UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE IL MODERNISTA APOSTATA DI TORNO: Inscrutabile divinæ

Pio VI

Inscrutabile divinæ sapientiæ consilium, cuius semper mirabilia sunt opera, …

In questa lettera enciclica, il Santo Padre richiama i vescovi all’osservanza delle apostoliche disposizioni, in particolare riguardo alla scelta dei sacerdoti ed all’istituzione dei seminari. Richiama alla difesa della Fede cattolica ed alla vigilanza circa le idee e le filosofie prorompenti e dissacranti dei “liberali” che si erano infiltrare anche negli ambienti clericali dell’epoca, già percepite dal Pontefice essere la sorgente che avrebbe alimentato il fiumiciattolo dei novatori, diventato poi un mare magnum sfociato nelle attuali demenze modernistiche a-cattoliche madri di eresie pantagrueliche vergognosamente manipolate da infiltrati marrani che avranno buon gioco addirittura ad estromettere il Santo Padre (Gregorio XVII) insediando al suo posto una serie di antipapi, “fantocci”, giullari, buffoni e nani delle conventicole, che stanno dando l’idea di una Chiesa oramai allo sbando e da eliminare a vantaggio di un satanico ecumenismo interreligioso, partorito dalle retro logge, che come obiettivo ha l’eliminazione del Sacrificio redentivo di Cristo, Salvatore dell’umanità, per innalzare sugli altari simulacri, abomini pagani, culti rosacrociani ed oscenità obbrobriose, come già accaduto ad Assisi in tempi recenti con le lodi e gli applausi di beati ignari e di imbecilli asserviti e condizionati da falsi indottrinamenti di tanti Iscarioti, i “maestri menzogneri”, i “sapienti truffatori”, i sepolcri imbiancati in saio bianco, nero o marrone, in talare nera, rossa e bianca, molti dei quali stanno già godendo del loro posto “al calduccio” vicino al loro padre, il baphomet-lucifero da essi vergognosamente adorato. Ma ascoltiamo il Santo Padre, Pio VI, che richiama giustamente i prelati dell’epoca, richiami fatti propri oggi dai pochissimi Vescovi della Chiesa Cattolica, l’unica vera Chiesa di Cristo, fuori dalla quale non c’è salvezza, attualmente “eclissata” e nascosta in sotterranei o rifugi improvvisati. Ma quinto carattere della vera Chiesa di Cristo è la “persecuzione”, carattere più che mai attuale e che la distingue da ogni altra setta finto-cristiana o dai culti pagani di ogni risma.

“Inscrutabile divinæ sapientiæ consilium, cuius semper mirabilia sunt opera, …

.1. Il disegno imperscrutabile della divina sapienza, le opere della quale sono sempre meravigliose, come fra mille persone scelse Davide di modestissima origine, e dal gregge di pecore l’innalzò al trono della gloria a governare il suo popolo e a renderlo accetto a Dio con la verga del comando; allo stesso modo non disprezzò la Nostra bassezza, tanto che, sebbene ultimi fra tutti fossimo stati ammessi fra i padri porporati e tenessimo l’ultimo posto, tuttavia volle che Noi fra tutti gli altri, che pure apparivano più degni del diadema papale, avessimo ad assumere le funzioni di Pontefice, e, innalzati a così grande onore, avessimo a governare tutta la sua Chiesa. Quando, taciti e grati, consideriamo attentamente questa meravigliosa degnazione, e l’immensa bontà nei Nostri riguardi, non possiamo trattenerci dal pianto, riflettendo a questa misericordia così benefica e nello stesso tempo a questa onnipotenza, per la quale riversò così generosamente i suoi doni su colui nel quale non trovava nessun merito: mettendo Noi, deboli e immeritevoli, a capo delle genti perché, sostituendo in terra l’Eterno Pastore, pascolassimo la sua discendenza di fedeli e la guidassimo al sacro monte di Sion nella Gerusalemme Celeste. E poiché è assolutamente convenuto che il Nostro ossequio e l’offerta del Pontefice consacrato comincino innalzando lodi al Signore, non possiamo non erompere in voci di esultanza; confidando nel Signore, la Nostra bocca canti con il profeta (Sal 144,21) le lodi del Signore; e l’anima Nostra, lo spirito, la carne e la lingua benedicano il suo santo nome: “Se è segno di devozione gioire di un dono, è anche necessario essere dubbiosi del proprio merito. Che cosa infatti è più temibile della fatica imposta a chi è troppo debole, dell’elevazione a chi è troppo in basso, della dignità conferita a chi non la merita?” (San Leone M., Serm. I, cap. 2).

2. Chi non sarebbe terrorizzato per l’attuale condizione del popolo cristiano, in cui la divina carità, per la quale noi siamo in Dio, e Dio in noi, si raffredda sensibilmente, i delitti e le iniquità crescono di giorno in giorno? Chi non sarebbe angosciato alla tristissima considerazione che abbiamo assunto la custodia e la protezione della Chiesa, sposa di Cristo, in un’epoca in cui tante insidie minano la vera Religione, la sana regola dei sacri canoni è tanto sfacciatamente disprezzata, uomini agitati e furiosi, come per un’irrefrenabile smania di novità, non esitano ad attaccare le stesse basi della razionale natura e tentano persino – se lo potessero – di sovvertirle? Certamente, in mezzo a tanti motivi di trepidazione, non rimarrebbe in Noi nessuna speranza di servire utilmente, se non vegliasse e non vigilasse colui che protegge Israele e dice ai suoi discepoli: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla consumazione dei secoli; se non si degnasse non solo di essere custode delle pecore, ma anche pastore degli stessi pastori” (San Leone M., Serm. V, cap. 2).

3. Poiché i doni divini scendono abbondantissimi in Noi, soprattutto quando la Nostra preghiera sale a Dio, Ci rivolgiamo a voi, Venerabili Fratelli, Nostri collaboratori e consiglieri, chiedendovi quale prima cosa – in nome di quella carità per la quale siamo una sola cosa nel Signore, e di quella fede per la quale siamo uniti in un sol corpo – di non smettere di pregare quotidianamente Iddio, affinché Ci conforti con la potenza della sua virtù, effonda su di Noi lo spirito della saggezza e della forza, affinché – in mezzo a tante difficoltà delle cose e dei tempi – possiamo vedere ciò che dobbiamo fare e riusciamo a compierlo dopo che lo avremo visto. Pregate dunque in ispirito; e sia la vostra preghiera invocazione d’amore per Noi e prova irrefutabile di fraterna unione. E perché otteniamo più prontamente ciò che Ci è necessario, fate intercedere Maria, la Santissima Madre di Dio, nella protezione della quale abbiamo grandissima fiducia, e tutta la Celeste Curia; e specialmente implorate per Noi la protezione e l’aiuto del Beatissimo Apostolo Pietro “la sede del quale godiamo non tanto di occupare, quanto di servire, sperando che Per le sue preghiere il Dio di misericordia contemplerà benevolmente i tempi in cui dobbiamo esercitare il Nostro Ministero, e sempre si degnerà di proteggere e ristorare il pastore delle sue pecore” (San Leone M., Sermo V, cap. 5).

4. In verità, nello stesso inizio del Nostro apostolico servizio, da Noi assunto con tutto l’impegno di paterna carità di cui siamo capaci, Vi sollecitiamo, Venerabili Fratelli, e Vi esortiamo ad essere fedeli amministratori dei misteri di Dio. Voi, che partecipate del Signore, non ignorate che cosa dovete fare, quali fatiche dovete sostenere per la Chiesa di Dio per adempiere costantemente il vostro dovere. Pertanto Vi esortiamo e preghiamo di tener desta la grazia che Vi è stata data con l’imposizione delle mani, e di non trascurare niente di quel che riguarda l’incremento dell’amministrazione di quel corpo “che fu formato da Cristo e connesso in ogni giuntura” (Ef 4,16) in fede e in carità. Pertanto, poiché siamo abbastanza persuasi che il principale vantaggio della Chiesa deriva dal fatto che solo coloro che sono provati in tutto e per tutto sono ammessi a far parte della milizia clericale, non è necessario che Vi raccomandiamo la più diligente osservanza di ciò che a questo proposito è stabilito dalle leggi canoniche. Accesi di sollecito zelo, farete in modo che coloro che non dimostrano santità di costumi, non sono istruiti nella legge del Signore e nulla promettono di sé e della propria attività, non abbiano alcun accesso alla milizia ecclesiastica, affinché coloro che debbono porgervi le loro mani valide ad aiutarvi nel pascolare e guidare il gregge non aggiungano fatica alla Vostra fatica, molestia alle molestie, e non Vi siano d’impedimento a far sì che il Signore raccolga dai suoi coltivatori quei frutti che alla resa dei conti del futuro giudizio Gesù Cristo, severissimo e giustissimo giudice, pretenderà da Voi. È necessario che il futuro sacerdote si segnali per santità e dottrina. Infatti, Dio respinge da sé, né vuole che siano suoi sacerdoti, coloro che hanno rifiutato la scienza, né può essere operaio idoneo al raccolto chi alla pietà dei costumi non ha unito l’amore per la scienza. Poiché il sacerdote ha bisogno di un’accurata istruzione, fu opportunamente decretato che in ogni Diocesi, secondo le possibilità, si istituisse, ove mancasse, un collegio di chierici, e, una volta istituito, lo si mantenesse con ogni cura. Se infatti, fin dai più teneri anni non si forma alla pietà e alla religione, e non si fa esercitare nella letteratura la gioventù, per sua natura incline a prendere una cattiva strada, in che modo potrà avvenire che perseveri santamente nella disciplina ecclesiastica, o che compia negli studi umanistici e sacri quei progressi che il ministero della Chiesa esige quale esempio per il popolo dei fedeli? Siamo certi che tali collegi sono stati regolarmente istituiti, santamente e diligentemente conservati con le vostre cure, muniti di leggi idonee e ampliati nelle singole Diocesi, specialmente dopo che il Nostro Predecessore Benedetto XIV, d’imperitura memoria, raccomandò caldamente a ciascuno di voi tale opera (Enciclica Ubi primum, 3 dicembre 1740), assolutamente necessaria per la dignità che ricoprite. Pertanto, come non possiamo privare della pubblica lode Apostolica le rilevanti fatiche e la diligenza profusa nel curarli e nell’accrescerli, così, se per caso in qualche Diocesi o non fossero stati ancora istituiti, o fossero trascurati, non possiamo non sollecitare vibratamente coloro cui spetta, ed anche comandare loro affinché si sforzino con tutti i mezzi per una cosa tanto utile.

5. Per la stessa ragione non si può temere che Voi non attendiate sempre, con la più grande sollecitudine a ciò che, ordinariamente, commuove maggiormente i fedeli ed eccita il loro rispetto per le cose sacre, ossia per il decoro della casa di Dio e lo splendore di ciò che si riferisce al culto divino. Quale contrasto sarebbe incontrare più pulizia ed eleganza nel palazzo episcopale che non nella casa del Sacrifizio, nell’asilo della santità, nel palazzo del Dio vivente! Quale controsenso sarebbe vedere i paramenti sacri, gli ornamenti degli altari e tutta la suppellettile, polverosi per vecchiaia, cadere a pezzi, o far mostra di un vergognoso sudiciume, mentre la tavola episcopale fosse sontuosamente adorna, ed i vestiti del sacerdote eleganti! – “Che vergogna e che infamia – come ha detto così bene San Pier Damiani – è pensare che certuni presentano il Corpo del Signore avvolto in un panno sporco, e non temono di adoperare per deporre il Corpo del Salvatore un recipiente che un potente della terra, che non è che un vermiciattolo, non si degnerebbe di avvicinare alle proprie labbra!” (Libro IV, epist. 14, tomo I, Roma 1606). – Quanto a Voi, Venerabili Fratelli, Noi Vi giudichiamo ben lontani da questa negligenza, di cui si rendono soprattutto colpevoli, secondo quanto dice lo stesso santo Cardinale, quelli che, con le rendite della Chiesa, “non comprano dei libri, né procurano ornamenti o suppellettili per la loro Chiesa“, ma non si vergognano di spendere tutto per il loro uso, come se si trattasse di “spese necessarie“.

6. Abbiamo quindi reputato non inutile, Venerabili Fratelli, parlarvi affettuosamente di queste cose, a conferma della vostra ottima volontà. Ma qualcosa di molto più grave esige un Nostro discorso, e addirittura chiede in abbondanza le Nostre lacrime: trattasi di quel morbo pestilenziale che la malvagità dei nostri tempi ha generato. Unanimi, riunendo tutte le nostre forze, apprestiamo la medicina necessaria affinché, per Nostra negligenza, tale peste non cresca nella Chiesa, fino a diventare incurabile. Sembra infatti che in questi giorni sovrastino quei “tempi pericolosi” che profetizzò l’Apostolo Paolo, nei quali “gli uomini ameranno se stessi, saranno tronfi di superbia, bestemmiatori, traditori, amanti dei piaceri più che di Dio, sempre in atto di imparare e non mai in grado di possedere la conoscenza della verità, non privi di una specie di religione, ma rifiutando di riconoscerne il valore, corrotti d’animo e assolutamente riprovevoli per quel che riguarda la fede” (2Tm 3,3-5). – Questi si erigono a maestri “assolutamente menzogneri“, come li chiama il principe degli Apostoli, Pietro, e introducono principi di perdizione; negano quel Dio che li riscattò, procurando a se stessi una celere rovina. Dicono di essere sapienti, e sono invece diventati stolti; oscurato e insipiente è il loro cuore. – Voi stessi, che siete stati posti quali scrutatori nella casa d’Israele, vedete chiaramente quanti trionfi consegua ovunque quella filosofia piena d’inganni, che sotto un nome onesto nasconde la propria empietà, e con quanta facilità tragga a sé ed alletti tanti popoli. Chi potrà dire dell’iniquità dei dogmi e degl’infami vagheggiamenti che tenta d’insinuare? Questi uomini, mentre vogliono far credere che cercano la sapienza, “poiché non la cercano nel modo giusto, cadranno“; inoltre “incorrono in errori così grandi, che non riescono nemmeno a disporre della sapienza comune” (Lattanzio, Divine istituzioni, lib. III, cap. 28, Parigi 1748). Arrivano addirittura al punto di dichiarare empiamente o che Dio non esiste, o che è ozioso e scioperato, che non si cura per niente di noi, e che non rivela nulla agli uomini. Perché non ci si debba meravigliare se qualcosa è santo o divino, blaterano che ciò è stato inventato ed escogitato dalla mente di uomini inesperti, preoccupati dell’inutile timore del futuro, allettati dalla vana speranza dell’immortalità. – Ma codesti sapienti truffatori addolciscono ed occultano l’immensa perversità dei loro dogmi con parole ed espressioni così allettanti, che i più deboli – che sono la maggioranza – come presi dall’esca, irretiti in modo penoso, o abiurano completamente la fede, o la lasciano vacillare in gran parte, mentre seguono qualche conclamata dottrina ed aprono gli occhi verso una falsa luce che è più dannosa delle stesse tenebre. Senza dubbio il nostro nemico, desideroso e capace di nuocere, come assunse le sembianze del serpente per ingannare i primi uomini, così armò le lingue di costoro, lingue certamente bugiarde, dalle quali il Profeta (Sal 119) chiede che sia liberata l’anima sua: dal veleno di quella falsità che costituì l’arma per sedurre i fedeli. Così, costoro con le loro parole “s’insinuano umilmente, catturano dolcemente, discutono delicatamente e uccidono segretamente” (San Leone M., Serm. XVI, cap. 3). Conseguentemente, quanta corruzione di costumi, quanta licenziosità nel pensare e nel parlare, quanta arroganza e temerità in ogni azione!

7. In verità, questi perversi filosofi, sparse queste tenebre e strappata dai cuori la religione, cercano oltretutto di far sì che gli uomini sciolgano tutti quei legami dai quali sono uniti fra di loro e ai loro sovrani con il vincolo del loro dovere; essi proclamano fino alla nausea che l’uomo nasce libero e non è soggetto a nessuno. Quindi la società è una folla di uomini inetti, la stupidità dei quali si prosterna davanti ai sacerdoti (dai quali sono ingannati) e davanti ai re (dai quali sono oppressi), tanto è vero che l’accordo fra il sacerdozio e l’impero non è altro che una immane congiura contro la naturale libertà dell’uomo. Chi non vede che tali follie, e altre consimili coperte da molti strati di menzogne, recano tanto maggior danno alla tranquillità e alla quiete pubblica quanto più tardi viene repressa l’empietà di siffatti autori? E che tanto più danneggiano le anime, redente dal sangue di Cristo, quanto più si diffonde, simile al cancro, la loro predicazione, e s’introduce nelle pubbliche accademie, nelle case dei potenti, nei palazzi dei re e s’insinua – orribile a dirsi – persino negli ambienti sacri?

8. Perciò voi, Venerabili Fratelli, che siete il sale della terra, i custodi e i pastori del gregge del Signore e che dovete combattere le battaglie del Signore, sorgete, armatevi della vostra spada, che è la parola di Dio. Cacciate dalle vostre terre l’iniquo contagio. Fino a quando terremo nascosta l’ingiuria recata alla fede comune e alla Chiesa? Consideriamoci stimolati, come dal gemito della dolorante sposa di Cristo, dalle parole di Bernardo: “Una volta fu predetto, e ora è venuto il tempo dell’adempimento. Ecco, nella pace, la mia amarissima amarezza; amara prima per la strage dei martiri, più amara poi per le lotte degli eretici, e amarissima ora per i costumi privati… Interna è la piaga della Chiesa; perciò nella pace la mia amarezza è amarissima. Ma quale pace? Vi è la pace e la non pace. Pace per quel che riguarda i pagani e gli eretici, ma non certamente per quel che riguarda i figli. In questo tempo c’è la voce di qualcuno che piange: Nutrii i figlioli, e li innalzai; ma essi mi disprezzarono. Mi disprezzarono e m’insozzarono con la loro turpe vita, coi loro turpi guadagni e commerci, infine con il loro peregrinante operare nelle tenebre” (Serm. XXXIII, n. 16, tomo IV, Parigi 1691). Chi non si commuoverebbe di fronte a questi lacrimosi lamenti della piissima madre e non si sentirebbe spinto irresistibilmente a prestare tutta la propria attività e la propria opera, come con decisione promise alla Chiesa? Purgate dunque i vecchi fermenti, eliminate il male che è in mezzo a voi; cioè con grande energia ed impegno allontanate i libri avvelenati dagli occhi del gregge; isolate prontamente e con decisione gli animi infetti, affinché non siano di nocumento agli altri. “Infatti – diceva il santissimo Pontefice Leone – non possiamo guidare le persone che ci sono state affidate se non perseguiteremo con lo zelo della fede nel Signore coloro che rovinano e sono perduti, e se non isoliamo con tutta la severità possibile coloro che sono sani di mente, affinché la peste non si diffonda maggiormente(Epistole VII, VIII ai Vescovi italiani, cap. 2). – Vi esortiamo, vi supplichiamo e vi ammoniamo a compiere ciò, perché come nella Chiesa vi è una sola fede, un solo Battesimo e un solo spirito, così l’animo di tutti voi sia uno solo, e la concordia fra voi sia una sola, e unico lo sforzo. Se sarete uniti nelle istituzioni, lo sarete anche nella virtù e nella volontà. Si tratta di cosa della massima importanza, poiché si tratta della fede cattolica, della purezza della Chiesa, della dottrina dei Santi, della tranquillità del governo, della salute dei popoli. Si tratta di ciò che spetta a tutto il corpo della Chiesa, di ciò che soprattutto tocca a voi, che siete i pastori chiamati a partecipare alle Nostre preoccupazioni e in particolar modo alla vigilanza sulla purezza della fede. “Pertanto ora, fratelli, poiché voi siete i Vescovi nel popolo di Dio e da voi dipende l’anima dei fedeli, innalzate i loro cuori alle vostre parole” (Gdt 8,21), affinché rimangano fermi nella fede e possano raggiungere quella pace che notoriamente è stata preparata solo per i credenti. – Pregate, persuadete, sgridate, strepitate, non temete; un silenzio indifferente lascia nell’errore coloro che potevano essere istruiti: in un errore dannosissimo per loro e per voi, cui competeva il dovere di eliminarlo. La Santa Chiesa tanto più si rafforza nella verità quanto più ardentemente si lavora per la verità; non temete, in questa divina fatica, la potenza o l’autorità degli avversari. Sia lontano il timore dal Vescovo, che l’unzione dello Spirito Santo rinvigorì; sia lontano il timore dal pastore, al quale il Principe dei pastori insegnò con il suo esempio a disprezzare la vita per la salute del gregge; sia lontana dal petto del Vescovo l’abbietta demenza del mercenario. – Secondo il suo costume, il Nostro Predecessore Gregorio Magno insegnando ai capi delle Chiese diceva egregiamente: “Spesso i capi frivoli, temendo di perdere il consenso delle persone, hanno paura di dire liberamente le cose giuste e di parlare secondo la voce della verità, e si dedicano alla custodia del gregge non già con l’impegno dei pastori ma secondo il comportamento dei mercenari; se viene il lupo fuggono e si nascondono silenziosamente… Infatti, per il pastore, dire che ha temuto il bene o che è fuggito tacendo, che differenza fa?” (Liber regulae pastoralis, 11, cap. 4, tomo II). Se l’infame nemico del genere umano, per contrastare il più possibile i vostri tentativi, qualche volta si adopererà a che la peste del male avanzante sia nascosta fra le gerarchie religiose del secolo, vi prego di non perdervi d’animo, ma di camminare nella casa di Dio con l’accordo, la preghiera e la verità che sono le armi della Nostra milizia. – Ricordatevi che al contaminato popolo di Giuda nulla sembrò più adatto alla propria purificazione che la promulgazione – davanti a tutti, dal più piccolo al più grande – del Libro della Legge che il sommo sacerdote Elia aveva trovato poco prima nel tempio del Signore; e subito, con il consenso di tutto il popolo, eliminato quanto era abominevole, “alla presenza del Signore fu concluso un patto in forza del quale il popolo avrebbe seguito il Signore, avrebbe custodito i suoi precetti, le sue leggi e i riti relativi con tutto il cuore e con tutta l’anima“. Nello stesso spirito Giosafatte mandò i sacerdoti e i leviti con il Libro della Legge in giro per le città di Giuda, perché istruissero il popolo (2Cr 17,7ss). – Alla vostra fede, Venerabili Fratelli, per autorità non umana ma divina, è affidata la diffusione della parola divina; riunite dunque il popolo e annunciategli il Vangelo di Gesù Cristo; da quel divino cibo, da quella celeste dottrina fate derivare il succo della vera filosofia per il vostro gregge. Persuadete i sudditi che occorre conservare la fede e tributare ossequio a coloro che in forza dell’ordinazione divina presiedono e comandano. – A coloro che sono addetti al ministero della Chiesa date esempi di fede, affinché possano piacere a colui che li esamina e preferiscano soltanto ciò che è serio, moderato e pieno di religione. Soprattutto, poi, accendete negli animi di tutti il fuoco della vicendevole carità, che tanto spesso e tanto particolarmente Cristo Signore raccomandò e che è la sola tessera di riconoscimento dei cristiani, e vincolo di perfezione.

9. Sono queste, Venerabili Fratelli, le cose delle quali desideravamo in particolare parlarvi in nome del Signore, e che vi chiediamo di compiere con grande impegno e somma cura, affinché possiamo sperimentare quanto sia gioioso essere uniti, tutti Noi, nel conservare fedelmente il deposito affidato alla Nostra custodia. Ma a causa dei nostri peccati non potremo conseguire tali cose se non Ci verrà anticipata la misericordia del Signore, che Ci prevenga con la sua benedizione. Pertanto, affinché la Nostra comune preghiera giunga più rapidamente a Lui ed Egli sia riconciliato con Noi ed aiuti la Nostra debolezza, mentre mandiamo questa Lettera a voi, ne pubblichiamo un’altra con la quale concediamo il Giubileo a tutti i Cristiani, sperando in Colui che è compassionevole e misericordioso, tanto che diede a Noi la potestà in terra di legare e sciogliere, per l’edificazione del suo corpo. – Così Egli elargisca salute a voi e alle vostre greggi, affinché, sempre immuni da qualsiasi errore, possiate progredire di virtù in virtù. Ciò è quanto chiediamo con tutta l’anima, mentre impartiamo con molto affetto l’Apostolica Benedizione a Voi e ai popoli affidati alle vostre cure.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 25 dicembre 1775, anno primo del Nostro Pontificato.

II DOMENICA dopo PASQUA

Introitus Ps XXXII:5-6. Misericórdia Dómini plena est terra, allelúja: verbo Dómini coeli firmáti sunt, allelúja, allelúja.

[Della misericordia del Signore è piena la terra, allelúia: la parola del Signore creò i cieli, allelúia, allelúia.]

Ps XXXII: 1. Exsultáte, justi, in Dómino: rectos decet collaudátio. [Esultate, o giusti, nel Signore: ai buoni si addice il lodarlo.]

V. Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto. – R. Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, et in saecula saeculórum. Amen Misericórdia Dómini plena est terra, allelúja: verbo Dómini coeli firmáti sunt, allelúja, allelúja [Della misericordia del Signore è piena la terra, allelúia: la parola del Signore creò i cieli, allelúia, allelúia.]

Oratio

V. Dóminus vobíscum. R. Et cum spiritu tuo. Orémus. Deus, qui in Filii tui humilitate jacéntem mundum erexísti: fidelibus tuis perpétuam concéde lætítiam; ut, quos perpétuæ mortis eripuísti casibus, gaudiis fácias perfrui sempitérnis.

[O Dio, che per mezzo dell’umiltà del tuo Figlio rialzasti il mondo caduto, concedi ai tuoi fedeli perpetua letizia, e coloro che strappasti al pericolo di una morte eterna fa che fruiscano dei gàudii sempiterni].

Per eundem Dominum nostrum Jesum Christum filium tuum, qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti, Deus, per omnia saecula saeculorum. R. Amen.

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Petri Apóstoli. 1 Petri II:21-25 Caríssimi: Christus passus est pro nobis, vobis relínquens exémplum, ut sequámini vestígia ejus. Qui peccátum non fecit, nec invéntus est dolus in ore ejus: qui cum male dicerétur, non maledicébat: cum paterétur, non comminabátur: tradébat autem judicánti se injúste: qui peccáta nostra ipse pértulit in córpore suo super lignum: ut, peccátis mórtui, justítiæ vivámus: cujus livóre sanáti estis. Erátis enim sicut oves errántes, sed convérsi estis nunc ad pastórem et epíscopum animárum vestrárum. [Caríssimi: Cristo ha sofferto per noi, lasciandovi un esempio, affinché camminiate sulle sue tracce. Infatti Egli mai commise peccato e sulla sua bocca non fu trovata giammai frode: maledetto non malediceva, maltrattato non minacciava, ma si abbandonava nelle mani di chi ingiustamente lo giudicava; egli nel suo corpo ha portato sulla croce i nostri peccati, affinché, morti al peccato, viviamo per la giustizia. Mediante le sue piaghe voi siete stati sanati. Poiché eravate come pecore disperse, ma adesso siete ritornati al Pastore, custode delle ànime vostre]. R. Deo gratias.

Omelia

II DOMENICA DOPO PASQUA

[Bonomelli, Om. Vol II, XVII]

Queste poche sentenze si leggono nella prima lettera di S. Pietro. Voi dovete sapere che del Principe degli Apostoli ci rimangono soltanto due lettere, la seconda brevissima, che sono, come potete bene immaginare, un vero tesoro di dottrina sacra. La prima lettera fu scritta da S. Pietro in Roma, allorché si trovava colà con Marco, suo interprete e scrittore del Vangelo che porta il suo nome, dopo la fuga dal carcere di Gerusalemme, narrata nel capo XII degli Atti apostolici. La lettera fu scritta circa dodici anni dopo l’Ascensione di nostro Signore, e indirizzata alle varie Chiese già stabilite nell’Asia Minore, nelle provincie del Ponto, della Galazia, della Cappadocia e della Bitinia. – L’argomento di questa lettera, somigliantissima in ogni cosa a quella di S. Paolo ai Romani ed agli Efesini, è pratico e semplicissimo. Egli esorta i nuovi credenti, la maggior parte dei quali doveva essere di Ebrei convertiti poc’anzi, ad informare la loro vita secondo i principii del Vangelo, incoraggiandoli a tollerare l’odio, le vessazioni e le persecuzioni colla speranza del premio e a ricambiare i tristi, i nemici colla carità affine di guadagnarli. Premesse queste comuni, ma non inutili osservazioni, è da venire alla interpretazione dei cinque versetti, che sopra vi ho riportati; S. Pietro nei versetti, che precedono, con l’affetto d’un padre amorosissimo esorta quei novelli cristiani, usciti dal mosaismo e dal paganesimo, a nutrirsi, come bambini, del latte della divina parola, a star fermi sulla pietra fondamentale, che è Cristo, a raffrenare le cupidigie, e con una santa vita a guadagnare i pagani; poi ricorda loro il dovere di vivere sottomessi alle podestà della terra: eccita i servi ad ubbidire ai padroni anche cattivi e, se è necessario, a gloriarsi di soffrire ingiustamente. A questo punto pervenuto colle sue esortazioni, S. Pietro, come S. Paolo, mette innanzi ai suoi cari, il grande, l’eterno, l’incomparabile modello di tutte queste virtù, che è Gesù Cristo, e così continua: “Gesù Cristo ha patito per noi, lasciandovi esempio, affinché seguitiate le sue orme”. È egli possibile, o cari, vivere sulla terra ed esercitare la virtù senza patire nel corpo e nello spirito, dal mondo, dai nemici e da noi stessi? No: vivere ed esercitare la virtù vuol dire lottare, e per conseguenza soffrire: chi pensa altrimenti si inganna ad occhi aperti. Ora Iddio, per nostro conforto ed ammaestramento, volle che il Figliuol suo Gesù Cristo ci camminasse innanzi per l’aspra via; Egli ha patito, e più di tutti gli uomini, ed ha patito, non per sé, ma sì per noi, soddisfacendo per noi alla divina giustizia. È questo il primo scopo della Passione e morte di Gesù Cristo, pagare il prezzo dovuto pel nostro riscatto. Noi eravamo colpevoli: ai colpevoli è dovuta la pena, perché la giustizia lo vuole: al nostro luogo si mette l’amabile Gesù, e quella pena, che doveva cadere sopra di noi, cade sopra di Lui, come disse sì bene Isaia: “Disciplina pacis nostra, super eum,” onde il suo patire affranca noi. – Ma la Passione e la morte di Gesù Cristo ha un altro scopo strettamente congiunto al primo, ed è quello di darci esempio nel cammino della Croce. Esortare, incoraggiare altri colla parola a correre animosamente la gran via della croce, è bella e santa cosa, ma facile: mettersi per essa e percorrerla è opera assai più difficile, ma più efficace, e Gesù Cristo la volle compire. Vedetelo: Egli soffre nel corpo, cominciando dalla culla alla tomba: soffre il freddo, il caldo, la fame, la fatica nell’officina, nei viaggi della sua vita pubblica: soffre la povertà e tutto ciò che necessariamente va congiunto colla povertà: soffre le percosse, i flagelli, in una parola, la morte di croce. Ma i dolori del corpo sono ben poca cosa in confronto di quelli che soffre nello spirito. Egli è Dio e l’anima di Gesù, rischiarata perennemente dai fulgori della divinità, vede ogni cosa con perfetta certezza e chiarezza: occhio umano non vide, né vedrà mai più addentro le cose divine ed umane dell’occhio di Gesù. Egli vede l’ignoranza degli uomini, le loro colpe, la malignità dei suoi nemici, le iniquità tutte, che allagano la terra: vede il passato, il presente, il futuro: vede la rovina di tante anime, opera delle sue mani, e per le quali immola se stesso: vede la gloria del Padre suo conculcata: vede la propria dignità e maestà di Figlio di Dio disconosciuta, calpestata. Qual dolore! quale strazio pel suo cuore! Dolore e strazio tanto più crudele ed atroce in quanto che nessuno lo comprende e pochissimi lo raddolciscono, ed Egli è costretto a divorarlo in silenzio: Gesù è veramente l’uomo dei dolori! l’uomo dei dolori continui, intimi, ineffabili nel corpo e nello spirito, e come tale Egli raccoglie sopra di sé gli occhi di tutta questa immensa progenie di Adamo, che va incessantemente dolorando in questa via di esilio e, Lui rimirando, si conforta e apprende come ha da patire. Ah fratelli miei! Se allorché il dolore si aggrava sopra di noi e quasi ci schiaccia non avessimo dinanzi agli occhi questo Gesù l’uomo dei dolori, il re dei martiri, che sarebbe di noi? Rimirar Lui santo, innocentissimo, eppure saziato di obbrobri, agonizzante sulla croce, è sentirci confortati a correre la via dei patimenti, ch’Egli ha segnato col suo sangue! Sappiamo per fede che “Gesù non fece peccato alcuno, né sulle sue labbra fu mai trovata frode.” Con questa osservazione san Pietro rincalza la verità. Noi tutti soffriamo più o meno, ma nessuno di noi soffrirà mai come Gesù Cristo; è già un argomento efficacissimo ad imitarLo: ma vi è di più. Noi soffriamo e alcune volte soffriamo assai. Ma chi siamo noi? Povere creature, e Gesù è il Figlio di Dio! Quale confronto! Non basta: noi soffriamo e sia pure moltissimo. Chi siamo noi? Non solo povere creature, ma peccatori, e se poniamo sulla bilancia da una parte i nostri dolori, e dall’altra i nostri peccati, troviamo che questi di gran lunga superano quelli, e che se Iddio volesse proporzionare i dolori ai peccati nostri, noi ne saremmo certamente schiacciati. Eppure, Gesù che sofferse quel cumulo di dolori atrocissimi, che dicemmo, era santo, innocente, immacolato: ombra di colpa non fu mai, né poteva essere in Lui, perché l’Uomo-Dio non può peccare. Quale incoraggiamento per noi a patire, avendo innanzi agli occhi tanto modello, per noi rei di tante colpe e meritevoli d’ogni supplizio! – Né qui si ferma il Principe degli Apostoli. Dopo d’aver confortati noi peccatori a patire coll’esempio di Gesù innocentissimo, tocca del modo con cui Gesù patì, e in questo pure vuole che ci modelliamo sopra di Lui. “Gesù oltraggiato, non oltraggiava; soffrendo, non minacciava.” Con queste parole il sacro Scrittore credo abbia voluto abbracciare tutta la vita di Gesù, senza alludere a qualche fatto particolare: Gesù fu crudelmente oltraggiato allorché i Giudei più volte e pubblicamente lo dissero amico dei pubblicani e dei peccatori, bevitore, samaritano, posseduto dal demonio, eccitatore di tumulti, nemico di Cesare, malfattore, seduttore, bestemmiatore, peggiore d’un ladrone e d’un omicida; eppure Gesù a tanti insulti, a sì sanguinose ingiurie non oppose che il silenzio e risposte piene di dignità e di mansuetudine: a chi Lo straziava non fece minacce, ma come agnello si lasciò condurre alla morte. Ecco come pativa Gesù, l’innocentissimo Gesù, ed ecco come dobbiamo patire noi pure. Ma che avviene, o cari? che vediamo noi? che facciamo? Troppo spesso alla più lieve offesa, e forse non sempre immeritata, ci risentiamo, leviamo alti lamenti, mettiamo a rumore il vicinato, gridiamo, strepitiamo, vogliamo giustizia, sbuffiamo d’ira, rompiamo in insulti e, non piaccia a Dio, in bestemmie, in imprecazioni! Oh come abbiamo bisogno di meditare il divino modello, Gesù Cristo, che oltraggiato, non oltraggiava, soffrendo, non minacciava! Come è bella, nobile e degna di ammirazione la calma tranquilla e dignitosa del cristiano in faccia a chi lo offende ed insulta! La pazienza e la carità non vietano che domandiamo giustizia e riparazione delle offese ricevute, e in certi casi può essere un dovere l’esigerla, ma è sempre indegno del cristiano rispondere coll’ingiuria all’ingiuria, colle invettive alle invettive. S. Pietro, proseguendo a parlare del supremo nostro modello, Gesù Cristo, dice: “Gesù si rimetteva in mano di colui che Lo giudicava ingiustamente.” Ponete mente, o dilettissimi, a queste parole: “Gesù si rimetteva in mano di colui che Lo giudicava ingiustamente.” Esse vi dicono, che Gesù Cristo patì e morì, non forzatamente, ma liberamente: Egli stesso si diede in mano de’ suoi nemici, incatenò, se posso dirlo, la sua onnipotenza, e lasciò che facessero ogni lor volere della propria Persona. L’aveva detto in termini Gesù Cristo: “Io metto l’anima mia per ripigliarla: niuno me la toglie, ma la do da me stesso, ed ho potere di darla e di ripigliarla” (Giov. x, 15 seg.). Non poteva più chiaramente affermare la sua libertà di patire e non patire, di morire e non morire. E invero: se Gesù Cristo non fosse stato perfettamente libero e di patire e di morire, non sarebbe stato perfetto uomo, la sua Passione non avrebbe avuto merito alcuno e sarebbe stato ridicolo il proporlo a noi come esempio da seguire. Chi è colui, in balia del quale Gesù si diede e che Lo giudicò ingiustamente? Accennandosi qui un giudice ingiusto, in singolare, che pronunciò sentenza contro Gesù Cristo, sembra fuor di dubbio che questi sia Pilato. E’ vero, Lo giudicarono Anna, Caifa, i capi del popolo, Erode, e Lo giudicarono ingiustissimamente; ma di quelli, ancorché più colpevoli, S. Pietro non si cura, perché la loro sentenza non poteva essere eseguita, se quella di Pilato non si aggiungeva: onde fu la sua che trasse a morte Gesù Cristo, e perciò di lui particolarmente si parla. — Gesù si commise alla mercé di Pilato, giudice straniero e pagano: in lui riconobbe un potere, che veniva dall’alto (S. Giov. XIX, 11), ancorché ingiustamente ne usasse. – Apprendiamo, o cari, da queste parole di S. Pietro non solo a rispettare l’autorità, in chiunque essa risieda, ma eziandio a soffrire ingiustizie, se questa ce le fa soffrire. Chi mai sulla terra soffrì ingiustizia più scellerata di quella, che Gesù Cristo sofferse da Pilato? Riconosciuto innocente, flagellato, coronato di spine e condannato alla croce: eppure Egli si diede nelle sue mani, limitandosi a dirgli: “Chi mi ha dato nelle tue mani è reo di maggior peccato, perché lo faceva per odio. – Soffrire l’ingiustizia non è approvarla, e noi possiamo bene rispettare l’autorità e condannare i suoi abusi. Lo so, ciò è difficile, perché l’ingiustizia, che si soffre dalla autorità, è congiunta con essa per forma che ai nostri occhi sembra formare con essa una sola cosa: ma pure è necessario non confondere queste due cose se non vogliamo renderci colpevoli. Voi avete o aveste i vostri genitori: l’autorità paterna e materna, che dopo la divina è la prima, era ed è in essi e voi la rispettaste e la rispettate. Se, per sventura vi fosse stato o vi fosse abuso in loro, qual era e quale sarebbe il vostro dovere? Avreste voi il diritto di disconoscerla? Giammai. Voi potreste e dovreste riprovare in cuor vostro l’abuso della loro autorità, ma rispettarla sempre, perché essa è cosa divina. Ragguagliata ogni cosa, è ciò che dobbiamo fare con qualunque autorità, allorché vien meno a se stessa. Nell’antica legge il sommo sacerdote, una volta all’anno, compiva il rito solenne del capro emissario: egli poneva le mani sul suo capo, confessava i peccati suoi e del popolo, e li poneva sul capro, e questo era abbandonato nel deserto (Levit. XVI, 21). Qui S. Pietro accenna a quel rito misterioso, che adombrava Gesù Cristo, il quale tolse sopra di sé, volontariamente i peccati di tutti gli uomini, li portò sulla croce e nel suo corpo, ossia nei patimenti del suo corpo, e nel sangue che sparse li espiò e li cancellò. Egli è il vero Giacobbe, che si copre della pelle del capretto, anzi è il vero capro emissario, che carico dei delitti del mondo [Non è necessario avvertire che più volte nelle Scritture la parola peccato è presa non a significare il reato, il disordine morale, ma l ‘effetto del peccato, che è la pena. Qui si dice che Gesù Cristo portò i peccati nostri sulla croce, nel suo corpo, cioè portò sulla croce ed espiò la pena dovuta al peccato.], esce dal mondo, è sollevato sull’alto della croce, muore come reietto, anzi come maledetto, e in sé riconcilia il cielo e la terra, secondo la frase di san Paolo. Allorché Gesù morì per noi sull’albero della croce e nel suo sangue spense il peccato, noi fummo sciolti dal giogo del peccato stesso, fummo come morti ad esso, e cominciammo a vivere alla giustizia risanati dalle sue lividure. Spieghiamoci meglio. Un uomo è condannato alla morte: un altro uomo innocente, mosso a pietà di lui, si offre a morire in suo luogo: la morte dell’uno è la vita dell’altro: il colpevole, compiuta la giustizia, cessa d’essere colpevole, è riabilitato, è giusto: egli è come morto ai suoi delitti, rivive alla virtù, all’onestà, alla giustizia. Il colpevole è ciascuno di noi; Gesù Cristo si offre a pagare per noi, paga col suo sangue, ed eccoci riabilitati, giustificati, risanati colle sue lividure. – S. Pietro dopo aver messo innanzi agli occhi dei suoi figliuoli il sommo modello dell’amore e del perdono, Gesù Cristo, chiude la sua esortazione, rivolgendo loro queste bellissime parole: ” Voi eravate come pecorelle smarrite: ma ora vi siete rivolte al pastore e al vescovo delle anime vostre.” Voi, pochi anni or sono, eravate ancora Giudei e Gentili; correvate le vie dell’errore: eravate simili a quelle povere agnelle, che si allontanano dall’ovile, ai smarriscono nei fitto d’un bosco o nella immensità del deserto, e che ad ogni istante possono essere sbranate dalle belve feroci: Dio ebbe pietà di voi: vi chiamò, colla sua grazia vi trasse dolcemente a sé, e voi ubbidiste, vi rivolgeste a Lui, al pastore, al Vescovo delle anime vostre. — Gesù Cristo è il Pastore delle anime in quanto le guida ai pascoli della vita, le difende dai lupi che le insidiano: è vescovo [Vescovo “Episcopus”, significa propriamente chi sovraintende ad altri in qualunque ufficio: ora si usa esclusivamente per indicare il Vescovo, il maggiore dei gradi gerarchici], cioè veglia sopra di loro, le regge, le custodisce. Egli fu Pastore e Vescovo degli Apostoli e dei discepoli, dei credenti, finché visse mortale sulla terra, ed è Pastore e Vescovo sempre nella persona di quelli che continuano l’opera sua attraverso ai secoli. Queste parole di agnelle, di pastore e di vescovo richiamano alla nostra memoria i doveri che tutti abbiamo, io vostro pastore, voi agnelle dell’ovile di Cristo. A me i doveri di ammaestrarvi e di camminare innanzi a voi coll’esempio d’una vita irreprensibile: a voi di ascoltarmi e seguirmi: adempiamoli fedelmente e tutti dal Principe dei pastori, dal Vescovo dei vescovi, avremo la nostra mercede.

