LETTERA XII.
RIMEDIO AL MALE.
20 giugno
I.
Signore e caro amico,
Da bel principio della nostra corrispondenza io vi diceva, che l’Europa è ammalata, gravemente ammalala, e ve lo ripeto, finendo, con una convinzione più viva ancora e più profonda. Io diceva, che se vogliamo salvarci da noi soli, non vi riusciremo, essendo necessario che Iddio venga in soccorso della società con uno di que’ prodigj straordinarj che può tutto operare. Ma, acciocché egli l’operi, è necessario che noi lo vogliamo, o piuttosto, è necessario, che noi vogliamo profittarne. – Voi conoscete la profonda sentenza d’un padre della Chiesa: « Iddio che di per sé solo ci creò, non ci salverà senza del nostro concorso ». Ciò è vero tanto nell’ordine della natura, quanto in quello della grazia: 1’uomo non vive malgrado lui; bisogna che consenta égli ad osservare le leggi della sua vita. Questo è vero delle nazioni, come de’ particolari. Ora, l’unico mezzo per la società di protrarre l’esistenza sua, e di guarirsi, è di ritornare a Dio, sottomettendosi di nuovo alle condizioni necessarie della sua esistenza e della sua sanità. Il primo atto sociale d’un somigliante ritorno deve esser la santificazione del giorno, che il supremo Padrone si è riserbato, perché l’adempimento di questo dovere conduce alla pratica di lutti gli altri, come la violazione trascina la rovina di tutta intera la religione. In grazia delle considerazioni, che io vi ho presentato, questa doppia verità pervenne, come spero, per ogni uomo di buona fede, all’ evidenza d’un assioma.
II
Come mai renderla pratica? Tale è presentemente la questione. Essa può essere sciolta in due maniere: spontaneamente, o legalmente. La prima sarebbe la più onorevole e la migliore; la seconda è più immediatamente applicabile, e d’un effetto più generale: diciamo qualche parola dell’una e dell’altra. Il primo mezzo di far cessare la profanazione della domenica è l’accordo generale di tutti i cittadini. Nell’applicazione, quest’accordo si formula per compromessi, con o senza emenda, passati infra le parti interessate. In conseguenza, i negozianti, gli appaltatori, i capi de laboratori e gl’industriali, s’obbligano, gli uni a non più vendere, gli altri a non più far lavorare nelle domeniche e feste comandate. – Per rendere questo compromesso di più facile e sicura esecuzione, ciascun corpo dello Stato si obbliga in particolare, e per una convenzione speciale, a rispettar la legge sacra del riposo. Allora, tutte le ragioni d’interesse che si oppongono alla celebrazione della domenica, scompaiono pel corpo di Stato segnatario del compromesso, qualunque sia d’altronde la condotta delle altre professioni. – Per esempio, se in una città o località qualunque, i sellai, i gioiellieri, i carpentieri, continuano a profanare la domenica: qual pregiudizio può avvenirle al muratore, al mercatante, al calzolaio, al sarto, de’ quali tutti i confratelli rifiutano il lavoro o la vendita? Sarà pur necessario che in altro giorno rivenga la pratica. Che si stringano in una città somiglianti compromessi infra tutti i corpi di Stato, e si perverrà dirittamente al riposo ebdomadario. Per aiutar siffatte transazioni i cattolici dovrebbero farne