BREVI E FAMILIARI RISPOSTE
ALLE OBBIEZIONI
che si fanno più frequentemente
CONTRO LA RELIGIONE
[OPERETTA DELL’ABATE DE SÉGUR
[G. Marietti ed. Torino, 1870]
Prefazione del TRADUTTORE
Dacché la stampa irreligiosa, e proterva anche nel nostro paese si mise con procace audacia a spargere Io scherno, l’insulto, e il biasimo su le cose, e persone sacre, e su i doveri religiosi, fu sentito il bisogno di riparare a questo danno col raccogliere in un piccolo libro alla portata di tutti, e che nella sua semplicità avesse l’attraente della svelta e lucida esposizione, tutte le obbiezioni, tutti i sofismi, che con mala fede si vanno propinando al popolo dei fogli perversi, e da uomini irreligiosi, e fare appositamente ad essi una facile, corta, e famigliare risposta. Un tal libro tanto opportuno nelle circostanze, che ci fa il tempo presente, uscì colà, dove forse la diffusione dell’irreligiosità fu maggiore, cioè in Francia, dall’abile, arguta, e facile penna dell’abate De Segur, Cappellano della prigione militare di Parigi. —Il Traduttore animato dall’utilità grande, che la lettura di queste risposte arrecherà ad ogni ceto di persone, si determinò a portarle nel nostro idioma, procurando di conservare quel brio e scioltezza di stile, che è propria dell’Autore. Possa la diffusione di quest’operetta produrre anche nel nostro paese quel bene, che recò in Francia, ove in poco tempo se ne fecero sedici edizioni.
PREFAZIONE DELL’AUTORE
Eccoti un libretto, che io ho fatto a bella posta per te, mio caro lettore; te ne offro la dedica, specialmente se a primo aspetto ti spiace; è segno che ne hai più particolarmente bisogno. Si dice che un buon libro è un amico. Io spero in questi momenti di presentarti uno di questi amici. Ricevilo, come si ricevono gli amici, con benevolenza, e con cuore aperto, che in tal modo te l’offro. Benché esso parli dì cose un po’ serie, ho buona fiducia, che esso non ti darà noia. Io glielo ho molto raccomandato, ed esso mi promise non di predicare, ma semplicemente di discorrere.—Dopo aver letto l’ultimo capitolo, mi saprai dire, se egli fu di parola. – Tu osserverai senza dubbio che i pregiudizi, ai quali io faccio risposta, sono di tre specie. Gli uni provengono dall’empietà, questi sono i peggiori, da essi ho cominciato: gli altri provengono da ignoranza; gli altri in fine da codardia. — Io spero, che la maggior parte di queste obbiezioni ti saranno sconosciute, e che giammai te le sarai proposte seriamente. Ciononpertanto te l’ho notate come un preservante per l’avvenire. E il contraveleno, che ti presento avanti per precauzione. Prego Dio che questi semplici discorsi ti siano profittevoli e che guadagnino il tuo cuore. Conoscendo per dolce esperienza che la vera felicità consiste in conoscere, amare e servire Iddio, io non ho desiderio più ardente di quello di vedere la mia felicità così pura, così stabile divenire altresì la tua… L’intenzione è buona; ciò è già qualche cosa, specialmente nei tempi che corrono. Lo è pure il libro? Lo desidero, benché conosca la mia insufficienza. Troverai senza dubbio molte questioni trattate troppo brevemente; ma io temo di stancarti, mio caro lettore, ed amo meglio essere incompleto, che d’addormentarti. Povero il libro, sul quale si dorme! Io t’impegno, quanto a questo, a non leggerne troppo alla volta. Leggi piuttosto con, riflessione, considerando attentamente le ragioni, che ti presento. Ti prego sopratutto di cercar di buona fede la verità, di non respingerla, se essa si presenta alla tua mente. Quando il cuore è retto e sincero, non tarda a venire la luce.
