Domenica di SETTUAGESIMA

Introitus Ps XVII:5; XVII:6; XVII:7

Circumdedérunt me gémitus mortis, dolóres inférni circumdedérunt me: et in tribulatióne mea invocávi Dóminum, et exaudívit de templo sancto suo vocem meam. [Mi circondavano i gemiti della morte, e i dolori dell’inferno mi circondavano: nella mia tribolazione invocai il Signore, ed Egli dal suo santo tempio esaudí la mia preghiera.]

Psal. Ps XVII: 2-3

Díligam te, Dómine, fortitúdo mea: Dóminus firmaméntum meum, et refúgium meum, et liberátor meus. [Ti amerò, o Signore, mia forza: Signore, mio firmamento, mio rifugio e mio liberatore.]

Glória Patri, et Fílio, et Spirítui Sancto.

Sicut erat in princípio, et nunc, et semper, et in saecula saeculórum. Amen

Circumdedérunt me gémitus mortis, dolóres inférni circumdedérunt me: et in tribulatióne mea invocávi Dóminum, et exaudívit de templo sancto suo vocem meam.

Orémus. Preces pópuli tui, quaesumus, Dómine, cleménter exáudi: ut, qui juste pro peccátis nostris afflígimur, pro tui nóminis glória misericórditer liberémur. [O Signore, Te ne preghiamo, esaudisci clemente le preghiere del tuo popolo: affinché, da quei peccati di cui giustamente siamo afflitti, per la gloria del tuo nome siamo misericordiosamente liberati.]

Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia saecula saeculorum.

Amen.

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Corínthios.

1 Cor IX:24-27; X:1-5

Fratres: Nescítis, quod ii, qui in stádio currunt, omnes quidem currunt, sed unus áccipit bravíum? Sic cúrrite, ut comprehendátis. Omnis autem, qui in agóne conténdit, ab ómnibus se ábstinet: et illi quidem, ut corruptíbilem corónam accípiant; nos autem incorrúptam. Ego ígitur sic curro, non quasi in incértum: sic pugno, non quasi áërem vérberans: sed castígo corpus meum, et in servitútem rédigo: ne forte, cum áliis prædicáverim, ipse réprobus effíciar. Nolo enim vos ignoráre, fratres, quóniam patres nostri omnes sub nube fuérunt, et omnes mare transiérunt, et omnes in Móyse baptizáti sunt in nube et in mari: et omnes eándem escam spiritálem manducavérunt, et omnes eúndem potum spiritálem bibérunt bibébant autem de spiritáli, consequénte eos, petra: petra autem erat Christus: sed non in plúribus eórum beneplácitum est Deo.

[Fratelli: Non sapete che quelli che corrono nello stadio, tutti invero corrono, ma uno solo riporta il premio? Così correte, in modo da guadagnarlo. Orbene, tutti quelli che lottano nell’arena si astengono da tutto: essi per conseguire una corona corruttibile, noi invece per una incorruttibile. Io dunque corro, non come a caso, combatto, non come colpendo nell’aria: ma castigo il mio corpo e lo riduco in schiavitù, affinché per avventura, pur avendo predicato agli altri, io stesso non diventi réprobo. Non voglio infatti che voi ignoriate, o fratelli, come i nostri padri furono tutti sotto la nuvola, e tutti passarono per il mare, e tutti furono battezzati in Mosè, nella nube e nel mare: e tutti mangiarono dello stesso cibo spirituale, e tutti bevettero la stessa bevanda spirituale e bevevano della pietra spirituale che li accompagnava: e quella pietra era il Cristo: eppure Iddio non fu contento della maggior parte di essi.]

Deo gratias.

Graduale Ps IX: 10-11; IX:19-20

Adjútor in opportunitátibus, in tribulatióne: sperent in te, qui novérunt te: quóniam non derelínquis quæréntes te, Dómine, [Tu sei l’aiuto opportuno nel tempo della tribolazione: abbiano fiducia in Te tutti quelli che Ti conoscono, perché non abbandoni quelli che Ti cercano, o Signore]

Quóniam non in finem oblívio erit páuperis: patiéntia páuperum non períbit in ætérnum: exsúrge, Dómine, non præváleat homo. [Poiché non sarà dimenticato per sempre il povero: la pazienza dei miseri non sarà vana in eterno: lévati, o Signore, non prevalga l’uomo.]

Tractus Ps CXXIX: 1-4

De profúndis clamávi ad te. Dómine: Dómine, exáudi vocem meam. [Dal profondo ti invoco, o Signore: Signore, esaudisci la mia voce.]

Fiant aures tuæ intendéntes in oratiónem servi tui. [Siano intente le tue orecchie alla preghiera del tuo servo.]

Si iniquitátes observáveris, Dómine: Dómine, quis sustinébit? [Se baderai alle iniquità, o Signore: o Signore chi potrà sostenersi?]

Quia apud te propitiátio est, et propter legem tuam sustínui te, Dómine. [Ma in Te è clemenza, e per la tua legge ho confidato in Te, o Signore.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthaeum.

Gloria tibi, Domine!

Matt XX:1-16

In illo témpore: Dixit Jesus discípulis suis parábolam hanc: Simile est regnum coelórum hómini patrifamílias, qui éxiit primo mane condúcere operários in víneam suam. Conventióne autem facta cum operáriis ex denário diúrno, misit eos in víneam suam. Et egréssus circa horam tértiam, vidit álios stantes in foro otiósos, et dixit illis: Ite et vos in víneam meam, et quod justum fúerit, dabo vobis. Illi autem abiérunt. Iterum autem éxiit circa sextam et nonam horam: et fecit simíliter. Circa undécimam vero éxiit, et invénit álios stantes, et dicit illis: Quid hic statis tota die otiósi? Dicunt ei: Quia nemo nos condúxit. Dicit illis: Ite et vos in víneam meam. Cum sero autem factum esset, dicit dóminus víneæ procuratóri suo: Voca operários, et redde illis mercédem, incípiens a novíssimis usque ad primos. Cum veníssent ergo qui circa undécimam horam vénerant, accepérunt síngulos denários. Veniéntes autem et primi, arbitráti sunt, quod plus essent acceptúri: accepérunt autem et ipsi síngulos denários. Et accipiéntes murmurábant advérsus patremfamílias, dicéntes: Hi novíssimi una hora fecérunt et pares illos nobis fecísti, qui portávimus pondus diéi et æstus. At ille respóndens uni eórum, dixit: Amíce, non facio tibi injúriam: nonne ex denário convenísti mecum? Tolle quod tuum est, et vade: volo autem et huic novíssimo dare sicut et tibi. Aut non licet mihi, quod volo, fácere? an óculus tuus nequam est, quia ego bonus sum? Sic erunt novíssimi primi, et primi novíssimi. Multi enim sunt vocáti, pauci vero elécti.

[In quel tempo: Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: Il regno dei cieli è simile a un padre di famiglia, il quale andò di gran mattino a fissare degli operai per la sua vigna. Avendo convenuto con gli operai un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. E uscito fuori circa all’ora terza, ne vide altri che se ne stavano in piazza oziosi, e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna, e vi darò quel che sarà giusto. E anche quelli andarono. Uscì di nuovo circa all’ora sesta e all’ora nona e fece lo stesso. Circa all’ora undicesima uscì ancora, e ne trovò altri, e disse loro: Perché state qui tutto il giorno in ozio? Quelli risposero: Perché nessuno ci ha presi. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella mia vigna. Venuta la sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama gli operai e paga ad essi la mercede, cominciando dagli ultimi fino ai primi. Venuti dunque quelli che erano andati circa all’undicesima ora, ricevettero un denaro per ciascuno. Venuti poi i primi, pensarono di ricevere di più: ma ebbero anch’essi un denaro per uno. E ricevutolo, mormoravano contro il padre di famiglia, dicendo: Questi ultimi hanno lavorato un’ora e li hai eguagliati a noi che abbiamo portato il peso della giornata e del caldo. Ma egli rispose ad uno di loro, e disse: Amico, non ti faccio ingiustizia, non ti sei accordato con me per un denaro? Prendi quel che ti spetta e vattene: voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te. Non posso dunque fare come voglio? o è cattivo il tuo occhio perché io son buono? Così saranno, ultimi i primi, e primi gli ultimi. Molti infatti saranno i chiamati, ma pochi gli eletti.]

Omelia

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. I -1851-]

(Vangelo sec. S. Matteo XX, 1-16)

Contro i Balli.

Uscì un padre di famiglia, come nell’odierna parabola ci narra S. Matteo, al primo spuntar del giorno in cerca d’operai. Fece lo stesso alle ore di terza, di sesta, e di nona, e adocchiati alcuni agricoltori, che scioperati stavano perdendo il tempo, che fate voi qui tutto il giorno, in questo ozio infingardo? Quid hic statis tota die otiósi?” – Signore, risposero, non abbiamo veduto alcuno che ci chiamasse al lavoro, “Quia nemo nos condúxit. Fu questa una legittima scusa, un’opportuna risposta. Qui mi fermo per fare una poco dissimile interrogazione ad un gran numero di cristiani in questo tempo di licenze carnevalesche. Perché passate voi tutto il giorno e tutta la notte in balli, in festini, che dell’ozio sono peggiori? Oh! sento rispondermi facendo le meraviglie, e che male trovate voi nel ballo? Egli è un onesto e lecito trattenimento, autorizzato dall’antica e moderna consuetudine e praticato da ogni qualità di persone. Voi l’intendete così; contentatevi però ch’io vi dica, esser io di sentimento contrario. Come dunque ci accorderemo, se voi tenete l’opinion vostra, ed io la mia? Io non voglio che crediate sulla semplice mia parola: io non mi arrogo tanta autorità, né tanta pretensione. Mi permetterete all’opposto, che neppur io stia alla sola vostra asserzione. Facciamo dunque così. Si formi tra noi una contesa amichevole, una specie di dialogo. Voi esporrete tutte le più acconce ragioni a difendere il ballo, io vi darò quelle risposte che più saprò. Se voi mi convincete, io vi prometto di non più molestarvi su questo punto. Se restate convinti, spero mi farete grazia e giustizia con l’allontanarvi dal ballo. Cominciamo la pacifica nostra controversia. – Il ballo, dite voi, è una cosa indifferente, come indifferente è il passeggio. Altra differenza non v’è tra quello e questo, se non che nel passeggio si muove un piede avanti l’altro, e nel ballo i piedi si muovono con règola e maestria in tenore delle cadenze musicali. Oltre a ciò noi veggiamo nelle divine Scritture approvato il ballo. Maria sorella di Mose là su le sponda dell’Eritreo diede di piglio a una cetra, e mista a un coro di ebree donzelle, spiccò danze e carole, né fu certo ripresa dal suo fratello, né da alcuno del popolo di Dio. Davide re e profeta, con tutta la regia sua gravità, saltò anch’egli avanti l’arca del Testamento. Ecco il ballo, che, come una cosa tra le indifferenti, e praticata da oneste e sante persone, non si può riprendere, né condannare. – Udite la mia risposta. È dottrina di S. Agostino, e di tutti i Teologi, che un’azione qualunque veste sempre la qualità del fine a cui si dirige, e dell’intenzione con cui si fa : “Noveris, dice egli, ex fine a vitiis discernendas esse virtutes”. Voi avete un fine buono e lodevole, l’azione vostra sarà lodevole e buona. Per l’opposto avete un fine reo o malvagio, la vostra azione rea sarà del pari e malvagia. Posto ciò, il ballo della sorella di Mose e di Aronne fu un trasporto di allegrezza, diretto a magnificare la divina onnipotenza in aver liberato il suo popolo dalle spade di Faraone, sommerso con tutto il suo esercito nel mar rosso; fu perciò un ballo religioso, figlio della riconoscenza, gradito a Dio. Infatti in mezzo alla danza istessa intonò il cantico composto dal suo germano Mosè in lode del Signore. “Cantemus Domino: gloriose cum magnificatus est” (Es. XV, 21). Lo stesso deve dirsi del ballo di Davide. Al veder l’arca del Signore, figura dell’alta divina maestà, avrà un tempo tanto fatale ai Filistei, e propizia tanto ad Israele, al vederla, dissi, entrar con pompa solenne nella regia città di Gerusalemme, al suono festivo delle trombe levitiche, preso da santo giubilo, volle esternare coi salti la sua allegrezza, e applaudire così al trionfo dell’arca, ed alla gloria del suo Signore. – Ditemi or voi con tutta sincerità, qual è quel fine che vi porta al ballo? Interrogatene la vostra coscienza. Sarebbe mai, o donne, quel fine che si propose la ballerina figlia di Erodiade? per cattivarvi cioè il cuore e l’affetto di qualche Erode adultero ed incestuoso? Sarebbe mai, o uomini, quel fine ch’ ebbero gli Ebrei danzanti alle falde del Sinai? per adorare cioè qualche idolo non d’oro, ma di carne? Sarebbe mai, o giovani di bel tempo, il fine, con cui con tanta ardenza vi portate al ballo, simile a quello del corvo uscito dall’arca di Noè, quando volava in giro in volte e rivolte su i galleggianti cadaveri, per adocchiar quel carname, ove meglio potesse saziare la sozza ingordigia? – Comprendete bene, uditori miei cari, che parlando con voi, non parlo di voi. Chi frequenta la parola di Dio, come voi fate, non ha certamente fini sì sordidi. Ma fatemi ragione, e ditemi se non è cosi per la massima parte de’ ciechi mondani? Così è! Risponde un autore di credito e d’esperienza, così è, togliete dal ballo la libidine, separate gli uomini dalle donne, le donne dagli uomini, e non vi son più balli, “tolle libidinem, et choreas sustulìsti”. – Fin qui, voi confessate che la ragione sta per me. Si concede, voi dite, che se un fine così immondo ci conduce al ballo diviene peccaminoso e dannevole; ma se noi, come praticano civili e timorate persone, con fine onesto, onestissimo andiamo al ballo, cesserà d’essere per noi illecito e colpevole. Udite di grazia. Un’azione perché sia permessa, non basta che di sua natura sia indifferente, e diretta a buon fine, convien vedere se qualche circostanza la renda illecita e proibita. Per adattarmi alla capacità di tutti, permettetemi che io mi serva d’un caso ipotetico. Suppongo in questo momento che un di voi passeggi sul tetto di questa Chiesa; io resto sorpreso, lo piego a fermarsi, ed ei mi risponde: “il passeggio non è cosa indifferente e permessa?” Concedo, io soggiungo; e se passeggiate per far moto, prender aria, e per vostro sollievo, questo fine è anch’esso lecito e onesto; ma siccome camminando su questo tetto siete in prossimo pericolo di precipitar sulla piazza e perdere la vita, così non è più lécito e permesso un tal passeggio, anzi vi resta gravemente proibito, e l’onestà dell’azione e del fine non basta a giustificarlo. Lo stesso dite del ballo. Sia per sé indifferente, sia onesto quanto volete il vostro fine; il pericolo è troppo grande, il pericolo è troppo prossimo, lo scandalo è troppo eccedente; viste di sconci abbigliamenti, di mode, di nudità, musiche, suoni, allegrie, salti, stringimenti di mano … Oh Dio! io non vorrei dire di più da questo sacro luogo. Parleranno in mia vece i santi Padri, dati da Dio alla sua Chiesa e a noi per dottori, luminari, guide e maestri. Pochi ne citerò per non essere prolisso, e da questi potrete comprendere il gran pericolo dei balli. Udite santo Agostino (Serm. 115 De Temp.). Voi, diceva al suo popolo, venite alla Chiesa cristiani , e ritornati alle vostre case, dandovi ai balli, diventate pagani. Sarebbe minor male zappare la terra in giorno di festa, che occuparvi nel ballo “melius est arare, quam saltari” (in Ps. XCIII ). Udite S. Ambrogio: vadano al ballo le figlie di madre adultera, che a lei vogliono assomigliarsi, “saltent adulteræ filiæ”. Udite come ne parla S. Efrem: “Dove vedete un festino di ballo, dite pure che quel luogo è tutto tenebre per gli uomini, perdizione per le donne, tristezza per gli angeli, festa per satanasso: “Ubi choreæ, ibi virormn tenebræ, mulierum perditio, angeli cum tristitia, diaboli festum” (De ludici a christian. vitandis). Lascio S. Basilio, S. Giovanni Crisostomo, e conchiudo col non men pio, che dotto Gersone, “omnia peccata chorizzant in choreìs”, danzano tutt’i peccati con quei che danzano. Questo linguaggio dei santi quanto è mai diverso da quello del mondo! Se dunque il ballo è la festa e la scuola del demonio, se è lo scoglio fatale, ove rompe l’onestà delle zitelle, la fedeltà delle coniugate; se è la rovina de’ giovani, l’obbrobrio de’ vecchi, lo scandalo di tutti, come potete senza peccato esporvi a tanto e cosi evidente pericolo? Sarebbe questo in pretendere che Iddio rinnovasse per voi il miracolo della fornace di Babilonia, ove i tre giovanetti in mezzo alle fiamme neppure sentirono il calore di quelle vampe. – Se siete stati al ballo, me ne appello alla vostra esperienza. – Va bene, voi rispondete, avete citato i santi Padri, citeremo ancor noi un Santo, che se per l’antichità non è nel catalogo dei Padri e dottori della Chiesa, merita però per santità e per dottrina esservi registrato. È questi il gran Vescovo di Ginevra S. Francesco di Sales, il quale ben lungi dal condannare il ballo, anzi l’approva e lo permette. – So che questo errore corre nel volgo, falsamente adottato dagli amanti del ballo; ma per difesa di questo gran Santo tanto diletto a Dio ed agli uomini, io vi assicuro ch’egli non dice né più né meno di quel che dicono tutt’i teologi, che può benissimo darsi caso, in cui concorrono certe circostanze imponenti, che rendano lecito il ballo, come sarebbe una moglie dal marito obbligata a concorrervi, e se essa prevede, che ricusando ne nasceranno disgusti ne’ congiunti, disturbi ne’ domestici, freddezze nell’amor maritale che santamente deve passare tra i coniugi, in questo caso può condiscendere, può ubbidire; qualora però il ballo sia onesto, e con oneste persone, e breve sia il tempo discrétamente. Questo dicono i teologi, questo dice il santo di Sales. Ma di ciò non si contenta. Ecco i suoi sentimenti intorno al ballo, i quali vi prego di riscontrare nel capo trigesimo terzo della sua Filotèa. I balli, dice questo amabile Santo, si possono rassomigliare ai funghi, de’ quali scrive Plinio, che i migliori in certe parti del mondo a nulla valgono. E siccome i funghi, per essere spugnosi e pieni di pori, assorbono facilmente il veleno di quelle serpi, di quei rospi che a loro passano attorno; così quei che vanno al ballo assorbono il veleno dell’impudicizia cogli occhi nelle viste di nudità scandalose; assorbono il veleno per le orecchie colle parole oscene, coi motti equivoci, coi sensi amorosi di qualche basilisco; assorbono il veleno per le mani, per quella maledetta libertà, che dà il ballo, di stringimenti prolissi. Se voi, Filofea, prosegue a dire, dovete per alcun dei buoni fini suddetti prestarvi a un ballo onesto e moderato, riflettete che in quella notte, in quell’ora stessa, in cui danzate, tanti Religiosi salmeggiano in coro, o sono assorti in profonde meditazioni. Riflettete che tanti poveri infermi, feriti, addolorati alzan clamori e sospiri o nelle private case o nei pubblici spedali. Riflettete che tanti moribondi e agonizzanti stanno per spirare l’anima, e renderla al Creatore. Riflettete che tante anime in quell’ora stessa spasimano nell’inferno, appunto per cagione dei balli. Riflettete infine che un giorno la morte vi farà fare un ballo assai diverso da quel che fate, vi prenderà per la mano, e vi farà far un salto dal vostro letto al tribunale di Dio, e i violini saranno i pianti dei vostri congiunti. – Credete che il Santo abbia ancora finito? Siccome, prosegue egli, a chi ha mangiato i funghi si suol consigliare che li corregga con vino generoso; così, dopo esservi, o Filotea, ritirata dal ballo, occupatevi in santi pensieri ai pie’ del crocifisso, considerate la vanità, la pazzia di questi trastulli, che dissipano lo spirito, fan languire la devozione, raffreddano la carità, e svegliano nell’anima mille affetti malvagi. Dopo tutto ciò andate a citar questo gran Santo in approvazione de balli. Questo Santo, che ogni anno si ritirava in solitudine a far gli esercizi spirituali appunto nel tempo di carnevale, per piangere le mondane follie, e le tante offese fatte a Dio ne’ balli. – Orsù, uditori miei cari, non siete ancora convinti? Non mi rispondete; io non voglio obbligarvi a dire l’intimo vostro sentimento, voglio anzi darvi vinta la causa se voi mi fate una promessa. E quale? Ecco, quando sarete in punto di morte col sacerdote a fianco, che vi presenterà il santo Crocifisso, promettetemi di dire a lui rivolti: Signore, io me ne muoio contento, perché in mia vita mi sono molto divertito nel ballo, e non ho mai lasciato passar carnevale senza darmi ad un sì caro esercizio. Io dunque, ripeto, me ne muoio contento, e voi, o Signore, accoglietemi nelle vostre braccia. Se voi “oibò! oibó!” … voi esclamate, e son queste cose da suggerirci? Con Dio non si burla, massime in quel punto estremo tanto formidabile. Ah, dilettissimi miei, se non vi sentite di così fare in quel punto, se ne avete orrore in solo esservi proposto, che segno è questo? Segno che conoscete che il ballo non è un buon passaporto pel paese dell’eternità: segno che siete persuasi che il ballo non piace a Dio, che non potrà esservi di conforto nelle vostre agonie, ma di rimorso e di spavento. Deh! per amor di Dio, per carità dell’anime vostre, dategli un eterno bando, allontanatevi da tanto pericolo, allontanatene col consiglio e coll’esempio i vostri amici, e coll’autorità e comando quei che da voi dipendono. La causa tra noi trattata, se credete averla perduta, sarà vinta in diversa e miglior forma? e in una maniera tutta per voi vantaggiosa. Avrete trionfato del demonio e de’ suoi lacci, del ballo e de” suoi tristi effetti; e cosi vittoriosi sarete ammessi in quell’eterna letizia, in cui esultano i santi nella gloria sempiterna, che Iddio vi conceda.