un’altra. Dovrebbero cioè accordarsi tra se stessi di favorire i mercatanti e gli operai, religiosi osservatori della domenica. Per ciò è sufficiente indirizzare ai profanatori un ragionamento affatto semplice, che non può mancare di colpirli. La sospensione della vendita o dell’operare ne’giorni di domenica e di festa vi cagionerebbe, come dite voi, una perdita considerabile, alla quale è impossibile sottomettervi. Noi vogliamo crederlo; ma in questo caso non disapproverete che noi cerchiamo di indennizzare coloro fra i vostri confratelli, i quali consentono ad esporvisi. Così, non vi stupirete se d’ora innanzi daremo loro la nostra pratica e loro procureremo quella dei nostri amici. – A questo consiglio io bramerei aggiungere una questione ed interrogare i nostri buoni cattolici, se parecchi non avrebbero cèrti rimproveri a farsi intorno alla santificazione della domenica? Si dice con verità che se non vi si trovassero compratori, non vi sarebbero venditori. Ora, dannosi per trista sorte molti compratori nella domenica: sono dessi tutti senza religione? La vostra patria, e la mia, signor Rappresentante, mi sono particolarmente conosciute. Pur troppo noi abbiamo nel vostro paese osservato certi padroni, buoni cattolici, che mandano i loro domestici a fare delle incette nelle domeniche, e si dimenticano di stipulare nel loro contratti, coi loro intraprendi tori che non si lavorerà né nella domenica, né nelle feste : abbiamo viste dame, ugualmente buone cattoliche, correre fra gli uffizj, e frugare i magazzini delle gioie e delle novità, per provvedersi di oggetti che, certo, non sono di prima necessità; far visite all’ora stessa che si celebrano alla sera i divini uffizj, senza timore di mancarvi o di impedire gli altri d’assistervi. – Nel mio paese nessun cattolico vuole per nulla mutare le ore dei suoi pasti, benché si espongano soventemente i domestici a sacrificare il servizio di Dio a quello dei padroni; si pressano moltissime volte i padroni ed i lavoranti per ottenere nella domenica il lavoro. Si tollera che lo portino in questo giorno; si borbotta se non lo compiono, e si minaccia, in caso di recidiva, di rivolgersi ad altri. Chi sa se in altre regioni, questo dettaglio non potrebbe aggiungersi utilmente all’esame di coscienza de’ virtuosi cattolici?
III.
Che che ne sia, il venire per una convenzione spontanea alla soppressione del lavoro sarebbe, lo replico, il mezzo più onorevole al cospetto degli uomini, ed il più vantaggioso dinanzi a Dio; ma convien pur dirlo, che se queste convenzioni sono difficili a formarsi, più difficili ancora sono a mantenersi. Non senza grave stento possono indursi tutti i membri di una stessa professione a far tale convenzione ; e quand’anche sia fatta, quanti pretesti non si adducono or da Tizio, or da Sempronio per dichiararsene sciolti, e liberi di fare quanto loro torna più a conto? – Per ultimo, non sono quelle applicabili per tutto. In ogni località non si trovano corporazioni di mestieri; e quando ve ne fosse, gli abitanti della campagna e gli agricoltori, gl’interessi de’quali non sono indivisi come quelli degli operai, rimangono esclusi forzatamente da queste salutari associazioni.
IV.
