Mons. G. DE SEGUR : LA MESSA (3)

LA MESSA

[Mgr. G. De Ségur – da: “Le opere” vol. VIII, 1869]

(3)

XXXIV

Piccolo colpo d’occhio sull’insieme delle cerimonie della Messa.

Dopo aver spiegato nel dettaglio le cerimonie della Messa, non sarà inutile fermarci un istante, come dei viaggiatori che vengono dal percorrere un bel paesaggio e che, prima di lasciarlo, si girano un istante a contemplarlo ed ammirarne l’insieme. – Nel loro insieme, in effetti, le cerimonie della Messa, quando se ne conosce il significato, espongono e, per così dire, srotolano agli occhi dei cristiani tutto il grande dramma del Cristianesimo, il passato, il presente e l’avvenire della santa Chiesa. La Chiesa, in effetti, è iniziata con la Creazione, con gli Angeli e con il primo uomo; e dalle origini essa ha avuto come unico Capo, per Signore sovrano, per luce e per DIO, Colui che doveva incarnarsi nella pienezza dei tempi, e che è il solo vero DIO vivente ed eterno, con il Padre e lo Spirito-Santo. Sulla terra, la Chiesa si è ingrandita e ha camminato con i secoli, lottando contro il peccato e contro i peccatori, contro il demonio e contro il mondo. In questo combattimento essa è sempre stata assistita dai santi Angeli. Prima dell’Avvento di GESÙ-CRISTO, suo divino Capo e suo Salvatore, la Chiesa è stata dapprima patriarcale, poi mosaica, vale a dire, diretta e governata prima dai santi Patriarchi, padri della grande famiglia umana, che DIO aveva incaricato di conservare le vere tradizioni rivelate ad Adamo, poi, governata e diretta dalla legge di Mosè, dal sacerdote giudeo, ugualmente incaricato dal buon DIO di conservare sulla terra, in mezzo alle tante follie del paganesimo, la vera religione e la fede nel DIO Redentore. Questo Redentore DIO fatto uomo, apparve nella pienezza dei tempi e nacque dalla Vergine Maria. Per trentatre anni nei quali di degnò di dimorare sulla terra, soffrì, implorò e pregò per noi, poveri peccatori; Egli completò ciò che dalle origini aveva rivelato al mondo, Egli, il Verbo eterno, il Maestro legittimo ed il Salvatore del mondo, infine volle morire, sacrificarsi per noi, alfine di lavare i nostri peccati nel suo sangue. DIO Onnipotente resuscitò nel giorno di Pasqua, tre giorni dopo la sua morte, e risalì in cielo alla presenza di più di cinquecento discepoli. Prima di lasciare la terra, Egli aveva ripudiato la Chiesa giudaica, che simile ad una sposa infedele, non aveva voluto riconoscerLo né camminare al suo seguito. Al suo posto Egli costituì la Chiesa Cristiana o Cattolica, la quale deve durare fino alla fine del mondo, fino al ritorno glorioso e trionfale di GESÙ-CRISTO, lottando sempre contro il demonio ed il mondo, nemico implacabile di GESÙ-CRISTO. – Alla sua seconda venuta, GESÙ-CRISTO verrà come trionfatore del demonio e del mondo, sulla terra innanzitutto, poi nei cieli e per sempre. Egli resusciterà tutti gli eletti, tutti i suoi membri viventi, che regneranno e trionferanno eternamente con Lui e con i suoi Angeli. Tale è l’insieme del Cristianesimo, di cui GESÙ-CRISTO è il Capo, il centro, la vita. Tale è pure il senso generale delle cerimonie della santa Messa. Al centro appare, con la Consacrazione e l’Elevazione GESÙ-CRISTO stesso, GESÙ-CRISTO in Persona, rinnovando sull’altare, col ministero del Prete, l’oblazione o offerta del sacrificio che ha riscattato il mondo. All’inizio, come abbiamo visto, sono simbolizzate la fede, la speranza e le adorazioni dei santi Angeli dapprima, poi dei Patriarchi e dei fedeli dell’antica Legge, così come il passaggio dall’antica Alleanza alla nuova Alleanza. Gli antichi sacrifici sono figurati e richiamati dall’oblazione del pane e del vino. Le cerimonie e le preghiere che, dopo il Prefazio fino al Pater, circondano, per così dire la Consacrazione, esprimono l’unione intima della Chiesa militante, sofferente e trionfante, intorno a GESÙ-CRISTO ed in GESÙ-CRISTO. Infine le cerimonie finali, la Comunione, la Benedizione solenne che chiude la Messa, simbolizzano e richiamano alla nostra speranza il secondo Avvento di Nostro Signore, la nostra gloriosa resurrezione, la nostra unione eterna con il buon DIO. I ceri accesi dall’inizio fino alla fine della Messa, rappresentano l’assistenza permanente dei buoni Angeli che adorano ed amano GESÙ-CRISTO nel cielo, mentre noi Lo serviamo, Lo adoriamo e Lo amiamo sulla terra. Un pio fedele che non dimentichi queste cose, trova così nell’assistere alla Messa un mezzo semplicissimo e potentissimo per ritemprarsi incessantemente nei grandi pensieri della fede, e per nutrire solidamente le sue speranze eterne, così come la sua riconoscenza, la sua pietà, il suo amore verso GESÙ-CRISTO, suo Salvatore.

XXXV

Il canto e i cantori.

La grande Messa è fatta per essere cantata, non solo dal Prete e dai cantori, ma inoltre da tutti gli astanti. Si, alla Messa Solenne, tutti dovrebbero cantare, uomini, donne, bambini; tutti coloro che possono cantare, dovrebbero cantare. – Io dico: cantare, non urlare. Nella maggior parte delle chiese, si sentono cantare solo i cantori, valenti senza dubbio a supplire alla quantità con la qualità,; essi gridano tanto quanto possono, guastando tutto l’effetto degli Uffici divini. Quando si canta così forte, non si è più maestri della propria voce; si stona, ognuno tira dalla sua parte; i bambini del coro prevalgono sul tutto, gridano, strillano senza motivo e a sproposito; e quando un oficleide o un “serpentone” viene a sostenere questo canto, si produce una cacofonia impossibile; non si può più pregare, non si può più cantare. I cantori non cantano per se stessi, ma per tutti gli astanti. Essi non stanno là, al leggio, se non per sostenere le voci dei fedeli, per dar loro la tonalità, per dirigere, non per rimpiazzare il canto dell’assemblea. Altre volte questa funzione era ordinata tra le funzioni sacre ed ecclesiastiche; i laici non avevano il diritto di stare al leggio; e le regole del canto liturgico erano molto severe e molto rigorosamente osservate. Tutto era segnato, previsto in anticipo, e non si permetteva a nessuno di cantare secondo la propria fantasia, di cambiare le arie. Da un secolo, queste sante regole, eccellenti sotto tutti gli aspetti, sono misconosciute in molte chiese, con grande pregiudizio degli Uffici divini e della pietà dei fedeli. Il compito del cantore era allora molto considerato, perché era realmente molto religioso e molto rispettabile. I nostri stessi monarchi si sono onorati di cantare al leggio. Era questa ad esempio un’abitudine del grande ed immortale Carlo Magno. – L’uso di far portare ai cantori le sottane e la cotta ecclesiastica viene dalla dignità del chierico di cui essi erano tutti rivestiti un tempo. Essi non dovevano portare né la manica stretta, che è un distintivo del prelato, né la cappa, che è un indumento sacro, riservato al celebrante. L’usurpazione della cappa da parte dei cantori è un abuso moderno, che non si trova che in Francia e nelle sole provincie in cui era stata abbandonata la liturgia romana. Ogni cristiano, fin dall’infanzia dovrebbe apprendere, e di conseguenza cantare, il Kyrie, il Gloria, il Credo, Il Sanctus, l’Agnus Dei, cioè la parte dei canti della Messa che si ripetono spesso ed anche abitualmente; aiutati da buoni cantori, questa non sarebbe una cosa molto difficile; e diventando così parte attiva all’Ufficio divino, non sarebbero più esposti, come molto spesso accade, ad annoiarsi o a trovarli molto lunghi. Bisogna abituarsi a rispondere, non solo esattamente, ma anche piamente gli Amen della Messa, principalmente dopo le orazioni chiamate Collette, che precedono l’Epistola, e dopo le orazioni che seguono la Comunione. Bisogna pure abituarsi a rispondere ai saluti che il Celebrante dà ai suoi fratelli, a nome di Nostro-Signore, dall’alto dell’altare, e cantare di buon cuore “E cum Spiritu tuo”, scambiato i “Dominus vobiscum”, dei quali abbiamo spiegato il senso. – Non occorre borbottare, ancor meno cantare per accompagnare il Prete nelle preghiere che questi deve cantare da solo. Ci sono buoni fedeli, soprattutto pie donne che, per devozione, accompagnano a mezza voce il Celebrante che canta il Prefatio ed il Pater. Una volta, in una chiesa di villaggio, questi accompagnamenti erano così accentuati, che il Prete ritenne di dover interrompere un momento: le buone donne continuarono sacerdotalmente la loro aria, e ci vollero alcuni istanti per rendersi conto di essere ridicole. Ci sono dei canti che variano a seconda delle feste, e che i fedeli non possono conoscere a memoria: … tali sono gli Introiti, i Graduali, gli Offertori e le Comunioni. Li eseguono solo i cantori. – Quando si canta in Chiesa, non bisogna cantare né troppo forte né troppo piano, ma dolcemente e piamente; perché questi canti sono innanzitutto delle preghiere. Bisogna poi pregare insieme, seguire esattamente i cantori, senza andare più veloci o più lenti. Quanto ai cantori ed ai bambini del coro, essi devono regolarsi sul maestro cantore: è lui che dà il tono e la misura. Mio DIO! Come sarebbero belli, edificanti e toccanti i nostro Uffici, e come sarebbe interessante prenderne parte, se si osservassero queste regole così semplici!

XXXVI

Il servente Messa.

Il servente di Messa è così chiamato perché serve il Prete all’altare. Egli ha l’onore di rappresentare gli Angeli ed i fedeli; gli Angeli che assistono GESÙ-CRISTO, il Prete invisibile e celeste; i fedeli che assistono al Santo Sacrificio e, con essi, tutta la Chiesa. Così il servente Messa, chiunque esso sia deve assolvere con molto rispetto e pietà la sua santa funzione. Ci sono persone che sottovalutano questa funzione di servente Messa; la fede invece fornisce altri pensieri, e spesso uomini venerabili per la loro età o per eminenti virtù, o per la loro sapienza, o posizione sociale, si sono fatti ed ancora oggi ritengono un vero onore il servire la santa Messa. Il venerabile Mgr. De Mazenod, anziano Vescovo di Marsiglia, non badando alla sua dignità ed ai suoi canuti capelli, in caso di bisogno, non ricusava affatto il servir Messa al più umile dei suoi Preti; io ricordo la profonda impressione che suscitava in ognuno, il vedere questo vegliardo rispondere alla Messa con la semplicità di un bambino. Benché non sia obbligatorio, è certamente più rispettoso servire Messa in sottana e cotta. Non si avrebbe la giusta venerazione nel girare intorno all’altare al cospetto del Santo-Sacrificio. Sarebbe sconveniente che il servente Messa fosse in disordine, malconcio, con le mani sudice, etc. etc. Egli non deve portare berretto, né nero, né soprattutto rosso: il berretto rosso è un segno della dignità di Cardinale, e non dei bambini del coro. Ecco alcune regole generali che deve osservare il servente Messa. Egli deve essere in ginocchio tutto il tempo della Messa, salvo durante il Vangelo e nei momenti in cui, per adempiere il suo ufficio, deve andare e venire. Egli deve mettersi in ginocchio non sul gradino dell’altare, ma sulla lastra; a meno che non abbia un libro o un rosario, egli deve tener le mani giunte davanti al petto, col pollice destro sul pollice sinistro, a forma di croce, come il Prete. Si mette dritto, modesto, attento, non osserva quel che succede in chiesa, e non gira la testa al minimo brusio come è d’uso nel novanta per cento dei piccoli chierici. Egli è posizionato sempre dal lato opposto al Messale. Questa regola non ha eccezione, benché mai correttamente osservata passando davanti al Crocifisso o a maggior ragione davanti al tabernacolo, bisogna fare la genuflessione religiosamente e posatamente. La genuflessione è un atto di adorazione; essa deve dunque farsi in spirito di fede, e non per routine né alla leggera. Per fare bene la genuflessione, bisogna che il ginocchio destro tocchi terra vicino al piede sinistro, che le mani restino giunte davanti al petto, che il corpo resti dritto, così come pure la testa. Il servente Messa deve rispondere con voce dolce ed uguale, pronunciando bene ogni parola, senza proferire in latino mnemonicamente come un bambino, ma aspettando per rispondere che il Prete abbia terminato. Il latino di certi serventi Messa è favoloso. Ci sono due momenti della Messa in cui il servente manca più ordinariamente alla regola: è all’inizio del Kyrie, che egli recita tutto di getto, nel momento stesso in cui dovrebbe alternare con lui le nove invocazioni. Poi al Confiteor che precede la Comunione dei fedeli: il servente non deve cominciare a recitarlo se non dopo che il Prete, avendo comunicato sotto le due specie, depone il calice vuoto sull’altare. Se il servente comunica, egli deve, per quanto possibile, comunicare per primo, soprattutto se ha sottana e cotta. È il servente Messa che ha il compito di mantenere la campanella e di suonarla. Qui ancora ci sono diverse eccentricità, delle abitudini affatto proibite dalla legge liturgica. Secondo la regola obbligatoria si deve suonare; 1° al Sanctus, tre colpi; 2° all’elevazione dell’Ostia, tre colpi; il primo quando il Prete fa la genuflessione per adorare la santa Ostia; la seconda quando La eleva per farla adorare al popolo; la terza quando fa la genuflessione dopo averLa riposta sull’altare. Lo stesso per l’elevazione del Calice, tre volte, seguito da un piccolo tintinnio, per indicare che la Consacrazione è completamente terminata. È d’uso e permesso, principalmente nelle grandi chiese, di suonare una terza volta alla comunione del Prete, per prevenire i fedeli che volessero comunicare. Questa terza suoneria non è obbligatoria, non è stata autorizzata da Roma se non da qualche anno. Si suona ordinariamente un colpo al primo Domine, non sum dignus; due, al secondo, tre al terzo. Oltre a questi due, o se volete tre scampanellii, è proibito far sentire il campanello durante la celebrazione del Santo Sacrificio. È proibito soprattutto scrosciare, come si fa generalmente; è proibito suonare qualche istante prima della Consacrazione; suonare a quella che si chiama la piccola Consacrazione, immediatamente prima del Pater, infine, suonare al terzo “Domine, non sum dignus” dei fedeli ed alla benedizione che termina la Messa. – Tutto ciò, lo ripeto, è proibito, e non deve essere fatto; gli usi contrari sono degli abusi che bisogna accantonare e rimpiazzare con l’osservanza esatta della legge. Il servente Messa non deve posare nulla sulla tovaglia dell’altare, innanzitutto per rispetto, e poi per misura di proprietà. Presentando le ampolle al Prete, egli deve preliminarmente baciarle religiosamente, e presentarle sempre con la mano destra, tenendola più in basso, affinché la mano del Prete sia costantemente al di sopra della sua. Giungendo dalla credenza all’altare, e partendo dall’altare per tornare alla credenza, egli saluta il Crocifisso ed il Prete inclinandosi leggermente. Riponendo le ampolle ed il piattino sul ripiano della credenza, egli avrà cura di non far rumore, ed in generale di compiere il suo ministero piacevolmente, attivamente e con una esattezza religiosa. Al Sanctus, dopo aver suonato, accende il cero dell’Elevazione, di cui abbiamo parlato sopra e che si potrebbe chiamare il cero della Presenza reale. Egli non lo spegne se non dopo la Comunione del Prete e dei fedeli, quando il Santo-Sacramento non è più sull’altare, e quando la porta del Tabernacolo è chiusa. Se il cero non è posto molto in alto, e se si può fare comodamente, egli lo porta rispettosamente con la mano destra davanti al Prete mentre questi da la santa Comunione ai fedeli. – L’uso del cero dell’Elevazione è sfortunatamente caduto in disuso in molte chiese. Nonostante ciò è indicato nella rubrica del Messale, ed è certamente più opportuno osservare questa rubrica. Se in seguito a qualche incidente, o per tutt’altra ragione, il Prete non ha servente la Messa e non ci sono che donne, egli potrebbe celebrar Messa mettendo alla sua portata vicino all’altare, il vino e l’acqua; una donna potrebbe rispondere dal suo posto e suonare, senza entrare tuttavia nel coro.