Credo …

Offertorium

Orémus Ps XCI:2

Bonum est confitéri Dómino, et psállere nómini tuo, Altíssime. [È bello lodare il Signore, e inneggiare al tuo nome, o Altissimo.]

Secreta Munéribus nostris, quæsumus, Dómine, precibúsque suscéptis: et coeléstibus nos munda mystériis, et cleménter exáudi. [O Signore, Te ne preghiamo, ricevuti i nostri doni e le nostre preghiere, purificaci coi celesti misteri e benevolmente esaudiscici.]

Per Dominum nostrum Jesum Christum, Filium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitate Spiritus Sancti Deus, per omnia sæcula sæculorum.

Communio Ps XXX:17-18

Illúmina fáciem tuam super servum tuum, et salvum me fac in tua misericórdia: Dómine, non confúndar, quóniam invocávi te. [Rivolgi al tuo servo la luce del tuo volto, salvami con la tua misericordia: che non abbia a vergognarmi, o Signore, di averti invocato.]

Postcommunio

Fidéles tui, Deus, per tua dona firméntur: ut eadem et percipiéndo requírant, et quæréndo sine fine percípiant. [I tuoi fedeli, o Dio, siano confermati mediante i tuoi doni: affinché, ricevendoli ne diventino bramosi, e bramandoli li conseguano senza fine.]

APPARIZIONE DELLA VERGINE SS. DI LOURDES: 11 FEBBRAIO

Columba mea, in foraminibus petrae, in caverna maceriae, ostende mihi faciem tuam, sonet vox tua in auribus meis: vox enim tua dulcis, et facies tua decora.

[O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia, nei nascondigli dei dirupi, mostrami il tuo viso, fammi sentire la tua voce, perché la tua voce è soave, il tuo viso è leggiadro” – Cantico dei cantici, II-14].

 In un secolo tutto incredulità, in una nazione tutta ateismo, quale era la Francia nel secolo XIX, Maria si proclama Immacolata, ed inizia una serie di miracoli che sono la più eloquente apologia del soprannaturale. Il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria SS. era stato proclamato da appena quattro anni, ma le discussioni in pro ed in contro continuavano tuttavia: Maria pone loro termine confermando l’infallibile proclama Pontificio. Le apparizioni avvennero ad un’umile pastorella, la giovine Bernardetta Soubirous, avverandosi anche in questo caso, quanto Gesù diceva pregando il Padre: — Ti ringrazio, o Padre, che hai nascoste queste cose ai prudenti e ai sapienti e le hai rivelate ai pargoli e agli umili. – Era l’alba dell’11 febbraio 1858 e Bernardetta usciva in prossimità della grotta di Massabielle, sulle sponde del torrente Gave. Su una rupe di questa grotta la Madonna le apparve biancovestita, col capo coperto di un velo scendente sulle spalle, i fianchi cinti d’una fascia azzurra, i piedi nudi, baciati da rose olezzanti, un volto celestiale. « Era la più bella fra tutte le donne ». – Nella prima apparizione la S. Madonna insegnò alla a fanciulla a far bene il segno di Croce e a recitare il Rosario, ed Ella stessa per prima, prese fra le mani la corona che aveva penzoloni al braccio e l’incominciò. – Il secondo giorno, Bernardetta, temendo uno scherzo del demonio, all’apparizione gettò acqua santa in direzione della Signora. Ma questa si mise a sorriderle conn volto ancor più benigno. – Il terzo giorno le ordinò di ritornare alla grotta altre quindici volte, dopo le quali si manifestò: « Io sono l’Immacolata Concezione ». – Intanto avvenivano anche miracoli e la fama delle apparizioni si estendeva per tutta la Francia ed anche all’estero destando un concorso straordinario di curiosi e devoti. – Per accertarsi che la Bernardetta non fosse una visionaria o malata di mente e che quindi le apparizioni fossero vere, vi ebbero più sopraluoghi e da parte dell’autorità ecclesiastica come di quella civile. – Medici periti visitarono la fanciulla e ne constatarono la più grande normalità fisica. Mentre in una apparizione era in estasi e in conversazione colla S. Madonna, le accostarono alle dita la fiamma d’una candela; ma essa non se ne risentì. – In breve tempo i numerosissimi devoti edificarono una Chiesa che fu dai Sommi Pontefici arricchita di titoli e privilegi. – L’acqua scaturita nell’interno della roccia miracolosamente, continua anche ai nostri giorni a essere attiva; in questa vengono immersi gli ammalati e molti vengono graziati. – Ogni anno dalla nostra Italia parte per Lourdes un treno speciale, con grandi riduzioni di prezzo, per il trasporto di ammalati e ogni anno ritorna con qualche miracolato.

PRATICA. — La fede è una condizione precipua per ottenere grazie non solo materiali, ma, e più, quelle spirituali.

PREGHIERA. — O Dio, che per l’Immacolata Concezione della Vergine, preparasti al tuo Figliuolo una degna abitazione, ti supplichiamo umilmente che, celebrando l’Apparizione della Vergine, conseguiamo la salute dell’anima e del corpo. Così sia.

Nell’apparizione di Maria SS. a Lourdes

[da: Manuale di Filotea di G. Riva, XXX ed. Milano 1988]

Nella grotta di Massabielle, che trovasi in cima alla montagna che sorge presso Lourdes (Diocesi di Tarbes in Francia negli alti Pirenei, il giorno 11 febbraio del 1838 comparve, circondata da straordinario splendore, e portante al suo braccio la corona del santo Rosario, una Matrona, ornata di celeste bellezza, che più tardi (23 marzo) dichiarò di essere nientemeno che l’Immacolata Concezione Questa gran Dama fissò benigno il suo sguardo su Bernardetta Soubirons, povera e infermiccia pastorella di 14 anni priva d’ogni coltura, ma pia, ingenua ed innocente come una bambina di pochi anni, la quale, a poca distanza dalle sue due compagne, stava raccogliendo legne secche per il domestico focolare. A una prima impressione di paura succedette ben tosto la confidenza, la gioia e il desiderio di rivedere la Signora che dopo un quarto d’ora spari, né ad altri mai si rese visibile fuori che alla povera Bernardetta, la quale per tutta preghiera recitava in ginocchio il suo Rosario. Alla terza visita della grotta la dama le promise di farla felice, non in questo mondo, ma nell’altro quand’ella le promettesse di ivi ritornare per 13 volte, il che ella fece a vari intervalli, appena n’ebbe il potere, In queste apparizioni Bernardetta si trasformava in persona tutta celeste, insensibile anche alla fiamma di una candela ardente fra le sue dita, con gran stupore di migliaia di persone accorse per la già sparsa notizia delle ripetute apparizioni, e più ancora perché la non mai vista fontana, sgorgata dal nudo sasso sotto gli occhi e le mani di Bernardetta il 24 febbraio, quinto giorno della quindicina, operava di continuo le più istantanee sanazioni d’ogni male più incurabile, fra le quali, dalla commissione a ciò istituita dal Vescovo di Tarbes, furono constatate come assolutamente innegabili, non meno di quindici fra le trenta prodigiose sanazioni ch’erano state proposte, Tutte le più indegne arti del secolo, cioè le vessazioni usate a Bernardetta dal Sindaco, dal Direttore di Polizia, dal Regio Pronatore di quel Comune, dal Prefetto di quel dipartimento, dal Ministro del culto a Parigi, congiurati insieme coi medici del luogo, e coi libertini giornali a sparger di ridicolo ed a condannare come finzioni il più innegabile prodigio, tornarono all’atto vane per impedire o smentire: 1.- le apparizioni che dall’11 febbraio al 16 luglio 1858, si ripeterono fino a 18 volte; 2.- l’erezione della domandata Cappella, che finì ad essere un tempio di più di 2 milioni di costo; 3.- le prodigiose guarigioni, che sempre più crebbero in numero, importanza e certezza, per cui l’acqua della fonte di Lourdes è ansiosamente cercata in ogni parte, e con speciale fiducia è da ogni genere di persone devotamente invocata la Immacolata Vergine colà apparsa, e di là diffondente i suoi miracoli in tutto il mondo. – Le meraviglie di questa Apparizione sono assai bene descritte dal signor Enrico Lasserre, uno dei beneficati dalla Madonna di Lourdes colla istantanea ricuperazione della vista quasi perduta. L’opera è intitolata: “Storia di Nostra Signora di Lourdes”.

ALLA MADONNA DI LOURDES ( 11 Febbraio).

I.- Immacolata Regina, che personalmente apparendo qual maestosa Matrona, nella grotta di Massabille sopra Lourdes, onoraste dei vostri benigni sguardi e della comunicazione dei vostri segreti la povera ed infermiccia Bernardetta Soubirons, quanto poco stimabile presso gli uomini per la sua deficienza d’ogni coltura, altrettanto accettissima a voi pel candore della sua innocenza e il fervore della sua devozione, ottenete a noi tutti la grazia che, mettendo sempre ogni nostra gloria nel renderci cari al Signore con una vita tutta conforme alla specialità dei nostri doveri, ci rendiamo al tempo stesso sempre meritevoli dei vostri più speciali favori. Ave.

II.- Immacolata Regina, che, esternando alla povera Bernardetta il vostro desiderio di venire onorata con nuovo tempio nel luogo stesso della vostra apparizione sopra le alture di Lourdes, le ingiungeste ancora di partecipare il vostro ordine ai preti siccome quelli che ne dovevano promuovere esecuzione, ottenete a noi tutti la grazia che, in quanto può riferirsi alle celesti comunicazioni, ci rimettiamo sempre al giudizio dei sacerdoti, essendo essi le guide che Dio medesimo ci ha assegnate per non mai mettere il piede in fallo in tutto ciò che riguarda così il vero culto di Dio, come il vero bene delle anime. Ave.

III.– Immacolata Regina, che, ad assicurar tutto il mondo così della realtà nella vostra apparizioni sopra le alture di Lourdes, come del desiderio da voi espresso di essere ivi onorata con nuovo tempio, faceste sgorgare sotto gli occhi di Bernardetta una sorgente affatto nuova di perenne abbondantissima acqua, quanto gustevole al labbro, altrettanto efficace al risanamento d’ogni più incurabile morbo, ottenete a noi tutti la grazia che, risanandosi per vostra intercessione ciò che è infermo, rinvigorendosi ciò che è sterile nel nostro spirito, apriamo nei nostri cuori quella mistica fonte di virtù e di opere buone, le cui acque salgono alla vita eterna per assicurarcene il felice possedimento. Ave.

IV.- Immacolata Regina, che faceste svanir come nebbia in faccia al sole tutte le armi impugnate dalle più maligne potenze del mondo e dell’inferno per infermare e sventare le vostre divine rivelazioni fatte nella grotta della vostra comparsa alla buona Bernardetta, ottenete a noi tutti la grazia che, lungi dallo sgomentarci per qualsivoglia contraddizione, tanto più spieghiamo di coraggio nel camminare sulle orme da Voi insegnateci, quanto più spiegheranno di forza i nostri spirituali nemici per farci declinare dal cammino retto che solo guida a salute. Ave.

V. Immacolata Regina, che vi degnaste assicurare la buona Bernardetta della eterna beatitudine nell’altra vita, quando ella vi promettesse di cuore di tornare per quindici volte al luogo della vostra apparizione sulle alture di Lourdes, come fece realmente col vostro aiuto, malgrado tutte le arti adoperate contro di lei per distornerla, ottenete a noi tutti la grazia che perseveriamo sempre fedeli nei buoni propositi da Voi suggeriti colle vostre santissime inspirazioni; o così ci assicuriamo quel premio che solo ai perseveranti nel bene è da Dio preparato. Ave.

VI. Immacolata Regina, che a sempre meglio inculcare a tutto il mondo la devozione del santo Rosario mostraste voi stessa di tenera carissima nelle vostre mani la misteriosa corona, e accompagnarne la recita che ne faceva la devota Bernardetta, ottenete a noi tutti la grazia che, facendoci sempre un dovere di praticare colle nostre famiglie una divozione così bella, ci conformiamo ancora costantemente ai divini insegnamenti che ci derivano così dalle santissime preghiere che vi si devono ripetere, come salutari misteri che vi si devono meditare. Ave.

VII. Immacolata Regina, che, a glorificare in modo degno di voi la vostra devotissima Bernardetta, la preservaste da ogni sgomento e da ogni anche minima perturbazione della propria inalterabile tranquillità fra i più insidiosi interrogatori, le più severe minacce e le più inique persecuzioni, la trasformaste in creatura affatto celeste nel tempo delle vostre apparizioni, e la rendeste, alla vista d’immenso popolo, affatto insensibile anche agli ardori di una fiamma su cui nell’estasi della propria preghiera teneva immote le mani, ottenete a noi tutti la grazia che in tutti i nostri pericoli e in tutte le nostre tribolazioni ci affidiamo fiduciosi al materno vostro patrocinio, siccome quello da cui solo possiamo prometterci la liberazione di ogni male e il conseguimento d’ogni bene. Ave.

VIII. Immacolata Regina, che, a soddisfare le pie domande ripetutamente indirizzatevi dalla vostra affezionatissima Bernardetta, ora le spiegaste il motivo del vostro insolito rattristamento, ripetendo nella parola Penitenza ciò che resta sempre da fare a chiunque coi proprii peccati ha meritato i divini castighi, ora colle grandi parole da voi proferite nel giorno stesso della vostra annunciazione: “Io sono la Immacolata Concezione”, le faceste conoscere con precisione la inarrivabilità della vostra eccellenza e la divinità del gran dogma poco prima proclamato dal Sommo Pontefice Pio Nono, vostro fedelissimo servo, quando vi dichiarò affatto esente dall’originale peccato, ottenete a noi tutti la grazia che ci facciamo sempre un dovere di placare colla debita penitenza la divina procata dai nostri falJi, e di sempre propiziarci la divina bontà colla più cordiale venerazione del vostro immacolato Concepimento, che è il più onorifico fra i vostri pregi, il più istruttivo fra i vostri misteri, e l’ossequio il quale è il più proprio a meritarci la vostra potentissima protezione. Ave.

IX. Immacolata Regina, che a perpetuar la memoria della vostra personale apparizione, per ben diciotto volte ripetuta alla buona Bernardetta sulle alture di Lourdes, e dei tanti miracoli operati in tutto il mondo dall’acqua prodigiosamente sgorgata ai vostri piedi, moveste i cuori più duri a concorrere insieme coi più pii alla costruzione di un nuovo tempio rappresentante nella propria magnificenza la nazione primogenita della Chiesa, che si fece poi una gloria di ivi invocare il vostro aiuto coi più devoti pellegrinaggi e colle più splendide testimonianze della propria fede, ottenete a noi tutti la grazia che spieghiamo sempre la più viva riconoscenza a tutti i vostri favori, e congiungendo allo zelo pel vostro culto la imitazione sempre fede, delle vostre celesti virtù, ci assicuriamo la tenerezza del vostro patrocinio in questa vita, e la partecipazione alla vostra gloria tra i Santi e gli Angeli nella eternità. Ave, Gloria.

ORAZIONE.

Deus qui, per Immaculatam Virginis Conceptionem, dignum Filio tuo habitaculum preparasti, qæsumus, ut qui ex morte ejusdem Filii tui prævisa, eam ab omni labe preservasti, nos quoque mundos, ejus intercessione, ad te pervenire concedas. Per eundem Dominum nostrum Jesum Christum, etc, – R). Amen.

TEMPO DI SETTUAGESIMA

TEMPO DI SETTUAGESIMA

[da Dom Guéranger. L’Anno Liturgico, vol I]

Capitolo I

STORIA DEL TEMPO DI SETTUAGESIMA

Importanza di questo tempo.

Il Tempo di Settuagesima abbraccia la durata delle tre settimane che precedono immediatamente la Quaresima e costituisce una delle parti principali dell’Anno Liturgico. È suddiviso in tre sezioni ebdomadarie, di cui solamente la prima porta il nome di Settuagesima; la seconda si chiama Sessagesima; la terza Quinquagesima. È chiaro che questi nomi esprimono una relazione numerica come la parola Quadragesima, donde deriva la parola Quaresima. La parola Quadragesima sta ad indicare la serie dei quaranta giorni che dobbiamo attraversare per arrivare alla festa di Pasqua. Le parole Quinquagesima, Sessagesima e Settuagesima ci fanno quasi vedere tale solennità in un lontano ancora più prolungato; però non è meno importante il grande oggetto che comincia ad assillare la santa Chiesa, la quale lo propone ai suoi figli quale mèta verso cui devono ormai tendere tutti i loro desideri e tutti i loro sforzi. – Orbene, la festa di Pasqua esige per preparazione quaranta giorni di raccoglimento e di penitenza. E il tempo più propizio, il mezzo più potente che adopera la Chiesa per ravvivare nel cuore e nello spirito dei fedeli il sentimento della loro vocazione. Nel loro più alto interesse, essi non devono lasciar passare questo periodo di grazie, senz’averne approfittato per il rinnovamento dell’intera loro vita. Perciò conveniva disporli a questo tempo di salute, ch’è di per se stesso una preparazione, affinché, spegnendosi a poco a poco nei loro cuori i rumori del mondo, fossero più attenti al grave monito che la Chiesa farà loro, imponendo la cenere sul capo.

Origine.

La storia della Settuagesima è intimamente legata a quella della Quaresima. Infatti fin dal V secolo cominciava la sesta domenica prima di Pasqua, che corrisponde alla prima domenica del l’attuale Quaresima, e comprendeva i quaranta giorni che vanno fino al Giovedì Santo, considerato dall’antichità cristiana come il primo Mistero pasquale. – La domenica non si digiunava; di conseguenza non v’erano, propriamente parlando, che 34 giorni di digiuno effettivo (36 col Venerdì e il Sabato Santo), Ma il desiderio d’imitare l’intero digiuno del Signore portò le anime più ferventi ad anticiparlo a Quinquagesima. – Questa usanza si vede apparire la prima volta nel V secolo; tanto che S. Massimo di Torino, nel Sermone 260, pronunciato forse nel 451, la biasima e ricorda che la Quaresima comincia la domenica di Quadragesima. Ma siccome in seguito essa si andava molto diffondendo tra i fedeli, verso il 465, nel Sermone 360, l’approva. Nel vi secolo S. Cesario d’Arles, nella sua Regola per le Vergini, fa cominciare il digiuno una settimana prima della Quaresima, Dunque è certo che, almeno nei monasteri, la Quinquagesima esiste fin d’allora. Il Primo Concilio d’Orléans (511) ordina ai fedeli di osservare prima di Pasqua la Quadragesima e non la Quinquagesima, per « mantenere – dice il canone 26,0 – l’unità delle usanze », Il primo e secondo Concilio d’Orange (511 e 541) combattono il medesimo abuso e proibiscono di digiunare prima della Quadragesima, L’autore del Liber Pontificalis, intorno al 520, segnala l’usanza d’anticipare la Quaresima d’una settimana, ma sembra che fosse ancora poco diffusa.

