De Segur: BREVI E FAMILIARI RISPOSTE ALLE OBIEZIONI CONTRO LA RELIGIONE [risp. XXI-XXIV]

XXI

FUORI DELLA CHIESA NON V’ HA SALUTE!

QUALE INTOLLERANZA! IO NON POSSO AMMETTERE UNA REGOLA

COSI’ CRUDELE!

R. Ecco ciò che non potete ammettere nel senso in cui l’intendete, cioè: Chiunque non è cattolico è dannato. Ma eccovi anche il perché si critica la religione punto non comprendendola, e come le si fan dire cose che le fanno orrore. – Questa parola infatti intesa come la Chiesa insegna è la più semplice delle verità, una verità di buon senso [Fuor della Chiesa non v’è salute, cioè a dire fuor della luce le tenebre: fuor del bianco il nero; fuori del bene il male! fuor della vita la morte; fuor della verità l’errare ecc. Dove è dunque il mistero di tutto ciò? Dove à la difficoltà?]: “Fuori della Chiesa non v’ ha salute. » Significa semplicemente « che si è obbligati sotto pena di grave peccato di credere e praticare la vera religione che è la religione cattolica, allorché si è a portata di farlo: ciò significa che voi peccate, e per conseguenza perdete la vostra anima se rigettate volontariamente la verità quando essa si mostra a voi. Vi ha in ciò qualche cosa di straordinario? Vi ha in ciò di che gridare all’intolleranza, alla crudeltà? – Un protestante, uno scismatico, non è dannato per ciò solo che è protestante o scismatico. Se egli è di buona fede nel suo errore, cioè a dire se non poté per una o per altra ragione conoscere ed abbracciare la fede cattolica, egli è considerato dalla Chiesa come facente parte dei suoi figli; e se visse secondo che ha creduto essere la vera legge di Dio, egli ha diritto alla felicità del cielo come se fosse stato cattolico. – Vi ha, grazie a Dio! un gran numero di protestanti in questa buona fede, ed alcune volte se ne ritrovano anche tra i loro ministri. Monsignor de Chéverus vescovo di Boston ne ha convertiti due molto dotti, e molto pii; e dopo il loro ritorno alla Chiesa Cattolica dichiaravano all’ottimo vescovo, che sino all’epoca, in cui l’avevano conosciuto, essi non avevano giammai avuto dubbi sulla verità della loro religione. Non c’inquietiamo d’altronde del giudizio che Dio darà dei protestanti, nonché degli idolatri, dei selvaggi, ecc., ecc. Noi sappiamo per una parte che Dio è buono, che vuole la salute di tutti, e per altra parte, ch’Egli è la giustizia medesima. Serviamolo quanto meglio possiamo, e non c’inquietiamo per gli altri. – Gian Giacomo Rousseau, che il primo si eresse in apostolo della tolleranza religiosa, ha su questa materia come quasi su tutte quelle che ha trattate, confuse le idee del più semplice buon senso a forza di sofismi, e di retorica. – Se invece di coprirsi coll’abito del “vicario savoiardo” [Titolo d’una detestabile opera di Rousseau, in cui egli intacca la religione in sembiante il più condido, il più mellifluo, il più devoto] per farlo parlare contro la Chiesa, egli avesse consultato il vice-parroco della sua parrocchia, per conoscere la dottrina cattolica, prima di combatterla, avrebbe conosciuto, che falsificava in modo strano questa dottrina, o che la giudicava con una leggerezza compassionevole. Ma questo non tornava a conto a questo superbo sofista, che anzi tutto cercava a far parlare di sé, ed a comparire. – Egli ha confuso due cose essenzialmente distinte: l’intolleranza in fatto di dottrina e l’intolleranza in fatto di persone; [Rousseau è forse più pericoloso dì Voltaire, perché è meno violento, meno sincero nei suoi odi religiosi, meno cattivo, meno incredulo. Il suo stile più ampolloso e più grave che quello di Voltaire copre meglio il sofisma. — Rousseau è il capo di quel falso liberalismo, gonfio di prevenzione, che maschera la sincerità di questo filosofismo agro-dolce che da un secolo falsa le intelligenze, corrompe e travolge le società, spinge a tutte le licenze in nome della libertà, a tutte le qualità di persecuzioni in nome della – La giustizia del pubblico comincia a pesare sopra Rousseau e sopra Voltaire. Essi fecero assai male alla Francia e la loro dannosa influenza non ha ancora interamente cessato. L’imperatore Napoleone disprezzava grandemente questi due uomini: “Per trovarli grandi, dlceva, bisogna che i loro contemporanei fossero ben piccoli!], e dopo aver tutto confuso, si mise a far l’irritato, a gridare alla crudeltà, alla barbarie. Se la Chiesa insegnasse ciò che pretende che ella insegni, sì essa sarebbe dura e crudele, si avrebbe gran difficoltà a crederla. Ma non è cosi: la Chiesa non è intollerante che nella misura giusta, Vera, necessaria. Piena di misericordia per le persone, ella non è intollerante che per le dottrine. Essa fa come Dio che in noi detesta il peccato ed ama la persona. L’intolleranza dottrinale è il carattere essenziale della vera religione. La verità infatti che ella deve insegnare per officio commessole, è assoluta ed immutabile. Tutti devono adattarvisi; ella non deve piegarsi avanti a chicchessia. Chiunque non la possiede s’inganna. Non v’hanno transazioni possibili con essa, o tutto o niente. Fuor d’essa non vi è che l’errore. La Chiesa cattolica sola ha sempre avuta questa inflessibilità nel suo insegnamento. Questa è una delle più splendide prove della sua verità,della divina missione dei suoi pastori. Indulgente colle debolezze, non lo è stata e non lo sarà mai con l’errore. « Se alcuno non crede a ciò che insegna, proclama essa nelle regole di fede formulate dai suoi concilii, sia anatema!, cioè a dire separato dalla società cristiana. La verità sola parla con questa forza. Le persone che colla scorta di Rousseau, accusano la Chiesa di crudeltà a proposito dell’intolleranza che le imputano, hanno essi letto nel Contratto sociale di questo dolce e tollerante maestro, questa massima : « Il sovrano può bandire dallo stato » chiunque non crede gli articoli di fede della religione del paese…. Se qualcuno, dopo aver riconosciuto pubblicamente questi stessi dogmi si regola come se non li credesse punto, sia punito di morte ! » (lib. 4, cap. 8) … Quale tolleranza!!! Uopo è confessare che la Chiesa se ne intende meglio di quelli che vogliono farle da maestro.