RISPOSTE BREVI E FAMILIARI
ALLE OBBIEZIONI PIU’ DIFFUSE CONTRO LA RELIGIONE
I. – NON MI PARLATE DI RELIGIONE
R. – E perché dunque? La Religione è la conoscenza, l’amore, ed il servigio di Dio. È la scienza e la pratica del bene. — Che avvi in ciò che non sia degno di voi, di ogni persona ragionevole, ed onesta? Credetemi; voi non conoscete la Religione. Quale voi ve la rappresentate, capisco facilmente, ch’essa vi spiace, ch’essa vi ripugna… ma essa è tutt’altra cosa di quello che se l’immagina il mondo. Io ve lo farò vedere in alcuni discorsi famigliari. Vi mostrerò che essa è fatta per voi, e che voi siete fatto per essa, perché essa porta la verità al vostro intelletto, e la pace al vostro cuore, perché essa vi fa conoscere chi voi siete, d’onde venite, dove andate, e che senza essa voi siete un essere mancante, perduto, e perciò infelice. – Qual cosa più degna d’altronde dell’attenzione, dello studio, del rispetto d’un uomo ragionevole, che la dottrina, la quale ha formato, e nutrito il genio d’un Bossuet, d’un Fénelon, d’un Pascal? Che di più venerabile, anche a primo aspetto, della fede d’un s. Vincenzo de’ Paoli, d’un S. Francesco Saverìo, d’un s. Carlo Borromeo, d’un S. Francesco di Sales, d’un s. Luigi-, d’un s. Alfonso , d’un s. Filippo Neri, d’un b. Sebastiano Valfrè, d’un Bellarmino? – « Il più gran servigio che io abbia reso » alla Francia, diceva l’imperatore Napoleone, si è d’avervi ristabilita la Religione cattolica. Senza la Religione che ne sarebbe degli uomini? Essi si scannerebbero per la più bella donna, per la più grossa pera. » Ah! se come io, voi la vedeste ciascun giorno, questa Religione benedetta, tergere le lacrime del povero, mutare i cuori più viziosi, formare d’un delinquente degradato un santo, se voi la vedeste spandere per tutto la verità, la rassegnazione, la speranza, la pace, la gioia, la purità nello anime, voi cambiereste di linguaggio, e direste senza dubbio: Oh parlatemene sempre, parlatemene! Rischiarate la mia mente colla sua luce, purificate il mio cuore colla sua santa influenza, con essa consolate i miei dolori! – Lasciatemi dunque parlar della religione. E per farvi conoscere la realtà di questa dolce influenza, alla quale io v’invito a non sottrarvi, permettetemi di cominciare i nostri discorsi da un tratto commovente di cui io sono stato testimonio, e direi quasi l’attore; esso parlerà in favore della mia tesi più fortemente di tutti i discorsi. Or son due anni, un povero sergente condannato a morte, aspettava nella prigione militare di Parigi l’esecuzione della fatale sentenza. Il suo delitto era molto grave. Egli aveva ucciso con premeditazione il suo luogotenente per vendicarsi d’una punizione, di cui questi l’aveva minacciato. – Cappellano di questa prigione, vidi il sergente Herbuel e gli apportava i soccorsi della Religione. Pentendosi già del suo delitto, egli li riceveva senza difficoltà. Dopo il secondo, o terzo giorno della sua sentenza si accostò ai sacramenti, e da questo momento quest’uomo sembrò tutto mutato. « Ora, mi ripeteva, ora io sono felice. Io son pronto. Iddio faccia di me ciò che » vorrà. Io sono in una pace profonda: non mi rincresce la vita che per potere far penitenza.» -Egli si confessava e comunicava quasi ogni otto giorni. Dopo due mesi di prigione il primo novembre del 1848. gli si notificò l’esecuzione della sua sentenza. L’ascoltò con la calma d’un cristiano. Il suo corpo era convulso per una specie di tremolo convulsivo; ma l’anima dominava questa violenta emozione, e conservava tutta la pace del cuore. « La volontà di Dio sia fatta, disse » al comandante: confesso che io non mi vi attendeva più dopo un si lungo ritardo!