J.-J. GAUME: La profanazione della DOMENICA [lett. XII]

LETTERA XII.

RIMEDIO AL MALE.

20 giugno

I.

Signore e caro amico,

Da bel principio della nostra corrispondenza io vi diceva, che l’Europa è ammalata, gravemente ammalala, e ve lo ripeto, finendo, con una convinzione più viva ancora e più profonda. Io diceva, che se vogliamo salvarci da noi soli, non vi riusciremo, essendo necessario che Iddio venga in soccorso della società con uno di que’ prodigj straordinarj che può tutto operare. Ma, acciocché egli l’operi, è necessario che noi lo vogliamo, o piuttosto, è necessario, che noi vogliamo profittarne. – Voi conoscete la profonda sentenza d’un padre della Chiesa: « Iddio che di per sé solo ci creò, non ci salverà senza del nostro concorso ». Ciò è vero tanto nell’ordine della natura, quanto in quello della grazia: 1’uomo non vive malgrado lui; bisogna che consenta égli ad osservare le leggi della sua vita. Questo è vero delle nazioni, come de’ particolari. Ora, l’unico mezzo per la società di protrarre l’esistenza sua, e di guarirsi, è di ritornare a Dio, sottomettendosi di nuovo alle condizioni necessarie della sua esistenza e della sua sanità. Il primo atto sociale d’un somigliante ritorno deve esser la santificazione del giorno, che il supremo Padrone si è riserbato, perché l’adempimento di questo dovere conduce alla pratica di lutti gli altri, come la violazione trascina la rovina di tutta intera la religione. In grazia delle considerazioni, che io vi ho presentato, questa doppia verità pervenne, come spero, per ogni uomo di buona fede, all’ evidenza d’un assioma.

II

Come mai renderla pratica? Tale è presentemente la questione. Essa può essere sciolta in due maniere: spontaneamente, o legalmente. La prima sarebbe la più onorevole e la migliore; la seconda è più immediatamente applicabile, e d’un effetto più generale: diciamo qualche parola dell’una e dell’altra. Il primo mezzo di far cessare la profanazione della domenica è l’accordo generale di tutti i cittadini. Nell’applicazione, quest’accordo si formula per compromessi, con o senza emenda, passati infra le parti interessate. In conseguenza, i negozianti, gli appaltatori, i capi de laboratori e gl’industriali, s’obbligano, gli uni a non più vendere, gli altri a non più far lavorare nelle domeniche e feste comandate. – Per rendere questo compromesso di più facile e sicura esecuzione, ciascun corpo dello Stato si obbliga in particolare, e per una convenzione speciale, a rispettar la legge sacra del riposo. Allora, tutte le ragioni d’interesse che si oppongono alla celebrazione della domenica, scompaiono pel corpo di Stato segnatario del compromesso, qualunque sia d’altronde la condotta delle altre professioni. – Per esempio, se in una città o località qualunque, i sellai, i gioiellieri, i carpentieri, continuano a profanare la domenica: qual pregiudizio può avvenirle al muratore, al mercatante, al calzolaio, al sarto, de’ quali tutti i confratelli rifiutano il lavoro o la vendita? Sarà pur necessario che in altro giorno rivenga la pratica. Che si stringano in una città somiglianti compromessi infra tutti i corpi di Stato, e si perverrà dirittamente al riposo ebdomadario. Per aiutar siffatte transazioni i cattolici dovrebbero farne un’altra. Dovrebbero cioè accordarsi tra se stessi di favorire i mercatanti e gli operai, religiosi osservatori della domenica. Per ciò è sufficiente indirizzare ai profanatori un ragionamento affatto semplice, che non può mancare di colpirli. La sospensione della vendita o dell’operare ne’giorni di domenica e di festa vi cagionerebbe, come dite voi, una perdita considerabile, alla quale è impossibile sottomettervi. Noi vogliamo crederlo; ma in questo caso non disapproverete che noi cerchiamo di indennizzare coloro fra i vostri confratelli, i quali consentono ad esporvisi. Così, non vi stupirete se d’ora innanzi daremo loro la nostra pratica e loro procureremo quella dei nostri amici. – A questo consiglio io bramerei aggiungere una questione ed interrogare i nostri buoni cattolici, se parecchi non avrebbero cèrti rimproveri a farsi intorno alla santificazione della domenica? Si dice con verità che se non vi si trovassero compratori, non vi sarebbero venditori. Ora, dannosi per trista sorte molti compratori nella domenica: sono dessi tutti senza religione? La vostra patria, e la mia, signor Rappresentante, mi sono particolarmente conosciute. Pur troppo noi abbiamo nel vostro paese osservato certi padroni, buoni cattolici, che mandano i loro domestici a fare delle incette nelle domeniche, e si dimenticano di stipulare nel loro contratti, coi loro intraprendi tori che non si lavorerà né nella domenica, né nelle feste : abbiamo viste dame, ugualmente buone cattoliche, correre fra gli uffizj, e frugare i magazzini delle gioie e delle novità, per provvedersi di oggetti che, certo, non sono di prima necessità; far visite all’ora stessa che si celebrano alla sera i divini uffizj, senza timore di mancarvi o di impedire gli altri d’assistervi. – Nel mio paese nessun cattolico vuole per nulla mutare le ore dei suoi pasti, benché si espongano soventemente i domestici a sacrificare il servizio di Dio a quello dei padroni; si pressano moltissime volte i padroni ed i lavoranti per ottenere nella domenica il lavoro. Si tollera che lo portino in questo giorno; si borbotta se non lo compiono, e si minaccia, in caso di recidiva, di rivolgersi ad altri. Chi sa se in altre regioni, questo dettaglio non potrebbe aggiungersi utilmente all’esame di coscienza de’ virtuosi cattolici?

III.

Che che ne sia, il venire per una convenzione spontanea alla soppressione del lavoro sarebbe, lo replico, il mezzo più onorevole al cospetto degli uomini, ed il più vantaggioso dinanzi a Dio; ma convien pur dirlo, che se queste convenzioni sono difficili a formarsi, più difficili ancora sono a mantenersi. Non senza grave stento possono indursi tutti i membri di una stessa professione a far tale convenzione ; e quand’anche sia fatta, quanti pretesti non si adducono or da Tizio, or da Sempronio per dichiararsene sciolti, e liberi di fare quanto loro torna più a conto? – Per ultimo, non sono quelle applicabili per tutto. In ogni località non si trovano corporazioni di mestieri; e quando ve ne fosse, gli abitanti della campagna e gli agricoltori, gl’interessi de’quali non sono indivisi come quelli degli operai, rimangono esclusi forzatamente da queste salutari associazioni.

IV.

