IL VERME RODITORE delle SOCIETA’ MODERNE
ovvero IL PAGANESIMO NELL’EDUCAZIONE
(1)
[Mons. J. J. Gaume, trad. dal francese di A.V. – Napoli 1854]
LETTERA
Di Sua Eminenza monsignor cardinale Gousset, arcivescovo di Reims, al signor Abate G. Gaume, vicario generale di monsignor vescovo di Nevers.
SIGNOR VICARIO GENERALE,
Ho letto le bozze del libro che voi vi proponete di pubblicare sotto il titolo: IL VERME RODITORE DELLE SOCIETÀ MODERNE, Ovvero IL PAGANESIMO NELL’EDUCAZIONE. La lettura di quest’opera mi ha vivamente interessato pel modo con cui voi vi trattaste questioni della massima importanza. Mi pare che voi abbiate perfettamente dimostrato che, da vari secoli, lo studio pressoché esclusivo degli scrittori pagani nelle scuole secondarie, godette sulla educazione della gioventù e sull’animo delle società moderne una funesta influenza. Il perché gli amici della religione e dell’ordine sociale capiranno agevolmente, come voi stesso capiste, la necessità di modificare, nei luoghi di pubblico insegnamento la direzione degli studi in quanto riguarda la scelta dei classici autori, in guisa da farvi predominare gli scrittori cristiani, greci e latini, le cui opere sono sì acconce ad ispirare ai giovani la pratica delle virtù evangeliche ed a rimettere in tutto il loro vigore i principii costitutivi della società. Questo pensiero può ancora trovar contraddittori: ma ho motivo di sperare che il vostro libro avrà tosto o tardi felici risultati, e non posso non rallegrarmi con voi sinceramente di tale pubblicazione. – Ricevete, signor Vicario generale, l’espressione dei miei sensi devoti ed affezionati.
Parigi, ad giugno 1831.
Cardinale GOUSSET, Arcivescovo di Reims.
PRŒMIO
Che fa egli il medico al vedere l’infelice alle prese con un morbo che d’ora in ora minaccia di precipitarlo nella tomba? Sei non è cieco o colpevole, sua prima cura si è il ricorrere non ai palliativi, non ai rimedi ordinari, ma agli ultimi mezzi dell’arte per produrre una salutifera crisi: se uopo è, si adopereranno il ferro ed il fuoco, malgrado le resistenza e le grida dell’ammalato. – La società è inferma, molto inferma. Sintomi ognora più spaventevoli non permettono ad alcuno di dubitare della gravità del male. Per scongiurare una inevitabile morte, i palliativi, i rimedi ordinari bastano essi? No. Tal è il vostro avviso, e tale è pure il mio. Un rimedio efficace è dunque necessario. – Bisogna produrre un rivolgimento profondo, compiuto, e subito, perché il tempo stringe, ed ogni ora di ritardo può divenire fatale. – Ma dov’è la sede del male? Oggigiorno più che mai essa è negli animi. Gli animi si guariscono non con leggi, ma con costumi. I costumi si formano coll’educazione. L’educazione colpisce non già l’età matura, ma l’infanzia. Rimedio lento, direte voi: rimedio impotente adesso. È vero, noi scriviamo fra il muggire della burrasca. Secondo ogni apparenza, il fulmine sarà scoppiato prima che il parafulmine abbia potuto scaricare la nube. Ma la tempesta passerà, e bisogna che sul terreno sconvolto l’infanzia trovi aperta la pura sorgente della verità, se non si vuole sin dal domani dell’uragano prepararne un nuovo. Sia pure, come voi pensate, che l’intero edificio non possa essere conservato; date dunque la sua parte al fuoco: coloro che vogliono correre a morte, corrano a morte. Se il presente è condannato, salviamo l’avvenire. Su questo punto si deve concentrare tutta la possa dei nostri sforzi; su questo punto deve operarsi il rivolgimento che solo può strappare l’infermo alla morte. – Di tale rivolgimento molti parlano e pochi lo capiscono; vari lo hanno tentato, nessuno vi è riuscito. Proverò di dirne la ragione, dicendo come debba essere. – In codesti ultimi tempi molto si discusse sulla liberta dell’insegnamento; essa venne chiesta con energia, con perseveranza, e come una necessità e come un diritto. Onore al coraggio, onore all’ingegno, sì nobilmente consacrato al buon esito di questa grande causa! Pure, per grave ch’essa sia, la questione di libertà è dominata da un’altra ancora più grave. La libertà non è uno scopo; essa è un mezzo. Il punto essenziale non è già di rendere liberò l’insegnamento, ma sì di renderlo cristiano. Altrimenti la libertà non servirà se non ad aprire un maggior numero di fonti avvelenate, alle quali la gioventù andrà a bere la morte. Rendere cristiano l’insegnamento, ecco l’ultima parola della lotta, ecco quello che bisogna intraprendere, che bisogna realizzare ad ogni costo. Ciò vuol dire anzi tutto: sostituire il Cristianesimo al paganesimo nella educazione. Bisogna ribadire la catena dell’insegnamento cattolico, manifestamente, sacrilegamente, sgraziatamente