Sessagèsima,

In seguito, il periodo consacrato al digiuno venne ancora anticipato di un’altra settimana, che si aggiunse alla Quinquagesima e si chiamò Sessagesima, La prima menzione si riscontra nella Regola di S, Cesario, scritta per i Monaci prima del 542, Ugualmente ne parla il IV Concilio d’Orléans, nel 541, ma solo per proibire le anticipazioni del digiuno.

Settuagesima.

Finalmente, verso la fine del vi secolo o al principio del vii, apparve a Roma la Settuagesima, come se ne fa menzione nelleOmelie di S. Gregorio Magno (594-604). Le osservanze liturgiche raggiunsero a poco a poco prima l’Italia del Nord, con Milano, poi, per l’influsso dei Carolingi, tutta l’Europa occidentale, L’Inghilterra le ricevette alla fine del VII secolo e l’Irlanda soltanto dopo il IX. Però, se il digiuno era ormai osservato durante le settimane di Quinquagesima e di Sessagesima, sembra che al momento della sua istituzione, la Settuagesima non fosse che una celebrazione liturgica senza digiuno; mentre nel IX secolo i Concili Carolingi lo prescrivono formalmente.

Soppressione dell’Alleluia.

Sappiamo da Amalario che, dall’inizio del IX secolo, alla Settuagesima si sospendeva l’Alleluia e il Gloria in excelsis Deo, Anche i monaci si conformarono a quest’uso, sebbene la Regola di S. Benedetto formulasse una disposizione contraria. Secondo alcuni fu S. Gregorio VII (1073-1085) che, alla fine del XI secolo, soppresse l’ufficiatura alleluiatica, in uso fino allora, alla domenica di Settuagesima, Si tratta delle Antifone alleluiatiche delle Lodi, che S, Gregorio VII avrebbe sostituite con quelle dell’ufficio della domenica di Settuagesima, fornendo quest’ultima di nuove antifone. Tale fatto è attestato dall’Orbo Ecclesiae Lateranensis del XII secolo, È dunque da ritenere che fu quel Papa ad anticipare la soppressione dell’Alleluia al sabato avanti la Settuagesima (Mons. Callewaert, Sacris eruditi, p, 650), Così questo Tempo dell’Anno Liturgico, dopo vari esperimenti,finì per stabilirsi definitivamente.- Fondato sull’epoca della festa di Pasqua è, per ciò stesso, soggetto a ritardo o ad anticipo, secondo la mobilità di quella festa. Il 18 gennaio e il 22 febbraio vengono chiamati chiave della Settuagesima, perché la domenica che porta questo nome non può essere collocata né prima del 18 gennaio, né dopo il 22 febbraio.

Capitolo II

Il tempo in cui entriamo contiene profondi misteri, che non sono solamente propri delle tre settimane che ci preparano alla santa Quarantena, ma si estendono a tutto il periodo che ci separa dalla grande festa della Pasqua.

Due tempi.

Il numero settenario è il fondamento di questi misteri. « Vi sono due tempi, dice S. Agostino nel suo commento al Salmo 148: uno si attraversa ora, nelle tentazioni e tribolazioni della vita; l’altro si passerà in una sicurezza e letizia eterne. Noi li celebriamo, il primo avanti la Pasqua, il secondo dopo la Pasqua. II tempo avanti la Pasqua esprime le angosce della vita presente; quello che comincia con la Pasqua significa la beatitudine che godremo un giorno. Ecco perché passiamo il primo dei due tempi nel digiuno e nella preghiera, mentre il secondo lo dobbiamo dedicare ai canti della gioia; e per tutta la sua durata è sospeso il digiuno ».

Due luoghi.

La Chiesa, interprete delle sacre Scritture, ci addita due diverse città, in diretto rapporto coi due tempi descritti da S. Agostino: Babilonia e Gerusalemme. La prima è il simbolo di questo mondo di peccato, dove il cristiano passerà il tempo della prova; la seconda è la patria celeste, dove si riposerà di tutti i suoi combattimenti. Il popolo d’Israele, la cui storia è tutta una grandiosa figura dell’umanità, fu esiliato da Gerusalemme e tenuto, per settant’anni prigioniero in Babilonia. Per esprimere questo mistero la Chiesa, secondo Alenino, Amalario, Ivo di Chartres e generalmente i liturgisti del Medioevo, ha voluto fissare per i giorni dell’espiazione il numero settuagenario, e seguendo lo stile delle sacre Scritture, ha preso il numero simbolico per quello reale.

Le sette età del mondo.

Secondo le antiche tradizioni cristiane anche la durata del mondo si suddivide in sette periodi. Prima che albeggi il giorno della vita eterna il genere umano deve attraversare sette età. La prima è trascorsa dalla creazione di Adamo a Noè; la seconda dal diluvio fino alla vocazione di Abramo; la terza comincia con questo primo nucleo del popolo di Dio e arriva a Mosè, per le cui mani il Signore elargì la Legge; la quarta si estende da Mosè a David, nella cui persona si inizia la sovranità reale nella casa di Giuda; la quinta abbraccia la serie di secoli dopo il regno di David fino alla cattività dei Giudei in Babilonia; la sesta si svolge dal loro ritorno dalla cattività fino alla nascita di Gesù Cristo. Finalmente si apre la settima età, che sorge con l’apparizione del Sole di giustizia, e durerà fino all’avvento del Giudice dei vivi e dei morti. Tali sono le sette grandi frazioni dei tempi, dopo i quali non v’è che l’eternità.

Il settenario della gioia.

Per confortarci in mezzo ai combattimenti di cui è cosparso il nostro cammino, la Chiesa ci fa conoscere un altro settenario, che in realtà seguirà a quello che andiamo attraversando. Dopo la Settuagesima della tristezza verrà la Pasqua, con sette settimane di gioia, a farci pregustare le consolazioni e le delizie del cielo. Difatti, dopo aver digiunato con Cristo e compartecipato alle sue sofferenze, risusciteremo con lui, e i nostri cuori lo seguiranno nel più alto dei cieli. A poco a poco sentiremo discendere in noi il divino Spirito coi suoi sette doni; per cui la celebrazione di sì grandi meraviglie non ci chiederà meno di sette settimane, cioè da Pasqua a Pentecoste.

Il periodo della tristezza.

Dopo aver gettato uno sguardo di speranza verso il consolante avvenire dobbiamo ora rifarci alle realtà presenti. Che cosa siamo quaggiù? Degli esiliati, degli esseri in catene, in preda a tutti i pericoli che Babilonia ci nasconde. Orbene, se amiamo la patria, se desideriamo rivederla, dobbiamo romperla con le false lusinghe di questo perfido straniero e respingere lungi da noi quella tazza, alla quale s’inebria una gran parte dei nostri fratelli di cattività. Essa c’invita ai trastulli ed ai piaceri; ma le nostre arpe devono rimaner sospese ai salici presso le rive del suo fiume, fino a quando ci sarà dato il segnale di rientrare in Gerusalemme. Vorrebbe impedirci di riascoltare i canti di Sion entro le sue mura, come se il nostro cuore potesse star contento lontano dalla patria, mentre un esilio eterno sarebbe la pena della nostra infedeltà. « Come canteremo i cantici del Signore in terra straniera?» (Sal. CXXXVI, 4).

I riti della penitenza.

Sono questi i sentimenti che la Chiesa cerca d’infonderci in tali giorni, richiamando l’attenzione sui pericoli che ci circondano, dentro e fuori di noi, da parte delle creature. Per il resto dell’ anno ci spronerà a ripetere il canto celestiale del gioioso Alleluia! Ma ora ci mette la mano sulla bocca, perché non abbia mai a risuonare quel grido d’allegrezza in Babilonia. «Siamo in viaggio e lontani dal Signore » (II Cor. V, 6): serbiamo i nostri inni per il momento che lo raggiungeremo. Siamo peccatori, e molto spesso complici degli infedeli: purifichiamoci col pentimento, perché sta scritto che « la lode del Signore perde la sua bellezza nella bocca del peccatore» (Eccli. XV, 9). La caratteristica di questo tempo è, dunque, la sospensione dell’Alleluia che non dovrà più sentirsi sulla terra, fino a quando non avremo partecipato alla morte di Cristo e non saremo risuscitati con Lui per una vita nuova (Col. II, 12). – Ugualmente ci viene tolto l’inno angelico Gloria a Dio nel più alto dei cieli, che riecheggiò ogni domenica dopo la nascita del Redentore; ci sarà solo concesso ripeterlo in quei giorni della settimana in cui si commemora la festa d’un Santo. Alla domenica il Mattutinoperde fino a Pasqua l’Inno Ambrosiano “Te Deum laudamus”. – Al termine del Sacrificio il diacono non scioglierà più l’assemblea dei fedeli con le parole Ite, Missa est ; ma solo li inviterà a continuare la loro preghiera in silenzio, benedicendo il Dio della misericordia che, malgrado le nostre iniquità, non ci ha rigettati da Lui. – Dopo il Graduale della Messa, in luogo dell’Alleluia, che si ripeterà tre volte per disporre i nostri cuori ad aprirsi per ascoltare la voce stessa del Signore nella lettura del suo Vangelo, sentiremo l’emozionante melodia del Tratto, il quale esprime il linguaggio del pentimento, della supplica incessante e dell’umile confidenza, che ci devono essere abituali in questi giorni.

Altri riti liturgici

Pare che la Chiesa si preoccupi d’avvertire anche i nostri occhi, che il tempo in cui entriamo è un tempo di dolore. Difatti, il violaceo sarà il colore abituale, quando non vi sarà un Santo da festeggiare. Fino al Mercoledì delle Ceneri il diacono e il suddiacono continueranno a indossare la dalmatica e la tunica; ma a partire da questo giorno deporranno questi abiti di gioia, e aspetteranno che l’austera Quarantena ispiri alla Chiesa come esprimere ancora più la sua tristezza, eliminando tutto ciò che potrebbe minimamente risentire di quello splendore, di cui in altro tempo ama circondare i suoi altari.

Capitolo III

Sono scomparse le gioie che gustammo con la Nascita dell’Emmanuele. Furono quaranta giorni di breve gioia; poi il cielo della Chiesa si è oscurato, apparendo soffuso di tinte più tristi. Forse è per sempre perduto il Messia atteso con tanta speranza nelle settimane d’Avvento? O il Sole di giustizia ha deviato il suo corso per dirigersi lontano da questa terra colpevole?

Partecipazione alla Passione di Cristo.

Rassereniamoci. Il Figlio di Dio e di Maria non ci può aver abbandonati, perché il Verbo s’è fatto carne per abitare in mezzo a noi. Gli è riservata una gloria più grande di quella di nascere fra i cori angelici, e noi ne avremo parte; ma la comprerà a prezzo di mille patimenti e con la più crudele e più ignominiosa delle morti. Se, dunque, vogliamo partecipare al trionfo della sua Risurrezione, dobbiamo prima seguirlo nella via dolorosa bagnata dalle sue lacrime e dal suo sangue. – Fra poco si farà sentire la voce della Chiesa per invitarci alla penitenza quaresimale; ma in preparazione a questo penoso battesimo, vuole che per tre settimane ci soffermiamo a sondare la profondità delle piaghe fatte alle nostre anime dal peccato. È vero, niente uguaglia il fascino e la dolcezza del Bambino di Betlem; ma non ci bastano più le sue lezioni d’umiltà e semplicità. Sta per essere eretto l’altare, dove sarà immolata da una tremenda giustizia la grande vittima che morirà per noi, ed è quindi tempo che ci chiediamo conto delle obbligazioni che abbiamo con Colui ch’è pronto a sacrificare l’innocente in luogo dei colpevoli.

Opera di purificazione.

Il mistero d’un Dio che si degna incarnarsi per gli uomini ci ha aperto i sentieri della Via illuminativa ; ma i nostri occhi sono invitati a contemplare una luce più viva. Non si turbi il nostro cuore: la bellezza della Natività sarà superata dalla grande vittoria dell’Emmanuele. Ma se il nostro occhio è ansioso di mirare il suo splendore, si deve prima purificare, immergendosi senza debolezza nel profondo abisso della sua miseria. A nessuno sarà negato il lume divino per compiere quest’opera di purificazione e di giustizia. Quando giungeremo a ben conoscere noi stessi ed a renderci conto della profonda caduta originale e della malizia dei peccati attuali, a comprendere, nella luce di Dio, la sua immensa misericordia per noi, allora soltanto saremo preparati alle salutari espiazioni che ci attendono ed alle gioie ineffabili che le seguiranno.

Il pianto dell’esilio.

Poiché tale tempo è consacrato ai più gravi pensieri, non sappiamoesprimere meglio i sentimenti che la Chiesa attende dal cristiano che traducendo un brano dell’eloquente esortazione, che nel secolo IX indirizzava il grande Ivo di Chartres al suo popolo, all’aprirsi della Settuagesima. « Lo disse l’Apostolo: Tutte le creature sospirano e sono nei dolori del parto. E non esse soltanto, ma anche noi che dobbiamo le primizie dello spirito, anche noi sospiriamo dentro noi stessi, aspettando l’adozione dei figli di Dio e la redenzione del nostro corpo (Rom. VIII, 22). Questa anelante creatura è l’anima allontanata dalla corruzione del peccato, che piange la sorte d’essere ancora soggetta a tante caducità e continuerà a soffrire i dolori della sua nascita fino a quando sarà lontana dalla patria. Per la stessa ragione il Salmista esclamava: Misero me! il mio pellegrinaggio è prolungato! (Sal. CXIX, 5). Lo stesso Apostolo, che aveva ricevuto lo Spirito Santo ed era uno dei primi membri della Chiesa, ansioso di ricevere di fatto l’adozione filiale, che già possedeva nella speranza, esclamava: “Desidero morire ed essere con Cristo” (Filip. I, 23). Perciò dobbiamoin questi giorni più che mai abbandonarci al pianto ed alle lacrime, per meritare con la tristezza ed i lamenti del nostro cuore di ritornare nella patria, dalla quale ci esiliarono le gioie che procurano la morte. Piangiamo durante il viaggio, se vogliamo gioire giunti alla mèta; percorriamo l’arena della vita presente per cogliere al termine il premio della chiamata celeste; non siamo dei viaggiatori insensati che dimenticano la propria terra e s’affezionano a quella dell’esilio, o si fermano lungo la via; neppure dobbiamo essere di quei malati insensibili che non sanno cercare il rimedio ai loro mali, perché è già spacciato chi non ha neppure coscienza della propria infermità. Corriamo dunque dal medico dell’eterna salute, a scoprirgli tutte le nostre ferite e a fargli sentire l’intimo grido dell’anima nostra: Abbi pietà di me. Signore, che son malato: ridonami la salute, perché le mie ossa sono sconquassate (Sal. VI, 3). Così questo medico divino perdonerà le nostre iniquità, ci guarirà da tutti i languori e colmerà tutti i nostri desideri per il bene ».

Vigilanza.

Il cristiano che vuole, durante questo tempo, penetrare lo spirito della Chiesa, deve bandire da sé quella falsa sicurezza, o quella propria soddisfazione che spesso alligna nelle anime molli e tiepide e non produce che sterilità, quando non porta insensibilmente alla distruzione del vero senso cristiano. Chi si crede dispensato da questa continua vigilanza, tanto raccomandata dal Salvatore (Mc. XIII, 37), è già nelle mani del nemico; chi non sente il bisogno di combattere, lottare per mantenersi saldo nella via del bene deve temere d’essere molto lontano dal Regno di Dio, che si conquista con la forza (Mt. XI-12); chi dimentica i peccati perdonati dalla misericordia divina, deve tremare al pensiero che d’ora in poi sarà lo zimbello d’una pericolosa illusione (Eccli. V, 5). Diamo dunque gloria a Dio in questi giorni, consacrandoci alla coraggiosa contemplazione delle nostre miserie, ed attingendo nella conoscenza di noi stessi sempre nuovi motivi di sperare in Colui, che mai debolezze ed errori impedirono d’abbassarsi fino a noi per innalzarci fino a Lui.

Trionfo della Chiesa

Nella attuale situazione della Chiesa Cattolica, Chiesa attualmente eclissata da un orribile mostro conciliare, infettato dal cancro e dalla peste del modernismo, somma di tutte le eresie, mostro sostenuto pure dalle sette eretico-scismatiche sedicenti tradizionaliste, ci conforta leggere l’introduzione all’opera di Sant’Alfonso Maria dei Liguori: “Storia delle eresie”, che ci ricorda appunto che la “barca di Pietro”, battuta dalle tempeste e dai marosi delle eresie susseguitesi nel corso dei secoli, alfine è stata sempre vittoriosa e più splendente che in precedenza, grazie alla mano di Dio Onnipotente che sempre la sostiene e la dirige. Animo quindi, anche la peste modernista attuale sarà superata, in un modo a noi umanamente impensabile, ma la promessa evangelica di Gesù Cristo si compirà ancora una volta … portæ inferi non prævalebunt … a noi il compito di mantenerci fermi nella fede secondo il Magistero della Santa Chiesa cattolica, senza digressioni o fantasie pseudo-teologiche, cosicché terminata la corsa, con l’aiuto del Cuore Immacolato di Maria, possiamo giungere al premio eterno promesso da Gesù-Cristo a coloro che fanno la volontà del Padre suo.

Trionfo della Chiesa,

ossia “Istoria delle Eresie colle loro confutazioni” (1772) di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori

INTENTO DELL’OPERA

1.- L’intento di quest’opera è di far vedere che la Chiesa cattolica romana è fra tutte le altre chiese l’unica vera; dimostrandosi la cura che Dio ne ha tenuta, facendola sempre restar vittoriosa contro tutte le persecuzioni de’ suoi nemici. Pertanto da essa debbono tutti dipendere, come dal fonte e dal capo, secondo scrisse S. Ireneo: “Omnes a romana ecclesia necesse est ut pendeant tamquam a fonte et capite” (L. 3. c. 3. n. 2.). Questa già è quella Chiesa che fu fondata da Gesù Cristo e poi propagata dagli apostoli; e quantunque fin dal principio fosse stata da per tutto perseguitata e contraddetta, come opposero i giudei a S. Paolo in Roma: “De secta hac, così chiamavano essi la religion cristiana, notum est nobis quia ubique ei contradicitur”, nondimeno ella si mantenne sempre stabile, a differenza delle altre chiese false che a principio ebbero molti seguaci, ma poi col tempo restarono dissipate; come si vedrà nell’opera, quando parleremo degli Ariani, de’ Nestoriani, Eutichiani, Pelagiani e simili. E se qualche setta è rimasta numerosa, come quella de’ Maomettani, de’ Luterani e Calvinisti, da ognuno tuttavia si scorge che non già l’amor della verità la sostiene, ma o l’ignoranza de’ popoli o la licenza de’ costumi. Dice S. Agostino che le eresie non sono abbracciate se non da coloro i quali, se fossero restati nella Chiesa, si sarebbero perduti egualmente per la perversità de’ loro vizj: “Non ex aliis hominibus fiunt haeretici, quam ex iis qui, si in ecclesia permansissent, propter vitae turpitudinem nihil ominus periissent”.

2.- La nostra Chiesa all’incontrario, non ostante che ella insegna a’ suoi figli una legge contraria alle inclinazioni della natura corrotta, non solamente non mancò in mezzo alle persecuzioni, ma con quelle più crebbe; onde poté asserire Tertulliano che il sangue de’ martiri era come una feconda semenza che moltiplicava i cristiani, di cui quanti più ne erano uccisi, tanto più ne cresceva il numero: “Sanguis martyrum semen christianorum; quoties metimur, plures efficimur”. E prima aveva scritto: “Christi regnum et nomen ubique creditur, ab omnibus gentibus colitur”. E ciò si conforma a quel che scrisse Plinio il giovine nella sua celebre lettera a Traiano, dicendo venirgli riferito dall’Asia che ivi regnava da per tutto la religion cristiana, in modo che si vedevano abbandonati tutti i templi degli idoli: “In Asia prope iam desolata esse templa deorum, eo quod christiana religio non tantum civitates sed etiam vicos occupasset”.

3. Ciò non poteva certamente avvenire senza la forza dell’onnipotente mano divina, trattandosi di fondare in mezzo all’idolatria una nuova religione che distruggeva tutte le superstizioni di quella e la credenza così invecchiata di tanti falsi dei, comunemente prima adorati da’ gentili e dai loro antenati ed anche da’ magistrati e dagli stessi imperatori, che con tutto il loro vigore la proteggevano: e ciò non ostante la fede cristiana da molti popoli fu abbracciata, passando essi da una legge rilassata ad un’altra dura che vietava il secondare gli appetiti del senso. Chi mai poteva condurre a fine una tale impresa se non la potenza di un Dio?