Alleluja

Allelúja, allelúja Luc XXIV:35. Cognovérunt discípuli Dóminum Jesum in fractióne panis. Allelúja [I discepoli riconobbero il Signore Gesú alla frazione del pane. Allelúia]. Joannes X:14. Ego sum pastor bonus: et cognósco oves meas, et cognóscunt me meæ. Allelúja. [Io sono il buon Pastore e conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me. Allelúia.]

Evangelium

Munda cor meum, ac labia mea, omnípotens Deus, qui labia Isaíæ Prophétæ cálculo mundásti igníto: ita me tua grata miseratióne dignáre mundáre, ut sanctum Evangélium tuum digne váleam nuntiáre. Per Christum, Dóminum nostrum. Amen. Jube, Dómine, benedícere. Dóminus sit in corde meo et in lábiis meis: ut digne et competénter annúntiem Evangélium suum. Amen. V. Dóminus vobíscum. R. Et cum spíritu tuo.

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Joánnem. R. Gloria tibi, Domine! Joann X:11-16. “In illo témpore: Dixit Jesus pharisaeis: Ego sum pastor bonus. Bonus pastor ánimam suam dat pro óvibus suis. Mercennárius autem et qui non est pastor, cujus non sunt oves própriæ, videt lupum veniéntem, et dimíttit oves et fugit: et lupus rapit et dispérgit oves: mercennárius autem fugit, quia mercennárius est et non pértinet ad eum de óvibus. Ego sum pastor bonus: et cognósco meas et cognóscunt me meæ. Sicut novit me Pater, et ego agnósco Patrem, et ánimam meam pono pro óvibus meis. Et alias oves hábeo, quæ non sunt ex hoc ovili: et illas opórtet me addúcere, et vocem meam áudient, et fiet unum ovíle et unus pastor”. [In quel tempo: Gesú disse ai Farisei: Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la vita per le sue pecore. Il mercenario invece, e chi non è pastore, cui non appartengono le pecore, vede venire il lupo, e lascia le pecore, e fugge; e il lupo rapisce e disperde le pecore: il mercenario fugge perché è mercenario, e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e queste conoscono me, come il Padre conosce me, ed io il Padre. Io dò la vita per le mie pecore. E ho delle altre pecore, le quali non sono di quest’ovile: anche quelle occorre che io raduni, e ascolteranno la mia voce, e sarà un solo ovile e un solo pastore].

Laus tibi, Christe! S. Per Evangelica dicta, deleantur nostra delicta.

Omelia della Domenica II dopo Pasqua

[Canonico G.B. Musso, 1851, vol. II -imprimatur-]

– Gesù Buon Pastore –

   “Ego sum pastor bonus”, dice nell’odierno Vangelo secondo la Volgata Cristo nostro Signore, e secondo il testo greco: “Ego sum ille pastor bonus! quasi dir voglia: “Io son quel buon Pastore veduto in ispirito dai Patriarchi, predetto dai Profeti, e figurato in Abele, in Giacobbe, in Davide, tutti pastori amatissimi della propria greggia”. Il buon pastore mette la vita per sue pecorelle. Ma il mercenario, che non è, e non merita il nome di pastore, al vedere appressarsi il lupo abbandona l’armento, si dà alla fuga, onde il lupo fa strage, rapisce, disperde le spaventate agnelle. E perché pratica così vilmente il mercenario? Appunto per questo che egli è mercenario, prezzolato, a cui le pecore non appartengono, ed altro non ha a cuore che il proprio vantaggio. Io però, che sono il vero e buon Pastore, Io che conosco ad una ad una le mie pecorelle, e da esse son conosciuto, Io per la loro salvezza son pronto a dare e darò la mia vita, “animam meam pono pro ovibus meis”. – Così parla, così dipinge sé stesso l’amorosissimo nostro Redentore. Seguiamo, uditori fedeli, l’evangelica allegoria, e vediamo quanto è mai buono questo nostro divin Pastore, e quanto noi dobbiamo essere sue docili e buone pecorelle. Merita ogni attenzione il dolce argomento.

I – Per il peccato del nostro incauto progenitore Adamo, eravam noi come tante pecore erranti, “omnes nos quasi oves erravimus(Isaia LV, v, 6). Immaginate una greggia percossa e dispersa da fulmine tremendo aggirarsi per balze e per dirupi senza guida, senza pastore, non può questa altro aspettarsi che il precipizio o le zanne del lupo. Tal’era la condizione infelice dell’umana nostra natura, “omnes nos quasi oves erravimus”. Quando il Figliuol di Dio, mosso a pietà di noi, lascia le novantanove pecorelle, ossia, come spiegano dotti Spositori, i nove cori degli Angeli, e viene quaggiù in cerca della pecora smarrita, cioè della perduta umana generazione, e viene, “saliens in montibus transiliens colles”(Cant. II, 8), vale a dire, dal cielo nel seno della Vergine Madre, da questo nella grotta di Betlemme, da Betlemme in Egitto, indi a Nazaret, e finalmente in Gerosolima. Qui osservate com’Egli adempie col fatto quanto aveva già detto colle sue parole, che per la salute delle sue pecorelle sacrificherà la sua vita. Animam mea pono pro ovibus meis”. – Vedete voi quella turba di fanti, di sgherri con faci, con lanterne, con bastoni, con spade avvicinarsi all’orlo degli ulivi? In capo a questa masnada è Giuda traditore. Ecco il lupo. Che fa il buon Pastore in tal cimento? Di sé non curando, pensa soltanto a sottrar dalle loro mani i suoi cari. Va incontro al capo ed alla schiera, e, “chi cercate voi?- dice intrepido e fermo – se Gesù Nazzareno, Io son quel desso, lasciate però andare in pace i miei discepoli”, “sinite hos abire” (Joan. XXVIII, 8). Così avvenne: Gesù resta fra le funi e le ritorte, e i suoi discepoli si salvano colla fuga. – Ecco il buon Pastore in mano dei lupi rabbiosi tratto ai tribunali, legato ad una colonna. Oh Dio! quale ne fanno sanguinosissimo scempio! Ed Egli intanto va dicendo in suo cuore: questo mio sangue laverà le macchie delle mie pecorelle, sarà il balsamo per le loro ferite, sarà il prezzo del loro riscatto, e la morte, a cui mi avvicino, darà ad esse la vita, “animam meam pono pro ovibus meis, et ego vitam æternam do eis(Jonn. X). – Era tanto l’amor di Davide ancor pastorello per la paterna greggia, che qualora orso o leone giungeva a rapire una qualche agnella, armato di tutto se stesso se gli scagliava contro, e ghermitolo per la gola, gli toglieva dalle zanne la palpitante preda. Tanto fece per noi il divino nostro Pastore; con questa differenza però, che Davide acquistò nome di valoroso e di forte, e Gesù Pastor buono, fu computato tra gli scellerati, e qual malfattore crocefisso. – Sembrerà questa l’ultima prova dell’amor di Gesù nostro buon Pastore verso di noi suo gregge avventuroso. Ma no: compiuta l’umana redenzione, rotta la catena della nostra schiavitù, prima di separarsi da noi per ascendere al Padre, udite con quai sentimenti e con qual cuore prende a parlare a Simon Pietro. Simone figliuol di Giovanni, gli dice, mi ami tu più di tutti questi, che qui son presenti? Simon Joannis, diligis me plus his(Joan. XXI)? “Signore – Pietro rispose –  sì che io Vi amo, e voi lo sapete.” – “Se veramente tu mi ami, ripiglia Gesù, dammi prove dell’amor tuo con pascere gli agnelli della mia greggia, “pasce agnos meos”. Ma tu mi ami davvero? soggiugne Gesù per la seconda volta. “Ah Signore – ripete Simon Pietro – Voi vedete il mio cuore, mi protesto che Vi amo”. “Se dunque tu mi ami, pasci i miei agnelli”, “pasce agnos meos”. Con una terza domanda Gesù l’interroga: Pietro, tu mi ami? “Mio Signore – risponde Pietro turbato e confuso – Voi lo chiedete a me? Niuna cosa è al vostro sguardo nascosta, Voi siete lo scrutatore dei cuori: e meglio di me sapete che Vi amo”. “Conoscerò –  conchiude Gesù – il tuo amore per me dalla cura che avrai di pascere le mie pecorelle”, “pasce oves meas”. Breve fu il suono di queste parole, ma a quale e quanto grave senso si estendono! Pietro, parmi dir volesse, tu sei quella pietra, che ho posta per fondamento della mia Chiesa. A te, primo fra i miei Apostoli, e mio vicario, ho dato in modo tutto singolare le chiavi del regno dei cieli, e con esse la potestà suprema di sciogliere e di legare con giudizio irrefragabile pronunziato sulla terra, ed approvato nel cielo. Ma ciò non basta. Ti costituisco da questo istante Pastore universale di tutto il gregge che mi son formato col mio Vangelo, co’ miei sudori, collo sborso di tutto il sangue mio. Tu pascerai non solo i miei agnelli, ma come Pastor dei pastori anche le pecore madri, “pasces oves meas”. Pasci dunque gli uni e le altre con guidarle all’erbe salubri, e ai limpidi fonti. Pasce colla dottrina, colla predicazione, coll’esempio, coi sacramenti: difendi la mia e la tua greggia e da quei lupi, che l’assalgono a viso aperto, e da quei che si ascondono sotto la pelle di agnelli: ad un cuore che mi ama, o Pietro, Io devo affidarla, e non ad altri darne il governo, che a un cuore che abbia dell’amore per me, “pasce agnos meos, pasce oves meas”.

II Che dite, che vi pare, uditori del cuore, dell’amore, della bontà del divino nostro Pastore? Che cura, che impegno, che sollecitudine, che tenerezza per noi! Quale ora dovrà essere la nostra corrispondenza? Ecco, Egli è il nostro buon Pastore, dobbiam noi essere sue fide e buone pecorelle. E come? Egli stesso nel suo Vangelo ce n’insegna il modo. “Oves meæ – dice – vocem meam audiunt(Joan. X. 27). Le mie pecorelle ascoltano la mia voce e l’apprezzano, ascoltano i miei avvisi e li seguono, ascoltano i miei precetti e gli osservano, ascoltano le mie ispirazioni e le accolgono, ascoltano la voce dei miei ministri e la rispettano, ascoltano la parola da loro annunziata e ne profittano. “Oves meæ voce meam audiunt”. È questo un segno, che sono pecorelle del mio ovile quelle anime che ascoltano e si pascono della mia parola letta nei libri, predicata dai pergami; e a tenore delle verità e delle massime ch’essa propone, emendano la vita, regolano il costume, raffrenano le passioni, adempiono la legge, praticano la virtù, edificano il prossimo, santificano sé stesse, “oves meæ vocem meam audiunt”. – Ma che segno sarebbe se invece si ascoltasse più volentieri la voce dei bugiardi figliuoli degli uomini, che promuovono dubbi circa la fede, che spargono massime ereticali, che bestemmiano quel che ignorano? Che sarebbe se più piacessero i laidi discorsi, i motti maliziosi, le favole oscene, le scandalose novelle? Di queste pecore infette, rognose, direbbe Gesù, io non sono il Pastore, esse non appartengono al mio ovile, “non sunt ex hoc ovili”(Joan. X, 16). Le pecore inoltre hanno in sommo orrore il lupo, orror tale, che al solo sentirne gli ululati, sebbene difese da ben chiuso e riparato ovile pure si vedono ritirarsi negli angoli più remoti, e tremar da capo a piedi, tanto è l’orrore e lo spavento di questo loro nemico. È tale, ascoltanti, l’orror vostro, il vostro spavento per il peccato, nemico dell’anima vostra? Ne temete il pericolo, ne fuggite l’aspetto? Buon segno, miei cari, se è così, buon segno; voi siete pecorelle del gregge di Cristo. Perseverate ad odiarlo, ad abbominarlo, e dite sempre col reale profeta: “Iniquitàtem odio habui et abominatus sum” (Ps. CXVIII). – Altra proprietà delle pecore, dice Cristo Signore, è il seguitare il proprio pastore, di cui conoscono la voce e la persona, “oves illum sequuntur” (Joan.). Siamo disposti a seguir l’orme del nostro Pastore Gesù Cristo? Beati noi, arriveremo a buon termine. Chi mi seguita, dice Egli, non cammina fra le tenebre dell’errore, “qui sequitur me, non ambulat in tenebris(Joann. VIII, 12). Ma chi vuol venir dietro a me, convien che neghi se stesso e le proprie voglie, che si addossi la propria croce, e calchi le mie pedate; “Si quis vult post me venire, abneget semetipsum, tollat crucem suam, et sequatur me(Luc. IX, 23). E che vuol dire, interroga S. Agostino, questo sequatur me? Vuol dire imitare i suoi esempi, “quid est me sequatur, nisi me imitetur? (Tract. 51, in Jo.). Chi corre la vita del piacere non imita Gesù, che va per quella del Calvario. Gli esempi di questo nostro Pastore sono di umiltà e di mansuetudine, di pazienza, di carità; non può esser sua pecorella chi non è imitatore delle sue virtù. – La pecora finalmente dà il latte e la lana come in retribuzione al pastore che la guida, la pasce, la governa e la difende. Gesù buon Pastore, o fedeli, anche Egli vuol da voi, e vi chiede il latte e la lana; ma non per sé. Vi chiede il latte, cioè la cristiana educazione della vostra prole. I sentimenti di pietà, di timor di Dio, di religione, di rettitudine, di onestà, ed altre buone e sante massime, sono quel latte, che dovete istillare nel cuor de’ vostri figliuoli. I salutari avvisi, i saggi consigli, le dolci ammonizioni ai vostri inferiori, ai vostri eguali, anche questo è latte, col quale S.Paolo avea pasciuti i suoi figli rigenerati in Cristo Gesù, lac potum dedi (I Cor. V, 2), e che Gesù aspetta da voi. – Aspetta da voi, e vi domanda anche la lana per coprire tanti suoi poverelli mezzo ignudi, esposti al rigor delle stagioni, tremanti, intirizziti dal freddo. Oh Dio! Se il vostro cuore non si commuove, in vista di tanta miseria, come potete sperare di essere riguardati da Gesù Cristo in qualità di sue pecorelle? Visitate, visitate la vostra casa, aprite i guardaroba, o facoltosi, e vi troverete tante vesti rimesse, quanto per voi inutili, tanto pei poveri necessarie. Per carità coprite Cristo ignudo nei vostri ignudi fratelli. Imitate S. Martino ancor catecumeno, S. Filippo Benizio, S. Giovanni Canzio, S. Tommaso da Villanuova, e tanti altri caritatevoli servi di Dio, che si trassero le vesti di dosso per coprire l’altrui nudità. Contrassegno più chiaro, carattere più certo di nostra predestinazione non vi è di questo, qual è spargere le viscere della nostra carità verso i bisognosi nostri fratelli. – Ma il vestire non basta, conviene anche cacciar la fame, la fame, dico, che fa andar pallidi tanti vecchi cadenti, tante vecchierelle tremanti, tanti storpi impotenti, che fa languire tanti infermi sulla paglia, che fa gemere tante famiglie che non han cuore a mostrar faccia. – Ravviviamo la fede, cristiani miei cari. Nel giorno estremo, nella gran valle saranno dai capri separate le agnelle, e alla destra parte da Gesù benedette; quelle agnelle, dissi, che avranno dato ascolto alla sua voce, che avranno seguito i suoi esempi, avuto in orrore il peccato e dato il latte di cristiana educazione alla prole e la lana a soccorso degl’indigenti. A queste Cristo Signore rivolto in aria dolcissima, “venite a me, dirà loro, voi avete camminato sull’orme mie, voi mi siete stati fedeli, mi avete pasciuto famelico, e coperto ignudo, venite, per voi non son giudice, sono e sarò per sempre il vostro buon Pastore, venite ai pascoli, venite ai fonti di eterna vita, il mio regno sarà il vostro ovile; voi sarete sempre mie, Io sempre vostro. Vogliamo noi, uditori, goder di simile sorte? Siamo buone, fide, docili pecore, e sarà Gesù nostro buono ed eterno Pastore!

Credo

Offertorium

V. Dóminus vobíscum. R. Et cum spíritu tuo. Orémus Ps LXII:2; LXII:5 Deus, Deus meus, ad te de luce vígilo: et in nómine tuo levábo manus meas, allelúja.

Secreta

Benedictiónem nobis, Dómine, cónferat salutárem sacra semper oblátio: ut, quod agit mystério, virtúte perfíciat. [O Signore, questa sacra offerta ci ottenga sempre una salutare benedizione, affinché quanto essa misticamente compie, effettivamente lo produca]. Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia sæcula sæculorum. R. Amen.

Communio Joannes X:14. Ego sum pastor bonus, allelúja: et cognósco oves meas, et cognóscunt me meæ, allelúja, allelúja [Io sono il buon pastore, allelúia: conosco le mie pecore ed esse conoscono me, allelúia, allelúia.]

Postcommunio

S. Dóminus vobíscum. – R. Et cum spíritu tuo. Orémus. Præsta nobis, quaesumus, omnípotens Deus: ut, vivificatiónis tuæ grátiam consequéntes, in tuo semper múnere gloriémur. [Concédici, o Dio onnipotente, che avendo noi conseguito la grazia del tuo alimento vivificante, ci gloriamo sempre del tuo dono.] Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum. R. Amen.

Sacramento dell’ORDINE -2-

Sacramento dell’ORDINE -2-

[J. –J. Gaume, Catechismo di perseveranza. Vol. II cap. XLIV– Torino 1881]

Ordini minori. — Ostiarii: loro funzioni. — Cerimonie e preghiere che ne accompagnano l’ordinazione. — Lettori: loro funzioni. — Cerimonie e preghiere che ne accompagnano l’ordinazione. — Esorcisti: loro funzioni. — Cerimonie e preghiere che ne accompagnano l’ordinazione. — Accoliti : loro funzioni. — Cerimonie e preghiere che ne accompagnano l’ordinazione. Ordini maggiori: Suddiaconato; funzioni dei Suddiaconi. — Preghiere e cerimonie della loro crdinazione. — Diaconato ; funzioni dei Diaconi. — Preghiere e cerimonie della loro ordinazione. — Sacerdozio; funzioni e potestà dei Sacerdoti. — Cerimonie e preghiere della loro ordinazione. — Benefizi sociali del Sacramento dell’Ordine.

La Lezione precedente vi ha mostrato le relazioni degli Ordini fra di loro, e coll’augustissima Eucaristia. Egli è perciò tempo di spiegare partitamente ciascuno di essi.

– Il primo degli Ordini minori che si riceve dopo la cerimonia della tonsura è quello di Ostiario. Se nel palazzo di un re tutti gl’impieghi sono onorevoli, nella casa di Dio tutti i Ministri sono santi; donde nasce, che la Chiesa consacra tutti coloro a cui vengono affidati. L’Ordine dell’Ostiario era nei primi secoli indispensabile poiché non tutti erano Cristiani. Era ufficio degli Ostiarii d’impedire ai pagani di entrare nelle chiese, di nuocere ai fedeli, di profanare i santi Misteri. Dovevano inoltre far rimanere ciascuno nei luoghi destinati, tenere il popolo diviso dal clero, gli uomini dalle donne, far osservare il silenzio e la modestia, annunziare le ore della preghiera, custodire fedelmente il tempio, conservarlo con ogni accuratezza pulito ed ornato, provvedere a che nulla andasse perduto, aprire e chiudere a tempo debito le porte sì della chiesa che della sacristia, finalmente aprire il libro al Ministro che predicava. Scorgesi da ciò, che riunendo tutti questi uffici, l’incarico non era troppo leggiero: l’Ostiariato conferivasi a persone di età matura [FLEURY, Istituzioni di Diritto Canonico, part. I]. – Tutte codeste incombenze trovansi rammemorate nelle preghiere e nelle cerimonie della ordinazione. Dopo che il Vescovo le ha spiegate agli Ostiarii, l’Arcidiacono conduce i medesimi alle porte della Chiesa e facendola chiudere ed aprire, pone fra le loro mani la corda delle campane onde suonino qualche tocco, riconducendoli poscia a’ piedi dell’ altare. Cotali cerimonie che potrebbero forse sembrare superflue a chi non ne conosce né l’origine né il significato, agli occhi del Cristiano pio ed istruito si mostrano sommamente rispettabili. – Esse gli ricordano la santità della casa di Dio, la tremenda maestà dell’augusto Sacrificio, la gloriosa antichità della Chiesa, e finalmente quei giorni felici di fede e d’innocenza, che saranno eterno obbietto della nostra ammirazione e del nostro rammarico. Il Vescovo termina l’ordinazione degli Ostiarii chiedendo per essi al Signore la celeste benedizione e la grazia che possano santamente esercitare il loro ufficio, onde essere ammessi un giorno coi suoi eletti nel soggiorno della gloria eterna.

– L’ordine dei Lettori è più nobile di quello degli Ostiarii, giacché si riferisce più immediatamente all’Eucaristia. I Lettori, spesse volte più giovani d’età che non gli Ostiarii, servivano come segretari i Vescovi ed i Sacerdoti, e s’iniziavano al sapere, leggendo e scrivendo sotto la loro direzione. In tal guisa si addestravano agli studi quelli che vi si mostravano più abili, e che potevano poscia giungere al Sacerdozio. Le loro funzioni erano grandemente necessarie, poiché sempre fu costume di leggere nelle chiese le Scritture dell’antico e del nuovo Testamento, tanto nel tempo della Messa, quanto ancora degli altri uffici e principalmente della notte. Leggevansi eziandio ne’ primi secoli le epistole degli altri Vescovi; gli atti dei Martiri, le omelie ed i sermoni, come è pure usanza de’ nostri giorni, colla sola diversità, che in oggi tale ufficio è adempiuto da tutti i Ministri che risiedono in coro, mentre nei primordi apparteneva ai soli Lettori. – Fra la nave della Chiesa, che conteneva i fedeli ed il coro, ove risiedevano i Ministri dell’altare, vi era un palco a cui salivasi mediante sette od otto scalini, circondato da balaustrata e capace di contenere otto persone.. Questa specie di tribuna, era detta ambone, dacché vi si saliva per due gradinate e guardava tanto verso i l popolo che verso i Sacerdoti. Chiamavasi anche col nome di Jube, dalla circostanza che Lettore, innanzi di cominciare a leggere chiedeva al Vescovo la benedizione con le parole: Jube, Domine, benedicere; e di questa voce jube spesso ripetuta si valse il popolo per indicare il luogo destinato ai Lettori. Questa tribuna vedesi ancora in alcune antiche chiese, e serviva, come si è detto, alla predicazione ed alle altre letture religiose. – I Lettori erano altresì incaricati della custodia dei libri sacri, ufficio assai pericoloso in tempo di persecuzione. La formula della loro ordinazione, tolta come quelle degli altri Ordini inferiori dal quarto Concilio di Cartagine celebrato l’anno 398, ricorda ch’essi devono leggere per colui che predica, cantare le laudi, benedire il pane ed i nuovi frutti. Il Vescovo nell’ordinarli, dopo di aver chiesto per essi la grazia di poter compiere degnamente le sante funzioni, fa ai medesimi toccare un libro di sacre Letture e pronunzia in tal tempo le seguenti parole: « Ricevete questo libro e siate lettori della parola di Dio; se voi adempirete con fedeltà un tale incarico voi avrete parte fra quelli che sino dal principio hanno con saviezza dispensato la divina parola ».

– Il terzo degli Ordini minori è quello dell’Esorcista. Uffizio degli Esorcisti si è quello di scacciare i demoni. Nei primi secoli del Cristianesimo frequentissimi erano gli ossessi, fra i pagani specialmente; e di questo noi abbiamo le prove autentiche nei Evangeli, negli atti degli Apostoli e nei Padri della Chiesa. Come attestato del più gran disprezzo pel nemico dell’umano genere e pel suo potere, la Chiesa attribuiva l’incarico di scacciarlo a’ suoi Ministri inferiori. Questi, nel solenne Battesimo esorcizzavano i catecumeni, e facevano uscire dalla Chiesa, innanzi che fosse fatta l’oblazione dei doni sacri, coloro che non si comunicavano, vale a dire, i catecumeni stessi e gli energumeni. In oggi la podestà di esorcizzare è riserbata ai soli Sacerdoti, né questi pure possono valersene senza avere espressa licenza dal Vescovo. Essendo il numero degli ossessi divenuto più ristretto, dacché il Signor Nostro Cristo ha debellato la possanza infernale, è stato mestieri, per evitare ogni impostura, di agire con più cautela, oculatezza ed autorità. Ed ecco perché la Chiesa, mentre ha conservato gli usi della sua venerabile antichità, ha limitato il potere di esorcizzare, né concede un tale ufficio se non se a’ Sacerdoti specialmente a ciò destinati, e dopo eziandio di aver fatto ad essi subire rigorosi e minutissimi esami [Spirito delle cerimonie, p. 133]. – Terminate le preghiere dell’ordinazione, il Vescovo fa posare agli Esorcisti la mani sul messale, e dice: « Ricevete ed imparate questo libro, ed abbiate il potere di imporre le mani agli energumeni, sia battezzati, sia catecumeni ». Scongiura poscia il Signore con fervide preghiere a volerli proteggere affinché adempiano santamente le loro funzioni, e qual medici irreprensibili risanino gli altri, dopo di essersi eglino stessi risanati.

– Il quarto degli ordini minori è quello di Accolito. La parola Accolito vuol dire seguace, ossia colui che accompagna. L’Ordine degli Accoliti è il più nobile dei quattro Ordini minori. Ne’ tempi antichi gli Accoliti erano giovani, di età fra i venti e i trent’anni, destinati a seguire ognora il Vescovo e a star pronti a’ suoi ordini. Portavano dovunque le sue ambasciate, recavano le Eulogie e talvolta l’Eucaristia, e servivano all’altare sotto la dipendenza de’ Diaconi. In oggi che son mutate le circostanze, il Pontificale non attribuisce loro altro ufficio che quello di portare le torce, accendere i ceri e preparare l’acqua ed il vino pel Sacrificio. – Nella cerimonia della loro ordinazione, il Vescovo ammonisce gli Accoliti di risplendere nella Chiesa, come faci ardentissime, mediante l’esempio di tutte le virtù; di farsi specchio immacolato ai fedeli, di condurre vita purissima, di essere, a dir breve, degni di presentare l’acqua ed il vino all’altare del Signore. Fa loro in seguito toccare un candeliere sostenente un cero, nonché un’ampolla vuota, dicendo: « Ricevete questo candeliere e questo cero, e non obliate giammai che nel nome del Signore voi siete eletti per accendere le fiaccole nella Chiesa. Ricevete quest’ampolla; essa deve servire per presentare l’acqua e il vino al Sacrificio del sangue di Gesù Cristo ». – Tali sono i quattro Ordini minori; tali erano nei tempi andati gli uffici che conferivano. – Non è a credersi che i Santi, i quali hanno governato la Chiesa nei primi tempi, cercassero soltanto dilettevole occupazione nel regolare con tanta cura il culto esteriore, e nello stabilire Ordini speciali per distribuire minutamente anche le più piccole incombenze. No; essi avevano compreso l’importanza di tutto ciò che colpisce i nostri sensi, come sarebbero, ad esempio, la beltà de’ luoghi, l’ordine delle congregazioni, il silenzio, il canto, la maestà delle cerimonie. Tutte queste cose aiutano anche le persone più spirituali ad innalzarsi a Dio, e sono poi assolutamente necessarie agli idioti per dar loro una grande idea della Religione, e per farne loro amare l’esercizio. Quando vediamo che il primo tempio di Gerusalemme, in cui non si conservava che l’Arca dell’Alleanza, e il secondo tempio egualmente, in cui più non si trovava, erano regolarmente amministrati da migliaia di Leviti; quando sappiamo che ivi le cerimonie si compievano colla massima pompa e maestà, noi dobbiamo provare estrema confusione nel vedere le nostre chiese, entro le quali riposa il Corpo di Gesù Cristo, e le sante nostre funzioni governate con tanta negligenza, da non poter gareggiare per questa parte di confronto con quei templi antichi! È sventura dei tempi, che ai giorni nostri coloro che sono insigniti degli Ordini minori possano di rado compierne gli onorevoli uffici. – Anticamente ogni chiesa aveva i suoi Chierici, laddove in oggi i Leviti vivono nei seminari onde prepararsi al Sacerdozio; e perciò nelle parrocchie, i Sacerdoti, i Diaconi, i Suddiaconi, i semplici Chierici, ed i laici persino, adempiono le funzioni che a quelli spetterebbero. Il Concilio di Trento avrebbe bensì desiderato che si fosse potuto ritornare all’antica disciplina pel maggior profitto dei fedeli; ma questo voto non si poté finora effettuare. Per altro, nel mentre si aspettano giorni più propizi, la Chiesa ha conservato i santi Ordini minori come monumento prezioso dell’antica disciplina, e come scala che conduce alla santità, e da percorrersi perciò dai Leviti che aspirano agli Ordini sacri [Spirito delle cerimonie, p. 146].