Nonostante tutte le difficoltà che presenta questo primo mezzo di giungere all’osservanza della domenica, mi parrebbe possibile se noi avessimo seria volontà di ridivenire cristiani. Poiché tali peranco non sono le nostre disposizioni, il mezzo legale mi sembra il più sicuro, e l’unico immediatamente applicabile. Di che s’agisce egli mai, in effetto? Trattasi di formare una legge che vieti di profanare la domenica, cioè d’oltraggiare la religione della maggiorità, e di violare la libertà de’cattolici; o piuttosto s’agisce semplicissimamente di far eseguire una legge di già esistente, e che conserva tutto il suo vigore, imperocché essa giammai fu annullata. Non è d’ uopo che io ve la nomini, questa è la legge del 18 novembre 1814; confermata parecchie volte dopo il 1830 pei decreti della corte di cassazione (I). Tal è l’atto veramente politico, perché cristiano, che io v’incarico, signore e caro amico, d’ottenere dall’Assemblea legislativa. Ordinandolo, ella avrà grandemente meritato della Francia, dell’Europa e della società tutta intera. Ora, ella lo può, ed ella lo deve. – Ella lo può. L’Assemblea è sovrana. L’atto che noi sollecitiamo non è soltanto possibile, ma assai facile. A meno d’ammettere per la società una condanna a morte senza appello e senza sospensione, tutto ciò ch’è necessario alla sua esistenza è possibile. Ora, io credo avere stabilito l’indispensabile necessità della santificazione della domenica, qualunque sia il punto di vista sociale, sotto il quale si consideri la questione. – Dì più, quest’atto è facile, più facile al giorno d’oggi che giammai. D’una parte, l’attività commerciale non è la stessa che innanzi la rivoluzione di febbraio; havvi un rallentamento generale negli affari, e sei giorni per settimana bastano a spedirli. La mancanza del lavoro si fa sentire eziandio sovra un gran numero di punti; maggiore ragione per facilitare l’accettazione della legge. D altra parte, i grandi avvenimenti che scuotono l’Europa, non furono affatto disutili per l’istruzione de’popoli. Un vago bisogno di riattaccarsi alla religione si fece sentire, e la santificazione della domenica è una delle basi della religione; novella ragione che faciliterà l’accettazione della legge. – Simile bisogno della religione non è rimasto nello stato d’un sentimento vago ed indefinito, ma penetrò pel desiderio formale e manifestato a quattro angoli della Francia, di vedere la legge sacra del riposo settimanale rimessa prontamente e dappertutto in vigore. Io non starò rapportando le petizioni sì fortemente motivate, che furono indirizzate al governo dalle nostre piazze di commercio le più importanti, come Rouen, Bordeaux, Toulouse, Marseille, Lyon, ecc. ecc. potendole voi leggere negli archivi della Camera. Una voce più sonora ancora si fece da noi intendere; questa è la voce dell’agricoltura, delle manifatturee del commercio della Francia intera. I delegati loro, riuniti in consiglio generale a Parigi nel mese ultimo, si espressero per l’organo del signor Carlo Dupin, in termini sì formali, che voi mi permetterete di riferirli. – « Considerati sotto il punto di vista il più stretto ed il più volgare, la regolarità e l’uniformità dei giorni consacrati al riposo son questi un benefìzio pel lavoro stesso………. » In verità un riposo periodico, né troppo lontano, né troppo vicino, è necessario al mortale per donare alla sua forza la più grande energia. Questo riposo serve a compiere la riparazione assai di soperchio imperfetta, delle perdite accumulate per la continuazione de’ giorni di lavoro. » Per noi, signori, ragioni d’ordine più elevato c’impongono un dovere, non solamente industriale e manifatturiere, ma ancora politico, morale e religioso, dei giorni di riposo stabiliti ad intervalli regolari. A questi giorni è riserbato l’adempimento delle opere dellanima: I’ omaggio in comune reso dal popolo al Creatore dell’universo; la festa interiore della famiglia, in cui la vacanza del lavoro cede il luogo, e i1 piacere della rivista, permettetemi quest’espressione, che il padre e la madre fanno insieme della figliuolanza e del focolare domestico. Infine, quando tutti i doveri sono compiuti, il più grato spettacolo che possa offrire un popolo civilizzato, non è egli forse quello di tutte queste famiglie lavoratrici, bellamente abbigliate mediante il frutto de’ loro sudori, e percorrenti con una decente gioia i luoghi pubblici adornati dalle nostre arti? ( Approvazione. ) » Ecco la celebrazione delle nostre feste, delle nostre domeniche, tale quale i popoli cristiani la comprendono e la praticano, tale quale la desiderano tutte le famiglie oneste e patriottiche. » Noi domandiamo che il lavoro sia formalmente proibito nelle domeniche e nelle feste stabilite. » Noi domandiamo, e ben ci vergogniamo d’avere a domandarlo, che sia interdetto al Governo d’inserire alcuna clausola ne’ suoi contratti, per permettere, durante i giorni feriali, l’esecuzione dei lavori pubblici, qualunque questi siano. » Noi domandiamo che i capi patentati de’ laboratoi, delle fabbriche e delle manifatture non possano far lavorare nella domenica; noi domandiamo che siano condannati all’emenda per ciascuna contravvenzione in proporzione del numero de’loro operai. » Attendendo la realizzazione di questi voti, parecchie città già diedero l’esempio d’una gloriosa iniziativa. A Bésancon, a Marseille, a Gex, ecc. ecc., i consigli municipali, e diversi corpi di Stato si sono impegnati spontaneamente a rispettare la domenica. Elbeuf si è distinta in questa saggia crociata contra il male che c’invade. Nel mese di gennaio di questo anno si concepì il progetto di far cessare il lavoro e la vendita nella domenica, Sovra duecentoventicinque negozianti domiciliati nella città, duecentoventi si sottoscrissero con premura. La prima domenica di febbraio, il compromesso venne effettuato. Questo ripiego arrecò una soddisfazione universale. Mastri ed operai, padroni ed impiegati si sono dati due mesi di congedo per anno senza perdere un obolo. Di più fecero una buona azione, la quale Iddio non ometterà di ricompensare anche temporalmente. Tanta è la loro coscienziosa fedeltà, che scrissero a’ proprj corrispondenti per istruirli del loro regolamento, onde l’avessero presente nelle loro relazioni commerciali. – Onore alla città di Elbeuf! Ciò che questa operò, perché non verrà imitato dalle altre?

VI.

Non solamente le città ed i particolari desiderano il riposo sacro della domenica, ma ancora il Governo stesso, che, non contento di volerlo, l’impone pur anco. Voi conoscete le circolari de1 ministri della marina, della guerra e de’lavori pubblici. – Ciascuno nel suo dipartimento vieta nei giorni di domenica e di festa le opere servili dipendenti dallo Stato, come gli esercizj militari o le riviste che toglierebbero a’ soldati la facilità d’assistere al divino uffizio. Eccovi la circolare del ministro de’ lavori pubblici indirizzata ai signori prefetti, ingegneri ed architetti, incaricati della direzione de’ pubblici lavori; – Parigi, il 20 marzo 1849.

Signore, « Il miglioramento della sorte degli operai è l’oggetto della costante preoccupazione del Governo della repubblica. Voi siete in posizione d’apprezzare gli sforzi dell’amministrazione per accrescere, dentro i limiti de’ vantaggi finanzieri, lo sviluppo de’ lavori pubblici e particolari. » Ma, al fianco del lavoro che fa vivere, io collocherei sempre il miglioramento della condizione morale, la soddisfazione delle bisogne dell’intelligenza, che elevano e fortificano presso tutti il sentimento della dignità personale, e la facilità lasciata all’operaio d’esercitare liberamente i doveri della religione e della famiglia. Il riposo della domenica è dunque necessario all’artigiano; bisogna che sia rispettato al duplice punto di vista della moralità e dell’igiene. L’esempio, a questo riguardo, deve essere dato dalle amministrazioni pubbliche, nei limiti che loro impongono le occorrenze legittime e la libertà, a cui il governo intende di non portare alcun pregiudizio. In conseguenza, io deliberai, signore, che per l’innanzi niuna opera servile si sarebbe fatta ne’ laboratori dipendenti dai lavori pubblici, nelle domeniche e nei giorni festivi, per gli operai impiegati alla giornata per conto del governo. Nel caso in cui circostanze eccezionali giustificassero una derogazione a codesta regola, voi dovete domandare le autorizzazioni necessarie assai per tempo, acciocché 1’autorità competente possa apprezzarne l’opportunità. – Io v’ invito, facendo conoscere il mio decreto intorno a questo agli agenti posti sotto i vostri ordini, a prender le misure necessarie per assicurarne l’esecuzione. Ricevete, signore, l’assicuranza della mia considerazione distintissima.

Il Ministro de lavori pubblici T. Làcrosse. »

VII.

Da ultimo ho Ietto io pure con indicibile contento il rapporto del vostro onorevole collega, signor Desferris, sul novello progetto, che sarà presto sottomesso all’approvazione dell’Assemblea. Chi dunque oserà combatterlo? Non altri da quelli in fuori, i quali giurarono il rovesciamento totale della religione e della società, cioè i nemici di Dio e del popolo. – D’ altronde, quali mezzi possono mai invocare? La neutralità obbligata dello Stato nelle cose di religione? Ma allo Stato non si domanda una leggo religiosa, ma soltanto una legge di polizia e di necessità sociale, toccando al legislatore il far cessare il lavoro, ed alla religione il santificare il riposo. Questa è la perentoria risposta che venne già in sulle prime data dal vostro onorevole relatore: « Nello stato della società, dic’egli, le relazioni create pei nostri bisogni non possono essere interrotte secondo il capriccio di ciascuno senza pregiudizio per tutti; cosi i giorni di riposo devono essi venire regolarmente fissati. Ora, una nazione gode del diritto di sciegliere, pe’ suoi giorni di riposo, le feste stabilite dalla religione del più gran numero, ed obbligare tutti i cittadini ad osservarli. » Del rimanente, allorquando la legge prescrive il riposo nelle feste instituite dalla religione cattolica, il cittadino, che non la professa, è tenuto d’osservar siffatti giorni di riposo, se non per ubbidire ad un precetto religioso, almeno per ubbidire ad una legge della polizia, obbligatoria per tutti i cittadini, qualunque sia la religione loro. – L’opposizione della pubblica opinione? Sì, l’opinione di alcuni uomini che hanno occhi per non vedere, o che hanno tutto 1’interesse all’immoralità, perché sanno benissimo che un popolo immorale è sempre mai un popolo facile a tutto attentare per metterlo a profitto dell’anarchia. – Quanto all’ opinione degli uomini onesti, e seriamente preoccupati del pericolo della nostra situazione, i fatti e i passi citati patentemente provano, ch’essa accoglierà con riconoscenza codesta misura di salute pubblica. – Come vedete, la questione è matura, l’attenzione è svegliata, l’opinione v’è favorevole: l’Assemblea dunque s’inspiri del precetto divino, e traduca in precisi articoli l’interdizione di tutte le opere servili, negozio o lavoro, pubblicamente eseguito. Una semilegge, tenetevelo bene in mente, appagherà niuno, né rimedierà per nulla al male, giacché non ne farà essa cessare la profanazione. Che avete voi a temere formando una buona legge, una legge compiuta, una legge seriamente efficace? Nulla: salvo che, non facendola, abbiate a paventare l’anarchia. Ora, non fatevi illusioni; in difetto di codesto pretesto, essa n’avrà mille altri per continuare la sua lotta eterna. Almeno voi vi avrete assicurato un pegno di vittoria; imperocché codesta legge, che metterà compimento a voti di tutte le popolazioni cattoliche, vi stringerà attorno tanti difensori, quanti appoggi essa conta. L’Assemblea può dunque formulare una buona legge, una legge efficace, una legge definitiva, e costei la sancirà, perché lo deve.