XXII.

MA … E LA STRAGE DI S. BARTOLOMEO?

R. È forse la strage cosi della di S. Bartolomeo che vi impedisce di ben vivere*? E temete voi, se divenite buon cristiano, di venire spinto a massacrare i vostri compagni quand’essi non servano a Dio? – La strage del dì di san Bartolomeo è stata uno di quegli eccessi deplorevoli, che l’irritazione delle guerre civili, l’astuzia della politica, il furore di qualche fanatico, la crudeltà dei costumi di quel tempo possono solo spiegare. – La religione è ben lungi dall’approvare tutto ciò che si fa in suo nome, e che si copre del suo sacro manto. Bisogna poi aggiungere, che i suoi nemici hanno stranamente snaturato questo delitto L’hanno rappresentalo come l’opera della religione, mentre non è che l’opera dell’invidia, del fanatismo biasimato dalla religione. – Essi l’hanno rappresentata falla dai preti, mentreché neppur uno vi prese parte. Anzi ve n’ebbero diversi, tra gli altri il vescovo di Lisieux, che salvarono tutti gli Ugonotti, che poterono, e che intercedettero per essi presso il re Carlo IX, ecc. Se v’ha fatto al presente accertato, e fuori di contestazione, si é, che la strage di s. Bartolomeo è soprattutto un colpo di stato politico, che la religione ne fu il pretesto, anziché la cagione, e che l’astuta Caterina de Medici, madre di Carlo IX mirò piuttosto a liberarsi da un partito che ogni giorno più incagliava e molestava il suo governo, anziché a procurare la gloria di Dio. – Piacque ad un poeta della scuola Volteriana di rappresentare il cardinale de Lorena « nell’atto di benedire i pugnali dei cattolici.» Sgraziatamente questo cardinale si trovava a Roma in quel tempo per l’elezione di Papa Gregorio XIII, successore di s. Pio V, che era morto in quel tempo. Ma questi Signori non guardano tanto pel sottile: « Mentite, mentite sempre, osava scrivere Voltaire ai suoi amici, qualche cosa vi resterà[Lettera al Marchese d’Argens] » – Da tre secoli l’odio dei protestanti e poscia dei Volteriani contro la Chiesa, ha talmente alterata la storia, che riesce assai difficile di scoprirvi la verità. Si accomodano i fatti, si aggiunge, si toglie e se occorre eziandio s’inventa. S’imputano alla Chiesa delitti che detesta. Si fanno pesare sulla religione accuse odiose. Diffidatevi in generale dei fatti storici, in cui la religione rappresenta una parte ridicola, o barbara, od ignobile. Può darsi, che siano veri: e allora bisogna dare tutto il biasimo all’uomo debole, o vizioso, che ha dimenticato il suo carattere di prete, o di vescovo, od anche di Papa, e che dovendo fare il bene, ha fatto il male; ma può darsi altresì, (ed accade il più delle volte) che questi fatti siano, se non compiutamente inventati, almeno talmente trasformati ed esagerati, che si può con giustizia tacciarli di menzogna. – È cosa assai comoda l’assalire la Chiesa a questo modo, ma è ugualmente legittima, leale, sincera?