– Il primo degli Ordini maggiori o sacri è il Suddiaconato, Ad esso fu donato queste grado dal tempo in cui la Chiesa ha impesto al medesimo l’obbligo di conservare la castità [II più celebre ed il più autorevole degli storici protestanti dell’Alemagna moderna, Enrico LUDES, soprannominato il padre della Storia » Alammanica, non esita ad asserire quanto segue nel Volume VIII della sua — Istoria del Popolo Germanico — pubblicata nel 1833: « Noi andiamo debitori di tutto ciò che siamo e di tutto ciò che possediamo al celibato ecclesiastico; tutto egli ci ha conservato: l’intelligenza, la coltura dello spirito, il progresso, in una parola, del genere umano ». – Veggesi pure COBBET, Storia della riforma in Inghilterra; — l’Abate JAGÉR. Del Celibato ecclesiastico; le Memorie di Religione, Morale e letteratura di Modena, n. 47-48, 283]. Per lo innanzi il Suddiaconato annovera vasi fra gli Ordini minori, ed i Suddiaconi non erano che i segretari dei Vescovi, i quali li adoperavano nei viaggi e negli affari ecclesiastici. Essi erano incaricati delle elemosine e della amministrazione dei beni temporali, e fuori della Chiesa compievano le funzioni medesima dei Diaconi. Ai Suddiaconi ordinariamente si confidava la gestione dei patrimoni di San Pietro [Si chiamavano con tal nome i beni donati alla Chiesa di Roma] nelle diverse parti della Cristianità in cui erano collocati. Amministratori di queste sostanze sotto l’autorità dei Papi, eseguivano ad un tempo i loro comandi anche rispetto ad importantissimi affari ecclesiastici: e tali erano, per cagione d’esempio, il correggere gli abusi in quelle Provincie in cui erano situati i beni, il vegliare sulle congregazioni conciliari, trasmettere d’ordine del Pontefice parziali avvisi ai Vescovi riguardanti la loro condotta, e finalmente riferire con esattezza al Papa gli avvenimenti del paese in cui risiedevano [Si vedano le Lettere di San Gregorio]. – In oggi il ministero dei Suddiaconi è limitato al servizio dell’altare ed all’assistenza del Vescovo e del Sacerdote nelle ecclesiastiche solennità. Essi preparano gli ornamenti, i vasi sacri, il pane, il vino, l’acqua pel Sacrificio; cantano l’Epistola alla Messa solenne, tengono aperto innanzi al Diacono al tempo debito il libro degli angeli, servono il Diacono in tutte le sacre funzioni, ed è appunto per ciò che sono detti Suddiaconi; inoltre danno a baciare il libro dell’Evangelo al celebrante ed ai fedeli, preparano pel Diacono all’altare il calice e la patena, mettono l’acqua nel calice dopo che il Diacono vi ha posto il vino, versano l’acqua sulle mani del Sacerdote celebrante, lavano le animette, i corporali ed i purificatoi. – Maestose sono le cerimonie dell’ordinazione del Suddiacono. Vittime volontarie, che si presentano per fare a Dio un eroico sacrificio, stanno in atto di chi rinunzia al mondo ed alle sue speranze; tutto dimostra in essi la consacrazione e la natura di questo sacrificio. Assumono primieramente il contegno d’uomini che si apparecchiano a partire; un bianco pannolino, chiamato amitto, ricopre loro il capo, come il caschetto il capo del guerriero; un camice bianco li riveste interamente, simbolo di virtù specchiata; un cordone loro cinge le reni, contrassegno di castità; portano sul braccio sinistro una funicella, espressione della gioia del loro cuore; tengono in una mano il manipolo, emblema delle fatiche che li aspettano; nell’altra un cero acceso, immagine vivissima della loro carità. In tal modo preparate ed ornate, queste giovani vittime aspettano silenziose l’istante del Sacrificio. Ed ecco il Pontefice, rappresentante di Gesù Cristo, rivolger loro queste parole: « Miei figli dilettissimi, voi qui vi presentate per ricevere il Suddiaconato. Riflettete seriamente, e ponderate con tutta l’attenzione qual sia il peso a cui bramate sottoporvi. Voi siete tuttora liberi, siete tuttora in tempo di rimanervi nella vita laicale; ma ricevuto che abbiate quest’Ordine, non potrete giammai retrocedere dall’obbligo che state per assumere. Voi apparterrete a Dio per tutta la vostra vita, dovrete servirlo fedelmente, conservare la castità, ed esser pronti in qualunque ora pel ministero della Chiesa. Vi ripeto che siete ancora in tempo…. ma se perseverate nel vostro santo proposito, avvicinatevi». – Dopo tali parole, se gli aspiranti si sentono il coraggio e la forza di obbligarsi per tutta la vita, fanno un passo avanti. Passo immenso! che mette fra essi e il mondo uno spazio insuperabile. Ed a mostrare che sono per sempre morti al mondo ed alle sue speranze, si prosternano al suolo, e colla faccia volta a terra danno un eterno addio a questa terra medesima che abbracciano, ai loro parenti, agli amici, protestando che sono oramai, come Melchisedech, quell’antica figura del Sacerdozio cristiano, senza padre, senza madre, senza genealogia. – Ma chi donerà loro la forza sovrumana di cui abbisognano per sostenere tutto il tempo della vita questo eroico sacrificio? Quel Dio medesimo che ha ispirato la loro volontà. Ed ecco la ragione per la quale il Vescovo e tutto il popolo, inteneriti e in certo modo spaventati dalla grandezza dell’obbligo che assumono, cadono ginocchioni ed implorano su queste nobili vittime la benedizione del Cielo. Rivolgonsi alle tre Persone dell’augustissima Trinità, alla Vergine potentissima. agli Angeli, ai Patriarchi, ai Profeti, agli Apostoli, ai Martiri, ai Confessori, a tutta la Corte celestiale. Poscia il Vescovo sorge, benedice e consacra tutte queste vittime, facendo tre volte su di loro il segno della Croce. – Tutto è ormai compiuto, le vittime sono immolate; esse si rialzano, giacché devono vivere e continuare per tutto il tempo avvenire il sacrificio testé consumato. Il Vescovo prega tutti i fedeli presenti ad orare per questi novelli ministri che interamente si consacrano al loro servizio. Indica poscia ai Suddiaconi le funzioni del loro Ordine, del quale conferisce loro gli attributi facendo toccare il calice e la patena [Pare che il toccare, ossia la tradizione del calice e della patena costituisca tutta la materia dell’Ordine del Suddiaconato nella Chiesa Latina. Eugenio IV lo insegna nel decreto agli Armeni: “Subdiaconatus confertur per ealicis vacui cum patena vacua superposita traditionem”. Nella Chiesa Greca la materia del Suddiaconato è l’imposizione delle mani che il Vescovo fa sulla testa degli ordinandi, mentre la forma è la preghiera che è da lui nello stesso tempo recitata: null’altro ritrovasi nei loro Eucologii, vuoi antichi, vuoi moderni, cui possa darsi il nome di materia o di forma. – Mettendo loro l’amitto sul capo, così si esprime: «Ricevete questo amitto, che simbolizza la mortificazione della Croce, in nome del Padre, del Figliuolo, dello Spirito Santo; cosi sia » . La vigilanza sulle proprie parole e sui propri sensi saranno quind’innanzi gli obblighi e le virtù del novello Suddiacono. – Il Pontefice loro mette poscia sul braccio sinistro il manipolo e dice: «Ricevete questo manipolo; esso vi richiama alla memoria il frutto delle buone opere. Nel nome del Padre, ecc. »: indi li riveste della funicella, proferendo le parole: « Vi doni il Signore la tunica della felicità e il vestimento della fede. Nel nome del Padre, ecc. ». Finalmente loro porge il messale, pronunziando queste parole: «Ricevete il libro delle Epistole, e insieme la podestà di leggerle nella Chiesa, tanto pei vivi, quanto pei defunti. Nel nome del Padre, ecc. ». Tale si è, in compendio, l’ordinazione dei Suddiaconi. Noi ora chiediamo se v’abbia cosa più acconcia di questa per penetrare il popolo di rispetto profondo verso la santa Eucaristia e verso i suoi Ministri, e nello stesso tempo più efficace per insegnare ad essi le virtù che son necessarie alla santa e sublime loro vocazione? Questi salutari avvertimenti continuano nell’ordinazione dei Diaconi. Ascoltiamoli con religiosa attenzione.

– La parola Diacono significa servitore. Gli Apostoli ordinarono i primi Diaconi nella circostanza delle mormorazioni che si suscitarono tra i fedeli di Gerusalemme per la distribuzione delle elemosine, e confidarono loro l’incarico di vegliare all’amministrazione ed al regolamento delle mense con cui le vedove ed i poveri erano provveduti di quanto abbisognava al loro corporale sostentamento; attesoché i poveri, fin dal nascere della Chiesa, furono l’oggetto delle sue più affettuose sollecitudini. Esonerati in tal modo gli Apostoli da quell’ufficio affidato ai Diaconi, poterono dedicarsi interamente alla predicazione del Vangelo ed alla preghiera. Per altro non fu questo né l’unico e neppure il fine principale dell’istituzione de’ Diaconi; essi ben presto si videro chiamati a più nobili e più sante funzioni. – Ai servigi che dovevano essi prestare alle mense che alimentavano il corpo, si aggiunse l’amministrazione della Tavola santa nella quale si distribuiva ai fedeli l’Eucaristia per nutrimento spirituale delle anime. Né guari stette che venne loro conferito eziandio l’ufficio di predicare la parola divina e di conferire il Sacramento del Battesimo. Noi leggiamo infatti che Santo Stefano e San Filippo si dedicarono con molto zelo a tale ministero, che divisero in un cogli Apostoli; senza che per altro i Diaconi cessassero per questo dall’incarico primiero di governare le mense, alle quali le vedove ed i poveri gratuitamente si assidevano lutti i giorni. I Diaconi nei primi tempi del Cristianesimo, incaricati di sacre funzioni, ministri della Chiesa e degli Apostoli, accompagnavano i Vescovi in tutte le circostanze, vegliavano alla loro custodia quando predicavano, li seguivano ai Concili, li assistevano nelle ordinazioni e nell’amministrazione degli altri Sacramenti. I Vescovi non offrivano punto il Sacrificio senza essere assistiti dai Diaconi; siccome il glorioso San Lorenzo rammentò al pontefice San Sisto, allorché questi veniva condotto al martirio: «Padre santo, ei gli disse, dove n’andate senza il vostro Diacono? Giammai non avete offerto il Sacrificio senza di lui ». Erano i Diaconi che leggevano alla Messa il Vangelo, siccome è loro ufficio anche ai giorni nostri; essi presentavano al Sacerdote il pane ed il vino che dovevano esser cangiati nel corpo e nel sangue del Salvatore. Né soltanto amministravano il Battesimo, dispensavano le elemosine e vegliavano al nutrimento delle vedove e dei poveri: era inoltre loro obbligo di visitare e sollevare i Confessori ed i Martiri che gemevano nelle prigioni, onde esortarli, consolarli, animarli a soffrire coraggiosamente per la fede. Ai tempi nostri le funzioni dei Diaconi son limitate al servigio dell’altare in cui offrono l’augusto Sacrificio i Vescovi ed i Sacerdoti, ed a cantare l’Evangelio nelle Messe solenni. – Rispetto all’ordinazione dei primi Diaconi, i fedeli di Gerusalemme scelsero fra loro sette uomini di buona riputazione, pieni di Spirito Santo e di sapienza, e li condussero davanti gli Apostoli, i quali, fatta orazione, imposero loro le mani [Atti, VI, 5-6]. Donde scorgesi che in allora, siccome al presente, le cerimonie della loro ordinazione consistevano nell’orazione e nell’imposizione delle mani. Allorché il Vescovo è seduto sul suo faldistorio nel mezzo dell’altare, l’Arcidiacono gli dice : « Mio reverendo Padre, la santa Chiesa cattolica, madre nostra, vi domanda di conferire a questi Suddiaconi l’ufficio del Diaconato.— Sapete voi, risponde il Prelato, ch’essi ne siano degni?—Lo so, risponde l’Arcidiacono, e ne faccio testimonianza, per quanto è dato di conoscerlo all’umana debolezza. — Sia ringraziato Iddio, risponde il Vescovo. Poscia rivolgendosi al clero ed al popolo, loro dice: Coll’aiuto di Dio e del Salvator nostro Gesù Cristo noi scegliamo questi Suddiaconi per innalzarli alla dignità di Diaconi. Se alcuno ha contr’essi qualche reclamo da esporre, si avanzi arditamente e parli; ma non dimentichi lo stato suo. E ciò detto, si ferma qualche istante onde lasciare ai fedeli il tempo di rispondere. – Codesto avviso rammemora l’antica usanza della Chiesa, giusta la quale il clero ed il popolo erano consultati intorno alle ordinazioni dei sacri Ministri; in oggi le necessità dei tempi indussero la Chiesa a cangiar di sistema su questo punto di disciplina, ed a riserbare ai soli superiori l’incarico di esaminare gli aspiranti sulle loro doti e sulla loro vocazione. Ciò nondimeno per conservare, quant’è possibile, il rito antico, e per assicurarsi che l’eletto è veramente irreprensibile, la Chiesa ha stabilito delle pubblicazioni che si fanno prima di cominciare i discorsi parrocchiali, nonché la cerimonia che precede, siccome abbiamo detto poc’anzi, l’ordinazione dai Diaconi e dei Sacerdoti. – Se i fedeli non inoltrano alcuna lagnanza, il Vescovo si rivolge agli ordinandi, e loro ricorda la dignità dell’Ordini che sono per ricevere, le incombenze che vi sono annesse e le virtù che tali uffici esigono. Il Vescovo comincia poscia la lettura di un prefazio, che è come l’introduzione alla grand’opera che sta per compiere, ed arrestandosi ad un tratto a mezzo del medesimo, impone la mano destra sul capo di ogni ordinando, e gli dice: «Ricevi lo Spirito Santo onde aver forza di resistere al demonio ed alle sue tentazioni ». Non impone ad essi ambedue le mani, a fine di mostrare che i Diaconi non ricevono lo Spirito Santo con quella pienezza con cui lo ricevono i Sacerdoti. Compiuta questa cerimonia e terminato il prefazio, il Vescovo porge a ciascuno dei Diaconi la stola, simbolo della podestà che vien loro conferita: « Ricevi, egli dice, dalla mano di Dio, questa bianca stola, ed adempì il tuo ministero: Iddio è onnipossente, Egli aumenterà in te la sua grazia ». La stola del Diacono non è indossata alla guisa istessa con cui se ne rivestono i Sacerdoti, e ciò per mostrare che non hanno l’istessa dignità. Il Vescovo li veste in seguito della dalmatica: pronunziando le parole : « Ti doni Iddio il vestito della salute, e l’indumento della gioia, e per la sua potenza ti ricopra mai sempre colla dalmatica della giustizia. Così sia ». Finalmente il Vescovo presentando al Diacono il libro degl’Evangeli, gli dice: « Ricevi il potere di leggere gli Evangeli nella Chiesa pei vivi e pei defunti, in nome del Padre, ecc. ». L’ordinazione finisce colla preghiera del Vescovo e del popolo, che uniscono le loro voci ed i cuori onde invocare sui nuovi eletti protezione del Signore.

– All’ordinazione dei Diaconi tiene dietro quella dei Sacerdoti. – Offrire il santo Sacrifizio; benedire il popolo nella Messa, nelle assemblee e nell’amministrazione dei Sacramenti, onde attirare sopra di lui le grazie del Cielo; presiedere alle adunanze che si tengono nella Chiesa per rendere a Dio il culto che gli è dovuto; predicare la divina parola di cui sono i banditori; battezzare ed amministrare gli altri Sacramenti, e quelli in ispecial modo che sono stati stabiliti per la remissione dei peccati: ecco quali furono, sino dai primordi della Chiesa, e quali sono ancora ai giorni nostri le funzioni dei Sacerdoti. Soltanto, nei primi secoli, la predicazione fu riserbata ai Vedovi, e ciò fino al tempo di San Giovanni Crisostomo e di Sant’Agostino, i quali idempirono cotale ministero per comando dei loro Vescovi, sebbene non fossero allora che semplici Sacerdoti. Laonde gli offici dei Preti sono di due sorta: gli uni riguardano il corpo naturale del Signor Nostro Gesù Cristo; gli altri riguardano il suo corpo mistico ch’è la Chiesa. Non esistono funzioni più auguste, né poteri più formidabili. – Prima di confidarli ad essi, il Vescovo, assiso nel mezzo dell’altare sul suo faldistorio, vuole assicurarsi se ne sono degni. Mio reverendo Padre, gli dice l’Arcidiacono, la santa Chiesa cattolica, madre nostra, domanda che voi consacriate Sacerdoti questi Diaconi che io vi presento. — « Sapete voi, ripiglia il Vescovo, ch’essi ne siano meritevoli? » Ed avuta risposta favorevole dall’Arcidiacono, il Prelato così prosegue: « Sia lodato il Signore. » Rivolgendosi poscia al popolo, e ricordandogli che il suo spirituale vantaggio esige che egli abbia de’ santi Sacerdoti, lo interroga, onde conformarsi all’antica disciplina della Chiesa, come la pensi de’ novelli Diaconi [L’elezione di San Basilio è un esempio illustre che ci dimostra fin dove spingevasi nei primi secoli della Chiesa la deferenza che i Vescovi avevano per la scelta e pei suffragi del popolo nelle ordinazioni, e come ancora vi si opponessero, allorquando si accorgevano che tali opposizioni erano suggerite dalla passione o dall’intrigo, anziché dall’osservanza delle regole, e dallo zelo per la gloria di Dio e pel vantaggio de’ fedeli]. Se nessuno si alza per reclamare, il Pontefice s’indirizza ai Diaconi, e li ammonisce sulla natura, sull’origine e sulle funzioni sublimi del Sacerdozio. I Preti, ei dice loro, sono i successori dei settantadue vegliardi, che Mose per comando di Dio, aveva scelti onde l’aiutassero nel suo ministero, amministrassero la giustizia, e vegliassero sull’osservanza dei dieci Comandamenti. – Questi vegliardi non erano che la figura de’settantadue discepoli che Gesù Cristo mandò a due a due per predicare ed istruire colla parola e coll’esempio. « Siate degni, o miei cari figli, soggiunge il Pontefice, di essere gli aiutanti di Mosè e dei dodici Apostoli, vale a dire, dei Vescovi cattolici, figurati da Mosè e dagli Apostoli, e stabiliti per governare la Chiesa di Dio ». – Dopo questa esortazione comincia maestosa cerimonia della prostrazione. Innanzi di essere ammesso al Battesimo l’uomo dové per tre volte rinunciare a satana; e così pure prima di venir ammesso al Sacerdozio, il Cristiano deve per tre volte rinunziare alla terra, alla carne ed al sangue. Egli è soltanto dopo di aver fatto questa triplice rinunzia che gli si apre l’adito per giungere fino al santo altare. Seguita poscia l’imposizione delle mani. Il Vescovo in silenzio impone le mani sul capo di ogni Diacono, e tutti i Sacerdoti assistenti all’augusta cerimonia rivestiti della sacra stola, imitano il suo esempio. Il Vescovo risale quindi all’altare, e rivolgendosi verso gli ordinandi stende sovr’essi le mani, imitato in ciò da tutti i Sacerdoti, e recita nello stesso tempo una preghiera colla quale scongiura il Signore a donar loro il suo Santo Spirito e la grazia del Sacerdozio. – La podestà di conferire gli Ordini sacri non spetta che al Vescovo, ed egli solo come consacrante può imporre le mani. Se i Sacerdoti presenti all’ordinazione impongono con lui, ciò è solo per conformarsi all’uso della Chiesa primitiva; uso venerabile che ricorda come l’Episcopato ed il Clero formino un solo Sacerdozio. Il Vescovo mette quindi sul petto degli ordinandi in forma di croce la stola, che a grado di Diaconi portavano sulla spalla sinistra, e loro dice: «Ricevete il gioco del Signore : Il suo giogo è dolce, e soave è il suo peso ». Li riveste poscia della pianeta, loro rivolgendo queste parole: « Ricevete l’abito sacerdotale, simbolo della carità » . E il sacerdote sarà per ciò un uomo di carità, anzi la carità personificata. La pianeta che il Vescovo porge ai Sacerdoti, non è distesa dal lato posteriore, ma rimane avvolta sulle spalle. Essi non hanno ancora ricevuto tutta la grazia del Sacerdozio; allora soltanto deve essa distendersi compiutamente, quando il Vescovo avrà ad essi conferito il potere di rimettere i peccati. – Dopo la recita di un bel prefazio, che annunzia un’opera sublime, il Vescovo intona il Veni creator, onde chiamare sugli ordinandi lo Spirito santificatore con tutti i suoi doni. Mentre il coro prosegue nel canto dell’inno, il Pontefice consacra le mani dei nuovi Sacerdoti mediante copiosa unzione coll’olio de’ catecumeni. Egli dice intanto: « Degnatevi, o Signore, di consacrare e di santificare queste mani colla santa unzione e colla vostra benedizione ». Fa poscia il segno della croce, e continua: « Possa, nel nome di Gesù Cristo Signor Nostro, esser benedetto tutto ciò ch’essi benediranno, e consacrato e santificato tutto ciò che consacreranno e santificheranno». Ognuno degli ordinandi risponde : « Così sia ». – Si legano dopo di ciò le mani dei nuovi Sacerdoti con un nastro, e le dita consacrate sono disgiunte dalle altre col mezzo di una fettuccia di pane che servirà a purificarle; il Vescovo fa loro poscia toccare il calice, in cui v’ha e vino ed acqua, e fa toccare egualmente la patena sulla quale è un’ostia, loro dicendo nello stesso tempo: « Ricevete il potere di offrire a Dio il Sacrificio e di celebrare la Messa, tanto pei vivi quanto pei defunti». Ed eccoli Sacerdoti per sempre secondo l’ordine di Melchisedech! La prima funzione del Sacerdote è di offrire il Sacrificio, e tosto essi l’offrono in compagnia del Vescovo. La Messa celebrata in tal modo ricorda il rito praticato nei primi secoli: allorché in tutte le chiese non si faceva che un officio solo, il Vescovo stava all’altare, e tutti i Sacerdoti offrivano insieme con lui. Compiuta la Comunione, il Vescovo recita il bellissimo responsorio, composto colle parole che il Salvatore nell’effusione del suo cuore rivolse agli Apostoli, dopo di averli fatti partecipi del suo corpo e del suo sangue: « Io non vi chiamerò più miei servitori, o amici dilettissimi, poiché sapete tutto ciò che ho fatto in mezzo a voi. Voi siete i miei amici; fate quello che vi ho comandato». – Il Vescovo, dopo aver pronunziate queste parole, si assicura della fede dei novelli Sacerdoti facendo loro recitare il Simbolo degli Apostoli. Essi sono inviati per predicare; essi devono annunziare la fede in tutta la sua purezza. I nuovi eletti vengono poscia a prostrarsi a piedi del Prelato, ed egli impone loro le mani, dicendo: « Ricevete lo Spirito Santo: saranno rimessi i peccati a chi li rimetterete, e saranno ritenuti a chi li riterrete »; ed a fine di mostrare ai medesimi la pienezza della loro podestà scioglie la pianeta tuttora avvolta sulle spalle, dicendo: « Iddio vi rivesta del manto della innocenza »; vale a dire, siate puri e santi onde render santi anche gli altri. – Esige poscia da ciascuno d’essi rispetto ed obbedienza, perciocché la Chiesa è bella e terribile come esercito schierato a battaglia. Cotal dote di beltà e di forza non può sussistere senza l’ordine, né l’ordine senza subordinazione. Questa per altro è dolce e mite nella Chiesa, ed è rivolta a fare di tutti i cuori de’ suoi Ministri un cuor solo ed un’anima sola, poiché si fonda interamente sulla carità. Ed ecco perché il Vescovo, finite tutte queste nobili e splendide cerimonie, dona il bacio di pace a tutti i novelli Sacerdoti. Ripetiamolo ancora una volta: si tenga dietro al complesso di tutte queste magnifiche cerimonie, e poi si dica se il culto cattolico non soddisfaccia ad un tempo la ragione, il cuore ed i sensi! Che potremmo ora dire dell’importanza del Sacramento dell’Ordine? – Una sola parola basta per provare la sua necessità sociale: non esiste società senza Religione, non Religione senza Sacerdoti, non Sacerdoti senza il Sacramento dell’Ordine; dunque senza il Sacramento dell’Ordine non può esistere società. E con questo intendo di dire vera società, vale a dire, consorzio d’uomini fra loro legati per conservare e perfezionare il loro essere fisico, intellettuale, morale. – Le società antiche, tranne la giudaica, erano piuttosto aggregazioni d’individui vincolati dalla forza, e non aventi altro scopo che l’esistenza e lo svolgimento degli interessi materiali. Le società protestanti, se, pur son degne di tal nome, non vanno debitrici del loro perfezionamento, per quanto il posseggono, che a quelle tradizioni cattoliche cui hanno conservate; giacché i popoli non possono vivere che per le verità cristiane; e vero cristianesimo non esiste fuori della Chiesa, né è che dal Sacerdozio cattolico debbono i nostri fratelli separati riconoscere la loro vita sociale, ossia tutto quello che loro rimane di credenze e di costumi.

Preghiera

O mio Dio, che siete tutto amore, ringrazio che abbiate stabilito diversi Ordini di Ministri nella vostra Chiesa. Ciò è per vostra gloria e per mia salute: concedetemi la grazia di poter essere figlio docile e rispettoso di questa Chiesa così santa, così bella, così tenera pei suoi figli. Mi propongo di amar Dio sopra tutte le cose e il prossimo come me stesso per amor di Dio, e in prova di questo amore avrò il più profondo rispetto per le persone consacrate a Dio.

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(Nota redazionale: Questo è il vero sacerdozio cattolico istituito dalla Chiesa di Cristo da secoli e millenni. Tutto ciò che si discosta dal conferimento di questo Ordine Sacro, definito infallibilmente ed irreformabilmente dal Santo Concilio di Trento, non si può definire cattolico, ma è blasfemo e sacrilego. Questo vale per la setta del Novus Ordo, che ha usurpato l’etichetta di “cattolica”, che non le appartiene più da tempo e serve per ingannare gli sprovveduti, nonché per le sette senza giurisdizione e missione canonica, lupi e briganti, melma che cola dal sepolcro imbiancato del massone Lienart [si, il grande eletto, il cavaliere Kadosh, l’iniziato perfetto, il cavaliere dell’aquila bianca e nera, quello di Nekam Adonai !!] e dello psicopatico famelico Thuc! Che Dio conservi la Chiesa Cattolica e le dia nuovamente splendore e visibilità … non praevalebunt …!)

 

 

 

 

Sacramento dell’ORDINE -1-

[J. –J. Gaume, Catechismo di perseveranza. Vol. II – Torino 1881]

I Sacramenti preparano, compiono, restaurano, rassodano la nostra unione col Signore Nostro. Ma questa unione divina deve essere possibile per tutte le generazioni che verranno a questo mondo fino alla fine dei secoli; ed ecco il Figlio di Dio ne volle stabiliti i mezzi; poiché Egli è il Salvatore di tutti gli uomini che sono stati, sono e saranno; ed a tant’uopo ha istituito:

Il Sacramento dell’Ordine.

I . Definizione di questo Sacramento. — L’Ordine è un Sacramento istituito dal Signor Nostro Gesù Cristo, che dona la podestà di fare l’ecclesiastiche funzioni, e la grazia di esercitarle santamente. Ritrovasi nell’azione, colla quale vengono consacrati i Ministri degli altari, tutto ciò che si richiede perchè sia un Sacramento della nuova Legge. 1° Un segno esteriore e sensibile sono l’imposizione delle mani ed il tocco dei sacri vasi, nonché le preghiere del Vescovo; 2° è un segno istituito da Nostro Signore Gesù Cristo; 3° è un segno che ha la virtù di produrre la grazia. Nel corso della presente Lezione troveremo le prove di tutto questo. Perciò l’Ordine è sempre stato ritenuto un Sacramento, come dimostrano le più antiche liturgie, quelle comprese eziandio delle sètte disgiunte dall’unità cattolica, cominciando fino dai primi secoli [Drouin, De re Sacrament. – Chardon. Istoria dei Sacramenti, t. VI, etc.], i Padri più illustri della Chiesa, quali, ad esempio, Sant’Agostino [Lib. II Cont. Epist. Parmen., c. 13], San Giov. Crisostomo [Lib. III, De Sacerdot. , c. 42], San Girolamo [Adv. Lucifer.], San Leone [Epist. Ad Dioscor. LXXXI], favellano dell’Ordine come di un vero Sacramento. Ed a tali irrefragabili autorità noi aggiungeremo soltanto il fatto seguente. Nel quarto secolo viveva un santo personaggio, di nome Martirio, il quale, per umiltà, rifiutava di esser ordinato Diacono, e diceva a Nettario, Patriarca di Costantinopoli, nuovamente battezzato ed ordinato: « Voi siete stato purificato e santificato mediante due Sacramenti, il Battesimo e l’Ordine » [Sezem. Histor. Lib. VII, c. 10]. Si credeva dunque che l’Ordine era un Sacramento istituito da Gesù Cristo, e che aveva, come il Battesimo, la virtù di conferire la grazia. Tu dunque, o Chiesa, fosti l’organo infallibile, su questo punto, come su tutti gli altri, della tradizione e della Scrittura, allorché scagliasti contro la superbia della ragione questo solenne anatema: «Se alcuno osa asserire, che l’Ordine o l’Ordinazione non è un vera Sacramento istituito da Nostro Signore Gesù Cristo, sia costui anatema! » [Conc. Trid., sess. XXIII, can. 3.]. – Questo Sacramento vien detto Ordine, perché in esso trovansi più gradi, subordinati gli uni agli altri, ma tutti rivolti ad un fine medesimo, siccome in seguito spiegheremo.

II. Elementi del Sacramento dell’Ordine. L’imposizione delle mani e il toccamente dei vasi sacri sono la materia di questo Sacramento; le preghiere del Ministro ne sono la forma [FERRARIS, art. Ordo, II. 49]. Queste preghiere non potrebbero essere più venerabili, atteso ché le veggiamo adoperate cominciando dai primordi della Chiesa fino ai nostri giorni: nell’ordinare i primi Diaconi gli Apostoli loro imponevano le mani e pregavano per I Ministri del Sacramento dell’Ordine sono i Vescovi: tale si è l’insegnamento della Chiesa cattolica.

III. Sua istituzione. Il Sacramento dell’Ordine fu preconizzato dal Salvatore, allorché disse ai suoi Apostoli che li avrebbe fatti suoi Ministri, e pescatori di uomini. [Matth. IV]. Egli li ordinò Sacerdoti la sera, in cui dopo di aver ai medesimi distribuito il suo corpo ed il suo sangue allor allora consacrato, rivolse ad essi le seguenti parole: « Fate questo in memoria di me.» Parole onnipotenti e sempremai efficaci, che conferiscono agli Apostoli ed ai loro successori il sublime potere di operare il miracolo che il Figlio di Dio aveva in quel punto operato, vale a dire, il tramutare il pane ed il vino nel suo corpo e nel suo sangue, e di distribuirlo ai fedeli. Egli finalmente li consacrò Sacerdoti com’esso, secondo l’ordine di Melchisedech, vale a dire, per sempre; ed ecco perchè il Concilio di Trento dichiarò anatema colui che avesse osato asserire che il carattere sacerdotale può venir cancellato. [Sess. XXIII, can. 4].

IV. Suoi effetti. Gli effetti del Sacramento dell’ordine sono: 1° di dare a colui che lo riceve una grazia che lo santifica e lo mette in istato di compiere le sue funzioni per il vanaggio della Chiesa; 2° d’imprimere un carattere incancellabile, di modo che non possa giammài venir perduto, né per conseguenza venir ristabilito mediante una nuova ordinazione ; 3° di conferire la potestà di consacrare il corpo di Nostro Signore, e la possanza di rimettere e di ritenere i peccati degli uomini. Laonde le funzioni del Sacerdote non hanno solamente per iscopo di consacrare l’Eucaristia, ma si estendono ben anco a tutto ciò che si riferisce alla salute dei fedeli. Egli è perciò che dicesi conferir l’Ordine un duplice potere: 1° sul corpo naturale di Gesù Cristo, cui i Sacerdoti possono consacrare e distribuire ai fedeli; 2° sul corpo mistico di Gesù Cristo, che è la Chiesa, di cui i Sacerdoti sono appunto come l’anima. Continuatori del Figlio di Dio, essi hanno il potere d’insegnare, di battezzare, di rimettere i peccati; in una parola, di fare tutto ciò ch’è necessario onde conservare ognor vivo questo corpo e condurlo alla sua eterna unione nei Cieli col nuovo Adamo che n’è il capo. – Tutti codesti poteri discendono dal medesimo Signor Nostro Gesù Cristo. E primieramente il potere di consacrare il suo corpo ed il suo sangue. Questo Ei conferì ai suoi Apostoli ed ai loro successori colle parole poc’anzi da noi accennate: “E preso il pane, rendé le grazie, e lo spezzò, e lo diede loro dicendo: Questo è il mio corpo, il quale è dato per voi; fate questo in memoria di me “. – In seguito, il potere d’insegnare, di battezzare e di governare, colle seguenti: “È stata data a me tutta la podestà in cielo ed in terra. Andate dunque, istruite tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo; insegnando loro di osservare tutto quello che vi ho comandato [Matt. XXVII, 18-20]. Finalmente il potere di rimettere tutti i peccati e di togliere tutti gli ostacoli, che potrebbero impedire ai fedeli di giungere al Cielo, mediante queste parole: “Come mandò me il Padre, anch’io mando voi…. Ricevete lo Spirito Santo: saranno rimessi i peccati a chi li rimetterete, e saran ritenuti a chi li riterrete [Giov. XX, 21-23]. In verità vi dico: Tutto quello che legherete sulla terra, sarà legato anche nel Cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra, sarà sciolto anche nel Cielo” [Matt. XVIII, 18].– Tali sono i poteri, formidabili agli Angeli stessi, che il nuovo Adamo ha confidato ai suoi Ministri. Quale umano linguaggio può convenevolmente esporre la dignità del Sacerdozio e la grandezza del Sacerdote? Era grande il primo uomo, che, costituito re dell’universo, comandava a tutti gli abitanti de’ suoi vasti domini, e n’era docilmente obbedito. Era grande Mosè, che con una parola divideva le acque del mare, e fra le sponde da quelle formate faceva passare a piedi asciutti un popolo intero. Era grande Giosuè, che intimava al sole: « Fermati, o sole»; e il sole si fermava, obbedendo alla voce di un mortale. Son grandi i re della terra, che comandano a numerosi eserciti, e fanno tremare il mondo col solo loro nome. Or bene, esiste un uomo più grande ancora; esiste un uomo, che ogni giorno, quando gli piaccia, apre le porte del Cielo, ed indirizzandosi al Figlio dell’Eterno, al Monarca dei mondi, gli dice: Discendete dal vostro trono, e venite. Docile alla voce di quest’uomo, il Verbo di Dio, Colui pel quale tutto è stato fatto, discende sull’istante dal soggiorno della sua gloria, e s’incarna fin le mani di questo uomo più possente dei re, più degli Angeli, più dell’augusta Maria; e quest’uomo gli dice: Voi siete mio figlio, in oggi vi ho generato; voi siete mia vittima, ed Egli si lascia immolare, collocare dove vuole, donare a chi vuole: quest’uomo è il Sacerdote!!! Ma il Sacerdote non è soltanto onnipossente sul Cielo e sul corpo naturale dell’Uomo-Dio; egli è ancora onnipossente e sulla terra e sul corpo mistico di Gesù Cristo. Mirate. Un uomo è caduto fra i lacci del demonio; quale potenza potrà liberanelo? – Chiamate in aiuto di questo infelice gli Angeli e gli Arcangeli, San Michele istesso, capo della celeste milizia, vincitore di satana e delle ribelli sue legioni. Il santo Arcangelo potrà bensì cacciare i demoni che assediano questo sventurato, ma non già quello che ha sede nel suo cuorem non potrà mai infrangere le catene del peccatore che pure ha riposto in lui la sua fiducia. A chi dunque rivolgersi per esserne liberato? Chiamate Maria, la Madre di Dio, la Regina degli Angeli e degli uomini, il terrore dell’inferno: Ella può bensì pregare per quest’anima, ma non può assolverla dal minimo peccato: il solo Sacerdote ne ha il potere. Mirabile a dirsi! Supponete che il Redentore in Persona discenda visibilmente in una chiesa, ed assidasi in un confessionale per amministrare il Sacramento della Penitenza, mentre un Sacerdote va collocarsi in un altro. Il Figlio di Dio dice: Io ti assolvo; e il Sacerdote dall’altra parte pronunzia: Io ti assolvo; così dall’uno come dall’altro il penitente rimane egualmente assolto da’ suoi peccati. Laonde il Sacerdote, possente come Iddio, può in un istante strappare all’inferno il peccatore, renderlo degno del paradiso; può, da schiavo del demonio, tramutarlo in un figlio di Abramo, e Iddio medesimo si obbliga di riportarsi al giudizio del Sacerdote, di ricusare o concedere il suo perdono, secondo che il Sacerdote ricusa od accordi l’assoluzione, purché il penitente ne sia degno [Maxim. Episc. Taurin]. La sentenza è pronunciata dal Sacerdote: Iddio non fa che sottoscriverla. Si può mai concepire potere più grande, dignità più sublime? – Più non mi meraviglio se ascolto il Figlio di Dio rivolgere ai Sacerdoti queste sublimi parole: « Colui che vi ascolta, ascolta me; colui che vi disprezza, disprezza me »; o se rivolge il seguente avvertimento a tutte le nazioni dell’universo: «Guardatevi dal toccare i miei unti; colui che li tocca, tocca la pupilla de’ miei occhi ». Più non mi meraviglio se vedo nel Concilio di Nicea il padrone del mondo, il magno Costantino, scegliere per sé l’ultimo posto dopo quelli di tutti i Sacerdoti, e ricusarsi di sedere, se prima non ha ottenuto il loro permesso. Più non mi meraviglio se ascolto San Francesco d’Assisi, che per umiltà ricusò finché visse l’onore del Sacerdozio, esclamare: Se incontrassi in compagnia di un Angelo un Sacerdote, piegherei primieramente il ginocchio innanzi al Sacerdote, ed in seguito innanzi all’Angelo. No; nulla di tutto questo mi reca meraviglia; ciò solo che all’eccesso mi sorprende, si è di vedere gli uomini ed i fanciulli stessi disprezzare il Sacerdote! Abbiamo fin qui parlato della sua possanza; ma chi potrà enumerare i suoi benefizi? Il Sacerdote è il benefattore della umanità colle sue preghiere, colle sue istruzioni, colla sua carità. – Colle sue preghiere. Il mondo è un vasto campo di battaglia, in cui gli uomini stanno alle prese colle potenze infernali e colle proprie passioni. La vittoria sarebbe perduta per gl’infelici figli di Adamo, se novelli ed onnipossenti Mosè non pregassero per loro sulla montagna; questi Mose sono i Sacerdoti. La terra colpevole invia notte e giorno verso il Cielo milioni di delitti che provocano le vendette di Dio; come in un giorno di tempesta la folgore scoppierebbe ad ogni minuto sulla testa dei colpevoli, se i Sacerdoti, mediante le loro preghiere e il loro sacrificio, non le trattenessero nelle mani dell’Onnipossente. Gli uomini bisognosi e colpevoli mancano del pane necessario al loro sostentamento: peccatori quali sono, come potrebbero invocare la bontà del Padre che non rifiniscono di oltraggiare? Ma il Sacerdote innalza per essi verso il Cielo le pure sue mani, e la rugiada benefica feconda le campagne, e l’abbondanza succede alla carestia. – Colle sue istruzioni. Il mondo è un vasto deserto in cui regna continuamente una fonda oscurità; mille strade s’incrocino, ingannano i viaggiatori e li traggono nell’abisso; mille precipizi sono sparsi ovunque; mille mostri affamati aspettano preda a gola spalancata, con occhi a viaggiatore costretto a percorrere il pericoloso deserto della vita. Donde vien esso? Ei nulla ne sa. Dove va? Ei lo ignora. Qual via deve pigliare? Egli non sa discernerla. Ma sarà dunque infallibilmente perduto? No; il Sacerdote è pronto al suo soccorso; guida fedele, viene a prendere per mano il giovane viaggiatore, gl’insegna la strada, la percorre in sua compagnia, e non lo abbandona che dopo averlo messo al sicuro. – Ecco ciò che fa il Sacerdote per tutti gli uomini che vengono al mondo. Ecco quello che ha fatto pel genere umano tutto intero, per questo cieco si fattamente perduto, che, or sono diciotto secoli, più non sapeva correre che di abisso in abisso. È il Sacerdote che disperde la nebbia degli errori più grossolani, più brutali, più vergognosi, de’ quali il mondo era vittima infelice e conculcata; è il Sacerdote che toglie il mondo dalla barbarie, e gl’impedisce di ricadérvi; è il Sacerdote, che a prezzo del suo sangue stesso e della sua vita civilizza tuttora le selvagge nazioni, come un tempo civilizzò i nostri padri. [Si possono consultare le Lettere recentissime dei Missionari dell’Oceania, pubblicate negli Annali della Propagazione della Fede, n. 56]. Colla carità. Percorrete le città e le campagne, informatevi chi ne fu il fondatore, chi sia il sostegno delle istituzioni veramente utili all’umanità, così per l’infanzia che ha fatto appena il suo ingresso nel mondo, come per la vecchiaia che ben presto è per uscirne: voi sempre udrete nominare un Sacerdote. Discendete nella capanna del povero, chiedetegli chi mai gli abbia donato il pane di cui si ciba; e vi risponderà ch’è un Sacerdote, od una persona eccitata dallo zelo del Sacerdote. Accostatevi al capezzale dell’ammalato, di quell’ammalato che tutto il mondo abbandona, di cui tutti si stancano; interrogatelo chi sia l’angelo consolatore che versa nel suo cuore il balsamo del refrigerio e della speranza; e vi risponderà, un Sacerdote. Penetrate nella carcere del malfattore; chi è che alleggerisce il peso de’ suoi ferri? un Sacerdote. Salite sul patibolo del condannato; chi trovate voi a fianco della vittima? è qui pure un Sacerdote, un Sacerdote che con una mano presenta la croce a quello sciagurato, coll’altra gli addita il Cielo. Esaminate ad una ad una tutte le miserie corporali e spirituali della povera umanità, e non ne troverete una sola che non sia giornalmente alleviata dal Sacerdote, senza fasto, senza ostentazione, senza terrene speranze, senza umane ricompense. Noi siamo obbligati di amar tutti, di amare come noi stessi i nostri nemici, e ciò nondimeno a’ giorni nostri non si ama il Sacerdote! In oggi si odia il Sacerdote, e si fa scopo di sacrileghi ludibri, di empie calunnie! Il Sacerdote non se ne lagna: il discepolo non è da più del Maestro! La sua bocca non s’apre che per perdonare, come il suo braccio non si muove che per benedire. – A tutti coloro che si affliggono nel vederlo in tal guisa disconosciuto, oltraggiato, perseguitato, ei si contenta di rispondere come il suo Maestro, quando portava la croce sul Calvario: Figliuole di Gerusalemme, non piangete su di me; egli è su di voi e sui vostri figli che dovete piangere; il popolo che oltraggia il proprio Sacerdote si fa complice del delitto de’giudei; egli avrà parte alle sue punizioni. E frattanto, ad imitazione de’ primi Cristiani che ritardavano con tutta la forza delle loro preghiere la caduta dell’Impero Romano, il Sacerdote scongiura colle proprie suppliche gli uragani già pronti a scatenarsi sul mondo colpevole. Imitatore del divino Esemplare, ei cerca di passare operando il bene. I suoi più crudeli nemici ancor essi sono partecipi della sua carità: udite. Uno di quei grandi scellerati, il quale, durante i giorni delle nostre sventure, si era macchiato de’più orribili delitti, e più volte si era bagnato nel sangue dei Sacerdoti, cadde infermo. Egli aveva giurato che nessun Sacerdote avrebbe mai posto piede nelle sue stanze, o almeno, se per sorpresa vi si fosse intromesso, più non ne sarebbe uscito. Intanto la malattia assunse aspetto mortale, ed un Sacerdote ne venne avvisato, senza dissimulargli le ostili disposizioni dell’infermo. Ma non importa: il buon pastore sa che deve offrire la vita per salvare le sue pecorelle. Egli perciò fa di se stesso il sacrificio senza punto esitare, e si presenta coraggioso. Al vederlo colui monta in furia, e raccogliendo tutte le sue forze: E che, esclamò egli con voce terribile, e che? Un Sacerdote a casa mia! Mi si diano tosto le armi! — Fratello mio, gli chiese allora il Sacerdote, che volete voi farne? Io ne ho delle più possenti da contrapporvi: la mia carità e la mia costanza. — Presto le mie armi! ripeteva quel maniaco ; un Sacerdote ai miei fianchi? A me le armi! — Com’è facile immaginare, queste non gli furono recate; per cui traendo fuori del letto un braccio nerboruto: Sai tu, disse allora al Sacerdote, sai tu che questo braccio ha sgozzato dodici tuoi pari? — V’ingannate, o fratel mio, soggiunse allora dolcemente il Ministro; a quel numero ne manca uno; il dodicesimo non mori; il dodicesimo son io. Mirate, proseguì poscia scoprendosi il petto, ecco le cicatrici dei colpi che mi scagliaste. Iddio mi ha conservato in vita per salvarvi: e in ciò dire gettossi con tutto l’affetto al collo dell’infermo, ed lo aiutò a ben morire. Se mille Sacerdoti non hanno offerto simile esempio, egli è perché ad un solo si è presentata sì bella occasione. Ecco il Sacerdote!!!