Nonostante tutte le difficoltà che presenta questo primo mezzo di giungere all’osservanza della domenica, mi parrebbe possibile se noi avessimo seria volontà di ridivenire cristiani. Poiché tali peranco non sono le nostre disposizioni, il mezzo legale mi sembra il più sicuro, e l’unico immediatamente applicabile. Di che s’agisce egli mai, in effetto? Trattasi di formare una legge che vieti di profanare la domenica, cioè d’oltraggiare la religione della maggiorità, e di violare la libertà de’cattolici; o piuttosto s’agisce semplicissimamente di far eseguire una legge di già esistente, e che conserva tutto il suo vigore, imperocché essa giammai fu annullata. Non è d’ uopo che io ve la nomini, questa è la legge del 18 novembre 1814; confermata parecchie volte dopo il 1830 pei decreti della corte di cassazione (I). Tal è l’atto veramente politico, perché cristiano, che io v’incarico, signore e caro amico, d’ottenere dall’Assemblea legislativa. Ordinandolo, ella avrà grandemente meritato della Francia, dell’Europa e della società tutta intera. Ora, ella lo può, ed ella lo deve. – Ella lo può. L’Assemblea è sovrana. L’atto che noi sollecitiamo non è soltanto possibile, ma assai facile. A meno d’ammettere per la società una condanna a morte senza appello e senza sospensione, tutto ciò ch’è necessario alla sua esistenza è possibile. Ora, io credo avere stabilito l’indispensabile necessità della santificazione della domenica, qualunque sia il punto di vista sociale, sotto il quale si consideri la questione. – Dì più, quest’atto è facile, più facile al giorno d’oggi che giammai. D’una parte, l’attività commerciale non è la stessa che innanzi la rivoluzione di febbraio; havvi un rallentamento generale negli affari, e sei giorni per settimana bastano a spedirli. La mancanza del lavoro si fa sentire eziandio sovra un gran numero di punti; maggiore ragione per facilitare l’accettazione della legge. D altra parte, i grandi avvenimenti che scuotono l’Europa, non furono affatto disutili per l’istruzione de’popoli. Un vago bisogno di riattaccarsi alla religione si fece sentire, e la santificazione della domenica è una delle basi della religione; novella ragione che faciliterà l’accettazione della legge. – Simile bisogno della religione non è rimasto nello stato d’un sentimento vago ed indefinito, ma penetrò pel desiderio formale e manifestato a quattro angoli della Francia, di vedere la legge sacra del riposo settimanale rimessa prontamente e dappertutto in vigore. Io non starò rapportando le petizioni sì fortemente motivate, che furono indirizzate al governo dalle nostre piazze di commercio le più importanti, come Rouen, Bordeaux, Toulouse, Marseille, Lyon, ecc. ecc. potendole voi leggere negli archivi della Camera. Una voce più sonora ancora si fece da noi intendere; questa è la voce dell’agricoltura, delle manifatturee del commercio della Francia intera. I delegati loro, riuniti in consiglio generale a Parigi nel mese ultimo, si espressero per l’organo del signor Carlo Dupin, in termini sì formali, che voi mi permetterete di riferirli. – « Considerati sotto il punto di vista il più stretto ed il più volgare, la regolarità e l’uniformità dei giorni consacrati al riposo son questi un benefìzio pel lavoro stesso………. » In verità un riposo periodico, né troppo lontano, né troppo vicino, è necessario al mortale per donare alla sua forza la più grande energia. Questo riposo serve a compiere la riparazione assai di soperchio imperfetta, delle perdite accumulate per la continuazione de’ giorni di lavoro. » Per noi, signori, ragioni d’ordine più elevato c’impongono un dovere, non solamente industriale e manifatturiere, ma ancora politico, morale e religioso, dei giorni di riposo stabiliti ad intervalli regolari. A questi giorni è riserbato l’adempimento delle opere dell‘ anima: I’ omaggio in comune reso dal popolo al Creatore dell’universo; la festa interiore della famiglia, in cui la vacanza del lavoro cede il luogo, e i1 piacere della rivista, permettetemi quest’espressione, che il padre e la madre fanno insieme della figliuolanza e del focolare domestico. Infine, quando tutti i doveri sono compiuti, il più grato spettacolo che possa offrire un popolo civilizzato, non è egli forse quello di tutte queste famiglie lavoratrici, bellamente abbigliate mediante il frutto de’ loro sudori, e percorrenti