XXXVII

L’obbligo di assistere alla Messa

C’è l’obbligo, sotto pena di peccato grave, di assistere alla Messa la domenica e nei giorni di festa, per questo motivo dette Feste d’obbligo. In Francia il Papa Pio VII ha ridotto a quattro il numero di queste feste di precetto: Natale, l’Ascensione, l’Assunzione e Ognissanti. Le grandi feste che cadono sempre di Domenica, come Pasqua e Pentecoste, si confondono con la Domenica; le altre feste, come l’Epifania, la festa del Sacro Cuore, la SS. Trinità, San Pietro e l’Immacolata Concezione, sono rinviate alla Domenica seguente, invece di essere festa nel giorno stesso. – C’è dunque l’obbligo di assistere alla Messa per cinquantasei volte; le cinquantadue Domeniche dell’anno, e le quattro grandi feste riservate. – Quest’obbligo è imposto ai fedeli sotto pena di peccato grave. Essa è l’anima della santificazione della Domenica e delle feste, così come di tutto il culto pubblico che la Chiesa rende a DIO. Tutti i suoi figli, che non siano legittimamente impediti, sono obbligati a riunirsi almeno una volta alla settimana, la Domenica, a pregare insieme ai piedi degli altari, ringraziare, ed implorare insieme la misericordia divina per i meriti del Sacrificio di GESÙ-CRISTO. E poiché è alla Messa che GESÙ-CRISTO, il divin Capo della Religione e della preghiera, discende in mezzo agli uomini, alfine di unirsi ad essi e di riunirli a Lui, è ai piedi dell’altare, è intorno a GESÙ-CRISTO ed al Prete che celebra il Sacrificio di GESÙ-CRISTO, che la Chiesa convoca tutti i suoi figli la Domenica ed i giorni di festa. – Poiché questo obbligo è molto serio, essendo un obbligo e non un consiglio, occorre, per potersene dispensare, essere impedito da gravi ragioni. Così si è dispensati dall’assistere alla Messa quando si è malati; quando si è convalescenti o il medico vi si oppone, quando si è talmente infermi che non lo si possa fare senza danno, o almeno senza una vera imprudenza; quando si è obbligati a sorvegliare un malato o dei bambini, quando si è a sua volta costretti a sorvegliare la casa; quando si è impediti da un importante ufficio di carità che non è rimandabile (ad esempio spegnere un incendio, estrarre qualcuno dall’acqua, etc.); quando materialmente si è impediti dall’andare in chiesa, come ordinariamente succede ai militari in campagna, ai marinai imbarcati, e troppo spesso ai poveri soldati lasciati in caserma o comandati dalle riviste; così come succede ad un gran numero di apprendisti ed operai che padroni indifferenti od empi privano della sacra libertà della coscienza; ed altri casi simili. L’età è anche un legittimo motivo di dispensa. I bambini che non hanno ancora l’età della ragione non sono obbligati in coscienza ad andare alla Messa; si fa bene a svegliarli alla buonora, e dar loro le buone abitudini cattoliche, ma alla fine questo non è un obbligo. Così pure l’estrema senilità è un caso di dispensa; essa è considerata una grave infermità. Quando anche, nei casi estremi, si è autorizzati a lavorare la Domenica (ad esempio per salvare un raccolto), non si è però dispensati dall’assistere alla Messa: c’è l’obbligo di servire il buon Dio prima di ogni considerazione puramente temporale. È lo stesso per lo studio delle scienze, delle lettere, delle arti. Benché possa essere legittimo di Domenica, questo studio è dominato dalla legge della Chiesa, dalla grande legge della santificazione della Domenica e delle feste. Se ne siamo convinti, è la fede che manca. Se lo si crede seriamente, profondamente, si fa come nei paesi di fede, ove quasi nessuno manca mai alla Messa, non lavora la Domenica e non diserta gli Uffici della Chiesa. I selvaggi battezzati sono più cristiani di tutti i francesi che conosciamo. Ultimamente, un Vescovo missionario, attraversava Parigi accompagnato da un giovane selvaggio battezzato della profonda Oceania. Era una Domenica. Il giovane cristiano, meravigliato dal vedere i negozi aperti, le vetture in movimento, dice al Vescovo: “Padre, ci sono dunque ancora i pagani in Francia?- No, figli mio, risponde il missionario, ma ci sono dei francesi che di cristiano hanno solo il nome. – “Certo! replica l’oceanide, perché nelle nostre isole solo gli infedeli possono lavorare la Domenica, e non sempre, perché rispettano la fede dei Cristiani!” – Nei paesi di missioni, dove i preti sono rari, accade spesso che per ascoltare la Messa, i poveri selvaggi si impongono delle fatiche straordinarie, viaggiano tutta la notte, e fanno fino a sette, otto o anche dieci leghe a piedi. Qual onta per noi Cristiani d’Europa! Essi non lo fanno, non sanno quel che sanno questi poveri selvaggi; e noi siamo ridotti ad apprendere da loro che c’è un obbligo vero, un obbligo grave di santificare il giorno del Signore e di assistere alla Messa, almeno la Domenica e nei giorni di festa.

XXXVIII

Cosa occorre fare per soddisfare a questo obbligo

Per soddisfare all’obbligo di ascoltare la Messa, bisogna sforzarsi di ascoltarla per intera: dall’inizio alla fine; e per essere ben sicuri di giungere in tempo, bisogna abituarsi ad arrivare un po’ prima dell’ora di inizio; così ci si raccoglie, ci si prepara onde ben comprendere la Messa. Se per negligenza, si arriva a Messa iniziata, si commetterebbe peccato; peccato veniale, è vero, ma peccato realmente. Io parlo qui, ovviamente della Messa obbligatoria della Domenica e delle feste. Se si giunge alla Messa dopo il Vangelo, non si soddisferebbe probabilmente al precetto; e quando anche si resterebbe fino al termine, non si sarebbe ascoltata la Messa propriamente parlando. Se questo avviene per negligenza e volontariamente, ci si renderebbe colpevoli di peccato grave. Se il ritardo fosse involontario, bisognerebbe ascoltare della Messa tutto ciò che ancora rimarrebbe da ascoltare, alfine di avvicinarsi il più possibile alla legge. Comunque, se si trattasse di una Messa solenne e si arrivasse a tempo per ascoltare la lettura che il Prete fa col canto del Vangelo del giorno, è probabile che questo sarebbe sufficiente di rigore. È però certo che non si soddisfa al precetto quando non si sia giunti almeno all’Offertorio, che è l’inizio dei preparativi immediati del Santo-Sacrificio. – Non si deve lasciare la chiesa prima che la Messa sia finita, e prima che il Prete sia disceso dall’altare. Bisogna pure abituarsi a fare una piccola azione di grazie di qualche minuto. Se comunque, un giorno di gran festa, la Comunione dei fedeli dovesse durare molto tempo, e ci si ricordi di qualche dovere impellente, si potrebbe probabilmente, senza peccare pur venialmente, chiedere a nostro Signore la sua benedizione, senza attendere la fine della cerimonia. Ma occorre guardarsi bene dall’abusare di questo comportamento! I veri cristiani sanno organizzarsi in modo da conciliare tutti i loro doveri, e mettere sempre in testa i loro doveri religiosi. Non si dovrebbe mai ascoltare la Messa se, per stanchezza o per lasciarsi andare, ci si potesse assopire nei momenti più importanti della Messa e per un tempo congruo. È un’onta per il cristiano dormire mentre il suo DIO si degna di scendere per lui sull’altare; e mentre i suoi fratelli pregano a suo fianco con fervore. – Egualmente non si sarebbe ascoltata la Messa, se ci si fosse messi a chiacchierare per buona parte del tempo; se ci si fosse per lungo tempo volontariamente distratti. Quanto alle piccole inopportune distrazioni, alle quali è tanto difficile sfuggire quando si prega, esse non impediscono, grazie a DIO, di aver compiuto il precetto. Non si soddisfa al precetto facendo durante la Messa delle letture estranee alla preghiera propriamente detta. Così non si sarebbe ascoltata la Messa se ci si fosse accontentati di leggere qualche passaggio della santa Scrittura, della vita di un Santo, di un libro di istruzione religiosa, come l’Introduction di San Francesco di Sales, come qualche bel sermone di Bossuet o di Bourdaloue, o come una conferenza del p. Lacordaire, ancor meno un libro di scienze o di storia. In una parola, bisogna che questo non sia un libro estraneo all’adorazione, alla preghiera. Alla Messa bisogna pregare, adorare, ringraziare il buon DIO, chiedere perdono per i propri peccati. Meglio si fa questo, meglio si ascolta la Messa!

XXXIX

Diversi modi di ben ascoltare la Messa.

Per ascoltare bene le Messa, occorre innanzitutto avere un cuore cristiano, un’anima raccolta e desiderosa di ben pregare; nulla potrebbe supplire a questa disposizione spirituale, che è come l’anima di tutti i metodi che stiamo per esporre. È soprattutto davanti agli altari di GESÙ-CRISTO che ci si deve ricordare dell’oracolo divino: “Questo popolo mi onora da levita, ma il suo cuore è lontano da me”. Per meglio ascoltare la Messa, occorre che il nostro cuore, che la nostra volontà siano rivolte al buon DIO. Il metodo più semplice, più cattolico ed ordinariamente il più fruttuoso di assistere alla Messa, è seguirne tutte le preghiere in un libro da Messa. Questo metodo ci unisce naturalmente al Prete ed al suo Sacrificio. Per coloro che conoscono il latino, vale cento volte di più seguire le preghiere della Messa nella lingua stessa della Chiesa; talmente il latino è più bello, più grande, più profondo del vernacolare. Se non si sanno ben coordinare insieme le preghiere dell’Ordinario della Messa, che sono sempre le stesse, con le preghiere speciali, che variano a seconda delle feste, bisogna impararle; è molto semplice, e la prima persona pia a cui si chiederà, avrà molto piacere nel dare in cinque minuti questa piccola lezione di pietà liturgica. Una volta che si sa questo, non lo si dimenticherà più. In capo a due o tre mesi, si saprà a memoria l’Ordinario della Messa; queste belle preghiere che risalgono ai secoli dei martiri ed anche degli Apostoli, ci divengono familiari, come il Pater, e ci forniscono un mezzo perfetto per restare ben applicati al buon DIO durante il Santo Sacrificio. Questo metodo ha inoltre il vantaggio inestimabile di farci percorrere ogni anno con la Chiesa tutta la serie dei misteri e delle feste cattoliche, ed aumentare incessantemente in noi la conoscenza delle cose sante con il vero spirito cattolico. E poi non si prega forse meglio quando si sa precisamente ciò che occorre onorare, festeggiare, domandare con la Chiesa? Altrimenti si rischia di rimanere nel vago e pregare senza molto frutto. Comunque non è necessario, per seguire bene la Messa, diventare un parrocchiano completo, e recitare le stesse preghiere del Prete, sia in latino che in volgare. Ci sono diverse specie di libri da Messa, e dal momento che sono cattolici ed autorizzati dal Vescovo, possono tutti essere molto utili, ed ogni fedele può scegliere quello che meglio gli conviene. Ma in generale si può dire che nulla fissa meglio l’attenzione ed aiuti meglio a seguire la Messa, che un buon libro da Messa, religiosamente letto e seguito (come libro da Messa per eccellenza, oso raccomandare al lettore l’Anno liturgico di dom Guéranger. È un’opera unica nel suo genere, ed una delle più utili che si possa mettere tra le mani dei fedeli). – Ci sono delle persone più pie, più abituate alla preghiera, che preferiscono durante la Messa, adorare e pregare a memoria, senza il soccorso esterno di un libro; o almeno che se ne servono per qualche momento per attingervi un pensiero di fede, una buona parola di pietà e di meditazione. Nulla di meglio di questo metodo per ascoltare la Messa; ma non sarebbe consigliabile ad un gran numero di persone. Coloro che lo praticano farebbero bene a ripassare per così dire, uno dopo l’altro, i quattro grandi fini del Sacrificio della Messa, che abbiamo indicato all’inizio, e che sono: 1° l’adorazione, 2° l’azione di grazie, 3° la supplica o domanda, e 4° la propiziazione o espiazione del peccato. Essi faranno ugualmente bene a non perdere di vista lo spirito del mistero o della festa del giorno. Un altro metodo molto pio di seguire la Messa, consiste nel richiamare alla memoria i differenti dettagli della Passione di Nostro-Signore applicandoli alle principali cerimonie che si vedono sull’altare. Eccellenti piccoli libretti sono stati composti per questo scopo; ed essendo, in ogni pagina, illustrati con immagini che rappresentano le scene della Passione, hanno un fascino in particolare per i fanciulli e le persone poco istruite. Infine, l’ultimo metodo che indicheremo qui e che si indirizza soprattutto alle persone che non sanno molto, o non possono leggere, consiste nel recitare il rosario. Nella prima decina ci si unisce alla Santissima Vergine, agli Angeli ai Santi ed al Celebrante, per adorare il buon DIO ed il suo Figlio unico Nostro Signore; alla seconda decina, ci si riunisce ancora, per ringraziare DIO per tutte le sue grazie e la sua bontà; alla terza, sempre in unione con la Santissima Vergine, con la Chiesa celeste e con il Prete, si domandano a Nostro Signore, per se stessi e per gli altri, i beni dell’anima e del corpo; si recita poi la quarta decina in espiazione dei propri peccati e per ottenerne il perdono; si recita la quinta ed ultima decina infine, sia per le povere anime del purgatorio, sia per il nostro Santo Padre, il Papa ed i bisogni generali della Chiesa, sia per questa o quella intenzione particolare che ci è stata raccomandata o che maggiormente si tiene a cuore. Ma bisogna aver cura di fermarsi qualche istante tra ogni decina, per formulare bene la propria intenzione, e ravvivare la propria attenzione. Tutti questi metodi sono molto buoni in se stessi: ciascuno può scegliere secondo le proprie attitudini, gusti ed attrattiva.