infranta in tutta Europa da quattro secoli. – Bisogna ricollocare presso la culla delle nascenti generazioni la pura sorgente della verità invece dalle impure cisterne dell’errore; lo spiritualismo invece del sensualismo; l’ordine invece del disordine; la vita invece della morte. – Bisogna di nuovo informare del principio cattolico le scienze, le lettere, le arti, i costumi, le istituzioni, onde guarirle dalle vergognose infermità che le divorano, ed affine di sottrarle alla dura schiavitù sotto cui gemono. Bisogna cosi salvare la società, se essa può ancor essere salvata, od impedire almeno che tutta la carne non perisca nello spaventoso cataclisma che ci minaccia. – Bisogna così secondare i manifesti disegni della Provvidenza sia temprando come l’acciaio coloro che sostener devono l’urto della grande lotta, verso la quale noi ci incamminiamo rapidamente, sia conservando alla religione un piccolo numero di fedeli, destinati a divenir la semenza di un regno glorioso di pace e di giustizia, od a perpetuare fino al fine, fra prove gloriose, la visibilità della Chiesa. Tale è la rivoluzione di cui si tratta. Questa rivoluzione è gigantesca e l’uomo è nulla. Questa rivoluzione incontrerà resistenza di più d’una sorta; essa forse susciterà opposizioni appassionate; pure è possibile: più possibile oggi che altre volte. Giudicatene. Ora fa sedici anni, l’autore del CATTOLICISMO NELLA EDUCAZIONE dimostrò pel primo, ex professo, il verme roditore della moderna Europa. Collo scopo confessato di distruggere l’impero usurpato dal paganesimo sulla educazione dei popoli cristiani, ei predicò la guerra santa. Senz’essere profeta, non gli fu difficile di annunziare che la società giungerebbe in breve alla propria rovina, ov’essa non s’affrettasse a mutare sistema. Ma da una parte, intaccare il paganesimo classico era in allora una bestemmia; d’altro lato la società ebbra di sensualismo non prestava l’orecchio se non alle sirene, i cui perfidi canti attraevano verso l’abisso. Per questo doppio motivo, la sua voce non ebbe guari eco; e, meno felice dell’Eremita del medio-evo, ei trovò a mala pena alcuni cavalieri disposti alla battaglia. Isolato sotto i fuochi incrociati dei nemici ed anche degli amici, egli fu giocoforza abbandonare il campo di battaglia. Egli aveva avuto ragione troppo presto; ei si ritirasse aspettando che tempo venisse di avere ragione. Onesto tempo è giunto, o non giungerà; poiché la società muore, e poi le circostanze sono cangiate d’assai. Agli accenti delle sirene è succeduto il rumore del tuono, l’ebbrezza della prosperità si è dissipata ai colpi delle catastrofi; i solenni avvertimenti della Provvidenza non andarono perduti per tutti. Gli uni per tema, gli altri per convinzione, si sforzano di operare una reazione cattolica sopra la società. Essi applaudono agli sforzi che si fanno in questo senso. Certo, la reazione del Cattolicismo sull’educazione, senza la quale tutte le reazioni, tutte le ristorazioni riusciranno a nulla, non poteva continuare ad esser riguardata come cosa indifferente. Infatti, sotto l’influsso di queste cause e d’altre ancora, il rivolgimento camminò: esso conta di presente numerosi ed illustri sostegni (Il mio pensiero si volge in questo momento alla lettera cosi notevole di monsignor vescovo di Langres, di cui avrò occasione di citare qualche passo). Riprodotti da loro, gli argomenti contro il paganesimo classico non cadono più, come sedici anni fa, sepolti sotto una gragnuola di sofismi e di ingiurie. Dagli uni, essi sono applauditi; agli altri, fanno paura: per nessuno, eccetto per gli Dei Termini, sono oggetto di disprezzo. – Alle parole succedono gli atti. Rientrato trionfante nel dominio dell’architettura religiosa, il Cattolicesimo sviluppa il suo movimento e comincia ad introdursi nell’educazione, vestibolo della onnipotenza. Di già su vari punti della Francia e dell’Europa, la storia, la filosofia, la letteratura gli aprono i loro santuari, sì lungo tempo chiusi. In un cerio numero di stabilimenti, lo studio delle lingue antiche si fa in parte almeno, coll’aiuto di classici cristiani, e poi il monopolio è scosso. Evidentemente, la breccia è aperta: più non si tratta che di allargarla, ed il rivolgimento vittorioso entrerà sino nel cuor della piazza. Riconosciamo qui, benedicendola, l’opera della Provvidenza. Ora la Provvidenza non tentenna mai. Il rivolgimento è dunque possibile, più possibile oggi che altre volte. Che il rivolgimento sia necessario, di una necessarietà attuale e suprema, lo scopo di questo libro si è di dimostrarlo, indicando inoltre ed i caratteri di tal rivolgimento, ed i mezzi di assicurarne il successo.