… » – Restai solo con lui. Ricevei un’ultima volta la confessione delle sue colpe, quindi gli portai il santo Viatico. Ei pregò tutta la notte ragionando di tempo in tempo tranquillamente coi due gendarmi che lo custodivano. – La triste vettura che lo doveva condurre a Vincennes, arrivò verso le sei ore. Herbuel abbracciò il portinaio della prigione ed il comandante: niuno poteva trattenere le lacrime. Montai con lui nella vettura cellulare. Egli era tranquillo, anche giulivo durante il tragitto: « Voi non sapreste credere, » signor cappellano, mi diceva, quale eccellente giornata io passai ieri! come ero felice! Questo era un presentimento permesso dalla provvidenza. Io sapeva che era il dì d’ogni santi; io ho pregato continuamente…. la sera era tutto contento… ed ora io lo sono ancora. Niente può esprimere quale pace io gustai questa notte: era una gioia di cui non può farsi idea — Egli andava alla morte!!… « La morte, soggiungeva egli, è più niente per me — io so dove vado, io vado colassù dal mio Padre, io vado alla patria… » Fra poco vi sarò — Io sono un gran peccatore, il più grande di tutti i peccatori. » Io mi metto all’infimo luogo; offesi Iddio, peccai…. ma Dio è buono e confido immensamente in lui. » E leggendo una preghiera che gli ricordava la comunione: « Mio Dio è là » a voce sommessa diceva, ed era pieno di gioia. -« Oh quanto io credo fermamente, soggiungeva ancora, tutte le verità della Chiesa! Oh! Che io sono in una perfetta calma!… E che bel giorno! Io sarò presto con Dio!» E rivolgendosi verso me con un sorriso: « Mio padre, io vi vado ad aspettare; io verrò a farvi entrare a mia volta.» Quindi rientrando in lui stesso: o Io sono niente, Dio solo è tutto. Tutto ciò che ho di buono è per Lui, vien da Lui » solo… io merito niente, io non sono che un gran peccatore! » – Egli mi mostrava il suo manuale del cristiano: « I soldati dovrebbero sempre avere questo libretto e non mai abbandonarlo. Se io l’avessi letto tutta la mia vita » io non avrei fatto ciò che ho fatto e neppure sarei dove sono…» – Il momento dell’esecuzione s’avvicinava. Io presentai al povero condannato il crocifisso: lo prese con trasporto, e riguardandolo con inesprimibile tenerezza disse dolcemente e a più riprese: « Mio Salvatore! mio Salvatore! sì eccolo là! morto per » me ! E anche io vado a morire per Voi! » E baciava la santa immagine. Tutto era pronto. Si discese. Herbuel domandò che gli si lasciasse comandare il fuoco: gli fu accordato. « Io ho avuto il coraggio » del delitto, disse, bisogna che abbia quello dell’espiazione !» – Ricevette a ginocchi un’ultima benedizione. Egli si collocò davanti il picchetto dei soldati che dovevano fucilarlo.—«Compagni, gridò con voce vibrata, io muoio cristiano! Eccovi l’immagine di nostro Signore Gesù Cristo! Guardate bene, io muoio cristiano! E a tutti loro mostrava la croce — « Guardatevi dal fare ciò che io feci, rispettate i vostri superiori! » Io l’abbracciai un’ultima volta…. Un istante dopo la tenibile scarica si fece sentire e Herbuel comparve avanti Dio che perdona lutto al pentimento!!… – Che pensate voi, ditemi, d’una religione che fa morire in tal modo un gran colpevole? E non avvi in ciò di che farvi riflettere?
