« Ricercano con non poca diligenza gl’idoli nascosti, e li portano ai religiosi. Parecchi han guadagnato la corona del martirio per questo atto di zelo; e sono stati i loro proprii genitori che li han fatti crudelissimamente perire. Questi fanciulli sono assai umili, modesti, casti, ingegnosi, specialmente nella pittura, ed amano i loro padroni, come i loro proprii padri» [Waduing, anno 1531. n. 1]. E oggi vogliono sterminare il Clericalismo! E dicono che tutte le religioni sono egualmente buone!

CAPITOLO XXIX

L’AMERICA DEL NORD

(Continuazione);

I.

Non lungi dalla diocesi messicana di Chiapa, che ebbe la fortuna d’avere a vescovo l’illustre Bartolomeo di Las Casas, si trovava il paese di Puchutta, dove il sacrificio umano era in uso come in tutte le contrade circonvicine. Gli abitanti, tanto superstiziosi quanto guerrieri, vedevano con pena i loro vicini dell’antica Terra di guerra, rinunziare al culto degl’idoli per abbracciare il Cristianesimo. Si credettero obbligati di vendicare i loro dèi sterminando coloro che rifiutavano di tributare ad essi la fede e i sacrifici dovuti.

II.

Quindi si riunirono nel 1555, formarono un’armata numerosa, e invasero la Terra di guerra, risoluti di non risparmiare né Spagnoli né indigeni, se non acconsentivano ad adorare gl’idoli. Poiché non erano quelli in stato di resistere, essi s’avanzarono fino alla provincia di Chiapa, bruciando per ogni dove le Chiese dei cristiani, spezzando le immagini, rovesciando le croci e sacrificando i fanciulli al sole o ai loro idoli, sugli stessi altari dove l’Agnello divino s’offriva al Padre suo [Fontana, Monumenta Dominikana, e Touron, Hist. gen. de l’Amerlque, t. VI, p. 120]. Cosi dappertutto il sangue umano, e sempre il sangue più puro, offerto al demonio. Ecco, non bisogna lasciare di ripeterlo, quel che si vede in tutte le parti del mondo avanti la predicazione del clericalismo! Ed oggi vogliono sterminarlo! E dicono che tutte le religioni sono egualmente buone!

III.

Entriamo ora nella Florida. Questa bella provincia dell’America del Nord deve il suo nome europeo al giorno in cui essa fu scoperta dagli Spagnoli. Questo giorno fu la domenica delle Palme, appellata Pasqua de fiori. Sembrava che il sole fosse la sola divinità degl’indigeni. Tutti i templi erano ad esso consacrati. Il modo di sacrificio più comune consisteva in gettare nel fuoco l’oblazione o la parte della vittima offerta al sole, dopo avergliela presentata con una allocuzione in forma di preghiera. Gli abitanti della Florida riguardavano i loro capi come figli del sole. In questa qualità, rendevano loro gli onori divini, e loro facevano il sacrificio dei primogeniti. I francesi, succeduti agli Spagnoli, furono anch’essi spettatori di questa triste cerimonia. E ciò avvenne nel 1569. Un testimone oculare la descrive in tali termini:

IV.

« L’è una costumanza di quei popoli offrire al re i primogeniti in sacrificio. Scelto il giorno di questa offerta, ed accettato dal principe, questi portasi nella piazza dove si deve fare tale solennità. Quivi è preparato a lui uno scanno per trono. Nel mezzo della piazza si pone un ceppo di due piedi di diametro e della medesima altezza. Dinanzi a questo ceppo recasi la madre del fanciullo, che dev’essere immolato, e siede in terra, nascondendo la faccia fra le ginocchia, e deplorando la sorte di quella vittima infelice.

V.

« Una donna, delle più considerevoli fra i parenti o fra le amiche di questa madre infelice, prende il fanciullo e lo presenta al re. Tutte le altre donne incominciano allora una ridda, nel mezzo della quale danza ancor quella che tiene in braccio il fanciullo, cantando qualche canzone in onore del principe. -« Durante questa danza religiosa, sei scelti Indiani stanno a un canto della piazza, avendo in mezzo a loro il sacrificatore, armato d’una mazza e magnificamente ornato. Terminata la danza e le altre armonie, che sono in uso in tal sorta di circostanze, egli prende il fanciullo, lo pone sul ceppo, e lo ammazza » [Relazione di Iacopo di Moyne, incaricato a disegnare le coste della Florida, nell’ Hist. gen. Des Miss.,, t. I. pari. 2 p. 539].

