Due campioni dell’empietà: Voltaire e Rousseau
[J. –J. Gaume: Catechismo di perseveranza, vol. III, Torino, 1881]
Sdegnato dalle conquiste che il Cristianesimo faceva alle estremità del mondo, l’inferno raddoppiò i suoi sforzi per spegnere la fede in Europa e specialmente in Francia. Una congiura di letterati conosciuti sotto il nome di filosofi formò l’orribil trama di schiacciare la Religione di Cristo. Grandi e piccoli si accingono all’opera; gli uni scavano le viscere della terra, gli altri interrogano gli astri: questi consultano gli annali degli antichi popoli, quelli fanno dei calcoli; tutti si sforzano di dare una smentita alla Religione, e di metterla in contraddizione colle scienze naturali, colle tradizioni dei popoli e coi monumenti della storia. Si spande una farragine di libelli, si predica su tutti i tuoni l’incredulità ed il libertinaggio, l’uomo si fa carnale, e come al tempo che precedette il diluvio, lo spirito di Dio più non potendo in esso riposare sta per ritirarsi. – Fra questi uomini il cui nome non si può pronunziare senza orrore avendo colla loro malizia attirato sul nostro capo innumerevoli flagelli, ve ne sono due specialmente che debbono essere conosciuti affinché persino i fanciulli imparino a temere il veleno delle loro dottrine: Voltaire e Rousseau, doppiamente colpevoli, perché furono apostati della fede, e profanatori del genio. Del resto la loro vita doveva formarne co’ suoi scandali gli avversari della Religione e gli apostoli della incredulità: poiché, non bisogna dimenticarcene mai, l’incredulità nasce sempre dalla corruzione, e non è mai patrocinata che dal libertinaggio: vergogna eterna dell’incredulità! Ma onore a Te, o Religione cattolica che mai non avesti altri nemici che quegli uomini a cui niuno vorrebbe rassomigliare! – Giovani, voi che giurate sulla parola di Voltaire e di Rousseau, uomini di età matura che ne serbate a gran cura le opere nelle vostre librerie, venite, io vi svelerò le ignominie dei vostri maestri, le vergogne dei vostri idoli! Francesco Maria Arouel, detto di
Voltaire,
nacque a Chàtenay presso Parigi, nel 1694. Suo padre era un antico notaio. Venne educato a Parigi nel collegio dei Gesuiti. La temerità de’ suoi giudizi spaventò ben tosto i suoi maestri; ed uno di loro disse un giorno che sarebbe stato in Francia il gonfaloniere dell’empietà; gli eventi giustificarono pur troppo questa predizione. All’età di sedici anni il giovane Arouet uscì di collegio, e visse, giusta le sue inclinazioni in mezzo alle compagnie più eleganti e più corrotte della capitale. – Le molte contese ch’egli ebbe con suo padre lo decisero a passare in Olanda in qualità di segretario d’ambasciata; giunto appena alla Haye, il dabben giovane si fece rimandare a casa pel suo libertinaggio. – Esso non poté riconciliarsi col padre che mettendosi a lavorare presso un procuratore; ma la sua negligenza, e la sua avversione per le scienze legali non tardarono guari a farlo rimandare. – Voltaire fu cattivo cittadino del pari che cattivo figlio. Nel 1715 egli si attirò coi suoi motteggi più che leggieri uno schiaffo da un vecchio autore nelle stanze di un teatro; qualche tempo dopo si ebbe uno sfregio da un ufficiale da lui calunniato: cattivo figlio, malvagio cittadino, Voltaire fu ancora un tristo suddito. Dopo la morte di Luigi XIV si videro comparire a varie riprese delle vili e sconcie satire contro questo monarca: essendo il sospetto caduto sopra Voltaire, fu chiuso nella Bastiglia; appena uscito di prigione, si vide forzato a lasciar Parigi, perché, essendosi collegato cogli autori di una congiura che si era scoperta, venne accusato di avervi preso parte; quindi si ritirò al castello di Sully, ove ben presto si manifestò il suo libertinaggio. – Partito poscia per l’Olanda, e dimoratovi qualche