V. Disposizioni per ricevere il Sacramento dell’Ordine. – Oltre una scienza convenevole e una virtù più che ordinaria, che faccia dei Sacerdoti altrettante guide e modelli del gregge confidato alle loro cure, tutti quelli che aspirano agli ordini santi devono avere eziandio, l’età richiese dai sacri canoni. Pel suddiaconato ventidue anni; pel diaconato ventitré; pel presbiterato venticinque [Conc. Trid. Sess. XXIII, c. 12] . Può forse immaginarsi cosa più saggia di questa disciplina? Se anche negli affari mondani è prescritta un’età matura all’uopo di poter occupare un’impiego, a ben maggior dritto la esige la Chiesa in coloro che desiderano di essere innalzati al Sacerdozio. 2° Essi non devono essere legati da qualsiasi censura od irregolarità che li renda indegni del Ministero ecclesiastico, [ad es. l’appartenenza alla massoneria, come fu il caso del sig. Achille Lienart,  “nokem adonay”-cavaliere kadosh 30° liv. che, non avendo mai ricevuto l’ordine, non lo ha mai neppure trasmettere ad alcuno, compreso M. Lefrebvre e gli epigoni delle pseudo-fraternità “non” sacerdotali … attenti al lupo -ndr.!!!!] od inabili ad esercitarne le funzioni. 3° Devono possedere una singolare vocazione per questo stato di vita. A Dio si appartiene lo scegliere i suoi ministri, come al re di eleggere propri servitori ed ufficiali.

VI. Necessità del Sacramento dell’Ordine. Codesto Sacramento è necessario alla Chiesa ed alla società. Senza il Sacramento dell’Ordine che procura ministri alla Chiesa e superiori ai fedeli, la Chiesa stessa non sarebbe più una società: tutto cadrebbe nel disordine e nella confusione; imperocché non possono darsi superiori che comandino senza inferiori che obbediscano. Ma se la Chiesa non esistesse, la società civile, di cui ella è anima, non potrebbe nemmeno esistere; poiché, sì come in seguito proveremo, non si dà società senza religione; non religione senza la Chiesa; non la Chiesa senza Vicari e Sacerdoti; non Sacerdoti senza il Sacramento dell’Ordine: dond’è che il Sacramento dell’Ordine è il cardine della Religione e dello Stato. Dopo di questo potrete voi meravigliarvi, se prima di conferire la podestà e la dignità del Sacerdozio, il nuovo Adamo e la Chiesa sua sposa richiedano lunghe prove ed austere preparazioni? Ah! è a questo proposito specialmente che si deve ammirare la loro divina saviezza !

Il primo passo verso il Santuario, è il ricevimento della tonsura. I più antichi Padri della Chiesa ed i sommi Scrittori ecclesiastici attestano che ella viene dagli Apostoli. Si assicura però che il primo ad istituirla fu l’apostolo San Pietro in memoria della corona di spine del Signor Nostro [DIONYS., De Eccl. hierar., 6., part. 2. — AUG., Serm. XVII, ad patres in eremo. – HIERON. in cap. XLIV Ezech. — RABAN. MAUR., lib. De Institut. cleric. — BED., lib. V, Hist. angl., c. 22]. Ma checché sia di ciò, la tonsura era stabilita nell’ottavo secolo, e sappiamo che risaliva eziandio a tempo più antico [Vedi FLEURY, Istituzioni di diritto canonico, part. I, c. 5]. Ora, portare la testa rasa era costume ignominioso che rendeva spregevole, dacché presso i Greci ed i Romani era questo un contrassegno di schiavitù [ARLSTOPH., in Avibus. — PHILOSTR., lib. VII]; ed ecco perché, secondo San Cipriano, si recidevano i capelli e la barba ai Cristiani condannati alle miniere [Epist. LXXVII]. Laonde la corona clericale è un segno di modestia e di rinunzia al mondo, una professione di amore verso la Croce e le umiliazioni di Gesù Cristo, che con tal mezzo appunto ha trionfato del mondo, e perciò i suoi successori non devono portare altre armi che queste. Assumere le insegne dell’Uomo-Dio è dunque il primo passo [è ovvio che chi non abbia fatto questo passo, né i successivi, non potrà mai considerarsi un sacerdote cattolico! -ndr.- ] da farsi per tutti quelli che aspirano all’onore di continuare la sua missione. Tutti i significati della tonsura son resi sensibili dalle preghiere e dalle cerimonie di cui fa uso la Chiesa nel conferirla. – Il Vescovo assiso su d’un faldistorio nel mezzo dell’altare, alla guisa del Salvatore medesimo nel mezzo de’ suoi discepoli, chiama gli aspiranti a ricevere la tonsura, ognuno pel suo proprio nome, onde mostrare che niuno per se stesso può entrare nella santa milizia, ma è mestieri esservi chiamato da Dio alla maniera di Aronne [Ebr. V, 4]. Tutti rispondono a lor volta di essere presenti, e si avvicinano all’altare per rendere testimonianza della loro prontezza nel corrispondere alla grazia della loro vocazione. Essi sono in sottana, lunga veste nera, che la Chiesa ha adottato pei suoi Ministri. Il colore e la forma denotano che devono essere morti al mondo, e che devono rinunziare colla mortificazione ai desideri della vita presente. Portano sul braccio sinistro una cotta bianca, simbolo di loro innocenza; nella mano destra un cero acceso, immagine eloquente della carità che infiamma i loro cuori, e li spinge a consacrarsi a Dio, e a dedicarsi interamente al suo servigio. [Vedi M. THIRAT, Spirito delle cerimonie della Chiesa, p. 141]. Allorquando sono inginocchiati attorno all’altare, il Vescovo si alza e supplica il Signore a cangiare, a purificare, ad infiammare il cuore de’ novelli suoi servi.- Tutto il popolo unisce le proprie alle preghiere del Pontefice, intonando il salmo che comincia : « Salvatemi, o Signore, poiché in voi solo io spero ». Nel mentre che il coro continua il canto, il Vescovo recide colle forbici in forma di croce i capelli dei tonsurati, e questi nello stesso tempo pronunziano quelle parole che attestano il loro desiderio di separarsi dal mondo, e di non voler possedere che il solo Gesù Cristo: « Il Signore è il mio calice e la mia ricchezza; siete voi, o mio Dio, che mi restituite la mia eredità ». Il Vescovo poscia adorna i tonsurati colla cotta, simbolo dell’innocenza nella quale devono vivere costantemente, e loro dice: « Vi rivesta il Signore dell’uomo che fu creato ad immagine di Dio, in uno stato di giustizia e di santità perfetta! » Con ciò la cerimonia è compiuta. Il Chierico più non appartiene al mondo; è servo di Dio, di cui ha indossato le insegne; il Nuovo Adamo è d’ora innanzi il solo suo modello. – La tonsura non è un Ordine, ma sebbene una santa cerimonia stabilita dalla Chiesa per separare dal mondo coloro che essa chiama allo stato ecclesiastico. È una specie di tirocinio che introduce al chiericato, soggetta alle leggi che riguardano i membri del clero, e diviene una preparazione per ricevere gli Ordini. Ma non basta l’aver separati dal secolo coloro che devono comporre la santa tribù, e che sono destinati a diventare la luce del mondo, il sole della terra, gli ausiliari di Gesù Cristo nell’opera di redenzione. Un esercito, perché possa riuscire vittorioso, deve essere disciplinato, deve avere e capi e soldati con attribuzioni diverse. Ed ecco perché Gesù Cristo ha stabilito diversi Ordini nel chiericato. « Siccome, dice santo Concilio di Trento, il Sacerdozio è una cosa tutta divina, era conveniente pel miglior governo della Chiesa, e affinché fosse esercitato con tutta la possibile dignità e col maggior decoro, che vi fossero molti e diversi ordini di ministri, i quali secondo i doveri delle proprie incombenza aiutassero i Sacerdoti a compiere le loro funzioni, e che essendo stati primieramente insigniti della clericale tonsura, salissero per questi diversi Ordini, come per altrettanti gradini, alla sommità del Santuario ». [Sess. XXIII]. Dopo queste parole del sacro Concilio si può risguardare l’altare come una montagna, santa ad un tempo e terribile, sulla quale non si può ascendere che lentamente, e dopo lunghe e rigorose preparazioni.I diversi Ordini sono dunque gli scalini di questa misteriosa montagna. Se ne contano sette, cioè: quattro minori: quello dell’Ostiario, del Lettore, dell’esorcista, dell’Accolito; e tre maggiori, Suddiaconato, Diaconato, Presbiterato. Questa distinzione di Ordini risale ai tempi apostolici [Lettere del Papa S. Cornelio nel 231. – Quarto Concilio di Cartagine, nel 398]. – Ascoltiamo su ciò l’Angelo delle scuole: la sua dottrina è ammirabile. «Tutti gli Ordini, esso dice,si riferiscono all’Eucaristia, e la loro dignità viene dal rapporto più o meno diretto ch’essi hanno con questo adorabile Sacramento. Nel grado il più sublime è il Sacerdote, perciocché consacra il corpo ed il sangue del Salvatore; nel secondo è il Diacono, che lo distribuisce; nel terzo il Suddiacono, poiché prepara nei sacri vasi la materia che deve essere tramutata; nel quarto l’Accolitato, che la prepara e la presenta in vasi non consacrati. Gli altri Ordini sono istituiti per preparare coloro che devono ricevere l’Eucaristia se sono impuri od immondi. Ora questi possono esser tali per tre modi: gli uni possono essere battezzati ed istruiti, ma se fossero energumeni non devono essere ammessi alla santa Comunione; dond’è che nel quinto grado si trovano gli Esorcisti, poiché sono stati stabiliti per liberarli dal demonio e renderli degni della santa Mensa. Altri non sono ancora né battezzati né istruiti sufficientemente, ma desiderano di esserlo; e per questi si trovano nel sesto grado i Lettori che sono incaricati di prepararli con le loro istruzioni, al Sacramento dei nostri altari. Gli ultimi finalmente sono gli infedeli, indegni per conseguenza di partecipare ai santi misteri; e per essi pure, al settimo grado si rinvengono gli Ostiarii, il cui ufficio è di allontanarli dalle congregazioni dei fedeli [Tutti questi divini Ministri, destinati dal loro stato a ciò che riguarda il culto di Dio ed il servizio della Chiesa, sono compresi sotto il nome di Chierici. Questa parola significa che sono scelti dal Signore, che sono sua ricchezza, e che il Signore medesimo è la loro eredità. San Gerolamo a Nepoziano]. Essi inoltre devono mantenere l’ordine e la decenza nell’interno del tempio in cui si deve offrire l’augusto Sacrificio » [III p., Suppl. 9, art. 2]. E non è questa forse un’ammirabile gerarchia? Ecco quanto guadagna la Religione, allorché sia degnamente studiata nelle sue istituzioni!

Preghiera.

O mio Dio, che siete tutto amore, vi ringrazio che abbiate istituito il Sacramento dell’Ordine per perpetuare la vostra reale presenza fra gli uomini, e per donare dei Ministri alla vostra Chiesa: io vi chiedo in grazia di poter nutrire un sommo rispetto per questo Sacramento, e per quelli che lo ricevono. – Mi propongo di amar Dio sopra tutte le cose e il prossimo come me stesso per amor di Dio, e in prova di questo amore, pregherò spesso pei Sacerdoti. [continua …[

[Le sottolineature sono redazionali]

 

 

 

 

 

 

De Segur: BREVI E FAMILIARI RISPOSTE ALLE OBIEZIONI CONTRO LA RELIGIONE [risp. XXXIII-XXXVI]

 

XXXIII.

A CHE SERVE LA CONFESSIONE?

R. Primieramente, bisogna che serva a qualche cosa buona, perché è un’istituzione divina, e Dio non opera senza motivo. Ma di più voi domandate a che serve la confessione? Confessatevi e vedrete a che serve. – Vedrete, che serve a divenir buono da malvagio, vedrete che serve a correggersi dei vizi, e ad avanzare a gran passi nelle virtù le più eroiche. – A che serve la confessione? Domandatelo a quel fattorino, a quel povero ragazzo, che vergognose abitudini degradavano e il cui vituperio si imprimeva già sulla sua faccia. Eccovelo tutto cambiato nel fisico come nel morale. Che fece dunque egli mai? Si confessò, si confessa…. Per lo avanti ei non si confessava. – A che serve la confessione? Domandatelo a quell’operaio poc’anzi sì libertino, sì passionato per la bettola, attualmente così casto, così sobrio, così ordinato, così laborioso; diventato in poco tempo il modello de’ suoi compagni! La sua moglie ed i suoi figli trovano che la confessione serve a qualche cosa. – A che serve la confessione? Domandatelo a quella povera donna nel colmo della miseria, carica di prole, maltrattata dal suo marito…. Ella volle più volte, l’infelice, andare a finire le sue pene in un fiume… II pensiero di Dio. e de’ suoi figli la ritenne. Essa s’avvicina al confessore… io non so ciò che le dica; ma eccovi, essa entra in casa colla pace nel cuore e quasi colla gioia sul volto. Essa sopporta dolcemente le sue pene; soffre senza lagnarsi i duri trattamenti del suo marito… Costui si meraviglia per il di lei cambiamento, poi l’ammira, poi l’ama, poi l’imita. Numerate: un suicidio di meno: una madre conservata a sei o sette figli; una buona unione, ed una famiglia virtuosa di più! – Dopo questa povera donna, è un servitore che da lunghi anni faceva dei piccoli profitti un po’ arrischiati, alle spese del suo padrone. Un rimorso l’ha turbato, va a trovare il prete… Se il padrone tien l’occhio a suoi affari, può vedere che la spesa scema senza che il treno della sua casa sia diminuito…. E riceve un bel giorno un biglietto di quattro o cinque cento franchi da mano sconosciuta. – Numerate: un marìuolo di meno; forse il vitupero della galera risparmiato ad un’onorevole famiglia, un onesto servitore di più. – A che serve la confessione? Domandatelo ai poveri di quel comune. Il ricco proprietario del luogo li lasciava nella loro miseria; spendeva per sé tutta la sua immensa fortuna Dopo qualche tempo si confessa… ed eccolo diventato il padre degli infelici; previene le loro privazioni… Le persone povere conoscono che la confessione serve a qualche cosa! La confessione è il segreto della virtù.  È dessa che rende, che conserva la pace del cuore, senza cui non v’ha felicità. È dessa, che previene un’infinità di delitti, e di disgrazie. È dessa, che solleva il povero peccatore, la cui debolezza l’ha diviso da Dio! È dessa soprattutto, che consola il moribondo pronto a comparire avanti il suo Dio, e il suo Giudice. – Qual cambiamento vedreste nel mondo, se tutti sì confessassero sinceramente, seriamente, come si deve fare! Le leggi e la gendarmeria non avrebbero più guari ad esercitarsi. Vi sarebbe in questa sola legge della Chiesa: “Tu confesserai i tuoi peccati almeno una volta all’anno” di che rigenerare il mondo ed arrestare tutte le rivoluzioni. Giudicate adunque dell’albero dai suoi frutti. La stessa cosa è della confessione, come di tutta la religione, essa non ha altri nemici che le passioni.

XXXIV.

IO NON HO BISOGNO DI CONFESSARMI. NON HO NIENTE DA RIMPROVERARMI , NON HO NE’ UCCISO, NE’ RUBATO, NE’ FATTO TORTO A PERSONA. NON AVREI NULLA A DIRE.

R. È questo il risultato del vostro esame di coscienza? Mio buono amico, l’una delle due cose: O siete un uomo eccezionale, o non vedete chiaro nella vostra coscienza. Volete che ve la dica francamente? lo son certo, che voi siete un uomo simile agli altri, e che la seconda ipotesi sola è la vera. — Voi non avete niente a rimproverarvi? — Esaminiamo un poco — Sarebbe singolare che io vedessi più chiaro di voi in voi stesso! – 1.° Primieramente come state voi in riguardo a Dio? Voi mi confesserete, che Gli dovete qualche cosa! Non è per niente che Egli è vostro creatore, vostro padrone, vostro padre, vostro ultimo fine! L’adorate voi? Lo pregate voi ciascun giorno? Lo ringraziate dei suoi favori? Gli domandate perdono delle mancanze che commettete contro la sua legge? Obbedite voi a questa legge? Colui, che dovrebbe essere la prima occupazione della vostra vita vi ha parte anche solo in qualche cosa? I poveri selvaggi idolatri adorano i loro falsi Dei. E voi, che conoscete il Dio vivente, e vero, non vivete voi, come se non esistesse? Ecco dunque un punto, che avevate molto male esaminato, quando or ora mi dicevate, che non avevate niente a rimproverarvi, e che eravate impicciato a trovare qualche cosa a dire al vostro parroco. – 2.° E nei doveri verso gli altri siete voi più fedele? Mettete la mano sulla coscienza. Ancor là quante miserie! Carità fraterna, efficace, e sincera; affabilità, e prontezza in servir gli altri; misericordia verso i poveri, indulgenza per le mancanze dei vostri fratelli; rispetto per la loro riputazione; perdono delle ingiurie; aiuto scambievole; buon esempio; doveri di cittadini; doveri verso la famiglia, doveri di buon figlio e di buon padre, doveri di buono sposo; doveri di buon padrone o di buon servo; doveri di buono e fedele amico; doveri di operai coscienziosi, o di padroni giusti ed umani ecc.; la lista è ben lunga. Gli adempite voi tutti? – Anche in ciò una buona materia per la vostra prossima confessione! – 3,° Sui vostri doveri verso voi stesso, credo potervi assicurare che se voi non praticate la religione vi ha ancora a dire di più. Osservate: Avete un’anima; qual cura ve ne prendete? Vivete quasi come non ne aveste. Quando fate del bene, quali motivi vi animano? Sapete che è l’intenzione che fa l’azione, come dice il proverbio. Un’intenzione cattiva rende cattive le azioni anche le migliori in apparenza. È egli dunque il motivo del dovere che vi fa agire? È il desiderio di compiere la volontà di Dio, di piacere a Dio, o non è piuttosto l’interesse personale, l’ostentazione, il desiderio d’essere stimato ed apprezzalo dal mondo? Come state voi di sobrietà, di temperanza? Come state voi soprattutto di castità? Se vostra figlia facesse in vostra presenza ciò che voi fate avanti Iddio che vede tutto, voi la scaccereste di vostra casa come un’infame !… Se un altro dicesse alla vostra moglie, a vostra sorella, a vostra figlia, ciò che diceste tante volte a mogli, a giovanette, che pensereste voi di lui? non lo giudichereste ben colpevole? Non siete dunque insozzato di ciò che macchia gli altri? Potremmo spingere ben più avanti questo esame del far vostra coscienza; la cava, credetemi, non è punto esaurita. Eccovi ben molto per convincervi se volete esserne convinto, che malgrado la vostra perfetta innocenza, avete tutto il necessario per fare un’eccellente, lunga o soda confessione. Voi avete da una parte i peccati: vi feci conoscere i più gravi; d’altra parte avete, non ne dubito, una buona volontà. Voi conoscete qualche buon prete che sarà lieto di ricevervi e di perdonarvi in nome di Dio. Andate adunque a trovarlo e con buone disposizioni. Non vi ha che il primo passo che alquanto costi; la difficoltà passa ben tosto; la gioia rimane. — « Ma è già da molto tempo che non vi sono stato! »—perciò ne avete maggior bisogno. —«Ma io ne ho troppe a direi » — Tanto meglio; i pesci grossi sono i migliori. I confessori amano assai più i gran peccatori che i piccoli; dacché però ben si pentono. — «Ma giammai mi sovverrei di tutto!» — A che serve ciò? Dite quel che vi ricordate; pentitevi di tutto, e Dio che conosce la buona volontà vi perdonerà tutto. Il pentimento è la cosa principale nella confessione. Credetemi, andate a confessarvi. Vedrete che sarete contento e meravigliato di voi quando avrete finito. La vera felicità sulla terra è la pace del cuore frutto della buona coscienza.

XXXV.

CONOSCO DE’DEVOTI CHE NON SONO MIGLIORI DEGLI ALTRI UOMINI. CERTUNI CHE SI CONFESSANO NON SONO MIGLIORI PER CIÒ.

R. Ciò prova 1.° O che questi non sono sinceri, o almeno che sono poco istruiti nella religione, praticandone l’esteriore, ma non ne curando lo spirito di cui devesi soprattutto occupare. – 2.° Oppure che la loro indole è stranamente ribelle, giacché un’influenza cosi potente non li rende migliori del comune degli uomini. – 3.° Ovvero (e ciò è il più probabile) che voi non li giudicate con imparzialità, e che siete ingiusto con essi.  – I cristiani, notatelo bene, non lasciano d’esser uomini dacché sono cristiani. Essi conservano la debolezza, l’inconseguenza della nostra povera umana natura, che il peccato sì profondamente corruppe; la loro condotta, da quel tempo, non è sempre d’accordo coi loro principi, i loro desideri, le loro risoluzioni. – Ma se ]a religione non corregge tutti i difetti di carattere, se non distrugge interamente e subito tutte le imperfezioni, almeno le diminuisce e le distrugge a poco a poco. Essa ordina incessantemente di combatterle; offre mezzi semplicissimi e potentissimi per diventare non solo buoni, ma perfetti quanto il comporta l’umana condizione. Osservate i santi: guardate S. Francesco di Sales, S. Francesco Zaverio, S. Vincenzo de’ Paoli, non erano altro che veri cristiani! – Così pure le anime rette e coraggiose che usano questi mezzi, si correggono prontamente, e finiscono per diventare migliori, poi buone, poi perfette. Ciò che è certo si è che la maggior parte di quelli che gridano contro i devoti sono, il più delle volte, dieci volte più malvagi di questi; vedono la festuca nell’occhio del loro vicino, e non s’accorgono della trave che hanno nel proprio. La religione non può che render migliore. Colui che ha difetti, essendo cristiano, avrebbe questi medesimi difetti, e maggiori ancora, se non Io fosse. E di più egli avrebbe il grande, e capitale difetto che voi avete, voi che lo biasimate d’essere religioso: di non rendere cioè a Dio il culto d’adorazione, di preghiera, e d’ubbidienza, ch’Egli esige da tutti gli uomini.

XXXVI.

COME IL CORPO DI GESÙ CRISTO PUÒ EGLI ESSERE PRESENTE NELL’EUCARISTIA? CIÒ È IMPOSSIBILE.

R. Non ho che una cosa a rispondervi; ma essa basta: Ciò è; dunque è possibile. Ciò e; dunque lo dovete credere, benché voi non comprendiate come ciò possa essere. Dico adunque, che ciò è, che Gesù Cristo è veramente, e sostanzialmente presente nella santa Eucaristia, e che dopo la Consacrazione della Messa non vi ha più pane sull’altare, tra le mani del sacerdote, ma il corpo e il sangue di nostro signore Gesù Cristo vivente, velato sotto le umili specie del pane e del vino. – Per convincervene, io non vi farò vedere tutti i secoli cristiani dagli apostoli fino a’ nostri giorni, che credono, adorano, proclamano altamente questa presenza reale di Gesù Cristo nel acramento dell’Eucaristia. Sarebbe senza dubbio gran cosa il vedere i più grandi ingegni, i più profondi, e più saggi dottori, adorare colla fede la più perfetta il sacrosanto mistero dell’altare… Ma oltre che ciò ci condurrebbe a troppo lunghe spiegazioni, io non voglio fare di ciò che un affare di buona fede; si è ad essa sola, che io mi rivolgo, e non voglio, che citarvi testualmente quasi senza commenti le parole medesime di Gesù Cristo, che dice essere l’Eucaristia Lui stesso, il suo corpo, il suo sangue, la sua carne. – Due volte egli parla dell’eucaristia nel Vangelo: La prima per prometterla (un anno circa avanti la sua passione), la seconda (la vigilia della sua passione), per instituirla, e compiere così la sua promessa.  – 1.° La prima parola è in S. Giovanni, al capo VI ; eccovela, la propongo al vostro buon senso. – « In verità, in verità vi dico: Chi crede in me ha la vita eterna. » Egli sulle primo esige fede alla sua parola; perché ciò che va a dire è il mistero più grande della fede. « Io sono il pane di vita… Io sono il pane vivo, che son disceso dal cielo: chi di un tal pane mangerà, vivrà eternamente. E il pane che io darò, ella é la carne mia per la salute del mondo [Notate questa parola: Gesù Cristo promette questo pane misterioso; ancora non lo dona; lo darà più tardi: « Il pane che io darò. » Non è dunque, come dicono i protestanti, una maniera figurata di parlare della dottrina che predicava, perché questa dottrina la donava; non si può promettere ciò che si è già donato, e ciò che si dona.] – I Giudei, ai quali egli parlava, dissero allora ciò che voi dite: Come può Egli dare la sua carne a mangiare? Come mai ciò può essere? — E non lo volevano credere. Osservate, come nostro Signor Gesù Cristo loro afferma di nuovo la sua presenza reale nel pane eucaristico. « In verità, in verità vi dico: se non mangerete la carne del Figliuolo dell’uomo, e non berrete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne, e beve il mio sangue, ha la vita eterna; ed Io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Imperocché la mia carne è veramente cibo, e il sangue mio veramente bevanda. Chi mangia la mia carne, e beve il mio sangue sta in me, ed Io in lui. Chi di questo pane mangia, vivrà eternamente. » – Che ne dite? Non credete voi alla parola di Gesù Cristo stesso, che v’assicura, l’Eucaristia essere il suo corpo e il suo sangue con una chiarezza d’espressioni cosi forte e viva, che i protestanti cercano e ricercano invano da trecento anni, ed arrovellano il cervello per sottrarsi a questa evidenza? – 2.° Se questa prima parola di Gesù Cristo è chiara come la verità stessa, la seconda che è la parola medesima dell’istituzione dell’Eucaristia non lo è di meno. La vigilia della sua passione, nostro Signore, dopo la cena prende del pane tra le sue mani divine e venerabili, lo benedice, e lo presenta ai suoi apostoli dicendo: « Prendete e mangiatene tutti; perchè questo è il mio corpo. » – Non è ciò chiaro? « Questo, ciò che tengo in mano e che vi presento, è, che? il mio corpo. » Quindi concede ai suoi Apostoli, che furono i suoi primi preti, l’ordine ed il potere di fare ciò che egli ha fatto, aggiungendo queste parole : « E ogni qual volta farete ciò, lo farete in memoria di me: » cioè come io stesso or ora ho fatto. Uomini di buona fede udite e giudicate; questo è il mio corpo !!! – Per me, io vi dichiaro, questa sola parola mi basta, e non solamente essa è per me una prova sfolgorante della presenza di Gesù Cristo nella Eucaristia, ma essa mi prova d’una maniera non meno irrefragabile la sua divinità… Giammai un uomo disse, poté dire una simile cosai… Due osservazioni molto semplici vi faciliteranno inoltre la fede al mistero dell’Eucaristia. – 1.° Il corpo di Gesù Cristo nell’Eucaristia è in uno stato glorificato, soprannaturale, tutto differente dallo stato del corpo umano quale noi lo vediamo in questa vita. – Ciò, che era impossibile nello stato mortale terrestre e passibile, diventa possibile nello stato immortale, celeste, ed impassibile— Non si può dir dell’uno ciò, che si dice dell’altro. – Così il ferro, il rame, non possono prendere la forma dello stampo, quando sono nel loro stato ordinario. Esponeteli all’azione del fuoco, metteteli in fusione, nello stato di liquido: essi prenderanno facilmente questa forma. Questo cambiamento di stato rende possibile ciò che non lo era dapprima. — Lo stesso noi possiamo dire del corpo di nostro Signore nel Sacramento dell’altare. Quand’anche sì dimostrasse, che è assolutamente impossibile, che nello stato in cui l’abbiamo osservato, egli sia presente nei santo Sacramento, ciò non proverebbe l’impossibilità di sua presenza in uno stato nuovo e che sfugge alla nostra analisi. – 2.° La natura ci offre numerosi esempi di questo cambiamento, che vi pare impossibile, d’una sostanza in un’altra. Quello che colpisce di più è il nutrimento del corpo. Il pane che mangio è cambiato per l’opera misteriosa della digestione nel mio corpo, nella mia propria carne, e nel mio proprio sangue. La sostanza del pane è cambiata in quella del mio corpo. – Ciò che Dio opera ciascun giorno naturalmente in noi, perché non lo potrà operare in modo soprannaturale nel mistero dell’Eucaristia? Voi vedete dunque, che non è impossibile, che per la divina onnipotenza, il pane ed il vino siano cambiati sui nostri altari nella sostanza del corpo e del sangue di nostro Signor Gesù Cristo, e che la Chiesa insegnando la sua presenza reale nel santo Sacramento, non insegna, come lo pretendono alcuni ignoranti e sciocchi, un’assurdità, una cosa impossibile, e ripugnante alla ragione. – Ora come si opera quest’ammirabile prodigio? Io non so, ed i più grandi dottori non lo sanno più che gli altri. È il mistero della fede, il segreto di Dio. Ciò che sappiamo, è che esiste, e ciò basta. Per questa adorabile presenza Gesù Cristo, il Re delle anime, la vita dei cristiani, il capo della Chiesa, il rifugio dei peccatori, l’amorevole e dolce Salvatore, il consolatore di tutti i dolori, è incessantemente in mezzo a’ suoi figli… Dio, e uomo nello stesso tempo, è il vivo legame, che ci unisce a suo Padre, e al nostro Padre. Egli l’adora perfettamente, supplisce all’imperfezione dei nostri omaggi. Egli domanda misericordia per i continui peccati del mondo. – Egli è presente a tutte le umane generazioni, che ama e che egualmente salvò, per ricevere da ciascuna di esse sino alla fine del mondo l’omaggio delta fede, dell’adorazione, del culto e delle preghiere. Se il santo Sacramento è il mistero della fede, è pur anco, e molto più, il mistero dell’amore!… Crediamo, amiamo, ed adoriamo.

25 Aprile: LITANIE O ROGAZIONI. – Litanie dei Santi

LITANIE O ROGAZIONI.

ISTRUZIONE.

Litania, che vuol dire Preghiera, è parola greca derivata dal verbo lìtanevo, che significa: “prego”. Le Litanie Maggiori cadono nel giorno 25 Aprile, e si dicono maggiori, o perché ebbero origine dalla maggiore delle Chiese, quale si è Roma, o perché comandate in tutta la Cristianità da S. Gregorio, detto “Magno”, il quale, se non ne fu l’istitutore, dacché egli stesso ne parla come di cosa già in uso, fu però quel Papa che le universalizzò dopo di averle celebrate con una solennità tutta particolare, allorquando nel 598, per impetrare la cessazione della peste che desolava tutta Roma, chiamò tutto il Clero e, tutto il Popolo ad una Processione di penitenza che fece capo alla chiesa di Santa Maria Maggiore e durante la quale si serenò il cielo, cessò la mortalità, e si vide sulla mole Adriana un Angelo che rimetteva nel fodero la propria spada, per significare che il flagello era cessato. Fu in quella circostanza che all’antica mole Adriana si mutò il nome in quello di Castel sant’Angelo, e vi fu eretta la grande statua di S. Michele. – Le Litanie Minori, che nel rito Romano si celebrano al Lunedi, Martedì e Mercoledì avanti l’Ascensione, nel Rito Ambrosiano si celebrano otto giorni dopo. Sebbene vogliano alcuni che queste Litanie minori fossero già in uso al tempo di S. Agostino, dacché nel discorso 173 raccomanda al popolo di santificare il triduo precedente l’Ascensione, non solamente, col digiuno, ma eziandio col pregare nella chiesa non meno di sei ore. S. Avito e S. Gregorio di Tours ne attribuiscono l’istituzione a S. Mamerto vescovo di Vienne in Francia nell’anno 468, sotto il Pontificato di S. Ilario, e ne assegnano per occasione le grandi disgrazie che desolavano tutta l’Europa mondata dai barbari, sotto la condotta di Attila, e per liberarsi dalle quali non si trovava altro mezzo che quello di propiziarsi il Signore coll’orazione e col digiuno. Prima però che s. Mamerto le celebrasse nella propria diocesi, s. Lazzaro, arciv. di Milano, che morì nel 461, le aveva per la stessa ragione ordinate nella propria, cioè in tutta la Chiesa ambrosiana. Però solamente sotto il pontificato di Leone III, circa l’anno 800, si estesero a tutto il mondo cristiano. Nel triduo delle Litanie fu comandato il digiuno; ma, siccome coll’andare del tempo fu stabilito che da Pasqua all’Ascensione non si avesse a digiunare, onde attenersi all’insegnamento di Gesù Cristo : « Nessuno digiuna finché ha in casa lo Sposo, verrà però il tempo in cui lo Sposo si allontanerà e allora sarà tempo di digiunare, » si tolse ancora il precetto del digiuno nei giorni delle Litanie. La Chiesa ambrosiana però, volendo tener l’antico costume di digiunare in questo triduo e riconoscendo giustissima la disciplina di non digiunare nei 40 giorni del tempo pasquale, stabili di celebrare le Litanie nel Lunedì, Martedì e Mercoledì della settimana successiva all’Ascensione e cosi supplire ai quattro giorni delle Ceneri precedenti la prima domenica di Quaresima, nei quali, per attenersi all’antico costume si continua il Carnevale. – Le processioni che si fanno in questi giorni sono dirette ad ottenere la fecondità della campagna, la tranquillità delle case, e la santità delle persone, insomma la benedizione di Dio in tutte quante le cose. Chi appena può disporre di sé, deve farsi un dovere di intervenire a queste solennissime processioni. Chi non può assistervi, non lasci almeno di recitare particolari preghiere, e specialmente quella che qui si soggiunge.