VIII.

Ella lo deve alla religione, ultima àncora di salvezza che a noi rimanga nel mezzo della grande procella che minaccia d’inghiottire l’Europa intera. Ella Io deve alla società, che intristisce sotto de’ nostri occhi, corrosa tutta viva da due bruchi dai denti d’acciaio: l’egoismo e il disprezzo d’ogni autorità. Ella lo deve alla famiglia, unico elemento d’una ricostituzione novella, e che perdé tutti i suoi caratteri di santità, di concordia e di moralità. Ella lo deve alla libertà, minata nel suo principio, e violata nella sua applicazione la più alta, sotto l’impero d’una costituzione che nonostante la dichiara solennemente inviolabile. – Ella lo deve al benessere del popolo, che in ciascuna settimana fa colare colle elemosine del ricco i sudori e ’l sangue di lui ne’ golfi sfondati che la dissolutezza e l’anarchia aprono alle sregolate inclinazioni del medesimo. – Ella lo deve alla dignità umana, della quale l’abitudine costante de1 calcoli e dei lavori materiali tende a scancellare sino gli ultimi vestigj. Ella lo deve alla sanità del popolo, logorato ugualmente dal lavorare senza riposo, come dal riposo fra le orgie. – Ella lo deve all’onore nazionale. – L’ora non è forse suonata per la Francia di frenare codesta dissolutezza d’empietà e di materialismo, nella quale ciascuna settimana, da sessant’anni, essa vi s’immerge senza onta sotto gli occhi delle nazioni? Non è egli tempo di mostrare che il più logico de’ popoli ha cessato d’essere inconseguente con se stesso, e che vuole esser cattolico a Parigi, come a Roma? Che sotto nessun rapporto, la figliuola primogenita della Chiesa, la liberatrice del magnanimo Pio IX, non è per nessun riguardo al disotto né degli Stati Uniti d’America, né della protestante Inghilterra? – Per ultimo, l’Assemblea lo deve a se stessa ed alla Provvidenza. A se stessa: sopra cento e cinquantamila leggi, più o meno degne di siffatto nome, per non dire più o meno rivoluzionarie, che si fabbricarono nella Francia da un mezzo secolo, non è forse una gloria dell’Assemblea procreata dal suffragio universale di fargliene donare almeno una che sia veramente sociale, cioè francamente cristiana? Alla Provvidenza: che non operò essa per noi da duecento anni? Quante volte la sua materna mano non ci trattenne proprio miracolosamente in sull’orlo del precipizio, in cui noi eravamo in sul punto di capitombolare? Evidentemente essa non domanda che salvarci; ma bisogna che noi lo vogliamo. – Ebbene, Signore e caro amico , una buona legge intorno la santificazione della domenica, una legge che sarà un atto di buona volontà sociale e di ritorno all’ordine eterno, questa legge asseconderà meravigliosamente i disegni misericordiosi della Provvidenza, poiché essa avrà due vantaggi capitali. Essa rimedierà veramente al male, facendo rispettare la legge del Supremo Legislatore, di cui ci attirerà le benedizioni, e contribuirà più immediatamente d’ ogni altra a guarire questo popolo, dal quale lo spirito di Dio si ritirò, perché è divenuto carne. – Ora, questo è il mio primo e mio ultimo detto: Niente è più proprio come la profanazione della domenica a materializzare un popolo. Un popolo materializzato è un popolo morto. – Gradite, ecc.                         FINE.

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Si conclude così l’opuscolo di mons. Gaume che, anche se con elementi riferiti ai suoi tempi, ma oggi ancora maledettamente attuali, ci ha fatto comprendere l’importanza decisiva del rispetto del riposo nel giorno di Domenica. Forse finalmente possiamo comprendere come mai sia arrivata e peggiori sempre più la decadenza economica dei Paesi una volta cristiani, ricchi e prosperosi, rosi poi dal verme giudaico-protestante della crescita economica senza fine e ad ogni costo, che invece di benefici sta portando povertà, miseria, degradazione materiale e spirituale. Svegliamoci dunque dal torpore in cui siamo un po’ tutti caduti, e rileggendo questa piccola ma importantissima opera, possiamo trovare una soluzione valida a problemi anche materiali ed economici, oltre che spirituali, cominciando a seguire una pratica elementare e facilmente applicabile da tutti: il rispetto del giorno del Signore, e la non profanazione della Domenica, chiave di volta per una sana ricostruzione societaria, familiare e personale!

2 febbraio: PURIFICAZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA

2 febbraio: PURIFICAZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA

giorno della Candelora

 Rango: Doppio della Classe II.

Il vecchio portava il bambino, e il bambino ha rallegrato il vecchio.  La Vergine lo ha portato, e dopo il parto ha continuato ad essere Vergine, Lei Lo adorava, ne era la Madre.

Luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele.

2 FEBBRAIO

PURIFICAZIONE DELLA SS. VERGINE

[P. Gueranger: l’Anno Liturgico]

 Sono trascorsi infine i quaranta giorni della Purificazione di Maria, ed è giunto il momento in cui essa deve salire al Tempio del Signore per presentarvi Gesù. Prima di seguire il Figlio e la Madre in questo viaggio a Gerusalemme, fermiamoci ancora un istante a Betlemme, e penetriamo con amore e docilità i misteri che stanno per compiersi.

La legge di Mosè.

La legge del Signore ordinava alle donne d’Israele, dopo il parto, di rimanere per quaranta giorni senza accostarsi al tabernacolo. Spirato tale termine, dovevano, per essere purificate, offrire un sacrificio, che consisteva in un agnello, destinato ad essere consumato in olocausto, e vi si doveva aggiungere una tortora o una colomba, offerte per il peccato. Se poi la madre era troppo povera per offrire l’Agnello, il Signore aveva permesso di sostituirlo con un’altra tortora o con un’altra colomba. Un altro comandamento divino dichiarava tutti i primogeniti proprietà del Signore, e prescriveva il modo di riscattarli. Il prezzo del riscatto era di cinque sicli che, al peso del santuario, rappresentavano ognuno venti oboli.

Obbedienza di Gesù e di Maria.