II. – NON VI È DIO
R. — Ne siete voi ben sicuro ? — E chi allora ha fatto il cielo, la terra, il sole, le stelle, l’uomo, il mondo? Tutto ciò si è fatto da sé? — Che direste voi se qualcuno mostrandovi una casa, vi asseverasse che ella si è fatta da sé? Che direste voi pure se pretendesse che ciò è possibile? — Che egli si burla di voi, non è egli vero? oppure che egli è pazzo: e voi avreste molto ragione. Se una casa non può farsi da sè, quanto meno ancora le creature maravigliose che riempiono l’universo a cominciare dal nostro corpo che è la più perfetta di tutte! Non c’è Dio? — Chi ve l’ha detto? Uno stordito senza dubbio che non aveva veduto Iddio, che conchiudeva da ciò che non esisteva? — Ma forsechè non son reali se non gli esseri che si possono vedere, sentire e toccare? — Il vostro pensiero, cioè la vostra anima che pensa, forse non esiste? Ella esiste: e voi De avete il sentimento cosi intimo ed evidente che nessun ragionamento al mondo potrebbe persuadervi il contrario. —Avete voi tuttavia mai veduto, o sentito, o toccato il vostro pensiero? — Guardate dunque come è ridicolo il dire: Non c’è Dio perché non lo vedo. Dio è un puro spirito cioè un Essere che non può cadere sotto i sensi materiali del nostro corpo, e che non si percepisce che dalle facoltà dell’anima. — La nostra anima è anche un puro spirito. Dio la fece a sua immagine. – Si narra che nel passato secolo quando l’empietà era alla moda, un uomo di spirito si trovava un giorno a cena con alcuni pretesi filosofi che sparlavano di Dio e negavano la sua esistenza.—Esso si taceva. L’orologio suonò quando gli si domandò il suo parere. Ei si contentò di loro additarlo dicendo questi due versi pieni di acume e di buon senso: per me più penso, più perdo il pensiero. Possa andar l’oriuol senza orlogiere. – Non si dice ciò che i suoi amici rispondessero. Sarebbe stato necessario molto spirito per cavarsela. – Si cita anche una risposta molto arguta di una signora ad un celebre incredulo della scuola di Voltaire. Egli aveva inutilmente cercato di convertire questa Signora al suo ateismo. Offeso per la resistenza « Io non avrei mai creduto, disse egli, essere il solo a non credere in Dio in una radunanza di persone di spirito!». – “Ma voi non siete il solo, signore, gli soggiunse la padrona di casa, i miei cavalli, il mio cagnolino e il mio gatto hanno anche questo onore; solo queste povere bestie hanno il buon senso di non vantarsene.” – In buon volgare sapete voi cosa significhi questa frase « Non v’ha Dio? » — Ve la spiego fedelmente. — Sono un malvagio che ho gran timore che Dio esista.
III. QUANDO SI È MORTI TUTTO È MORTO
R. – Sì pei cani, gatti, asini, canarini ecc. Ma voi siete ben modesto se vi ponete nel loro numero.
1.° Voi siete un uomo, mio caro, e non una bestia: avvi una piccola differenza tra l’uno e l’altro! L’uomo ha un’anima capace di riflettere, di fare il bene o il male, e quest’anima è immortale: mentrechè la bestia ha l’anima, ma non ragionevole né immortale. – Ciò che fa l’uomo è l’anima, cioè quello che pensa in noi, quello che ci fa conoscere la verità ed amare il bene. Questo è che ci distingue dalle bestie. Ecco perché è una grande ingiuria dire a qualcheduno: Voi siete una bestia, voi siete un animale, voi siete un cane, ecc. questo vale negargli la sua prima gloria, quella di esser uomo. – Dunque il dire: « Quando io sarò morto, sarò morto tutto intero, vuol dire: io sono una bestia, un bruto, un animale. E quale animale! Io valgo molto meno che il mio cane; perché egli corre più spedito, dorme meglio, vede più da lungi, ha il naso più fino, ecc. ecc.; meno che il mio gatto che vede nella notte, che non ha da prendersi cura del suo vestire, della sua calzatura ecc. In una parola io sono l’ultima delle bestie e il più miserabile degli animali. – Se questo vi piace, ditelo, credetelo se lo potete, ma permetteteci d’esser un poco più fieri di voi e di dichiarar altamente che noi siamo uomini. Questo è il meno.