XL

Come bisogna comportarsi alla Messa, ed in generale del buon comportamento in chiesa.

 La tenuta esteriore alla Messa non è meno importante delle disposizioni interiori: l’uomo è composto dall’anima e dal corpo; e così come l’anima esercita sul corpo una influenza considerevole sul corpo, pure il corpo esercita un’azione diretta e molto importante sull’anima, sui suoi movimenti e le sue disposizioni. In chiesa, ed in particolare alla Messa, bisogna quindi occuparsi della tenuta esteriore. – Salvo che durante il Vangelo ed il Credo, si dovrebbe restare in ginocchio durante tutta le Messa. Io non dico che lo si debba fare, né che faccia male chi non lo fa; io dico che si dovrebbe fare, che cioè sarebbe meglio, che sarebbe più rispettoso, più perfetto. Nei paesi in cui le tradizioni cattoliche si sono conservate con più energia e più profondità, non si sa cosa significhi sedersi durante la Messa, anche durante la Messa solenne; si è in ginocchio fin dall’inizio e così si resta. I bambini stessi, abituati dai loro primi anni a queste robuste abitudini, restano in ginocchio per tutto il tempo, come i grandi. Bisogna provare almeno a restare in ginocchio dall’inizio della Messa fino al Vangelo, e dal Sanctus fin dopo la Comunione o anche fino all’ultimo Vangelo: nelle Messe basse, si tratta di non più di due o tre minuti. La benedizione finale della Messa deve sempre essere ricevuta in ginocchio, non in piedi, ed ancor meno seduti. I Preti stessi devono riceverla in ginocchio; i prelati la ricevono in piedi e leggermente inclinati. Spesso si vedono delle persone inginocchiate fino ad allora alzarsi in occasione dell’ultimo Vangelo, e ricevere in piedi questa santa benedizione; questo è contro la regola! Si sia seduti o in piedi, bisognerebbe mettersi in ginocchio, ed alzarsi solo dopo la benedizione. Ma, in ginocchio, in piedi o seduti, bisogna assolutamente che la nostra tenuta alla Messa sia irreprensibile, che respiri ed ispiri raccoglimento, e che sia improntata da rispetto religioso del quale la nostra anima deve essere tutta penetrata. Non si saprebbe insistere mai troppo su questo punto, non solo per se stessi, ma anche per il bon esempio e l’edificazione dei fedeli. Nulla edifica quanto una tenuta modesta e raccolta in chiesa; e nulla di meno edificante che la sciatteria e la trascuranza in presenza dei santi altari. Vi sono delle persone che si comportano in tal fatta per tutta la Messa, che li si scambierebbe volentieri per degli empi: essi però non lo sono; ma sono semplicemente dei cristiani molli, lassi o leggeri. Ce ne sono di alcuni che entrando in chiesa, non si danno pena di fare un segno di croce, o lo fanno così male che sarebbe meglio astenersene; essi non fanno la genuflessione davanti al Santo Sacramento; guardano da ogni parte, ed hanno visto tutto, notato tutto prima di pensare che essi sono davanti a DIO. Essi restano seduti durante quasi tutta la Messa, spesso con le gambe incrociate, con atteggiamento che un uomo di elevata condizione, non permetterebbe mai in buona compagnia. Appena il Prete sale sull’altare, essi sono già seduti. Il Vangelo non è ancora terminato, essi sono nuovamente seduti. Al Sanctus la campanella che annunzia l’avvicinarsi del grande e solenne rito della Consacrazione, li lascia ancor seduti, sempre seduti. È appena se la suoneria dei pigri, questa piccolo scampanio apocrifo ed illecito che non si dovrebbe fare davanti all’Elevazione, è sufficiente a scuoterli; e mentre l’ultimo scampanellio dell’Elevazione ancora risuona, essi si sentono in dovere di sedersi di nuovo coraggiosamente, piamente. Al momento della Comunione essi non si alzano mai. Il loro grande compito sembra quello di essere seduti: abitudini di fede. Senza giungere a questo, ci sono cristiani comunque ancora molti apatici, e che dovrebbero tenere in chiesa un contegno più religioso. Io segnalerei soprattutto le gambe incrociate, gli sguardi erranti, l’aria disattenta ed annoiata, le inutili parole, l’inesattezza nell’osservare le regole che osservano tutti i veri fedeli. Nella chiesa e alla Messa, bisogna pure evitare, per quanto è possibile, le attitudini singolari, eccentriche. Ci sono persone solidamente pie che non vegliano molto e che, per questa particolarità si prestano a far ridere. Essi stessi non sarebbero che poco male, ma le persone poco religiose identificano questi ridicoli con la pietà stessa e, nuovi farisei, prendono l’occasione per beffarsi della Religione. – Così si vedono talvolta in chiesa delle persone che pregano con gli occhi al cielo, con aria estatica; a volte, piuttosto che inginocchiarsi, si mettono in preghiera con la testa più bassa della nuca, e la nuca più bassa delle spalle; si direbbe quasi che si sentono male o che cadano in deliquio. Altri emettono sospiri e lanciano parole infiammate, ed altre singolarità di questo tipo. Io lo ripeto, l’intenzione è lodevole; ma l’esibizione è veramente ridicola. Se ci si accorge di una di queste manie, bisogna cercare di riformarla, costi quel che costi. Si tratta dell’onore della pietà. Notiamo infine che nella chiesa, soprattutto nei movimenti più solenni della pubblica preghiera, non bisogna chiacchierare, non bisogna muoversi con fracasso, tossire né soffiare i muchi fragorosamente. Per rispetto alla chiesa non bisogna sputare a terra. In una parola bisogna comportarsi quanto meglio possibile, vegliare su di sé, sapersi preoccupare per il buon DIO; e con modestia veramente cristiana, contribuire da parte propria alla generale edificazione. Dopo la Messa, uscendo, non bisogna vociare così come quando si è in chiesa. Il silenzio è davanti al buon DIO, una delle forme più elementari di rispetto.

XLI

Le tre classi di persone che ascoltano la Messa in modo deplorevole

Ci sono le giraffe, i montoni ed i buoi. Le “giraffe” sono ordinariamente di classe elevata. Sono le persone che, sapendo forse molte cose, o forse anche non sapendo molte cose, disdegnano di portare un libro alla Messa, o non osano; santificano la loro Domenica con una povera, piccola Messa bassa, la più breve possibile; non si mettono in ginocchio, se non forse appena all’Elevazione, e più spesso sono su un solo ginocchio piuttosto che su due; guardano a destra, a sinistra, dietro, poco davanti, e meno ancora che verso l’altare; pregano poco o affetto; chiacchierano volentieri; ridono con il vicino, la vicina; sottolineano le toilettes; e se ne vanno mentre il Prete recita l’ultimo Vangelo, così piamente come per l’innanzi. I “montoni” sono quella moltitudine di brava gente che hanno ancora delle buone abitudini religiose; che vanno quasi sempre a Messa la Domenica, che “fanno grosso modo il loro dovere”, come essi dicono … che non comprendono granché al di fuori dell’arare, se sono contadini; … oltre al lavoro del loro mestiere, se sono operai; … oltre al loro quotidiano, alle loro pentole, al cucire, al lavoro ai ferri, se sono donne, che fanno grossolanamente e approssimativamente quel che dice il loro curato; e che in somma sono delle buone bestie o delle bestie bonarie. Questi non ascoltano la Messa impertinentemente e sdegnosamente, come i primi. Essi dormono volentieri durante la predica al pulpito, assumono la loro presa di tabacco all’Elevazione, si stancano di restare in ginocchio, o se vi restano non sanno il perché, e non pensano a granché. Essi danno al buon DIO ciò che essi possono. Quando dico che essi ascoltano la Messa in maniera deplorevole, io non voglio dire che non soddisfino al precetto, perché essi fanno quel che possono; ciò che io dico e che non ha bisogno di prove, è che queste povere persone non hanno veramente di cristiano se non il nome; essi sono estranei allo spirito del Cristianesimo, e che una parrocchia che non avesse altri parrocchiani, sarebbe una parrocchia morta, lamentevole, impossibile. – Infine i “buoi”, terza categoria di quelli che ascoltano miserevolmente la Messa. Questi sono le persone, purtroppo sempre più numerose nella nostra società scristianizzata, che sono piuttosto pagani che cristiani. A forza di indifferenza e di oblio di DIO, a forza di progressi all’indietro, essi sono giunti ad una sorta di cretinismo nell’ordine delle cose religiose. Hanno essi fede? Non se ne sa veramente niente. Essi vengono alla Messa solo in occasioni particolari, o per routine consolidata non riflessiva. Essi ci vanno a Natale, a causa della vigilia; vi vanno a Pasqua, perché il giorno di Pasqua è il giorno di Pasqua; ci vanno talvolta a qualche altra grande festa, ai matrimoni o ai funerali. Essi stanno in chiesa come dei selvaggi, come dei bruti. Non si interessano di ciò che accade sull’altare né di ciò che è la Messa; essi vedono le cerimonie sacre della Chiesa come delle usanze alle quali bisogna conformarsi per fare come tutti. In chiesa sono assolutamente come in un paese straniero, li si vede dalla loro figura, dalla loro aria, dal loro comportamento, talvolta anche dalle loro parole. È una cosa straziante e, a meno di un miracolo, senza rimedio.

XLII

Con quali intenzioni si può ascoltare la santa Messa e farla celebrare.

Le numerose intenzioni, con le quali si può legittimamente ascoltare o far dire Messa, si possono dividere in due grandi categorie;: le intenzioni spirituali e le intenzioni temporali. Le intenzioni spirituali sono quelle che riguardano la gloria di DIO, gli interessi della Religione, la salvezza e la santificazione delle anime. Esse sono indubbiamente le più elevate, le più cristiane; e non si finirà mai di invitare i fedeli a far celebrare la Messa, o semplicemente ad ascoltarla, dal momento che hanno nel cuore un pensiero del genere. Il sangue di GESÙ-CRISTO ha una voce più eloquente di tutti i nostri sforzi personali; e alla Messa, questo sangue divino ci viene dato perché lo applichiamo secondo le nostre particolari intenzioni. Così non vi è nulla di più eccellente che far dire o ascoltare Messa per adorare nostro Signore, a nome di tutti coloro che dovrebbero adorarLo e non Lo adorano; per ringraziare il buon DIO per una grazia ottenuta; per espiare e riparare tanto alle blasfemie che ai peccati della nostra natura che gridano vendetta al cielo; per riparare in particolare i sacrilegi; per ottenere la perseveranza e la salvezza di un parente, di un amico, di una persona a noi cara, per ottenere la conversione di questo o quel povero peccatore; per ottenere la grazia di fare una buona prima Comunione, la grazia di una vocazione, la grazia di una buona morte, o qualche grazia spirituale. Niente di più eccellente, niente di più gradito a Dio che far dire o ascoltare la Messa in onore del Sacro-Cuore di GESÙ e per ottenere il suo amore; in onore della Santissima ed Immacolata Vergine, e delle sue celesti intenzioni infinitamente sante; in onore di un Santo, di un Martire, per ottenere più speciale protezione e ricevere un poco del suo spirito; per il Papa, la salvezza ed il trionfo della Santa-Sede; per alleviare e liberare le povere anime del Purgatorio, in particolare questa o quella. Tutte le intenzioni spirituali, dal momento che sono conformi alla fede ed allo spirito della Chiesa, sono graditissime al buon DIO, e le affidiamo fortemente alla Vittima divina dei nostri altari, al buon GESÙ, nostro Maestro e nostro Mediatore presso il Padre celeste. – Quanto alle intenzioni temporali, non sono certamente meno importanti; ma se esse sono giuste e ragionevoli, ci viene perfettamente permesso e facciamo molto bene nel raccomandarle alla misericordia divine per mezzo del potentissimo Sacrificio della Messa. – Così, si può benissimo, senza mancare il minimo rispetto dovuto al sangue di GESÙ-CRISTO, far dire o ascoltare una Messa, per ottenere la guarigione da una infermità, da una malattia, per un interesse legittimo di fortuna; per ottenere la vincita di un processo che si ritiene giusto, il successo di un’operazione commerciale o industriale, la felice riuscita di un matrimonio, la benedizione di un viaggio, la riuscita di un esame, un’impresa militare; per ottenere la pioggia o il bel tempo, un tempo favorevole per una traversata o una festa; perché un flagello risparmi le mandrie, ed altri interessi temporali evidentemente legittimi. – Del resto non c’è da preoccuparsi troppo di questa legittimità relativamente all’applicazione della Messa; non è forse il Prete là per risolvere al bisogno, tutte le nostre difficoltà? Ma non lo dimentichiamo: benché pure, legittime possano essere le intenzioni esclusivamente temporali, bisogna sempre subordinarle al compimento della santa volontà di DIO ed a ciò che Nostro-Signore sa essere il meglio per noi. Egli sa ciò che noi ignoriamo; e molto spesso noi esprimiamo questa o tal altra domanda corporale che crediamo volerGli indirizzare come se, come Lui, conoscessimo l’avvenire. Non si ricorre mai abbastanza alla santa Messa. Mentre nei Paesi di fede, i Preti non riescono a soddisfare le Messe che si domandano loro, sia per i vivi che per i morti, negli altri Paesi, là dove la fede è morente ed i cuori rinsecchiti, non si ricorre più per così dire al sangue redentivo del Figlio di DIO, e questa indifferenza è una delle principali cause della degradazione più profonda di queste disgraziate contrade. Ma dappertutto qui ci sono dei cristiani negligenti che fanno passare mesi, anni interi, senza pensare a far dire una Messa per i loro poveri morti. Egoisti e insensibili, li lasciano languire senza fine nelle terribili pene espiative del Purgatorio. Un po’ di tempo fa un contadino pregava il suo curato di dirgli una Messa. “È per la vostra povera moglie deceduta l’altro giorno, vero?” gli domandava il Prete. “No, signor curato, rispose l’altro con un sangue freddo incredibile, non è per la mia povera moglie, ma per la nostra vacca che è malata”.

XLIII

Perché si deve dare al Prete un’offerta nel richiedergli una Messa.