Maria, figlia d’Israele, aveva partorito; Gesù era il suo primogenito. Il rispetto dovuto a tale parto e a tale primogenito, permetteva il compimento della legge? Se Maria considerava i motivi che avevano portato il Signore ad obbligare tutte le madri alla purificazione, vedeva chiaramente che questa legge non era stata fatta per Lei. Quale relazione poteva avere con le spose degli uomini Colei che era il purissimo santuario dello Spirito Santo, Vergine nel concepimento del Figlio, Vergine nel suo ineffabile parto, sempre casta, ma ancora più casta dopo aver portato nel suo seno e dato alla luce il Dio di ogni santità? Se considerava la qualità del suo Figliuolo, la maestà del Creatore e del sommo Padrone di tutte le cose il quale si era degnato di nascere in Lei, come avrebbe potuto pensare che questo Figlio era sottomesso all’umiliazione del riscatto, come uno schiavo che non appartiene a se stesso ? – Tuttavia, lo Spirito che abitava in Maria le rivela che deve compiere il duplice precetto. Malgrado la sua dignità di Madre di Dio, è necessario che si unisca alla folla delle madri degli uomini che si recano al tempio, per riacquistarvi, mediante un sacrificio, la purezza che hanno perduta. Inoltre, il Figlio di Dio e Figlio dell’uomo deve essere considerato in tutto come un servo. Bisogna che sia riscattato quindi come l’ultimo dei figli d’Israele. Maria adora profondamente questo supremo volere, e vi si sottomette con tutta la pienezza del cuore. – I consigli dell’Altissimo avevano stabilito che il Figlio di Dio sarebbe stato rivelato al suo popolo solo per gradi. Dopo trent’anni di vita nascosta a Nazareth dove – come dice l’evangelista – era ritenuto il figlio di Giuseppe, un grande Profeta doveva annunciarlo ai Giudei accorsi al Giordano per ricevervi il battesimo di penitenza. Presto le sue opere, i suoi miracoli avrebbero reso testimonianza di Lui. Dopo le ignominie della Passione, sarebbe risuscitato gloriosamente, confermando così la verità delle sue profezie, l’efficacia del suo Sacrificio e infine la sua divinità. Fino allora quasi tutti gli uomini avrebbero ignorato che la terra possedeva il suo Salvatore e il suo Dio. I pastori di Betlemme non avevano ricevuto l’ordine, come più tardi i pescatori di Genezareth, di andar a portare la Parola fino agli estremi confini del mondo? I Magi erano tornati nell’Oriente senza rivedere Gerusalemme commossa per un solo istante al loro arrivo. Quei prodigi, di così grande portata agli occhi della Chiesa dopo il compimento della missione del suo divino Re, non avevano trovato eco o memoria fedele se non nel cuore di qualche vero Israelita che aspettava la salvezza d’un Messia umile e povero. La nascita di Gesù a Betlemme doveva restare ignota alla maggior parte dei Giudei, e i Profeti avevano predetto che sarebbe stato chiamato Nazareno. Il piano divino aveva stabilito che Maria fosse la sposa di Giuseppe, per proteggere, agli occhi del popolo, la sua verginità; ma richiedeva pure che questa purissima Madre venisse come le altre donne d’Israele ad offrire il sacrificio di purificazione per la nascita del Figlio che doveva essere presentato al tempio come il Figlio di Maria, sposa di Giuseppe. Così la somma Sapienza si compiace di mostrare che i suoi pensieri non sono i nostri pensieri e di sovvertire i nostri deboli concetti, aspettando il giorno in cui lacererà i veli e si mostrerà nuda ai nostri occhi abbagliati. Il volere divino fu sempre caro a Maria, in questa circostanza come in tutte le altre. La Vergine non pensò di agire contro l’onore del suo Figliuolo né contro il merito della propria integrità venendo a cercare una purificazione esteriore della quale non aveva bisogno. Essa fu, al Tempio, la serva del Signore, come lo era stata nella casa di Nazareth alla visita dell’Angelo. Obbedì alla legge perché le apparenze la dichiaravano soggetta alla legge. Il suo Dio e Figliuolo si sottometteva al riscatto come l’ultimo degli uomini. – Aveva obbedito all’editto di Augusto per il censimento universale; doveva « essere obbediente fino alla morte, e alla morte di croce » : la Madre e il Figlio si umiliarono insieme. E l’orgoglio dell’uomo ricevette in quel giorno una delle più belle lezioni che mai gli siano state impartite.

Il viaggio.

Che mirabile viaggio quello di Maria e di Giuseppe che vanno da Betlemme a Gerusalemme! Il divino Bambino è fra le braccia della mamma, che Lo tiene stretto al cuore per tutta la strada. Il cielo, la terra e tutta la natura sono santificate dalla dolce presenza del loro Creatore. Gli uomini in mezzo a cui passa quella Madre carica del suo tenero frutto La considerano, gli uni con indifferenza, gli altri con curiosità; nessuno penetra il mistero che deve salvarli tutti. – Giuseppe è portatore del dono che la Madre deve presentare al sacerdote. La loro povertà non permette che acquistino un agnello; e d’altronde non è forse Gesù l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo ? La legge ha designato la tortora o la colomba per supplire l’offerta che una madre povera non avrebbe potuto presentare. – Giuseppe porta anche i cinque sicli, prezzo del riscatto del primogenito, poiché è veramente il Primogenito quel figlio unico di Maria che si è degnato di farci suoi fratelli e di renderci partecipi della natura divina adottando la nostra. – Finalmente la sacra famiglia è entrata in Gerusalemme. Il nome di questa città significa visione di pace, e il Salvatore viene con la sua presenza ad offrirle la pace. Consideriamo il magnifico progresso che vi è nei nomi delle tre città alle quali si collega la vita mortale del Redentore. Viene concepito a Nazareth, che significa il fiore, poiché Egli è – come dice Lui stesso nel cantico – il fiore dei campi e il giglio delle valli; e il suo divino odore ci riconsola. Nasce a Betlemme, la casa del pane, per essere il cibo delle anime nostre. Viene offerto in sacrificio sulla croce a Gerusalemme e col suo sangue ristabilisce la pace fra il cielo e la terra, la pace fra gli uomini e la pace nelle anime nostre. Oggi, come presto vedremo, egli ci darà un pegno di questa pace.

Il Tempio.

Mentre Maria, che porta il suo divino fardello, sale – Arca vivente – i gradini del Tempio, prestiamo attenzione, poiché si compie una delle più celebri profezie e si rivela uno dei principali caratteri del Messia. Concepito da una Vergine, nato in Betlemme come era stato predetto. Gesù, varcando la soglia del Tempio, acquista un nuovo titolo alla nostra adorazione. – Questo edificio non é più il famoso Tempio di Salomone che fu preda delle fiamme nei giorni della cattività di Giuda. È il secondo Tempio costruito al ritorno da Babilonia e il cui splendore non ha raggiunto la magnificenza dell’antico. Prima della fine del secolo sarà rovesciato per la seconda volta, e le parole del Signore hanno garantito che non ne rimarrà pietra su pietra. Ora, il Profeta Aggeo per consolare gli Ebrei tornati dall’esilio, i quali confessavano la loro impotenza ad innalzare al Signore una casa paragonabile a quella che aveva costruita Salomone, ha detto loro queste parole, che devono servire a fissare il tempo della venuta del Messia: « Fatti animo, o Zorobabele – dice il Signore – fatti animo, o Gesù, figlio di Josedec, sommo Sacerdote; fatti animo, o popolo di questa contrada, poiché ecco quanto dice il Signore: Ancora un po’ di tempo e scuoterò il cielo e la terra, e scuoterò tutte le genti; e verrà il desiderato di tutte le genti; e riempirò di gloria questa casa. La gloria di questa seconda casa sarà maggiore di quella della prima; e in questo luogo darò la pace – dice il Signore degli eserciti ». È giunta l’ora del compimento di questo oracolo. L’Emmanuele é uscito dal suo riposo di Betlemme, si é mostrato in piena luce, è venuto a prender possesso della sua casa terrena; e con la sua sola presenza in questo secondo Tempio, ne eleva d’un tratto la gloria al di sopra di quella di cui era circondato il tempio di Salomone. Lo visiterà ancora parecchie volte ma l’entrata ch’egli vi fa oggi sulle braccia della Madre, basta a compiere la profezia: d’ora in poi le ombre e le immagini che conteneva quel Tempio cominciano a svanire ai raggi del Sole della verità e della giustizia. Il sangue delle vittime tingerà ancora per qualche anno i corni dell’altare, ma in mezzo a tutte quelle vittime, ostie impotenti, s’avanza già il Bambino che porta nelle sue vene il sangue della Redenzione del mondo. Tra quella folla di sacrificatori, in mezzo alla moltitudine di figli d’Israele che si stringe nel Tempio, parecchi aspettano il Liberatore, e sanno che si avvicina l’ora della sua manifestazione ma nessuno di essi sa ancora che in quello stesso momento il Messia atteso è appena entrato nella casa di Dio. – Tuttavia il grande evento non doveva compiersi senza che l’Eterno operasse un nuovo miracolo. I pastori erano stati chiamati dall’Angelo, la stella aveva guidato i Magi dall’Oriente a Betlemme; ed ora lo Spirito Santo procura egli stesso al divino Bambino una testimonianza nuova e inattesa.

Il Santo Vegliardo.