con una decente gioia i luoghi pubblici adornati dalle nostre arti? ( Approvazione. ) » Ecco la celebrazione delle nostre feste, delle nostre domeniche, tale quale i popoli cristiani la comprendono e la praticano, tale quale la desiderano tutte le famiglie oneste e patriottiche. » Noi domandiamo che il lavoro sia formalmente proibito nelle domeniche e nelle feste stabilite. » Noi domandiamo, e ben ci vergogniamo d’avere a domandarlo, che sia interdetto al Governo d’inserire alcuna clausola ne’ suoi contratti, per permettere, durante i giorni feriali, l’esecuzione dei lavori pubblici, qualunque questi siano. » Noi domandiamo che i capi patentati de’ laboratoi, delle fabbriche e delle manifatture non possano far lavorare nella domenica; noi domandiamo che siano condannati all’emenda per ciascuna contravvenzione in proporzione del numero de’loro operai. » Attendendo la realizzazione di questi voti, parecchie città già diedero l’esempio d’una gloriosa iniziativa. A Bésancon, a Marseille, a Gex, ecc. ecc., i consigli municipali, e diversi corpi di Stato si sono impegnati spontaneamente a rispettare la domenica. Elbeuf si è distinta in questa saggia crociata contra il male che c’invade. Nel mese di gennaio di questo anno si concepì il progetto di far cessare il lavoro e la vendita nella domenica, Sovra duecentoventicinque negozianti domiciliati nella città, duecentoventi si sottoscrissero con premura. La prima domenica di febbraio, il compromesso venne effettuato. Questo ripiego arrecò una soddisfazione universale. Mastri ed operai, padroni ed impiegati si sono dati due mesi di congedo per anno senza perdere un obolo. Di più fecero una buona azione, la quale Iddio non ometterà di ricompensare anche temporalmente. Tanta è la loro coscienziosa fedeltà, che scrissero a’ proprj corrispondenti per istruirli del loro regolamento, onde l’avessero presente nelle loro relazioni commerciali. – Onore alla città di Elbeuf! Ciò che questa operò, perché non verrà imitato dalle altre?
VI.
Non solamente le città ed i particolari desiderano il riposo sacro della domenica, ma ancora il Governo stesso, che, non contento di volerlo, l’impone pur anco. Voi conoscete le circolari de1 ministri della marina, della guerra e de’lavori pubblici. – Ciascuno nel suo dipartimento vieta nei giorni di domenica e di festa le opere servili dipendenti dallo Stato, come gli esercizj militari o le riviste che toglierebbero a’ soldati la facilità d’assistere al divino uffizio. Eccovi la circolare del ministro de’ lavori pubblici indirizzata ai signori prefetti, ingegneri ed architetti, incaricati della direzione de’ pubblici lavori; – Parigi, il 20 marzo 1849.
Signore, « Il miglioramento della sorte degli operai è l’oggetto della costante preoccupazione del Governo della repubblica. Voi siete in posizione d’apprezzare gli sforzi dell’amministrazione per accrescere, dentro i limiti de’ vantaggi finanzieri, lo sviluppo de’ lavori pubblici e particolari. » Ma, al fianco del lavoro che fa vivere, io collocherei sempre il miglioramento della condizione morale, la soddisfazione delle bisogne dell’intelligenza, che elevano e fortificano presso tutti il sentimento della dignità personale, e la facilità lasciata all’operaio d’esercitare liberamente i doveri della religione e della famiglia. Il riposo della domenica è dunque necessario all’artigiano; bisogna che sia rispettato al duplice punto di vista della moralità e dell’igiene. L’esempio, a questo riguardo, deve essere dato dalle amministrazioni pubbliche, nei limiti che loro impongono le occorrenze legittime e la libertà, a cui il governo intende di non portare alcun pregiudizio. In conseguenza, io deliberai, signore, che per l’innanzi niuna opera servile si sarebbe fatta ne’ laboratori dipendenti dai lavori pubblici, nelle domeniche e nei giorni festivi, per gli operai impiegati alla giornata per conto del governo. Nel caso in cui circostanze eccezionali giustificassero una derogazione a codesta regola, voi dovete domandare le autorizzazioni necessarie assai per tempo, acciocché 1’autorità competente possa apprezzarne l’opportunità. – Io v’ invito, facendo conoscere il mio decreto intorno a questo agli agenti posti sotto i vostri ordini, a prender le misure necessarie per assicurarne l’esecuzione. Ricevete, signore, l’assicuranza della mia considerazione distintissima.