XXIII.

NON VI HA INFERNO, NESSUNO NE È MAI RITORNATO

R. No, nessuno ne è mai ritornato, e se v’entrate voi stesso, non ne ritornerete più che gli altri. È per questo che io vi dico: Non vi cadete! Non vi cadete! e per non cadervi, non prendetene la strada! Se si ritornasse, anche una sol volta, io vi direi: « Andatevi, e vedrete se vi ha inferno. » Ma poiché non si può fare questa esperienza, è da insensato l’esporsi ad un male senza rimedio, come senza termine, e senza misura. – Dite, che non vi ha inferno? Ne siete voi sicuro? Vi sfido d’affermarlo! Voi avreste una convinzione che niuno ebbe avanti voi, anche l’empio il più indurato: Rousseau rispondeva a questa domanda: Avvi un inferno? « Io non ne so niente : » e Voltaire ad uno de’ suoi amici il quale aveva creduto scoprire la prova della non esistenza dell’inferno scriveva : « Voi siete ben felice! io son ben lungi dall’esserlo. » – Ma ecco che al vostro forse oppongo una terribile afférmazione. Gesù Cristo il figlio di Dio fatto uomo, dice che avvi un inferno, il cui fuoco non si smorza. Queste sono le sue proprie parole che ripete per ben tre volte di seguito. [Si vede nostro Signore Gesù Cristo parlare quindici volte nel suo Vangelo del fuoco dell’inferno. Vedi, tra gli altri i sette od otto ultimi versetti del IX capo di s. Marco, in cui dice che conviene perdere e soffrire tutto, piuttosto che andare all’Inferno, in un fuoco inestinguibile, dove il verme non muore, e il fuoco non si smorza. Imperocché, soggiungi Egli, ognuno sarà salato col fuoco: » cioè ne sarà allo stesso tempo, penetrato, divorato e conservato, come il sale conserva le vivande perfettamente penetrando in esse. Vedi ancora in s. Matteo il fine del cap. XXVI « Via da me, maledetti, al fuoco eterno che fa preparato pel diavolo e per i suoi angeli… E andranno questi all’eterno supplizio, i giusti poi alla vita eterna. » – E in s, Gionanniy capo XVI « Quei, che non sì terranno in me, gettati via seccheranno a guisa di tralci, e li raccoglieranno, e li butteran sul fuoco, e bruciano. » ] – Quale è d’uopo che io creda di preferenza: un uomo che giammai studiò la religione, che attacca ciò che ignora, che non può avere che dubbi e non certezza su questo punto: — o invece colui che ha detto: « Io sono la verità: Il cielo e la terra passeranno, ma la mia parola non passerà giammai ?» – Prendetevi guardia: si è Gesù, il buon Gesù, Gesù sì misericordioso, e sì dolce che perdona tutto ai poveri peccatori pentiti: Gesù che accoglie senza una parola di rimprovero e la colpevole Maddalena, e la donna adultera, e il pubblicano Zaccheo, ed il ladro crocifisso in suo lato; si è Gesù che vi dichiara che avvi un inferno eterno di fuoco, e che lo ripete quindici volto espressamente nel suo Vangelo! Avreste voi la pretensione di saper meglio di Gesù Cristo, che cosa sia la misericordia, e la bontà? In questa materia, notate, più che in ogni altra è il cuore del malvagio che parla, e non la sua ragione. È la passione