Viveva a Gerusalemme un vecchio la cui vita volgeva al termine; ma quest’uomo ardente, chiamato Simeone, non aveva lasciato affievolire nel suo cuore l’attesa del Messia. Sentiva che ormai si erano compiuti i tempi; e come premio della sua speranza, lo Spirito Santo gli aveva fatto conoscere che i suoi occhi non si sarebbero chiusi prima di aver visto la Luce divina levarsi sul mondo. Nel momento in cui Maria e Giuseppe salivano i gradini del Tempio portando verso l’altare il Bambino della promessa, Simeone si sente spinto interiormente dalla forza dello Spirito divino, esce dalla propria casa e si dirige verso il Tempio. Sulla soglia della casa di Dio, i suoi occhi hanno subito riconosciuto la Vergine profetizzata da Isaia, e il suo cuore vola verso il Bambino che Ella tiene fra le braccia. – Maria, ammaestrata dallo stesso Spirito, lascia avvicinare il vecchio, e depone fra le sue braccia tremanti il caro oggetto del suo amore, la speranza della salvezza della terra. Beato Simeone, immagine del mondo antico invecchiato nell’attesa e presso a finire! Ha appena ricevuto il dolce frutto della vita, che la sua giovinezza si rinnova come quella dell’aquila, e si compie in lui la trasformazione che deve realizzarsi nell’umano genere. La sua bocca si apre, la sua voce risuona, ed egli rende testimonianza come i pastori nella contrada di Betlemme e come i Magi nell’Oriente. « O Dio – egli dice – i miei occhi hanno dunque visto il Salvatore che tu preparavi! Risplende finalmente quella luce che deve illuminare i Gentili e costituire la gloria del tuo popolo d’Israele ».

Anna la Profetessa.

Ed ecco sopraggiungere, attirata anch’essa dall’ispirazione dello Spirito Divino, la pia Anna, figlia di Fanuel. I due vegliardi, che rappresentano la società antica, uniscono le loro voci, e celebrano la venuta del Bambino che viene a rinnovare la faccia della terra, e la misericordia di Dio che dà finalmente la pace al mondo. È in questa pace tanto desiderata che Simeone spirerà la sua anima. Lascia dunque partire nella pace il tuo servo, secondo la tua parola, o Signore! – dice il vecchio; e presto l’anima sua, liberata dai legami del corpo, porterà agli eletti che riposano nel seno di Abramo la notizia della pace che appare sulla terra, e aprirà presto i cieli. Anna sopravvivrà ancora per qualche tempo a questa sublime scena; essa deve, come ci dice l’Evangelista, annunciare il compimento delle promesse ai Giudei in ispirito che aspettavano la Redenzione d’Israele. Un seme doveva essere affidato alla terra; i pastori, i Magi, Simeone, Anna l’hanno gettato; esso spunterà a suo tempo: e quando gli anni d’oscurità che il Messia deve passare in Nazareth saranno trascorsi, quando egli verrà per la messe, dirà ai suoi discepoli: Osservate come il frumento è presso alla maturazione nelle spighe: pregate dunque il padrone della messe che mandi operai per la messe. – Il beato vegliardo restituisce dunque alle braccia della purissima Maria il Figlio che essa offrirà al Signore. I volatili sono presentati al sacerdote che li sacrifica sull’altare, viene versato il prezzo del riscatto e si compie così la perfetta obbedienza; e dopo aver reso i suoi omaggi al Signore, Maria stringendosi al cuore il divino Emmanuele e accompagnata dal suo fedele sposo, discende i gradini del Tempio.

Liturgia.

Ecco il mistero del quarantesimo giorno, che chiude la serie dei giorni del Tempo di Natale con la festa della Purificazione della santissima Vergine. La Chiesa Greca e la Chiesa di Milano pongono la festa nel numero delle solennità di Nostro Signore; la Chiesa Romana l’annovera tra le feste della santa Vergine. Senza dubbio il Bambino Gesù viene offerto oggi nel Tempio e riscattato, ma è in occasione della Purificazione di Maria, di cui quell’offerta e quel riscatto sono come la conseguenza. I più antichi Martirologi e Calendari dell’Occidente presentano la festa sotto il nome che ancora oggi conserva, e la gloria del Figlio, lungi dall’essere oscurata dagli onori che la Chiesa rende alla Madre, ne riceve un nuovo aumento, poiché egli solo è il principio di tutte le grandezze che noi celebriamo in essa.

LA BENEDIZIONE DELLE CANDELE

Origine storica.

Dopo l’Ufficio di Terza, la Chiesa compie in questo giorno la solenne benedizione delle Candele, che è una delle tre principali benedizioni che hanno luogo nel corso dell’anno: le altre due sono quella delle Ceneri e quella delle Palme. L’intenzione della cerimonia è legata al giorno stesso della Purificazione della santa Vergine, di modo che se una delle domeniche di Settuagesima, di Sessagesima o di Quinquagesima cade il due febbraio, la festa è rimandata all’indomani, ma la benedizione delle Candele e la Processione che ne è il complemento restano fissate al due febbraio. – Onde raccogliere sotto uno stesso rito le tre grande Benedizioni di cui parliamo, la Chiesa ha prescritto, per quella delle Candele, l’uso dello stesso colore viola che adopera nella benedizione delle Ceneri e delle Palme, di modo che la funzione, che serve a indicare il giorno in cui si è compiuta la Purificazione di Maria, deve eseguirsi tutti gli anni il due febbraio, senza alcuna deroga al colore prescritto per le tre Domeniche di cui abbiamo parlato.

Intenzione della Chiesa.

L’origine storica è abbastanza difficile a stabilirsi in modo preciso. Secondo Baronio, Thomassin, Baillet ecc., tale benedizione sarebbe stata istituita, verso la fine del V secolo, dal Papa san Gelasio (492-496), per dare un senso cristiano ai resti dell’antica festa dei Lupercali, di cui il popolo di Roma aveva ancora conservato alcune usanze superstiziose. È almeno certo che san Gelasio abolì le ultime vestigia della festa dei Lupercali che veniva celebrata nel mese di febbraio. Innocenzo III, in uno dei suoi Sermoni sulla Purificazione, ci dice che l’attribuzione della cerimonia delle Candele al due febbraio è dovuta alla saggezza dei Pontefici romani, i quali avrebbero indirizzato al culto della santa Vergine i resti d’una usanza religiosa degli antichi Romani, che accendevano delle fiaccole in ricordo delle torce alla cui luce Cerere aveva, secondo la favola, percorso le cime dell’Etna, cercando la figlia Proserpina rapita da Plutone; ma non si trova alcuna festa in onore di Cerere nel mese di febbraio nel calendario degli antichi Romani. Ci sembra dunque più esatto adottare l’idea di D. Hugues Mènard, Rocca, Henschenius e Benedetto XIV, i quali ritengono che l’antica festa conosciuta in febbraio sotto il nome di Amhurbalia e nella quale i pagani percorrevano la città portando delle fiaccole, ha dato occasione ai Sommi Pontefici di sostituirvi un rito cristiano che essi hanno congiunto alla celebrazione della festa in cui Cristo, Luce del mondo, viene presentato al Tempio dalla Vergine madre. [Sembra difficile ammettere oggi questa opinione, poiché la festa dei Lupercali (15 febbraio) non esisteva più al tempo del Papa Gelasio, e la Candelora non appare in Roma se non verso la metà del VII secolo. Questa è una processione indipendente dalla Purificazione, anteriore ad essa, e una tradizione molto autorevole la ricollega a una cerimonia pagana: l’amburbale. Il Llber Pontificalis dice che la processione fu istituita, a Roma, dal Papa Sergio (687-707) e che si faceva dalla chiesa di Sant’Adriano a Santa Maria Maggiore, ma è certamente anteriore a questo Papa].

Il mistero.

Il mistero di questa cerimonia è stato sovente illustrato dai liturgisti dal VII secolo in poi. Secondo quanto afferma sant’Ivo di Chartres nel suo secondo Sermone sulla festa di oggi, la cera delle candele, formata dalle api con il succo dei fiori che l’antichità ha sempre considerate come un’immagine della Verginità, simboleggia la carne virginea del divino Bambino, il quale non ha intaccato nella sua concezione e nella sua nascita l’integrità di Maria. Nella fiamma della candela, il Vescovo ci invita a vedere il simbolo di Cristo. La benedizione delle candele appare a Roma in maniera certa solo nel XII secolo. Le antiche Ave gratia piena e Adorna, di provenienza bizantina, sono state introdotte a Roma nell’VIII secolo; il Nunc dimittis insieme con l’antifona Lumen fu aggiunto nel XII secolo e le orazioni sono del X e XI secolo. Ma la processione con le candele benedette esisteva già ad Alessandria nel V secolo, e anche prima a Gerusalemme. è venuto a illuminare le nostre tenebre. Sant’Anselmo, nelle sue Enarrazioni su san Luca, descrivendo lo stesso mistero, ci dice che nella Candela vi sono da considerare tre cose: la cera, lo stoppino e la fiamma. La cera – egli dice – opera dell’ape virginea, è la carne di Cristo; lo stoppino, che sta dentro, è l’anima; e la fiamma, che brilla nella parte superiore, è la divinità.