CAPITOLO I
POSIZIONE DEL PROBLEMA
Per rendere palpabile la verità della mia proposizione, lascio da parte tutti i ragionamenti astratti, tutte le teorie metafisiche; mi contento d’invocare un piccolo numero di fatti clamorosi e di un incontestabile significato. Primo fatto. —Ad eccezione di alcuni atti di disobbedienza, inevitabili anche in giovani ben nati, si vede l’Europa in tutta la durata del medio-evo mostrarsi pieno di rispetto e di sommissione Cristiana nella sua fede, nei suoi costumi pubblici, nelle sue leggi, nelle sue istituzioni, nelle sue arti, nel suo linguaggio, la società sviluppava tranquillamente quelle belle e forti proporzioni, che 1’avvicinavano ogni giorno alla misura del Cristo, tipo divino d’ogni perfezione. Secondo fatto. — Col secolo decimoquinto, l’impero sovrano del Cattolicesimo s’indebolisce. L’antica unione della religione e della società è scossa. Sino allora così venerata, la voce paterna dei pontefici romani diventa sospetta; la maestà del loro potere sparisce come una grande ombra; la sommissione figliale del re e dei popoli diminuisce; la società sente nascere nel suo cuore un funesto desiderio d’indipendenza: tutto annunzia una rottura. – Terzo fatto. — Il sedicesimo secolo è appena incominciato che dalla cella d’un frate alemanno una voce si innalza, possente organo dei colpevoli pensieri che fermentano nei cuori: quella voce dice: « Nazioni, separatevi dalla Chiesa Cattolica, fuggite Babilonia; popoli, rompete i vincoli della vostra lunga infanzia; d’ora in poi voi siete forti abbastanza, abbastanza illuminati per condurvi di per voi. » La voce è ascoltata con un favore che stupisce anche oggidì. Nella maggior parte d’Europa si vide la società accusar la sua madre di superstizione e di barbarie, abiurare le sue dottrine, spregiare i suoi più grandi uomini, bruciare quanto portava l’impronta della sacra sua mano, e rovesciare o mutilare come monumenti d’ignoranza, di schiavitù e d’idolatria, i templi e gli edifici ove i secoli precedenti avevano con tanta magnificenza custodito la loro fede, immortalando in pari tempo le loro scienze ed il loro genio. Quarto fatto. — Questa incredibile rottura non fu un accesso passeggero di vertigine: essa dura tuttora. Né le angosce, né le umiliazioni, né i disinganni, né le catastrofi, né le calamità d’ogni specie poterono ricondurre il Figliuol Prodigo al materno girone. Luugi da questo, il suo allontanamento per la Chiesa andò aumentando; esso mutossi in odio, in odio sempre vivo, sempre operante, talché, dopo tre secoli, l’Europa non sembra saper fare che tre cose, ma essa le fa con una perfezione da disperare: spogliare la Chiesa, incatenare la Chiesa, schiaffeggiare la Chiesa. Di presente, giunta al parossismo della passione, l’antica figliuola del Cattolicesimo non ha più altro grido di riscossa se non queste orribili parole, ripetute su tutti i tuoni, dall’Adriatico all’Oceano, e dal Mediterraneo al Baltico: II Cristianesimo ci pesa, noi non vogliamo ch’esso regni su di noi; lo si tolga; la sola sua vista ci è insopportabile. Quarto fatto. — Dacché questo traviamento dura, la Chiesa non ha cangiato. Prima come dopo, essa è la stessa: così buona. così saggia, così rassegnata. In faccia ai dolori della società, essa non rimase né oziosa né muta. Giammai, forse, la sua materna tenerezza dispiegò una sollecitudine più universale, uno zelo infaticabile. Dal suo seno perpetuamente fecondo, uscirono nel decimoquinto secolo trentacinque ordini o congregazioni religiose; nel sedicesimo , cinquantadue; nel decimo settimo, novanta. Tutti questi grandi corpi, manovrando come un solo uomo, rendevano incessante la sua azione sulla famiglia e sulla società, dal settentrione al mezzodì dell’Europa. Da San Vincenzo Ferrero a San Francesco da Paola, numerosi santi meravigliarono il mondo coll’eroismo delle loro virtù, e mostrarono ai più ciechi che la Chiesa romana non cessò di essere l’incorruttibile sposa del Santo dei santi, la madre di tutti gli uomini veramente degni del nome di grandi: alma parens, alma virum. – Dal canto loro, i suoi ammirabili dottori, da Bellarmino sino a Bossuet, han provato ch’essa è sempre la sorgente della luce e del sapere. Continuato in tutta la maestà della sua forza dai sovrani pontefici e dai concili, l’insegnamento cattolico ha da lungo tempo ridotto in polvere ed il principio protestante, ed i vani motivi che servirono di pretesto alla rottura, e tutti quelli che, più tardi, furono inventati per mantenerla. Ora, né le dimostrazioni, né gli avvertimenti, né i benefizii, né le supplicazioni, né le lagrime, né gli sforzi di ogni genere han potuto toccare la società europea, né ribadire l’antica alleanza che univa alla madre la figliuola. Da questi fatti, che nessuno negherà, risulta evidentemente la conclusione seguente: « Da quattro secoli, evvi in Francia un elemento nuovo, un elemento di più od un elemento di meno che non nel medio-evo; e questo elemento forma un muro di separazione sempre sussistente tra il Cristianesimo e la società. » Qual è codesto elemento ? Ov’ è? È ciò che cercheremo.
CAPITOLO II
STUDIO DEL PROBLEMA
L’investigazione alla quale noi ci daremo è di altissima importanza. Temendo di forviarci, cominciamo dal segnare la nostra strada, posando alcuni principi d’una evidenza incontestabile.
Primo principio. — Ogni effetto ha una cagione; ogni effetto permanente ha una cagione permanente.