Nostro Signore GESÙ-CRISTO, incaricando i suoi Apostoli di predicare il Vangelo a tutti i popoli, di salvare e santificare le anime, di amministrare i Sacramenti e di presiedere al culto divino, ha comandato loro di lasciar tutto per adempiere a questo grande ministero. A causa di questo, il Preti cattolici, che continuano sulla terra la missione dei santi Apostoli, non hanno il diritto, quando anche ne avessero il tempo, di dedicarsi al commercio o all’agricoltura, e la Chiesa vuole che “essi vivano dell’altare”, secondo la stessa parola del Vangelo. “Vivere dell’altare”, significa trovare nel ministero ecclesiastico le risorse sufficienti per vivere, e per vivere convenientemente. Di conseguenza, la Chiesa ha ordinato fin dalle origini, anche dai tempi degli Apostoli, che i fedeli, in cambio dei beni spirituali ed eterni che dispensano loro i Preti, provvedessero ai loro bisogni donando loro, sotto una forma o un’altra, una certa parte dei loro beni temporali. È nello stesso tempo giustizia, riconoscenza e carità. Ora da questi principi cristiani, abbiamo quel che si chiamano “diritti dei Preti”. Il diritto è l’insieme delle elemosine, dei doni che i cristiani depongono tra le mani dei loro Preti, in occasione di questo o tale servizio religioso che essi reclamano dal loro ministero. Tutto questo è regolato nei dettagli in ogni diocesi dall’autorità del Vescovo; ma dappertutto, la celebrazione della Messa richiede, da parte dei fedeli che la richiedono, una modesta retribuzione, che si chiama l’onorario della Messa. L’onorario di una Messa è generalmente fissato a un franco, o ad un franco e cinquanta centesimi, o due franchi. – Non è la Messa che si paga uno o due franchi. Il sangue divino di GESÙ-CRISTO non è una mercanzia; se si volesse pagarlo, il cielo e la terra non sarebbero sufficienti. Ciò che si paga non è l’impegno del Prete, perché egli non vende le sue preghiere, né la sua carità. Il suo divino ministero non si vende e non si compra. Ciò che si da al Prete, quando gli si corrisponde l’onorario della Messa, è il tributo alla pietà cristiana; è il tributo filiale dei fedeli, compiendo così verso i loro padri spirituali il precetto evangelico, apostolico e cattolico. Questo non significa che se si è tanto poveri non si potrebbe far celebrare una Messa per un parente defunto, ad esempio, o per qualche altra intenzione importante. Non c’è Prete che rifiuterebbe questa opera di carità ad un povero che glielo domandasse. Ma anche celebrando questa Messa senza onorario, il Prete conserverebbe il diritto di esigerlo; egli non può abbandonare questo diritto, di cui la Chiesa stessa ha posto la legge. Le Messe cantate ed i servizi funebri richiedono un onorario più o meno elevato, a sempre regolato dall’autorità del Vescovo, che concilia nel contempo i bisogni dei Preti e gli interessi dei fedeli nella sua diocesi. Queste Messe solenni e questi servizi richiedono diverse spese accessorie, e non si creda quindi che tutto quel che si da al curato sia solo per lui. Malgrado la casuale, la maggioranza dei ostri Preti, sono poveri. Essi non se ne lamentano, ma sarebbe doppiamente ingiusto imputar loro una ricchezza e soprattutto un’avidità che essi non hanno affatto, per grazia di DIO!

 

XLIV

Risposte ad alcune difficoltà pratiche riguardo alla Messa

“Se non si potesse entrare in Chiesa, sia a causa della folla, sia per altre ragioni, si sarebbe ascoltata la Messa?”- Si, senza alcun dubbio, dal momento che si prega però come se ci si trovasse nella chiesa. All’impossibile non è tenuto nessuno. “È necessario vedere il Prete e l’altare?” – No, dal momento che ci si unisce all’intenzione del Santo-Sacrificio: questo solo è sufficiente: la presenza morale. “E se si abitasse vicino alla chiesa? Se dalla propria finestra si potesse ascoltare la campanella, o intravedere l’altare, si soddisferebbe al precetto della Chiesa?” – Qualcuno risponde affermativamente. Il sentimento opposto sembra però più certo; ed è in questo senso che a Roma, il Cardinale-Vicario ha risolto la questione. E la ragione è che, per assistere realmente alla Messa, è necessario che vi sia almeno la presenza morale; ora nel caso presente, sembra che non vi sia presenza morale. Si verrebbe alla Messa ma non vi si assisterebbe. La Messa si dice in chiesa, e bisogna andare in chiesa per ascoltarla. Bisogna andare in chiesa per contribuire al culto pubblico dovuto al Signore, e dare l’un l’altro l’edificazione che noi tutti dobbiamo. – “Se, in un giorno obbligatorio, ci si confessi durante la Messa, si soddisferebbe al precetto?” – No, è il caso di dire che non si possono fare due cose in una volta; “e si potrebbe almeno far penitenza durante la Messa?” – Si, senza alcun dubbio, a meno che questa penitenza non consista nel fare qualcosa di incompatibile con l’assistenza propriamente detta al Santo-Sacrificio, come sarebbe ad esempio l’esercizio della Via Crucis davanti ad ogni Stazione. “Se, durante la celebrazione della Messa, si fosse obbligati a lasciare momentaneamente la chiesa, per motivo di salute, ad esempio, si sarebbe soddisfatto al precetto?” – Dipende; si, se l’assenza è solo di pochi minuti e non comprende il momento sacro della Consacrazione, che è il cuore del Santo-Sacrificio; no, se l’assenza si prolunga fino a coinvolgere la parte più importante della Messa. In questo ultimo caso, si dovrebbe, se possibile, ascoltare un’altra Messa, almeno in parte, e se non ve ne fossero, non si sarebbe commesso un peccato: ove non c’è volontà colpevole, non ci sarebbe evidentemente peccato. “La Domenica ed i giorni di festa si è obbligati ad assistere alla Messa nella propria parrocchia?” – No, il Papa Benedetto XIV lo ha formalmente dichiarato. Non si è giammai obbligati ad assistere alla Messa nella propria parrocchia. Comunque, quando si può scegliere, è certamente preferibile e più cattolico recarsi alla propria parrocchia. La Chiesa invita i fedeli ad assistere alla Messa parrocchiale, ma non lo comanda; essa consiglia, non ordina; esorta, senza ricorrere a minacce. La chiesa parrocchiale è la nostra chiesa; essa è il luogo ufficiale dove tutti i parrocchiani sono chiamati, dalla Chiesa stessa, ad adorare il buon DIO, a cantare le sue lodi, a ricevere i Sacramenti. Là si trova il proprio pastore, è là che siamo diventati cristiani, là facciamo la nostra Pasqua, là ci si sposa, vi si compiono tutti i grandi atti della nostra vita cristiana, là infine saranno un giorno portati i nostri resti mortali per ricevere l’ultima benedizione della Chiesa. Ogni parrocchia forma come una famiglia religiosa, la chiesa parrocchiale ne è naturalmente il centro, il luogo di riunione, la casa familiare. Per tutti questi motivi, sarebbe meglio ascoltare la Messa nella propria parrocchia; ma questo non è obbligatorio, e soddisfa al precetto ascoltarla anche altrove. “Dove vi sono più Messe, bisogna, la Domenica, ascoltare la Messa solenne parrocchiale?” – Quando si può, questo è infinitamente meglio; ma non è necessario. Sarebbe meglio perché la Messa solenne parrocchiale è celebrata in particolare da tutti i parrocchiani, ed ottiene loro delle grazie tutte particolari. In più vi si ascoltano le preghiere e le raccomandazioni dal pulpito, l’annuncio delle feste, dei digiuni, di tutto ciò che riguarda la coscienza e la pietà dei fedeli. Andare la domenica alla Messa solenne parrocchiale, ben pregare in essa, cantare le lodi di DIO, è certamente il miglior consiglio che possa essere dato alle famiglie cristiane. – Ci sono persone che credono che sia d’obbligo, anche sotto pena di peccato mortale, l’assistere alla Messa solenne parrocchiale almeno una volta al mese. È un errore; e noi lo ripetiamo, malgrado i vantaggi incontestabili che presenta questa Messa, noi non vi siamo in coscienza obbligati. “Si compirebbe il precetto se in una Domenica o giorno di festa, si assiste alla metà di una Messa, a partire dal Sanctus, per esempio, fino alla fine, e si ascoltasse poi la prima parte di un’altra Messa fino al Sanctus?” – Sì, premettendo che queste due Messe non siano separaste da un gran lasso di tempo e atteso che si assista, come qui si suppone, alla Consacrazione ed alla Comunione dello stesso celebrante. Ma questo si può fare in caso di necessità, perché più rispettoso, regolare, sarebbe ascoltare la seconda Messa per intero. – Si sarebbe assistito in questo caso, alla Messa per intero, perché in fondo, nella Chiesa c’è un unico Sacrificio ogni Prete dice la Messa e, nel caso presente, uno dietro l’altro, offrono in fondo lo stesso Sacrificio. E così il fedele ha assistito “alla” Messa, benché non abbia assistito ad “una” Messa. – È necessario che le Messe che si fanno celebrare per i morti, siano dette in nero?” – Per nulla al mondo! Non è il colore degli ornamenti che fa il valore e l’applicazione della Messa; è l’intenzione del prete che applica i meriti infiniti di Nostro-Signore. Non si possono dire ogni giorno delle Messe “in nero”: così le Domeniche ed i giorni di gran festa, ed in generale le feste che la Chiesa celebra con quello che chiama il “rito doppio”, il prete non ha il diritto di usare i paramenti neri, a meno che non si tratti di un funerale. Ma, lo ripeto, il colore del paramento non conta niente. “Che succederebbe se, per involontaria dimenticanza, un Prete non celebrasse una Messa di cui si è impegnato?” – Nella sua misericordia, il buon DIO vi supplirebbe senza dubbio, perché Egli è buono e giusto, ma non bisogna dissimulare, rimpiazzando la Messa omessa, e se vi fosse negligenza, il Prete avrebbe a risponderne davanti a DIO. Quando se ne accorge egli sarebbe tenuto in coscienza a riparare alla sua dimenticanza il più prontamente possibile. Quanto alle intenzioni che non sono state supplite, è uno dei numerosi accidenti che genera sovente l’infermità umana e di cui nessuno è veramente responsabile in coscienza. È come quando si perde del denaro senza colpa, o quando si lascia cadere qualche oggetto prezioso che si perde; o come quando una madre o una nutrice si lascia scappare dalle braccia e cadere a terra un bambino che si fa male, o altri accidenti del genere. Questi sono incidenti, non colpe. Si cerca di ripararli come si può, e finché si può; “Quando si è fatta celebrare una Messa per questa o quella anima del Purgatorio, si è sicuri che essa sia stata liberata?” – No, la potenza spirituale della Chiesa non si estende sulle anime del Purgatorio se non in maniera indiretta e generale, come mezzo di suffragio, di preghiera. La Chiesa non può quaggiù pregare e supplire per le anime del Purgatorio; al Signore soltanto appartiene il potere di liberarli direttamente ed individualmente. Quando facciamo dire una Messa per questo o quel defunto, noi offriamo al buon DIO i meriti infiniti ed il sangue di suo Figlio, e Gli chiediamo di degnarsi di applicarli per questa anima; certamente ce n’è di più per liberare non solo quest’anima, ma anche tutte le altre, così una Messa, o anche molte Messe non liberano questa o quell’altra anima dal Purgatorio, e si potrebbe concludere che ciò sia una impotenza del Santo-Sacrificio. Il sangue di Nostro-Signore è onnipotente; ma non è sempre applicato come noi comandiamo. Noi siamo sicuri che la Messa offerta dalle nostre cure sia applicata a sollievo delle anime del Purgatorio, ma non siamo mai sicuri che questa venga applicata in particolare per l’anima per cui preghiamo e facciamo pregare. La giustizia di DIO ha delle esigenze che noi sulla terra non conosciamo. Ecco perché non bisogna mai cessare di pregare per i nostri cari defunti, di guadagnare per essi quante più indulgenze possibili, e far celebrare Messe per loro sollievo e la loro liberazione. “Una Messa cantata è più efficace di una Messa bassa?” – Essa è più solenne, ma non è più efficace. Una Messa cantata attira ordinariamente più gente, fa pregare per un tempo più lungo i fedeli; e come annunciato in precedenza, tutti sanno con quale intenzione particolare sia applicata, e quindi si prega più specialmente con questa intenzione. “Perché si fa celebrare la Messa in onore della Santa-Vergine e dei Santi? Essi non hanno bisogno di niente, perché sono in Paradiso”. – Così non si dice la Messa per essi. La Chiesa della terra è in comunione molto intima con la Chiesa del cielo; e siccome è molto semplice che la Santa Vergine e i Santi ci proteggono, ci assistono e ci fanno sentire il potere di cui godono in cielo; e pertanto è del tutto naturale che noi che li amiamo, offriamo i meriti infiniti del Sangue del Salvatore per ringraziare il buon DIO della loro gloria e della loro beatitudine eterna. Il Sangue di GESÙ-CRISTO è a nostra disposizione quaggiù per mezzo della Messa, e noi siamo felici di aumentare, offrendolo, la potenza delle azioni di grazie che la Santa Vergine ed i Santi offrono a Dio nel cielo. La Santa Messa è un presente divino e veramente infinito che possiamo fare e che dobbiamo fare con amore alla buona Vergine, agli Angeli ed ai Santi. – Ci sarebbero ancora tante piccole difficoltà pratiche da chiarire riguardanti la Messa; per la risoluzione rimando al curato o al Confessore, che sarà ben lieto di dare le necessarie spiegazioni.

XLV

Assistere spesso alla Messa è sovranamente utile.