PER I GIORNI DELLE LITANIE

Dio della bontà e della misericordia, Padre amoroso ed Arbitro sovrano di tutta quanta la natura, che regolando ogni cosa secondo i consigli della vostra sapientissima Provvidenza, avete a noi assoggettate tutte le creature dell’universo perché ci fornissero, giusta il bisogno, il cibo, il vestito l’alloggio, la difesa, e fino conveniente ricreazione; Voi da cui solo dipende l’opportunità delle stagioni, la fecondità della campagna, la prosperità del commercio, la tranquillità degli Stati, la salute dei nostri corpi e la santificazione delle nostre anime, degnatevi di volger propizio il vostro sguardo sopra di noi, e fate che tutto ci serva ad alleviare le miserie del tempo per assicurarci beata la eternità. – Come liberaste Noè dalle acque del Diluvio, Lot dalle fiamme di Sodoma, Davide dagli orsi, Daniele dai leoni, e poi Naamano dalla lebbra, Tobia dalla cecità, la casa di Raab dall’eccidio, e la Samaria dalla fame, liberate ancor tutti noi da ogni inondazione, da ogni incendio, da ogni carestia, da ogni contagio, da ogni persecuzione e da ogni guerra. Purgate l’aria da ogni influsso cattivo, la terra da ogni insetto dannoso”, e mandate a suo tempo il vento e la rugiada, la serenità e la pioggia, onde ogni seme fruttifichi in abbondanza. Togliete ai nostri nemici, così pubblici come privati, cosi visibili come invisibili, la volontà e la forza di nuocere, onde tra noi regni costantemente la sicurezza e la pace. Allontanate insomma da noi tutti quanti i vostri flagelli, onde alle nostre preghiere uniamo sempre più fervorosi i nostri sinceri ringraziamenti. – Che se mai pei nostri peccati voleste visitarci con qualche traversia, dateci nel tempo stesso lo spirito della cristiana pazienza, onde, ricevendo dalle vostre mani, e sopportando in espiazione dei nostri falli i vostri paterni castighi, ci assicuriamo quel premio che voi tenete preparato nel cielo a chi porterà con rassegnazione la propria croce sopra la terra. Pater, Ave, Gloria.

LITANIE DEI SANTI

Kyrie eleison,

Christe eleison,

Kyrie eleison.

Christe, audi nos;

Christe, exaudi nos;

Pater de cœlis Deus, Miserere nobis,

Fili redentor mundi Deus, Miserere nobis.

Spiritus Sancte Deus, Miserere nobis.

Sancta Trinitas unus Deus, Miserere…

Sancta Maria, ora pro nobis.

Sancta Dei Genitrix, ora

Sancta Virgo virginum, ora

Sancte Michael, ora

Sancte Gabriel, ora

Sancte Raphael, ora

Omnes sancti Angeli et Archangeli, orate

Omnes sancti beatorum Spirituum Ordines, orate

Sancte Joannes Baptista, ora

Sancte Joseph, ora…

Omnes sancti Patriarchæ et Prophetæ, orate…

Sancte Petre, ora…

Sancte Paule, ora…

Sancte Andrea, ora…

Sancte Jacobe, ora…

Sancte Joannes, ora…

Sancte Thoma, ora…

Sancte Jacobe, ora…

Sancte Philippe, ora…

Sancte Bartholomæe, ora…

Sancte Matthæe, ora…

Sancte Simon, ora…

Sancte Thaddæe, ora …

Sancte Mathia, ora …

Sancte Barnaba, ora…

Sancte Luca, ora…

Sancte Marce, ora…

Omnes sancti Apostoli et Evangelistas, orate…

Omnes sancti Discipuli Domini, orate…

Omnes sancti Innocentes, orate…

Sancte Stephane, ora…

Sancte Laurenti, ora…

Sancte Vincenti, ora…

Sancti Fabiane et Sebastiane, orate…

Sancti Joannes et Paule, orate…

Sancti Cosma et Damiane, orate…

Sancti Gervasi et Protasi, orate …

Omnes sancti Martyres, orate…

Sancte Silvester, ora…

Sancte Gregori, ora…

Sancte Ambrosi, ora…

Sancte Augustine, ora…

Sancte Hieronyme, ora…

Sancte Martine, ora…

Sancte Nicoláe, ora…

Omnes sancti Pontifices et Confessores, orate …

Omnes sancti Doctores, orate …

Sancte Antoni, ora

Sancte Benedicte, ora…

Sancte Bernarde, ora

Sancte Dominice, ora

Sancte Francisce, ora

Omnes sancti Sacerdotes et Levitæ, orate …

Omnes sancti Monachi et Eremitæ, orate …

Sancta Maria Magdalena, ora…

Sancta Agatha, ora …

Sancta Lucia, ora …

Sancta Agnes, ora …

Sancta Cæcilia, ora…

Sancta Catharina, ora

Sancta Anastasia, ora

Omnes sanctæ Vìrgines Viduæ, orate…

Omnes Sancti et Sanctæ Dei, intercedite pro nobis.

Propitius esto, parce nobis, Domine.

Propitius esto, exaudi nos, Domine.

Ab omni malo, libera nos Domine.

Ab omni peccato libera nos,…

Ab ira tua, libera…

A subitanea et improvisa morte, libera …

Ab insidiis diaboli, libera nos …

Ab ira, et odio et omni mala voluntate, libera nos…

A spiritu fornicationis, libera …

A fulgure et tempestate, libera …

A flagello terræmotus, libera …

A peste, fame et bello, libera …

A morte perpetua, libera …

Per misterium sanctæ incarnationis tuæ, libera …

Per adventum tuum, libera …

Per nativitatem tuam, libera …

Per baptismum et sanctum jejunium tuum, libera …

Per crucem et passionem tuam, libera …

Per mortem et sepolturam tuam, libera …

Per sanctam resurrectionem tuam, libera …

Per admirabilem ascensionem tuam, libera …

Per adventum Spiritus Sancti Paracliti, libera …

In die judicii, libera …

Peccatores, te rogamus, audi nos.

Ut nobis parcas, te rogamus …

Ut nobis indulgeas, te rogamus

Ut ad veram poenitentiam nos perducere digneris, te rogamus …

Ut Ecclesiam tuam sanctam regere et conservare digneris, te rogamus …

Ut [domnum apostolicum] et omnes ecclesiasticos ordines in sancta religione conservare digneris, te rogamus…

Ut inimicos sanctæ Ecclesiaæ humiliare digneris, te rogamus…

Ut regibus et principibus christianis pacem et veram concordiam donare digneris, te rogamus …

Ut cuncto populo christiano pacem et unitatem largiri digneris, te rogamus …

Ut nosmetipsos in tuo sancto servitio confortare et conservare digneris, te rogamus …

Ut mentes nostras ad cœlestia desideria erigas, te rogamus …

Ut omnibus benefactoribus nostris sempiterna bona retribuas, te rogamus…

Ut animas nostras, fratrum, propinquorum, et benefactorum nostrorum ab æterna damnatione eripias, te rogamus …

Ut fructus terræ dare et conservare digneris, te rogamus …

Ut omnibus fidelibus defunctis requiem æternam donare digneris, te rogamus …

Ut nos exaudire digneris, te rogamus …

Fili Dei, te rogamus …

Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, parce nobis, Domine.

Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, exaudi nos, Domine.

Agnus Dei, qui tollis peccata mundi, miserere nobis.

Christe, audi nos.

Christe, exaudi nos.

Kyrie eleison.

Christe eleison.

Kyrie eleison.

Pater noster, (secreto)

… et ne nos inducas in tentationem,

Sed libera nos a malo.

Salmo 69

Deus, in adjutórium meum intènde; * Domine ad adjuvàndum me festina. Confundàntur, et revereàntur,* qui quærunt animam meam: Avertàntur retrórsum, et erubéscant, * qui volunt mihi mala: Avertàntur statim erubescéntes, * qui dicunt mihi: Euge, éuge. Exùltent et læténtur in te omnes qui quærunt te, * et dicant semper: Magnificétur Dóminus: qui diligunt salutare tuum. Ego vero egénus, et pàuper sum: * Deus, àdjuva me. Adjùtor meus, et liberator meus es tu: * Domine ne moréris. – Glòria Patri, etc.

V. Salvos fac servos tuos,

R. Deus meus speràntes in te.

V. Esto nobis, Dòmine, turris fortitùdinis,

R. A facie inimici.

V. Nihil proficiat inimicus in nobis.

R. Et filius iniquitàtis non appónat nocére:

V. Dòmine, non secundum peccata nostra fàcias nobis.

R. Neque secundum iniquitàtes nostras retribuas nobis.

V. Oremus prò Pontifice nostro Gregorio,

R. Dominus consérvet eum, et vivificet eum et beàtum faciat eum in terra, et non tradat eum in anima inimicórum éjus.

R. Oremus prò benefactóribus nostris.

R. Ritribùere dignàre, Dòmine, òmnibus nobis bona facientibus propter nomen tuum vitam ætérnam. Amen.

V. Oremus prò fidélibus defùnctis.

R. Requiem ætérnam dona eis, Dòmine, et lux perpétua luceat eis.

V. Requiescant in pace.

R. Amen.

V. Pro fratribus nostris abséntibus.

R. Salvos fac servos tuos, Deus meus, speràntes in te.

V. Mitte eis, Dòmine, auxilium de sancto:

R. Et de Sion tuére eos.

V. Domine, exaudi oratiónem meam.

R. Et clamor meus ad te veniat.

V. Dominus vobiscum.

R. Et cum spiritu tuo.

Oremus

Deus, cui próprium est miseréri semper et parcere: sùscipe deprecatiònem nostram, ut nos, et omnes fàmulos tuos, quos delictorum caténa constringit, miseràtio tuæ pietàtis clementer absólvat. [O Dio, che soltanto Tu usi sempre misericordia e largisci perdono, accogli la nostra preghiera affinché la tua generosa e pietosa bontà liberi noi e tutti i tuoi servi dalle catene del peccato.]

Exàudi, quæsumus, Domine, sùpplicum preces. A confiténtium tibi parce peccatis; ut pàriter nobis indulgéntiam tribuas benignus et pacem. [Usaudisci, o Signore, le nostre supplici preghiere e perdona i peccati di coloro che a Te li confessano, accordando pure a noi tutti benignamente il perdono e la pace.]

Ineffàbilem nobis, Dómine, misericórdiam tuam cleménter osténde: ut simul nos et a peccàtis omnibus éxuas, et a pœnis, quas pro his meremur, eripias. [Mostraci, o Signore, la tua ineffabile misericordia! essa ci liberi da tutti i peccati e ci sottragga alle pene che meritiamo.]

Deus, qui culpa offénderis, pœniténtia placàris; preces populi tui supplicàntis propitius réspice, et flagella tuæ iracùndiæ, quas prò peccàtis nostris meremur, avèrte. [O Dio, che sei offeso dalla colpa e placato dalla penitenza, rivolgi benigno lo sguardo al tuo popolo supplice ed allontana i flagelli del tuo sdegno, che abbiamo meritato con i nostri peccati.]

Omnipotens sempitèrne Deus, miserére famulo tuo Pontifici nostro Gregorio et dirige eum secundum tuam clementiam in viam salutis ætérnas: ut, te donante, tibi placita cupiat, et tota virtute perficiat. [O Dio onnipotente ed eterno, abbi pietà del tuo servo Gregorio, nostro Papa, e conducilo nella via della eterna salvezza secondo la tua clemenza: col dono della tua grazia egli ricerchi ciò che Tu desideri e lo adempia con tutta la sua forza.]

Deus, a quo sancta desidéria, recta Consilia, et justa sunt opera: da servis tuis illam, quam mundus dare non potest, pacem; ut et corda nostra mandatis tuis dedita, et hostium sublata formidine, tempora sint tua protectione tranquilla. [O Dio, sorgente di desideri santi, di retti giudizi, di opere giuste, elargisce ai tuoi servi la pace che il mondo non può dare affinché i nostri cuori assecondino i tuoi comandamenti e, liberi dal timore dei nemici, per la tua protezione viviamo giorni di tranquillità.]

Ure igne Sancti Spiritus renes nostros, et cor nostrum, Domine: ut tibi casto corpore serviamus et mundo corde placeàmus. [Purifica, o Signore, col fuoco dello Spirito Santo i nostri sensi e i nostri affetti, affinché possiamo servirti con corpo puro e piacerti per mondezza di cuore.]

Fidelium Deus omnium conditor et redemptor, animàbus famulorum famularumque tuàrum, missionem cunctorum tribue peccatorum: ut indulgéntiam, quam semper optavérunt, piis supplicationibus consequàntur. [O Dio, creatore e redentore di tutti i fedeli, concedi alle anime dei tuoi servi e delle tue serve la remissione di tutti i peccati, affinché, pel mezzo delle nostre fervide suppliche, ottengano il perdono che hanno sempre desiderato.]

Actiones nostras, qæsumus Domine, aspirando præveni, et adjuvàndo proséquere: ut nostra oràtio et operàtio a te semper incipiat, et per te cœpta finiàtur. [Previeni, o Signore, le nostre azioni con la tua ispirazione e accompagnale col tuo aiuto, affinché ogni nostra preghiera e ogni nostra attività sempre da Te abbia inizio e, intrapresa, per Te giunga a compimento.]

Omnipotens sempitèrne Deus, qui vivorum dominaris simul et mortuorum, omniumque misereris quos tuos fide et opere futuros esse prænoscis: te supplices exoràmus; ut prò quibus effundere preces decrévimus, quosque vel præsens sæculum adhuc in carne rétinet, vel futurum jam exutos corpore suscepit, intercedéntibus omnibus Sanctis tuis, pietastis tuæ cleméntia, omnium delictorum suorum venia consequàntur. Per Dominum nostrum Jesum Chrìstum, etc. [O Dio onnipotente ed eterno, che regni sui vivi e sui morti ed hai misericordia verso tutti coloro che per la fede e le opere prevedi saranno tuoi, umilmente Ti raccomandiamo coloro per i quali intendiamo pregare, sia che la vita presente ancora li trattenga nel corpo, sia che, spogliati del corpo, li abbia già accolti la vita futura; fa’ che ottengano dalla tua misericordiosa clemenza il perdono dei loro peccati per l’intercessione di tutti i tuoi Santi. Per il ….]

V. Dóminus vobiscum.

R. Et cum spiritu tuo.

V. Exàudiat nos omnipotens et miséricors Dominus.

R. Amen.

V. Et fidélium ànimæ per misericórdiam Dei requiescant in pace.

R. Amen

“Pio XII ha detto che dovevo succedergli” – Papa Gregorio XVII

 

“Pio XII ha detto che dovevo succedergli” – Papa Gregorio XVII – Il Papa “vero” legittimo!

Nel 1938 Papa Pio XI si esprimeva dicendo: “Se il Papa muore oggi, domani se ne avrà un altro, perché la Chiesa continua. Sarebbe una tragedia molto più grande invece, se morisse il cardinale Pacelli, perché ce n’è uno solo. Io prego ogni giorno: certo Dio può inviare un altro uomo da uno dei nostri seminari, ma ad oggi, c’è solo lui in questo mondo.” Dopo la morte di Pio XI, il Cardinale Pacelli infatti diventerà Papa Pio XII, e nel 1953, anche lui avrebbe approvato un uomo da elevare al Papato, di 46 anni, Giuseppe Siri, l’arcivescovo di Genova. Quando Pio XII nominò cardinale G. Siri, nel porgli il cappello rosso in testa, un reporter presente ebbe a sottolineare: “questo è un momento storico, il Papa incorona il prossimo Papa.” In effetti, Siri ha scritto nel suo diario personale ora pubblicato: “Pio XII mi ha detto che devo succedergli, egli sta preparando per me lo stesso percorso che Pio XI aveva preparato per lui.”

Il “papa” falso, l’agente massonico (33° liv.): A. Roncalli.

“Questo piano (per installare un falso papa) è stato rivelato anche in una lettera del cardinale Tisserant, il 12 marzo 1970, quando ha fatto allusione appunto alla elezione ‘pianificata’ di ‘papa’ Giovanni XXIII: “L’elezione dell’attuale Sommo Pontefice è stata fatta in fretta. L’elezione di Jean XXIII, venne discussa in numerose riunioni”.

“Nessuno può essere in grado di dare informazioni sul processo dopo il conclave. È stata imposta una segretezza più stretta che mai! E’ assolutamente ridicolo dire che OGNI CARDINALE POTEVA ESSERE ELETTO. I miei migliori saluti. (Fotocopia della lettera pubblicata sul libro di F. Bellegrandi: Nichita Roncalli – p. 30)…

“In un’altra lettera, il cardinale Tisserant ha detto ad un abate docente di diritto canonico che l’elezione di Giovanni XXIII era illegittima perché è stato voluta e “preparata” da forze aliene ALLO SPIRITO SANTO “. (‘Vita’ 18 Settembre, 1977, p. 4: ‘Le profezie sui papi nell’elenco di San Malachia’, de “Il Minutante”- [ ‘Profezie sui papi di Malachia di Armagh’]”(Fonte del testo è: L’Eglise Eclipse par Les Amis du Christ Roi de France 1997)

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Il Papa Prigioniero Gregorio XVII segnala il colpo massonico!

“Siri ha detto che dovevamo pregare per i conclavi futuri, di modo che coloro che volessero partecipare possano essere veramente liberi da ogni tipo di condizionamento o di influenza, non solo in termini etnici o politici, ma anche sociale. Bisogna pregare perché non ci sia alcuna manipolazione da parte di alcuna setta”. [FFr. Raimondo Spiazzi, “Il Cardinale Giuseppe Siri”, Bologna: Studio Dominicani, 1990. (Nota: La citazione dal libro di Spiazzi è stato tratta dall’articolo della rivista “30 Giorni”, “infiltrati Sì …?”, Novembre 1991, pag. 55.) sua Santità, sempre sotto sorveglianza, parlando di come mantenere l’integrità delle decisioni nei “futuri conclavi” … cosa che chiaramente implica che in quelli “passati” [dal 1958 al 1978 –ndr.- ] il VERO LEGITTIMO RISULTATO del Conclave (che lo aveva reso Vicario di Cristo con il nome di GREGORIO XVII) sia stato manipolato satanicamente (cioè falsificato) dalla setta massonica … che aveva installato con successo il “fratello” 33° Roncalli (il sedicente “nuovo” Giovanni XXIII), per accelerare il loro suo obiettivo secolare della distruzione totale della Chiesa cattolica.

Quando gli usurpatori del Vaticano hanno scoperto che si parlava del vero Papa …

“Nella settimana che seguì la pubblicazione di questo articolo (” Il Papa: poteva essere il cardinale Siri”, luglio 1986 – v. nel blog, “quattro articoli”), Monsieur de Franquerie ricevette due telefonate da Roma, a dimostrazione che in Vaticano era stata letta anche questa piccola recensione altamente confidenziale. L’interlocutore voleva sapere se l’articolo fosse attendibile, della qual cosa, Monsieur Franquerie diede loro conferma.

 

L’articolo venne poi tradotto in inglese, tedesco, spagnolo, italiano e distribuito in tutto il mondo ….”(L’Eglise Eclipsée da Les Amis de Christ-Roi, Edizioni Delacroix, 1997 Parigi)

Tutti i veri cattolici devono una quantità incredibile di grazie al marchese de la Franquerie ed ai suoi illustri colleghi, per la loro provvidenziale intervista fatta al “cardinale Siri” (in realtà Papa Gregorio XVII) il 18 maggio, 1985 . Quell’incontro provvidenziale ha spianato infatti la strada per l’odierna Campagna di restauro del vero Pontificato [PRC] – il cui unico obiettivo è quello di ripristinare visibilmente il degno successore di Papa Gregorio XVII, Papa Gregorio XVIII, sul suo legittimo trono.

* Il Marchese de La Franquerie era un realista francese. Nel 1926 venne nominato redattore capo della rivista approvata della Chiesa, la Rassegna Internazionale di società segrete [RISS]. Venne nominato ciambellano di Sua Santità, Papa Pio XII, ed era un noto esperto di Massoneria … per questo era molto rispettato, e anche temuto, da vari prelati del suo tempo. Sono state queste “qualità” che gli permisero di ottenere l’accesso al Papa in ostaggio, a Genova, e di ottenerne udienza quel fatidico giorno di maggio. Di questo storico 18 maggio 1985, esiste la registrazione fatta da uno dei testimoni oculari presenti, signor Luis-Hubert Remy.

E’ importante notare che Papa Gregorio XVII, in incontri clandestini con esponenti del Clero cattolico tradizionale nel giugno 1988, avrebbe inoltre rivelato di essere stato eletto Papa, di avere accettato l’incarico, evendo scelto il nome di Gregorio XVII durante il Conclave del 26 ottobre 1958, e che i suoi carcerieri, fiancheggiatori massonici, avrebbero potuto ucciderlo in qualsiasi momento. (Ed infatti meno di undici mesi dopo questi segreti incontri del giugno 1988, Gregorio XVII, in seguito a “misteriosi” malanni, morì nell’arco di poche settimane, il 2 maggio 1989.). [TCWblog]

UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE IL MODERNISTA APOSTATA DI TORNO … e pure il masso-illuminato dell’«ECCLESIA»: HUMANUM GENUS

HUMANUM GENUS

S. S. Leone XIII

LETTERA ENCICLICA AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI PRIMATI ARCIVESCOVI VESCOVI E AGLI ALTRI ORDINARI AVENTI CON L’APOSTOLICA SEDE PACE E COMUNIONE.

“CONDANNA DEL RELATIVISMO FILOSOFICO E MORALE DELLA MASSONERIA”