4.- Grandi pertanto furono le persecuzioni che patì la Chiesa dall’idolatria; ma più terribili furono quelle che ebbe a soffrire dalle eresie uscite dal suo medesimo seno per mezzo di uomini malvagi, che mossi dalla superbia, o dall’ambizione, o dalla libertà de’ sensi, impresero a lacerar le viscere della stessa loro madre. L’eresia dall’apostolo fu chiamata cancer (ut cancer serpit), perché siccome il canchero infetta tutto il corpo, così l’eresia infetta tutta l’anima, infetta la mente e il cuore, l’intelletto e la volontà. Ella si chiama ancora peste, perché non solo infetta la persona che n’è contaminata, ma ancora gli altri che a lei si accostano. Ed in fatti avvenne che, dilatandosi questa peste nel mondo, è stato molto maggiore il danno recato alla Chiesa dall’eresia che dall’idolatria; sì che questa buona Madre è stata più maltrattata dai figli che dagli stessi suoi nemici. Nulladimanco ella è restata sempre superiore in tutte le tempeste che gli eretici le han suscitate contro. Parve un tempo che l’eresia dell’empio Ario avesse oppressa la Chiesa, precisamente quando per le frodi di Valente e di Ursacio vescovi perversi fu condannata la fede del Concilio niceno; onde scrisse san Geronimo che allora il mondo gemendo si vide fatto Ariano: “Et ingemiscens orbis terrarum se Arianum esse miratus est” [Actor. 28. 22.]. E la stessa oppressione par che avesse sofferta la Chiesa nell’oriente a tempo dell’eresie di Nestorio e di Eutichete; ma ella è una meraviglia e una consolazione insieme nel leggere i successi delle eresie, come in certi tempi sembrava che la navicella della Chiesa dalla forza delle persecuzioni restasse superata e sommersa, e come poi in breve tempo si è veduta risorgere più gloriosa e trionfante di prima.

5.- Scrisse S. Paolo: “Oportet et haereses esse, ut et qui probati sunt, manifesti fiant in vobis”. Spiega s. Agostino la parola oportet, e dice che siccome il fuoco è necessario a purgare l’argento e separarlo dalla scoria, così le eresie sono necessarie a provare i buoni tra i cattivi cristiani, ed a separar la vera dalla falsa dottrina. La superbia degli eretici fa loro presumere che essi conoscano la vera fede, e che la Chiesa cattolica erri. Ma qui sta l’inganno: perché non possiamo noi tener per vera quella fede che ci addita la nostra ragione; mentre le verità della fede divina sono superiori alla nostra ragione. Dobbiamo per tanto attenerci a quella fede che Iddio ha rivelata alla sua Chiesa, e la Chiesa c’insegna, la quale, come dice l’apostolo, è la colonna e la fermezza della verità: “Ecclesia Dei vivi columna et firmamentum veritatis” (Apol. c. ult. ). Onde poi s. Ireneo parlando della Chiesa romana dice che in essa debbono convenire le altre chiese e tutti i fedeli, perché nella Chiesa romana si è conservata sempre la tradizione degli Apostoli: “Omnes a romana ecclesia necesse est ut pendeant, tamquam a fonte et capite. Ad hanc enim ecclesiam propter potiorem principalitatem necesse est omnem convenire ecclesiam, hoc est eos qui sunt undique fideles; in qua semper ab his, qui sunt ubique, conservata est ea, quae ab apostolis est traditio” [Cap. 20.]. E nello stesso luogo aggiunge che per tale tradizione e fede, pervenuta a noi per la successione de’ vescovi della romana chiesa, restan confusi i di lei nemici: “Per Romæ fundatæ ecclesiæ eam, quam habet ab apostolis, traditionem et fidem per successionem episcoporum provenientem usque ad nos, confundimus eos, qui per caecitatem et malam conscientiam, aliter quam oportet, colligunt”. Volete sapere, dice s. Agostino, quale è la vera chiesa di Gesù Cristo? Ritrovate quella ove si numerano i sacerdoti che per continua serie son succeduti nella sede di Pietro, e questa è la pietra, contro cui non possono prevalere le porte dell’inferno: “Numerate sacerdotes vel ab ipsa sede Petri in ordine illo patrum; quis cui successerit, videte, ipsa est petra quam non vincunt superbæ inferorum portæ”. Ed in altro luogo asserisce il santo dottore, che tal successione de’ sacerdoti lo teneva in essa Chiesa: “Tenet me in ipsa ecclesia ab ipsa sede Petri usque ad praesentem episcopatum successio sacerdotum”. Poiché in verità questo carattere della continua successione degli Apostoli e poi dei loro discepoli è un carattere che non si trova che nella sola Chiesa cattolica.

6.- Pertanto il Signore ha voluto che questa sua Chiesa, ove si conserva la vera fede, fosse una, acciocché tutti i fedeli tenessero la stessa fede da questa Chiesa insegnata. Ma il demonio, scrive s. Cipriano, ha inventate le eresie per dividere questa unità, procurando per tal via di distruggere la fede: “Haereses invenit, quibus subverteret fidem, scinderet unitatem”. Ha procurato il maligno che gli uomini costituissero più chiese diverse, affinché, seguitando ciascuno la credenza della sua chiesa particolare, contraria alla credenza delle altre, restasse confusa la vera fede, e si formassero tante fedi false, quante sono le chiese diverse, o per meglio dire, quante sono le teste degli uomini: com’è accaduto specialmente in Inghilterra, ove le religioni sono tante, quante son le famiglie e quante son le persone; poiché nella stessa famiglia ciascuno tiene quella religione che gli piace. Ma perciò, dice s. Cipriano, ha disposto Iddio che la vera fede nella sola Chiesa cattolica romana si conservasse, acciocché, non essendovi che una Chiesa, una fosse per tutti i fedeli sempre uniforme la dottrina e la fede: “Primatus Petro datur, ut una Christi ecclesia et cathedra una monstretur”. Lo stesso fu scritto da S. Optato Milevitano a Parmeniano: Negare non potes, scire te in urbe Romæ Petro primo cathedram episcopalem esse collatam… in qua una cathedra unitas ab omnibus servaretur”.

7.- Anche gli eretici vantano l’unità delle loro chiese; ma dice S. Agostino che la loro unità “est unitas contra unitatem”. Quale unità mai, dice il santo, aver possono tutte quelle chiese che son divise dalla Chiesa cattolica ch’è l’unica vera? Le misere son rimaste come tanti rami mutili recisi dalla vite, che è appunto la Cattolica Chiesa, la quale sta e sarà sempre ferma nella sua radice: Ipsa est ecclesia sancta, ecclesia una, ecclesia vera, ecclesia catholica, contra omnes haereses pugnans; pugnare potest, expugnari non potest. Haereses omnes de illa exierunt, tanquam sarmenta inutilia de vite praecisa: ipsa autem manet in radice sua, in vite sua, in caritate sua: portæ inferorum non vincent eam. Scrive parimente s. Geronimo che gli eretici per la stessa ragione per cui si han formata una chiesa diversa dalla Chiesa romana, essi medesimi si dichiarano esser quei seguaci dell’errore e discepoli del demonio, che furono descritti dall’apostolo: “Attendentes spiritibus erroris, et doctrinis daemoniorum”. Ecco le parole di s. Geronimo: “Ex hoc ipso quod postea instituti sunt, eos se esse iudicant, quos apostolus futuros prænuntiavit”.

8.- Ma dicono i Luterani e i Calvinisti, e prima lo dissero i Donatisti, che la Chiesa cattolica ha conservata la vera fede sino a certo tempo (altri dicono sino al terzo secolo, altri sino al quarto, altri sino al quinto); ma che poi è mancata, corrompendo la sana dottrina, onde da sposa è divenuta adultera. Ma tale opposizione si riprova e convince da se stessa: perché posto che la Chiesa romana è stata la prima fondata da Gesù Cristo, ella non ha potuto, né può mai mancare; mentre dallo stesso nostro Salvatore le sta fatta la promessa, che non mai sarebbe stata vinta dalle porte dell’inferno: “Et ego dico tibi, quia tu es Petrus, et super hanc petram ædificabo ecclesiam meam, et portæ inferi non prævalebunt adversus eam”. Ammesso dunque per certo che la Chiesa romana è stata vera, come confessa anche il luterano Gerardo, che fu uno de’ primi ministri di Lutero, avendo scritto: “Certum quidem est (ecclesiam romanam) primis quingentis annis veram fuisse et apostolicam doctrinam tenuisse” 1; se dunque è stata vera una volta, ella ha dovuto e dovrà esser sempre vera, e non mai può diventare adultera, come scrive s. Cipriano: “Sponsa Christi adulterari non potest”.

9.- Replicano gli eretici (i quali, invece di apprendere dalla Madre i dogmi che debbono credere, vogliono insegnare alla Madre i dogmi falsi e perversi) e dicono: per noi sta la scrittura sacra, la quale è il fonte della verità. Ma non vogliono intendere che le scritture, come dice un dotto autore, “non in legendo consistunt, sed in intelligendo”. Tutti gli eretici si valgono della scrittura per fondare i loro errori; ma non dobbiamo noi intender la scrittura, come noi l’interpretiamo col nostro spirito privato, che spesso c’inganna, ma secondo c’insegna la santa Chiesa, la quale ci è stata assegnata per maestra della vera dottrina, ed alla quale Iddio manifesta il vero senso de’ sacri libri. Questa Chiesa, dice l’Apostolo, è quella che da Dio è stata costituita per la colonna e la fermezza della verità: “Scias quomodo oporteat te in domo Dei conversari, quæ est ecclesia Dei vivi, columna et firmamentum veritatis” [3]. Onde scrive s. Leone che la fede cattolica deve disprezzar gli errori degli eretici che latrano contro la Chiesa, mentr’eglino si sono allontanati dal vero evangelio, ingannati della loro vana sapienza del mondo: “Fides igitur catholica oblatrantium haereticorum spernat errores, qui mundanæ sapientiæ vanitate decepti a veritatis evangelio recesserunt”.

10.- Posto ciò io stimo esser molto l’utile che si ricava dalla lettura dell’istoria delle eresie; ella fa comparire più bella e risplendente la verità della nostra fede, in dimostrarcela sempre uniforme a se stessa; e se tal lettura è stata sempre giovevole, maggiormente lo sarà ne’ tempi presenti, ne’ quali audacemente si mettono in dubbio le massime più sante e i dogmi più principali. Inoltre ella ci fa vedere la cura che sempre ha avuta Iddio in sostener la sua Chiesa in mezzo a tante procelle che sembravano volerla abbattere; ed insieme le maniere ammirabili con cui ha fatti restar confusi tutti i nemici che l’hanno combattuta. Giova ancora il leggere le storie delle eresie per conservarci nello spirito di umiltà e di soggezione alla Chiesa; ed anche per renderci grati a Dio in averci fatti nascere in paesi ove ella regna, nel vedere in quali errori ed inezie sono caduti tanti uomini letterati, per non aver voluto eglino sottomettersi a’ di lei insegnamenti.

11.- Ma veniamo a vedere l’intento della presente opera. Stimerà alcuno superflua questa mia fatica, dopo che tanti eccellenti autori hanno scritto distesamente la storia delle eresie, come sono Tertulliano, s. Ireneo, s. Epifanio, s. Agostino, s. Filastrio, Teodoreto, Vincenzo Lirinese, Socrate, Sozomeno, Niceforo e molti altri antichi e moderni. Ma per questo stesso motivo che molti autori hanno scritto a lungo in più volumi la storia delle eresie, io mi son mosso a fare quest’opera, considerando che molti o non hanno tempo di leggere questi libri così diffusi, o pure non hanno la possibilità di comprarli, e perciò ho procurato in questo mio libro di raccogliere in breve i principj ed i progressi di tutte le eresie, sì che senza l’applicazione di molto tempo e senza molta spesa può ciascuno restar sufficientemente informato delle eresie e degli scismi che hanno infestata la Chiesa. Ho detto in breve; ma non tanto in breve, come hanno fatto alcuni altri autori che appena accennano i fatti, e lasciano il leggitore scontento, o almeno poco istruito di più cose importanti a sapersi. Io ho cercato di esser breve, come ho detto, ma nello stesso tempo mi sono studiato di dare a’ leggitori una tal cognizione di ciascuna eresia (parlando di quelle che hanno fratto più rumore nella Chiesa), per cui ne restassero contenti ed appieno informati, almeno circa i fatti più notabili.

12.- Inoltre mi ha spinto a dar fuori quest’opera il vedere che gli autori moderni, i quali meglio hanno appurati i fatti, hanno parlato delle eresie, scrivendo essi della storia universale della Chiesa; come hanno fatto il Baronio, Fleury, Natale Alessandro, Tillemont, Orsi, Spondano, Rinaldo, Graveson ed altri. Onde essi hanno parlato di ciascuna eresia in diversi luoghi, secondo l’ordine de’ tempi, ne’ quali è uscita fuori quella eresia o han fatto progresso o è stata abbattuta; e perciò il lettore ha da scorrere diversi luoghi dell’opera per informarsi della nascita, del seguito e della sconfitta che quell’eresia ha avuta. Io all’incontro ho procurato di unire insieme nello stesso luogo tutte le notizie che a ciascuna eresia si appartengono.

13.- Di più non tutti i nominati scrittori hanno addotte le confutazioni delle eresie; e queste confutazioni io le collocherò nel terzo tomo di quest’opera. Non prenderò però tutte a confutarle, ma quelle sole che hanno avuto maggior seguito, come sono state quella di Sabellio, di Ario, di Pelagio, di Macedonio, di Nestorio, di Eutichete, de’ Monoteliti, degl’Iconoclasti, de’ Greci e simili. Delle altre eresie poi che hanno avuto minor seguito accennerò in breve solamente gli autori e gli errori, la falsità de’ quali si conosce dalla loro evidente insussistenza, oppure dalla confutazione che addurrò delle altre eresie più celebri che poc’anzi ho nominate.

14.- Frattanto, lettor mio, ringraziamo noi incessantemente il Signore di averci fatti nascere ed allevare in grembo della Chiesa cattolica. S. Francesco di Sales esclamava: “Buon Dio, molti e grandi sono i benefici coi quali mi avete obbligato, e ve ne ringrazio; ma come potrò io ringraziarvi per avermi illuminato colla santa fede?” E ad una persona scrisse: “O Dio! La bellezza della nostra santa fede compare sì bella, che io ne muoio d’amore; e mi pare che debba chiudere questo dono prezioso dentro un cuore tutto profumato di devozione”. E s. Teresa non si saziava di ringraziare sempre Dio di averla fatta figlia della santa Chiesa. Stando in morte tutta si consolava dicendo: “Muoio figlia della santa Chiesa, muoio figlia della santa Chiesa”. E così ancor noi non lasciamo di ringraziar Gesù Cristo di questa grazia a noi donata, la quale è una delle maggiori che Egli ci ha fatte, distinguendoci con tal favore da tanti milioni di uomini, che sono nati e morti fra gl’infedeli o fra gli eretici. “Non fecit taliter omni nationi” [2. Tim. 2. 17.]. E con animo grato per sì gran beneficio entriamo a vedere il trionfo che la santa Chiesa ha ottenuto per tanti secoli sovra tutte le eresie che hanno cercato di oppugnarla. Prima però di cominciare voglio protestarmi coi signori letterati che io ho fatto quest’opera in mezzo alle cure del vescovado; onde non ho potuto con tutto il rigore della critica esattamente esaminare ciascuna cosa di quelle che ho scritte; quindi in molti fatti ho riferite le diversità che vi sono fra gli autori, senza prender partito con darvi il mio sentimento. Nondimeno ho procurato di ricavar tutto da autori appurati e di chiaro nome; ma trattandosi di tanti innumerabili avvenimenti che si addurranno, non sarà difficile che alcuno erudito appuri qualche fatto meglio di me.

… et Ipsa conteret caput tuum …

Ex cathedra

Ex cathedra

(Fonte: “Spiegazione familiare della Dottrina Cristiana, Adattato per la Famiglia e gli studenti di scuole cattoliche e università, pagine 40-41, Di P. Michael Müller, C.SS.R., Imp ., 1875) Michael Müller, C.SS.R., Imp., 187

D. Quando il Papa parla “ex cathedra“, o infallibilmente?

R. Il Papa parla infallibilmente ogni volta che nello svolgimento del suo ufficio di pastore e maestro di tutti i cristiani, definisce (vale a dire, determina definitivamente), secondo la sua suprema autorità apostolica, una dottrina riguardante la fede o la morale, che si terrà dalla Chiesa universale, o qualsiasi altra cosa che è utile alla conservazione della fede e della morale.

D. Quando il Papa, in conformità con il dovere del suo ministero apostolico e la sua suprema autorità apostolica, procede, con brevi, lettere encicliche, allocuzioni concistoriali, e altre lettere apostoliche, nel dichiarare certe verità, riprovare dottrine perverse, e condannare alcuni errori, tali dichiarazioni di verità e condanne di errore, devono essere considerate infallibili e come vincolanti per la coscienza, e richiedono il nostro assenso interiore, anche se non esprimono un anatema verso coloro che sono in disaccordo?

R. Queste dichiarazioni di verità e condanne di errori sono infallibili, o ex cathedra come atti del Papa, e, quindi, sono vincolanti in coscienza, e richiedono il nostro assenso completo; rifiutarle sarebbe per noi un peccato mortale, dal momento che un tale rifiuto sarebbe una negazione virtuale del dogma dell’infallibilità, e ci troveremmo ad essere eretici nel caso fossimo consapevoli di un tale rifiuto. S. Alfonso Liguori. Theol. Theologiae. Mor., Lib I., 104. Mor., Lib I., 104.

* Nota: gli eretici pseudo-tradizionalisti e sedevacantisti scismatici, che lo siano di nome o di fatto, in parole o in opere, negano l’insegnamento infallibile della lettera enciclica di Papa Pio XII, del 29 giugno, 1958, contenuto in Apostolorum Principi ( “Principe degli Apostoli”), che con chiarissime parole (per gli uomini di buona volontà) condanna tutte le consacrazioni senza mandato papale.

S. S. PIO XII ed il suo successore il Cardinale G. SIRI (Gregorio XVII)

  “La Chiesa cattolica non potrà mai corrompere una dottrina, e non permetterà mai che due dottrine diverse vengano insegnate nel medesimo suo magistero.

La Chiesa cattolica è vincolata dalla legge divina a subire il martirio, piuttosto che corrompere una dottrina “.  (Cardinale Manning, ” La crisi attuale della Santa Sede nella profezia: quattro conferenze “., P 73)

  “Ci sarà una defezione generale dalla Chiesa verso la fine del mondo, soprattutto per quanto riguarda l’obbedienza che le si deve”

 (Profezia di Richard Rolle di Hample, d. 1349 d.C.)

Papa Benedetto XIV. (1740-1758) dice: Noi affermiamo che la maggior parte dei dannati sono all’inferno, perché non sapevano che i cristiani devono conoscere e credere tutti i misteri della fede.” Inst. Inst. 27, No. 28. 27, n °28.

E Papa Pío XII nella sua enciclica Humani generis del 12 di agosto del 1950 diede la seguente sentenza:

Né si deve ritenere che gli insegnamenti delle Encicliche non richiedano, per sé, il nostro assenso, col pretesto che i Pontefici non vi esercitano il potere del loro Magistero Supremo. Infatti questi insegnamenti sono del Magistero ordinario, di cui valgono poi le parole: “Chi ascolta voi, ascolta me” (Luc. X, 16); e per lo più, quanto viene proposto e inculcato nelle Encicliche, è già per altre ragioni patrimonio della dottrina cattolica.”