2.° Eh! che diverrebbe il mondo se la vostra asserzione fosse fondata? Sarebbe un vero luogo di assassini! —Il bene ed il male, la virtù e il vizio non sarebbero più che vane parole o piuttosto odiose menzogne! Il furto, l’adulterio, l’assassinio, e il parricidio sarebbero azioni indifferenti, così buone in se stesse, e così giuste come l’onestà, la castità, la beneficenza, l’amor figliale. – Perché infatti, se per una parte ho nulla a temere in un’altra vita, e se d’altra parte mi accomodo con abbastanza d’industria per non aver niente a temere in questa, perché non ruberò, non ucciderò quando il mio interesse mi vi spingerà? Perché non mi abbandonerò al libertinaggio più raffinato? Perché frenerò le mie passioni? e queste ingiustizie nascoste e queste mille mancanze segrete tanto più colpevoli, che per commetterle avrò meglio prese le mie misure, perché non le commetterò io? Non ho più nulla a temere, la mia coscienza è una voce menzognera, a cui imporrò silenzio…. Una sola cosa attirerà la mia attenzione; ciò sarà d’evitare la vista del commissario di polizia, e del gendarme.—Il bene per me, come per ogni uomo sensato sarà di sfuggir loro: il male, d’essere presi da essi. — Godrò pacificamente del bene altrui, che avrò rubato con destrezza, godrò inoltre della stima universale; alla morte rientrerò nel nulla e non mi distinguerò dalle mie vittime se non per la magnificenza de’ miei funerali!… — Se voi udiste un uomo a tenere un simile discorso vi degnereste voi solamente di rispondergli? « Povero infelice! pensereste » voi, egli ha perduta la testa. Si dovrebbe rinchiuderlo, è un animale pericoloso; » con tali idee si è capace di tutto. » – E tuttavia se la pala del becchino segnasse la distruzione totale della nostra esistenza, quest’uomo, che vi pare a sì giusto titolo un pazzo furioso, sarebbe nella verità. Io vi sfiderei a confondere questo linguaggio così abominevole, ed assurdo. – Se non vi ha una vita futura, io vi sfido di farmi vedere, in che s. Vincenzo de Paoli è più stimabile che Voltaire, che Robespierre. — Il bene ed il male non sono altro che semplici parole… Dal frutto giudicate dunque l’albero, come insegnano il buon senso, ed il Vangelo. — Dalle orribili conseguenze, giudicate il principio… e osate ripetere ancora «Quando si è morto, si è morto interamente. » — Noi sapremo quindi innanzi ciò che voglia dire questo!…
3.° Ma se voi giudicate l’albero da’ suoi frutti, lo potrete ben anche giudicare dalle persane che lo coltivano, e voi arriverete alla stessa conclusione. – Quali sono gli uomini da cui s’intende dire che tutto finisce alla morte, che non esiste Dio, che non vi è anima, non vita futura?… Conoscete voi un buon padre di famiglia, uno sposo, o una casta sposa, un uomo ordinato, onorato, virtuoso che predichi tali dottrine? – Non avvi che il vizio che abbia il triste potere di suggerirle all’uomo. E questo non le ammette né le predica che quando una condotta disonorevole gli fa temere la giustizia di Dio e la riprovazione degli uomini. Spera con ciò soffocare gl’importuni rimorsi, ingannare l’opinione pubblica, farsi giudicare con più d’indulgenza. Dando ad intendere questo grossolano materialismo come il risultato della riflessione e dei lumi, spera di acquistare un gran numero di simili che lo rassicuri, c avere in favore della sfrenatezza, del libertinaggio, dell’irreligione, della pigrizia e di tutti i disordini una triste maggioranza!…
4.° Ma non crediate che questa religione del niente sia negli empi allo stato di convinzione, di profonda credenza. Son parole e non altro. Osservateli, infatti, al momento della loro morte…Qual cambiamento di tono e di linguaggio! Hanno essi dunque pria di cadere ammalati studiata la religione? Hanno essi riflettuto di più?— No; sono presso a morire; sono davanti alla Verità pronta a giudicarli!… Ecco il tutto! — La turba impura delle passioni fuggì davanti alla temuta luce ed è il grido sì lungamente soffocato della loro coscienza, che in allora voi intendete (Vi sono alcune eccezioni, lo so; non tutti quelli che negarono l’esistenza di un’altra vita si convertirono al punto di morte. L’ignoranza, l’abbrutimento, cagionato da certe passioni, una vana speranza di guarire, soprattutto la testardaggine dell’orgoglio sono causa qualche volta che l’empio muoia come visse.» Ma l’eccezione prova la regola, e si può affermare risolutamente che l’ateo, il materialista sono sfrontati mentitori»). – Allora essi non disprezzano più i preti. Allora non mettono più in ridicolo la confessione, la comunione, la preghiera! Allora non trovano più che l’inferno, il paradiso siano favole proprie a divertire le vecchierelle!