tempo il torbido suo genio lo ricondusse alla capitale. I motti pungenti che si permise contro un giovane signore gli meritarono da parte dei domestici una buona dose di bastonate, e dalla parte delle autorità sei mesi di Bastiglia, con ordine di lasciar la Francia, scontata la sua pena. – Per tal modo Voltaire all’età di trentun anno era stato cacciato di casa paterna, dall’uffizio del procuratore, rimandato dall’Olanda, schiaffeggiato da un comico, castigato anche più severamente da un ufficiale, messo alla Bastiglia, esiliato di Parigi, battuto dai domestici per aver insultato il loro padrone, rinchiuso di bel nuovo nella Bastiglia e sbandito dalla Francia. Filosofi, ammirate la santa vita del vostro Apostolo. – Uscito dalla Bastiglia, Voltaire passò in Inghilterra popolata allora di liberi pensatori, che lavoravano di concerto per scalzare le basi del cristianesimo. A Londra, esso pubblicò l’Enriade ed ingannò il suo libraio, il quale rinnovò sulle spalle del poeta la correzione amministrata tre anni prima dai servitori del cavaliere di Bohan. – Questo spiacevole accidente fece sollecitare a Voltaire la permissione di ritornare in Francia, e l’ottenne. Alloggiato in un sobborgo di Parigi, vi condusse per qualche tempo una vita oscura e quasi nascosta occupandosi ora di lavori letterari, ed ora di faccende finanziarie. Essendosi associato ai provveditori dell’armata d’Italia, il filosofo si fece una rendita di cento sessanta mila lire: il poveretto! – Essendo poi stato denunziato al guardasigilli in proposito di una commediante di cui aveva fatto l’apoteosi, la quale altro non è che una serie di attacchi contro la Religione ed i suoi ministri, e contro la nazione in generale, Voltaire si rifugiò a Rouen, ove visse sette mesi nascosto in casa di uno stampatore, che ridusse poco tempo dopo in rovina con una truffa degna della galera. A questi principi corrisponde il restante della sua vita, la quale non offre altro che un lungo tessuto di libertinaggio, d’empietà, di basse adulazioni pei grandi, d’ipocrisia e di sacrilegio, e termina con una morte spaventevole. Il colpevole scrittore erasi ritirato a Ferney vicino a Ginevra; di là esso lanciava contro i suoi nemici, contro la Religione ed il Governo una quantità di libelli e di diatribe, nelle quali non sapresti ciò che riesca più odioso tra il fanatismo furibondo del patriarca della moderna filosofia, e la sua impudenza cinica e ributtante. – « Mentite, mentite arditamente, scriveva esso a’ suoi accoliti, qualche cosa vi resta sempre… m’importa assai di esser letto, e pochissimo di essere creduto». – Nel 1778 Voltaire ottenne il permesso di venire a Parigi. La sua entrata in questa città fu un vero trionfo. Il trionfo di Voltaire! Queste due parole fanno tremare ed arrossire; il trionfo di Voltaire vuol dire il trionfo del cinismo, dell’empietà e di tutti i vizi personificati, e ci dà un’idea della società francese di quel tempo; mentre presagiva la inaudita catastrofe che quindici anni più tardi doveva insanguinare la nostra patria, e quella degradazione senza esempio che doveva mostrare al mondo la prima delle nazioni in atto di prostituire i suoi incensi al rifiuto degli scellerati, ad un Marat,!!! Ma il Dio vivente oltraggiato per settant’anni dal più ingrato fra gli uomini, doveva ben tosto pigliar le sue vendette. – Era Voltaire giunto all’anno ottantesimo quarto del viver suo, quando pochi giorni dopo il suo ingresso nella capitale, fu assalito da un vomito di sangue; il che però non gl’impediva di farsi aggregare alla frammassoneria. Ma la misura era alla fine ricolma, e stava per suonare l’ora della divina giustizia. Osservisi primamente come la fine del corifeo dell’empietà è tanto più singolare, in quanto che lo colpiva precisamente una mortal malattia nel tempo in cui