Il Ministro de lavori pubblici T. Làcrosse. »
VII.
Da ultimo ho Ietto io pure con indicibile contento il rapporto del vostro onorevole collega, signor Desferris, sul novello progetto, che sarà presto sottomesso all’approvazione dell’Assemblea. Chi dunque oserà combatterlo? Non altri da quelli in fuori, i quali giurarono il rovesciamento totale della religione e della società, cioè i nemici di Dio e del popolo. – D’ altronde, quali mezzi possono mai invocare? La neutralità obbligata dello Stato nelle cose di religione? Ma allo Stato non si domanda una leggo religiosa, ma soltanto una legge di polizia e di necessità sociale, toccando al legislatore il far cessare il lavoro, ed alla religione il santificare il riposo. Questa è la perentoria risposta che venne già in sulle prime data dal vostro onorevole relatore: « Nello stato della società, dic’egli, le relazioni create pei nostri bisogni non possono essere interrotte secondo il capriccio di ciascuno senza pregiudizio per tutti; cosi i giorni di riposo devono essi venire regolarmente fissati. Ora, una nazione gode del diritto di sciegliere, pe’ suoi giorni di riposo, le feste stabilite dalla religione del più gran numero, ed obbligare tutti i cittadini ad osservarli. » Del rimanente, allorquando la legge prescrive il riposo nelle feste instituite dalla religione cattolica, il cittadino, che non la professa, è tenuto d’osservar siffatti giorni di riposo, se non per ubbidire ad un precetto religioso, almeno per ubbidire ad una legge della polizia, obbligatoria per tutti i cittadini, qualunque sia la religione loro. – L’opposizione della pubblica opinione? Sì, l’opinione di alcuni uomini che hanno occhi per non vedere, o che hanno tutto 1’interesse all’immoralità, perché sanno benissimo che un popolo immorale è sempre mai un popolo facile a tutto attentare per metterlo a profitto dell’anarchia. – Quanto all’ opinione degli uomini onesti, e seriamente preoccupati del pericolo della nostra situazione, i fatti e i passi citati patentemente provano, ch’essa accoglierà con riconoscenza codesta misura di salute pubblica. – Come vedete, la questione è matura, l’attenzione è svegliata, l’opinione v’è favorevole: l’Assemblea dunque s’inspiri del precetto divino, e traduca in precisi articoli l’interdizione di tutte le opere servili, negozio o lavoro, pubblicamente eseguito. Una semilegge, tenetevelo bene in mente, appagherà niuno, né rimedierà per nulla al male, giacché non ne farà essa cessare la profanazione. Che avete voi a temere formando una buona legge, una legge compiuta, una legge seriamente efficace? Nulla: salvo che, non facendola, abbiate a paventare l’anarchia. Ora, non fatevi illusioni; in difetto di codesto pretesto, essa n’avrà mille altri per continuare la sua lotta eterna. Almeno voi vi avrete assicurato un pegno di vittoria; imperocché codesta legge, che metterà compimento a voti di tutte le popolazioni cattoliche, vi stringerà attorno tanti difensori, quanti appoggi essa conta. L’Assemblea può dunque formulare una buona legge, una legge efficace, una legge definitiva, e costei la sancirà, perché lo deve.
VIII.