L’arciconfraternita del Cuore Immacolato: storie di conversioni [3]

 

7. CONVERSIONE di un’attrice.

Questa giovane ragazza sfortunata è nata a Parigi;  era stata battezzata, ma non sapeva nulla della religione. Quando aveva appena sette anni, iniziò la sua carriera di ballerina nei teatri minori della capitale, restando in questo lavoro scandaloso fino all’età di diciotto anni; uccessivamente, sentendo una inclinazione per il teatro, diventava un’attrice, esibendosi nelle città di provincia. In seguito a diverse vicende arrivava a Parigi, dove però si ammalava gravemente, tanto da dover essere ricoverata presso la Maison de Santé, di Dubois. Non aveva fino ad allora mai rispettato uno qualsiasi dei doveri della religione, e neppure aveva un pensiero per Dio;  e come potrebbe essere altrimenti in una vita così infelice, iniziata e passata in mezzo ad ogni specie di corruzione. “Cosa fa il ministro della morte qui, non lasciatelo venire a me vicino!”: aveva esclamato in tono di orrore alcuni giorni dopo il suo ricovero, notando l’elemosiniere della casa entrare nel suo reparto, e pensando che fosse in pericolo di morte; una vita così mal vissuta e tali disposizioni negative, sembravano essere un sicuro presagio della riprovazione eterna di questa peccatrice infelice. Una persona pia, che in precedenza l’aveva conosciuta, sentendo la sua triste condizione, ha parlato di lei al direttore della Arciconfraternita; questi, compenetratosi con compassione, prometteva di ottenere preghiere per la sua conversione. Ha raccomandato poi a questa persona tanto caritatevole di visitare questa povera figlia perduta, per parlarle di Dio, e esortarla al pentimento; questo veniva fatto con carità e costanza, ma la malata né capiva, né sentiva quanto le si diceva; Le preghiere dell’Arciconfraternita sono state offerte per lei la Domenica 4 novembre, dopo le raccomandazioni in cui si richiedeva di provvedere a tutte le sue necessità applicandole con gran sentimento; il seguente Lunedi, il curato le mandava una medaglia miracolosa, che lei ha ricevuto, ascoltando il buon consiglio di chi era con lei, e con la promessa di seguirlo, ma al tempo stesso diceva: “Che devo fare, cosa devo dire? Non mi è stato insegnato niente! “L’elemosiniere informava delle sue disposizioni il sacerdote incaricato, che sentiva la sua confessione, e le somministrava i sacramenti ecclesiastici, il 16 novembre.; la mattina del 18 rendeva la sua anima a Dio con sentimenti di sincera devozione, pronunciando con il suo ultimo respiro, la dolce invocazione, “O Maria, concepita senza peccato, pregate per me che ricorro a voi.”

Un idiota recupera la ragione .

 Finora la conversione dei peccatori era stata la sola intenzione delle preghiere della Arciconfraternita, mentre i malati e gli afflitti non erano mai stati inclusi nelle raccomandazioni pubbliche, non per un sentimento di sfiducia nella forza della sua patrona dei beati, che è Ella stessa “La salute degli infermi” e la “consolazione degli afflitti,” così come il “Rifugio dei peccatori,” ma perché si voleva rispettare esclusivamente l’oggetto speciale della sua fondazione. Ma la Madre della misericordia divina è andata al di là di questa restrizione, poiché desiderava esercitare il suo potere e la sua clemenza anche in favore di tutti coloro che sono nel dolore, nella miseria, e nell’afflizione. – Uno dei parrocchiani di Notre Dame des Victoires divenne vittima di attacchi di follia; la malattia era diventata così violenta, che si rese imperativa la separazione dalla sua famiglia. Sabato 16 marzo, i suoi amici desiderarono raccomandarlo alle preghiere pubbliche della Arciconfraternita; la loro richiesta è stata in un primo momento rifiutata, perché l’intenzione e l’oggetto dell’associazione è la conversione dei peccatori; ma poiché si prospettava la rovina inevitabile della famiglia, con il susseguente triste destino dei due giovani figli che, a causa della condizione deplorevole del loro padre, sarebbero presto diventati come orfani, il cuore dell’Abate Desgenettes fu sensibilmente afflitto così da dare il suo consenso, e il giorno seguente, il 17, è stata fatta la raccomandazione.  Nel pomeriggio del 18, il paziente scriveva una lettera alla moglie, piena di ragione e buon senso, informandola degli atti di imprudenza che aveva commesso nella gestione dei suoi affari, durante i giorni che avevano preceduto l’attacco della sua malattia, e di cui la sua famiglia non era a conoscenza, sostenendo giudiziosamente la perdita che avrebbe potuto causare loro, ed affermando che egli si proponeva di impiegare questi tali mezzi per ovviare a questa disgrazia; infine si svegliò la mattina con perfetta calma e con sana ragione, con sensazione di benessere nel corpo e nella mente: cioè si sentiva guarito, anche se, per motivi di prudenza, sarebbe rimasto un paio di giorni ancora al manicomio. La moglie andò subito a vederlo, passò il pomeriggio con lui, e non era meno stupita che contenta nel testimoniare il felice ritorno della sua ragione. Restituito alla sua famiglia, poteva ancora una volta dirigere i suoi affari, senza mai più avvertire il minimo residuo della sfortunata malattia da cui era stato afflitto.

 Guarigione di una giovane donna.

Alcuni giorni dopo, una giovane donna di una delle famiglie più rispettabili della Bassa Normandia, che stava ricevendo la sua formazione presso un istituto religioso di Parigi, è stata raccomandata alle preghiere della Arciconfraternita da sua madre e dai suoi pii istruttori. Di età compresa tra i quattordici e i quindici anni, aveva sofferto per diversi anni da una contrazione dei muscoli della gamba e della coscia; i suoi dolori erano strazianti, non aveva potuto abbandonare il suo letto per molti mesi, la contrazione della sua gamba le impediva la stazione eretta. Venne così richiesta una novena di preghiere, che non fu più rifiutata, dopo la benedizione così concessa ultimamente alla parrocchiana nel caso appena citato sopra. Durante i primi giorni della novena, la paziente si è aggravata; ella ha gioito per questo, considerando le sue sofferenze come pegno del suo vicino recupero. La mattina del nono giorno, si è alzata improvvisamente perfettamente guarita.

Innumerevoli infatti sono quelli che hanno trovato sollievo e consolazione nelle loro sofferenze, e che si sono raccomandati alle preghiere della Arciconfraternita, con l’offerta delle loro petizioni davanti all’altare dedicato a quel Santo ed Immacolato Cuore, la dolce fonte di ogni benedizione per coloro che devotamente e con fiducia lo invocano.

Fonte: L’Arciconfraternita del Cuore Immacolato di Maria, per la conversione dei peccatori, Notre Dame des Victoires, Parigi. 1843. 1843.

 

L’arciconfraternita del Cuore Immacolato: storie di conversioni [2]

L’arciconfraternita del Cuore Immacolato: storie di conversioni [2]

4. CONVERSIONE di diversi villaggi.

 Uno dei giovani missionari che ultimamente si è imbarcato per la Cina, ha inviato il manuale dell’associazione allo zio, un curato della diocesi di Le Mans, in occasione della festa della Purificazione: così, dopo la celebrazione della Messa solenne, egli aveva iniziato una novena alla Beata Vergine per il felice risultato della solennità delle Quaranta ore, che sarebbero iniziate la Domenica di Quinquagesima. Pensando che il suo contenuto potesse produrre un buon effetto sui suoi parrocchiani, ha letto alcuni estratti dal manuale durante il suo sermone, nella Domenica di Sessagesima; il pubblico ne rimase ammirato restando pieno di stupore ed ammirazione; egli approfittò di questa impressione, con l’esortarli alla conversione e alla penitenza, e annunciando che due missionari della diocesi si sarebbero uniti a lui ed ai suoi tre vicari, per confessare durante la settimana seguente. Il suo appello venne ascoltato: per otto giorni la chiesa fu quasi costantemente piena; i tribunali sacri furono circondati da una moltitudine di penitenti; le confessioni, iniziate la mattina, alle tre, non finivano prima delle undici di sera. Le comunioni furono pari a milleottocento durante tre giorni, e rimasero quasi un centinaio di persone, le cui confessioni, iniziate, non poterono essere completate per mancanza di tempo. Questi sono i dettagli del missionario sopra menzionato. – M. Desgenettes ricevette la seguente lettera, datata il 9 marzo, da questo degno curato: “Mio nipote mi ha mandato il manuale della vostra associazione, che gli avete dato nel mese di febbraio; io l’ho ricevuto in occasione della festa della Purificazione. In quella mattina, avevo annunciato una novena in onore della Beata Vergine, per il felice risultato della solennità delle nostre Quaranta ore; avevo con me due dei nostri missionari diocesani, per rinnovare i buoni effetti del loro ritiro, durante l’ultima Quaresima. Immediatamente, nel ricevere il manuale, ho deciso di informare i miei parrocchiani dei suoi contenuti;  ho fatto loro notare, la felice coincidenza dell’arrivo di questo libro e l’inizio della novena; ho dato loro un’idea della vostra associazione, e ho letto due delle più belle conversioni, ottenute dalle preghiere degli associati; poi li ho esortati ad un rinnovamento nella fede e nel fervore, implorando coloro che avevano fino ad allora trascurato i loro interessi eterni, che iniziassero la loro conversione in quello stesso giorno. Il felice risultato è andato ben al di là di ogni più rosea aspettativa; durante i tre giorni delle Quaranta ore, la chiesa è stata costantemente piena; abbiamo avuto quattro esercizi spirituali al giorno; sei confessori erano continuamente impegnati nei tribunali sacri. Abbiamo dato la santa comunione a quasi milleottocento persone, su una popolazione di tremila e sei o settecento anime. Quanto a me, ho confessato cinquecentotrenta individui, di cui 272 erano uomini. Questo inatteso successo, che ha superato tutte le mie speranze, io l’ho completamente attributo alla protezione del Cuore Immacolato di Maria.  I miei parrocchiani hanno raddoppiato il loro amore e la devozione verso questa Madre di beneficenza;  confido presto di stabilire anche qui la vostra associazione, che sono persuaso effettuerà benefici incalcolabili; mi riservo di far questo per il mese di Maria, proponendoci quest’anno di celebrarlo solennemente con grande affluenza e fervore. ” – Chi non riconosce in questo l’intervento speciale di Maria, che con una semplice lezione è in grado di cambiare i cuori della maggior parte di una numerosa popolazione. Questa parrocchia comprende numerosi villaggi sparsi lontani dalla chiesa; la stagione è stata la più fredda e triste dell’anno, con le strade impraticabili o rese quasi impossibili da utilizzare anche durante il giorno dalle forti piogge e nevicate di un rigido inverno; ma questi ostacoli sono stati superati, e si sono sfidati questi pericoli, anche durante la notte, dal momento che i primi fedeli sono arrivati in chiesa prima delle tre del mattino, e molti l’hanno lasciata non prima di mezzanotte. Le distrazioni ed i passatempi della stagione, usuali per gli abitanti del villaggio del Maine, come da consuetudine immemorabile, sono stati poi del tutto trascurati; tutto è stato sacrificato per soddisfare il loro pio ardore. Certo, si potrebbe pensare che la ripetizione frequente delle esortazioni e degli esercizi spirituali, abbiano rianimato il fervore di un popolo naturalmente religioso, ma questi si ripetono ogni anno, durante i tre giorni della settimana di Quinquagesima, ed ogni anno i comunicandi sono stati pari a circa tre o quattrocento, mentre, in questa occasione ben milleottocento persone hanno circondato la tavola santa. Questo non era opera dell’uomo; no, era Dio che si è degnato di fare uso di mezzi così semplici per poter manifestare la sua misericordia, e glorificare la Regina augusta del cielo. Vediamo questo fatto, quindi, con più ardore che mai, e poniamoci sotto la protezione della beata Maria; pensiamo a Lei come la nostra speranza e come il conforto in questa valle di lacrime; dobbiamo amarLa come la nostra tenera e affettuosa madre; cerchiamo di considerarLa come il nostro avvocato davanti al trono dell’Altissimo;- dice san Bonaventura, “sarà salvato, e chi trascura di servirLa morirà nei suoi peccati”: “Qui coluerit Mariam, justificabitur; et qui neglexerit illam, morietur in peccatis suis. et qui neglexerit illam, morietur in peccatis suis”.

5. Una edificante CONVERSIONE.

Il pastore di una importante cittadina in Francia, dove in precedenza la pietà era tutt’altro che fiorente, ascoltando le grazie concesse dalla parrocchia di Notre Dame des Victoires, dalla testimonianza dell’Abate Desgenettes, ha pensato di stabilire l’associazione nella sua parrocchia. Qui, ugualmente, ha fatto una serie di conversioni a dimostrazione che Maria aveva esaudito le preghiere dei suoi supplicanti.; una tra le tante numerose fu molto particolare e ben adatta ad eccitare l’ammirazione e la fiducia. — Il curato di questa città ha scritto quanto segue a M. Desgenettes: – Ho a lungo ritardato di scrivervi, perché io desideravo ricevere dalla persona stessa i dettagli che avete chiesto circa la sua conversione. Vi allego pertanto la sua lettera: i suoi scandali erano pubblici, la sua pietà è ora invece esemplare. Non ho mai visto in modo così ammirevole un trionfo della grazia; in un momento è cambiato un cuore abbandonato alla peggiore delle passioni, trasformato in un vaso di elezione. Molti e terribili erano gli assalti sostenuti:beffe, persecuzioni, attacchi all’amor proprio, tutte sono state superate. La santa orazione è ora la sua felicità e la gioia; costei che, per venticinque anni, non è mai salita in chiesa, ora è da sette anni davanti all’altare, immersa nella devozione ai piedi della Vergine, e smette le sue devozioni solo per adempiere le funzioni della sua condizione.. . .. .. .”. – Quella che segue è la lettera di questa felice penitente al suo pastore, in risposta alla sua richiesta di dettagli della sua conversione. “Vi faccio conoscere la causa del cambiamento che ha avuto luogo in me nel corso degli ultimi sei mesi.Io comprendo come in mezzo alle peregrinazioni e ai disturbi della mia giovinezza, avevo conservato alcuni barlumi di fede che allo stesso tempo provocavano sì il timore della vendetta di un Dio offeso, ma mi permettevano di sperare pure nella sua infinita misericordia. Metto davanti a voi, padre mio, la storia malinconica della mia vita passata, le cui pagine tristi ho avuto tanto timore di raccontare: ricorrevano agli anni felici della mia infanzia e della giovinezza; il loro ricordo, mi offrono il fascino dell’innocenza, per la qual perdita devo aggiungere i miei rimorsi; avevo fatto una devota prima Comunione e, fino all’età di diciotto anni, ho perseverato nel mio fervore religioso. Ma l’amore della virtù, e il desiderio di praticarla, è scomparso quando sono entrata nel mondo. Le sue attrazioni, le sue lusinghe, hanno incantato la mia immaginazione ardente; il piacere è diventata la mia ricerca unica e totalizzante. Presto la passione mi ha sedotto; la mia prima trasgressione ha dato poi luogo all’abitudine, e nel corso di più di venti anni, ho vissuto dimentico dei miei doveri cristiani. Ci sonostati momenti di infelicità, di inganno, di rimpianto;quante volte, allora, ho invocato l’aiuto del Cielo! Penitente e peccatore di volta in volta, ho cercato ancora il coraggio di rompere le catene della mia prigionia. – A voi, mio benefattore e mia guida, è stato riservato questo compito arduo, ed infatti per la vostra ispirazione felice ho stabilito la devozione al Cuore Immacolato di Maria. Ho assistito per la prima volta ad una delle vostre istruzioni, mossa unicamente dalla curiosità; ed ecco che la nostra Madre, che riceve i peccatori e rinnova loro la speranza, ha fatto un’impressione profonda e vivace nella mia mente. Sono sempre tornato da questi discorsi, pensosa e colpita. Il sermone del 17 marzo, il figliol prodigo, ha dato una retrospettiva malinconia della mia vita ed ilrimorso ha penetrato la mia anima; così feci un voto di rompere e fare a pezzi i legami del peccato e di ritornare a Dio. Ma quali prove ho dovuto combattere con il nemico che mi aveva in precedenza incatenato: promesse lusinghiere e speranze brillanti del futuro, sono state impiegate per sedurmi nuovamente; le vostre esortazioni mi hanno seriamente confermato nella mia risoluzione, e determinato nel confidare nel vostro cuore paterno i miei peccati, le mie miserie, il mio pentimento! Nei vostri consigli benefici ho trovato il coraggio e la rassegnazione per sostenere le prove, che è piaciuto alla Provvidenza di mandarmi. -“Il mondo e i suoi piaceri sono ora per me come un nulla; la mia unica attrazione è per gli esercizi di religione e per la santa orazione, che mi offre una fonte inesauribile di conforto e di assistenza, anche se spesso è accompagnata da lacrime, che sono ora, ahimè!,l’unica offerta che posso fare al mio Dio. – Ah! Ah! come sarei felice ai piedi di Maria, se non avessi il dispiace di non poter riavere l’innocenza di cui Ella è il modello perfetto, e che sarei felice di ritrovare, al prezzo di una parte della mia vita! ”

6. La CONVERSIONE di un ufficiale.

Un ufficiale che risiede in un paese della diocesi di Bayeux, la cui vita era stata segnata dal costante esercizio di tutte le virtù sociali, ma da una totale assenza di sentimento e di principi religiosi, è diventato gravemente malato. La moglie e la famiglia lo esortavano con urgenza a ricevere gli aiuti della religione; ma egli dichiarava subito che non aveva bisogno di essi, nei quali non aveva nessuna fede, perché, egli diceva, aveva sempre vissuto come un uomo d’onore, e non aveva niente di cui rimproverarsi, e proibiva loro di ricorrere agli ausili. La sua famiglia lo ha piamente raccomandato alle preghiere della Arciconfraternita; subito dopo, egli ha espresso il desiderio di vedere il suo pastore, che si affrettava a fargli visita, lo riportava alla religione, e gli somministrava i sacramenti della Chiesa. A coloro che, conoscendo le sue opinioni precedenti, sembravano stupito dalla sua condotta, diceva: “ho agito in tal modo per salvare la mia anima; per diventare fedele al mio Dio, come io lo sono stato al mio re. ”

Fonte: L’Arciconfraternita del Cuore Immacolato di Maria, per la conversione dei peccatori, Notre Dame des Victoires, Parigi. 1843. 1843.

Giurisdizione episcopale e la sede romana

Giurisdizione episcopale e la sede romana

di p. Fenton

Immagine di Pio XII il cui magistero infallibile viene disprezzato dal N.O., dalla setta FSSPX e dalle sette Sedevacantiste

“… egli [Papa Pio XII] insegnò che il Vicario di Cristo sulla terra è l’unico da cui tutti gli altri pastori nella Chiesa cattolica ricevono immediatamente la loro competenza e la loro missione .'”

“Monsignor Alfredo Ottaviani dichiara che questo insegnamento… deve essere tenuto come certissimo a motivo di quello che ha detto il Papa Pio XII.” (P. Joseph C. Fenton, un vero teologo cattolico, 1949)

“Da ciò che abbiamo detto, consegue che nessuna qualsiasi autorità, può cambiare ciò che è definito dal il Supremo pastore, o può invalidare la giurisdizione canonica concessa a qualunque Vescovo; che nessuna persona o gruppo di sacerdoti o di laici, possono rivendicare il diritto di nominare vescovi; che nessuno può legittimamente conferire la consacrazione episcopale a meno che non abbia ricevuto il mandato della sede apostolica (Canone 953).” (Pio XII, dalla sua enciclica, “Principe degli Apostoli”, 29 giugno 1958).