Secondo principio. — Ogni parola, ogni azione umana, pubblica o privata, è l’effetto del libero arbitrio o di una volontà dell’anima. Le volontà, o, come dice la filosofia, le voluzioni dell’anima presuppongono l’idea o la nozione della cosa voluta, poiché è impossibile di voler ciò che non si conosce, ciò di cui non si ha idea: Ignoti nulla cupido; nihil colitum nisi prœcognitum.
Terzo principio. — Innate o no, le idee vengono o dipendono dall’insegnamento, il quale le risveglia o le da. L’insegnamento fa dunque l’uomo.
Quarto principio. — L’insegnamento che fa l’uomo, che forma per la vita il suo animo ed il cuore, si compie nel periodo che separa la culla dall’adolescenza, secondo la parola, cotanto vera che era già proverbiale or fanno tremila anni: Quale ei fu nei di della sua adolescenza, tale l’uomo sarà nei dì di sua vecchiezza, e non cambierà (Prov. XXII, 6).
Quinto principio. — La vita dell’uomo si divide in due epoche ben distinte: l’epoca di ricevere e l’epoca di trasmettere. La prima comprende il tempo dell’educazione, cioè dello sviluppo e dell’insegnamento; la seconda, il restante dell’esistenza fino alla morte. Non avendo l’essere da se stesso, l’uomo riceve tutto; tanto nell’ordine intellettuale e morale, quanto nell’ordine fisico. – Dopo aver ricevuto egli trasmette, e non può trasmettere se non quanto ha ricevuto. Trasmettendo quanto ha ricevuto, egli forma la famiglia, la società ad immagine sua. La verità o la bugia, il bene od il male, l’ordine od il disordine realizzati nei fatti esterni della famiglia e della società, non sono se non il riflesso e il prodotto della verità o della bugia, del bene o del male, dell’ordine o del disordine che regnano nella sua anima.
Sesto principio. — Pel bene come pel male, l’influsso viene dall’alto e non dal basso. Le opinioni e i costumi dei parenti formano le opinioni e i costumi dei figliuoli. Le opinioni e i costumi delle classi letterate formano le opinioni e i costumi di quelle che non lo sono.
Settimo principio. — Le opinioni e i costumi delle classi letterate derivano soprattutto dalla loro educazione letteraria. Cotale educazione si fa principalmente coi libri che si pongono tra le mani della gioventù durante i sette od otto anni che uniscono l’infanzia all’adolescenza. E ciò per tre motivi: il primo, perché quegli anni sono gli anni decisivi della vita. Il secondo, perché quei libri sono il nutrimento giornaliero della gioventù ed il suo nutrimento obbligato; perché essa li deve studiare con cura, perché li deve imparare con fervore; perché se ne deve imbevere pel fondo e per la forma. Il terzo perché siffatto studio assiduo è accompagnato da spiegazioni e da commenti, nello scopo di far ben capire il senso di essi libri, di farne ammirare lo stile, i pensieri, le bellezze d’ogni genere, di esaltare le azioni, i fatti, le parole, le istituzioni degli uomini e dei popoli di cui narrano la storia; finalmente, e soprattutto, di offrire all’ammirazione della gioventù gli autori di tali opere come i re , senza paragone, dell’ ingegno e del genio. Dunque in diritto, tutto proviene dalla educazione. Dunque in fatto, 1’educazione delle classi superiori fa l’educazione delle inferiori, l’opinione, i costumi, la società. – Siffatta conseguenza non è meno inattaccabile che i principi stessi da noi rammentati, e dai quali essa scaturisce necessariamente come il fiume dalla sua sorgente. I saggi di tutti i tempi 1’hanno proclamata. Ai nostri occhi l’unico mezzo di riformare l’uman genere si è quello di riformare l’educazione della gioventù. L’educazione è la sola leva colla quale sollevare si possa il mondo. L’educazione è l’impero, perché l’educazione è l’uomo, e l’uomo è la società. – Qualora i saggi non avessero reso quest’omaggio un anime alla non peritura verità che noi indichiamo, basterebbe per non dubitarne, lo scorgere l’ostinato accadimento col quale in tutti i tempi ed in tutti i luoghi, le due potenze del bene e del male si disputano l’impero della educazione. Sotto la questione, in apparenza molto secondaria, di sapere chi s’accosterà al al fanciullo per insegnargli la lettura, la scrittura, il calcolo, il greco od il latino, si nasconde in ultima analisi, una questione di sovranità: la verga del maestro è la scettro del mondo. da tutto ciò, che concluderemo riguardo al problrema che ci occupa? La risposta non è dubbia: si è nell’educazione che noi siamo forzati di cercare la cagione prima e sempre sussistente della rottura quattro volte secolare da noi constatata. – In ogni altra cosa, almeno mi sembra, voi non troverete se non cagioni occasionali, indirette e passeggere; ma queste cagioni esterne ed accidentali, le quali avranno forse potuto affrettare e raffermare lo scisma, non sono maggiormente il principio del male, di quello che gli affluenti siano la sorgente dei fiumi ch’ essi fanno straripare. Qual è di presente, nella educazione pubblica d’Europa, questa cagione o questo elemento di più o di meno che da quattrocent’anni scava tra il Cristianesimo e la società un abisso che nulla ha potuto colmare e che ogni giorno più si va allargando? Qui io invoco tutta la sagacia del filosofo e la suprema imparzialità del giudice. – Lungo tempo prima della rottura, io vedo in tutta l’Europa l’educazione pubblica riposare sul seguente organismo: le università ed i ginnasi o collegi. Dopo la rottura, io rinvengo lo stesso organismo. In Francia, il medesimo sussistette in tutta la sua integrità sino alla fine dello scorso secolo; esso sussiste ancora generalmente