egli si prometteva il trionfo dell’ateismo. I suoi stessi partigiani hanno pubblicato la lettera nella quale egli scriveva al d’Alembert in questi termini : « Fra vent’anni, Dio sarà spacciato». Questa predizione blasfema porta la data del 25 febbraio 1758; ora il giorno appunto del 25 febbraio 1778 esso venne colpito dal vomito di sangue che lo condusse al sepolcro; a vent’anni d’intervallo il giorno preciso! La violenza del male gli fece ben tosto smentire la sua professione d’incredulità: esso fa chiamare uno di quei sacerdoti che aveva cotanto oltraggiato e calunniato nei suoi scritti, ed era questi l’Abbate Gauthier vicario di San Sulpizio. – Dinanzi a lui confessa in ginocchio le sue colpe, e gli consegna in mano la ritrattazione autentica delle sue empietà e dei suoi scandali. – In essa dichiarava di morire in seno della cattolica Religione. Questa professione di fede parendo molto sospetta da parte di un uomo che ne aveva già fatto delle somiglianti, il curato di San Sulpizio volle presentarsi in casa di Voltaire; ma i suoi amici avevano preso le loro precauzioni per impedirgli, come si esprime uno di loro, di fare un altro capitombolo. Costoro non lo abbandonarono un solo istante, e resero cosi inutile lo zelo e la carità del curato di San Sulpizio. – Intanto il vecchio peccatore si avvicinava alla sua eternità! Forse si era lusingato di recare a compimento la grande opera della sua riconciliazione con Dio, ma la morte prevenne gli estremi soccorsi. – Ecco che il filosofo si trova assalito da orrenda paura, e grida con voce spaventevole: « Io sono abbandonato da Dio e dagli uomini ». Esso invoca il Signore che aveva bestemmiato, ma un mezzo secolo di sarcasmi vomitati contro la Religione pare che abbia stancato la pazienza dell’Eterno; il sacerdote non giunge, ed il malato entra nelle convulsioni e nei furori della disperazione. Torbido il guardo, smorto e tremante dallo spavento egli si agita e si volge da tutti i lati, squarcia le sue carni, e divora…. i suoi escrementi: esso vede aprirsi dinanzi a sé quell’inferno di cui si era cotanto beffato, freme d’orrore a questa vista, ed il suo ultimo sospiro era quello di un riprovato. “Io sono abbandonato da Dio e dagli uomini”. Queste parole tremende, l’aria, l’accento onde furono pronunziate agghiacciarono di spavento il celebre Tronchin, che aveva curato Voltaire nella sua ultima malattia. « Immaginatevi tutta la rabbia ed il furore di Oreste, dice questo medico protestante testimonio dell’orribile morte, voi non avrete che una languida idea della rabbia e del furore di Voltaire nella sua ultima malattia. Sarebbe a desiderare, ripeteva esso sovente, che i nostri filosofi fossero stati testimoni dei rimorsi e dei furori di Voltaire, è questa la lezione più salutare che avrebbero potuto ricevere coloro ch’egli aveva corrotto coi suoi scritti. Il Maresciallo di Richelieu aveva veduto con i suoi occhi questo spettacolo spaventoso e non aveva potuto fare a meno di esclamare: «In verità, questo è troppo forte, è impossibile di resistere ». Cosi moriva il patriarca dell’incredulità i l 30 maggio 1778. Mentre Voltaire corrompeva la gioventù e parlava agli spiriti superficiali,
Gian Giacomo Rousseau
si volgeva agli uomini che si piccano di riflessione, e che allora s’intitolavano pensatori o spiriti forti. Rousseau, essendo protestante, sviluppò ed applicò alla società i pericolosi principii della Riforma. Empio, incredulo e vizioso, esso era degno di figurare tra i nemici di una religione che condanna tutti i vizi, e prescrive tutte le virtù. Gian-Giacomo Rousseau nacque a Ginevra nel 1712. Egli passò la prima sua infanzia nella lettura dei romanzi. Suo padre, di professione orologiere, lo mise in pensione da un ministro protestante; ma tutto il frutto che ne ricavò l’allievo, si fu