San Francesco di Sales diceva che “la Messa è il sole degli esercizi di pietà”. È in effetti l’esercizio di pietà per eccellenza. Se un cristiano non può consacrare che una mezz’ora al giorno alla preghiera ed al servizio di Dio, non farebbe nulla di più utile per la gloria di Nostro-Signore, per la salvezza della propria anima e per il bene generale della Chiesa che consacrarla ad ascoltare piamente la Messa. Alla Messa, in effetti, egli viene ad adorare il Re del cielo sul suo trono della terra, che è l’altare. Egli viene ad unirsi alla Chiesa stessa, rappresentata dal Prete, alla Chiesa santissima e carissima a Dio; ed è con essa, e mediante la sua voce che adora, che egli ringrazia, domanda, prega, supplica, ottiene misericordia. Se egli comprende un po’ le auguste cerimonie della Messa, egli mette in memoria con naturalezza i grandi misteri della fede, e soprattutto il sovrano mistero dell’amore incomprensibile di DIO per lui; egli ama facilmente quel che non dimentica; e pratica facilmente ciò che ama. L’esperienza mostra, in effetti, che è raro assistere tutti i giorni, o molto spesso, alla Messa, e non sentirsi attirato a comunicarsi, a comunicarsi spesso; ciò che costituisce la Grazia delle grazie. La Messa, e GESÙ-CRISTO, l’Ostia vivente della Messa, dovrebbe essere l’appuntamento quotidiano di tutti i fedeli. Abbiamo delle pene (e tutti ne hanno)? Andiamo a GESÙ! Abbiamo da chiedere una grazia al buon DIO? Andiamo alla Messa e domandiamo! Vogliamo espiare una colpa ed ottenere misericordia per noi o per un altro? Andiamo alla Messa, ricorriamo a GESÙ-CRISTO! Abbiamo l’intenzione di ringraziare degnamente la bontà divina per qualche grande beneficio? Andiamo alla Messa. La Messa è un mezzo divino, supremo, messo a nostra disposizione dal buon DIO, per supplire alle nostre miserie. Più ne usiamo, più il buon DIO ci benedice e ci ama, perché Lo serviamo soprattutto secondo il suo cuore. Un giorno, Santa Teresa, sentendosi oppressa dal peso delle grazie che riceveva, esclamò in una sorta di angoscia: “mio DIO, mio DIO! Cosa posso io fare, misera creatura, per riconoscere degnamente la vostra misericordia?” E subito una voce celeste le diceva distintamente: “Ascolta una Messa!”. È ben raro che quando lo si voglia veramente, non si possa assistere tutte le mattine alla Messa, o pressappoco. Ci si sveglia all’ora migliore; si organizzano i piccoli affari di conseguenza, e senza rumore, senza strepiti, senza imporsi grandi sacrifici, ci si procura ogni mattino questa grazia inestimabile. – Nei paesi di fede, si trovano mezzi per andare spesso a Messa; ed il lavoro, lungi dal risentirne, diventa ben più fecondo, benedetto com’è dal buon DIO. Due operai della stessa professione vivevano l’uno vicino all’altro, l’uno cristiano, l’altro indifferente. Il primo si organizzava in modo da cominciare tutte le sue giornate con la Messa; l’altro per lavorare e guadagnare di più, non ci andava mai, neppure la Domenica. Entrambi erano dei buoni operai, entrambi sposati; l’operaio cristiano aveva quattro figli, l’altro uno solo. Ciononostante gli affari del primo andavano molto meglio di quelli del suo compagno. “Com’è possibile questo? … gli domandò un giorno costui. Tu hai più spese di me, io lavoro tutto il giorno e più a lungo di te, e malgrado ciò tu vivi contento ed io sono sempre in affanno! – Il mio segreto è molto semplice, gli rispose l’altro gaiamente. – Se tu vuoi, te lo mostrerò. – In tutta fede non te lo negherò!” – “Dov’è il tuo segreto?” Vieni domattina da me presto, ed io ti porterò là dove ottengo i miei benefici”. La mattina successiva, egli conduce tranquillamente il suo amico in chiesa ad ascoltare la Messa; al termine, egli gli raccomanda di tornarsene al lavoro, così come faceva lui stesso. “Soltanto, aggiunse, vieni domattina, qui, alla stessa ora.” Il giorno seguente avvenne come nel giorno precedente. E tra i due non ci furono commenti. Il terzo giorno l’amico si spazientì. “tu ti stai prendendo gioco di me? Se io volessi andare a Messa, non avrei bisogno di te per andarci, potrei andarci anche da solo. Io volevo sapere come fai tu per guadagnare più denaro di me; tu mi avevi promesso di mostrarmi il tuo segreto, e non mi hai detto ancora una parola. – Il mio segreto? Riprese l’operaio cristiano; ma non è null’altro di quanto ti ho appena mostrato. Io comincio tutte le mie giornate ai piedi del buon DIO; mi comunico ogni settimana; porto gioia e pace a casa, ed il buon DIO fa il resto. Non ha forse Egli detto: “Cercate innanzitutto il regno di DIO e la sua giustizia, e tutto il resto vi sarà dato in aggiunta?” oh! Che una giornata cominci piamente ai piedi degli altari, accompagnata dalla benedizione di GESÙ-Ostia, è indubbiamente cristiano, puro, casto, fecondo di meriti, fruttuoso per il tempo e per l’eternità! Quante belle e buone provviste di pazienza, di forza, di rassegnazione vengono a generarsi là, all’inizio del giorno, per le anime affaticate, spesso schiacciate dai pesi delle prove! Il santo altare è sulla terra la fonte celeste dalla quale scorrono le acque viventi della grazia, della pace, della gioia, della devozione, del puro benessere. Beato colui che conosce e che ama il cammino della Chiesa! È il cammino dell’onore, la sola vera felicità, il cammino della Chiesa è nello stesso tempo il cammino della felicità sulla terra ed il cammino della felicità eterna nei cieli.

8 settembre 1869, festa della Natività della Santa-Vergine. [Fine]

 

Mons. G. DE SEGUR : LA MESSA (2)

LA MESSA

[Mgr. G. De Ségur – da: Le opere vol. VIII, 1869]

-2-

Messa 1

XVIII

Significato dei paramenti sacerdotali con i quali il Prete dice la Messa.

Per dir Messa il Prete si riveste, sopra la sottana di sei ornamenti sacri: l’amitto, il camice, o alba, il cordone, il manipolo, la stola e la casula. Tutti questi ornamenti devono essere benedetti dal Vescovo, tanto è grande la santità del Sacrificio della Messa! – L’amitto è un velo di lino bianco che il Prete poggia prima sulla testa e che ribatte poi sul collo. Esso esprime la purezza tutta celeste dei pensieri che devono occupare da soli la mente mentre celebra la Messa, e la perfezione della sua fede alla presenza dei divini misteri. Questa fede è per lui come il “casco della salvezza”, che lo premunisce contro tutti gli attacchi del demonio. – Il camice, o alba bianca, che copre il Prete interamente, significa la santità e l’innocenza divina di GESÙ-CRISTO, di cui il Prete deve essere come tutto avvolto. San Giovanni Crisostomo chiama Nostro-Signore “la grande tunica dei Preti”. – Il cordone bianco, di cui il Prete si cinge i fianchi sopra l’alba, esprime innanzitutto la castità perfetta indispensabile ai ministri di GESÙ-CRISTO; poi il carattere di viaggiatori del Prete e dei fedeli nel laborioso cammino della vita. Il manipolo era un tempo un panno posto sul braccio sinistro del Prete, e pure del Diacono e del Subdiacono che assistevano il Prete all’altare; questo panno era destinato ad asciugare le loro lacrime. Esso si è poi trasformato pian piano in un paramento sacro che ricorda loro che devono necessariamente versare lacrime di amore e di penitenza alla vista della misericordia infinita del loro Salvatore velato ed annientato sui nostri altari. Non si porta il manipolo se non alla Messa, perché la Messa è per eccellenza il mistero dell’amore del buon DIO, il mistero di tenerezza e di misericordia che deve rivestire il cuore dei ministri di GESÙ-CRISTO. La stola è una sorta di sciarpa che esprime l’onore e la potenza del sacerdozio di GESÙ-CRISTO, di cui il Prete è rivestito col Sacramento dell’Ordine, e che gli dà il potere di presiedere le assemblee dei fedeli. Infine la casula [o pianeta], che in altri tempi era più ampia e copriva il Prete interamente, significa la gloria del Prete eterno secondo l’ordine di Melchisedech; la gloria di GESÙ-CRISTO, Sacerdote dei Sacerdote, che, mediante il mistero visibile ed esteriore dei suoi Preti, offre incessantemente sulla terra, in mezzo alla sua Chiesa militante, lo stesso Sacrificio di adorazione, di lode, di amore, di azione di grazie, che Egli offre alla Maestà divina con tutti i suoi Angeli e tutti i suoi Santi nel cielo. Il colore della casula e degli altri paramenti sacerdotali è sempre simile al colore dei parati dell’altare. Come abbiamo visto già, questo colore ricorda al Prete ed ai fedeli il mistero particolare della festa del giorno, il Santo o la Santa del giorno in onore del quali il Sacrificio è offerto. In effetti, benché il Sacrificio della Messa sia sempre ed unicamente offerto al buon DIO, che solo è adorabile ed adorato dalla Chiesa, può nondimeno essere legittimamente celebrato in onore dei Beati, come azione di grazie per la loro santità e la loro eterna beatitudine.

XIX

Il segno della croce che dà inizio alla Messa, e che si rinnova spesso durante il Sacrificio.

Il segno della croce dà inizio alla Messa e si rinnova cinquanta volte nel corso di questo Santissimo Sacrificio. Oltre che nella Chiesa, si da sempre la benedizione con questo segno augusto, e quindi è del tutto naturale che compaia frequentemente durante la Messa, che non è altra cosa, come abbiamo visto in precedenza, se non il Sacrificio stesso della croce sotto una forma mistica, vale a dire misteriosa e sacramentale. È per ricordare al Prete ed ai fedeli questa unità, questa identità del Sacrificio cruento della Croce e del Sacrificio incruento dell’altare, che la Chiesa ordina a tutti di segnarsi con un gran Segno di Croce nel momento stesso in cui inizia la Messa. – Bisogna sempre fare il Segno della Croce con molta religione, rispetto, fede, pietà; bisogna farlo gravemente e pensando a ciò che si fa: stesa la mano destra, dal centro della fronte fino a metà del petto; poi dalla spalla sinistra alla spalla destra, senza diminuirne le dimensioni, di modo che i quattro segmenti della croce siano pressappoco uguali. Niente è più edificante di un bel segno di Croce così formato gravemente e religiosamente. Il P. de Ravignan, di santa e dolce memoria, predicava innanzitutto, davanti all’immenso auditorio di Notre-Dame di Parigi, col solo modo in cui faceva il segno della Croce cominciando le sue celebri conferenze. Un ministro protestante che era venuto ad ascoltarlo per curiosità, avendo visto il santo religioso segnarsi secondo la sua abitudine, si voltò verso il suo vicino e non poté trattenersi dal dire: « Il suo sermone è già predicato, egli non ha bisogno di parlare ancora per convincere il suo uditorio ». Il segno della Croce riassume e, di conseguenza, richiama il Cristianesimo: esso richiama il mistero della Santa Trinità, il mistero dell’Incarnazione e quello della Redenzione; il mistero dell’unità della Chiesa, della quale è il segno; il mistero della Grazia e della Salvezza eterna che ci viene per i meriti di GESÙ-CRISTO crocifisso; esso richiama tutte le virtù che formano la vita cristiana: l’umiltà, la povertà, la castità, l’obbedienza, significata dai quattro segmenti della croce: la carità, l’amore, significate dal centro della croce, incontro dei quattro segmenti. Come facciamo noi il segno della Croce? Esaminiamoci su questo punto, e, se è il caso, riformiamoci, principalmente alla Messa e durante gli Uffici della Chiesa. Vi sono persone che fanno il segno della Croce come se stessero spolverando lo stomaco, o cacciando via le mosche!

XX

Cosa rappresenta il Prete ai piedi dell’altare.

Il prete comincia sempre la Messa in basso all’altare, egli vi sale solo dopo alcune preghiere e cerimonie che esprimono la penitenza e l’umiliazione. Egli recita un bel salmo, poi il Confiteor, che è la confessione, la pubblica accusa dei propri peccati in generale; il servente fa altrettanto, ed il Celebrante non sale fino all’altare se non dopo essersi umiliato e purificato con la contrizione. Il Confiteor, quando è detto con pietà, ha la virtù di cacciare tutti i nostri peccati veniali. È uno dei sacramentali della Chiesa. Così umiliato e pentito ai piedi dell’altare, confuso per così dire con il popolo, il Prete rappresenta Nostro-Signore, che per salvare il mondo e rendere così a DIO suo Padre la gloria che il peccato gli aveva sottratto, si è umiliato, annientato per trentatré anni sulla terra, confuso con i peccatori. Sull’altare, nella santa Eucaristia, Egli va ad offrire, mediante il ministero del Prete, lo stesso Sacrificio che ha già, una volta per tutte, salvato il mondo sul Calvario. Ecco perché la Messa inizia non sui gradini dell’altare innalzato al di sopra della terra, ma ai piedi dell’altare stesso, a terra, a livello del popolo. Il Prete salendo all’altare e restandovi fino al termine della Messa, è GESÙ-CRISTO, Prete e Vittima celeste, che offre alla gloria di DIO nel cielo in mezzo agli Angeli, il Sacrificio di adorazione, di amore e di propiziazione che la sua Chiesa offre sulla terra nell’Eucaristia. Così il Prete all’altare deve essere un uomo tutto celeste, piuttosto un Angelo che un uomo. Per meglio dire, deve essere un altro GESÙ-CRISTO, tutto pieno di Spirito-Santo, tutto posseduto da GESÙ, il Prete eterno, tutto bruciante d’amore, illuminato dagli splendori divini della fede.

XXI

Cosa significano l’Introito, il Kyrie ed il Gloria.

L’Introito è una piccola preghiera che comincia sempre la Messa e che richiama il mistero o la festa che si celebra in quel giorno, così come lo spirito ed i sentimenti nei quali bisogna entrare. – Il Kyrie è una preghiera composta da nove invocazioni alle tre Persone adorabili della Trinità. “Kyrie eleison, Christe eleison”, sono delle parole greche scritte in latino. In effetti l’uso del Kyrie ci viene dall’Oriente, dalla Grecia, da dove gli Apostoli lo hanno portato. Nella basilica di Saint-Denis, vicino Parigi, secondo un uso immemorabile, si celebra in greco la Grande Messa solenne del Santo Dionigi, Apostolo dei Galli. San Dionigi era greco di nascita. Egli era stato convertito da San Paolo, che lo aveva costituito primo Vescovo di Atene; da lì era poi venuto a Roma, e da Roma era stato inviato per evangelizzare la Gallia. Primo Vescovo di Parigi, aveva gloriosamente coronato la sua missione con il martirio. In ricordo di questa origine apostolica, la Messa di San Dionigi si cantava dunque in greco. Una buona donna che aveva assistito a questo bell’Ufficio ne era tornata tutta stupefatta: « Quelli hanno detto tutto in greco, diceva con spirito puerile, tutto, tutto, …. eccetto il Kyrie ».   Quanto al Gloria, o Inno angelico, esso è una magnifica preghiera, le cui parole iniziali sono state cantate nel cielo dagli Angeli stessi, alla presenza dei pastori di Bethleem e che è stato composto, si dice, nel quarto secolo, da Sant’Ilario, Vescovo di Poitiers. Il Kyrie ed il Gloria esprimono ciò che abbiamo detto più in alto, parlando dei ceri, cioè: – che i Santi Angeli si uniscono alla Chiesa della terra nella celebrazione del Santo-Sacrificio; – che il Prete all’altare è piuttosto nel cielo che sulla terra, e – che, con i nove cori degli Angeli, adora, loda, benedice, prega il Padre, il Figlio e lo Spirito-Santo. Le nove invocazioni del Kyrie corrispondono ai nove Cori angelici; i primi tre si indirizzano a DIO Padre; i tre successivi a DIO Figlio, GESÙ-CRISTO, nostro Salvatore, i tre ultimi, allo Santo Spirito, vero DIO vivente con il Padre ed il Figlio. – Durante queste preghiere angeliche dell’inizio della Messa, i fedeli, non meno del Prete, devono adorare e pregare il buon DIO con sentimenti tutti celesti; e durante tutta la Messa, essi devono restare in questa unione interiore con gli Angeli, alfine di rendere più degnamente i loro omaggi religiosi a Nostro-Signore GESÙ-CRISTO, Sacerdote e Vittima, DIO del cielo e della terra, Signore degli Angeli e degli uomini. Quale grande cosa la Messa! Essa è più celeste che terrestre, più divina che umana. Con quale profonda devozione bisogna dunque assistervi! Non si dice sempre il Gloria alla Messa: salvo i giorni in cui c’è la festa di qualche Santo, lo si omette in tutto l’Avvento, e dopo la Sessuagesima fino alla fine della Quaresima, così come in tutti i giorni di digiuno e di penitenza. Non lo si dice neppure alle Messe da Requiem, cioè alle Messe dei defunti. Tutte le volte che si deve omettere il Gloria, si rimpiazza l’“Ite Missa est” della fine della Messa, con il “Benedicamus Domino”, ed alle Messe dei morti con il “Requiescat in pace”.