in tutte le altre parti d’Europa. Sotto questo primo punto, nulla di nuovo; e, quanto al fondo, nulla di più, nulla di meno. – Prima della rottura, io vedo che nelle università e nei ginnasi si insegnano: il latino, il greco, le lingue viventi e le lingue orientali, la grammatica, la filosofia, la retorica, le scienze fisiche e matematiche. Dopo la rottura, trovo che s’insegnano le stesse cose. Sotto questo secondo punto, nulla di nuovo; e, quanto al fondo, nulla di più, nulla di meno. – Prima della rottura, vedo che s’insegnano con particolare cura le verità della religione; che i maestri ed i discepoli. tranne poche eccezioni, ne adempiono fedelmente i doveri. Dopo la rottura, trovo che non si insegna meno fedelmente la religione; che i maestri ed i discepoli, io generale, continuan fino all’ultimo secolo ad adempierne esattamente i precetti. Sotto questo terzo punto, nulla di nuovo; e quanto al fondo, nulla di più. nulla di meno. – Prima della rottura, vedo l’insegnamento posto fra le mani del clero e degli ordini religiosi. Dopo la rottura. trovo che ne è lo stesso in tutti i paesi ed anche in Francia sin verso la metà dello scorso secolo. Sotto questo quarto punto, nulla di Nuovo; e, quanto al fondo, nulla di più, nulla di meno. – Prima della rottura, vedo seduti sulle cattedre e delle università maestri senza macchia, pii, zelante, dottori illustri ed in gran numero, e ciò in tutte le scienze. Dopo la rottura trovo la stessa cosa. Sotto questo quinto punto, nulla di nuovo; e, al fondo, nulla di più, nulla di meno. – Prima della rottura, vedo l’insegnamento affatto libero: il monopolio non era ancora inventato. Dopo lo scisma, trovo per quasi tre secoli la stessa libertà: il dogma pagano del monopolio è nato ai dì nostri. Sotto questo sesto punto, nulla di nuovo; e, quanto al fondo, nulla di più, nulla di meno. – Tali sono, salvo errore, i punti di paragone i più notevoli sotto cui si presenta, nelle due epoche, la pubblica educazione. Ora, prima e dopo lo scisma, questi punii di paragone si rassomigliano in modo che testimoniano l’identità della istituzione: la stessa organizzazione, lo stesso insegnamento, gli stessi uomini, lo stesso spirito, lo stesso scopo, la stessa libertà. – Donde viene che i risultati si rassomiglino sì poco? Donde viene che la stessa sorgente abbeverando le generazioni nascenti comunichi alle une la vita cattolica in tutto il suo vigore, mentre le altre non vi attingono se non un languore mortale? Donde viene che la stessa educazione, la cui azione onnipotente diede alla società del medio-evo quella forza di coesione contro cui s’infransero gli assalti dell’eresia, del sensualismo e del dispotismo, si trovò tutto in una volta senza forza per proteggerla contro gli stessi tentativi: in modo che l’eresia, il sensualismo ed il dispotismo non ebbero che a presentarsi, per entrare a gonfie vele nel cuore dell’Europa e fermarvisi da sovrani padroni cui nulla poté detronizzare? – Si dirà forse che questo risultato si debba attribuire alle circostanze esterne in cui 1’educazione si è compiuta dopo il quindicesimo secolo? Io chiederò dapprima in qual guisa tali circostanze esterne han potuto nascere ed acquistare tanta influenza al di fuori e a dispetto dell’educazione? Dirò poscia che queste circostanze esterne, ossia questo nuovo mezzo, si è innanzi tutto il protestantismo. Ora, il protestantismo non è altro se non il principio di ribellione contro la Chiesa. Questo principio non nacque nel secolo decimosesto; esso ha sempre esistito nel mondo: il primo protestante fu Lucifero. Dopo la ribellione del paradiso terrestre, ed in più di una epoca della Chiesa, egli ebbe organi non meno possenti di Lutero, agenti non meno formidabili di Enrico Ottavo. La questione è di sapere in qual modo l’educazione, la quale, durante mille anni, lo aveva potuto neutralizzare, siasi d’improvviso trovata senza forza forza contr’esso; e ciò non solo nei luoghi ov’esso fu con violenza stabilito, ma eziandio nelle contrade ove non fu mai ufficialmente ricevuto, come lo dimostra l’indebolimento della fede in tutta l’Europa. – Rinane dunque a cercare la vera cagione, la cagione generale e permanente del male nell’educazione. Qui sta la difficoltà; poiché vedemmo che prima e dopo lo scisma, l’educazione offre gli stessi caratteri. Ove trovare il cambiamento? Qual è il cancro sconosciuto, che da quattro secoli rode l’albero nella sua radice e ne vizia il crescere? Qual è finalmente il novello elemento, la cui formidabile potenza, rendendo inutili, per un ravvicinamento e le dure lezioni ricevute dalla società, e le tenere proposte della Chiesa, condanna la madre alle lacrine, e la figliuola alla morte? Acciò evitiamo ogni rimprovero di esagerazione,dichiariamo prima di rispondere, che non è nostra intenzione di dare alle nostre parole un senso esclusivo. Noi riconosceremo volentieri nel moto anticristiano il quale trascina l’Europa, cagioni estranee a quella che stiamo per indicare. Ma insieme con tutti gli uomini riflessivi che seriamente studiarono la questione, noi ci crediamo fondati a considerar questa cagione siccome la più influente: non ci vuole di più per giustificare il rigore morale della nostra affermazione; inoltre, noi protestiamo contro ogni interpretazione delle nostre parole personalmente ostile a chicchessia. Noi non intacchiamo, né vogliamo intaccare nessuno: né il clero secolare, né l’Università, né gli ordini religiosi addetti all’insegnamento. Noi attacchiamo solo il paganesimo. Ciò posto, ecco la risposta.