GIURISDIZIONE EPISCOPALE E LA SEDE ROMANA

da

American Ecclesiastical Review

Vol. CXX, gennaio-giugno 1949

 Uno dei contributi più importanti alla sacra teologia negli ultimi anni è stato l’insegnamento del Santo Padre sull’origine immediata della giurisdizione episcopale nella Chiesa cattolica. Nella sua grande enciclica Mystici corporis, data il 29 giugno 1943, Papa Pio XII ha parlato del potere ordinario della giurisdizione dei Vescovi cattolici come qualcosa di “conferito a loro immediatamente” dal sovrano Pontefice. [Cfr. l’edizione di NCWC, n. 42]. Più di un anno prima della pubblicazione della Mystici corporis il Santo Padre aveva enunciato la stessa verità nella sua allocuzione pastorale ai parroci ed ai predicatori quaresimali di Roma. In questo documento egli ha insegnato che il Vicario di Cristo sulla terra è colui da cui tutti gli altri pastori nella Chiesa cattolica “ricevono immediatamente la loro giurisdizione e la loro missione.” [Cfr. Osservatore Romano, 18 febbraio 1942]. –  Nell’ultima edizione della sua classica opera, “Institutiones iuris publici ecclesiastici”, Monsignor Alfredo Ottaviani dichiara che questo insegnamento, che in precedenza era stato considerato come “probabilior” o anche come “communis,” ora debba essere ritenuto come interamente certo a motivo di ciò che Papa Pio XII ha detto. [Cfr Institutiones iuris publici ecclesiastici, 3a edizione (Typis Polyglottis Vaticanis, 1948), I, 413]. La tesi che deve essere accettata e insegnata come certa è un elemento estremamente importante nell’insegnamento cristiano circa la natura della vera Chiesa. La negazione o anche la negligenza di questa tesi inevitabilmente impedirà l’accurata e l’adeguata comprensione teologica della funzione di nostro Signore come capo della Chiesa e dell’unità visibile del Regno di Dio sulla terra. Così, nel dare questa dottrina, come lo status di una sicuramente certa istruzione, il Santo Padre ha completato il lavoro della sacra teologia. – La tesi che i vescovi derivino il loro potere di giurisdizione immediatamente dal Sommo Pontefice non è affatto un insegnamento nuovo. Nel suo breve Super soliditate, rilasciato il 28 novembre 1786 e diretto contro gli insegnamenti del canonista Joseph Valentine Tony, Papa Pio VI aveva aspramente censurato Tony per gli attacchi insolenti di questo scrittore verso gli autori che insegnavano che il romano Pontefice è colui “da cui i Vescovi stessi derivano la loro autorità.” [Cfr. DB, 1500]. Papa Leone XIII, nella sua enciclica Satis cognitum, datata 29 giugno 1896, ha messo in evidenza un punto fondamentale di questo insegnamento quando ha ribadito, con riferimento a quei poteri che gli altri governanti della Chiesa tenevano in comune con San Pietro, l’insegnamento del Papa San Leone I che tutto ciò che Dio aveva dato a questi altri, lo aveva dato attraverso il principe degli Apostoli. [Cfr Codicis iuris canonici fontes, modificato dal cardinale Pietro Gasparri (Typis Polyglottis Vaticanis, 1933), III, 489 f. La dichiarazione del Papa San Leone si trova nel suo sermone sia nel quarto, che nel secondo anniversario della sua elevazione all’ufficio papale]. – L’insegnamento è enunciato esplicitamente in una comunicazione di Papa s. Innocenzo I della Chiesa Romana, nella sua lettera ai Vescovi africani, rilasciata il 27 gennaio 417. Questo grande Pontefice ha dichiarato che “l’episcopato stesso e tutta la potenza di questo nome” provengono da San Pietro. [DB, 100]. La dottrina proposta da Papa San Innocenzo era abbastanza familiare alla gerarchia africana. Era stata sviluppata e insegnata dai predecessori degli uomini ai quali egli scriveva, e costituiva la prima spiegazione sistematica ed estesa dell’Episcopato della Chiesa cattolica. Verso la metà del terzo secolo S. Cipriano, il martire vescovo di Cartagine, aveva elaborato il suo insegnamento sulle funzioni di San Pietro e della sua “cattedra” come base dell’unità della Chiesa. [Cfr Adhemar D’Ales, La theologie de Saint Cyprien (Paris: Beauchesne, 1922), pp. 130 ff.]. S. Optato, vescovo di Milevi, che era un eccezionale difensore della Chiesa contro gli attacchi dei Donatisti, aveva scritto, intorno all’anno 370, che la “cattedra” di Pietro è la sede intorno alla quale “l’unità è mantenuta da tutti,” [Cfr. Libri contra Parmenianum Donatistam, II, 2], e che, dopo la sua caduta, Pietro “da solo ha ricevuto le chiavi del Regno dei cieli, che dovevano essere consegnate anche (communicandas) agli altri.” [Cfr ibid., VII, 3]. – Durante gli ultimi anni del quarto secolo Papa San Siricio aveva asserito l’origine Pietrina dell’Episcopato nella sua lettera, Cum in unum, quando ha designato il Principe degli Apostoli come colui “Da cui è derivata la loro origine: l’apostolato e l’episcopato in Cristo” [Cfr EP. V], ed ha introdotto questo concetto nella sua scrittura come qualcosa di cui coloro ai quali essa era stata indirizzata avevano perfetta familiarità. Questo era ed è rimasto l’insegnamento tradizionale e comune della Chiesa cattolica. – La tesi che vescovi derivano il loro potere di giurisdizione immediatamente dal romano Pontefice, anziché immediatamente da nostro Signore stesso ha avuto una storia lunga, tremendamente interessante nel campo della teologia scolastica. San Tommaso d’Aquino l’aveva proposta nei suoi scritti, senza, tuttavia, dilungarsi particolarmente. [S. Tommaso ha insegnato nella sua Summa contra gentiles, lib. IV, cap. 76, che, per preservare l’unità della Chiesa, il potere delle chiavi deve essere consegnato, per mezzo di Pietro, agli altri pastori della Chiesa. Gli scrittori successivi fanno anche appello al suo insegnamento della Summa Theologiæ, in IIa-IIæ, q. 39, art. 3, nel suo commento sulle sentenze di Pietro Lombardo, IV, Dist. 20, art. 4 e nel suo commento al Vangelo secondo Matteo, in cap. XVI, n. 2, a sostegno della tesi che i vescovi derivano il loro potere di giurisdizione immediatamente dal Sovrano Pontefice]. Due altri scolastici medievali eccezionali, Richard di Middleton [cfr Richard commento sulle condanne, lib. IV, Dist. 24], e Durandus [Cfr D. annulipes a Sancto Porciano Ord. Praed. et Meldensis Episcopi nei libri di Petri Lombardi sententias theologicas IIII (Venezia, 1586), lib. IV, Dist. 20, d. 5, n. 5, p. 354], seguirono il suo esempio. Il trattato teologico pre-tridentino di eccezionale importanza sulla Chiesa di Cristo, la Summa de ecclesia del Cardinale John de Turrecremata è andato ad esaminare la questione nei minimi dettagli. [Cfr Summa de ecclesia (Venezia, 1561), lib. II, capitoli 54-64, pp. 169-188. Le tesi di Turrecremata sono identiche a quelle stabilite dal Papa Pio XII, anche se la sua terminologia è diverso. Il Santo Padre parla dei Vescovi che ricevono il loro potere di giurisdizione “immediatamente” dalla Santa Sede, cioè da nostro Signore attraverso il sovrano Pontefice. Turrecremata, d’altra parte, parla dei Vescovi che ricevono il loro potere di giurisdizione “mediatamente” o “immediatamente” dal Santo Padre, cioè, da lui direttamente o da un altro con il potere di agire nel suo nome]. Turrecremata ha elaborato la maggior parte degli argomenti che i teologi hanno utilizzato successivamente per dimostrare la tesi. Tommaso de Vio, il cardinale Cajetano, ha contribuito molto allo sviluppo dell’insegnamento nel periodo immediatamente precedente il Concilio di Trento. [Cf. Cajetan de comparatione auctoritatis Papae et concilii, cap. 3, nella edizione di p. Vincent Pollet della sua Scripta theologica (Roma: The Angelicum, 1935), I, 26 f.].

“Di gran lunga la più decisa presentazione della dottrina impostata ultimamente da Papa Pio XII, è stata effettuata nel Concilio di Trento…” – Durante il Concilio di Trento, la tesi è stata discussa dagli stessi padri. [Cfr Sforza Pallavincini Histoire de concile de Trente (Montrouge: Migne, 1844), lib. XVIII, capitoli 14 ff; Lib. XXI, capitoli 11 e 13, II, 1347 ff; III, 363 ff; Hefele-Leclercq, Histoire des conciles (Parigi: Letouzey et Ane, 1907 ff), IX, 747 ff; 776 ff.]. Di gran lunga la più solida presentazione della dottrina ultimamente ribadita dal Papa Pio XII è stata fatta nel Concilio di Trento dal grande teologo gesuita, James Laynez [nell’edizione di Hartmann Grisar di Laynez’ Disputationes Sebastian (Innsbruck, 1886), I, 97-318]. Per molti aspetti le “Quaestiones, De origine jurisdictionis episcopo rum” e “De modo quo compete un summo pontifice in episcopos derivi”, rimangono le migliori fonti di informazione teologiche sulle relazioni degli altri Vescovi della Chiesa cattolica al Romano Pontefice fino ad oggi. – Durante il secolo dopo il Concilio di Trento, tre dei teologi scolastici classici hanno scritto magnifiche spiegazioni e le prove della tesi che l’autorità episcopale nella Chiesa di Dio derivi immediatamente dal Vicario di Cristo sulla terra. S. Roberto Bellarmino ha trattato la questione con la sua abituale chiarezza ed autorità [Cfr. De Romano Pontifice, lib. IV, capitoli 24 e 25], utilizzando un approccio un po’ diverso da quello impiegato da Turrecremata e Laynez e più vicino a quella di Gaetano. Francis Suarez ha trattate della tesi “in extenso” nel suo “Tractatus de legibus” reimpostando certe spiegazioni che completano l’insegnamento del Laynez stesso. [Cfr. Lib IV, cap. 4, in Theologiae cursus completus (MTCC) XII di Migne, tocchi di Suarez FF. 596 su questa materia nel suo trattato De Summo Pontifice nel suo Opus de triplici virtute theologica, De fide, tratto. X, sezione I]. Francis Sylvius, nei suoi “polemiche”, riassunti i risultati dei suoi grandi predecessori in questo campo e ha lascito ciò che rimane fino ad oggi probabilmente come la più efficace e breve presentazione dell’insegnamento di tutta la letteratura scolastica. [Cfr. lib. IV, q. 2, art. 5, Opera omnia (Anversa, 1698), V, 302 ff.]. Durante lo stesso periodo un trattamento molto breve ma teologicamente all’unisono sullo stesso argomento è stato dato dal portoghese francescano Francis Macedo nel suo “Clavibus De Petri”. [Cfr. Clavibus De Petri (Roma, 1560), Lib. I, cap 3, 36 pp. ff.]. Due dei principali teologi del sedicesimo secolo, il tomista, Domenico Soto [Cfr. In quartam sententiarum (Venezia, 1569), Dist. 20, d. 1, art. 2, 4, I, 991 conclusio]. e Domenico Bannez, [Cf. Scholastica commentaria in secundam secundæ Angelici Doctoris D. Thomæ (Venezia, 1587), in d. 1, art. 10, dub. 5, concl. 5, colonne 497 ff.]. Allo stesso modo hanno incluso questo insegnamento nei loro “commentari.” – Il Papa Benedetto XIV ha incluso un trattamento eccellente di questa tesi nella sua grande opera “De synodo diocesana”. [Cfr. In Lib. I, cap. 4, n. 2 ff, in MTCC, XXV, 816 ff.]. Tra le autorità più recenti che hanno affrontato la questione in un modo degno di nota sono i due teologi gesuiti Domenico Palmieri [Cfr Tractatus de Romano Pontifice (Roma, 1878), 373 ff.], ed il cardinale Louis Billot [Cfr Tractatus de ecclesia Christi, 5a edizione (Roma: l’Università Gregoriana, 1927) I, 563 ff.]. Pure il cardinale Joseph Hergenroether ha trattato l’argomento in modo efficace e preciso nella sua grande opera “Chiesa cattolica e stato cristiano.” [Cf. Chiesa cattolica e stato cristiano (Londra, 1876), I, 168 ff.]. – L’opposizione più importante alla tesi, come era prevedibile, è venuta dai teologi Gallicani. Bossuet [Cfr. Defensio declarationis cleri Gallicani, lib. VIII, capitoli 11-15, nelle Oeuvres complètes (Paris, 1828), XLII, 182-202], e Regnier [Cfr Tractatus de ecclesia Christi, pars. II, sez. I, nel MTCC, IV, 1043 ff.], hanno difeso la causa gallicana su questo argomento. Altri, invece, non infettati dal “virus” Gallicano, si sono opposti a questo insegnamento nei tempi passati. Degno di nota tra questi avversari erano Francis de Victoria e Gabriel Vasquez. Victoria, sebbene fosse un insigne teologo, sembra avere male interpretato la questione in esame e ha immaginato che, in qualche modo l’insegnamento tradizionale abbia coinvolto l’implicazione che tutti i vescovi fossero stati collocati nel loro sede su disposizione di Roma. [Cfr. Relectiones undecim, in rel. II, De potestate ecclesiæ (Salamanca, 1565), pp 63 ff.]. Vasquez, d’altra parte, è stato attratto da una teoria ora desueta, che cioè tale giurisdizione episcopale era assolutamente inseparabile dal carattere episcopale, e che l’autorità del Santo Padre sui suoi compagni vescovi nella Chiesa di Cristo deve essere spiegata dal suo potere di rimuovere o alterare le condizioni o i soggetti sui quali tale competenza è esercitata. [3 [31] Cfr. In primam secundæ Sancti Thomæ (Lyons, 1631), II, 311].

 [Nota redaz.: i falsi traditionalisti/sedevacantisti sono sordi al fatto che il Papa Pio XII abbia condannato le “consacrazioni” senza mandato papale – anche per una “invocata grave emergenza”. Pio XII in “Ad Apostolorum Principis” ha riconosciuto che i mandati per le consacrazioni non papali erano avvenuti in caso di emergenza, dicendo che era “lecito nei secoli precedenti”, mentre, “la suprema autorità della Chiesa ha da tempo DECRETATO diversamente.” (vedere l’enciclica di Pio XII vincolante in eterno sul crimine delle consacrazioni senza mandato papale promulgata il 29 giugno 1958). Tentare di consacrare un vescovo senza il mandato pontificio fa incorrere nella scomunica automatica [“ipso facto”]. Sotto la pena di scomunica, l’individuo non può partecipare al culto pubblico né ricevere il corpo di Cristo o uno qualsiasi dei Sacramenti. Inoltre, se è un chierico, gli è proibito di officiare un rito sacro o di esercitare un atto di autorità spirituale. Questa condanna si riferisce pure a tutti coloro che appartengono o sostengono, o approvano tali atti/sette scismatiche antipapali.]-

L’insegnamento del Papa Pio XII sull’origine della giurisdizione episcopale, sicuramente non definisce che San Pietro e i suoi successori alla romana Sede abbiano sempre nominato direttamente ogni altro vescovo all’interno della Chiesa di Gesù Cristo. Significa, tuttavia, che ogni vescovo che è l’ordinario di una diocesi, ottiene la sua posizione con il consenso o almeno la tacita approvazione della Santa Sede. Inoltre, significa che il vescovo di Roma può, secondo la costituzione divina della Chiesa stessa, rimuovere in casi particolari la giurisdizione dei Vescovi e trasferirli ad altra giurisdizione. Finalmente sta a significare che ogni vescovo che non è in Unione con il Santo Padre, non ha alcuna autorità sui fedeli. – Questo insegnamento non nega in alcun modo il fatto che la Chiesa cattolica sia essenzialmente gerarchica e monarchica nella sua costruzione. Non è in conflitto con la verità che i Vescovi residenziali hanno giurisdizione ordinaria, piuttosto che semplicemente una giurisdizione delegata nelle loro chiese. In realtà è certamente una vera spiegazione dell’origine di tale giurisdizione ordinaria nei consacrati che governano le singole comunità dei fedeli, come successori degli Apostoli e come soggetti al capo del Collegio apostolico. Vuol dire che il potere di giurisdizione di questi uomini viene a loro sì da nostro Signore, ma attraverso il suo Vicario sulla terra, nel quale soltanto la Chiesa trova il suo centro visibile di unità in questo mondo.

Joseph Clifford Fenton L’Università Cattolica d’America Washington, D.C.

 

L’Arciconfraternita del cuore Immacolato di Maria – Storia di conversioni – [1]

Nella festa dell’Arciconfraternita del Cuore Immacolato di Maria, che si celebra nell’ultima Domenica dopo l’Epifania, prima della Domenica di Settuagesima, vogliamo iniziare a riportare una breve serie di fatti straordinari verificatesi dalla istituzione dell’Arciconfraternita per la conversione dei peccatori.

[Fonte: L’Arciconfraternita del Cuore Immacolato di Maria, per la conversione dei peccatori, Notre Dame des Victoires, Parigi. 1843. 1843.]

L’Arciconfraternita del cuore Immacolato di Maria

– Storia di conversioni – [1]

 

1- CONVERSIONE DELLA PARROCCHIA DI NOTRE DAME des Victoires.

È stato già osservato, come la parrocchia di Notre Dame des Victoires fosse caduta in uno stato molto deplorevole di indifferenza religiosa, e persino di irreligione professata. Il numero della popolazione della parrocchia era intorno alle ventisei-settemila anime, tuttavia le comunioni, durante tutto l’anno 1835, ammontavano al numero incredibilmente basso di settecentoventi. – I pii esercizi dell’associazione del Cuore Immacolato di Maria, iniziarono l’11 dicembre 1836;il registro venne aperto il 12 gennaio 1837. Una serie ininterrotta di grazie e di conversioni si sono verificate dal quel momento in poi: la parrocchia di Notre Dame des Victoires ora ha cambiato totalmente il suo aspetto; la sua chiesa è affollatissima, l’ufficio divino è religiosamente frequentato, così pure i sacramenti sono regolarmente frequentati; ora il suo segno distintivo è un comportamento pienamente religioso ed uno spirito di profonda pietà; e spesso gli uomini del clero delle diocesi più religiose in Francia, si sono meravigliati con l’Abate Desgenettes esprimendo la loro estrema edificazione a testimonianza della devozione dei suoi parrocchiani durante gli uffici divini- Non solo la domenica e nelle feste c’è questo spettacolo di devozione, ma ci sono alcuni momenti, anche nel corso della settimana, in cui non si conta il numero dei fedeli che in ginocchio sono in supplica devota davanti all’altare di Maria, invocando la sua protezione in questo suo santuario particolarmente favorito.- Ma, è soprattutto durante le devozioni pubbliche offerte in nome della Arciconfraternita, che si manifestano i segni di pietà che maggiormente colpiscono. Durante le funzioni, diversi sacerdoti sono nei loro confessionali le confessioni si prolungano fino a quasi le 10:00, e quasi sempre succede che molti, entrando in chiesa presi dalla curiosità, a quest’ora apparentemente fuori dalla consuetudine, vengono colpiti dalla scena devota che si presenta loro davanti, e mossi dalla funzione che sentono, sono improvvisamente ispirati dalla grazia e si avvicinano al tribunale della penitenza o confessano i loro peccati nel corso della stessa settimana. – Nelle vigilie delle feste le confessioni, oltre che occupare l’intera giornata, si prolungano spesso fino a mezzanotte. – E’ stato osservato che c’erano precedentemente settecentoventi comunioni annuali; durante il felice anno 1837, queste erano salite a novemila cinquecento e cinquanta, e ogni anno successivo testimoniava un aumento del loro numero. – Questi fatti semplici sono la chiara evidenza che Maria opera, Ella di cui san Bernardo ci dice che l’Onnipotente ha posto nelle sue mani la pienezza di tutte le sue grazie, perché desidera che esse, quando sono donate a coloro ai quali Egli vuole, debbano passare attraverso le mani di sua Madre; Maria, che, secondo sant’Anselmo, ha tanto merito davanti a Dio, che è impossibile che Lei non possa ottenere la realizzazione dei suoi desideri, ha ascoltato le preghiere dei suoi supplici, ed ha ottenuto la grazia della conversione per questa parrocchia, fino ad allora miseramente persa in percorsi di irreligiosità e infedeltà.

 2. CONVERSIONE di un ateo, figlio di uno dei sovrani della Germania.

Una miracolosa apparizione!