colpevole, che teme la giustizia di Dio: e che per soffocare la coscienza grida : « Non vi ha giustizia di Dio! Non vi ha inferno! » – Ma che importano alla realtà questi gridi e queste passioni? Il cieco, che nega la luce, impedisce forse alla luce di splendere! Che l’empio Io neghi o lo riconosca, esiste un inferno vendicatore del vizio, e quest’inferno è eterno! – È il grido dell’intera umanità! La certezza dell’inferno è talmente impressa nell’umana coscienza, che si ritrova infatti questo dogma presso tutti i popoli antichi, e moderni, presso i selvaggi idolatri, come presso i cristiani civilizzati. È talmente radicato nel Cristianesimo, che di tutte l’eresie, che hanno assalito i dogmi cattolici, neppur una pensò a negarlo. La verità sola dell’inferno restò salda, intatta, in mezzo a tante rovine; il protestantismo la presenta ancor più dura di quello che faccia la Chiesa. – I più grandi filosofi, i più grandi ingegni hanno ammesso l’inferno non solamente presso i cristiani, che senza dirlo si capisce, ma ancora presso i pagani: Virgilio, Ovidio, Orazio, Platone, Socrate, e perfino l’empio Celso stesso, questo Voltaire del secolo terzo. Chi oserebbe mostrarsi più ritroso di questi? – D’altronde la dottrina delle pene eterne trova nell’insegnamento della Chiesa un perfetto compenso nella dottrina della ricompensa eterna: l’una ci manifesta la sovrana, ed infinita giustizia di Dio: l’altra la sua sovrana, e infinita bontà. Ma in Dio non è tutto adorabile, la sua giustizia, come tutti gli altri suoi attributi? Lo ripeto, si nega perché si teme. – Io potrei qui aggiungere molte altre riflessioni sull’utilità, la necessità pure del dogma dell’eternità delle pene dell’inferno. Potrei far notare, che si è quest’eternità, che lo rende così utile, e necessario; come si è essa, ed essa sola, che spiace al malvagio, è pure essa sola che lo trattiene. L’uomo conosce d’essere eterno; gli bisognano perciò speranze e timori, che rispondano all’altezza del suo essere; tutto ciò che è inferiore scompare alla sua vista. – Se sì potesse conoscere tutti i delitti che il timore dell’eternità dell’inferno ha impediti, si resterebbe colpiti dalla necessità di questa sanzione; e come Dio concede all’uomo tutto ciò che gli è necessario, dalla necessità dell’eternità delle pene si conchiuderebbe alla loro realtà. Potrei mostrare altresì, che nell’inferno non avvi pentimento possibile, e quindi neppur possibile perdono; che non ci pare l’inferno così incomprensibile se non perché non ci facciamo un’idea sufficiente della grandezza del peccato di cui è il castigo, e della facilità nostra per evitarlo. Ma mi tengo alle due grandi autorità che vi ho portate in riguardo al vostro dubbio: l’autorità di Gesù Cristo e quella del genere umano. – Crediamo dunque di tutto cuore i misteri del Cristianesimo. Alla nostra fede corrispondano le azioni nostre, amiamo Dio, serviamolo, imitiamo Gesù Cristo, siamo buoni cristiani, e non avremo più a temere l’inferno.

XXIV.