XXII

I “DOMINUS VOBISCUM”.

Durante la Messa, il Prete saluta il popolo fedele con questa parola semplice e maestosa, ispirata ai Patriarchi: “Dominus vobiscum”, vale a dire “Che il Signore sia con voi”! Ed il servente Messa, a nome del popolo intero, gli risponde: « Et cum spiritu tuo », cioè: “e con il tuo spirito”. Nostro Signore effonde lo Spirito-Santo sulla sua Chiesa per unirla a Sé, comunicandole la sua vita, la sua santità, le sue virtù. Egli effonde su di Essa i sette doni dello Spirito-Santo, il dono del Timore, che dà ai Cristiani l’orrore del peccato ed un grande zelo per la santità, il dono della pietà, che dà loro un tenero e filiale amore per DIO, loro Padre celeste, e per la Vergine Maria, loro Madre, ed un amore fraterno per il prossimo; il dono di scienza, che insegna loro a vedere DIO e il suo Cristo attraverso i misteri della natura; il dono di fortezza, che conferisce loro la potenza soprannaturale di vincere il demonio, il mondo, la carne; il dono del consiglio, che fa loro discernere infallibilmente le ispirazioni del buon DIO dalle suggestioni del demonio, e che procura loro una prudenza, una saggezza divina; il dono dell’intelletto, che li illumina sopranaturalmente circa il grande ed universale mistero del Verbo incarnato, principio e fine di ogni cosa, infine il dono della saggezza, o piuttosto della sapienza, che conferisce loro il gusto delle cose divine, l’amore intimo di Nostro-Signore e che li unisce perfettamente a questo adorabile Maestro. Vivendo nei suoi Preti, Nostro-Signore continua a rischiarare ed a santificare con essi la sua Chiesa, il Prete che la celebra, o per meglio dire, GESÙ-CRISTO che la celebra attraverso il Prete e nel Prete effonde sette volte lo Spirito-Santo sui fedeli con i sette “Dominus vobiscum”. Questo augurio di santità, i fedeli lo rinviano piamente al Prete che lo dona loro, come una specchio che riceve un raggio di luce e che lo riflette subito, conservandolo pur tuttavia. Alla Messa, il Prete ed i fedeli, non hanno che un cuor solo ed un’anima sola; GESÙ-CRISTO vive in tutti ed in ciascuno, e dona senza misura il suo Spirito e la sua grazia a tutti quelli il cui cuore è ben disposto. Bisogna ricevere e restituire questi benefici saluti del Prete con rispetto e con riconoscenza. Il Prete, dicendo al popolo i Dominus vobiscum, apre le braccia per mostrare che la grazia che augura loro, viene dal Cuore adorabile di GESÙ, santuario dello Spirito-Santo.

XXII

LE ORAZIONI, L’EPISTOLA ed IL VANGELO.

Dopo il Gloria, il Prete si porta al corno dell’altare che corrisponde alla sinistra del Crocifisso, e alla destra dell’assistente; e là, con le due mani tese e le braccia aperte, egli recita o canta le Orazioni; poi egli legge l’Epistola tratta sia dall’Antico che dal Nuovo Testamento; dopo recita una piccola preghiera chiamata “Graduale”, cioè preghiera del cammino, della processione. È in effetti durante il graduale che il diacono, alla Gran Messa, si prepara al canto del Vangelo, e va in processione al luogo ove adempiere a questa santa funzione. Dopo il Graduale, il Prete lascia il lato di sinistra dell’altare per passare a quello di destra. All’altare, la destra come la sinistra si calcola sempre dal Crocifisso. La sinistra, si chiama anche il lato dell’Epistola, la destra, il lato del Vangelo. È là in effetti che, rivolto a metà verso il popolo, mani giunte, il Prete legge il santo Vangelo; quando ha finito, lo bacia con rispetto e torna al centro dell’altare. – Durante il Vangelo, tutti sono in piedi. – Dicendo il Prete le Orazioni dal lato ove ha iniziato la Messa, recitandovi l’Epistola, rappresenta Nostro-Signore GESÙ-CRISTO, Figlio eterno di DIO, Re e Signore degli Angeli, di Adamo, dei Patriarchi e dei Profeti; e dall’origine del mondo, oggetto della loro adorazione, della loro fede, della loro speranza e del loro amore. Era Lui, infatti, e non il Padre e lo Spirito-Santo che, sotto una forma umana, appariva ad Adamo ed ai Santi della Legge antica. Egli li riempiva del suo Spirito, e pregava in essi e con essi. Questo significa il Prete che prega solennemente dal lato dell’Introito e dell’Epistola dal lato dell’antica Alleanza. Ma poiché una nuova Alleanza evangelica, la Legge della grazia, doveva succedere a questa prima Alleanza, alla Legge del timore, il Prete, rappresentando sempre il Prete eterno, GESÙ-CRISTO, passa dal lato sinistro al lato destro; dal lato dell’Epistola al lato del Vangelo, quindi dalla antica Legge al lato della Legge nuova. E siccome la fine dell’antica Alleanza è stata demarcata dall’inizio della nuova, per mezo della crocifissione del Figlio di DIO, il Prete, passando da un lato all’altro dell’altare, si arresta davanti al Crocifisso, alza gli occhi verso di Lui, si inchina profondamente per ricordare l’annientamento della divina Vittima del Calvario. Il Prete, e con lui tutti i fedeli tracciano con il pollice della mano destra un segno di croce sulla loro fronte, poi un altro sulle loro labbra, poi un terzo sul loro cuore, prima di iniziare la lettura del Vangelo; prima per purificare e santificare il loro spirito, le parole ed il cuore; poi, per mostrare che essi non arrossiscono del Vangelo: che essi credono a tutti i misteri e a tutte le parole di GESÙ-CRISTO! Che essi sono pronti a confessarlo con la bocca, e che hanno GESÙ-CRISTO nel cuore. – Una volta, tutti i cavalieri, a questo punto della Messa, estraevano la loro spada dal fodero e la tenevano in mano per tutto il tempo del Vangelo; mostrando così che essi erano soggetti e cavalieri del Grande Re GESÙ, pronti a difendere i suoi diritti, il suo onore e la sua Chiesa anche a costo della propria vita. Essi non la riponevano che alla fine del Credo, e dopo averla brandita nell’aria, in segno di coraggio. Che bella usanza! Quanto era nobile! Quanto cristiano! Haimé! Dove sono più questi bei tempi di fede?

XXIV

Il CREDO.

Il Credo, o simbolo della fede, si recita nei giorni di grande festa e durante le ottave, le domeniche, i giorni di festa degli Apostoli e dei Santi Dottori. Si dovrebbe restare in piedi durante tutto il Credo, così come durante il Vangelo. Il Prete lo recita al centro dell’altare, con le mani giunte, di fronte al Crocifisso. Quando arriva a queste parole: “et homo factus est” fa la genuflessione sempre davanti al Crocifisso. Alla fine del Credo, traccia su di sé un grande segno di Croce. In effetti la fede in GESÙ-CRISTO, DIO fatto uomo, Redentore del mondo, riassume e fa risplendere tutti gli altri misteri del Credo. Credere in GESÙ-CRISTO è credere in un solo Dio vivente e vero; è credere al Padre ed al Figlio e allo Spirito Santo; è credere al mistero dell’Incarnazione, al mistero della Redenzione che si sono operati nella Persona stessa di GESÙ-CRISTO; è credere ai misteri della Chiesa, vale a dire al regno nello stesso tempo celeste e terrestre di GESÙ-CRISTO quaggiù; infine credere alla remissione dei peccati, alla resurrezione della carne, alla vita eterna che GESÙ-CRISTO ci ha meritato con il sacrificio della Croce, reso perpetuamente presente sui nostri altari sotto forma incruenta. E dicendo il Credo con il Prete, occorre ringraziare Nostro Signore per averci fatti cristiani, e domandarGli il dono di una fede viva, purissima ed infrangibile. Nel cielo verremo a scoprire le grandi realtà alle quali oggi crediamo senza vederle. Solo vedranno coloro che avranno creduto: gli altri saranno ripagati della loro infedeltà con le tenebre eterne.

XXV

L’OFFERTORIO, e ciò che segue fino al PREFAZIO

Dopo il Credo inizia la preparazione immediata del Santo-Sacrificio. Il Prete dice dapprima una breve preghiera, chiamata Offertorio, cioè preghiera dell’offerta, simile alla preghiera dell’Introito, e più tardi a quelle della Comunione. Lo scopo di queste tre preghiere è di ravvivare nel cuore del Padre e di tutti gli astanti il ricordo della festa o del mistero del giorno. Poi il celebrante offre e benedice il pane o l’ostia che sarà mutato ben presto nel Corpo adorabile di Nostro-Signore, e quindi il vino che sarà cambiato nel suo Sangue. Egli mescola al puro vino, nel calice, una o due gocce di acqua per significare: innanzitutto l’umanità santa di GESÙ unita alla sua divinità, e formando con essa una sola Persona divina, Vittima del sacrificio della Croce e dell’altare; poi l’unione della Chiesa di tutti i fedeli con GESÙ, la Vittima santa; infine l’acqua ed il sangue che colarono dal costato aperto del Salvatore crocifisso, quando, qualche ora dopo la sua morte, un soldato di Pilato gli trafisse il cuore. Alcune volte all’Offertorio i fedeli portano al Prete le sacre offerte, cioè: del pane, del vino, dell’olio, della cera, delle elemosine. Aiutato dai diaconi e dagli altri ministri, il Prete conserva il pane ed il vino necessari per il Santo Sacrificio, e mette da parte il resto delle offerte, le quali serviranno per la sussistenza del clero, per la manutenzione delle chiese, o per il sollievo dei poveri. Il Prete si lava le mani prima di continuare la Santa Messa; più che conveniente, questa è una cosa necessaria. Oggi che gli usi sono cambiati, la Chiesa ha conservato il lavaggio delle mani, non solo come pio ricordo dell’antichità, ma ancora per ricordare al Prete la purezza assoluta con la quale deve toccare le cose sante e celebrare l’adorabile mistero dell’altare. Per l’ultima volta prima dell’Elevazione, il Prete si gira verso il popolo e lo invita a raddoppiare il fervore ed il raccoglimento nella preghiera, man mano che si avvicina il momento della Consacrazione. Nel nome di GESÙ-CRISTO, egli augura ai suoi fratelli la grazia di una preghiera perfetta dicendo loro queste brevi parole, semplici ma espressive: « Orate fratres! Pregate fratelli miei »! e comincia egli stesso a mettere in pratica questa esortazione a questa grazia, recitando sommessamente, intimamente unito a GESÙ, agli Angeli ed ai Beati, la preghiera chiamata “Secreta”. Egli poi la conclude ad alta voce, come per far partecipare la Chiesa della terra alla preghiera del Prete celeste e della Chiesa del cielo, e dice la grande parola dell’eternità: «Per omnia sæcula sæculorum, per tutti i secoli dei secoli ». la Chiesa della terra ascolta questa voce ed unendosi in effetti alla preghiera segreta, tutta divina, di GESÙ e della corte celeste, risponde. “Amen”, così sia: la parola Amen ha questi due sensi. Nello stesso tempo è una supplica ed un’affermazione. Bisogna sempre rispondere gli Amen della Messa con grande fede, invece di dirli per abitudine o alla leggera, come spesso purtroppo succede.

XXVI

IL PREFAZIO ed il SANCTUS.

La parola “prefatio” vuol dire “ciò che si dice prima”; il Prefazio è in effetti una preghiera solenne, più angelica che umana, e tutti gli Angeli, gli Arcangeli, i Cherubini, i Serafini sono pubblicamente chiamati e convocati dal ministro della Chiesa a venirgli in aiuto ed aiutarci tutti ad adorare degnamente GESÙ nell’Eucaristia, e con GESÙ, ad adorare degnamente la Santissima Trinità, il solo vero DIO vivente, il DIO del cielo e della terra. Alla Messa solenne, il Prete canta il Prefazio su di un ritmo incomparabilmente bello, che la Chiesa ha mutuato dall’antichità greca ed ebraica. Io non penso che l’orecchio umano possa ascoltare un canto più grandioso, più puro, più toccante, più divino di quello del Prefazio, quando il Prete lo canta bene. Egli conclude il Prefazio congiungendo le mani, inchinandosi profondamente, e recitando a nome della Chiesa della terra, con la Chiesa del Cielo, il Sanctus, le cui parole sono tratte in parte dal Profeta Isaia, ed in parte dal santo Vangelo. L’inizio del Sanctus è il grido di amore ed adorazione dei Serafini, prosternati nel cielo davanti al Signore; la fine è il saluto, l’Osanna trionfale con il quale lo stesso Signore incarnato è stato acclamato già in Israele, nel giorno del suo ingresso a Gerusalemme. È Lui, Lui stesso, è GESÙ, il Figlio di DIO fatto uomo, il Re degli Angeli ed il Re di Israele, che in un istante sta per scendere dal cielo in terra e apparire in mezzo alla sua Gerusalemme quaggiù, in mezzo al nuovo Israele, sotto i veli dell’Eucaristia!

XXVII

Cosa rappresentano le mani di stese del Prete.