5.° Del resto non sono io solo che mi alzo contro essi; è la voce dell’umanità tutta intera. – Non vi fu popolo in qualsiasi tempo o paese lo prendiate, che non abbia creduto alla vita futura. Io non voglio per prova, che il culto reso ai morti. Dappertutto e sempre si ‘rispettarono i morti, dappertutto si è pregato e fatto pregare per suo padre, per sua madre, per suo figlio, pel suo amico rapiti dalla morte. — Su che riposa questa pratica universale se non sopra un sentimento invincibile d’immortalità che proclama che la morte non è che un cambiamento di vita? « Perché piangerò? » diceva Bernardino di Saint-Pierre, morendo alla sua sposa e a’ suoi figli: « ciò che vi ama, in me vivrà sempre… Non è che una separazione momentanea; non la fate così dolorosa!… lo sento che abbandono la terrat non la vita.» Tale è la voce della coscienza ; tale è la voce, la dolce consolarne voce della verità! Tale è altresì la solenne parola del Cristianesimo. Esso ci fa conoscere la vita presente come una prova passeggera che Dio coronerà con una felicità eterna. Esso ci stimola a meritare questa felicità col sacrificio, e col fedele adempimento del dovere. Giunto alla sua ultima ora il cristiano mette con confidenza la sua anima nelle mani di Dio; e ad una vita pura, santa e piena di pace succede un’eternità di gioia…. – Lungi dunque da noi, lungi dalla nostra patria così saggia, questo triste materialismo che vorrebbe rapirci così sublimi speranze! Lungi da noi queste menzogne che avviliscono il cuore, che distruggono tutto ciò che è buono, tutto ciò che è rispettabile e dolce sulla terra! Lungi da noi la dottrina che non vorrebbe lasciare «al povero che soffre e piange, all’innocente oppresso, che la disperazione per retaggio!.. La coscienza dell’uomo la respinge con disprezzo!
IV. – E LA SORTE CHE DIRIGE OGNI COSA, ALTRIMENTI NON VI SAREBBE SULLA TERRA TANTO DISORDINE. QUANTE COSE INUTILI, IMPERFETTE, CATTIVE ! EGLI È EVIDENTE CHE DIO NON S’OCCUPA DI NOI.
R.- 1° Credete voi sinceramente ciò che dite? Permettetemi di dubitarne. Questo è uno di quei pensieri che non vengono alla mente, se non quando il cuore è infermo. Diffidate di voi stesso; la passione monta alla testa, quanto il vino, e questa dannosa ubriachezza fa sragionare più ancora che l’altro. Quale è la conseguenza pratica, immediata di questa parola…. « Dio non si cura di me?» Non è egli, io vi domando, la libertà di seguire le vostre cattive inclinazioni a briglia sciolta?— E non potrei io tradurla in questi termini: « Desidero fare tal peccato, e vorrei bene commetterlo a mio piacere, senza rimorsi e senza paura ».
2.° Cosa è, ditemi, questa sorte, che voi mettete in luogo della Provvidenza di Dio? — Un non so che sconosciuto da tutto il mondo, che nessuno giammai seppe definire, che è un niente, e che tuttavia fa tutto, governa tutto ed è padrone assoluto di tutto. Volete che io vi dica ciò elle sia il caso, o la sorte o il destino come voi vogliate chiamarlo? — È un niente. È una parola vuota di senso, inventata dall’empio per sostituirla al nome da lui sì temuto della Provvidenza. — È un linguaggio più comodo, e che ha l’aria di spiegare le cose, ma che infatti è un controsenso ed una scempiaggine. – II caso dirige niente perché è un niente. Dio solo sovrano Signore e Creatore unico di tutti gli esseri, li governa, li sorveglia, li coordina tutti colla sua Provvidenza; vale a dire che nella sua sapienza, bontà, giustizia infinite, li dirige tutti in generale e ciascuno in particolare al loro ultimo fine (che è Egli stesso) per le vie che egli conosce per le più adatte. – Siccome egli ha creato tutto senza sforzo, così conserva e governa tutto senza fatica, e non è tanto indegno della sua grandezza occuparsi di tutte le sue creature, quanto crearle tutte. Nell’istesso atto, per il solo suo essere infinito, sa tutto, vede tutto, dirige tutto senza mutamento o pena di spirito. Occupandosi degli esseri i più impercettibili, Egli s’occupa nello stesso tempo con una scienza, sapienza e bontà eguali delle sue più eccellenti creature. E l’empio è veramente troppo buono quando ha paura che tanti affari stanchino Iddio. No, no; calmate le vostre inquietudini! Dio sorveglia tutte le creature, e soprattutto sorveglia voi, voi sua creatura ragionevole che Egli creò per conoscerLo, amarLo e servirLo, e meritare perciò di possederLo per tutta L’eternità.