Le candele.

Un tempo i fedeli si davano premura di portare essi stessi le candele alla chiesa nel giorno della Purificazione perché fossero benedette insieme con quelle che i sacerdoti e i ministri portano nella Processione. Tale usanza è osservata ancora in molti luoghi. È desiderabile che i Pastori delle anime inculchino fortemente tale usanza, e la ristabiliscano o la mantengano dovunque ve n’è bisogno. Tanti sforzi fatti per distruggere o almeno per impoverire il culto esterno ha arrecato insensibilmente il più triste affievolirsi del sentimento religioso di cui la Chiesa possiede la sorgente nella Liturgia. È necessario inoltre che i fedeli sappiano che le candele benedette nel giorno della Candelora debbono servire non soltanto alla Processione, ma anche all’uso dei cristiani che, custodendole rispettosamente nelle proprie case, portandole con sé, tanto sulla terra che sulle acque, come dice la Chiesa, attirano speciali benedizioni dal cielo. Si devono accendere quelle candele al capezzale dei morenti, come ricordo dell’immortalità che Cristo ci ha meritata e come segno della protezione di Maria.

LA PROCESSIONE E LA MESSA

Piena di gaudio, rischiarata dalla moltitudine delle fiaccole e trasportata come Simeone dal moto dello Spirito Santo, la santa Chiesa si mette in cammino per andare incontro all’Emmanuele. È questo incontro che la Chiesa Greca, nella sua Liturgia, designa con il nome di “Ipapante” e della quale ha fatto l’attributo della festa di oggi. Lo scopo è di imitare la processione del Tempio di Gerusalemme, che san Bernardo così celebra nel suo primo Sermone sulla Festa della Purificazione di Maria: « Oggi la Vergine madre introduce il Signore del Tempio nel Tempio del Signore, e Giuseppe presenta al Signore non un figlio suo, ma il Figlio diletto del Signore, nel quale Egli ha posto le sue compiacenze. Il giusto riconosce Colui che aspettava; la vedova Anna lo esalta nelle sue lodi. Questi quattro personaggi hanno celebrato per la prima volta la Processione di oggi, che, in seguito, doveva essere solennizzata nella letizia di tutta la terra in ogni luogo e da tutte le genti. Non stupiamo che quella Processione sia stata piccola, poiché Colui che vi si riceveva si era fatto piccolo. Nessun peccatore vi apparve: tutti erano giusti, santi e perfetti ». Camminiamo nondimeno sulle loro orme. Andiamo incontro allo Sposo, come le Vergini prudenti, portando in mano lampade accese al fuoco della carità. Ricordiamo il consiglio che ci dà il Salvatore stesso: Siano i vostri lombi precinti come quelli dei viandanti; portate in mano fiaccole accese e siate simili a coloro che aspettano il loro Signore (Lc. XII, 35). Guidati dalla fede, illuminati dall’amore, noi Lo incontreremo, Lo riconosceremo, ed Egli si darà a noi. – Terminata la Processione, il Celebrante e i ministri depongono i paramenti viola, e indossano quelli bianchi per la Messa solenne della Purificazione della Vergine. Se ci si trovasse tuttavia in una delle tre Domeniche di Settuagesima, di Sessagesima o di Quinquagesima, la Messa della festa si dovrà rimandare all’indomani. – Lo Spirito divino ci ha guidati al Tempio come Simeone; vi contempliamo in questo istante la Vergine Madre che presenta all’altare il Figlio di Dio e suo. Noi ammiriamo questa fedeltà alla Legge nel Figlio e nella Madre, e sentiamo nell’intimo del cuore il desiderio di essere presentati a nostra volta al Signore che accetterà il nostro omaggio come ha ricevuto quello del suo Figliuolo. Affrettiamoci dunque a mettere i nostri sentimenti in sintonia con quelli dei Cuori di Gesù e di Maria. La salvezza del mondo ha fatto un passo in questo giorno; progredisca dunque anche l’opera della nostra santificazione. D’ora in poi il mistero del Dio Bambino non ci sarà più offerto dalla Chiesa come oggetto speciale della nostra religione; i soavi quaranta giorni di Natale volgono al termine; dobbiamo ora seguire l’Emmanuele nelle sue lotte contro i nostri nemici. Seguiamo i suoi passi; corriamo al suo seguito come Simeone, e camminiamo senza stancarci sulle orme di Colui che è la nostra Luce; amiamo questa Luce, e otteniamo con la nostra premurosa fedeltà che essa risplenda sempre su di noi. – O Emmanuele, in questo giorno in cui fai l’ingresso nel Tempio della tua Maestà, portato in braccio da Maria Madre tua, ricevi l’omaggio delle nostre adorazioni e della nostra riconoscenza. Onde sacrificarti per noi Tu vieni nel Tempio; come preludio del nostro riscatto ti degni di pagare il debito del primogenito e per abolire presto i sacrifici imperfetti vieni ad offrire un sacrificio legale. Compari oggi nella città che dovrà essere un giorno il termine della tua corsa e il luogo della tua immolazione. Non ti è bastato nascere per noi; il tuo amore ci riserba per l’avvenire una testimonianza più splendente. Tu, consolazione d’Israele e su cui gli Angeli amano tanto posare i loro sguardi, entri nel Tempio; e i cuori che ti attendevano si aprono e si elevano verso di te. Oh ! chi ci darà una parte dell’amore che provò il vegliardo allorché ti prese fra le braccia e ti strinse al cuore? Egli chiedeva solo di vederti, o divino Bambino, e poi di morire. Dopo averti visto per un solo istante, s’addormentava nella pace. Quale sarà dunque la beatitudine di possederti eternamente, se così brevi istanti sono bastati ad appagare l’attesa di tutta una vita! – Ma, o Salvatore delle anime nostre, se il vegliardo è pienamente felice per averti visto una sola volta, quali debbono essere i sentimenti di noi che siamo testimoni della consumazione del tuo sacrificio! – Verrà il giorno in cui, per usare le espressioni del tuo devoto servo san Bernardo, sarai offerto non più nel Tempio e sulle braccia di Simeone, ma fuori della città e sulle braccia della croce. Allora non si offrirà più per te un sangue estraneo, ma tu stesso offrirai il tuo sangue. – Oggi ha luogo il sacrificio del mattino: allora si offrirà il sacrificio della sera. Oggi sei nell’età dell’infanzia: allora avrai la pienezza della virilità, e avendoci amati dal principio, ci amerai sino alla fine. – Che cosa ti daremo noi in cambio, o divino Bambino? Tu porti già, in questa prima offerta per noi, tutto l’amore che consumerà la seconda. Possiamo far di meno che offrirci per sempre a te, fin da questo giorno ? Tu ti doni a noi nel tuo Sacramento, con una pienezza maggiore di quella che usasti riguardo a Simeone. Libera anche noi, o Emmanuele, spezza le nostre catene; donaci la Pace che oggi Tu arrechi; aprici, come al vegliardo, una nuova vita. Per imitare i tuoi esempi e per unirci a Te, noi abbiamo, lungo questi quaranta giorni, cercato di stabilire in noi l’umiltà e la semplicità dell’infanzia che Tu ci raccomandi; sostienici ora negli sviluppi della nostra vita spirituale, affinché cresciamo come Te in età e in sapienza, davanti a Dio e davanti agli uomini. – O Maria, tu che sei la più pura delle vergini e la più beata delle madri, o Figlia del Re, quanto sono graziosi i tuoi passi e come è maestoso il tuo incedere (Cant. VII, 1) nell’istante in cui sali i gradini del Tempio carica del tuo prezioso fardello! Come è felice il tuo cuore materno, e come è insieme umile, allorché offri all’Eterno il Figlio suo e tuo! Alla vista delle madri d’Israele che portano anch’esse i loro piccoli al Signore, Tu gioisci pensando che quella nuova generazione vedrà con i suoi occhi il Salvatore che tu le arrechi. Quale benedizione per quei neonati essere offerti insieme con Gesù! Quale fortuna per quelle madri essere purificate nella tua santa compagnia! Se il Tempio trasalisce nel vedere entrare sotto le sue volte il Dio in onore del quale è stato costruito, é anche il suo gaudio nel sentire fra le sue mura la più perfetta delle creature, l’unica figlia di Eva che non abbia conosciuto il peccato, la Vergine feconda, la Madre di Dio. Ma mentre custodisci fedelmente, o Maria, i segreti dell’Eterno, confusa nella folla delle figlie di Giuda, il santo Vegliardo accorre verso di te; e il tuo cuore ha compreso che lo Spirito Santo gli ha rivelato tutto. Con quale emozione Tu deponi per un istante fra le sue braccia il Dio che riunisce in sé tutta la natura, e che vuole essere la consolazione d’Israele! Con quale grazia accogli la pia Anna! Le parole dei due vegliardi che esaltano la fedeltà del Signore alle sue promesse, la grandezza di Colui che è nato da te, la Luce che si irradierà da quel Sole divino su tutte le genti, fanno trasalire il tuo cuore. – La fortuna di sentir glorificare il Dio che tu chiami tuo figlio e che lo è in verità, ti riempie di gioia e di riconoscenza. Ma, o Maria, quali parole ha pronunciato il vegliardo, restituendoti il tuo Figliuolo! – Quale improvviso e terribile gelo viene ad invader il tuo cuore! La lama della spada l’ha trapassato da parte a parte. Quel Bambino che i tuoi occhi contemplavano con sì tenera gioia, non lo vedrai più che attraverso le lacrime. Egli sarà il segno della contraddizione, e le ferite che riceverà Ti trapasseranno l’anima. O Maria, il sangue delle vittime che inonda il Tempio cesserà un giorno di scorrere; ma bisogna che sia sostituito dal sangue del Bambino che Tu tieni fra le braccia. Noi siamo peccatori, o Maria, poco fa tanto felice ed ora così desolata! Sono stati i nostri peccati a mutare la tua letizia in dolori. Perdonaci, o Madre! Lascia che ti accompagniamo mentre discendi i gradini del Tempio. Noi sappiamo che Tu non ci maledici; sappiamo che ci ami, poiché ci ama il tuo Figliuolo. Oh, amaci sempre, o Maria! Intercedi per noi presso l’Emmanuele. Fa’ che abbiamo a conservare i frutti di questi santi quaranta giorni. Fa’ che non lasciamo mai questo Bambino che presto sarà un uomo, che siamo docili a questo Dottore delle nostre anime, devoti, come veri discepoli, a questo Maestro così pieno d’amore, fedeli nel seguirlo dovunque al pari di te, fino ai piedi della croce che appare oggi ai tuoi occhi.