CAPITOLO III
SOLUZIONE DEL PROBLEMA
Un fonditore di Firenze esercitava da lunga pezza con esito mirabile 1’arte sua. Il secreto della sua gloria consisteva nel preparare maestrevolmente lo stampo in cui egli versava a volta a volta l’oro, l’argento, il bronzo. Un giorno, il municipio di Firenze gli comanda di fare la statua d’uno dei grandi uomini della repubblica, e l’arcivescovo un bassorilievo per una delle cappelle del celebre Duomo. La gloria della patria e l’amor della religione comunicano all’artista un nuovo ardore: sotto questa doppia inspirazione, il suo genio concepisce un capo d’opera. Sgraziatamente, ei non aveva allora nel suo studio se non lo stampo d’un cavallo. Poco monta, pensò l’artista: combinerò sì bene i metalli, che riparerò codesto guaio. Di fatto, l’argento e l’oro, sapientemente mescolati, sono versati insieme nello stampo. Si aspetta un eroe dalle forme antiche: l’artista infrange lo stampo e ne cava fuori un cavallo! « Quanto sbaglio! dice egli: ma conosco il mio errore. Io non ho adoperato i miei metalli in proporzioni convenienti. » Tosto si rimise all’opera, forma una nuova lega e rifà uno stampo simile al primo. Pochi giorni dopo, nuova fusione. Questa volta l’artista lavora per l’arcivescovo il quale aspetta il suo bassorilievo. Lo stampo è aperto, e dà di nuovo un cavallo simile al primo! – « La è cosa imperdonabile! grida 1’artista picchiandosi la fronte. E come ho io potuto dimenticare che 1′ oro e l’argento non sono i veri metalli del fonditore? Il vero metallo del fonditore è il bronzo. Con esso, non vi sarà più errore possibile; io lo conosco, esso mi conosce, noi siamo vecchi amici. » – Ei ci prepara il suo bronzo con grande cura, e ripara il suo stampo, guardandosi bene dal cambiarlo, e lungamente studia le condizioni del problema. Quando esse sono risolute, egli accende i suoi fornelli; ben tosto il metallo della più bella gradazione scorre in getti abbaglianti nello stampo, il quale dà un … superbo cavallo di bronzo, ma sempre un cavallo! Allora 1″infelice artista si dà alla disperazione, se la prende con tutti ma non con sè, pel suo infortunio, e muore senza aver potuto capire che per cambiare una forma, uopo è cangiare lo stampo. – Popoli d’Europa, voi siete il fonditore di Firenze. Dopo il secolo decimoquinto, voi versate i vostri figli in uno stampo pagano, e vi stupite di non ritrarne dei cristiani. Ascoltate la vostra storia. Durante tutto il medio-evo, l’educazione fu esclusivamente cristiana. I libri pagani non erano mai posti come classici fra le mani della gioventù. Essa non li toccava se non nell’età in cui lo spirito, il cuore, l’immaginazione, l’anima insomma, versata nello stampo del Cristianesimo, aveva preso la sua forma assoluta; in cui, per conseguenza, il paganesimo non poteva più imprimere all’infanzia se non una forma secondaria, senza influire sul fondo dell’essere morale. Allora il Cristianesimo era nell’educazione ciò che sono nei nostri banchetti i piatti sostanziosi che attutiscono la fame dei convitati; ed il paganesimo era ciò che sono le bagattelle che compongono i nostri desserts. – Che nasceva da questo? Ciò che sempre nascerà dall’educazione, cioè che sin dalla culla le giovani generazioni nutrite di Cristianesimo, imbevute di Cristianesimo, allevate nella conoscenza, nell’amore, nell’ammirazione del Cristianesimo, nell’entusiasmo delle sue glorie e delle sue opere, trasmettevano alla società quanto esse avevano ricevuto. E la società era cristiana, profondamente cristiana. E questa società cristiana creò un’Europa meravigliosa di grandezza, di forza, di virtù eroiche, e la coprì di monumenti prodigiosi, le cui inimitabili bellezze non formano se non la minima parte della sua gloria. Verso la fine del secolo decimoquinto, voi rompeste lo stampo cristiano, e poneste in sua vece uno stampo pagano. Le giovani generazioni vi furono dentro gettate, e questa cera molle prese la forma dello stampo, e ne avvenne quello che di necessità ne doveva avvenire: le giovani generazioni nutrite di paganesimo, tirate su nell’ammirazione del paganesimo, cominciarono a mostrarsi pagane, ed a trasmettere alla società quanto esse avevano ricevuto. Se, nella prima fusione, esse non furono del tutto pagane, attribuitelo all’azione del Cristianesimo, il quale, dominando ancora nella famiglia e nella società impedì una trasformazione totale e subitanea. – Nondimeno tale fu l’influenza di questa prima prova, che si videro, cosa profondamente degna di osservazione! Tutti i capi della grande ribellione del decimosesto secolo brillare fra i più ardenti discepoli del paganesimo classico, gloriarsi d’essere stati gettati nello stampo pagano, esaltare coloro che ve li avevano messi. tuffarvisi ogni