3.° Voi negate questa Provvidenza divina perché voi dite di vedere dei disordini nel mondo? Domandate perché vi siano tante cose inutili? Perché tante imperfette? Perché tante cattive? Domandate perché costui nacque povero, e quello ricco? Perché tante ineguaglianze nelle condizioni umane? Perché tante pene, tante afflizioni negli uni, e tante prosperità negli altri? — A sentir voi tutto va in disordine, e voi avreste meglio disposto le cose! Ma chi v’ha detto, raro talento, che ciò che tanto non vi va a genio sia realmente un disordine? E che! voi giudicate che una cosa è inutile nel mondo, perché non sapete a che serva! Credete che ella sia cattiva, perché ignorate a qual cosa sia buona! Chi siete voi, ditemi in grazia, piccola ed ignorante creatura, limitata nella vostra intelligenza, nella vostra forza, in tutto il vostro essere, per giudicare l’opera di Colui che è l’onnipotenza, la perfetta sapienza, bontà e giustizia? Pretesa veramente strana! Se un ignorante che non sa leggere, aprisse un volume di Corneille o di Racine, e vedendo tante lettere sconosciute disposte in mille differenti maniere, le une unite alle altre, qualche volta otto insieme, qualche volta sei, altre tre, o sette, o due per comporre le parole; vedendo molte linee che si succedono l’una l’altra, questa al cominciar d’una pagina, quella alla fine; molti fogli ordinati, l’uno in capo del libro, l’altro alla metà l’altro alla estremità; scorgendo delle parti bianche, altre stampate; qui lettere maiuscole, là lettere piccole, ecc.; se vedendo tutto ciò di cui nulla comprende domandasse perché queste lettere, questi fogli, queste linee sono messe in questo luogo piuttosto che nell’altro; perché ciò che è al principio non è al mezzo né alla fine, perché la vigesima pagina non è la cinquantesima ecc., gli si direbbe: « Amico, è un gran poeta, è un uomo di genio che ha disposto ciò in tal maniera per esprimere i suoi pensieri, e se si mettesse una pagina in luogo d’un’altra, se si trasportasse non solo le linee, ma anche le parole o le lettere, vi sarebbe del disordine in questa bell’opera, e il disegno dell’autore sarebbe distrutto. » – E se quest’ignorante volesse fare il saputello, e prendere a censurare l’ordine di questo volume; se egli dicesse: « Mi pare che sarebbe stato molto meglio di riunire tutte le lettere, che si somigliano, le grosse colle grosse, le piccole colle piccole; sarebbe stato un miglior ordine il fare tutte le parole della medesima lunghezza, di comporle dello stesso numero di lettere: e perché queste sono così corte, e le altre cosi lunghe? ecc., perché quivi è del bianco, e non colà? Tutto ciò è mal disposto; non vi ha ordine. Colui, che ha fatto quest’opera non se n’intende niente; lutto ciò è gettato al caso. » — Voi gli rispondereste: — « Ignorante che voi siete! siete voi, che non ve n’intendete niente. Se le cose fossero disposte secondo la vostra idea, non vi sarebbe né senso, né ordine. Va bene come si trova. Un’intelligenza più grande cento volte della vostra ha diretta, e dirige continuamente questa disposizione; e se voi non ne sapete la ragione, dovete prendervela colla vostra ignoranza! » – Cosi facciam noi, quando critichiamo le opere d’Iddio! È il suo gran libro, che noi contempliamo, quando fissiamo gli occhi sulla natura. Tutti i secoli ne sono come le pagine che si succedono l’una l’altra; tutti gli anni ne sono come le linee; e tutte le diverse creature, dall’angelo, dall’uomo sino all’ultimo filo d’erba, e al più piccolo grano di polvere, ne sono come le lettere disposte ciascuna a suo proprio luogo dalla mano di questo grande Compositore, il quale solo conosce i suoi eterni concetti, e insieme della sua opera. – Se domandate perché una creatura è più perfetta di un’altra; perché questa é messa in questo luogo, e quella in quest’altro; perché vi è freddo d’inverno e caldo d’estate; perché la pioggia in questo tempo, e non in