Preghiera (Colletta)

Porgi l’orecchio, Signore, noi Ti supplichiamo, al tuo popolo; e fa’ che praticando esteriormente questa devozione annuale, possiamo interiormente ottenerne gli effetti, con la luce della tua grazia.  Per Cristo nostro Signore. Amen. Amen.

PER LA PURIFICAZIONE

I. Per quella sì eroica obbedienza che voi esercitaste, o gran Vergine, nell’assoggettarvi alla legge della purificazione, ottenete anche a noi la più esatta obbedienza a tutti i comandi di Dio, della Chiesa e de’ nostri maggiori. Ave.

II. Per quell’angelica modestia e celestial divozione con cui voi, o gran Vergine, vi recaste e presentare nel Tempio, ottenete anche a noi di portarci e stare nel tempio con quell’interno ed esterno raccoglimento che conviene alla casa di Dio. Ave.

III. Per quella santa premura che voi aveste, o Vergine illibatissima,di togliere da voi col sacro rito della perificazione ogni apparenza di macchia, ottenete a noi pure una instancabile premura di togliere sempre da noi ogni ancor più piccola macchia di peccato. Ave.

IV. Per quella umiltà profondissima che vi indusse, o Maria, a collocarvi nel tempio tra le donne più volgari, quasi foste una di loro, sebbene la più santa fra tutte le creature, impetrate a noi pure quello spirito di umiltà che ci renda cari a Dio e meritevoli do’ suoi favori. Ave.

V. Por quella gran fede che voi, o Vergine fedelissima, conservaste viva e ferma in Dio vostro Figlio nell’udire dal santo profeta Simeone che egli sarebbe stato per molti occasione di contraddizione e di rovina, ottenete a noi pure, una simile vivezza e fermezza di fede, in mezzo a qualunque tentazione e contraddizione. Ave.

VI. Per quella invitta rassegnazione con cui ascoltaste gli amarissimi presagi che vi fece, o Maria, l’illuminato Simeone, fate che anche noi in tutti gli avvenimenti anche più tristi siamo sempre perfettamente rassegnati ad ogni divino volere. Ave.

VII. Per quell’accesissima carità che vi mosse, o Maria, a fare all’eterno Padre il gran sacrificio del vostro Figlio per la comun redenzione e salute, impetrate a noi pure la grazia di sacrificar al Signore qualunque cosa eziandio più cara, quando ciò sia necessario alla nostra santificazione e salvezza, Ave, Gl.

ORAZIONE.

Omnipotens sempiterne Deus, majestatem tuam supplices exoramus: ut sicut unigenitus Filius tuus hodierna die cum nostræ carnis substantia in templo est præsentatus, ita nos facias purificatus, ita nos facias purificatis tibi mentibus praesentari, Per eumdem Dominum, etc.

[Manuale di Filotea, del sa. G. Riva, XXX ed. Milano 1888]

Calendario liturgico cattolico di FEBBRAIO

Febbraio è il mese che la Chiesa dedica alla Santissima Trinità

 

Il mistero della sempre adorabile Trinità è il fondamento della religione cristiana, e deve essere fermamente creduto e assentito, anche se è incomprensibile per la ragione umana.  Ciò che la Chiesa cristiana ci insegna, per quanto riguarda questo mistero, in poche parole, è questo: C’è solo un supremo eterno Dio, Creatore del cielo e della terra, in tre Persone divine, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, realmente distinte una dall’altra; Il Padre non è il Figlio, né è lo Spirito Santo; né è il Figlio il Padre, o lo Spirito Santo; né lo Spirito Santo, è il Padre e il Figlio.  Il Padre è da nessun altro: il Figlio è nato dal Padre da tutta l’eternità, ed è uguale a Lui per potere e maestà, della stessa natura e la stessa sostanza: lo Spirito Santo procede dal Padre e Figlio da tutta l’eternità, è uguale a Loro in potenza e grandezza, della stessa Loro natura e sostanza. Di modo che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono l’Uno, supremo, eterno Essere; e di conseguenza, il Padre è Dio, il Figlio è Dio, e lo Spirito Santo è Dio, sono un Dio unico anche nell’essere lodato, adorato, venerato per sempre. – Dobbiamo quindi in questo mese Chiedere a Dio Onnipotente di preservare in questa fede, che continua ad insegnarci di sottomettere la nostra ragione alla rivelazione.  Cerchiamo di offrire le nostre preghiere per gli uomini infelici, che, avendo una ragione debole nella comprensione di tutta la verità, empiamente smentiscono l’Onnipotente, e rifiutano di credere a ciò che Dio ci insegna (attraverso la Chiesa) e ci rivela per quanto Lo riguarda. – Il famoso Credo basato sulla dottrina trinitaria è il Credo di Atanasio. Esso è pure focalizzato sulla cristologia.  Il nome latino del credo, “Quicunque Vult”, è tratto dalle parole di apertura, “chi vuole”.  Questo credo dichiara esplicitamente l’uguaglianza delle tre Persone della Trinità.

 IL CREDO Atanasiano

 (Canticum Quicumque * Symbolum Athanasium)