Domenica scorsa, il 30 aprile 1837, una signora inglese cattolica, residente in rue Montmartre, stava passando per Rue Notre Dame des Victoires, alle otto di sera. Stupita di vedere una luce in chiesa ad un’ora così tarda, vi entrò: stavano celebrando l’ufficio del Cuore Immacolato di Maria; il sermone si stava appena concludendo, ed ella sentì l’- Dopo l’ufficio, essa si rivolse a due o tre donne che erano rimaste in preghiera davanti all’altare della Beata Vergine, e chiese loro la natura dell’associazione, di cui il curato aveva parlato; così esse la informarono del suo titolo e dell’oggetto; – Durante gli ultimi giorni della stessa settimana, desiderosa di unirsi alle loro preghiere, desiderò entrare nella associazione. Poi pregò l’Abate Desgenettes per raccomandare il suo protetto alle preghiere pubbliche; e, per poter far capire quanto difficile sembrerebbe l’ottenere la sua conversione, disse: “La persona che vi raccomando è il figlio di uno dei sovrani della Germania, nato da un matrimonio privato, che suo padre aveva contratto prima di godere del suo Principato. Egli ha perso la madre all’età di sei anni; il padre pensò di dargli un’educazione adatta alla sua posizione elevata e per motivi politici, tolto il bambino dal suo ambiente, desiderava che egli prendesse un nome straniero, per cui lo mandò in Francia, sotto le cure di un tutore, un uomo dai modi più dissoluti, che non permise al suo allievo di ricevere alcuna istruzione religiosa, rendendolo un ateo ed un materialista.Sono vissuti così insieme per trenta anni, e solo la morte del tutore li separò. Il tutore aveva avuto successo nei suoi disegni;  M. de ***, dell’età attuale di circa sessanta anni, è un uomo di grande buon senso, ben istruito, ma empio ed ateo ad un tale grado di frenesia, che appena sente pronunciare il nome di Dio, inizia a proferire bestemmie. In precedenza molto dedito alla società, ora è infermo, riceve solo poco compagnia, e lascia raramente la sua casa. Lo conosco da vent’anni; il suo modo di fare ed il suo conversare non mi piace affatto, ma lo visito, ogni quindici giorni, animata da un sentimento di compassione per la sua situazione di solitudine.” – Sono state offerte così preghiere per lui nella Domenica del 7 maggio; il Venerdì seguente, questa signora ha faceva la sua solita visita; trovava l’uomo un po’ cambiato, con un volto agitato, il suo aspetto tutto ansioso e tormentato.”Qual è il problema?”, lei gli chiede. “Niente; io penso di non essere malato; ma dal lunedì, la mia immaginazione è perennemente ossessionata da pensieri che invano mi sforzo di bandire e, cosa sorprendente è che si tratta di pensieri riguardanti la religione, ma cosa ancora più straordinaria, non riesco più a sopportare la società dei protestanti. Sapete, Mesdames * * * e * * *; sono state qui due volte dal Lunedì 8, ed ogni volta la loro visita mi turbava e mi inquietava, e la stessa cosa mi è successa quando sono stato in compagnia di altri che ho visto; ma con i cattolici, questo non si è verificato. “Si avventurò fino al punto di dire: “La cosa è chiara: Dio senza dubbio desidera che io sia un cattolico, “(la donna all’epoca ignorava ciò che ha in seguito scoperto, che sua madre cioè era cattolica, e lo aveva fatto battezzare nella sua stanza, da un prete cattolico, durante la sua ultima malattia, quando aveva l’età di cinque anni e mezzo, una circostanza che poi perfettamente egli ricordava): a queste parole, assumendo una viso grave, le disse con molta vivacità: “ma diamo tregua a queste osservazioni; tu sai chi sono,conosci il mio parere circa queste superstizioni miserabili; lasciamo che non siano più menzionate in mia presenza. ” – Sabato scorso, la signora * * * ha dato all’Abate Desgenettes un resoconto della sua visita;  ha riconosciuto il primo movimento della grazia divina in quest’anima, e questi la informò, che avrebbe continuato ad innalzare le preghiere dell’Arciconfraternita per la sua intenzione. – Domenica, 14 maggio, le preghiere sono state offerte, con grande devozione, per quest’anima infelice.Venerdì scorso 19, la signora * * * trovò l’uomo malato e depresso, a malapena in grado di alzarsi dal letto;il suo volto indicava grande ansia, e teneva un piccolo libro in mano. “Ah” esclamò lui, “che cosa ne sarà di me?! Io soffro tormenti indicibili; nella notte di Domenica scorsa, il mio sonno è stato turbato dai sogni più spaventosi, e, da quel momento, non ho riposato né di notte né di giorno.Ogni volta che la stanchezza e di sconforto mi fanno chiudere gli occhi, mi giunge un trasalimento, faccio sogni paurosi e mi sveglio; mi sento fermato, trascinato davanti ad un tribunale istituito per rendere conto della mia vita, e mi trovo condannato per non aver rispettato i disegni di Dio. Anche durante il giorno, lo stesso pensiero mi segue incessantemente e mi tortura.Ho chiesto al mio servitore di procurarmi un libro cattolico, sperando che potesse calmare la mia mente; mi ha dato questo che ho tra le mani e che mi interessa, ed io sono più tranquillo da quando l’ho letto.” E’ il catechismo di Parigi. “Ma come posso passare la notte? La mia situazione è terribile, non potrò sostenerla a lungo”; farò uso di qualsiasi mezzo, per potermi liberare da tanta miseria “. – Sembrava chiedere consiglio, ma la signora * * * pur animata da compassione, non osava fidarsi di se stessa nel parlare; “Ho sentito parlare di una medaglia miracolosa”, ha continuato: «Che cos’è?”, Lei gli ha spiegato il suo significato e, alla sua seria richiesta, ha promesso di portargliene una il giorno successivo. Signora * * * ha ricevuto dal curato una medaglia benedetta dell’Immacolata Concezione; l’ha porta al suo amico infelice, che la bacia con rispetto, dicendo: “Cercherò di non toglierla mai!” La notte precedente era stata ancora più dolorosa rispetto alle altre. – Le preghiere per lui sono state rinnovate nella Domenica 21, e tutte le comunioni della settimana sono state offerte per la sua conversione. Venerdì scorso, il 26, la signora * * * ancora una volta ha visitato il suo paziente, trovandolo sorprendentemente mutato; ora era allegro, e apparentemente migliorato in salute.”Appena,” ha detto, “trascorso il sabato, sono stato abbandonato da tutti i terribili pensieri, che mi avevano causato tale mia agonia, e da allora non sono più tornati. Ho dormito con calma durante le notti di Sabato e Domenica; nella notte di Lunedì, mi sono sentito dolcemente risvegliato, e ho visto la mia camera riempita da una luce brillante. Colpito dallo stupore, ho cercato di inquadrare questo fenomeno, quando una Signora di aspetto maestoso, con un volto di indicibile dignità e dolcezza, vestita di bianco, età avanza verso di me, e mi ha detto che era giunto il momento per me di convertirmi, di fare penitenza per i miei peccati, che fin dal inizio della mia vita avevano provocato la giustizia di Dio; che se fossi morto nel mio stato attuale, sarei certamente perso per l’eternità, ma Ella mi ha promesso, se convenientemente convertito, ricevessi la grazia della riconciliazione nel sacramento della penitenza, e perseverassi in questa nuova vita, la felicità eterna da Dio Onnipotente;Poi è subito scomparsa.Io non ho capito nulla di questo prodigio … che mi ha lasciato in uno stato di stupore indefinibile, ma, nello stesso tempo, ho sperimentato un sentimento dolce di gioia che non so esprimere. Ho pensato continuamente durante tutto il Martedì, trovandomi ancora nell’impossibilità di spiegare il fatto, che ho cercato di mettere in dubbio, ma senza riuscirvi. Nella notte di Martedì, mi sono svegliato nella stessa maniera, ho visto la stessa apparizione, ed ho sentito le stesse parole. Ero confuso per la meraviglia, e totalmente incapace di rispondere. In fine, ha pronunciato le stesse parole, aggiungendo: “E per l’ultima volta ti do questo consiglio: metti bene in pratica quanto detto:la tua salvezza dipende da questo.E ‘scomparsa, e io l’ho vista più! Si può comprendere tutto quello che mi è successo nel corso delle ultime tre settimane? Ho parlato di questo solo con te; sono fermamente deciso a convertirmi, a diventare un cattolico, a confessare tutti i miei peccati; ma io non so come procedere. Ho appena saputo di un prete irlandese, forse mi posso rivolgere a lui!  Farò tutto ciò che mi è stato richiesto, sento che è assolutamente necessario, perché ho già sofferto troppo per l’- La signora * * * gli ha poi confessato, che lo aveva raccomandato alle preghiere di una pia associazione, che è stata istituita nella chiesa di Notre Dame des Victoires, nata con l’intenzione di implorare la conversione dei peccatori;che il curato delle chiesa aveva sentito un vivo interesse per la sua situazione e aveva ottenuto molte preghiere per la sua conversione;lui, stupito, è stato così grato.E’ stato poi concordato tra di loro che avrebbero consultato il Curato sui mezzi per garantire il successo di un lavoro così felicemente iniziato; Questi ha raccomandato al neofita il “Catechismo della Charency,” e di non leggere niente di più, fino a quando non avesse ottenuto una piena conoscenza del suo contenuto. – M. * * * si dedicò, con zelo e costanza a questo studio, nel corso di quattro mesi; in questo intervallo ha avuto alcuni incontri con il prete irlandese che, tuttavia, ha lasciato la Francia nel mese di ottobre. All’Abate Desgenettes, che non aveva ancora visto M. * * *, né aveva avuto alcuna comunicazione personale con lui, è stato poi chiesto di intraprendere la direzione della sua coscienza. Egli lo trovò in ottime disposizioni del cuore e ben informato della dottrina cristiana, ma la sua fede richiedeva fermezza e solidità; – Per rimediare a questo, il curato gli ha dato il “Trionfo del Vangelo,” la cui lettura dissipò tutti i suoi pregiudizi, permettendogli di iniziare il lavoro della sua riconciliazione con Dio. – – Lui, che era di uno spirito orgoglioso e prepotente, non abituato alla minima contraddizione, è diventato paziente e umile come un bambino; impressionato dallo spirito di pietà, ha trovato la felicità solo nella preghiera; si rimprovera per molte conversazioni criminali ed inutili, mentre ora vorrebbe parlare solo di Dio e della religione. Ha avuto la gioia di fare la prima comunione la prima Domenica di Avvento, il 3 dicembre 1837, nel giorno anniversario della sua nascita, all’età di settantadue anni. Nel giorno dopo questa felice festa, ha iniziato a concepire un progetto, che aveva meditato già da qualche tempo, e aveva già predisposto per l’esecuzione.” Padre mio,” egli diceva, “la Chiesa cattolica è perseguitata dall’eresia nella mia terra natale; io non ho nulla da spartire qui a Parigi, dove oramai sono dimenticato e dove non cerco neppure di essere ricordato. Il mio posto è in mezzo ai cattolici: non mi presenterò a loro come un principe, dal momento che non ho né beni né famiglia, ma andrò come uno dei più semplici fedeli; alla mia età, non posso fare molto, ma posso, forse, contribuire a rafforzare i miei fratelli, raccontando loro la misericordia che Dio mi ha elargito”.Dopo pochi giorni ha iniziato il suo viaggio; Dio Onnipotente ha accettato senza dubbio i suoi desideri, ed era contento per l’omaggio del suo cuore;ma il rigore della stagione, la fatica del viaggio, unito al suo stato di salute malfermo, ha generato in lui una malattia infiammatoria, a causa della quale si è spento prima di raggiungere la sua destinazione. – Potrebbero esserci alcuni che metterebbero in dubbio la realtà di ciò che è stato qui riportato; questo è senza dubbio al di là l’ordine della natura e possiede un carattere meraviglioso e miracoloso, ma è avvenuto in un uomo di sapere e di giudizio, la cui mente era libera da ogni pregiudizio religioso, essendo egli assolutamente incredulo; in un uomo che ha visto e sentito, non una volta sola, ma tre diverse volte, e ad intervalli sufficientemente lontani per permettergli di recuperare la sua tranquillità della mente; che, nella possibilità di essere stato ingannato una prima volta, sulla seconda e la terza volta, ha potuto far convergere la necessaria attenzione per distinguere tra verità e inganno; in un uomo che ha contestato il fatto da se stesso, tentando di metterlo in dubbio, ma non riuscendo;in un uomo che non aveva alcun interesse ad inventare un tale incidente, e che ha parlato di esso, ma solo a due persone. -Qui ci sono veramente molti motivi di credibilità.E perché non dovrebbe essere vero? In primo luogo, è assurdo negare la possibilità di miracoli; essi sono avvenuti in tutte le epoche, si verificano ancora, altri avverranno ancora, fino alla consumazione del mondo, nel seno della Chiesa cattolica. – Ma sarebbe dannoso per la maestà di Dio, supporre che avrebbe operato un miracolo, senza un motivo degno della sua saggezza infinita.Ma qual è il motivo nella presente circostanza? Quella di salvare un’anima immortale; e non è questo il motivo, la causa dei più meravigliosi miracoli? Edei miracoli operati dagli Apostoli, dai Santi della Chiesa primitiva, e di quelli che ancora oggi continuamente si verificano tra le nazioni infedeli.Ma il fatto è così insolito, così straordinario; e-Ma le condizioni di questo peccatore erano anche particolari; altri hanno conosciuto Dio e Lo hanno volontariamente abbandonato; come mezzo per ritornare, hanno la Chiesa e il Vangelo.Ma lui, figlio di Dio fin dal santo Battesimo, è stato strappato dalle braccia del suo Padre celeste, prima che spuntasse l’aurora della ragione; la sua mente era stata corrotta da una formazione empia e non aveva mai conosciuto Dio. – Possiamo quindi ragionevolmente credere che la misericordia divina sia stata efficace per lui secondo quello che ci dice l’angelo delle scuole, San Tommaso d’Aquino: egli assicura che per un pagano, che aveva seguito i precetti della legge di natura, ed era arrivato ​​alla sua ultima ora, per istruirlo nelle verità di fede, Dio avrebbe volentieri inviato un Angelo dal cielo, per rivelarglieli, piuttosto che farlo morire nella sua infedeltà. Vogliamo quindi dare gloria a Dio, dicendo con il profeta, “questo è veramente l’opera del Signore, ed è meraviglioso ai nostri occhi”.

 3. Una CONVERSIONE E MORTE edificante.

Vicino alla parrocchia di Notre Dame des Victoires, risiedeva una signora, che all’età di trentatré anni, si trovava in fin di vita per una malattia del torace. Aveva avuto già sei dei suoi fratelli e sorelle che l’avevano preceduta nella tomba, e ognuno di loro aveva lasciato questo mondo senza nemmeno avere idea della religione. Essi appartenevano ad una di quelle famiglie, di tutto rispetto per il resto, ma che, concentrando tutti gli affetti sulla terra, pensano solo ad acquisire o aumentare la loro fortuna;; persone che, dopo fatiche quotidiane e lotte per questo oggetto, non conoscono altro modo di passare il loro tempo, se non nella dissipazione di teatri, balli, e simili frivolezze in una vita mondana vertiginosa; persone che vivono come se non avessero uno spirito immortale dentro di loro, come se non ci fosse un futuro eterno che si avvicina, come se non ci fosse un Dio che li debba giudicare in quella eternità; essa fu educata senza religione, anche se aveva fatto la prima comunione: infatti il genitore più negligente è a volte attento ad eseguire questo dovere, stimandolo un atto indispensabile all’inserimento sociale. Poca attenzione, però, si fa alle disposizioni con le quali dovrebbe essere accompagnata questa pratica, e troppo spesso la si fa maliziosamente e sacrilegamente cercando così di sradicare dal cuore dei loro figli il buon seme di una istruzione precoce. Il risultato malinconico di tale condotta, è stato il totale disprezzo della religione che si manifestava in questa donna malata: la sua fine rapida avanzava, e ci sembrava non esserci alcun motivo per ritenere che sarebbe morta in modo non diverso dai suoi fratelli e sorelle. La Divina Provvidenza, tuttavia, ha eseguito i suoi disegni di misericordia. All’inizio del mese di marzo 1839, una Sorella del Buon Soccorso è stata chiamata al suo capezzale, e vedendo subito che il suo recupero poteva andare al di là di speranza, ha cercato di confortare e rafforzare la sua paziente con pie esortazioni. La donna morente però rifiutava positivamente di ascoltarle professando ad alta voce il suo disprezzo e l’avversione per la religione. Per qualche giorno la sorella non osò tornare sul soggetto, ma si mise in cerca della consulenza del parroco di Notre Dame des Victoires; si cominciò così ad offrire per la paziente le preghiere dell’Arciconfraternita, nella Domenica 10 marzo;; il Martedì 12 marzo, la sorella si avventurò, e con una migliore successo, nel rinnovare il tentativo della sua pia conversazione; la paziente infatti ascoltava riconoscendo che la religione ha sempre offerto molta consolazione ai malati ed agli afflitti; non ancora accennava al pentimento, ma aggiungeva che, anche se lei possedeva la fede, le sarebbe stato impossibile fare la sua confessione, per la sua estrema antipatia per i sacerdoti; durante il resto della settimana si ripeté costantemente la stessa cosa; il suo rammarico per la mancanza di fede, divenne sempre più profonda, ma l’orrore per i sacerdoti non diminuiva minimamente. Da dove arrivava questa strana sensazione, e come è stato possibile che il desiderio di consolazione religiosa e l’assistenza non diminuiva la sua ostinazione? Questa donna non conosceva alcun prete, e probabilmente non aveva mai parlato con nessuno di essi. Senza dubbio la causa va ricercata nelle conversazioni dannose e irreligiose per cui, in molte famiglie, le menti dei bambini sono pregiudicate, e il loro cuore danneggiato, nei loro anni più teneri. Si parla in loro presenza della religione, ma con disprezzo o indifferenza, istillando verso i sacerdoti odio o rendendoli ridicoli; i bambini ascoltano senza capire, ma questi discorsi, costantemente ripetuti, fanno molto impressione, così che, con l’aumentare dell’età, diventano opinioni fisse ed inamovibili. Ma da dove doveva derivare questo cambiamento nelle idee della malata, visto che lei, anche senza disprezzare più la religione, non ne comprende e sollecita la necessità ed il vantaggio? Con i pochi amici che la visitavano ella si studiava di ben evitare l’argomento; i suo unici assistenti erano il marito, un uomo privo di ogni sentimento religioso, e la madre, che prevedeva la sua morte, ma tuttavia non aveva alcuna preoccupazione per il suo destino eterno; anche la sorella del Buon Soccorso, scoraggiata dalle sue risposte, era stato in silenzio per parecchi giorni; ma era stata invocata a suo favore la tenera compassione di Maria, e la nostra Madre benedetta le aveva già cambiato il suo cuore, attutendo la sua ostinazione. La sorella informava l’Abate Desgenettes delle disposizioni della paziente, il Sabato 16; i dettagli che raccontava, lo riempirono di gioia e di consolazione, per cui ebbe tanta fiducia che Maria avrebbe salvato quest’anima dall’abisso della miseria eterna. Ma ogni momento era prezioso, e la sua fine rapidamente si avvicinava. La sera di Domenica erano state rinnovate le preghiere. L’Abate dava un resoconto del suo stato d’animo, e raccomandava al suo gregge di ascoltare la Messa per lei il lunedì seguente, offrendo le Comunioni di quel giorno con la stessa intenzione. Il martedì successivo, il 19, ella spontaneamente pregava la sorella, di condurle il suo pastore, il curato della parrocchia di Bonne Nouvelle. Questi, sentita la sua confessione, e vedendola in condizioni presso a morire, deliberava di darle gli ultimi Sacramenti, senza indugio; lei li ha ricevuti con una fede viva, e con sentimenti ardenti di pietà. Così grande era la sua debolezza, che si temeva che non potesse sopravvivere fino alla fine del giorno; ma la gioia del cuore, la pace della coscienza e la grazia dei sacramenti hanno fatto diversamente! Lei infatti, appena ricevuta la santa Comunione, riprendeva la sua forza, benediceva Dio per la sua felicità, e con sentimento ne parlava a tutti coloro che erano intorno a lei. Stava morendo, e Maria aveva ottenuto un prolungamento della sua vita di ventidue giorni, cosicché riconciliata con Dio onnipotente, aveva potuto, con la pazienza e sottomissione, pagare sulla terra il debito contratto con la giustizia divina. Lei, che fino ad ora, non aveva mai pensato di Dio, ora sentiva una santa attrazione per la preghiera; anche in mezzo alle sue sofferenze, non trascurava i suoi vari doveri di moglie, madre e maestra di una famiglia; lei voleva che si rispettassero le regole della chiesa, ed era attenta a che i suoi servi soddisfacessero il precetto della santificazione della Domenica. Le sue sofferenze venivano appena menzionate, ma parlava volentieri della sua gioia e della rassegnazione, spesso discorrendo con il marito, e dandogli i consigli più salutari. La natura della sua malattia le precludeva la felicità di ricevere la santa Comunione, ma il nostro divin Salvatore compensava questa privazione con l’abbondante effusione della sua grazia e la sua consolazione. Alla fine il giorno è arrivata la sua ricompensa. Martedì scorso, il 9 aprile, trovandosi sola con la sorella del buon soccorso, e suo marito, lei affettuosamente affidava a lui i suoi due bambini in giovane età; “Educali piamente,” disse, ” nel timore Dio, che ce li ha dati, non lasciarli nel mondo, che li rovinerebbe; Io sinceramente vi chiedo di metterli in una casa religiosa; insegneranno loro a conoscere e praticare la religione. “Mentre finiva di pronunciare queste parole, la sua forza le veniva meno; lei lo ha percepito, e con calma aveva osservato”: La mia agonia sta iniziando” poi, voltandosi verso la sorella, aveva aggiunto, sorridendo, “Non temere”, sono rassegnata. “Per alcuni minuti era stata in preghiera; poi rapidamente aveva perso coscienza, e dopo una breve e tranquilla agonia, si addormentava nella pace del Signore.

Fonte: L’Arciconfraternita del Cuore Immacolato di Maria, per la conversione dei peccatori, Notre Dame des Victoires, Parigi. 1843. 1843

DOMENICA V dopo l’EPIFANIA

Introitus Ps XCVI:7-8.

Adoráte Deum, omnes Angeli ejus: audívit, et lætáta est Sion: et exsultavérunt fíliæ Judae.