d’imparare un po’ di latino, e di contrarre delle tristissime abitudini. Collocato in qualità di scrivano presso il Cancelliere di Ginevra fu trovato inetto, e rimandato. Dopo qualche mese di tirocinio in casa di un incisore, dove l’ozio, la menzogna ed il furto divennero i suoi vizi favoriti, come confessa egli stesso, passò in Savoia; un caritatevole ecclesiastico di questo paese gli forni i mezzi per recarsi a Torino, dove si fece ammaestrare intorno alla Religione cattolica, e due mesi di poi abiurò il protestantismo. Non avendo ricavato che venti franchi della sua pretesa conversione, entrò in qualità di lacchè nella casa della Contessa di Vercelli; ma messo ben tosto alla porta per un furto commessovi, e di cui aveva ingiustamente accusato una giovane fantesca, passò al servizio del Conte di Govone primo scudiere del Re di Sardegna. Alle amorevolezze del nuovo suo padrone Rousseau corrispose con una condotta ed un’insolenza che lo fecero congedare. – Senza mezzi, senza protezione, egli si mette a simular la pietà, si volge ad una gentildonna che lo accoglie e gli prodiga tutte le cure di una madre. Dietro i suoi consigli esso entra in un seminario per abbracciare la carriera ecclesiastica, ma ne vien rimosso non essendo buono a nulla. Più non sapendo che far di sé stesso, si mette a percorrere la Svizzera con un preteso vescovo greco che faceva delle collette pel Santo Sepolcro; questi due onesti viaggiatori si fecero arrestare a Solura e mettere in prigione. – L’ambasciatore di Francia mosso a pietà del giovane vagabondo, gli dà i mezzi di tornare a Parigi, dove prova tutti gli orrori della miseria. Finalmente venuto a Lione entra in qualità di precettore nella casa del signor di Mably gran rettore di questa città; gli ruba il suo vino d’Arbois, e se lo beve deliziosamente leggendo dei romanzi. Dopo vari fatti del pari onorevoli, ai quali tenne dietro un viaggio in Italia, Rousseau ritorna a Parigi nel 1745, e si abbandona ad un pubblico libertinaggio e mena una tal vita scandalosa per bene venticinque anni agli occhi di tutta Europa. Al libertinaggio egli unisce l’empietà, e se già aveva abiurato la setta di Calvino per abbracciare la Religione cattolica, eccolo ben tosto, tornato a Ginevra, abiurar la Religione cattolica per la setta di Calvino. La principale sua opera intitolata l’Emilio fu censurata dalla Sorbona, condannata dall’Arcivescovo e dal Parlamento di Parigi, poi arsa pubblicamente a Ginevra per mano del boia. Inseguito dalle autorità di Francia e di Svizzera Rousseau passa in Inghilterra; ma essendovi male accolto, ed abbeverato di amarezze domanda ed ottiene a forza d’i stanze il permesso di fissarsi a Parigi a condizione che non iscrivesse più nulla né sulla Religione né sulla politica. Un ultimo tratto farà conoscere appieno questo patriarca della filosofia. forza sulla tenerezza materna e sui doveri dei genitori verso dei loro figli, metteva con fredda crudeltà i proprii suoi figli all’ospedale dei trovatelli. – Qual vita, tal morte; secondo ogni probabilità, Rousseau si tirò un colpo di pistola, ed avendo preso il veleno mori nel 1778.
- Voltaire e Rousseau i più abbietti fra gli uomini, tranne coloro che li stimano, tali sono, o filosofi del giorno, uomini irreligiosi di tutti i colori e di tutte le condizioni, i vostri due apostoli, i vostri due evangelisti, i vostri due santi, gli autori di quanto noi abbiam veduto, e di quanto veggiamo. [Voltaire non ha veduto tutto ciò che ha fatto, ma ha fatto quanto noi veggiamo; cosi scriveva il filosofo Condorcet, ammiratore e discepolo di Voltaire frammezzo alle insanguinate rovine dei troni e degli altari. Qualche mese dopo egli avrebbe potuto scrivere questa frase dall’alto del patibolo, dove le dottrine del suo maestro lo avevano condotto con molti altri].