VENERABILI FRATELLI SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE

Il genere umano, dopo che “per l’invidia di Lucifero” si ribellò sventuratamente a Dio creatore e largitore de’ doni soprannaturali, si divise come in due campi diversi e nemici tra loro; l’uno dei quali combatte senza posa per il trionfo della verità e del bene, l’altro per il trionfo del male e dell’errore. Il primo è il regno di Dio sulla terra, cioè la vera Chiesa di Gesù Cristo; e chi vuole appartenervi con sincero affetto e come conviene a salute, deve servire con tutta la mente e con tutto il cuore a Dio e all’Unigenito Figlio di Lui. Il secondo è il regno di Satana, e sudditi ne sono quanti, seguendo i funesti esempi del loro capo e dei comuni progenitori, ricusano di obbedire all’eterna e divina legge, e molte cose imprendono senza curarsi di Dio, molte contro Dio. Questi due regni, simili a due città che con leggi opposte vanno ad opposti fini, con grande acume di mente vide e descrisse Agostino, e risali al principio generatore di entrambi con queste brevi e profonde parole: “Due città nacquero da due amori; la terrena dall’amore di sé fino al disprezzo di Dio, la celeste dall’amore di Dio fino al disprezzo di sé (De Civit. Dei, lib. XIV, c. 17). – In tutta la lunga serie dei secoli queste due città pugnarono l’una contro l’altra con armi e combattimenti vari, benché non sempre con l’ardore e l’impeto stesso. Ma ai tempi nostri i partigiani della città malvagia, ispirati e aiutati da quella società, che larga mente diffusa e fortemente congegnata prende il nome di Società Massonica, pare che tutti cospirino insieme, e tentino le ultime prove. Imperocché senza più dissimulare i loro disegni, insorgono con estrema audacia contro la sovranità di Dio; lavorano pubblicamente e a viso aperto a rovina della Santa Chiesa, con proponimento di spogliare affatto, se fosse possibile, i popoli cristiani dei benefizi recati al mondo da Gesù Cristo nostro Salvatore. – Gemendo su questi mali, spesso, incalzati dalla carità, Noi siam costretti a gridare a Dio: “Ecco, i nemici tuoi menano gran rumore e quei che t’odiano hanno alzato la testa. Hanno formato malvagi disegni contro i tuoi santi. Hanno detto: venite, e cancelliamoli dai numero delle nazioni” (Psalm. XXXII, 2-5). – In sì grave rischio, in sì fiera ed accanita guerra al Cristianesimo, è dover Nostro mostrare il pericolo, additare i nemici, e resistere quanto possiamo ai disegni ed alle arti loro, affinché non vadano eternamente perdute le anime che Ci furono affidate, e il regno di Gesù Cristo, commesso alla Nostra tutela, non solo stia e conservisi intero, ma per nuovi e continui acquisti si dilati in ogni parte della terra. – Chi fosse e a che mirasse questo capitale nemico, che usciva fuori dai covi di tenebrose congiure, lo compresero tosto i Romani Pontefici Nostri Antecessori, vigili scolte a salute del popolo cristiano; e antivenendo col pensiero l’avvenire, dato quasi il segnale, ammonirono Principi e popoli non si lasciassero ingannare alle astuzie e trame insidiose. Diede il primo avviso del pericolo Clemente XII (Cost. In eminenti, 24 Aprile 1738); e la Costituzione di lui fu confermata e rinnovata da Benedetto XIV (Cost. Providas, 18 maggio 1751). Ne seguì le orme Pio VII (Cost. Ecclesiam a Jesu Christo, 13 Settembre 1821); poi Leone XII con l’Apostolica Costituzione Quo graviora (Cost. in. data del 23 Marzo 1825), abbracciando in questo punto gli atti e i decreti de’ suoi Antecessori, li ratificò e suggellò con irrevocabile sanzione. Nel senso medesimo parlarono Pio VIII (Encicl. Traditi, 31 Maggio 1829), Gregorio XVI (Encicl. Mirari, 15 Agosto 1832) e più volte Pio IX (Encicl. Qui pluribus, 9 Novembre 1846. Alloc. Multiplices inter, 25 Settembre 1865, ecc.). – Imperocché da fatti giuridicamente accertati, da formali processi, da statuti, riti, giornali massonici pubblicati per le stampe, oltre alle non rare deposizioni dei complici stessi, essendosi venuto a chiaramente conoscere lo scopo e la natura della setta massonica, quest’Apostolica Sede alzò la voce, e denunziò al mondo, la setta dei Massoni, sorta contro ogni diritto umano e divino, essere non men funesta al Cristianesimo che allo Stato, e fece divieto di darvi il nome sotto le maggiori pene, onde la Chiesa suol punire i colpevoli. Di che irritati i settari e credendo di poter, parte col disprezzo, parte con calunniose menzogne sfuggire o scemare la forza di tali sentenze, accusarono d’ingiustizia o di esagerazione i Papi, che le avevano pronunziate. – In questo modo cercarono di eludere la autorità ed il peso delle Costituzioni Apostoliche di Clemente XII, di Benedetto XIV, e similmente di Pio VII, e di Pio IX. Nondimeno tra i Frammassoni medesimi ve ne ebbe alcuni i quali riconobbero loro malgrado, che quelle sentenze dei Romani Pontefici, ragguagliate alla dottrina e alla disciplina cattolica, erano altamente giuste. E ai Pontefici si unirono non pochi Principi ed uomini di Stato, i quali ebbero cura o di denunziare all’Apostolica Sede le Società Massoniche, o di proscriverle essi stessi con leggi speciali nei loro domini, come fu fatto nell’Olanda, nell’Austria, nella Svizzera, nella Spagna, nella Baviera, nella Savoia ed in altre parti d’Italia. – Ma la saggezza dei Nostri Predecessori ebbe, ciò che più conta, piena giustificazione dagli avvenimenti. Imperocché le provvide e paterne loro cure, o fosse l’astuzia e l’ipocrisia dei settari, ovvero la sconsigliata leggerezza di chi pure aveva ogni interesse di tener gli occhi aperti, non avendo né sempre né per tutto sortito l’esito desiderato, nel giro d’un secolo e mezzo la società Massonica si propagò con incredibile celerità; e traforandosi per via di audacia e d’inganni in tutti gli ordini civili, incominciò ad essere potente in modo da parer quasi padrona degli Stati. – Da sì celere e tremenda propagazione ne sono seguiti a danno della Chiesa, della potestà civile, della pubblica salute, quei rovinosi effetti, che i Nostri Antecessori gran tempo innanzi avevano preveduti. Imperocché siamo ormai giunti a tale estremo da dover tremare pei le future sorti non già della Chiesa, edificata su fondamento non possibile ad abbattersi da forza umana, ma di quegli Stati, dove la setta di cui parliamo o le altre affini a quella e sue ministre e satelliti, possono tanto. – Per queste ragioni, appena eletti a governare la Chiesa, vedemmo e sentimmo vivamente nell’animo la necessità di opporCi, quanto fosse possibile, con la Nostra autorità a male si grande. E colta bene spesso opportuna occasione, venimmo svolgendo or l’una or l’altra di quelle capitali dottrine, in cui il veleno degli errori massonici pareva che fosse più intimamente penetrato. Così con la Lettera Enciclica “Quod Apostolici muneris“, sfolgorammo i mostruosi errori dei Socialisti e Comunisti: con l’altra “Arcanum” prendemmo a spiegare e difendere il vero e genuino concetto della famiglia, che ha l’origine e sorgente sua nel matrimonio: con quella che incomincia “Diuturnum” ritraemmo l’idea del potere politico, esemplata ai principi dell’Evangelo, e mirabilmente consentanea alla natura delle cose e al bene dei popoli e dei sovrani. – Ora poi, ad esempio dei Nostri Predecessori, Ci siam risoluti di prender direttamente di mira la stessa società Massonica nel complesso delle sue dottrine, dei suoi disegni, delle sue tendenze, delle sue opere, affinché, meglio conosciutane la malefica natura, ne sia schivato più cautamente il contagio. – Varie sono le sètte che, sebbene differenti di nome, di rito, di forma, d’origine, essendo per uguaglianza di proposito e per affinità de’ sommi principi strettamente collegate fra loro, convengono in sostanza con la setta dei Frammassoni, quasi centro comune, da cui muovono tutte e a cui tutte ritornano. Le quali, sebbene ora facciano sembianza di non voler nascondersi, e tengano alla luce del sole e sotto gli occhi dei cittadini le loro adunanze, e stampino effemeridi proprie, ciò nondimeno, chi guardi più addentro, ritengono il vero carattere di società segrete. – Imperocché la legge del segreto vi domina e molte sono le cose, che per inviolabile statuto debbonsi gelosamente tener celate, non solo agli estranei, ma ai più dei loro adepti: come, ad esempio, gli ultimi e veri loro intendimenti; i capi supremi e più influenti; certe conventicole più intime e segrete; le risoluzioni prese, e il modo ed i mezzi da eseguirle. A questo mira quel divario di diritti, cariche, offici tra’ soci; quella gerarchica distinzione di classi e di gradi, e la rigorosa disciplina che li governa. – Il candidato deve promettere, anzi, d’ordinario, giurare espressamente di non rivelar giammai e a nessun patto gli affiliati, i contrassegni, le dottrine della setta. Così, sotto mentite sembianze e con l’arte d’una continua simulazione, i Frammassoni studiansi a tutto potere di restare nascosti, e di non aver testimoni altro che i loro. Cercano destramente sotterfugi, pigliando sembianze accademiche e scientifiche: hanno sempre in bocca lo zelo della civiltà, l’amore della povera plebe: essere unico intento loro migliorare le condizioni del popolo, e i beni del civile consorzio accomunare il più ch’è possibile a molti. Le quali intenzioni, quando fossero vere, non sono che una parte dei loro disegni. Debbono inoltre gli iscritti promettere ai loro capi e maestri cieca ed assoluta obbedienza: che ad un minimo cenno, ad un semplice motto, n’eseguiranno gli ordini; pronti, ove manchino, ad ogni più grave pena, e perfino alla morte. E di fatti non è caso raro, che atroci vendette piombino su chi sia creduto reo di aver tradito il segreto, o disubbidito al comando, e ciò con tanta audacia e destrezza, che spesso il sicario sfugge alle ricerche ed ai colpi della giustizia. – Or bene questo continuo infingersi, e voler rimanere nascosto: questo legar tenacemente gli uomini, come vili mancipii, all’altrui volontà per uno scopo da essi mal conosciuto: e abusarne come di ciechi strumenti ad ogni impresa, per malvagia che sia: armarne la destra micidiale, procacciando al delitto la impunità, sono eccessi che ripugnano altamente alla natura. La ragione adunque evidentemente condanna le sètte Massoniche e le convince nemiche della giustizia e della naturale onestà. – Tanto più che altre e ben luminose prove ci sono della sua rea natura. Per quanto infatti sia grande negli uomini l’arte di fingere e l’uso di mentire, egli è impossibile che la causa non si manifesti in qualche modo pe’ suoi effetti. “Non può un albero buono dar frutti cattivi, né un albero cattivo frutti buoni” (Matth. VII, 18). Ora della Massonica sètta esiziali ed acerbissimi sono i frutti. Imperocché dalle non dubbie prove che abbiamo testé ricordate apparisce, supremo intendimento dei Frammassoni esser questo: distruggere da capo a fondo tutto l’ordine religioso e sociale, qual fu creato dal Cristianesimo, e pigliando fondamenti e nome dal Naturalismo, rifarlo a loro senno di pianta. – Questo per altro, che abbiamo detto o diremo, va inteso della setta Massonica considerata in se stessa, e in quanto abbraccia la gran famiglia delle affini e collegate società; non già dei singoli suoi seguaci. Nel numero dei quali può ben essere ve ne abbia non pochi, che, sebbene colpevoli per essersi impigliati in congreghe di questa sorta, tuttavia non piglino parte direttamente alle male opere di esse, e ne ignorino altresì lo scopo finale. Così ancora tra le società medesime non tutte forse traggono quelle conseguenze estreme, a cui pure, come a necessarie illazioni dei comuni principi, dovrebbero logicamente venire, se la enormità di certe dottrine non le trattenesse. La condizione altresì dei luoghi e dei tempi fa che taluna di esse non osi quanto vorrebbe od osano le altre. Il che però non le salva dalla complicità con la setta Massonica, la quale più che dalle azioni e dai fatti, vuol esser giudicata dal complesso de’ suoi principi. – Ora fondamentale principio dei Naturalisti, come il nome stesso lo dice, egli è la sovranità e il magistero assoluto dell’umana natura e dell’umana ragione. Quindi dei doveri verso Iddio o poco si curano, o mal ne sentono. Negano affatto la divina rivelazione; non ammettono dogmi, non verità superiori all’intelligenza umana, non maestro alcuno, a cui si abbia per l’autorità dell’officio da credere in coscienza. E poiché è privilegio singolare e unicamente proprio della Chiesa cattolica il possedere nella sua pienezza, e conservare nella sua integrità il deposito delle dottrine divinamente rivelate, l’autorità del magistero, e i mezzi soprannaturali dell’eterna salute, somma contro di lei è la rabbia e l’accanimento dei nemici. Si osservi ora il procedere della setta Massonica in fatto di religione, là specialmente dov’è più libera di fare a suo modo, e poi si giudichi, se ella non si mostri esecutrice fedele delle massime dei Naturalisti. Infatti con lungo ed ostinato proposito si procura che nella società non abbia alcuna influenza, né il magistero né l’autorità della Chiesa; e perciò si predica da per tutto e si sostiene la piena separazione della Chiesa dallo Stato. Così si sottraggono leggi e governo alla virtù divinamente salutare della religione cattolica, per conseguenza si vuole ad ogni costo ordinare in tutto e per tutto gli Stati indipendentemente dalle istituzioni e dalle dottrine della Chiesa. – Né basta tener lungi la Chiesa, che pure è guida tanto sicura, ma vi si aggiungono persecuzioni ed offese. Ecco infatti piena licenza di assalire impunemente con la parola, con gli scritti, con l’insegnamento, i fondamenti stessi della cattolica religione: i diritti della Chiesa si manomettono; non si rispettano le divine sue prerogative. Si restringe il più possibile l’azione di lei; e ciò in forza di leggi, in apparenza non troppo violente, ma in sostanza nate fatte per incepparne la libertà. Leggi di odiosa parzialità si sanciscono contro il Clero, cosicché vedesi stremato ogni giorno più e di numero e di mezzi. Vincolati in mille modi e messi in mano allo Stato gli avanzi dei beni ecclesiastici; i sodalizi religiosi aboliti, dispersi. – Ma contro l’Apostolica Sede e il Romano Pontefice arde più accesa la guerra. Prima di tutto egli fu sotto bugiardi pretesti spogliato del Principato civile, propugnacolo della sua libertà e de’ suoi diritti; poi fu ridotto ad una condizione iniqua, e per gli infiniti ostacoli intollerabile; finché si è giunti a quest’estremo, che i settari dicono aperto ciò che segretamente e lungamente avevano macchinato fra loro, doversi togliere di mezzo lo stesso spirituale potere dei Pontefici, e fare scomparire dal mondo la divina istituzione del Pontificato. Di che, ove altri argomenti mancassero, prova sufficiente sarebbe la testimonianza di parecchi di loro, che spesse volte in addietro, ed eziandio recentemente dichiararono, essere veramente scopo supremo dei Frammassoni perseguitare con odio implacabile il Cristianesimo, e che essi non si daranno mai pace, finché non vedano a terra tutte le istituzioni religiose fondate dai Papi. – Che se la setta non impone agli affiliati di rinnegare espressamente la fede cattolica, cotesta tolleranza, non che guastare i massonici disegni, li aiuta. Imperocché in primo luogo è questo un modo di ingannar facilmente i semplici e gli incauti, ed un richiamo di proselitismo. Poi con aprir le porte a persone di qualsiasi religione si ottiene il vantaggio di persuadere col fatto il grand’errore moderno dell’indifferentismo religioso e della parità di tutti i culti: via opportunissima per annientare le religioni tutte, e segnatamente la cattolica che, unica vera, non può senz’enorme ingiustizia esser messa in un fascio con le altre. – Ma i Naturalisti vanno più oltre. Messisi audacemente, in cose di massima importanza, per una via totalmente falsa, sia per la debolezza dell’umana natura, sia per giusto giudizio di Dio che punisce l’orgoglio, trascorrono precipitosi agli errori estremi. Così avviene che le stesse verità, che si conoscono pei lume naturale di ragione, quali sono per fermo l’esistenza di Dio, la spiritualità ed immortalità dell’anima umana, non hanno più pei essi consistenza e certezza. Or negli scogli medesimi va per via non dissimile ad urtare la setta Massonica. – L’esistenza di Dio, è vero, i Frammassoni generalmente la professano: ma che questa non sia in ciascun di loro persuasione ferma e giudizio certo, essi stessi ne fan fede. Imperocché non dissimulano, che nella famiglia massonica la questione intorno a Dio è un principio grandissimo di discordia; ed anzi è noto come pur di recente si ebbero tra loro su questo punto gravi contese. – Fatto sta che la setta lascia agl’iniziati libertà grande di sostenere circa Dio la tesi che vogliono, affermandone o negandone la esistenza; e gli audaci negatori vi hanno accesso non men facile di quelli che, a guisa dei Panteisti, ammettono Iddio, ma ne travisano il concetto: ciò che in sostanza riesce a ritenere della divina natura non so quale assurdo simulacro, distruggendone la realtà. Ora abbattuto o scalzato questo supremo fondamento, forza è che vacillino anche molte verità di ordine naturale, come la libera creazione del mondo, il governo universale della provvidenza, l’immortalità dell’anima, la vita futura e sempiterna. – Scomparsi poi questi, come dire, principi di natura, importantissimi per la speculativa e per la pratica, è agevole il vedere che cosa sia per addivenire il pubblico e il privato costume. Non parliamo delle virtù sovrannaturali, che senza special favore e dono di Dio niuno può né esercitare, né conseguire, e delle quali non è possibile che si trovi vestigio in chi superbamente disconosce la redenzione del genere umano, la grazia Celeste, i Sacramenti, l’eterna beatitudine: parliamo dei doveri che procedono dalla onestà naturale. Imperocché Iddio, creatore e provvido reggitore del mondo; la legge eterna, che comanda il rispetto e proibisce la violazione dell’ordine naturale; il fine ultimo degli uomini, posto di gran lunga al di sopra delle create cose, fuori di questa terra; sono queste le sorgenti e i principi della giustizia e della moralità. I quali principi se, come fanno i Naturalisti ed altresì i Frammassoni, si tolgano via, incontanente l’etica naturale non ha più né dove appoggiarsi, né come sostenersi. E per fermo la morale, che sola ammettono i Frammassoni, e che vorrebbero educatrice unica della gioventù, è quella che chiamano civile e indipendente, ossia che prescinde affatto da ogni idea religiosa. Ma quanto sia povera, incerta, e ad ogni soffio di passione variabile cotesta morale, lo dimostrano i dolorosi frutti, che già in parte appariscono. Imperocché ovunque essa ha cominciato a dominare liberamente, dato lo sfratto alla educazione cristiana, la probità e integrità dei costumi scade rapidamente, orrende e mostruose opinioni levan la testa, e l’audacia dei delitti va crescendo in modo spaventoso. Il che si lamenta e deplora da tutti; e spesse volte, sforzati dalla verità, non pochi di quegli stessi l’attestano, che pur tutt’altro vorrebbero. – Oltre a ciò, per essere l’umana natura infetta dalla colpa di origine, e perciò più proclive al vizio che alla virtù, non è possibile vivere onestamente senza mortificare le passioni, e sottomettere alla ragione gli appetiti. In questa pugna è bene spesso necessario disprezzare i beni creati, e sottoporsi a molestie e sacrifici grandissimi, a fine di serbar sempre alla ragione vincitrice il suo impero. Ma i Naturalisti e i Massoni, ripudiando ogni divina rivelazione, negano il peccato originale, e stimano non esser punto affievolito né inclinato al male il libero arbitrio (Conc. Trid. Sess. VI, De justif., c. I.). Anzi esagerando le forze e l’eccellenza della natura, e collocando in lei il principio e la norma unica della giustizia, non sanno pur concepire che, a frenarne i moti e moderarne gli appetiti, ci vogliono sforzi continui e somma costanza. E questa è la ragione, per cui vediamo offerte pubblicamente alle passioni tante attrattive: giornali e periodici senza freno e senza pudore; rappresentazioni teatrali oltre ogni dire disoneste; arti coltivate secondo i principi di uno sfacciato verismo; con raffinate invenzioni promosso il molle e delicato vivere; insomma cercate avidamente tutte le lusinghe capaci di sedurre e addormentare la virtù. Cose altamente riprovevoli, ma pur coerenti ai principi di coloro che tolgono all’uomo la speranza dei beni Celesti, e tutta la felicità fanno consistere nelle cose caduche, avvilendola sino alla terra. – Ed a conferma di ciò che abbiamo detto, può servire un fatto più strano a dirsi, che a credersi. Imperocché gli uomini scaltri ed accorti non trovando anime più docilmente servili di quelle già dome e fiaccate dalla tirannide delle passioni, vi fu nella setta Massonica chi disse aperto e propose, doversi con ogni arte ed accorgimento tirare le moltitudini a satollarsi di licenza: così lesi avrebbero poi docile strumento ad ogni più audace disegno. – Quanto al consorzio domestico, ecco a un dipresso tutta la dottrina dei Naturalisti. Il matrimonio non è altro che un contratto civile; può legittimamente rescindersi a volontà dei contraenti; il potere sul vincolo matrimoniale appartiene allo Stato. Nell’educare i figli non s’imponga religione alcuna: cresciuti in età, ciascuno sia libero di scegliersi quella che più gli aggrada. – Ora questi principi i Frammassoni li accettano senza riserva: e non pure li accettano, ma studiansi da gran tempo di fare in modo, che passino nei costumi e nell’uso della vita. In molti paesi, che pur si professano cattolici, si hanno giuridicamente per nulli i matrimoni non celebrati nella forma civile; altrove le leggi permettono il divorzio; altrove si fa di tutto, perché sia quanto prima permesso. Così si corre di gran passo all’intento di snaturare le nozze, riducendole a mutabili e passeggere unioni, da formarsi e da sciogliersi a talento. – Ad impossessarsi altresì della educazione dei giovanetti mira con unanime e tenace proposito la setta dei Massoni. Comprendono ben essi, che quell’età tenera e flessibile lasciasi figurare e piegare a loro talento, e però non esserci espediente più opportuno di questo per formare allo Stato cittadini tali, quali essi vagheggiano. Quindi nell’opera di educare e istruire i fanciulli non lasciano ai ministri della Chiesa parte alcuna né di direzione, né di vigilanza: e in molti luoghi si è già tanto innanzi, che l’educazione della gioventù è tutta in mano dei laici; e dall’insegnamento morale ogni idea è sbandita di quei grandissimi e santissimi doveri, che l’uomo congiungono a Dio. – Seguono le massime di scienza sociale. Dove i Naturalisti insegnano, che gli uomini hanno tutti gli stessi diritti, e sono di condizione perfettamente eguali; che ogni uomo è, per natura, indipendente; che nessuno ha diritto di comandare agli altri; che volergli uomini sottoposti ad altra autorità, da quella in fuori che emana da loro stessi, è tirannia. Quindi il popolo è sovrano: chi comanda, non aver l’autorità di comandare se non per mandato o concessione del popolo; tantoché a talento di questo egli può, voglia o non voglia, esser deposto. L’origine di tutti i diritti e doveri civili è nel popolo, ovvero nello Stato, che si regga per altro secondo i nuovi principi di libertà. Lo Stato inoltre dev’essere ateo; tra le varie religioni non esservi ragione di dar la preferenza a veruna: doversi fare di tutte lo stesso conto. – Ora che queste massime piacciano ugualmente ai Frammassoni, e che su questo tipo e modello vogliano essi foggiati i governi, è cosa notissima, e che non ha bisogno di prova. Egli è un pezzo, di fatti, che, con quanto hanno di forze e di potere, apertamente lavorano per questo, spianando così la via a quei non pochi più audaci di loro, e più avventati nel male, che vagheggiano l’uguaglianza e comunanza di tutti i beni, fatta scomparire dal mondo ogni distinzione di averi e di condizioni sociali. – Da questi brevi cenni si scorge chiaro abbastanza, che sia e che voglia la setta Massonica. I suoi dogmi ripugnano tanto e con tanta evidenza alla ragione, che nulla può esservi di più perverso. Voler distruggere la religione e la Chiesa fondata da Dio stesso, e da Lui assicurata di vita immortale, voler dopo ben diciotto secoli risuscitare i costumi e le istituzioni del paganesimo, è insigne follia e sfrontatissima empietà. Ne meno orrenda e intollerabile cosa egli è ripudiare i benefizi largiti per Sua bontà da Gesù Cristo non pure agl’individui, ma alle famiglie e agli Stati; benefizi, per giudizio e testimonianza anche di nemici, segnalatissimi. In questo pazzo e feroce proposito pare quasi potersi riconoscere quell’odio implacabile, quella rabbia di vendetta, che contro Gesù Cristo arde nel cuore di satana. – Similmente l’altra impresa, in cui tanto si travagliano i Massoni, di atterrare i precipui fondamenti della morale, e di farsi complici e cooperatori di chi, a guisa di bruto, vorrebbe lecito ciò che piace, altro non è che sospingere il genere umano alla più abbietta e ignominiosa degradazione. – Ed aggravano il male i pericoli, onde sono minacciati tanto il domestico, quando il civile consorzio. Come di fatti esponemmo altra volta, esiste nel matrimonio, per unanime consenso dei popoli e dei secoli, un carattere sacro e religioso: oltreché per legge divina l’unione coniugale e indissolubile. Or se questa unione si dissacri, se permettasi giuridicamente il divorzio, la confusione e la discordia entreranno per conseguenza inevitabile nel santuario della famiglia, e la donna la sua dignità, i figli perderanno la sicurezza d’ogni loro benessere. – Che poi lo Stato faccia professione di religiosa indifferenza, e nell’ordinare e governare il civile consorzio non si curi di Dio, né più né meno che se Egli non fosse, è sconsigliatezza ignota agli stessi pagani; i quali avevano nella mente e nel cuore così scolpita non pur l’idea di Dio, ma la necessità di un culto pubblico, che giudicavano potersi più facilmente trovare una città senza suolo, che senza Dio. E veramente la società del genere umano, a cui siamo stati fatti da natura, fu istituita da Dio autore della natura medesima, e da Lui deriva come da fonte e principio tutta quella perenne copia di beni senza numero, ond’essa abbonda. Come dunque la voce stessa di natura impone a ciascuno di noi di onorare con religiosa pietà Iddio, perché abbiamo da Lui ricevuto la vita e i beni che l’accompagnano; così per la ragione medesima debbono fare popoli e Stati. Opera perciò non solo ingiusta, ma insipiente ed assurda fanno coloro, che vogliono sciolta da ogni religioso dovere la civile comunanza. – Posto poi che per volere di Dio nascano gli uomini alla società civile, e che il potere sovrano sia vincolo così strettamente necessario alla società stessa, che, dove quello manchi, questa necessariamente si sfascia, ne segue che l’autorità di comandare deriva da quello stesso principio, da cui deriva la società. Ed ecco la ragione, che l’investito di tale autorità, sia chi si voglia, è ministro di Dio. Laonde fin dove è richiesto dal fine e dalla natura dell’umano consorzio, si deve obbedire al giusto comando del potere legittimo, non altrimenti che alla sovranità di Dio reggitore dell’universo: ed è capitalissimo errore il dare al popolo piena balia di scuotere, quando gli piaccia, il giogo dell’obbedienza. – Così ancora chi guardi alla comune origine e natura, al fine ultimo assegnato a ciascuno, ai diritti e ai doveri che ne scaturiscono, non è da dubitare che gli uomini sono tutti uguali fra loro. Ma poiché capacità pari in tutti è impossibile, e per le forze dell’animo e del corpo l’uno differisce dall’altro, e tanta è dei costumi, delle inclinazioni, e delle qualità personali la varietà, egli è assurdissima cosa voler confondere e unificare tutto questo, e recare negli ordini della vita civile una rigorosa ed assoluta uguaglianza. Come la perfetta costituzione del corpo umano risulta dall’unione e compagine di vali membri che, diversi di forma e di uso, ma congiunti insieme e messi ciascuno al suo posto, formano un organismo bello, forte, utilissimo e necessario alla vita; così nello Stato quasi infinita è la varietà degl’individui che lo compongono; i quali, se, parificati tra loro, vivano ognuno a proprio senno, ne uscirà una cittadinanza mostruosamente deforme; laddove, se distinti in armonia di gradi, di offici, di tendenze di arti, bellamente cooperino insieme al bene comune, renderanno immagine d’una cittadinanza ben costituita e conforme a natura. – Del resto i turbolenti errori, che abbiamo accennati, debbono troppo far tremare gli Stati. Imperocché tolto via il timore di Dio e il rispetto delle divine leggi, messa sotto i piedi l’autorità dei Principi, licenziata e legittimata la libidine delle sommosse, sciolto alle passioni popolari ogni freno, mancato, dai castighi in fuori, ogni ritegno, non può non seguirne una rivoluzione e sovversione universale. E questo sovversivo rivolgimento è lo scopo deliberato e l’aperta professione delle numerose associazioni di Comunisti e Socialisti: agli intendimenti dei quali non ha ragione di chiamarsi estranea la setta Massonica, essa che tanto ne favorisce i disegni, ed ha comuni con loro i capitali principi. Che se non si trascorre coi fatti subito e da per tutto alle estreme conseguenze, il merito di ciò deve recarsi, non già alle massime della setta o alla volontà dei settari, ma alla virtù di quella divina religione, che non può essere spenta, e alla parte più sana dell’umano consorzio, che, sdegnando di servire alle società segrete, si oppone con forte petto all’esorbitanza dei loro conati. – E volesse il Cielo, che universalmente dai frutti si giudicasse la radice, e dai mali che ci minacciano, dai pericoli che ci sovrastano si riconoscesse il mal seme! Si ha da fare con un nemico astuto e fraudolento che, blandendo popoli e monarchi, con lusinghiere promesse e con fini adulazioni entrambi ingannò. – Insinuandosi sotto specie di amicizia nel cuore dei Principi, i Frammassoni mirarono ad avere in essi complici ed aiuti potenti per opprimere il Cristianesimo; e a fine di mettere nei loro fianchi sproni più acuti, si diedero a calunniare ostinatamente la Chiesa come nemica del potere e delle prerogative reali. Divenuti con tali arti baldanzosi e sicuri, acquistarono influenza grande nel governo degli Stati, risoluti per altro di crollare le fondamenta dei troni, e di perseguitare, calunniare, discacciare chi tra’ sovrani si mostrasse restio a governare a modo loro. – Con arti simili adulando il popolo, lo trassero in inganno. Gridando a piena bocca libertà e prosperità pubblica; facendo credere alle moltitudini che dell’iniqua servitù e miseria, in cui gemevano, tutta della Chiesa e dei sovrani era la colpa, sobillarono il popolo, e lui smanioso di novità aizzarono ai danni dell’uno e dell’altro potere. Vero è bensì che dei vantaggi sperati maggiore è l’aspettazione che la realtà: anzi oppressa più che mai la povera plebe vedesi nelle miserie sue mancare gran parte di quei conforti, che nella società cristianamente costituita avrebbe potuto facilmente e copiosamente trovare. Ma di tutti i superbi, che si ribellano all’ordine stabilito dalla provvidenza divina, questo è il consueto castigo, che donde sconsigliatamente promettevansi fortuna prospera e tutta a seconda dei loro desideri, trovino ivi appunto oppressione e miseria. – Quanto alla Chiesa, se comanda di ubbidire innanzi tutto a Dio supremo Signore di ogni cosa, sarebbe ingiuriosa calunnia crederla perciò nemica del potere de’ Principi, od usurpatrice dei loro diritti. Vuole anzi essa, che quanto è dovuto alla potestà civile, lesi renda per dovere di coscienza. Il riconoscere poi da Dio, com’essa fa, il diritto di comandare, aggiunge al potere politico dignità grande, e giova molto a conciliargli il rispetto e l’amore dei sudditi. Amica della pace, autrice della concordia, tutti con affetto materno abbraccia la Chiesa; e intenta unicamente a far bene agli uomini, insegna doversi alla giustizia unir la clemenza, al comando l’equità, alle leggi la moderazione; rispettare ogni diritto, mantenere l’ordine e la tranquillità pubblica, sollevare al possibile privatamente e pubblicamente le indigenze degl’infelici. “Ma – per usare le parole di Sant’Agostino – credono o vogliono far credere che non torna utile alla società la dottrina del Vangelo, perché vogliono che lo Stato posi non sul fondamento stabile delle virtù, ma sull’impunità dei vivi” (Epist. CXXXVII, al. III, ad Volusianum c. v, n. 20). Per le quali cose opera troppo più conforme al senno civile e necessaria al comune benessere sarebbe, che Principi e popoli, in cambio di allearsi coi Frammassoni a danno della Chiesa, si unissero alla Chiesa per respingere gli assalti dei Frammassoni. – In ogni modo, alla vista d’un male sì grave e già troppo diffuso, è debito Nostro, Venerabili Fratelli, applicar l’animo a cercarne i rimedi. E poiché sappiamo che nella virtù della religione divina, tanto più odiata dai Massoni, quanto più temuta, consiste la migliore e più salda speranza di rimedio efficace, a questa virtù sommamente salutare crediamo che prima di tutto sia da ricorrere contro il comune nemico. Tutte queste cose pertanto, che i Romani Pontefici Nostri Antecessori decretarono per attraversare i disegni e render vani gli sforzi della setta Massonica; tutte quelle che sancirono per allontanare o ritrarre i fedeli da così fatte società; tutte e singole Noi con l’Autorità Nostra Apostolica le ratifichiamo e confermiamo. E qui confidando moltissimo nel buon volere dei fedeli, preghiamo e scongiuriamo ciascuno di loro per quanto su questo proposito fu prescritto dall’Apostolica Sede. Preghiamo poi e supplichiamo voi, Venerabili Fratelli, che cooperiate con Noi ad estirpare questo rio veleno, che largamente serpeggia in seno agli Stati. A voi tocca difendere la gloria di Dio e la salvezza delle anime; tenendo, nel combattimento, questi due fini davanti agli occhi, non vi mancherà coraggio né fortezza. Il giudicare quali sieno i più efficaci mezzi da superare gli ostacoli è cosa che spetta alla prudenza vostra. – Pur nondimeno trovando Noi conveniente al Nostro ministero l’additarvi alcuni dei mezzi più opportuni, la prima cosa da farsi si è togliere alla setta Massonica le mentite sembianze, e renderle le sue proprie, ammaestrando con la voce, ed eziandio con Lettere Pastorali, i popoli, quali siano di tali società gli artifizi per blandire ed allettare; quali la perversità delle dottrine e la disonestà delle opere. – Conforme dichiararono più volte i Nostri Predecessori, chiunque ha cara quanto deve la professione cattolica e la propria salute, non si lusinghi mai di poter senza colpa iscriversi, per qualsivoglia ragione, alla setta Massonica. Niuno si lasci illudere alla simulata onestà; imperocché può ben parere a taluno che i Massoni nulla impongano di apertamente contrario alla fede e alla morale: ma essendo essenzialmente malvagio lo scopo e la natura di tali sètte, non può essere lecito di darvi il nome, né di aiutarle in qualsivoglia maniera. – È necessario in secondo luogo con assidui discorsi ed esortazioni mettere nel popolo l’amore e lo zelo dell’istruzione religiosa: e a tal fine molto raccomandiamo, che con ragionamenti opportuni a voce e in iscritto si spieghino i principi fondamentali di quelle santissime verità, nelle quali consiste la cristiana sapienza. Scopo di ciò è guarire con l’istruzione le menti, e premunirle contro le molteplici forme degli errori, e i vari allettamenti dei vizi, massime in questa gran licenza di scrivere ed insaziabile brama di imparare. – Opera faticosa di certo: nella quale tuttavia partecipe e compagno delle fatiche vostre avrete specialmente il clero, se in grazia del vostro zelo sarà ben disciplinato e istruito. Ma causa così bella e di tanta importanza richiede altresì l’industria cooperatrice di quei laici, che all’amore della religione e della patria congiungono probità e dottrina. Con le forze unite di questi due ordini procurate, Venerabili Fratelli, che gli uomini conoscano intimamente ed abbiano cara la Chiesa; perché quanto più crescerà in essi la conoscenza e l’amore di lei, tanto maggiormente saranno aborrite e schivate le società segrete. Egli è per questo che, giovandoCi della presente occasione, torniamo non senza ragione a ricordare la opportunità inculcata altra volta, di promuovere caldamente e proteggere il Terz’Ordine di San Francesco, di cui recentemente con prudente condiscendenza mitigammo la regola. Imperocché, secondo lo spirito della sua istituzione, esso non mira ad altro, che a trarre gli uomini all’imitazione di Gesù Cristo, all’amore della Chiesa, alla pratica di tutte le cristiane virtù: e però tornerà efficacissimo a spegnere il contagio delle sètte malvagie. Cresca dunque di giorno in giorno questo santo sodalizio, da cui, tra molti altri, può anche sperarsi questo prezioso frutto, di ricondurre gli animi alla libertà, alla fraternità, alla uguaglianza: non quali va sognando assurdamente la sètta Massonica, ma quali Gesù Cristo recò al mondo e Francesco nel mondo ravvivò. La libertà diciamo dei Figli di Dio, che affranca dal servaggio di Satana e dalle passioni, tiranni pessimi: la fraternità, che da Dio prende origine, Creatore e Padre di tutti: l’uguaglianza che, fondata sulla giustizia e carità, non distrugge tra gli uomini tutte le differenze, ma dalla varietà della vita, degli offici, delle inclinazioni forma quell’accordo e quasi armonia, voluta da natura a utilità e dignità del civile consorzio. – In terzo luogo esiste un’istituzione, attuata sapientemente dai nostri maggiori, e poi coll’andar del tempo dimessa, la quale può servire ai di nostri come di modello e di forma a qualcosa di simile. – Intendiamo parlare dei Collegi e Corpi di arti e mestieri, destinati, sotto la guida della religione, a tutela degl’interessi e dei costumi. I quali Collegi, se per lungo uso ed esperienza riuscirono di gran vantaggio ai nostri padri, torneranno molto più vantaggiosi all’età nostra, perché opportunissimi a fiaccare la potenza delle sètte. I poveri operai, oltre ad essere per la stessa condizione loro degnissimi sopra tutti di carità e di sollievo, sono in modo particolare esposti alle seduzioni dei fraudolenti e raggiratori. Vanno perciò aiutati con la massima generosità, e invitati alle società buone, affinché non si lascino trascinare nelle malvagie. Per questo motivo Ci sarebbe assai caro che, adattate ai tempi, risorgessero per tutto sotto gli auspici e il patrocinato dei Vescovi a salute del popolo siffatte aggregazioni. E Ci è di grandissimo conforto il vederle fondate già in molti luoghi insieme coi patronati cattolici: due istituzioni, che mirano a giovare la classe onesta dei proletari, a soccorrere e proteggere le loro famiglie, i loro figli, e a mantenere in essi con l’integrità dei costumi l’amore della pietà, e la conoscenza della religione. – E qui non possiamo passare sotto silenzio la Società di San Vincenzo de’ Paoli, insigne per lo spettacolo e l’esempio che porge, e si altamente benemerita della povera plebe. Le opere e le intenzioni di codesta società sono ben note: essa è tutta in sovvenire i bisognosi e i tribolati, prevenendoli amorosamente, e ciò con mirabile sagacia, e con quella modestia, che quanto meno vuol comparire, tanto è più opportuna all’esercizio della carità e al sollevamento delle umane miserie. – In quarto luogo, a conseguir più facilmente l’intento, alla fede e vigilanza vostra raccomandiamo caldissimamente la gioventù, speranza dell’umano consorzio. – Nella buona educazione di essa ponete grandissima parte delle vostre cure, e non vi date mai a credere di aver vigilato e fatto abbastanza, pel tener lontana l’età giovinetta da quelle scuole e da quei maestri donde sia da temere l’alito pestifero delle sètte. Fate che i genitori, i direttori spirituali, i parroci, nell’insegnare la dottrina cristiana, non si stanchino di ammonire opportunamente i figli e gli alunni intorno alla rea natura di tali sètte, anche perché imparino per tempo le varie e subdole arti, solite usarsi dai propagatori di quelle per irretire la gente. Anzi quei che apparecchiano i giovinetti alla prima comunione faranno benissimo, se gl’indurranno a proporre e promettere di non ascriversi, senza saputa dei propri genitori ovvero senza consiglio del parroco o del confessore, a società alcuna. – Ma ben comprendiamo, che le comuni nostre fatiche non sarebbero sufficienti a svellere questa perniciosa semenza dal campo del Signore, se il Celeste padrone della vigna non ci sarà largo a tale effetto del suo generoso soccorso. Convien dunque implorarne il potente aiuto con fervore veemente ed ansioso, pari alla gravità del pericolo e alla grandezza del bisogno. Inorgoglita dei prosperi successi, la Massoneria insolentisce, e pare non voglia più metter limiti alla sua pertinacia. Per un’iniqua lega ed un’occulta unità di propositi da per tutto i seguaci suoi congiunti insieme, si dànno scambievolmente la mano e l’uno rinfocola l’altro a più osare nel male. Assalto sì gagliardo vuole non men gagliarda difesa: vogliam dire che tutti i buoni debbono collegarsi in una vastissima società di azione e di preghiera. Due cose pertanto dimandiamo da loro; da una parte, che unanimi, a schiere serrate, a piè fermo resistano all’impeto ognora crescente, delle sètte; dall’altra, che sollevando con molti gemiti le mani supplichevoli a Dio, implorino a grande istanza, che il Cristianesimo prosperi e cresca vigoroso; che riabbia la Chiesa la necessaria libertà; che i traviati ritornino a salute; che gli errori alla verità, i vizi faccian luogo alla virtù. – Invochiamo a tal fine l’aiuto e la mediazione di Maria Vergine Madre di Dio, affinché contro l’empie sètte, in cui si vedono chiaramente rivivere l’orgoglio contumace, la perfidia indomita, la simulatrice astuzia di Satana, dimostri la potenza sua, essa che trionfò di lui sin dal suo primo concepimento. – Preghiamo altresì San Michele, principe dell’angelica milizia, debellatore del nemico infernale; San Giuseppe, sposo della Vergine Santissima, Celeste e salutare patrono della cattolica Chiesa; i grandi Apostoli Pietro e Paolo, propagatori e difensori invitti della fede cristiana. Per il patrocinio di essi e per la perseveranza delle comuni preghiere confidiamo, che Iddio si degnerà di sovvenire pietosamente ai bisogni della umana società, minacciata da tanti pericoli.

A pegno poi delle grazie Celesti e della benevolenza Nostra impartiamo con grande affetto a voi, Venerabili Fratelli, al clero e a tutto il popolo commesso alle vostre cure l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il giorno 20 Aprile 1884, anno VII del Nostro Pontificato.

LEONE PP. XIII

Dopo aver letto, nei giorni appena trascorsi, l’opera di F. Sarda e Salvany (v. in: exsurgatdeus.org/massonismo e Cattolicesimo I, II, III) e l’Enciclica su riportata del Santo Padre, S. S. Leone XIII, non ci resta da aggiungere altro, se non che le idee del massonismo, oramai dilaganti, imperanti nella nostra società moderna, cosiddetta “civile” [leggi: massonizzata!], ben oltre il quadro descritto per quei tempi, sono diventate le colonne portanti del “modernismo religioso” attuale, altresì imperante “in toto” nella falsa chiesa dell’uomo, che ha preso il posto della Chiesa di Cristo, la Chiesa Cattolica, tornata, come millenni orsono, nelle catacombe, dopo l’estromissione nel 1958 del Papa legittimamente eletto: Gregorio XVII [cardinal G. Siri], dopo il c.d. concilio Vaticano II, il conciliabolo già condannato anzitempo da Pio II nella sua terribile bolla “Execrabilis”, e dopo l’intronizzazione di satana in Vaticano, nella cappella Paolina, il 29 giugno del 1963, in una doppia messa nera, alla presenza del falso papa allora appena insediato. In realtà il modernismo religioso attuale del “Novus ordo” ed il massonismo, hanno la medesima radice spirituale: il “luciferismo pragmatico”. Che Dio, che “irridebit eos et subsannabit eos…”, ci liberi! E la Vergine Maria schiacci il serpente infernale che Le insidia il calcagno quanto prima! “… Ipsa conteret caput tuum”. Noi ci sentiamo sicuri, confortati dalla parola di Gesù il Cristo “Non prævalebunt”, e per la sentenza già pronunziata per il traditore, antico o moderno che sia: “… melius illi erat, si natus non fuisset”!  

… et Ipsa conteret caput tuum!

DOMENICA I DOPO PASQUA

DOMENICA I DOPO PASQUA

Introitus 1 Pet II, 2. Quasi modo géniti infántes, allelúja: rationabiles, sine dolo lac concupíscite, allelúja, allelúja allelúja. [Come bambini appena nati, alleluia, siate bramosi di latte spirituale e puro, alleluia, alleluia,] Ps LXXX:2. Exsultáte Deo, adjutóri nostro: jubiláte Deo Jacob. [Inneggiate a Dio nostro aiuto; acclamate il Dio di Giacobbe.] V. Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto. R. Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, et in saecula saeculórum. Amen – Quasi modo géniti infántes, allelúja: rationabiles, sine dolo lac concupíscite, allelúja, allelúja allelúja. [Come bambini appena nati, alleluia, siate bramosi di latte spirituale e puro, alleluia, alleluia.]

Oratio V. Dóminus vobíscum. R. Et cum spiritu tuo. Orémus. Præsta, quaesumus, omnípotens Deus: ut, qui paschália festa perégimus, hæc, te largiénte, móribus et vita teneámus. [Concedi, Dio onnipotente, che, terminate le feste pasquali, noi, con la tua grazia, ne conserviamo il frutto nella vita e nella condotta.] Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum. R. Amen.

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Joannis Apóstoli. – 1 Giov. V:4-10.

“Caríssimi: Omne, quod natum est ex Deo, vincit mundum: et hæc est victoria, quæ vincit mundum, fides nostra. Quis est, qui vincit mundum, nisi qui credit, quóniam Jesus est Fílius Dei? Hic est, qui venit per aquam et sánguinem, Jesus Christus: non in aqua solum, sed in aqua et sánguine. Et Spíritus est, qui testificátur, quóniam Christus est véritas. Quóniam tres sunt, qui testimónium dant in coelo: Pater, Verbum, et Spíritus Sanctus: et hi tres unum sunt. Et tres sunt, qui testimónium dant in terra: Spíritus, et aqua, et sanguis: et hi tres unum sunt. Si testimónium hóminum accípimus, testimónium Dei majus est: quóniam hoc est testimónium Dei, quod majus est: quóniam testificátus est de Fílio suo. Qui credit in Fílium Dei, habet testimónium Dei in se”.  [Carissimi: chiunque è nato da Dio trionfa del mondo; e ciò che ha trionfato del mondo è la nostra fede. Chi è che vince il mondo, se non chi crede che Gesù è figliolo di Dio? È Lui che è venuto per mezzo dell’acqua e del sangue, Gesù Cristo: non nell’acqua solo, ma nell’acqua e nel sangue. Ed è lo Spirito che attesta, perché lo Spirito è verità. Poiché sono tre che rendono testimonianza in cielo: il Padre, il Verbo e lo Spirito Santo: e questi tre sono una sola cosa. E sono tre che rendono testimonianza in terra: lo Spirito, l’acqua e il sangue: e questi tre sono concordi. Se ammettiamo la testimonianza degli uomini, dobbiamo tanto più ammettere la testimonianza di Dio, che è superiore. Ora è Dio stesso che ha reso testimonianza al suo Figlio. Chi crede nel figliolo di Dio ha in sé la testimonianza di Dio.] – Deo gratias.

Omelia sulla lettura.