giorno più, invitando tutti ad imitarli, e facendosi della loro nuova forma un’arma loro contro la Chiesa, la cui lingua, le cui scienze e le cui arti incominciarono quelli ad accusare di barbarie. – Il pericolo diventava vieppiù serio: la religione e la società perdevano terreno manifestamente. Si pose mano di nuovo all’opera, e si tentò di formare una nuova generazione la quale, profondamente cristiana, equilibrerebbe l’azione disastrosa di quella che cessava di esserlo, o non lo era di già più: la grande reazione cattolica del secolo decimosesto incominciò. Chiamati a concorrervi, i dottori i più sperimentati, gli ordini religiosi i più dotti raddoppiarono d’attività. Il più abile di questi grandi corpi, l’immortale Compagnia di Gesù, sembrò creata a bella posta per venire in aiuto alla Chiesa ed alla società nella educazione. Essa vi si addisse affatto, adottando, come i suoi compagni d’armi, lo stampo pagano. Cosi voleva l’opinion pubblica, la quale ormai non conosceva più altra forma del bello. – Nessuno ignora infatti che il sedicesimo secolo fu età dell’oro del Rinascimento, l’epoca per eccellenza del culto dell’antico in letteratura, in poesia,, l’epoca degli artisti, dei grecisti, degli umanisti pagani che soprabbondavano in ogni parte d’Europa, i cui echi non cessavano di ridire i loro ditirambi in onore dei Greci e dei Romani. Bentosto i collegi dell’illustre Compagnia coprirono il suolo d’Europa. Una gioventù numerosa, e soprattutto la gioventù appartenente alle classi le più alte, si strinse intorno alle cattedre degli illustri religiosi. La scienza, la virtù, l’abnegazione, la paternità dei maestri, l’ortodossia della loro dottrina, la varietà e lo sfarzo delle cerimonie religiose praticate nelle loro case, tutto sembrava riunito per far rivivere e perpetuare nella società in generale, e soprattutto nelle condizioni elevate, la vigorosa fede del medio-evo. – Parallelamente ai Padri Gesuiti, i Benedettini, i Preti dell’Oratorio ed altri in buon dato rivaleggiavano di scienza e di zelo, mentre le università, ricche di professori non meno distinti pel sapere che per la virtù, concorrevano alla restaurazione universale coronando, nelle loro dotte lezioni, l’edificio così fortemente concepito, in apparenza, del cattolico insegnamento. – Quale fu il risultato finale di quest’azione sì generale e sì ben combinata? Lo stesso che aveva ottenuto il fonditore di Firenze. Le generazioni erano state gettate nello stampo del paganesimo, e si ebbero generazioni pagane. Conforme alla grande legge che presiede alla vita umana, tali generazioni non tardarono a trasmettere ciò ch’esse avevano ricevuto, e il paganesimo straripò sull’ Europa. Pur troppo! sì, la storia, la triste storia lo dice: invece di rianimarsi, lo spirito cristiano andò indebolendosi, e indebolendosi soprattutto nelle classi letterate, fra le quali ei dovea, grazie allo zelo di tanti eccellenti maestri, risvegliarsi con novello vigore. La cosa procedette siffattamente, e tutti lo sanno, che alla fine del decimosettimo secolo e in principio del decimottavo, nulla vi era in tutta Europa meno cristiano di costumi e di credenze, che coloro che avevano il più largamente partecipato al pubblico insegnamento. – Che questi amari frutti siano stati, salvo forse un piccolo numero e dei meno cattivi, prodotti dall’albero pagano ripiantato in seno all’Europa e coltivato con tanta cura pel nutrimento della gioventù, un’osservazione di un altr’ordine lo conferma. Da un lato, le donne, nella cui educazione non entra, o non entra se non in ben piccola dose 1’elemento pagano, si sono sempre mostrate molto più cristiane degli «nomini: d’altra parte, le classi popolari, preservate dallo stesso flagello, rimasero fedeli alla fede antica e non divennero ostili alla religione se non sotto l’influsso due volte secolare, delle classi educate alla scuola dei Greci e dei Romani. – Fonditore di Firenze, né la tua arte né la tua intenzione possono cambiare la natura delle cose: sinché tu verserai i tuoi metalli in uno stampo di cavallo, tu avrai un cavallo. – Popoli d’Europa, sinché voi getterete la gioventù nello stampo del paganesimo, voi avrete generazioni pagane: né le vostre leggi sull’insegnamento, per quanto esser possano liberali, né l’ingegno dei vostri professori né le vostre intenzioni cambieranno in nulla la cosa. – Pensare l’opposto è un errore. Questo errore voi lo commetteste; lo commettete ogni giorno, da più di tre secoli: ecco il verme che vi rode. Tale è lo scioglimento del problema. – Per le formidabili conseguenze di cui essa minaccia il mondo europeo di presente, l’aberrazione che noi descrivemmo finì di divenire così evidente, che le persone le meno sospette di parzialità non