Durante il Prefazio e durante le preghiere del Canone [Canone è una parola greca che significa Regola. Si chiama così questa parte della Messa perché essa è una regola immutabile di preghiere che non cambia in nessuna festa, e che risale ai secoli apostolici] il Prete tiene le braccia aperte ed estese, girate l’una verso l’altra. La Chiesa fa pregare il Celebrante così durante le Orazioni, durante il Prefazio ed il Canone della Messa, e durante il Pater, per ricordare che il sacrificio dell’altare è lo stesso di quello del Calvario, e che dall’inizio fino alla fine del mondo, la vera preghiera gradita a DIO è stata fatta e si fa e si farà in unione a GESÙ crocifisso, per GESÙ-CRISTO, ed in GESÙ-CRISTO. Queste due mani consacrate dal Vescovo nel giorno dell’Ordinazione rappresentano i due grandi Arcangeli, san Michele e San Gabriele, che il Profeta Isaia vedeva in adorazione davanti al Signore; che Mosè aveva comandato di raffigurare nel Santo dei Santi, in adorazione davanti al Propiziatorio dell’Arca dell’Alleanza; che la Chiesa simbolizza sull’altare, durante il Santo-Sacrificio, con i due ceri accesi a destra ed a sinistra del Crocifisso, come abbiamo visto. Esse rappresentano ancora le suppliche unite della Chiesa degli Angeli e della Chiesa degli uomini, che entrambe adorano e pregano GESÙ, il DIO dell’altare. Infine esse rappresentano l’Antico ed il Nuovo Testamento, gli eletti dell’antica Alleanza e quelli della Alleanza nuova, offerenti a DIO le loro lodi e le loro preghiere per mezzo dello stesso GESÙ-CRISTO, Mediatore dell’una e dell’altra. O come le mani dei nostri Preti sono sante e sacre! Nei paese di fede, è d’uso baciarle religiosamente, nelle strade, alla passeggiata, dappertutto ove si incontri un Prete. A Roma, ho visto spesso dei fanciulli lasciare i loro giochi per venire a baciare la mano di un Prete che passava. Nel Tirolo, ho visto dei buoni operai lasciare per un momento i loro aratri a riposo scorgendo un Prete, accorrendo verso di lui per chiedere la sua benedizione, baciare la sua mano e tornare felici al lavoro. Durante le prime orazioni della Messa, le due mani stese del Prete, rappresentano più particolarmente i due Testamenti, adorando GESÙ-CRISTO, il DIO dei Patriarchi e dei Profeti, e così la Chiesa degli Angeli, unita alla Chiesa patriarcale e mosaica per rendere al vero DIO, sempre per GESÙ-CRISTO, gli omaggi che Gli sono dovuti. Durante il Vangelo e durante il Credo, le due mani del Prete sono giunte, esse rappresentano gli Angeli e gli uomini, l’antica Alleanza e la nuova, unite in un’unica fede, ed in uno stesso amore verso GESÙ-CRISTO, il DIO del Vangelo, il DIO dell’Eucaristia.

XXVIII

Il CANONE della Messa e la CONSACRAZIONE.

Al partire dal Sanctus, tutti devono essere in ginocchio, nel raccoglimento più profondo e nell’attesa delle venuta di Nostro Signore GESÙ-CRISTO sull’altare mediante la Consacrazione. Il silenzio più religioso deve regnare in tutta la chiesa. – Al “Sanctus” il servente Messa accende un cero vicino a lui su di un candelabro o fissato al muro, dal lato dell’Epistola. Questo cero illuminato esprime, da un lato, la fede viva ed ardente dei fedeli alla presenza reale del Signore nell’Eucarestia; e dall’altro GESÙ-CRISTO stesso, resuscitato e glorificato, luce del mondo, presente sull’altare. Questo cero si spegne dopo la Comunione dei fedeli; e durante la Comunione il servente lo tiene in mano, precedendo il Prete e accompagnando con onore il Santissimo Sacramento. Le preghiere del Canone datano dai tempi primitivi della Chiesa. Prima di consacrare, il Prete fa memoria di tutta la Chiesa militante, del Sovrano Pontefice, del Vescovo della diocesi, di tutti i cristiani, ed in particolare degli astanti, e di coloro che si sono raccomandati più specialmente alle sue preghiere. Poi egli convoca ed invoca tutta la Chiesa trionfante, la Santissima Vergine, San Pietro, tutti gli Apostoli, tutti i Martiri, tutti i Santi; perché il Re del cielo sta per scendere nelle sue mani. Egli benedice, santifica a più riprese il pane ed il vino, che stanno per essere consacrati e, completate tutte le preparazioni, egli si inchina, e GESÙ consacra per lui, con lui ed in lui, prima il pane nel suo Corpo, poi il vino nel suo Sangue. Durante ogni consacrazione, il Prete fa la genuflessione e adora il suo Dio; Lo eleva sopra la sua testa, poi Lo fa vedere ed adorare da tutti gli astanti, e dopo averLo depositato sull’altare, Lo adora di nuovo facendo la genuflessione. – La Consacrazione o Elevazione è il momentp più solenne, il più divino della Messa. È come il centro del Santo-Sacrificio, con la Consacrazione il Figlio di DIO e della Santa Vergine, l’Adorabile, il dolce Salvatore, si rende veramente e realmente presente sui nostri altari, sotto le apparenze del pane e del vino. L’Ostia consacrata sembra essere pane, ma essa in realtà è il Corpo vivente di GESÙ-CRISTO; Corpo celeste e deificato, resuscitato e tutto divino, che i nostri occhi terrestri non possono vedere, ma che vedremo faccia a faccia nella gloria del cielo, quando, resuscitati a nostra volta, saremo nel cielo con il nostro divino Capo. Con il Corpo di GESÙ, sono presenti nell’Ostia santa il suo Sangue, la sua anima, la sua divinità. Nel calice, il vino consacrato “sembra” essere del vino, ma questa non è che semplice apparenza e, in realtà, è il Sangue adorabile di GESÙ-CRISTO. Con il suo Sangue, c’è il suo corpo, la sua anima, la sua divinità, inseparabili l’una dalle altre. E non è solo GESÙ, la seconda Persona della Trinità, che è presente la sull’altare; con Lui c’è DIO il Padre, e DIO lo Spirito Santo, la Trinità tutta intera; perché il Padre e lo Spirito Santo, sono inseparabili dal Figlio. E così l’Eucaristia è veramente e realmente il buon DIO presente sull’altare; è GESÙ-CRISTO, corporalmente presente sotto le apparenze del pane e del vino, è il Signore, centro vivente del cielo, in cui abita corporalmente la pienezza della divinità. Tutti gli Angeli sono in adorazione attorno all’Eucaristia; tutti gli uomini dovrebbero esservi ugualmente ed anche essi dovrebbero, se possibile, esservi con zelo ancora maggiore, perché è per essi e non per gli Angeli che il Signore del cielo si è reso così sacramentalmente presente sulla terra. GESÙ non è presente sulla terra se non con il Santo-Sacramento e di conseguenza, con il santissimo Sacrificio della Messa. – Così l’altare ed il tabernacolo sono il luogo di appuntamento di tutte le anime pie. La Messa è la più divina di tutte le cose divine che esistono quaggiù. È il cielo che si abbassa, discendendo interamente sulla terra; è per eccellenza l’atto dell’amore e della misericordia di DIO verso gli uomini, è il centro di tutta la Religione; e questa piccola ostia, che sembra essere così poca cosa, è il collegamento vivente della terra con i cieli; il punto di congiunzione della Chiesa militante con la Chiesa trionfante; è GESÙ in mezzo a noi; è DIO con noi!!

XXIX

Dalla CONSACRAZIONE fino alla COMMUNIONE

 Dopo la Consacrazione, bisogna restare in adorazione, senza muoversi e, potendo, in ginocchio fino alla Comunione. In quel momento, gran DIO! Resteremo inginocchiati: Lui è là! È un vero inconveniente sedersi dopo la Consacrazione, quando non si è infermi né malati. Questo denota a colpo sicuro, una fede ben poco viva ed una religione superficiale. Dopo la Consacrazione e fino al Pater, il Prete continua, nel celeste segreto dell’altare, le preghiere del Canone, piene di ineffabili misteri. Egli traccia a più riprese sulla santa Ostia e sul Calice, dei segni di Croce; queste non sono delle benedizioni (perché non si benedice Colui che è l’autore ed il principio di ogni benedizione); questi sono dei segni destinati ad esprimere innanzitutto l’unione di GESÙ-CRISTO con tutti gli eletti, che sono suoi membri; poi l’unione che esiste tra la prima e la seconda venuta di questo divino Salvatore. Nella prima venuta, GESÙ è disceso dal cielo sulla terra per soffrire ed offrirsi in Sacrificio. Resuscitato, Egli è risalito al cielo, da dove tornerà pieno di gloria a giudicare i vivi ed i morti, cioè gli eletti ed i riprovati. Questo ritorno glorioso, è quello che si chiama la seconda venuta di GESÙ-CRISTO. Ma poiché Egli ci ama con infinita tenerezza, non ci abbandona sulla terra, lungo i secoli che separano la prima e la seconda venuta: è principalmente con l’istituzione del Sacrificio e del Sacramento dell’Eucaristia, con la Messa e con la Comunione, che Egli viene a noi e dimora con noi durante il nostro pellegrinaggio. Prima di dire ad alta voce il Pater, il Prete fa memoria della Chiesa sofferente, cioè delle anime del Purgatorio, e supplica il Padre celeste in nome di GESÙ-CRISTO, suo Figlio, presente sull’altare, di alleviare e liberare queste povere anime riscattate dalla Vittima divina. Egli fa questa preghiera in nome della Chiesa trionfante, di modo che, davanti alla Santissima Trinità e davanti a GESÙ, si trova il rappresentante della Chiesa tutta intera, trionfante, militante e sofferente. Il Pater, con le preghiere e le cerimonie che seguono, si riconduce alla seconda venuta di GESÙ-CRISTO, ed a questo grande trionfo al quale tutti partecipiamo se abbiamo la fortuna di vivere e morire nella grazia del buon Dio. In effetti, membri viventi di GESÙ-CRISTO, noi resusciteremo tutti nel momento in cui il Figlio di DIO apparirà in mezzo agli uomini, discendendo, come lo annuncia Egli stesso, “sulle nubi del cielo con tutti i suoi Angeli”. Con Lui noi giudicheremo i riprovati ed i demoni, e regneremo per sempre. Questa seconda venuta di GESÙ-CRISTO avrà luogo alla fine della sesta età del mondo: è per questo che il Prete, che ha tenuto le braccia aperte e le mani alzate durante le sei prime domande del Pater, le abbassa sull’altare dopo la sesta, e lascia dire al servente, che parla in nome di tutto il popolo fedele: “Sed libera nos a malo” [ma liberaci dal male]. In effetti noi non saremo liberati assolutamente e totalmente dal male, cioè dal demonio, dal peccato, dalla sofferenza e dalla morte, che per la seconda venuta del nostro Salvatore. Ora noi combattiamo il male; ma noi non siamo liberati. “Beato e santo, grida l’Apostolo S. Giovanni, colui che avrà parte a questo futuro regno di DIO!

XXX

La Comunione.

Nostro Signore, in qualità di DIO vivente, deve e vuole avere degli altari viventi, dei tabernacoli viventi. Ecco perché, disceso sull’altare per la consacrazione, Egli vuole che dapprima il suo Prete, poi i fedeli, comunichino, vale a dire, ricevano nel loro corpo e nel loro cuore, il Sacramento adorabile dell’Eucaristia. Per il Prete che celebra la Messa, la Comunione è assolutamente obbligatoria. Per i fedeli, è consigliata. Il Concilio di Trento « … desidererebbe (parole testuali) che tutte le volte che assistono alla Messa i fedeli vi comunicassero sacramentalmente, e non solo spiritualmente, alfine di raccogliere più abbondantemente i frutti di questo Santissimo Sacrificio. » – Quando si è in uno stato di grazia e si è ben preparati, e quando il confessore lo approva, si dovrebbe comunicare tutte le volte che si assiste alla santa Messa. Questo è più perfetto, più cristiano, più umile, in una parola è meglio comunicare alla Messa che non comunicarvi; quando si comunica con fede e con sincera buona volontà, non ci si comunica mai troppo spesso, e sempre la comunione è di profitto all’anima. Prima di ricevere il buon DIO, il Prete si batte il petto e ripete a voce alta, per tre volte, il grido di umiltà e di fiducia: « Domine, non sum dignus! Signore, io non sono degno che voi entriate in me; ma dite solo una parola e la mia anima sarà guarita. » Quando il Prete si è comunicato egli stesso sotto la specie del pane e sotto la specie del vino, il servente, a nome di tutti i fedeli che vogliono comunicare a loro volta, recita ad alta voce il Confiteor. Qui, come all’inizio della Messa, questo bell’atto di confessione ha come scopo di cancellare anche i minimi peccati veniali che potrebbero ancora offuscare la purezza dei comunicanti. Il Prete, a metà girato verso di loro, dà l’assoluzione generale dei loro peccati. Questa non è l’assoluzione sacramentale, che sola ha la virtù di cancellare i peccati mortali; è semplicemente una preghiera ed una benedizione che cancellano i peccati veniali. Poi il Prete prende e presenta la Santissima Ostia, ripetendo a nome di tutti il triplice « Domine, non sum dignus, » che egli aveva detto per se stesso, prima di comunicare. Egli discende i gradini dell’altare, preceduto dal servente che porta rispettosamente il cero dell’Elevazione; e facendo un segno di croce con il Santo Sacramento, depone l’Ostia adorabile sulla lingua del comunicante. Egli dice ad ogni fedele, dandogli il suo DIO: «Che il corpo di Nostro-Signore GESÙ-CRISTO custodisca la tua anima per la vita eterna! Così sia. » Quale parola divina! E qual bel mistero! È il corpo di GESÙ che custodisce le nostre anime; è il corpo resuscitato, glorificato, immortale, il Corpo celeste e deificato del Salvatore che preserva le nostre povere anime dalla corruzione del mondo, ed in particolare dalle influenze cattive del nostro corpo terrestre, mortale e corrotto. Oltre le disposizioni dello spirito e del cuore, che ciascuno sa, bisogna essere accorti a ben tenersi alla tavola di comunione; quando il Prete si avvicina, bisogna tenere la testa dritta, avere gli occhi abbassati, aprire la bocca mediocremente, né troppo, né troppo poco, portare un po’ in avanti la lingua poggiandola sul labbro inferiore, perché il Prete vi possa posare facilmente l’Ostia santa, e non ritirare la lingua se non dopo che l’Ostia sia ben poggiata. Vi sono alcuni che tengono la testa abbassata, di modo che il Prete non vede cosa fa; altri aprono appena la bocca; altri non sporgono la lingua; altri l’avanzano talmente che essa pende sul mento, come una bandiera. C’è chi muove la testa con compunzione, a destra, a sinistra; chi risponde “Amen”, nel momento in cui il Prete li comunica; chi si ritira precipitosamente, prima che la santa Ostia sia posata sulla lingua, etc. … tutto questo è molto sconveniente; e di più è molto pericoloso; la maggior parte degli incidenti che si verificano alla santa tavola, vengono dalla mal destrezza o dall’incuria di coloro che si comunicano. Non bisogna del resto scandalizzarsi né rattristarsi oltre misura se disgraziatamente un’Ostia o una particola cade sulla tovaglia della comunione, oppure a terra. Nostro Signore non è offeso né disonorato in alcun modo per un incidente di questo genere, dal momento che esso non deriva da negligenza; nell’Eucarestia, il Corpo celeste di Nostro-Signore è assolutamente al riparo da ogni sporcizia, così come è al riparo da ogni sofferenza e da ogni alterazione. È il segno sensibile della sua presenza, è il Sacramento che solo è suscettibile di incidenti o di profanazione; di modo che, quando non c’è cattiva intenzione, non c’è alcun peccato, né mortale né veniale, negli incidenti di cui parliamo; e, cosa ben consolante, gli empi che profanano il Santo-Sacramento, hanno un bel fare, essi non possono raggiungere Nostro-Signore, e non fanno male se non alla loro anima malvagia. Dopo aver dato la Comunione ai fedeli, il Prete sempre preceduto dal servente con il cero, risale sull’altare e deposita l’adorabile Eucaristia nel Tabernacolo, che egli richiude a chiave. Benché sia forse più regolare comunicare durante la Messa, come stiamo dicendo, è perfettamente permesso, e talvolta anche preferibile, comunicare fuori dalla Messa, o immediatamente dopo la Messa, o prima, oppure senza Messa. La Comunione è in effetti indipendente dal Santo-Sacrificio, come il frutto, una volta colto è indipendente dall’albero che lo ha prodotto. L’albero che produce il frutto divino dell’Eucaristia, è il santo Sacrificio della Messa, il quale produce il Sacramento. La Chiesa conserva il frutto divino nel ciborio e nel Tabernacolo, da dove essa estrae ogni qual volta i suoi figli le chiedono il loro nutrimento. È talmente permesso e legittimo comunicare fuori dalla Messa, anche quando si può ascoltare la Messa, che la Chiesa ci obbliga, a noi altri Preti, a dare la Comunione a tutti coloro che ce la chiedono e quando essi ce la chiedono, a meno che non si sia impediti da una grave ragione e ci obbliga sotto pena di peccato. È in effetti nostro dovere facilitare, per quel che possiamo, l’accesso dei Sacramenti a tutti i fedeli, poveri, ricchi, operai, servitori, fanciulli. Il Prete è il servo delle anime e, se è anche nello stesso tempo loro padre, non ne è il loro padrone!