[Mons. Bonomelli: “Nuovo saggio di Omelie”, Marietti ed. Torino, vol. I; 1899 – Omel. XV]

Di S. Giovanni, oltre il Vangelo, che porta il suo nome, abbiamo tre lettere: le due ultime piuttosto che lettere si potrebbero dire biglietti, perché brevissime, affatto confidenziali e prive d’importanza sia dogmatica, sia morale, sia polemica, e indirizzate a persone private. – La prima lettera, da cui è tolto il brano recitatovi, è di grandissima rilevanza sotto ogni rispetto, e si direbbe un’eco del Vangelo, tanto a quello è somigliante. Quando fu scritta? Prima o dopo il Vangelo? Lo ignoriamo. A chi fu scritta? Questo pure ignoriamo, né di ciò vi è traccia in tutta la lettera: essa non porta indirizzo né a principio, né infine, non saluti, a differenza di tutte le altre lettere, e perciò sembra uno scritto esortativo indirizzato in generale alle Chiese da lui fondate. L’argomento della lettera è stabilire la divinità di Gesù Cristo e la verità della umana natura assunta, contro alcuni eretici gnostici, che cominciavano a negarla, e inculcare la necessità della fede in Lui e la carità scambievole fra i credenti. – Mandati innanzi questi pochi schiarimenti generali sulla lettera di S. Giovanni, poniamo mano alla spiegazione dei versetti, che avete udito. “Quanto è nato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria, che ha vinto il mondo, la nostra fede!” Che cosa è la terra, o dilettissimi? È un campo di battaglia. Chi sono i combattenti? Da una parte Cristo, coi suoi seguaci, che Lo precedettero, che vissero con Lui e che dopo di Lui vivranno fino al termine dei secoli, continuando l’opera di Lui; dall’altra il demonio, coi suoi seguaci, da Adamo ed Eva fino all’ultimo uomo che vivrà sulla terra. Quali sono le armi, che si adoperano? Dalla parte di Cristo e suoi seguaci: la verità, la fede, la speranza, la carità, l’umiltà, la purezza, la mortificazione e andate dicendo: dalla parte del demonio e suoi seguaci: la menzogna, l’empietà, l’odio, l’orgoglio, la sensualità, le passioni tutte sfrenate. Tutti gli uomini pigliano posto più o meno in questi due gran campi di battaglia. S. Giovanni, che tratteggia più volte questa gran lotta in tutti i suoi scritti, qui ci fa sapere che tutti quelli che sono nati da Dio [Il testo dice: Tutto ciò che è nato da Dio vince il mondo; perché non dice: Chiunque è nato da Dio, ecc.? Credo che quel neutro equivalga propriamente al chiunque, che indica persona; ma forse Giovanni usò il: Tutto ciò ecc. in forma neutra, perché colla persona volle significare tutti i doni della fede, della grazia ecc. che vengono da Dio.), ossia tutti quelli che per il battesimo sono rigenerati e divenuti figliuoli di Dio ed esercitano le virtù proprie dei figliuoli di Dio, che hanno il loro compimento nella carità, come sopra ha detto, vincono il mondo]. – Con questa parola, “mondo”, san Giovanni non intende certo di significare la terra, che calpestiamo, ma gli uomini che vivono secondo le massime del mondo, gli schiavi delle sue cupidigie e, in una parola, i seguaci di colui, che Gesù Cristo stesso chiamò “principe dì questo mondo”, gli uomini malvagi colle loro passioni! – Sì, ripiglia S. Giovanni, spiegando meglio il suo concetto e ripetendo la stessa verità in altra forma: Questa è la vittoria, cioè quelli riportano la vittoria, quelli hanno in mano l’arma sicura della vittoria sul mondo, che hanno la fede: la fede li farà vincitori del mondo. Che fede è questa che ci farà vincere il mondo e le sue passioni? Non certo la sola fede, nuda delle opere, che è morta per se stessa: ma la fede viva, che dalla mente discende al cuore, che dal pensiero si travasa nelle opere, che, secondo l’espressione di san Paolo, opera per la carità. Datemi un uomo che creda fermamente ciò che la fede insegna e ciò che crede per fede pratica colle opere, che al Simbolo congiunga il Decalogo: quest’uomo naturalmente disprezzerà il mondo, respingerà le sue lusinghe e calpesterà i suoi piaceri colpevoli: quest’uomo, ossia la fede di quest’uomo vincerà il mondo: “Hæc est Victoria, quæ vincit mundum, fides nostra”. – Né di questa sentenza si appaga S. Giovanni, ma la ribadisce nel versetto seguente in forma d’interrogazione e piena di energia: ” Chi è mai colui che vince il mondo, se non chi crede che Gesù è il Figliuolo di Dio? Come se dicesse: Nuovamente e più fortemente l’affermo: solo colui che crede ed opera conformemente alla fede, vince il mondo: a chi non crede è impossibile vincere il mondo. E questa fede, o Giovanni, in chi si appunta? In Chi si compendia? Da chi trae origine e forza? In Gesù Cristo, autore e consumatore della fede, come scrive S. Paolo, “autore”, perché viene da Lui, “consumatore”, perché Egli solo ci dà la forza di attuarla nelle opere, Gesù Cristo, che è il Figliuolo di Dio! Accenna con questa espressione al fondamento di tutta la nostra fede, che è la divinità di Gesù Cristo. Perciò badate che S. Giovanni non dice già che — Gesù è Figliuolo di Dio — ma sì “che è “il” Figliuolo di Dio”, cioè Figliuolo per eccellenza, Figliuolo unico, Figliuolo proprio di Dio, a Dio Padre consustanziale. Scolpitevela bene addentro nel cuore questa verità, o cari: Gesù Cristo è Dio ed Uomo, vero Dio e vero Uomo: se voi togliete in Lui la divinità, non vi resta che l’uomo, è distrutta la redenzione, perché un uomo non poteva riscattarci dal peccato, non poteva soddisfare la divina giustizia, cade tutta la sua autorità, e noi ci troviamo ai piedi d’un uomo, siamo adoratori di un uomo, il massimo dei delitti. Crediamo dunque che Gesù è il Figlio di Dio, Dio come il Padre, ed uniti a Lui, saremo forti della sua forza, e come Egli ha vinto il mondo, così lo vinceremo noi pure. – Gesù Cristo è il Figlio di Dio, vero Dio! Ma come lo sappiamo noi? Come si è provato tale? Ascoltate S. Giovanni: “Gesù è il venuto per acqua e sangue”. Come per acqua? Lascio alcune interpretazioni date e mi attengo a quella che mi sembra più chiara, più naturale e meglio fondata. Gesù, allorché ricevette il battesimo al Giordano, ricevette la solenne testimonianza dal Padre, che disse: ” Questi è il Figliuolo mio diletto, in cui trovo tutte le mie compiacenze: Lui ascoltate” [Alcuni vogliono intendere quelle parole ” E venuto nell’acqua, pel battesimo, cioè viene in noi col battesimo. Ma le parole del versetto 9° non lo permettono, perché là si parla di testimonianza resa a Gesù, la massima, quella del Padre]. – Testimonianza splendidissima ripetuta colle stesse parole nella Trasfigurazione. Ma Gesù è anche il venuto nel sangue, cioè nella passione e morte, che non si può disgiungere dalla risurrezione, nella quale provò luminosamente ch’ Egli era Dio, signore della morte e della vita. E qui S. Giovanni, quasi per ribadire la cosa, ripete: Gesù è il venuto [È da osservare quel modo di dire assai efficace : “Il Venuto”, come si ha nel greco, che designa Gesù Cristo come il Messia, “Il Venuto” per antonomasia], non nell’acqua soltanto, ma nell’acqua e nel sangue: ha provato ch’Egli era Dio nel suo battesimo di acqua e nel battesimo del suo sangue, coronato dalla sua gloriosa Risurrezione. Alle prime due prove tiene dietro la terza, dicendo: “E lo Spirito attesta, che Cristo è la verità”, cioè è veramente il Figlio di Dio! E che vuol dire in questo luogo S. Giovanni? Nel Vangelo (Cap. XV, vers. 26) S. Giovanni riferisce queste parole dette da Gesù nell’ultima Cena: “e quando verrà il Paraclito, che vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità, che procede dal Padre, Egli farà testimonianza di me”, vale a dire, “vi farà conoscere che Io sono il Figlio di Dio”, Gesù Cristo dunque afferma che la venuta dello Spirito Santo sarebbe stata una prova, una solenne testimonianza della sua divinità, ed è quella notata dallo stesso S. Giovanni nella sua lettera. Onde per conchiudere in poche parole le sentenze di S. Giovanni, noi dobbiamo tenere che Gesù Cristo ci mostrò la sua divinità nel suo Battesimo al Giordano, nella sua Passione, morte e risurrezione, e finalmente nella venuta dello Spirito Santo, nella trasformazione degli Apostoli e nella fondazione della Chiesa. E non erano quelli miracoli solenni, strepitosissimi, che mostravano la sua divina potenza? Non cadevano sotto gli occhi di tutti? Non si potevano verificare da tutti colla massima facilità? – S. Giovanni, proseguendo, fa cenno d’una analogia e mette innanzi un paragone per confermare la sua sentenza, e il paragone è questo: “Poiché son tre, che attestano in cielo: Padre, Verbo e Spirito Santo, e questi tre sono una cosa sola; e tre sono quelli che attestano in terra, lo Spirito, 1’acqua ed il sangue, e questi tre riescono ad una sola cosa”, E volle dire: Il Padre, il Verbo e lo Spirito Santo colle loro manifestazioni esterne dal cielo hanno attestata e comprovata la missione divina di Gesù Cristo, e come le tre divine Persone sono una sola cosa, una sola essenza o sostanza, così la loro testimonianza esterna si unisce e si concentra in una sola, attestando la stessa verità, così le tre grandi manifestazioni esterne, ad intervalli succedute sulla terra e accertate dagli uomini, al Giordano, nella passione, morte e Risurrezione di Gesù Cristo, e nella venuta dello Spirito santo, tornano allo stesso, raffermano la medesima verità, e mettono in luce la divina origine e missione di Gesù Cristo. – Allora si comprende ciò che S. Giovanni soggiunge nel seguente versetto: “Se noi accettiamo la testimonianza degli uomini, maggiore è la testimonianza di Dio: e la testimonianza di Dio è quella, con cui ha attestato intorno al Figliuol suo”. Se noi accettiamo, e dobbiamo accettare, la testimonianza degli uomini degni di fede, e credere quello ch’essi affermano, a maggior ragione dobbiamo accettare la testimonianza stessa di Dio che dal cielo ripetutamente attesta intorno a Gesù Cristo, e ci assicura ch’Egli è il Figlio dell’Eterno. Insomma il sacro Scrittore ci mette innanzi tre Testimoni in cielo e tre sulla terra: i tre Testimoni in cielo sono le tre divine Persone distintamente nominate e che sono una sola cosa o natura; e i tre testimoni sulla terra, pure nominati, spirito, acqua e sangue, siano fatti, siano persone, cospiranti nella stessa cosa e affermanti anch’essi sulla terra ciò che le tre Persone attestano dal cielo. Voi vedete, o cari, che non si poteva esprimere in forma più precisa e più netta il grande mistero della augusta Trinità. S. Giovanni proclama che sono tre le Persone divine, Padre, Figlio, o Verbo, e Spirito Santo, e che queste tre Persone sono una cosa sola od unica essenza. È quel mistero, che abbiamo imparato bambini sulle ginocchia della madre e al catechismo in chiesa; che abbiamo professato la prima volta che facemmo il segno di croce, e nel quale e pel quale fummo rigenerati nel Battesimo e accolti nel grembo della Chiesa. Questo mistero trascende le forze della nostra povera ragione, è vero; ma Dio lo ha rivelato chiarissimamente, la Chiesa lo professa come una delle verità fondamentali della fede, e noi lo dobbiamo tenere con tutta fermezza. Sappiate poi anche, o dilettissimi, che se la sola ragione non può dimostrare e conoscere questa verità colle sole sue forze, nondimeno essa, studiandolo, vi trova tanta convenienza, tanta luce, tante armonie, che per poco ne è rapita ed è costretta ad esclamare: “la santa Trinità delle Persone nella unità della essenza, è mistero, mistero altissimo, ineffabile, ma non solo non offende la ragione, la illumina, armonizza con essa, getta un riverbero di luce su tutto il creato, specialmente sulla natura dell’uomo: la S. Trinità è un mistero per la ragione umana, ma sarebbe più grande mistero il non ammetterlo”. Crediamo adunque, o cari, sì alto mistero, crediamolo colla semplicità, con cui lo credevamo fanciulli, persuasi che, se supera le forze della ragione, ad essa non si oppone, anzi ad essa mirabilmente consuona. – Siamo all’ultima sentenza del nostro commento: “Chi crede nel Figlio di Dio, ha in se stesso la testimonianza di Dio”. Chi legge e medita alcun poco le sante Scritture e particolarmente gli scritti di S. Giovanni, sa bene, che la stessa verità si ripete spesse volte, o, dirò meglio, la si presenta sotto varie forme, sia per inculcarla meglio, sia per farcene vedere tutti i lati, che non sempre si affacciano subito sotto una sola forma. E ciò, se non erro, accade in questo versetto, nel quale conferma e si svolge meglio ciò che sopra è detto. Chi crede nel Figlio di Dio, chi per fede viva, salda ed operosa unisce la sua mente e il suo cuore a Gesù Cristo, Figlio di Dio, forma quasi una cosa sola con Lui, ed ha in sé, come un germe, la verità e la vita eterna, che poi a suo tempo si manifesterà in tutta la sua pienezza; possiede colla grazia e colla fede viva Gesù Cristo stesso, del quale San Paolo ebbe a dire, che, “Cristo abita in noi per la fede”. – Osservate di grazia, o dilettissimi: se voi tenete stretto alla vostra persona, p. es. un corpo qualunque odoroso, un mazzo di fiori, non è egli vero, che voi partecipate della loro fragranza finché ad essi vi tenete uniti? Ciò che avviene del nostro corpo avviene altresì della nostra mente e del nostro cuore. Se noi colla mente ci teniamo fermi alle verità della fede, e colla nostra volontà le veniamo attuando nelle opere, la nostra mente e la nostra volontà si abbelliscono della bellezza di quelle verità, e quasi direi rimangono imbalsamate della fragranza della grazia, e si trovano necessariamente unite a Lui, dal quale vengono la verità e la grazia, che è Gesù Cristo stesso. Allorché voi pensate al padre, alla madre, all’amico lontani e li amate, non è egli vero che in qualche modo il padre, la madre, l’amico sono nella vostra mente e nel vostro cuore? Lo dite voi stessi: “Noi li abbiamo in mente, li teniamo sempre nel nostro cuore”. — È ciò che insegna S. Tommaso. E in questo senso che si dice Gesù Cristo abitare in noi, Dio dimorare in noi e spandersi in noi lo Spirito di Lui, e noi diventare suoi templi, sue membra, e partecipi della divina natura. – Vedete, o cari, un granello, che è affidato alla terra: sembra che voi, possedendo quel piccolo granello, non possediate che quel piccolo corpicciuolo, cosa da nulla per se stesso; ma aspettate alcuni mesi, lasciate compiere alla natura il suo occulto lavorìo. Che è avvenuto? Il granello è cresciuto e, fatto pianta, ha prodotto i suoi fiori e finalmente i suoi frutti che cortesemente ci porge, curvando sotto essi i suoi rami. Eravate possessori d’un solo granello, e più tardi siete possessori d’una pianta e di molti saporosi frutti. Così noi, o dilettissimi: ora, qui in terra possediamo il granello della fede, la radice della carità; un giorno troveremo che il granello è diventato albero carico di frutti di vita eterna. E quando verrà questo giorno? Quando, chiudendo gli occhi a questa luce del tempo, li apriremo alla luce della eternità; quando, addormentandoci la sera qui sulla terra, ci sveglieremo al mattino in cielo!

Alleluja

Alleluia, alleluia – Matt XXVIII:7. In die resurrectiónis meæ, dicit Dóminus, præcédam vos in Galilæam. [Il giorno della mia risurrezione, dice il Signore, mi seguirete in Galilea.] Joannes XX:26. Post dies octo, jánuis clausis, stetit Jesus in médio discipulórum suórum, et dixit: Pax vobis. Allelúja. [Otto giorni dopo, a porte chiuse, Gesù si fece vedere in mezzo ai suoi discepoli, e disse: pace a voi.]

Evangelium

Munda cor meum, ac labia mea, omnípotens Deus, qui labia Isaíæ Prophétæ cálculo mundásti igníto: ita me tua grata miseratióne dignáre mundáre, ut sanctum Evangélium tuum digne váleam nuntiáre. Per Christum, Dóminum nostrum. Amen. Jube, Dómine, benedícere. Dóminus sit in corde meo et in lábiis meis: ut digne et competénter annúntiem Evangélium suum. Amen.

Dóminus vobíscum. – Et cum spíritu tuo.

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Joánnem.

Gloria tibi, Domine! – Joannes XX:19-31.

“In illo témpore: Cum sero esset die illo, una sabbatórum, et fores essent clausæ, ubi erant discípuli congregáti propter metum Judæórum: venit Jesus, et stetit in médio, et dixit eis: Pax vobis. Et cum hoc dixísset, osténdit eis manus et latus. Gavísi sunt ergo discípuli, viso Dómino. Dixit ergo eis íterum: Pax vobis. Sicut misit me Pater, et ego mitto vos. Hæc cum dixísset, insufflávit, et dixit eis: Accípite Spíritum Sanctum: quorum remiseritis peccáta, remittúntur eis; et quorum retinuéritis, reténta sunt. Thomas autem unus ex duódecim, qui dícitur Dídymus, non erat cum eis, quando venit Jesus. Dixérunt ergo ei alii discípuli: Vídimus Dóminum. Ille autem dixit eis: Nisi vídero in mánibus ejus fixúram clavórum, et mittam dígitum meum in locum clavórum, et mittam manum meam in latus ejus, non credam. Et post dies octo, íterum erant discípuli ejus intus, et Thomas cum eis. Venit Jesus, jánuis clausis, et stetit in médio, et dixit: Pax vobis. Deinde dicit Thomæ: Infer dígitum tuum huc et vide manus meas, et affer manum tuam et mitte in latus meum: et noli esse incrédulus, sed fidélis. Respóndit Thomas et dixit ei: Dóminus meus et Deus meus. Dixit ei Jesus: Quia vidísti me, Thoma, credidísti: beáti, qui non vidérunt, et credidérunt. Multa quidem et alia signa fecit Jesus in conspéctu discipulórum suórum, quæ non sunt scripta in libro hoc. Hæc autem scripta sunt, ut credátis, quia Jesus est Christus, Fílius Dei: et ut credéntes vitam habeátis in nómine ejus.” – [In quel tempo, la sera di quel giorno, il primo della settimana, essendo, per paura dei Giudei, chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli, venne Gesù, si presentò in mezzo a loro e disse: Pace a voi! E detto ciò mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono nel vedere il Signore. Ed egli disse loro di nuovo: Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, così anch’io mando voi. E detto questo, soffiò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo. A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi; a chi li riterrete, essi saranno ritenuti. E uno dei dodici, Tommaso, detto Didimo, non era con loro quando venne Gesù. Ora gli altri discepoli gli dissero: Abbiamo visto il Signore. Ma egli rispose loro: Non crederò se non dopo aver visto nelle sue mani la piaga fatta dai chiodi e aver messo il mio dito dove erano i chiodi e la mia mano nella ferita del costato. Otto giorni dopo i discepoli si trovavano di nuovo in casa e Tommaso era con loro. Venne Gesù a porte chiuse e stando in mezzo a loro disse: Pace a voi! Poi disse a Tommaso: Metti qua il tuo dito, e guarda le mie mani; accosta anche la tua mano e mettila nel mio costato; e non voler essere incredulo, ma fedele. Tommaso gli rispose: Signore mio e Dio mio! E Gesù: Tommaso, tu hai creduto perché mi hai visto con i tuoi occhi; beati coloro che non vedono eppure credono. Gesù fece ancora, in presenza dei suoi discepoli, molti altri miracoli, che non sono stati scritti in questo libro. Queste cose sono state scritte, affinché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e affinché credendo, abbiate vita nel nome di lui.] – R. Laus tibi, Christe!

Per Evangelica dicta, deleantur nostra delicta.

OMELIA

Omelia della Domenica in Albis e I dopo Pasqua

[Canonico G.B. Musso, Ed. napol. 1851, vol. I -imprimatur-]

-Dio si vede-

   Allorché Gesù Cristo risorto, glorioso trionfatore della morte e dell’inferno, apparve a porte chiuse ai suoi discepoli, ove erano congregati, non era con essi Tommaso; ed eglino al suo arrivo presero a narrargli la prodigiosa comparsa del divino Maestro, l’annunzio di pace, la vista delle sue mani e del suo lato, ed il gaudio di cui erano stati ripieni: ed egli, “se non vedrò, disse, nelle sue mani l’apertura dei chiodi, e nel suo lato quella della lancia, ed entro non vi porrò il dito e la mano, alle vostre parole non presterò fede”. Per guarire l’incredulità di Tommaso si degnò comparire per la seconda volta il buon Redentore, ed entrato a porte chiuse, ov’era Tommaso con tutti gli altri discepoli, annunziata di nuovo la pace, rivolto a Tommaso, “ecco, disse, le mie mani, ecco il mio fianco, appressati, e metti pure e dito e mano nelle mani mie, e nel traforato mio petto, e cessa d’essere incredulo, e impara ad essere fedele”. Tommaso allora, “io credo, esclamò, voi siete il mio Signore e il mio Dio”. – “Dominus meus, et Deus meus”. “Ah Tommaso, ripigliò Gesù, tu credi, è vero, ma dopo aver veduto: beati coloro che senza il testimonio de’ sensi credono alla rivelata verità”. Ma l’apostolo Tommaso, entra qui S. Gregorio magno (Hom. 26 in Evang.), non fu del tutto incredulo. Altro fu ciò che vide, altro ciò che credette. Vide e palpò l’umanità del suo Signore, ma confessò credendo la sua divinità, che veder non poteva – qui facciam punto, uditori umanissimi. Qual fu quella di San Tommaso, nel senso del citato Gregorio, tale desiderio che sia la vostra fede. Dalle create cose che sono sotto i vostri occhi, io vorrei che ascendeste a vedere quel Dio che le trasse dal nulla. Questi ingannati figliuoli degli uomini van dicendo, che Dio non si vede! Dio non si vede da chi veder nol vuole; ma dalla vista di tutto il creato si vede Dio, come lo vide Tommaso dalla veduta umanità del Salvatore. Dio dunque si vede, che mi accingo a dimostrarvi, se mi seguite cortesi con tutta attenzione. – Dio si vede! Non parlo d’Abramo, che vide per lume superno nella pienezza dei tempi Iddio liberatore, e il giorno in cui doveva spuntare per la salvezza del mondo. “Vidit et gavisus est” (Ioan. VIII, 56). Non parlo di Isaia, che vide il Signore assiso su di un trono sublime, adorato da tutte le angeliche intelligenze. Non parlo dell’evangelista S. Giovanni, che estatico Lo contemplò nell’isola di Patmos, né di tanti altri profeti che in simboli Lo videro, e in misteriose figure, e perciò si chiamarono veggenti. Cessate son le profezie, i simboli, le figure, Iddio ora in altro modo si vede. Si vede non con gli occhi del corpo, ma con quelli dell’intelletto. Cogli occhi del corpo né si vede, né veder si può, perché Iddio, purissimo spirito, affatto esente dalla materia, non è oggetto proporzionato all’organo materiale degli occhi corporei. Se alcun di noi volesse veder con gli occhi il suon di un musicale strumento, o veder con le orecchio una statua, una pittura, si renderebbe ridicolo. Agli oggetti diversi vanno applicati i diversi sentimenti del corpo, e perciò siccome con l’occhio non può vedersi il suono di una cetra, lo squillo di una tromba; così con l’occhio stesso non si può vedere Dio, perché oggetto non proporzionato a quest’organo, perché spirito affatto immateriale, purissimo, semplicissimo. – Se Dio però è necessariamente invisibile all’occhio corporeo, agli occhi della mente Egli è visibilissimo. Quante cose da noi si vedono coll’intelletto, sebbene non si vedano cogli occhi del corpo! L’anima puro spirito non è visibile agli occhi nostri, e pur si vede cogli occhi dell’intelletto e della ragione. Per adattarmi alla capacità di tutti, portiamoci col pensiero ai piedi del soglio di Salomone. Ecco qui due madri che contrastano per due bambini, uno vivo e l’altro estinto. Ditemi in qual di questi due si trova l’anima? In questo corpicciuolo pallido, freddo, contraffatto? Non già. In quest’altro, voi dite, rubicondo, vezzoso, qui è l’anima che gli dà vita, grazia e movimento. E come osate ciò asserire, se l’anima non è visibile, se non la vedete? La vediamo ben chiaro nel colore del volto, nella vivacità dello sguardo, nel riso, nel moto, nel gesto. – Voi vedete la faccia altrui, dice S. Agostino (Tract. 75 in Joan.), e non vedete la vostra. Per l’opposto voi non vedete l’altrui coscienza, l’intenzione, il pensiero altrui, e pur vedete la coscienza vostra, il vostro pensare, le vostre affezioni, le vostre tendenze, e quanto si aggira nella vostra mente, nella vostra memoria, nel vostro cuore. E come vedete tutto ciò? Colla vista intellettuale della vostra anima ragionevole. Si presenta al vostro sguardo una nave, dice il romano oratore, che in alto mare appena spunta sull’orizzonte: vedete che al variar dei venti, varia le vele, che si tiene salda contro i flutti, i turbini e le procelle, che a tenor dell’arte nautica regola il proprio corso, e voi dite: quella nave è ben governata da bravo nocchiero. Se foste richiesti, come potete asserire, che sta al governo di quella nave un esperto nocchiero che non si vede, e appena da voi si scopre la nave stessa? “Lo veggio, francamente risponderebbe ciascuno di voi, lo vedo con gli occhi di mia facoltà intellettiva, coll’uso della mia ragione, la quale mi insegna essere cosa impossibile, che quella nave fra tanti e così diversi accidenti di mar tempestoso, di fieri contrasti, di minacciose procelle, possa tenersi forte, e così ben regolare il suo corso, senza la mente, la mano, la direzione di un valente pilota”. – Così premesso e ben inteso, ritorniamo al nostro argomento. Sono presso a sei mila anni che esiste questo globo terraqueo, equilibrato sopra se stesso in mezzo all’aere. Sono anni altrettanto che il sole, ogni giorno, secondo la frase dell’Ecclesiaste, spunta dall’oriente, tramonta all’occaso, si aggirano sul nostro capo la luna, le stelle, i pianeti. Or io domando: chi ha dato il moto a questi corpi di mole immensa? La materia per se stessa è inerte, non può mettersi in movimento senza impulso d’un estrinseco agente. Questo agente si deve necessariamente supporre che abbia in sé una innata virtù di dare ai corpi il moto, senza bisogno di altro movente, per non risalire ad una successione infinita, ch’è un assurdo che offende il buon senso, e ripugna alla ragione. Questo libero agente dunque è una prima cagione, eterna, che esiste da sé, che a quei corpi materiali, ai quali è dato l’essere, diede ancora il movimento, e questo primo Agente, e questa causa motrice è Dio. Son presso a sei mila anni che la terra si veste di erbe, si adorna di fiori, biondeggia di spighe, e di tanti frutti è feconda; erbe e frutti che agli uomini, ai quadrupedi, ai volatili, ai rettili, somministrano opportuno alimento; erbe e frutti che in se stessi conservano i semi, onde riprodursi e moltiplicarsi a pro di tutte le creature viventi. Domando or di nuovo: “chi ha introdotto al mondo questa tanto ben ordinata armonia tra cielo e terra, tra elementi e piante, tra stagioni e stagioni, tra uomini ed animali? Chi è l’Autore d’un ordine così sorprendente? Chi lo mantiene con tanta costanza, che il corso di tanti secoli non ha potuto alterare d’un punto?” Se così asserite, perché non affermate altrettanto allorché con stupore ammirate la struttura magnifica d’un superbo palazzo? Perché lodate il saggio architetto? Perché non dite piuttosto che è spuntato da terra a guisa d’un fungo? Perché incontrandovi con un bel quadro encomiate l’eccellente pittore, e non attribuite invece l’egregio lavoro ad un accidentale rovescio di colori, così a caso accozzati? Possibile che in tutte le opere dell’arte si ravvisi un autore, e non si riconosca poi in tante meraviglie, che ci presenta la natura? – Leggete il gran libro del mondo, come lo leggeva un S. Antonio Abate. Nel mare, ne’ fiumi, ne’ monti, nelle piante, ne’ fiori, riscontrava egli le orme parlanti d’una Sapienza creatrice, che il tutto regge, che governa il tutto a benefizio dell’uomo, e che alla sua provvidenza per le necessità dello stesso unisce il comodo che lo solleva, il gusto che lo conforta, il bello che lo ricrea. – Dalla grandezza delle create cose, dice lo scrittore della Sapienza, e dalla loro bellezza è facile conoscere e vedere in quelle il volto e la mano del Creatore che li formò. A magnitudinis speciei, et creaturæ cognoscibiliter poterit Creator horum videri!” (Sap. XIV). L’essenza di Dio, soggiunge S. Paolo, l’onnipotenza, e tutti gli altri suoi infiniti attributi sono al nostro sguardo invisibili, ma dall’uomo ragionevole, per mezzo delle cose create, se ne acquista l’intelligenza, e coll’intelletto si conoscono e vedono. Invisibilia ipsius a creatura mundi, per ea quæ facta sunt, intellecta conspiciuntur(Rom. I, 20). Si conosce da questo, prosegue lo stesso Apostolo, l’eterno potere, e la divinità di Colui che le produsse, sempiterna quoque eius virtus, et divinitas; così che coloro che veder non vogliono si fan rei di una cecità inescusabile, ita ut sint inexcusabiles”. Fin qui l’Apostolo delle genti. Queste divine cose invisibili le conobbe pure col lume della natura e della grazia la verginella e martire S. Barbara. “Per ea – leggiamo nella sua storia – per ea quæ visibilia facta sunt, divina opitulante gratia, ad invisibilia pervenit.” Rapita quest’anima pura dalla beltà, dalla magnificenza, dall’ordine, dal concerto delle visibili creature, da queste, come per via di gradi, salì a contemplare e a conoscere le altissime invisibili divine perfezioni, fino a consacrare a Dio il giglio della sua verginità, eleggendoLo per sposo, fino a tenersi costante nelle più fiere persecuzioni, e nei più atroci tormenti, fino a lasciare il capo e la vita sotto la spada del proprio crudelissimo genitore. – Perché voi dunque, direi a taluni, nello spettacolo meraviglioso della natura non vedete Dio? Quel Dio che le trasse dal nulla? Ecco il perché: “avete – come dice l’Apostolo – l’intelletto oscurato dalle tenebre degli errori, che corrono in questo secolo”. Il peccato, le ree passioni vi han posto una benda che vi acceca: il fuoco dei sensuali piaceri manda un fumo sì denso, che, secondo la frase del reale Profeta, non vi lascia vedere neppur la luce del mezzo giorno. “Supercecidit ignis, et non viderem solem”. Come volete vedere Dio nello specchio delle creature, se le creature da Dio proibite sono il vostro idolo? Se, per far tacere i rimorsi della rea vostra coscienza, dite nel vostro cuore che Dio non esiste? Lo dite nel cuore, lo so, per iniquo desiderio di perversa volontà, dir nol potete per convincimento e persuasione del vostro intelletto. E pur il dite. E perché? È facile il conoscerlo. Perché coll’idea di un Dio per voi chimerico, vorreste sottrarvi alle sue minacce vorreste respirare l’aura lusinghiera di una piena libertà di coscienza: perché questo Dio, che negate, amareggia i turpi vostri piaceri: perché avete tutto il motivo di temerLo nemico, e giusto punitore dei vostri misfatti: ond’è che a vostro dispetto, anche non volendo, Lo conoscete, ma in un’oscura idea tumultuosa, senza merito, e senza profitto. – Cristiani devoti, da questo tratto che non fu per voi, ritorno a voi. Iddio si vede col cuore, dice S. Agostino citando quelle parole evangeliche:Beati mundo corde, quoniam ipsi Deum videbunt (De serm. dom. in mont. c. 2), e come l’occhio corporeo non può distinguere gli oggetti sensibili, se non è purgato dalle fecce e dall’immondezze; così un cuor che dalle macchie del peccato, e da ree affezioni purgato e mondo non sia, non può vedere Dio con merito nella vita presente, e non Lo vedrà per castigo nella vita futura. Volete fin d’ora vedere Dio cogli occhi dell’anima? Conchiude S. Agostino, Lo vedrete, ma prima pensate a purgare il cuore: Deum videre vis? Prius cogita de corde mundando (Serm. 173. De temp.). “Un cuor puro, un cuor mondo” chiedeva al Signore il penitente Profeta. Un cuore puro per battesimale innocenza, o mondato per sacramentale penitenza, egli è come un nitido specchio che vede in sé rappresentata l’immagine di Dio. Iddio che abita in un cuore innocente, o in cuore ravveduto, si fa conoscere colla luce, che gli comunica, colla pace di cui lo riempie. Ah dunque, fedeli amatissimi mundemus, ci esorta l’Apostolo Paolo, mundemus nos ab omni inquinamento carnis, et spiritus(2 ad Cor. VII, 1). Purghiamoci da ogni lordura d’opera carnale, da ogni infezione e traviamento di spirito, e per tal mezzo vedremo Dio in tutto il creato, Lo vedremo rappresentato, dice il citato Apostolo, come in lucido specchio:Videmus nunc per speculum in aenigmate (1 Cor. XIII, 12), Lo vedremo cogli occhi dell’intelletto e della fede, per vederLo poi facie ad faciem nella beata eternità, che Dio ci conceda!

Credo

Offertorium

V. Dóminus vobíscum. R. Et cum spíritu tuo. Orémus Matt XXVIII:2; XXVIII:5-6. Angelus Dómini descéndit de coelo, et dixit muliéribus: Quem quaeritis, surréxit, sicut dixit, allelúja. [Un Angelo del Signore discese dal cielo e disse alle donne: Quegli che voi cercate è risuscitato come aveva detto, alleluia.]

Secreta

Suscipe múnera, Dómine, quaesumus, exsultántis Ecclésiæ: et, cui causam tanti gáudii præstitísti, perpétuæ fructum concéde lætítiæ. [Signore, ricevi i doni della Chiesa esultante; e, a chi hai dato causa di tanta gioia, concedi il frutto di eterna letizia.] Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum. R. Amen.

Communio [Joannes XX:27] Mitte manum tuam, et cognósce loca clavórum, allelúja: et noli esse incrédulus, sed fidélis, allelúja, allelúja. [Metti la tua mano, e riconosci il posto dei chiodi, alleluia; e non essere incredulo, ma fedele, alleluia, alleluia.]

Postcommunio S. Dóminus vobíscum. – Et cum spíritu tuo.

Orémus. Quaesumus, Dómine, Deus noster: ut sacrosáncta mystéria, quæ pro reparatiónis nostræ munímine contulísti; et præsens nobis remédium esse fácias et futúrum. Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia sæcula sæculorum.

Amen.

 

F. Sarda Y Salvani: MASSONISMO E CATTOLICESIMO -3-

F . Sarda y Salvany:

MASSONISMO E CATTOLICESIMO:

Parallelo tra la dottrina delle logge e quella della santa Chiesa cattolica, apostolica e romana. -3-

XVII

Quanto differisce la dottrina del massonismo e quella del Cattolicesimo circa la beneficenza

Su questo punto, come per tutto il resto, il criterio massonico è in opposizione diretta con il criterio francamente cristiano; con questa sola differenza, qui il nemico lavora in modo molto più abile, ed introduce nella società una confusione molto più grande. Qui il demone della massoneria porta la sua maschera fin sugli occhi, per così dire; cosa che fa che sia banalmente considerato come l’angelo della carità, anche da persone che su altri soggetti sono molto abili a comprendere dall’inizio il suo inganno infernale. Qui si scambia frequentemente per dolce riflesso della luce celeste ciò che non è altro che il sinistro bagliore delle fiamme dell’abisso. Qui l’arte di ingannare è il più possibile ingegnosa; al punto tale che l’orpello e lo stagno circolano talvolta sul mercato della vita sociale e sono accettate come moneta corrente allo stesso titolo dell’oro e dell’argento meglio purificato. La ragione di ciò, a ben considerare, si trova nella delicatezza della materia alla quale si fa subire questa alterazione. In altre branche, il nemico ha bisogno di sostituire al vizio una virtù, e questo per dare a questo vizio i colori dell’apparenza di questa stessa virtù, ciò che, come si vede, è una cosa difficile. Qui invece la cosa è più facile, poiché il sentimento naturale di compassione che ci ispirano le afflizioni ed i bisogni dei nostri simili, diviene simpatia e finisce per sedurre con ciò che sarebbe imprevidente, anche dopo aver rimosso l’aureola del soprannaturale. Qui il naturalismo presenta qualcosa di nobile e di elevato che gli permette certi falsi aspetti del divino, anche quando compie gli sforzi più grandi per separarsi da Dio e muoverGli guerra. È dunque un campo di operazioni più favorevole alla seduzione, e la massoneria esercita questa seduzione in tre maniere: 1° – essa storna l’attenzione dell’uomo dai bisogni principali del suo fratello, come quelli dell’anima, per fissarla solo sui bisogni del suo corpo che sembrano più pressanti, perché sono più visibili e più sensibili; 2° – mediante questi obiettivi falsificati o per lo meno mutilati, essa gli propone egualmente una serie di stimolazioni puramente umane, come la pura soddisfazione di un sentimentalismo femminile, o la soddisfazione ancor più grossolana dell’amor proprio, della vanità e del rispetto umano; 3° – conformemente al carattere puramente umano di questi stimoli, essa suggerisce come mezzi per esercitare la carità, mezzi semplicemente terrestri, subordinati ad una moralità puramente terrena, e pertanto esente da qualsiasi scrupolo. Ecco i tre aspetti che, a nostro umile avviso, caratterizzano la beneficenza massonica, volgarmente chiamata “filantropia”, e la pongono in diretta opposizione con la beneficenza cristiana, la sola che possa glorificarsi del bello e santo nome di “carità”. La carità, al contrario di ciò che abbiamo visto per la filantropia di cui la massoneria si copre come maschera, si distingue per i seguenti caratteri: 1° – Essa ha come obiettivo l’uomo completo, l’uomo intero, vale a dire con il suo corpo e l’anima; ma il fine supremo dell’anima è il suo principale scopo. 2° – L’amore di Dio ed il sentimento del dovere, ecco il suo principale stimolo: e di conseguenza, in tutti i casi essa ha un motivo sovrannaturale. 3° – I suoi processi sono in tutto conformi alla legge divina, e per la stessa ragione non sono per nulla, neanche nei minimi dettagli, in opposizione alla più rigida morale. Questi tre punti di vista, del massonismo e del Cattolicesimo relativamente alla beneficenza, vengono esposti, confrontati ed esaminati nei paragrafi seguenti che, come i nostri lettori avranno avuto già modo di intravedere, hanno un carattere praticamente incontestabile ed hanno nell’ora presente una sovrana opportunità.

XVIII

Si esamina il primo dei tre punti di vista segnalati più in alto.