VI.

Gli abitanti della Florida non si contentavano d’immolare i loro fanciulli al demonio. In tempo di guerra, dopo avere uccisi i loro nemici, strappavano loro dalla testa la pelle con tutti i capelli. Nelle feste che seguivano la vittoria, erano le donne d’età avanzata quelle che, abbellite di queste capigliature, guidavano i crocchi dei ballerini e delle ballerine. Si contentavano di ridurre in ischiavitù le femmine ed i fanciulli presi alla guerra; ma gli uomini erano immolati al sole, e riguardavasi come dovere di religione mangiar la carne di queste vittime. – Ecco quel che accadeva nella Florida avanti la predicazione del Clericalismo! Ed oggi vogliono sterminarlo! E dicono che tutte le religioni sono egualmente buone!

 

CALENDARIO LITURGICO DI GIUGNO

Giugno è il mese che la Chiesa dedica al CUORE DI GESU’

Ecco fin dove è giunta la carità eccessiva o Gesù, mio amantissimo! Voi colle vostre carni e con il preziosissimo vostro sangue apprestata mi avete una mensa divina col donarmi tutto voi stesso. Chi mai vi spinse a tal trasporti di amore? Non altri certamente che il vostro amorosissimo Cuore. O cuore adorabile del mio Gesù, ricevete nella vostra piaga sacratissima l’anima mia, affinchè in codesta scuola di carità io impari a riamare quel Dio che mi diede prove sì ammirabili dell’amor suo! E così sia.”

[Pio VII, il 9 Febbraio 1818, concesse in perpetuo Indulgenza di 100 giorni, da lucrarsi una volta al giorno, a chi con cuore contrito reciterà la seguente Orazione. Tale indulgenza era stata concessa per 7 anni da Pio VI]

 

Ecco le feste di questo mese:

1 Giugno: S. Angela Merici Vergine Doppio. 1° venerdì del mese

3 Giugno: Sabato in Vigilia Pentecostes Feria privilegiata. 1° sabato del mese

4 Giugno: Domenica di Pentecoste Doppio I classe

5 Giugno: Die II infra octavam Pentecostes Dies Octavae I classis

6 Giugno: Die III infra octavam Pentecostes Dies Octavae I classis

7 Giugno: Feria Quarta Quattro Tempora di Pentecoste Dies Octavae I classis

8 Giugno: Die Quinta infra octavam Pentecostes Dies Octavae I classis

9 Giugno: Feria Sexta e Quattro Tempora di Pentecoste Dies Octavae I classis

10 Giugno: Sabato, Quattro Tempora di Pentecoste Dies Octavae I classis

11 Giugno: Domenica Sanctissimæ Trinitatis Doppio 1 classis

12 Giugno: S. Giovanni di S. Facundo Confessore Duplex

13 Giugno: S. Antonio di Padova Confessore e Dottore della Chiesa, doppio 

14 Giugno: S. Basilio Magno Confessore et Dottore della Chiesa Duplex

15 Giugno: Festum Sanctissimi Corporis Christi Doppio I. classe

18 Giugno: Domenica II dopo Pentecoste Semiduplex Dominica minor

19 Giugno: S. Giuliana de Falconeriis Vergine Doppio

21 Giugno: S. Luigi Gonzaga Confessore  Doppio

22 Giugno: S. Paolino Vescovo e Confessore Doppio

23 Giugno: Sanctissimi Cordis Domini Nostri Jesu Christi Doppio I classe

24 Giugno: In Natività S. Giovanni Battista Doppio I. classe

25 Giugno: Domenica III dopo Pentecoste Semidoppio Domenica minore

26 Giugno: Ss. Giovanni e Paolo Martiri Doppio

28 Giugno: S. Ireneo Vescovo et Martire Doppio

29 Giugno: SS. Apostoli Pietro e Paolo Doppio I classe

30 Giugno: In Commemorazione di S. Paolo Apostolo Doppio