possono trattenersi dallo indicarla ad alta voce. Sotto pena di una catastrofe inevitabile e forse fatale, essi scongiurano la società di mutare sistema. Basti riferire, fatta d’altronde ogni riserva, le parole così piene di buon senso d’un membro dell’Assemblea nazionale, in occasione dell’ ultima legge sull’insegnamento: « Dopo il principio di questa discussione, dice esso, l’Università e il Clero si rimandano le accuse come palle da schioppo. Voi pervertite la gioventù col vostro razionalismo filosofico, dice il Clero. Voi l’abbrutite col vostro dogmatismo religioso, risponde l’Università. Sopraggiungono i conciliatori, i quali dicono: la religione e la filosofia sono sorelle. Fondiamo insieme il libero esame e l’autorità. Università e Clero, voi avete avuto, ciascuno alla vostra volta, il monopolio; dividetelo e sia finita. – « Noi udimmo il venerabile vescovo di Langres apostrofare in tal guisa l’Università: « Siete voi che ci avete data la generazione socialista del 1848! ». – « Ed il signor Cremieux si affrettò a ritorcere l’apostrofe in questi termini; « Siete voi che avete educata la generazione rivoluzionaria del 1793 ». « Se vi ha del vero in somiglianti allegazioni, che se ne deve conchiudere? Che i due insegnamenti sono stati funesti non per ciò che li differenzia, ma per ciò che loro è comune. Sì, questa è la mia convinzione: vi è tra questi due generi di insegnamento un punto comune, cioè l’abuso degli studi classici, ed è con esso che Università e Clero han pervertito il giudizio e la moralità della nazione. Essi differiscono in quanto l’uno fa predominare l’elemento religioso, l’altra l’elemento filosofico; ma siffatti elementi, lungi dall’aver fatto quel male, come si rimproverano a vicenda, lo hanno attenuato. Noi dobbiamo loro di non essere così barbari come i Barbari proposti di continuo dal latinismo alla nostra imitazione. – « Mi si permetta un supposto un po’ forzato, ma che farà capire il mio pensiero. Suppongo dunque che in qualche luogo, agli antipodi, esista una nazione la quale, odiando e spregiando il lavoro, abbia fondato tutti i suoi mezzi d’esistenza sul saccheggio successivo di tutti i popoli vicini e sulla schiavitù. Questa nazione si è fatta una politica, una morale, una religione, una opinione pubblica conformi al principio brutale che la conserva e la sviluppa. La Francia avendo dato al Clero il monopolio dell’educazione, quando non trova di meglio a fare se non d’inviare tutta la gioventù francese da quel popolo a vivere della sua vita, ad inspirarsi dei suoi sensi, ad entusiasmarsi de’suoi entusiasmi, ed a respirare le sue idee come l’aria. Però, esso ha cura che ogni scolare parta munito d’un piccolo libro, chiamato l’Evangelio. Le generazioni in tal modo allegate ritornano nel suolo patrio; una rivoluzione scoppia: lascio pensare la parte ch’esse vi rappresentano. – « Il che vedendo, lo stato strappa al Clero il monopolio dell’insegnamento e lo rimette all’Università. Questa, fedele alle tradizioni, manda essa pure la gioventù agli antipodi presso il popolo saccheggiatore e possessore di schiavi, dopo averla però provvista d’un libriccino intitolato: Filosofia. Cinque o sei generazioni così educate hanno appena riveduto il suolo natio, che una seconda rivoluzione scoppia. Formate alla stessa scuola delle generazioni che le han precedute, esse se ne mostreranno le degne rivali. Allora viene la guerra tra i monopolisti. Il vostro libriccino è quello che ha fatto tutto il male, dice il Clero. È il vostro, risponde l’Università. «Eh! no, signori, i vostri libricini non entrano per nulla in tutto questo. Chi ha fatto il male, è la bizzarra idea, da voi due concepita ed eseguita, di mandare la gioventù francese, destinata al lavoro, alla pace, alla libertà, ad impregnarsi, ad imbeversi ed a saturarsi dei sensi e delle opinioni d’un popolo di banditi e di schiavi. Affermo questo, che le dottrine sovversive, alle quali si diede il nome di socialismo o di comunismo, sono il frutto dell’insegnamento classico, sia esso impartito dal Clero o dall’Università. Aggiungo che il baccalaureato imporrà per forza l’insegnamento classico anche a quelle pretese scuole libere che, dicesi, debbon sorgere dalla legge. – Ma sento gridare e dire: 1° voi siete troppo assoluto; il cambiamento di stampo, per rammentare la vostra espressione, non fu sì totale come voi dite; 2° quando ciò fosse, voi attribuite ad una semplice forma una esagerata influenza: ora, il paganesimo classico od il Rinascimento, non è altra cosa se non una forma nuova, data al pensiero; 3° ammettendo questa influenza, voi dovete riconoscere ch’essa era, se non assolutamente necessaria, per lo meno molto utile per trarre l’Europa dalla barbarie.
[1- Continua]