Trattando del modo di sovvenire ai bisogni del prossimo, dobbiamo mostrare la differenza radicale che esiste, tra il massonismo ed il Cattolicesimo, nel modo di apprezzare questi bisogni. Per il massonismo, che non è altro che “naturalismo”, l’uomo non ha altri bisogni che quelli della vita naturale; questi bisogni occupano il primo posto, o meglio essi costituiscono gli unici bisogni. Tutto il fine dell’uomo, secondo il naturalismo massonico, è in se stesso e non esce dalla sfera della sua vita materiale e terrena. I soli bisogni degni di essere presi in considerazione nell’uomo sono quelli che si riconducono al suo corpo, al più, alla sua intelligenza, per ciò che riguarda le verità della filosofia umana. Da questo il naturalismo conclude con una logica rigorosa, benché si appoggi sopra un falso principio, che la sofferenza, sia fisica che morale, è per la creatura umana il male essenziale, e che non possa essere vista altrimenti, e sia da considerare unicamente nella sua opposizione al bene terrestre. Da ciò risulta che ogni beneficenza massonica, o ispirata dal massonismo, abbia come unico oggetto di liberare l’uomo da questa sofferenza, o almeno alleviarla, senza andare assolutamente più in là, poiché non esistono altri orizzonti per i suoi occhi bendati., Questo uomo che pretende a torto di essere caritatevole, crede bonariamente di aver fatto molto, o meglio di aver fatto tutto quando abbia appagato la fame dell’indigente con un pezzo di pane, o coperto le sue membra nude con un sottile pezzo di stoffa, o portato qualche sollievo ai suoi dolori, procurando i rimedi prescritti dal medico o dal chirurgo e, quando non riesce nell’intento, si crede nell’impossibilità assoluta di fare ciò che sia di più perfetto; e a ben vedere non si può esigere di più da chi nell’uomo non vede che il suo involucro esteriore, cioè solamente il suo corpo. Il Cattolicesimo ha dell’uomo una idea ben superiore, e pertanto si pone a suo riguardo in modo completamente diverso. Esso vede in lui un coro e soprattutto un’anima; di conseguenza, distingue tra ordini di bisogni e di sofferenze, e prescrive in suo favore due specie di opere di beneficenza, che il Catechismo designa sotto il nome soave di « Opere di misericordia corporale e spirituale ». E siccome riconosce la superiorità dell’anima sul corpo, riconosce pure, molto logicamente, che le opere corporali appartengano ad un ordine inferiore alle opere spirituali, e che esse debbano essere subordinate a queste ultime, benché possano essere esse stesse elevato allo stesso rango se nel compierle ci si proponga un fine spirituale, oltre al motivo superiore della fede che deve animarle tutte. Tale è l’apprezzamento giustissimo del Cattolicesimo. Il fine supremo dell’uomo, il suo fine più nobile, l’unicamente importante, poiché definitivo, è quello della sua anima immortale, che deve salvare e che può perdere. Dunque ogni opera di beneficenza, qualunque sia la sofferenza che abbia come scopo di alleviare, deve principalmente avere di vista questo fine ultimo dell’uomo, ed essere considerato principalmente come un mezzo per arrivare a questo fine nobilissimo. Il pane che viene dato per lenire la fame, il vestito destinato a coprire la nudità del povero, la visita ed il rimedio destinato al sollievo dell’infermo, hanno come fine immediato, e per così dire tangibile, di lenire la fame e vestire la nudità, risollevare da un’infermità, ma devono avere come fine superiore ed ultimo il perfezionare l’anima ed aiutarla ad ottenere i beni che gli sono propri e cioè: la verità e la grazia di Dio, e soprattutto la felicità eterna! Certamente questo non fa che questo soccorso materiale che viene dato, valga di meno o sia dato con minore spontaneità ed abbondanza; ma esso viene porto in maniera più degna dell’uomo e della sua nobilissima condizione; esso viene offerto non come ad un cane o ad un cavallo, ai quali vogliamo unicamente conservare la vita, ma come si deve effettivamente donare ad un essere ragionevole per il quale si desiderano, oltre all’assistenza passeggera del momento, le gioie della suprema felicità. Questo sia detto per i bisogni che possono in qualche modo essere soccorsi, e per i dolori che possono ricevere qualche sollievo. Ma quando il bisogno è tale che nessun soccorso umano possa soddisfarlo, e che la spina del dolore sia così profonda che alcuna mano d’uomo può strappare, ah! È allora che si vede molto chiaramente quanto sia vano, impotente, sterile, la beneficenza puramente umana, e quanto sia sublime, feconda e potente la vera carità! È allora infatti che la luce della fede rivela agli occhi dell’afflitto tutta la sua filosofia sul dolore insegnandogli in primo luogo, che essa è transitoria, e che di conseguenza non ha il carattere del male assoluto ed inaccessibile ad ogni speranza; in secondo luogo che essa è meritoria e che può e deve essere, accettandola con rassegnazione, il principio e la causa di una felicità infinita; in terzo luogo che essa è soddisfattoria, vale a dire che essa serve mirabilmente, nel piano divino, a purificarci, a farci espiare e pagare in questa vita i debiti a volte molto pesanti che abbiamo contratto con la suprema Maestà. Tutto questo modifica, eleva e, in qualche modo, trasforma talmente la sofferenza agli occhi del buon cristiano, che considera l’afflizione non solo come qualche cosa di tollerabile, ma spesso, e lo si vede in tante anime giuste, come qualcosa di desiderabile. Trasformazione meravigliosa, impero completo dello spirito sulla materia, realizzata dalla fede e dalla grazia di Dio, per rendere efficace la vera carità, che è unicamente soprannaturale e cristiana. Si constata dunque quale distanza immensa, infinita, separi primariamente l’idea cattolica della carità, dall’ideale naturalista e massonica della stessa virtù. Questa differenza traspare in modo ancor più evidente per il modo in cui il massonismo ed il Cattolicesimo considerano l’uomo ed il suo fine ultimo, come constateremo anche più chiaramente nei successivi paragrafi.

XIX

Si esamina il secondo dei punti segnalati più in alto.

Il massonismo essenzialmente opposto al Cattolicesimo, nel modo di apprezzare l’oggetto materiale della beneficenza, vale a dire l’uomo, non lo è meno nell’apprezzare il motivo formale e della regola di questo apprezzamento, che deve può e essere esclusivamente l’amore di Dio. Vediamo ora questo secondo aspetto della questione, che non offre un minore interesse. Il motivo formale delle beneficenza massonica o naturalista si riduce all’amore dell’uomo per l’uomo stesso, senza considerazione per un’altra idea superiore. In vero questo sentimento è chiamato giustamente “filantropia”, parola greca che significa “amore dell’umanità”. Questa parola è sonora ed ampollosa, non possiamo negarlo, e talvolta è a questa sonorità musicale che bisogna attribuire l’effetto che produce su certe immaginazioni. Ma se ci arrestiamo un istante ad esaminarne il valore ideologico, è possibile che lo troveremo anche vuoto ed insignificante, per quanto in apparenza pomposa, come succede per la maggior parte delle parole la cui risonanza è in proporzione alla loro vacuità di significato. Amare l’uomo solo per l’uomo, significa esporsi a due inconvenienti molto gravi, e così possiamo diffidare di tutti i filantropi passati e presenti ed evitarli con il loro sistema assurdo ed impotente. In primo luogo si presentano dei casi, e sono i più frequenti, nei quali l’uomo è di per se stesso poco amabile, sia che si consideri dal punto di vista fisico o da quello morale: ed in questi casi, se non devo amare l’uomo per ciò che vale, ditemi, vi prego, come posso fare per dare una base, un motivo all’amore che devo avere per degli esseri poco simpatici? In secondo luogo, esistono degli altri casi, anche molto numerosi, in cui l’uomo è estremamente amabile, ed allora, se non ci sono altre ragioni che amare l’uomo per se stesso, oh! … è ancora peggio: ditemi, quali limiti, qual freno darete a questo sentimento per impedirgli di essere disordinato e mantenerlo entro i giusti limiti? – Ci si permetta di dare qualche sviluppo a ciascuno dei due pensieri: l’uomo, abbiamo detto, è spesso un essere molto poco amabile. Gli esempi in appoggio a questa verità sono conosciuti da tutti, e sarebbe ozioso riportarli per provarlo con lunghe dimostrazioni. Considerato fisicamente, il povero è d’ordinario ripugnante: quasi sempre il misero è disgustoso e più sovente, l’infermità impressiona negativamente. I poveri simpatici e buoni non si trovano che nei drammi teatrali o nei romanzi: nella vita reale, la casa del povero, lungi dall’attirare, ripugna. Bisogna fare uno sforzo, fare spesso violenza ai movimenti naturali della sensibilità e dell’impressionabilità per avvicinarsi al letto di un tisico, per penetrare nella mansarda o nella soffitta dell’indigente. Chiamiamo a testimoniarne le persone le più generose e le più dedite alle opere di carità. Coloro che sono decisi su questo punto, lo sono perché sono riusciti a vincere da sé nella battaglia contro la natura; ed è in ciò che precisamente consiste il merito principale della loro virtù. Questa battaglia esiste specialmente quando si considera nel povero non la sua difformità fisica, ma la sua difformità morale, che è talvolta ancor più sordida. Ci sono dei poveri che sono realmente buoni, che hanno un cuore nobile e riconoscente, ma ve n’è di quelli che sono cattivi ed hanno degli istinti perversi, vili, abietti, e che non sanno ricambiare i benefici ricevuti se non con una nera ingratitudine. E tuttavia essi devono essere amati da colui che è veramente caritatevole, e molto più degli altri, perché deve soccorrerli non solo nei loro bisogni fisici, ma ancor più correggerli nelle loro deformità morali. E benché lo spirito ripugni nell’avvicinarsi ad una di queste creature degradate, bisogna ugualmente accostare il proprio cuore a questo altro cuore a volte gangrenato e corrotto. Ditemi ora dunque: quando l’uomo non è amabile, né fisicamente né moralmente; quando al contrario è nel fisico e nel morale antipatico, disprezzabile, degno di odio e talvolta ben colpevole, se l’uomo non deve essere amato se non quando e perché lo meriti, come tale uomo potrà essere amato? Che il naturalismo discorra finché vorrà, esso non troverà mai un motivo sufficiente per determinarsi a fare del bene a tali creature, se non nel merito che tale azione ha agli occhi di Dio nostro Signore. – Vediamo ora la controparte di questo ragionamento. Si supponga che un misero o indigente, invece di essere poco simpatico, lo sia sfortunatamente anche oltre misura. Supponiamo il caso, che non è raro, in cui una donna che possiede un fascino pieno di attrazione e che abbia bisogno del soccorso di un uomo, o ancora quello in cui un uomo nel pieno vigore giovanile abbia bisogno di essere soccorso da una donna dalla mano carezzevole e delicata. Se la beneficenza deve essere puramente umana, come dice il naturalismo, chi regolerà i movimenti naturali del cuore? E notate che qui parliamo dello straripamento degli istinti più nobili, ma comunque di un’esondazione!. Chi può sostenerli, frenarli, se essi deviano? Se nel primo caso c’è bisogno del motivo della fede, come uno stimolante divino, non è certo che nel secondo si abbia bisogno ancor più del motivo della fede come di un moderatore divino? Quale uomo riservato e discreto invierà le nostre giovani ed angeliche “sorelle di carità” a respirare l’atmosfera viziata dei campi, che somigliano così poco ad un chiostro, senza un divino salvacondotto? Quale campione cattolico o qual giovane prete affronterà senza danni per la sua anima certi focolai di infezione senza questa celeste salvaguardia? E come, in questi casi si potrà praticare, anche senza un vero successo, ma semplicemente senza incorrere in gravi danni, la nobilissima ma delicatissima e fragilissima virtù della carità? Noi crediamo aver detto abbastanza per essere compresi, e perché si veda chiaramente che se c’è una circostanza in cui sia necessario, non solo di credere in Dio, ma di pensare molto a Lui, è quando si tratta di essere veramente caritatevole. È così che la religione ha sempre insegnato con profonda saggezza; è quello che conferma nella pratica una esperienza certa mai smentita. Amare l’uomo per l’uomo solo, ed amarlo sinceramente, è una formula più facile da scrivere nei libri massonici e da sviluppare pomposamente nei gioiosi banchetti delle logge, che da impiantare nelle sale degli ospedali e nelle mansarde delle periferie dei nostri grandi centri suburbani. Amare l’uomo per l’uomo solo ed amarlo sinceramente, sono due cose praticamente irrealizzabili! La prova ne è evidente, poiché praticamente la cosa non si è mai vista realizzare. L’uomo sente non raramente per l’altro uomo null’altro che un sovrano disprezzo, se non addirittura una avversione profonda, nel caso in cui non provi per lui un’attrazione puramente sensuale ed una grossolana passione. La ragione di questo è molto chiara. L’uomo per l’uomo solo non è in fondo, e non può essere logicamente, che l’uomo considerato per il proprio interesse. Senza l’idea di Dio chi, in effetti è unicamente il mio prossimo, se non io stesso? L’egoismo è dunque la conseguenza inevitabile del principio naturalista. Ebbene! Questo egoismo umano ha ordinariamente due forme che lo volgono in brutalità: a) la forma del disprezzo, quando si prova per il fratello l’indifferenza o la repulsione; b) quella di un grossolano appetito, quando il fratello eccita una colpevole passione. E la filantropia naturale, lo abbiamo visto, non ha rimedi contro questo doppio male. E tuttavia questa falsa carità grida, si agita, fa capricci, come dunque si procura stimolanti per le sue opere? Come e con quale filo a piombo e con quale livella li rinnega e li ordina? Noi studieremo queste questioni con maggiori dettagli di quanto fatto qui, nel successivo paragrafo, nel quale vedremo e costateremo in modo più suggestivo le differenze essenziali che distinguono la vera dalla falsa beneficenza, quella che è cattolica e quella detta massonica, quella che è di Dio, e quella che è del demonio, la scimmia di Dio!

XX

Si esamina il terzo punto menzionato più in alto, quello che oggi è il più pratico.

Stabilendo la beneficenza, senza l’amore di Dio come stimolante, e senza la legge di Dio per regola, è chiaro che il massonismo vada alla ricerca di altri stimolanti e di altre regole. È appunto là che brilla il suo “genio”! Entriamo nell’esame del quadro che offre ai nostri occhi la filantropia o carità naturale. – Costa all’uomo spogliarsi di ciò che gli appartiene per darlo sconsideratamente ad un altro uomo. Perché egli si decida a questo difficile sacrificio, occorre che gli si offra una ricompensa. Il Cattolicesimo la offre da quaggiù nei vantaggi del merito, e nell’avvenire con la prospettiva della ricompensa. Coloro che escludono Dio dalla beneficenza, non possono riconoscere in essa né questo merito soprannaturale, né questa ricompensa promessa. – Essi devono cercare e proporre all’uomo delle compensazioni nella vita presente, ed essi la offrono nel modo seguente: – In primo luogo, essi eccitano la sensibilità naturale, che non può fare a meno di commuovere l’uomo, anche il più depravato, al sola vista delle afflizioni altrui. Questo sentimento è il più nobile di tutti quelli che sono puramente umani, ma è così debole per se stesso, che non produce qualche atto in favore dell’indigente che nel caso in cui non sia necessario imporsi per questo dei pesanti sacrifici. Tra il veder soffrire il fratello ed imporre a se stessi qualche sofferenza, è chiaro che si opterà per la prima soluzione, a meno che una ragione superiore non incoraggi od obblighi a fare altrimenti. In secondo luogo essi lusingano con la vanità mediante i pubblici applausi, e portano tale uomo o tale donna ad essere generosi ed a compiere questo o tal altro atto di carità come ostentazione dell’amor proprio. In terzo luogo, essi minacciano con il ridicolo del rispetto umano colui che non doni di buon grado o dia mal volentieri la somma di denaro che gli si domanda, somma che si porge alla fine mormorando e brontolando, non con un sentimento di compassione fraterno per l’indigente, ma talvolta maledicendolo, a causa della costrizione che opera con le sue esigenze. Noi vediamo tanti esempi di questo genere, dalle sottoscrizioni ufficiali o i doni volontariamente forzati che il governo impone sotto il pretesto delle calamità pubbliche, fino alle commissioni che, sotto una forma più o meno autoritaria, percorrono talvolta i quartieri della città con lo stesso oggetto. – In quarto luogo, quando questo non sia sufficiente, cioè quando il ricco non si risolva a soccorrere il povero con lo stimolante della sua naturale sensibilità, o per un movimento di vanità, o sotto l’impulso del rispetto umano, il massonismo per questo non si perde d’animo; esso conosce perfettamente tutte le risorse che fanno agire l’uomo bestiale “animalis homo”, e non mancherà di metterli tutti in gioco. Esso fa allora appello alla frivolezza, in cambio dell’elemosina che vuol trarre dalla sua borsa, perché non si può dire che l’ottenga dal cuore, lo sottomette alla tentazione più forte, perché è la più grossolana: gli offre cioè dei divertimenti. A questo scopo apre come un mercato pubblico di sensualità, per ottenere in favore delle opere di beneficenza un contributo in rapporto al gusto di ognuno: offre delle canzoni a colui al quale piace ascoltarle, delle danze più o meno indecenti a chi ha il palato meno delicato, i sorrisi ed i favori di una donna a colui che ha bisogno di questo apparato per allentare la sua borsa. Si vede allora ciò che nessuno potrebbe credere se non lo vedesse con i propri occhi. Le grandi calamità nazionali, i grandi lutti della patria, sembrano produrre nelle anime lo stesso effetto dei più gloriosi trionfi, poiché si traducono ugualmente all’esterno con divertimenti e feste: a questo punto la contraffazione della carità ha snaturato i sentimenti più naturali dell’uomo; in tal modo si è venuto a spogliare della sua natura ed a cadere in ciò che è contrario alla natura, a forza di voler fuggire il soprannaturale cristiano. Vogliano i nostri lettori osservare bene la progressione discendente di questi stimolanti “naturalistici” ai quali si è dovuto ricorrere per rimpiazzare lo stimolante soprannaturale. Dapprima le emozioni o l’impressionabilità nervosa; in seguito la sete di applausi, più tardi la paura del ridicolo e la censura; infine la sete di piaceri. Di modo che, per non volere attenersi alla carità discesa dal cielo e penetrata dai profumi del tempio, si giunge a chiederla con le passioni più basse dell’umanità, e perfino ricorrendo all’infamia della prostituzione. – Perciò si vede chiaramente innanzitutto quanto una beneficenza di questo tipo abbia ben poco di nobile, e poi quanto ben poca consistenza abbia. L’elemosina procurata con tali mezzi deve logicamente considerarsi un semplice soccorso materiale. Colui che dona per tali motivi da al più uno scudo o un franco, ma non offre un sentimento del cuore capace di incoraggiare il povero, di fargli comprendere che lo si guarda come un proprio simile, che lo si abbracci e lo si consoli come un fratello. Ed ancor mano lo si rispetterà o servirà come un’immagine vivente di Dio. Si da al povero, così come si getta un pezzo di pane ad un cane che si vuole allontanare dal cammino, o come si paga al governo la tassa di un contributo. Questa carità, al più, è una carità passeggera, un fuoco di artificio che non dura oltre la festa per la quale viene preparato. Durante qualche istante, sotto la prima impressione di una grande catastrofe, al cospetto delle esigenze dell’opinione pubblica fortemente eccitata, si fa qualcosa, si raccoglie una certa somma; ma ben presto l’egoismo nativo e l’indifferenza abituale riprendono i loro antichi diritti. Non c’è nulla delle opere che richiedono perseveranza, che domandano pazienza. Non è così che vengono fondate istituzione che vivono per secoli, come ad esempio gli ospedali e gli asili, che assorbono una intera vita, tutta una fortuna; ciò che si fa attualmente è artificioso, frivolo, temporaneo, giornaliero. Nulla di strano, l’idea di Dio e dell’Eternità, non presiedono a nulla di tutto questo!

XXI

Seguito sullo stesso soggetto.

 Se la beneficenza senza Dio deve essere necessariamente fatta con stimolanti sufficienti, deboli, incostanti, poco disposti a tutto ciò che abbia il carattere di vero sacrificio, non è men certo che in assenza di regole e di moderatore, debba essere inevitabilmente poco delicata, senza scrupolo alcuno nei suoi mezzi e nei suoi processi. Cosa si propone la beneficenza senza Dio? Tutt’al più di trarre l’indigente da un imbarazzo materiale. – Non prendendo Dio come motivo primario, né come fine ultimo, né come regolatore dei mezzi da impiegare per giungere a tal fine, è naturale e logico che essa giudichi buoni e convenienti tutti i processi, a condizione che essi acquisiscano una somma di denaro con il cui aiuto si uscirà abilmente da una difficoltà. Essa non può supporre che per delle pure ragioni di umana convenienza, si rinunzi ad impiegarli: soprattutto quando si sa già in precedenza che il criterio della convenienza umana è molto elastico in tutte le questioni di morale che si offrono al suo apprezzamento, e soprattutto lo è ancor più quando una maggiore elasticità possa dissimularsi e darsi un’apparenza di onestà, con il pretesto che la si tolleri perché opera buona, per … soccorrere pressanti bisogni. – Qualcuno dei nostri lettori avrà probabilmente trovato eccessivo ciò che abbiamo detto più in alto, e cioè che una certa carità moderna non esiti talvolta a ricorrere anche alle turpitudini della prostituzione. Noi siamo stati ben lontani, quando abbiamo scritto questo, dal pensare di avere sottomano un fatto che giustificasse la nostra asserzione. È satana stesso, che diviene talvolta a nostro vantaggio, nelle nostre opere, un eccellente collaboratore, che ci fornisce questa prova per mezzo di uno dei suoi rappresentanti più autorevoli della stampa locale (della città di Barcellona). Noi prendiamo ricopiamo da questo organo satanico il passo seguente, che sembra espressamente scritto per darci ragione. Vi è scritto infatti: « I due avvenimenti del giorno più curiosi sono una festa di carità a Parigi ed un processo in Germania. La festa di carità è consistita in un concorso di nuoto al quale hanno preso parte delle donne. Questo concorso ha avuto luogo di notte, nel ginnasio nautico. Queste donne hanno nuotato in pubblico e con abilità. Noi ci dispensiamo dal menzionare il tipo di pubblico che ha assistito ad uno spettacolo così nuovo e attraente: la carità scusa tutto, secondo la moderna dottrina, e non osiamo meravigliarci di ciò che potrebbero tentare nel tempo le dame francesi, sempre sotto la copertura della carità. E allora? È così che poco a poco la carità puramente umana stima leciti ed onesti per un suo fine dei mezzi che altrimenti non potrebbe impiegare se dovesse sottostare al freno severo della legge di Dio. Ma senza parlare di cose indegne di essere menzionate, la pratica della carità senza Dio presenta un altro genere di inconveniente che, per essere di un ordine più o meno abietto, non manca di essere molto in voga. Tali sono coloro che risultano dalla frode e dalla malversazione con la quale mani poco delicate riescono a stornare a loro profitto personale dei fondi destinati al sollievo dei bisogni altrui. Questa lebbra è così contagiosa e colpisce oggi fortemente ogni specie di carità laica o civile che nelle recenti calamità abbiamo potuto vedere con i nostri occhi personaggi che non si potevano certamente sospettare di attacchi al clericalismo, andare a depositare i loro doni tra le mani del vescovo o del curato, sicuri così, con tal mezzo, di vedere arrivare questi doni alla loro vera destinazione, perché incerti nel saperli arrivare invece per tutt’altro cammino. Sì, il trionfo della Carità Cattolica sulla sua rivale, sul suo nemico, la sua contraffazione, la carità massonica o civile, è manifesta, splendida, indiscutibile, abbiamo potuto costatarlo in occasione degli ultimi terremoti. Il buon senso naturale ha prevalso spontaneamente in questa occasione nella maggior parte dei cuori, sul pregiudizio della setta: tutti hanno compreso che il miglior filo conduttore della carità, dal cuore di colui che può soccorrere fino al cuore di colui che ha bisogno di essere soccorso, e pertanto dalla borsa ben guarnita del primo, alla borsa vuota del secondo, è il filo della credenza religiosa, e che tutt’altro modo di domandare la carità e tutt’altro modo di praticarla e distribuire dei soccorsi, sarà attuale e liberale, fin tanto che si vorrà, ma non darà mai risultati. – In definitiva, sia ha bisogno di credere in Dio, di parlare di Dio, di pensare a Dio e di credere a Dio per dare molto al prossimo, e dare in modo tale che il prossimo sia veramente soddisfatto. Le epidemie dell’ultimo anno hanno mostrato nella stessa vicina Nazione un altro vantaggio, dello stesso genere, della vera carità sulla carità massonica. La massoneria aveva allontanato dagli ospizi e dagli asili gli infermieri e le infermiere appartenenti agli istituti religiosi, avendo messo al loro posto dei laici dal repubblicanesimo più accentuato ed i meno sospetti di clericalismo. Arriva l’ora terribile, non si tratta più di praticare gli ordinari trattamenti, ma di esporre la propria vita per la salute del prossimo. E questi valenti secolari d’ambo i sessi abbandonano quasi tutti vergognosamente il loro posto, provando con ciò che erano solo dei soldati che non servono che in tempo di pace. E la stessa massoneria che domina nella maggior parte dei consigli municipali e provinciali, deve subire l’umiliazione di fare un nuovo appello ai religiosi ed alle religiose che essi avevano allontanato con violenza dai letti degli ammalati. E religiosi e religiose sono accorsi subito all’appello dei loro nemici, non per vantarsi di una vittoria sì gloriosa, o per rinfacciare loro l’incoerenza presente e la loro ingiustizia passata, ma semplicemente per morire per i loro fratelli, così come accaduto a molti di essi. Quale lezione? Il mondo attuale li ha visto all’opera, e certamente non si può essere probabilmente più convincenti! Esso li ha sotto gli occhi e sotto mano, affinché veda e tocchi ciò che può e sa fare con tanta facilità la carità che ha Dio come principio, come fine, come regola, e che non può né sa fare in altro modo, per numerosi che siano i suoi sforzi, la carità che si ostina a fare a meno di Dio.

XXII

Opposizione radicale che esiste tra il cattolicesimo e la massoneria, nel modo di apprezzare l’arte.

L’arte è uno dei punti sui quali ci siamo proposti di indicare rapidamente in cosa differisca l’apprezzamento e l’influenza del massonismo e del Cattolicesimo. Andremo ora a trattare questo soggetto, ma senza dargli gli sviluppi che desideriamo, per non prolungare oltremodo un soggetto che oltrepassa già i limiti ordinari. L’arte, nelle sue diverse manifestazioni, come espressione del bello, innato nell’uomo, potrebbe chiamarsi il meno umano di tutti i concetti umani, o se si vuole, il meno terrestre, tanto è ideale, sublime e vicino al divino ed al celeste. Tutti i popoli, gli infedeli ed i cristiani, hanno riconosciuto nell’arte vera e nei veri artisti, qualcosa di divino il « quid divinum », che dà alle opere d’arte un carattere che le distingue essenzialmente da tutte le altre cose concepite dal sapiente o dell’artista di talento. L’arte e l’artista vivente respirano e si sviluppano in una regione molto più elevata e più pura di quella in cui si muove il comune mortale; essi godono di orizzonti illuminati da una luce più viva di quella di cui si gode nelle comuni sfere della vita; essi appartengono all’umanità, ma ne sono, come noi abbiamo visto, la parte più nobile; è con esse che, nell’ordine naturale, si manifesta nel modo più evidente, l’origine divina dell’uomo e la fiammella del fuoco celeste dispensata dalla mano del Creatore in questo vaso di fango che si chiama corpo. È una ragione in più per cui, il nemico di Dio e dell’uomo si sforza di rapire loro l’onore ad entrambi, oscurando con neri vapori e bagliori sinistri dell’abisso, la pura e serena luce del cielo, che l’arte e l’artista hanno la missione di far risplendere con l’aiuto delle loro opere sulle aride vallate terrestri. Il naturalismo o il massonismo, ha qui uno scopo facile da comprendere: fare che ciò che il Creatore ha elargito all’uomo per guardare unicamente in alto, sia rivolto unicamente in basso; padroneggiare ed esaltare un’arte che sia l’espressione delle concupiscenze che abbrutiscono ed animalizzano l’uomo; in luogo di proporgli e raccomandargli un’arte che sia l’espressione dei sentimenti elevati che nobilitano ed elevano la sua dignità. La materia in qualche modo spiritualizzata, era, per così dire, la formula dell’arte cristiana. Lo spirito abbassato quanto più possibile alle vili soddisfazioni della carne: ecco la divisa dell’arte naturalista. Cantare, dipingere, scolpire di modo che la poesia, il quadro, la statua o il monumento, siano come tante ali per mezzo delle quali l’uomo si elevi, al di sopra della sua condizione di esiliato, a gioie superiori, a sentimenti più nobili e, di conseguenza, ad un livello superiore nelle sue idee e nei suoi atti; tale sarà l’apostolato divino dell’arte che in qualche artista giunge ad essere una vera religione. Cantare, dipingere, scolpire, perché le immondizie della materia lusinghino ancor più i sensi, perché l’uomo trovi più gioia in ciò che lo avvilisce e lo imbratta, perché si getti più risolutamente nel fango; perché egli dimentichi ed anche detesti il cielo con la più cieca ostinazione: tale è l’apostolato satanico dell’arte empia e nemica di Dio. – da queste caratteristiche si riconoscerà facilmente a quale movimento obbedisca e quale luce, se celeste o infernale, si rifletta sulla fronte della maggior parte degli artisti del nostro tempo infame. Per il fatto che anche molto spesso allontani l’uomo da Dio, e lo degradi, l’arte moderna lascia chiaramente vedere quali siano il suo principio ed il suo spirito: se non è Dio, è certamente il suo nemico! La massoneria, che è questo nemico universale di Dio, organizzato, concentrato e costituito, per così dire, in una vasta congiura di forze nemiche di Dio, proclama, propaga ed incoraggia quest’arte avvilita e corruttrice che abbrutisce l’uomo, mentre che l’arte ispirata dalla fede cristiana tende costantemente a divinizzarlo: la musica, la letteratura, la pittura, la scultura sono nelle mani della massoneria e nelle mani di spiriti che essa ispira disgraziatamente, come tanti focolai ardenti di grossolana sensualità e di brutale concupiscenza che, dopo aver disseccato il cuore come una febbre bruciante, lo indurisce al punto che non potrà mai provare un sentimento più nobile. Con le emozioni della carne e dei nervi svaniscono nell’anima la gioia serena, pura ed entusiasta che produce in esso la vera bellezza. In luogo dell’estasi intellettuale artistica, si trova e si ottiene l’ebbrezza e l’eccitazione nervosa, che non è che l’imitazione e la parodia. Ditemi di grazia: non è questo più frequentemente il carattere dell’arte della nostra epoca? Non sono forse i suoi effetti manifesti e deplorevoli?

XXIII

Come si vede chiaramente l’applicazione di questa dottrina

nei piaceri moderni.

Giungiamo al termine di queste semplici considerazioni, che non sono certamente un enunciato di idee, e che richiederebbero, per essere sviluppate in modo conveniente, molto più dello spazio di quello che abbiamo potuto loro consacrare nell’insieme. L’applicazione più comune e più pratica di ciò che noi dicevamo nel precedente paragrafo sull’arte che ha subito l’influenza funesta della massoneria, si offre chiaramente ai nostri occhi nelle distrazioni o nei piaceri pubblici, e nella stampa, branca speciale della letteratura, che può e deve essere annoverata tra questi passatempi. Sì, i divertimenti pubblici e la stampa moderna sono generalmente oggi, un puro massonismo [e non c’erano ancora il cinema e la televisione! –ndt. -], vale a dire il prodotto dell’influenza massonica e nel contempo un mezzo per propagarlo ed estenderlo. Noi ne abbiamo la prova sottomano, e per comprenderlo, è sufficiente ricordare i principi che abbiamo enunciato in precedenza. Il massonismo non è null’altra cosa che il naturalismo; ed i divertimenti moderni e la letteratura contemporanea si sforzano, da molti anni, di essere esclusivamente naturalisti. Ne risulta che essi sono radicalmente ed assolutamente massonici e … massonizzanti, un effetto e nel contempo una causa molto attiva di questa orribile cospirazione di tutti gli elementi sociali contro il regno soprannaturale di Dio Nostro-Signore sulla creatura e sulla società umana. – Che il naturalismo sia assolutamente l’oggetto e l’ispiratore di tutto ciò che l’uomo scrive, canta o propone per il piacere dell’umanità, è innegabile a meno che non si sia ciechi o miopi nel costatarlo su ogni locandina teatrale, in ogni pubblicazione giornalistica circolante tra il pubblico, o in tutti i cartelli agli angoli delle strade. Attualmente, la materia non è più idealizzata come ai tempi in cui si credeva universalmente che essa fosse uno degli oggetti primordiali dell’arte, ma l’idea si materializza, si prostituisce, si avvilisce vergognosamente per essere un apparato seducente per l’uomo. Una gran parte, o meglio la quasi totalità degli spettacoli e della produzione letteraria del giorno sono delle cloache immonde, che non causano nausea a tutti gli stomaci, semplicemente perché questi hanno contratto anch’essi una deplorevole infermità, e sono diventati assolutamente carnali e grossolani. E non è solo la critica cattolica che formula questo giudizio e avanza questa condanna, i dottori del razionalismo contemporaneo stesso, nei loro frequenti intervalli di lucidità e nei momenti di sano apprezzamento costatano questo male, lo deplorano e lo stigmatizzano. Zola nel romanzo, Echegaray nell’arte drammatica, Sara Bernhart nell’ambizione plastica di quest’arte, sono tre tipi che possono personificare in pieno tre scuole che meriterebbero meglio il nome di “ignobile prostituzione”. Queste scuole regnano oggi e predominano quasi in assoluto, e come il sovrano Pontefice lo ha denunciato per la massoneria, esse esercitano sul gusto una influenza sociale che in qualche modo può definirsi un dominio. Si leggono queste produzioni e non si legge nessun’altra cosa! Si ascolta, si vede, si applaude tutto questo con furore, e non si ascolta, non si vede e non si applaude se non questo: ogni altro nutrimento artistico ed intellettuale diviene senza gusto ed insipido per i palati abituati a queste salse fortemente speziate. Ecco precisamente un campo nel quale la massoneria può gloriarsi di regnare anche su coloro che apparentemente sono i suoi più risoluti nemici. L’anima si spaventa alla vista delle numerose famiglie cattoliche, e sinceramente cattoliche, che con il favore del romanzo e dello spettacolo massonico, respirano, bevono e mangiano ogni giorno ed ogni notte, a dosi piene, il veleno del massonismo più sottile e più raffinato. Nelle letture, gli spettacoli, non si predica null’altro che l’odio dell’ordine soprannaturale cristiano, o quantomeno l’astrazione voluta ed affettata di quest’ordine. Questi uomini vanno formando insensibilmente i loro sentimenti, le loro idee ed i loro costumi su questi modelli naturalistici; essi si abituano a pensare, a sentire, a giudicare, a determinarsi secondo questo criterio; e alla fine essi si trovano ad essere, nel loro foro interiore, dei perfetti massoni di grado superiore, benché nella loro vita, essi non abbiano mai visto un triangolo, né portato grembiulini, né assistito ad alcun rito ufficiale della setta. Che importa tuttavia che essi non abbiano partecipato a riti esteriori, se la loro vita è interamente conforme al suo spirito, se essi sono diventati proseliti delle sue massime e delle sue usanze e se, così spesso, senza forse rendersene conto, ne sono divenuti dei campioni calorosi e zelanti? Questo non è tutto; qui il pregiudizio è tanto più grande ed il risultato più considerevole quanto più l’azione è segreta e procede da persone contro le quali si è meno in guardia. Così vanno oggi le cose; ed è ciò che spiega l’immensa influenza del massonismo scientifico, letterario, artistico e pratico nella società attuale. Noi abbiamo convenuto ingenuamente che non c’è massone che non sia passato attraverso le prove grottesche dell’iniziazione, quando in realtà il massonismo conta soprattutto sul prestigio e sull’influenza di coloro che non si sono mai sottomessi a simili cerimonie. A che cosa dunque servono questi riti simbolici? Queste logge misteriose? Questi clubs tenebrosi? Se si attribuiscono alla massoneria tutti i risultati ottenuti su molti degli infelici cattolici, questi vanno ben al di là delle loro speranze. Pertanto, e lo abbiamo detto già fin dall’inizio, e tale è l’oggetto vero del nostro presente lavoro, il massonismo è nella nostra epoca più pericoloso della stessa massoneria. Ci piace dirlo ancora: quest’ultima potrebbe ben indebolirsi ed anche sparire dal quadro delle istituzioni, mentre l’altro dimorerebbe e regnerebbe in modo assoluto e quasi esclusivo, così come oggi la cosa comincia disgraziatamente a delinearsi.

EPILOGO

Eccoci giunti, conformemente al piano che abbiamo tracciato, al termine delle nostre considerazioni sul massonismo ed il Cattolicesimo. Noi ci fermiamo qui, senza far posto a mille altre questioni che si presentano in questo momento sotto la nostra penna e che ci renderebbero interminabili su questo soggetto. Ci sembra del resto che noi abbiamo sufficientemente provato la nostra tesi, cioè l’aver dimostrato l’opposizione radicale ed assoluta che esiste tra il massonismo ed il Cattolicesimo, mostrando successivamente la soluzione opposta che essi danno a tutti ed a ciascuno dei problemi filosofico-sociali che si agitano oggi in Europa. Non resta più da ascoltare su questo soggetto che la voce più autorevole di tutte, cioè quella del Dottore supremo che, dalla suo soglio di Roma, ci ha parlato con tanta precisione e chiarezza nella sua celebre enciclica Humanun Genus. Non ci resta che ascoltare la voce della massoneria alfine di decidere come catalogare per nostro conto questi cattolici più ciechi e più ostinati, che non ha potuto convincere nemmeno l’oracolo universale del Vaticano, e che hanno bisogno, per uscire dalla loro strana perplessità, della decisione più autorizzata forse da satana stesso: noi vogliamo parlare dell’oracolo delle logge. Sì, questo oracolo ha pure parlato, ha reso omaggio alla verità delle affermazioni pontificie, a vergogna di tanti pretesi cattolici che si ostinano a tacciarle di esagerazioni e di pessimismo. Sì, è la mano ufficiale della massoneria che ha scritto in uno dei suoi bollettini più autorevoli (Bulletin Maçonnique de la grande Loge symbolique Écossaise), le seguenti frasi di una spaventosa esattezza. Tutti i nostri lettori vi vedranno la sintesi e nello stesso tempo la conferma di tutto ciò che abbiamo scritto su questo soggetto: « la franco-massoneria – viene detto – non può fare a meno di ringraziare il sovrano Pontefice, Leone XIII, per la sua ultima Enciclica che, con una autorità incontestabile ed una grande abbondanza di prove, viene a dimostrare una volta in più, che esiste un abisso insormontabile tra la Chiesa, di cui egli è il rappresentante, e la rivoluzione, della quale la massoneria è il braccio destro. È bene che coloro che sono esitanti cessino di riporre vane speranze di conciliazione. Bisogna che tutti si abituino a comprendere che è giunta l’ora di optare tra l’ordine antico che si appoggia sulla rivoluzione, e l’ordine nuovo che non riconosce altri fondamenti che la scienza e la ragione umana: tra lo spirito di autorità e lo spirito di libertà. » [Fine. Leggi l’enciclica in: UN’ENCICLICA AL GIORNO, TOGLIE IL MODERNISTA APOSTATA DI TORNO … e pure il masso-illuminato dell’«ECCLESIA»: Hunanum genus/exsurgatdeus.org]