quell’altro, perché questa vicenda di fortuna, di sanità, perché questa malattia; perché la morte di questo ragazzo d’accanto a questo vecchio, che sopravvive; perché quest’uomo benefico, rapito dalla morte, e non quel malvagio che non fa se non male? ecc. io vi risponderò che un’intelligenza infinita, che una sapienza, una giustizia, una bontà infinite hanno così disposte le cose, e che è certo che tutto è ordinato, benché a noi così non paia. – Vi risponderò che per giudicare saggiamente d’un’opera conviene conoscerla interamente, è d’uopo concepirla nel suo assieme, e nei suoi particolari, paragonare i mezzi col fine cui devono arrivare. Ora qual uomo, qual creatura ha mai conosciuto i segreti degli eterni consigli del Creatore? Ciò sarebbe soprattutto necessario per apprezzare la sapienza e la giustizia della provvidenza relativamente agli uomini ragionevoli e liberi capaci di fare il bene e il male, capaci di merito e di demerito. – Si vedrebbe allora l’eternità aperta dinanzi a noi, e coordinando meravigliosamente ciò che sembrava ingiustizia sulla terra. « Perché, si diceva, Dio non punisce questo grande colpevole?Perché questo malvagio colmo di prosperità, e quest’uomo dabbene oppresso da tanti mali? » Qual cura prende dunque Iddio di ciò? » Dov’è la sua giustizia? dove la sua saggezza? dove la sua bontà? » – Ecco l’Eternità che spiega il mistero! Era giusto e ragionevole ricompensare con le passeggere prosperità della terra il poco di bene che aveva fatto quest’empio, questo gran peccatore che l’Eternità doveva punire. Questi giusti invece, che il mondo credeva si infelici, scontavano giustamente con afflizioni passeggere la pena di falli leggeri sfuggiti alla debolezza umana ; l’Eternità beata era la ricompensa della loro virtù! – Ella è pure l’Eternità che ci spiega come l’avversità é sovente un benefizio in questo senso, che ella riconduce a Dio l’anima che l’obliava in mezzo ai piaceri. Quante anime nel cielo ringraziano e ringrazieranno Dio di averle visitate sopra la terra col patire! —La ricchezza al contrario, la prosperità temporale sono di sovente una punizione. Quanti a causa di questi beni caduchi hanno disprezzato e perduto i beni eterni! Quanti malediranno nell’Eternità questi piaceri, questi onori, queste ricchezze che li hanno perduti! Si è coll’occhio fisso della Eternità che bisogna giudicare tutto quello che accade al~ l’uomo in questo mondo. Fuor di questo è impossibile di conoscere per nulla i disegni di Dio sopra di noi! – Riformiamo dunque quinci innanzi la nostra maniera di vedere. Non più giudichiamo il nostro gran Giudice! — Né voi né io, credetelo, non abbiamo la vista così lunga come Egli. Ciò che Egli fa è ben fatto; e se permette il male è sempre per un bene maggiore. Non vi ricordate più del giardiniere della, favola? — Egli si trovava nel suo giardino vicino ad una grossa zucca. “E che pensò, diceva, il Creatore di così collocar codesta zucca? Io per certo l’avrei con miglior senno sospesa a quercia annosa: allora al frutto. Come vuole ragion, l’albero risponde. A questo minor albero la ghianda. Perché non pende, umile tra i frutti? Qui si compiacque di scherzar natura! Più questo osservo, più conosco in ciò aver fatto natura un qui pro quo. – Faceva caldo; Garò era stanco: si corica al piede di una delle vicine querce. Cominciava ad addormentarsi, quando si stacca una ghianda, e dall’alto dell’albero gli cade sul naso. Garò svegliato all’improvviso, manda un grido, e vedendo la causa di questo accidente; Oh! ohi diss’egli, giù mi corre il sangue! Or che sarebbe se più grave peso fosse caduto? E maestosa zucca fosse stata la ghianda? Iddio nol volle: e conviene confessar ch’ebbe ragione; E la causa qual sia or ben conosco. E lodando il Signore in ogni cosa, Garò di giudicarlo più, non osa. Fate come questo buon uomo; e lungi dal negare la divina Provvidenza, guardatevi pure dal lamentarvene. [Continua …]