– Imitate pur dunque i vostri padri, prostratevi dinanzi a codesti dati uomini, e poi, se osate, dite pure: io vorrei essere simile a loro!!! Del resto, prima di pronunziare, è bene che li conosciate non dietro quanto si dice di loro, ma dietro le stesse loro parole. Venite dunque a Ferney ed a Ginevra, ascoltate le gentilezze che si dicono a vicenda, e regolate la vostra stima per loro su quella che l’uno professa per l’altro. Voltaire scrive a Rousseau ch’è uno scappato di Ginevra; un certo messere che ne ha fatto delle sue; un mariuolo, un furfante, un ciarlatano selvaggio che raduna i passeggeri sul Ponte Nuovo; un matto villano che scrive delle impertinenze degne di Bicétre: un giovinastro di una ciarla insopportabile che le donnicciuole scambiano per eloquenza: un ipocrita, un nemico del genere umano, un botolo ringhioso e stizzoso: un cupo energumeno impastato di orgoglio e pieno di fiele, un vile, un empio, un ateo, un miserabile che potrebbe assai bene arrampicarsi sopra una scala, che avrebbe meritato di essere appeso per aver fatto dei libri abominevoli, un uomo senza fede, senza religione. – Ecco Rousseau; la sua moglie poi è una vecchia infame, le cui mani adunche furono morsicate dai cani dell’inferno. – Bravo, signor Voltaire! Ecco un bel panegirico: ma intanto non siete voi, o illustre scrittore, modello di civiltà e di gusto, che dicevate: « Nella conversazione » delle persone dabbene ciascuno dice il suo parere, ma niuno ingiuria la sua brigata; si discute, ma non s’insulta? – Ora voi ingiuriate, voi insultate, voi non siete dunque un…. Dispensatemi dal terminar la frase. – Meno abile nell’arte d’ingiuriare, Rousseau risponde a Voltaire attaccandone gli scritti; anima abbietta, tu cerchi invano di avvilirla; è solo la tua trista filosofia che ti rende simile alle bestie, ma il tuo genio è una protesta contro i tuoi principii, e lo stesso abuso delle tue facoltà prova la loro eccellenza a tuo dispetto. – Se voi dunque chiedete a Voltaire chi è Rousseau, vi dice ch’esso è « un mascalzone, un furfante, un cane, un ciarlatano selvaggio ». – Se domandate a Rousseau chi è Voltaire, vi dice ch’è « un’anima abbietta, simile alle bestie ». – Ma eccovi qualche cosa di meglio e di meno sospetto; si è lo stesso Voltaire, lo stesso Rousseau che rendono giustizia a se stessi ed ai loro scritti: volete voi sentirli? – Ascoltate Voltaire : Io sprecai il tempo della mia esistenza a comporre guazzabuglia di cui la metà non avrebbe mai dovuto veder la luce. – Ascoltate Rousseau: Dire e provare del pari il prò ed il contro, persuader tutto e non credere a nulla, è stato sempre mai il favorito trastullo del mio ingegno, io non osservo alcuno de’ miei libri senza fremere; invece d’istruire, io corrompo; invece di nutrire, io avveleno: ma la passione mi trascina, e con tutti i miei bei discorsi io non sono che uno scellerato. Io non desidero altro che un angolo di terra per poter morire in pace senza toccare né carta né penna. – Voltaire e Rousseau, ecco dunque quanto la filosofia ha di meglio da opporci. Gran Dio! Dio di santità, Dio di purità, Dio di tutte le virtù! sarebbero mai costoro quelli che voi sceglieste per vostri rappresentanti sulla terra, gl’interpreti delle vostre sante verità, i maestri del genere umano, mentre avete condannato all’errore tutto ciò che v’ebbe tra gli uomini di più virtuoso, di più illuminato, di più somigliante a Voi stesso! Ed ora a chi mi domandasse come si possano spiegare gli elogi e l’ammirazione fanatica di cui Voltaire e Rousseau furono obbietto, sarebbe agevole il rispondere: « Essi dicevano ad alta voce ciò che il loro secolo pensava in segreto: l’impura loro voce era l’eco di tutti i loro cuori corrotti di cui era pieno il mondo ».