“Quicúmque vult salvus esse, * ante ómnia opus est, ut téneat cathólicam fidem: Quam nisi quisque íntegram inviolatámque serváverit, * absque dúbio in ætérnum períbit. Fides autem cathólica hæc est: * ut unum Deum in Trinitáte, et Trinitátem in unitáte venerémur. Neque confundéntes persónas, * neque substántiam separántes. Alia est enim persóna Patris, ália Fílii, * ália Spíritus Sancti: Sed Patris, et Fílii, et Spíritus Sancti una est divínitas, * æquális glória, coætérna majéstas. Qualis Pater, talis Fílius, * talis Spíritus Sanctus. Increátus Pater, increátus Fílius, * increátus Spíritus Sanctus. Imménsus Pater, imménsus Fílius, * imménsus Spíritus Sanctus. Ætérnus Pater, ætérnus Fílius, * ætérnus Spíritus Sanctus. Et tamen non tres ætérni, * sed unus ætérnus. Sicut non tres increáti, nec tres imménsi, * sed unus increátus, et unus imménsus. Simíliter omnípotens Pater, omnípotens Fílius, * omnípotens Spíritus Sanctus. Et tamen non tres omnipoténtes, * sed unus omnípotens. Ita Deus Pater, Deus Fílius, * Deus Spíritus Sanctus. Ut tamen non tres Dii, * sed unus est Deus. Ita Dóminus Pater, Dóminus Fílius, * Dóminus Spíritus Sanctus. Et tamen non tres Dómini, * sed unus est Dóminus. Quia, sicut singillátim unamquámque persónam Deum ac Dóminum confitéri christiána veritáte compéllimur: * ita tres Deos aut Dóminos dícere cathólica religióne prohibémur. Pater a nullo est factus: * nec creátus, nec génitus. Fílius a Patre solo est: * non factus, nec creátus, sed génitus. Spíritus Sanctus a Patre et Fílio: * non factus, nec creátus, nec génitus, sed procédens. Unus ergo Pater, non tres Patres: unus Fílius, non tres Fílii: * unus Spíritus Sanctus, non tres Spíritus Sancti. Et in hac Trinitáte nihil prius aut postérius, nihil majus aut minus: * sed totæ tres persónæ coætérnæ sibi sunt et coæquáles. Ita ut per ómnia, sicut jam supra dictum est, * et únitas in Trinitáte, et Trínitas in unitáte veneránda sit. Qui vult ergo salvus esse, * ita de Trinitáte séntiat. Sed necessárium est ad ætérnam salútem, * ut Incarnatiónem quoque Dómini nostri Jesu Christi fidéliter credat. Est ergo fides recta ut credámus et confiteámur, * quia Dóminus noster Jesus Christus, Dei Fílius, Deus et homo est. Deus est ex substántia Patris ante sǽcula génitus: * et homo est ex substántia matris in sǽculo natus. Perféctus Deus, perféctus homo: * ex ánima rationáli et humána carne subsístens. Æquális Patri secúndum divinitátem: * minor Patre secúndum humanitátem. Qui licet Deus sit et homo, * non duo tamen, sed unus est Christus. Unus autem non conversióne divinitátis in carnem, * sed assumptióne humanitátis in Deum. Unus omníno, non confusióne substántiæ, * sed unitáte persónæ. Nam sicut ánima rationális et caro unus est homo: * ita Deus et homo unus est Christus. Qui passus est pro salúte nostra: descéndit ad ínferos: * tértia die resurréxit a mórtuis. Ascéndit ad cælos, sedet ad déxteram Dei Patris omnipoténtis: * inde ventúrus est judicáre vivos et mórtuos. Ad cujus advéntum omnes hómines resúrgere habent cum corpóribus suis; * et redditúri sunt de factis própriis ratiónem. Et qui bona egérunt, ibunt in vitam ætérnam: * qui vero mala, in ignem ætérnum. Hæc est fides cathólica, * quam nisi quisque fidéliter firmitérque credíderit, salvus esse non póterit.”

(Simbolo Atanasiano) [Chiunque vuol esser salvo, * prima di tutto bisogna che abbracci la fede cattolica. Fede, che se ognuno non conserverà integra e inviolata, * senza dubbio sarà dannato in eterno. La fede cattolica consiste in questo: * che si veneri, cioè, un Dio solo nella Trinità [di Persone] e un Dio trino nell’unità [di natura]. Senza però confonderne le persone, * né separarne la sostanza. Giacché altra è la persona del Padre, altra quella del Figlio, * altra quella dello Spirito Santo; Ma del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo unica è la divinità, * eguale , la gloria, coeterna la maestà. Quale è il Padre, tale il Figlio, * e tale lo Spirito Santo. Increato è il Padre, increato il Figlio, * increato lo Spirito Santo. Immenso è il Padre, immenso il Figlio, * immenso lo Spirito Santo. Eterno è il Padre, eterno il Figlio, * eterno lo Spirito Santo. Pur tuttavia non vi sono tre [esseri] eterni, * ma uno solo è l’eterno. E parimenti non ci sono tre esseri increati, né tre immensi, * ma uno solo l’increato, uno solo l’immenso. Similmente è onnipotente il Padre, onnipotente il Figlio, * onnipotente lo Spirito Santo. E tuttavia non ci sono tre [esseri] onnipotenti, * ma uno solo è l’onnipotente. Così il Padre è Dio, il Figlio è Dio, * lo Spirito Santo è Dio. E tuttavia non vi sono tre Dèi, * ma un Dio solo. Così il Padre è Signore, il Figlio è Signore, * lo Spirito Santo è Signore. Però non vi sono tre Signori, * ma un Signore solo. Infatti, come la fede cristiana ci obbliga a professare quale Dio e Signore separatamente ciascuna Persona; * così la religione cattolica ci proibisce dì dire che ci sono tre Dèi o tre Signori. Il Padre non è stato fatto da alcuno, * né creato e neppure generato. Il Figlio è dal solo Padre; * non è stato fatto, né creato, ma generato. Dal Padre e dal Figlio è lo Spirito Santo, * che non è stato fatto, né creato, né generato, ma che procede. Dunque c’è un solo Padre, non tre Padri; un solo Figlio, non tre Figli; * un solo Spirito Santo, non tre Spiriti Santi. In questa Triade niente vi è di prima o di dopo, niente di più a meno grande; * ma tutte e tre le Persone sono fra loro coeterne e coeguali. Talché, come si è detto sopra, * si deve adorare sotto ogni riguardo nella Trinità l’unità, e nella unità la Trinità. Pertanto chi si vuol salvare, * così deve pensare della Trinità. Ma per la salute eterna è necessario * che creda di cuore anche l’Incarnazione di nostro Signor Gesù Cristo. Or la vera fede consiste nel credere e professare * che il Signor nostro Gesù Cristo, Figlio di Dio, è Dio e uomo. È Dio, generato, sin dall’eternità, dalla sostanza del Padre, * ed è uomo, nato nel tempo, dalla sostanza d’una madre. Dio perfetto e uomo perfetto * che sussiste in un’anima razionale e in un corpo umano. È eguale al Padre secondo la divinità, * è minore del Padre secondo l’umanità. Il Figlio quantunque sia Dio e uomo, tuttavia non sono due, ma è un Cristo solo. Ed è uno non perché la divinità si è convertita nell’umanità, * ma perché Iddio s’è assunta l’umanità. Uno assolutamente, non per il confondersi di sostanza; * ma per l’unità di persona. Ché come l’uomo, anima razionale e corpo, è uno: * così il Cristo è insieme Dio e uomo. Il quale patì per la nostra salvezza, discese agli inferi, * e il terzo giorno risuscitò da morte. Salì al cielo, siede ora alla destra di Dio Padre onnipotente, * donde verrà a giudicare i vivi ed i morti. Alla cui venuta tutti gli uomini devono risorgere con i loro corpi, * e dovranno rendere conto del loro proprio operato. E chi avrà fatto opere buone avrà la vita eterna; * chi invece opere cattive subirà il fuoco eterno. Questa è la fede cattolica, * fede che se ciascuno non avrà fedelmente e fermamente creduto non si potrà salvare.]

Qui di seguito elencate sono le feste che cadono in questo mese:

1 ° febbraio: San Ignazio Vescovo e Martire, Doppio.

2 febbraio: Purificazione della Beata Vergine Maria / giorno della Candelora, doppio della Classe II.

3 febbraio: PRIMO VENERDI / Commemorazione di San Biagio Vescovo e Martire

4 febbraio: PRIMO SABATO / S. Andrea Corsini Vescovo e Confessore, doppio.

5 febbraio: V Domenica dopo l’Epifania, doppio. Festa della Arciconfraternita del Cuore Immacolato di Maria

6 febbraio: S. Tito Vescovo e Confessore, doppio; Commemorazione di Santa Dorotea Vergine Martire.

7 febbraio: San Romualdo Abate, doppio.

8 febbraio: San Giovanni di Matha Confessore, doppio.

9 febbraio: San Cirillo vescovo di Alessandria, Confessore e Dottore della Chiesa, doppio; Commemorazione di S. Apollonia Vergine Martire.

10 febbraio: Santa Scolastica Virgine, doppio.

11 febbraio: Apparizione della Beata Vergine Maria Immacolata (a Lourdes), doppio Maggiore.

(INIZIA LA PRE- Quaresima – Carnevale)

12 febbraio: Domenica di Settuagesima, doppio.

14 febbraio: Commemorazione di San Valentino sacerdote e martire

15 Febbruaio: Commemorazione dei Ss. Faustino e Giovita martiri

18 febbraio: Commemorazione di San Simeone Vescovo e Martire.

19 febbraio: Domenica di Sessagesima, doppio.

22 febbraio: Cattedra di San Pietro ad Antiochia, Gran doppio; Commemorazione di S. Paolo.

23 febbraio: San Pier Damiani Confessore, doppio.

24 febbraio: S. Mattia Apostolo, doppio della Classe II.

26 febbraio: Domenica Grassa / Domenica di Quinquagesima, doppio.

27 febbraio: Lunedi grasso / San Gabriele dell’Addolorata, doppio.

28 febbraio: Martedì Grasso

Gloria al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo; Come era nel principio, e ora e sempre sarà, nei secoli dei secoli senza fine. Amen.