[Adorate Dio, voi tutti Angeli suoi: Sion ha udito e se ne è rallegrata: ed hanno esultato le figlie di Giuda]. Ps 96:1

Dóminus regnávit, exsúltet terra: læténtur ínsulæ multæ.

[Il Signore regna, esulti la terra: si rallegrino le molte genti].

Adoráte Deum, omnes Angeli ejus: audívit, et lætáta est Sion: et exsultavérunt fíliæ Judae.

[Adorate Dio, voi tutti Angeli suoi: Sion ha udito e se ne è rallegrata: ed hanno esultato le figlie di Giuda].

Oratio

Famíliam tuam, quaesumus, Dómine, contínua pietáte custódi: ut, quæ in sola spe grátiæ coeléstis innítitur, tua semper protectióne muniátur. Per Dominum …

[Custodisci, o Signore, Te ne preghiamo, la tua famiglia con una costante bontà, affinché essa, che si appoggia sull’unica speranza della grazia celeste, sia sempre munita della tua protezione.]

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Colossénses

Col III:12-17

“Fratres: Indúite vos sicut electi Dei, sancti et dilecti, víscera misericórdiæ, benignitátem, humilitátem, modéstiam, patiéntiam: supportántes ínvicem, et donántes vobismetípsis, si quis advérsus áliquem habet querélam: sicut et Dóminus donávit vobis, ita et vos. Super ómnia autem hæc caritátem habéte, quod est vínculum perfectionis: et pax Christi exsúltet in córdibus vestris, in qua et vocáti estis in uno córpore: et grati estóte. Verbum Christi hábitet in vobis abundánter, in omni sapiéntia, docéntes et commonéntes vosmetípsos psalmis, hymnis et cánticis spirituálibus, in grátia cantántes in córdibus vestris Deo. Omne, quodcúmque fácitis in verbo aut in ópere, ómnia in nómine Dómini Jesu Christi, grátias agéntes Deo et Patri per Jesum Christum, Dóminum nostrum”.

Lettura della Lettera del B. Paolo Ap. ai Colossesi, Col III:12-17

[Fratelli: Rivestitevi come eletti di Dio, santi e amati, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di modestia e di pazienza, sopportandovi a vicenda e perdonandovi se qualcuno ha da dolersi di un altro. Come il Signore vi ha perdonato, così anche voi. Ma al di sopra di tutto questo, abbiate la carità, che è il vincolo della perfezione. E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché siete stati chiamati a questa pace in modo da formare un solo corpo. Siate riconoscenti. La parola del Cristo àbiti in voi in tutta la sua ricchezza; istruitevi e avvisatevi gli uni gli altri con ogni sapienza, e, ispirati dalla grazia, levate canti a Dio nei vostri cuori con salmi, inni e càntici spirituali. E qualsiasi cosa facciate in parole o in opere, fate tutto nel nome del Signore Gesù Cristo, rendendo grazie a Dio Padre per mezzo di lui.]

Graduale Ps CI:16-17

Timébunt gentes nomen tuum, Dómine, et omnes reges terræ glóriam tuam.

[Le genti temeranno il tuo nome, o Signore, e tutti i re della terra la tua gloria].

Quóniam ædificávit Dóminus Sion, et vidébitur in majestáte sua. Allelúja, allelúja.

[V. Perché il Signore ha edificata Sion e si è mostrato nella sua maestà. Allelúia, allelúia.]

Ps XCVI:1

Dóminus regnávit, exsúltet terra: læténtur ínsulæ multæ. Allelúja.

[V. Il Signore è Re: esulti la terra: si rallegrino le molte genti. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthaeum.

  1. Gloria tibi, Domine!

Matt XIII:24-30

“In illo témpore: Dixit Jesus turbis parábolam hanc: Símile factum est regnum coelórum hómini, qui seminávit bonum semen in agro suo. Cum autem dormírent hómines, venit inimícus ejus, et superseminávit zizánia in médio trítici, et ábiit. Cum autem crevísset herba et fructum fecísset, tunc apparuérunt et zizánia. Accedéntes autem servi patrisfamílias, dixérunt ei: Dómine, nonne bonum semen seminásti in agro tuo? Unde ergo habet zizánia? Et ait illis: Inimícus homo hoc fecit. Servi autem dixérunt ei: Vis, imus, et collígimus ea? Et ait: Non: ne forte colligéntes zizánia eradicétis simul cum eis et tríticum. Sínite utráque créscere usque ad messem, et in témpore messis dicam messóribus: Collígite primum zizánia, et alligáte ea in fascículos ad comburéndum, tríticum autem congregáta in hórreum meum”.

[In quel tempo: Gesù disse alle turbe questa parabola: Il regno dei cieli è simile a un uomo che seminò buon seme nel suo campo. Ma nel tempo che gli uomini dormivano, il suo nemico andò e seminò della zizzania in mezzo al grano, e partì. Cresciuta poi l’erba, e venuta a frutto, comparve anche la zizzania. E i servi del padre di famiglia, accostatisi, gli dissero: Signore, non hai seminato buon seme nel tuo campo? Donde dunque è venuta la zizzania? Ed egli rispose loro: Qualche nemico ha fatto questo. E i servi gli dissero: Vuoi che andiamo a coglierla? Ed egli rispose: No, perché cogliendo la zizzania non strappiate con essa anche il grano. Lasciate che l’uno e l’altra crescano sino alla messe, e al tempo della messe dirò ai mietitori: Strappate per prima la zizzania e legatela in fastelli per bruciarla, e il grano raccoglietelo nel mio granaio.]

Omelia

Omelia della Domenica V dopo l’Epifania

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. I -1851-]

(Vangelo sec. S. Matteo XIII, 24-30)

Zizzania e Frumento.

“Non avete voi seminato (così al proprio padrone i suoi servi agricoltori) non avete seminato nel vostro campo il buon frumento? Come dunque è spuntata insieme con esso la mala zizzania”? – “Volete che sull’istante ci conduciamo ad estirparla?”- “No, rispose il padrone, perché essendo ancor tenere le pianticelle del grano, sradicherete colla zizzania il buon frumento. Lasciate pur crescere l’uno e l’altra sino alla maturità, e darò allora i miei ordini ai mietitori. Farò che, separata dal grano quest’erba malvagia, stretta in fascetti sia gettata al fuoco, e il buon frumento sia portato e custodito nel mio granaio”. Fin qui la parabola del corrente Evangelo. Uditene la facile interpretazione. Quel padrone, padre di famiglia, è il nostro Padre celeste; il campo, in cui è seminato il grano e la zizzania, è la santa Chiesa, che nel suo seno accoglie buoni e cattivi, discoli e ubbidienti figliuoli. Questa mescolanza però non è durevole. Verrà il tempo della messe, e la morte con falce inesorabile troncherà grano e zizzania. Si farà prima al tribunale di Cristo giudice, poscia nel giorno estremo la gran separazione. Saran divisi i petulanti capretti dalle innocenti pecorelle, l’eletto frumento dalla maledetta zizzania, gli eletti da’ reprobi. Verranno questi da’ demoni gettati ad ardere nel fuoco eterno, e quelli portati dagli angeli nel regno dei cieli. Fedeli miei, qual sarà la nostra sorte? Possiamo argomentarlo fin da ora: Siam noi zizzania? aspettiamoci il fuoco. Siam frumento? Il cielo sarà la nostra mansione. A chi più vi assomigliate? Acciò possiate meglio comprenderlo, vi esporrò da prima le naturali qualità della zizzania, che applicheremo a noi in senso morale; v’indicherò dappoi le naturali proprietà del frumento che applicheremo a noi altresì nel senso stesso. Da questo confronto potrete conoscere qual sarà per essere la vostra eterna sorte.

I . Sulla scorta di S. Basilio (S. Basil. In 5 Hom. Ex.), e degl’indagatori della natura, osserviamo le qualità della zizzania. È questa un’erba malvagia, che nasce in pessimo terreno, e talvolta in mezzo al frumento, erba che poco s’innalza di terra. Si assomigliano a questa coloro che sempre intenti alla terra coi pensieri, coi desideri, e cogli affetti del cuore, altro non hanno in mira, che il lucro, l’interesse, e gli acquisti dei beni terreni. Uomini creati pel cielo non pensano, anzi, al dir del re Profeta, hanno stabilito di non pensare che alla terra, e nella terra fissar gli occhi, fissar le radici di una dominante passione, “Oculos suos statuerunt declinare in terram” (Ps. XVI). A costoro io direi, se mi ascoltassero, miei cari, disinganniamoci; il nostro fine non son le cose che passano col tempo. Siam fatti pel cielo; lassù, dice l’Apostolo, dobbiamo innalzare la mente e il cuore, “quæ sursum sunt sopite, non quæ super terram” (Ad. Col. III). Da questa terra ci staccherà la morte, e quanto più, le radici delle nostre affezioni alla terra saranno tenaci e profonde, tanto più il taglio riuscirà doloroso, e incontreremo la mala sorte della rea zizzania. – S’insinua inoltre quest’erba maligna fra le radici dell’ancor tenera biada, e dove la rende sterile, dove la fa perire. Figura più espressiva delle scandalose persone non vi è di questa. Gesù Cristo infatti, dice il Crisostomo, chiamò tutti gli scandali e tutti gli scandalosi col nome di zizzania. “Omnia scandala et eos qui faciunt iniquitatem zizaniorum nomine significasse intelligitur” (in Cat. Aurea D. Th.). La zizzania, di cui parla l’odierno Vangelo, fu sparsa di notte da un uomo nemico, “inimiciis homo hoc fecit”. Questi, secondo i sacri espositori, è il demonio, che per mano degli uomini sparge nel mondo la scandalosa zizzania. Il demonio, dice S. Agostino, ha i suoi apostoli: son questi gli scandalosi, che coi laidi discorsi, col vestir immodesto, colle oscene pitture, colle invereconde poesie, coi libri ereticali, colle massime all’Evangelio contrarie fan perire l’innocenza, corrompono i buoni costumi, e danno morte a tante anime incaute. Che possono aspettarsi gl’iniqui seminatori di questa diabolica zizzania, se non il fuoco? – La zizzania in fine produce frutti così cattivi, che se per incuria misti col frumento vanno sotto la macina, e ridotti in farina restano mescolati col pane, cagionano a chi lo mangia vertigini, capogiri, e ubriaca rendono la persona; onde quel frutto, presso varie nazioni, si appella con nome significante quel brutto effetto. Oh, a quanti in questo secolo pervertito gira il capo circa le verità della fede! Finché vissero da buoni cristiani, finché, mantennero una retta coscienza ed una onesta condotta, non furono soggetti a capogiri intorno ai dogmi della santa religione; sana era la mente, perché sano era il cuore. Ma dopo aver mangiata la velenosa zizzania in quell’eretico autore, in quel poeta lascivo, in quella pratica disonesta, in quella rea amicizia, lo stomaco si è alterato, il cuore si é corrotto, e son saliti al cerebro vapori rivoltosi, ed hanno invasato l’intelletto dubbi, incertezze rispetto all’eterne verità. Che avviene poi di ognun di costoro? Le ree sue passioni, trovandosi senza freno, l’assalgono, gli tolgono l’uso della retta ragione; ond’egli ebro, insensato più non conosce sé stesso, e nel furor della sua ebbrezza, rompe il freno della coscienza, squarcia il velo di ogni naturale onestà, scuote il giogo della legge umana e divina, e per lui Dio più non esiste. “Dixit insipiens in corde suo, non est Deus” (Ps. XIII, 1). O povera umanità presa da un’ubriachezza di nuova foggia! “Paupercula et ebria, non a vino” (Isai. LI, 21). Ma l’esito di questa ebbriosa smania sarà simile a quella di un povero uomo plebeo, che agitato dal vino uscito di senno, si gloria, si vanta, si crede ricco, potente, animoso, e digerito il vino si trova debole, infermo, avvilito, e riconosce ridotta ad uno stato peggiore la propria miseria. Durino pur quanto la vita i deliri dell’iniqua zizzania, alla fine stretta in fasci, a fasci sarà gettata “ad comburendum”. – Date ora, fratelli carissimi, un interiore sguardo a voi stessi, ed osservate se fra voi e le pessime qualità della descritta zizzania, trovaste mai qualche confronto. Se fosse così, deh per carità, cangiate vita, cangiate costume. A questo fine, dicono i S. Agostino e Tommaso, (In catena aurea) il padrone evangelico non volle che così subito si estirpasse la zizzania del campo, per significarci che Iddio pietoso pazientemente aspetta che quei peccatori, che sono zizzania, possano coll’aiuto della grazia, per vera penitenza, trasformarsi in grano eletto.

  1. II. Passate ora a vedere, secondo l’evangelica allegoria, se piuttosto, come mi giova sperare, siete simili al buon frumento. Vien questo gettato sul campo, e sepolto sotterra, ove mercé la pioggia, e il calore del sole si schiude, si sviluppa, e vi muore per rinascere moltiplicato in biondeggianti spighe. Ecco il tipo di un buon cristiano. Egli nel suo battesimo, secondo la frase di S. Paolo (Rom. VI, 4), fu sepolto con Cristo, per poi risorgere con Cristo; ma prima deve morire di sua mistica morte colla rinunzia al mondo, al demonio, e alla carne. Né crediate esser questa una mia applicazione ingegnosa. È Gesù Cristo che precisamente lo afferma nel suo santo Vangelo colla similitudine del frumento, “nisi granum frumenti, dice egli, cadens in terram mortuum fuerit, ipsum solum manet” (Ion.XII, 24). Se come un granello di frumento in seno” alla terra l’uomo cristiano non muore, resterà sterile, e non potrà rinascere a vita migliore. Ma come una tal morte va intesa? Udite: sono in noi tutte le passioni, e tutte pel peccato d’origine, al male inclinate, la superbia, l’avarizia, la lussuria, l’invidia, la gola, l’iracondia, l’accidia, e come tante fiere stanno chiuse nel nostro cuore, come in un serraglio. Il tenere in freno queste bestie feroci cogli aiuti della ragione e della fede, il correggerle, il mortificarle, è come dar loro la morte: ucciderle non è possibile, ma si possono e si debbono, coll’impero della volontà, assistita dalla grazia, soffocare in guisa che non arrivino ad offendere né coi denti, né cogli artigli. L’uomo infame vive, ma pure è morto alla vita civile. Del pari vive sono le nostre passioni, ma se si raffrenano i loro moti, se s’impediscono i loro sfoghi, han vita, ma perché senz’azione, si possono dir morte,come morte al mondo si appellano le religiose persone, che pei voti solenni non han più beni propri, non più libertà di stato, non più elezione di volontà. È questa la mistica morte. Ma perché più facile in noi si renda, conviene anche dar morte agli strumenti dei quali si servono le malnate nostre passioni. I sensi del corpo son le armi, son gli incentivi delle nostre passioni, e di queste non si vinceranno gli assalti, se non si spuntano quest’armi, se non si estinguono quest’incentivi. Mortificazione dunque dei sensi in tutto ciò ch’è contrario alla legge di Dio e della Chiesa: custodia d’occhi, che non trascorrano in oggetti pericolosi; freno alla lingua, che non prorompa in maldicenze, in imprecazioni, in bestemmie; freno alla gola, che osservi la temperanza e i comandati digiuni; in somma, mortificazione della carne per vivere secondo lo spirito, come inculca l’Apostolo. Ma questo spirito conviene che muoia anch’esso nell’uso delle sue facoltà, Deve morir l’intelletto coll’umile sottomissione in credere tutto ciò che Dio ha rivelato, la memoria colla dimenticanza delle ricevute offese, la volontà con la perfetta rassegnazione a quella di Dio in ogni cosa. Ecco la mistica necessaria morte, di cui parla il Redentore in quella sua grande e meravigliosa sentenza, così chiamata da S. Agostino: “Qui amat animam suam perdet eam” (Jon. XII, 23). Chi ama l’anima sua, e vuol salvarla, la faccia morire a tutte le disordinate sue voglie. Il martire S. Ignazio, discepolo di S. Giovanni Evangelista, Vescovo d’Antiochia, da Traiano condannato alle bestie nell’anfiteatro romano, mandò lettera ai fedeli di Roma, che n’attendevano l’arrivo, e: “figliuoli miei, scriveva, io son frumento di Cristo, sarò stritolalo dai denti delle fiere come dalla mola, per esser fatto pane mondo, accettevole agli occhi suoi. “Frumentum Christi sum, dentibus bestiarum molar, ut panis mundus veniar” (Hieron. De Script. Eccl.). Questa é ben altra morte; Iddio nelle circostanze presenti non l’esige da noi; ma nell’ordine dell’attuale provvidenza, non può dispensarci dalla morte de’ nostri sensi, delle nostre potenze, delle nostre passioni, come veniva dicendo. – Il frumento inoltre giunto a maturità va sotto le verghe, e a colpi sonori si sguscia, e si divide dalla sua paglia. Veniamo al senso morale. Se voi, sotto i pubblici o privati flagelli, che vengono dalla mano di Dio, o per castigo o per prova, abbassate il capo, e con pazienza e rassegnazione dite con Giobbe, “sit nomen Domini benedictum”; buon segno, voi siete grano eletto. Ma se voi sotto la sferza delle tribolazioni, delle quali abbonda questa valle di pianto, se nelle malattie, nelle disgrazie, nelle persecuzioni, come un rospo sotto il flagello, raddoppiate il veleno, prorompete in maledizioni, vomitate bestemmie, ve la prendete contro Dio, contro gli uomini, come autori dei vostri guai, mentre non ne son che gli strumenti, ohimè, voi non siete buon grano. Mirate un S. Paolo, e salutarmente confondetevi, udite questo grande Apostolo delle genti: “Io, dice egli, sono stato per ben tre volte battuto con verghe, ed una volta sepolto sotto una tempesta di pietre per amor di Gesù Cristo, e a gloria del suo santo nome: “Ter virgis cæsus sum, semel lapidatus sum pro Christi nomine” (2 ad Cor. XI, 25). – Gesù stesso, dice S. Agostino, era un grano di frumento sottoposto ai flagelli de’ perfidi Giudei, “erat granum mortificandum infidelitater judeorum” (Tract. 51 in Ioan.). A questi esempi, che dice la nostra delicatezza, che aborre ogni sorta di mortificazione, e che né pure nelle tribolazioni, che scansar non si possono, sa fare della necessità virtù? Finalmente il frumento, per purgarlo dall’inutile paglia, posto nel vaglio vien agitato, ed esposto allo spirar del vento, che via portando la paglia dispersa, lo lascia cader sull’aia purgato e mondo. Le morale applicazione su questo punto ce la somministra Gesù Cristo con quel che disse a S. Pietro ed agli Apostoli: “Ecce Satanas expetivit vos, ut cribraret sicut triticum”(Luc. XXII, 31). Ha concepito il demonio l’iniqua idea di ventilarvi come frumento nel vaglio. Così avvenne; gli Apostoli, i cristiani in ogni tempo sono stati dal demonio, e dai seguaci di lui, agitati nel vaglio delle persecuzioni, ed esposti al vento delle false dottrine; ma si son mantenuti saldi nella fede, e sani nel costume. Seguite l’esempio. Il nemico non dorme; non cedete ai suoi assalti, state fermi ai venti delle tentazioni, degli scandali e degli errori, e come grano purgato, farete certa la vostra elezione e salvezza. – Da queste due pitture della zizzania e del frumento potrete conoscere a quale più vi assomigliate. Se nella zizzania riscontrate il vostro ritratto, ohimè! il fuoco vi aspetta; se nel frumento, consolatevi, avete un gran segno della beata vostra predestinazione. 

Credo …

Offertorium

Ps CXVII:16; 117:17

Déxtera Dómini fecit virtutem, déxtera Dómini exaltávit me: non móriar, sed vivam, et narrábo ópera Dómini.

[La destra del Signore ha fatto prodigi, la destra del Signore mi ha esaltato: non morirò, ma vivrò e narrerò le opere del Signore.]

Secreta Hóstias tibi, Dómine, placatiónis offérimus: ut et delícta nostra miserátus absólvas, et nutántia corda tu dírigas.

[Ti offriamo, o Signore, ostie di propiziazione, affinché, mosso a pietà, perdoni i nostri peccati e diriga i nostri incerti cuori.]

Communio Luc IV:22

Mirabántur omnes de his, quæ procedébant de ore Dei.

[Si meravigliavano tutti delle parole che uscivano dalla bocca di Dio.]

Postcommunio

Quaesumus, omnípotens Deus: ut illíus salutáris capiámus efféctum, cujus per hæc mystéria pignus accépimus. Per Dominum …

[Ti preghiamo, onnipotente Iddio: affinché otteniamo l’effetto di quella salvezza, della quale, per mezzo di questi misteri, abbiamo ricevuto il pegno.]