Ella lo deve alla religione, ultima àncora di salvezza che a noi rimanga nel mezzo della grande procella che minaccia d’inghiottire l’Europa intera. Ella Io deve alla società, che intristisce sotto de’ nostri occhi, corrosa tutta viva da due bruchi dai denti d’acciaio: l’egoismo e il disprezzo d’ogni autorità. Ella lo deve alla famiglia, unico elemento d’una ricostituzione novella, e che perdé tutti i suoi caratteri di santità, di concordia e di moralità. Ella lo deve alla libertà, minata nel suo principio, e violata nella sua applicazione la più alta, sotto l’impero d’una costituzione che nonostante la dichiara solennemente inviolabile. – Ella lo deve al benessere del popolo, che in ciascuna settimana fa colare colle elemosine del ricco i sudori e ’l sangue di lui ne’ golfi sfondati che la dissolutezza e l’anarchia aprono alle sregolate inclinazioni del medesimo. – Ella lo deve alla dignità umana, della quale l’abitudine costante de1 calcoli e dei lavori materiali tende a scancellare sino gli ultimi vestigj. Ella lo deve alla sanità del popolo, logorato ugualmente dal lavorare senza riposo, come dal riposo fra le orgie. – Ella lo deve all’onore nazionale. – L’ora non è forse suonata per la Francia di frenare codesta dissolutezza d’empietà e di materialismo, nella quale ciascuna settimana, da sessant’anni, essa vi s’immerge senza onta sotto gli occhi delle nazioni? Non è egli tempo di mostrare che il più logico de’ popoli ha cessato d’essere inconseguente con se stesso, e che vuole esser cattolico a Parigi, come a Roma? Che sotto nessun rapporto, la figliuola primogenita della Chiesa, la liberatrice del magnanimo Pio IX, non è per nessun riguardo al disotto né degli Stati Uniti d’America, né della protestante Inghilterra? – Per ultimo, l’Assemblea lo deve a se stessa ed alla Provvidenza. A se stessa: sopra cento e cinquantamila leggi, più o meno degne di siffatto nome, per non dire più o meno rivoluzionarie, che si fabbricarono nella Francia da un mezzo secolo, non è forse una gloria dell’Assemblea procreata dal suffragio universale di fargliene donare almeno una che sia veramente sociale, cioè francamente cristiana? Alla Provvidenza: che non operò essa per noi da duecento anni? Quante volte la sua materna mano non ci trattenne proprio miracolosamente in sull’orlo del precipizio, in cui noi eravamo in sul punto di capitombolare? Evidentemente essa non domanda che salvarci; ma bisogna che noi lo vogliamo. – Ebbene, Signore e caro amico , una buona legge intorno la santificazione della domenica, una legge che sarà un atto di buona volontà sociale e di ritorno all’ordine eterno, questa legge asseconderà meravigliosamente i disegni misericordiosi della Provvidenza, poiché essa avrà due vantaggi capitali. Essa rimedierà veramente al male, facendo rispettare la legge del Supremo Legislatore, di cui ci attirerà le benedizioni, e contribuirà più immediatamente d’ ogni altra a guarire questo popolo, dal quale lo spirito di Dio si ritirò, perché è divenuto carne. – Ora, questo è il mio primo e mio ultimo detto: Niente è più proprio come la profanazione della domenica a materializzare un popolo. Un popolo materializzato è un popolo morto. – Gradite, ecc. FINE.
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Si conclude così l’opuscolo di mons. Gaume che, anche se con elementi riferiti ai suoi tempi, ma oggi ancora maledettamente attuali, ci ha fatto comprendere l’importanza decisiva del rispetto del riposo nel giorno di Domenica. Forse finalmente possiamo comprendere come mai sia arrivata e peggiori sempre più la decadenza economica dei Paesi una volta cristiani, ricchi e prosperosi, rosi poi dal verme giudaico-protestante della crescita economica senza fine e ad ogni costo, che invece di benefici sta portando povertà, miseria, degradazione materiale e spirituale. Svegliamoci dunque dal torpore in cui siamo un po’ tutti caduti, e rileggendo questa piccola ma importantissima opera, possiamo trovare una soluzione valida a problemi anche materiali ed economici, oltre che spirituali, cominciando a seguire una pratica elementare e facilmente applicabile da tutti: il rispetto del giorno del Signore, e la non profanazione della Domenica, chiave di volta per una sana ricostruzione societaria, familiare e personale!