DIO È TROPPO BUONO PER DANNARMI

R. Voi, voi stesso vi dannate; il vostro peccato vi conduce all’inferno. Perché dunque Dio permette il peccato? Perché avendovi dato il più grande di tutti i doni, quello della intelligenza, che vi rende simili a Lui, e avendovi preparata un’eterna felicità, punto non conveniva che vi trattasse come il bruto che non ha intelligenza e che non è fatto che per la terra. – Non conveniva che voi foste sforzato di ricevere i doni di Dio; bisognava che impiegaste la vostra intelligenza ad accettare liberamente, ed acquistare voi stesso il tesoro di una eternità beata. Ecco perché Dio ci donò coll’intelligenza, la libertà morale, cioè la facoltà di scegliere a nostro piacere il bene o il male, di seguire o non seguire la voce del nostro buon padre che ci chiama a sé. Questa libertà è la più grande impronta d’onore e di amore che potessimo ricevere da Dio. Se noi ne abusiamo, la colpa è tutta nostra, non di Lui. – Se io vi do un’arma por difendere la vostra vita, non avvi in ciò un segno d’amore per parte mia? E se, contro la mia volontà, malgrado gli avvertimenti e le lezioni che io vi ho date per ben servirvene, voi rivoltate quest’arma contro voi stesso, sarò causa della vostra ferita? Non sarà a voi solo che si dovrà imputare? – Cosi fa con noi Iddio. Ci dà la libertà per fare il bene o il male; ma niente trascura per farci scegliere il bene. Istruzioni, avvertimenti, teneri inviti, minacce terribili, niente risparmia. Ci colma di sue grazie, ci circonda dì soccorsi; ma non ci sforza: ciò sarebbe distruggere la sua opera. Rispetta in noi i doni che vi ha posti. È dunque il riprovato che si perde, è egli stesso che si danna: Dio non fa che dare a ciascuno ciò che liberamente ha scelto, la vita o la morte: il paradiso frutto della virtù; o l’inferno frutto del peccato. – Dire che: “Dio è troppo buono per dannarci” è ragionare come un uomo che un giorno entrò nell’uffizio delle diligenze a Parigi, dichiarando che voleva andare a Lilla (nel nord della Francia). Gli viene indicata perciò la vettura di Lilla. Ne vede un’altra fatta quasi allo stesso modo, ma più comoda, e vi monta. Era quella di Tolosa (città del mezzogiorno, precisamente opposta a Lilla). Il direttore dell’uffizio, il quale lo teneva d’occhio, s’accorge del suo sbaglio, corre ad avvertirlo: “Voi vi sbagliale, io credo, gli dice. Non è a Lilla, che voi volete andare?”

— Senza dubbio.

— Ebbene, Signore, voi non siete nella vettura di Lilla, questa vi condurrà a Tolosa.

— Veramente? Ma non arriverò io egualmente a Lilla?

— Come a Lilla? Voi arriverete a Tolosa se prendete la via di Tolosa.

— Orsù, disse il viaggiatore, andiamo, io non lo credo. Questa vettura somiglia molto all’altra, ed è assai più soffice; d’altronde l’amministrazione è troppo onesta per farmi andare colà dove non voglio, Rimango dunque in questa vettura che mi piace assai, sono in buonissima compagnia, lasciatemi in pace, vedrete, che domani a sera sarò a Lilla. –

Tra questi discorsi scocca l’ora della partenza. La vettura parte, e il viaggiatore il giorno dopo arriva … a Tolosa. Ciò non poteva mancare. – Lo stesso si è del viaggio di questa vita: vi sono due vie, quella della virtù, e quella del peccato. Il secondo è talora più dolce, più seducente del primo, specialmente sul principio: ma l’una conduce all’inferno, dove la dolcezza si cambia in amaro, l’altra al paradiso dove la fatica si cambia in un riposo ineffabile. – Per andare al paradiso, bisogna prendere la via del paradiso. Se voi prendete quella dell’inferno, siete cosi sicuro d’arrivare all’inferno, come quel ridicolo viaggiatore era sicuro d’arrivare a Tolosa. Il prete cattolico è la guida caritatevole, che cerca di farvi conoscere il vostro errore. Quanti non l’ascoltano, come il viaggiatore non ascoltò l’impiegato delle diligenze, e quanti si dannano per non averlo ascoltato!