XXXI

Dopo la COMUNIONE fino al termine della Messa.

Dopo la Comunione, il Prete toglie, dapprima con un po’ di vino, poi con un po’ d’acqua e vino, le particelle del Santo-Sacramento che avrebbero potuto attaccarsi alle parte interne del calice o alle sue dita. È ciò che si chiamano le “abluzioni”. Dopo aver asciugato, messo in ordine e ricoperto il calice, si dirige al lato dell’Epistola, là dove ha iniziato la Messa; egli recita, con le mani giunte come all’introito, la piccola reghiera chiamata Communio; dopo aver salutato gli astanti, dal centro dell’altare, con il “Dominus vobiscum” recita, sempre dal lato dell’Introito, l’orazione o le orazioni dette Postcommunio. Di seguito chiude il libro, torna al centro dell’altare, saluta un’ultima volta e congeda l’assemblea dicendo: “Ite, Missa est”: andate, la Messa è finita”. Infine egli da un’ultima benedizione e recita l’ultimo Vangelo. Dopo ciò, ridiscende dall’altare, si inchina davanti al Crocifisso o fa la genuflessione davanti al Santo-Sacramento chiuso nel Tabernacolo, e rientra nella sagrestia, preceduto dal servente. Là dismette i vestimenti sacerdotali e fa religiosamente la sua azione di grazie. I fedeli che hanno comunicato la fanno da parte loro. L’azione di grazie deve durare almeno dieci minuti o un quarto d’ora, essere non troppo lunga, né troppo raccolta, né troppo fervente. Così come il Prete recitando l’introito all’inizio della Messa rappresentava GESÙ-CRISTO, Figlio eterno di DIO, completando del suo spirito di religione gli Angeli, Adamo ed i primi Patriarchi, dall’origine del mondo; allo stesso modo al Communio e Postcommunio, il Prete rappresenta GESÙ-CRISTO, Re di gloria, trionfante con tutti i suoi eletti, dopo la sua seconda venuta, regnante pacificamente con essi su ogni creatura. Le mani riunite del Prete, al Communio, significano l’unione dell’antico popolo di DIO, convertito alla fede cristiana dopo tanti secoli di ostinazione, con il nuove Israele, vale a dire la Chiesa cattolica. Non vi sarà allora che « un solo gregge ed un solo Pastore ». Durante le Orazioni le mani stese del Celebrante rappresentano l’ammirabile unione dell’adorazione e della preghiera degli Angeli e degli uomini in questo momento di gloria, di pace, di felicità, di trionfo universale: i demoni ed i riprovati saranno cacciati fuori: « foras », come dice il Vangelo; ogni creatura sarà sottomessa a GESÙ-CRISTO, sulla terra come in cielo, GESÙ e MARIA regneranno, come è giusto e legittimo, sulla intera creazione; la Chiesa, cioè la società dei figli di DIO, il regno universale di GESÙ e di MARIA, comprenderà tutti gli Angeli, tutti gli uomini, tutte le creature fedeli e sante; « e Dio sarà tutto in tutti, » come è predetto nella Scrittura. La benedizione finale della Messa significa la fine dei tempi e la benedizione eterna che il Re del Cielo, GESÙ-CRISTO, darà a tutti i beati, in nome del Padre, del Figlio e dello Spirito-Santo, quando li introdurrà per sempre nella santissima Eternità. L’ultimo Vangelo, il Vangelo di San Giovanni, è come un inno di adorazione, di azione di grazie e di fede viva in GESÙ-CRISTO, il Verbo fatto carne, vero DIO e vero uomo, Prete eterno e vittima divina del grande sacrificio che il Padre viene a celebrare sotto i veli eucaristici. Non è che dopo questo ultimo Vangelo che i ceri della Messa devono essere spenti.

XXXII

Qualche cerimonia propria alla Messa Solenne.

La Messa solenne, o Messa cantata, viene celebrata da un sacerdote, assistito ordinariamente da due ministri inferiori, il Diacono ed il Sotto-Diacono. C’è in effetti nel Sacerdozio cattolico una gerarchia, i cui quattro gradi più elevati sono il sotto-diaconato, il diaconato, il sacerdozio, e l’episcopato. Dal punto di vista della Santa Messa, l’episcopato dà il potere di consacrare ai Preti, ministri dell’Eucaristia; il sacerdozio, di celebrare il Santo-Sacrificio; il diaconato di assistere il Prete all’altare, di toccare i vasi sacri che contengono l’Eucaristia e di dare la Comunione, in caso di necessità; il sub-diaconato di assistere il Prete ed il Diacono all’altare e toccare i vasi sacri quando non contengono il Santo Sacramento. Al posto della casula, il Diacono è rivestito, all’altare, di un ornamento chiamato “dalmatica”, ed il sub-diacono di un ornamento della stessa forma, ma che dovrebbe essere un po’ meno ampio, e che si chiama “tunica”. Alla Messa solenne, il Diacono canta solennemente il Vangelo e rappresenta la nuova Alleanza, la Legge della grazia: il Sub-diacono che legge solennemente le profezie, rappresenta l’antica Alleanza, inferiore alla Legge di grazia. Il Prete, tra il Diacono ed il Sub-diacono, raffigura Nostro-Signore GESÙ-CRISTO, DIO e Salvatore dell’una e dell’altra Alleanza. Per il canto del Vangelo, il Sub-diacono tiene il libro santo, aperto ed appoggiato sul suo petto, come un pulpito vivente. Il Diacono può leggerlo, perché la nuova Alleanza conosce GESÙ-CRISTO ed è iniziata ai suoi adorabili misteri; ma il Sub-Diacono, simile all’altica Alleanza, non fa che presentare alla nuova Alleanza, alla Chiesa cristiana, questo Cristo che essa ha avuto la sventura di non conoscere, donandolo al mondo. Durante il canto del Vangelo, il Prete è in piedi all’altare, rivolto verso il libro sacro. In effetti GESÙ-CRISTO, Re dei cieli, rappresentato dal Celebrante, è Colui che già durante la sua vita mortale ed umiliata, ha detto, ha fatto tutto ciò che contiene il santo Vangelo. Dopo il Credo, il Sub-Diacono presenta al Diacono il pane ed il vino, materia del Sacrificio; come l’antica Alleanza ha fornito alla nuova Alleanza il corpo ed il sangue che il Figlio di DIO si è degnato di unire dapprima e poi immolare sulla Croce, per riscattarci. E come l’antico popolo di DIO, dopo aver compiuto questo grande mistero, ha rinnegato GESÙ-CRISTO, e non Lo riconobbe suo Salvatore; così il Sotto-Diacono, che lo raffigura, discende dall’altare dopo avere dato al Diacono il pane ed il vino, e resta fino al Pater ai piedi dell’altare, avvolto da un velo e tenendo la patena davanti agli occhi, simbolo suggestivo dell’accecamento dei Giudei. Verso la fine dei tempi, all’approssimarsi dell’anticristo, i giudei si convertiranno; quello che era stato il popolo di DIO lo ridiventerà, entrerà nella Chiesa, diventerà cattolico: per questo motivo, il Sotto-Diacono risale sull’altare verso la fine del Pater, prende nuovamente posto con il Diacono a lato del Celebrante, cioè GESÙ-CRISTO, e partecipa alfine, con il Diacono, alle benedizioni ed alle glorie dell’altare. Nella Messa solenne ove non c’è il Diacono ed il Sotto-Diacono, cosa che succede quasi sempre nelle zone di campagna, il Prete canta sull’altare l’Epistola ed il Vangelo.

 

XXXIII

Le incensazioni ed il loro significato.

Nella Messa solenne, ci sono quattro incensazioni. È una bella cerimonia che consiste nel far bruciare incenso benedetto sui carboni ardenti dell’incensiere, ed ad avviluppare col fumo odoroso di questo incenso, sia l’altare, sia i ministri dell’altare, sia gli stessi fedeli. Ci sono qui tre grandi e bellissimi misteri. L’incensiere, pieno di fuoco, raffigura la santa umanità del Figlio di DIO, tutta piena del fuoco dello Spirito Santo. L’incenso con il suo bel vapore bianco che sempre sale, raffigura la preghiera e le adorazioni della Chiesa che, unite alla preghiera divina di GESÙ-CRISTO salgono fino al trono di DIO. La prima incensazione ha luogo prima dell’introito, quando il Prete è salito sull’altare. Il Celebrante incensa dapprima tre volte il Crocifisso, in segno di adorazione; questa adorazione si rivolge alla Santissima Trinità e a Nostro Signore GESÙ-CRISTO, DIO fatto uomo; poi egli incensa dodici volte ogni lato dell’altare, a nome di tutti i fedeli della Legge antica, rappresentata dai dodici Patriarchi, ed in nome della nuova Legge, rappresentata dai dodici Apostoli. Poi il Prete stesso è incensato, come rappresentante GESÙ-CRISTO, il Sacerdote sovrano ed il Pontefice eterno della Chiesa. Questa grande incensazione, che precede immediatamente l’introito, ha lo stesso carattere angelico del Kyrie, il Gloria e tutto ciò che accade sull’altare in questi inizi della Messa: l’incenso della preghiera dei fedeli dell’antico e del nuovo Testamento sale al cielo ed arriva fino al Signore, scortata, per così dire, vivificata e come portata dai santi Angeli. La seconda incensazione ha luogo al Vangelo. Il Prete incensa tre volte il libro dei Vangeli prima di cantare il Vangelo del giorno; e dopo averlo cantato, egli riceve a sua volta l’incensazione. Questo incenso di adorazione è offerto non al libro, ma a Colui di cui il libro parla e che parla nel libro; non all’uomo, ma a GESÙ-CRISTO, Sacerdote dei Sacerdoti, di cui il Celebrante prende il posto sull’altare. La terza incensazione ha luogo immediatamente dopo l’offerta del pane e del vino. Essa è simile alla grande incensazione dell’inizio della Messa, ed ha lo stesso significato; solo il Celebrante comincia ad incensare ciò che vi è di più degno, e cioè il pane ed il vino che devono essere cambiati nel Corpo e nel Sangue di GESÙ-CRISTO. Questo incenso esprime le adorazioni degli eletti e dei Santi dell’antica Legge, che in anticipo riconoscevano ed adoravano la Vittima divina della salvezza GESÙ-CRISTO, rappresentata dalle vittime e dai sacrifici tutti materiali della Legge patriarcale e mosaica. Dopo l’incensazione del Prete, ha luogo l’incensazione dei ministri dell’altare, del clero ed infine del popolo fedele; non è affatto agli uomini, lo ripetiamo, che si offre l’incenso sacro; è a Nostro Signore, che è Sacerdote nei Sacerdoti, e Santo nei Santi. Per la sua santa grazia, Egli vive ed abita nelle nostre anime battezzate, che Gli sono intimamente unite, come i rami sono uniti al tronco. È Lui, è GESÙ che la Chiesa incensa nei Sacerdoti e nei fedeli. Per ricevere l’incenso, bisogna alzarsi rispettosamente, e rendere il saluto al chierico che ce lo porta. – Infine, la quarta incensazione si fa al momento dell’Elevazione, e simbolizza la fede viva, le adorazioni profonde di tutto il popolo cristiano in presenza del suo DIO velato nell’Eucaristia. [continua…]

 

Mons. G. DE SEGUR : LA MESSA (1)

Iniziamo la pubblicazione di un prezioso volumetto di mgr. De Ségur che già nel secolo XVIII avvertiva la necessità di educare i fedeli alla Santa Messa, fedeli evidentemente già distratti, abitudinari e non più memori del significato delle azioni e delle preghiere alle quali assistevano senza averne una vera comprensione. Oggi la Messa di sempre, oscurata dalla setta modernista del N.O., rischia la totale cancellazione dalla memoria dei fedeli della “chiesa dell’uomo”, convinti di partecipare ad una funzione che altro non è se non un’offerta al “dio dell’universo”, il baphomet massonico sostituito alla Santissima Trinità dal rito montiniano di ispirazione rosa+croce. Da sottolineare ancora che tale parodia viene officiata da preti mai consacrati, prima perché non tonsurati, poi perché ordinati da falsi vescovi a loro volta mai-consacrati da una formula blasfema che, oltre ad essere teologicamente ridicola, contiene delle gravissime eresie: monofisita, antitrinitaria e anti-filioque. La Messa di sempre, quella fissata da S Pio V, anche se “saltuariamente” ripristinata, è officiata da non-preti modernisti, così come da non-preti viene sacrilegamente officiata da gruppi scismatici sedicenti-tradizionalisti! Con la pubblicazione di questo opuscolo, provvisto di tutti gli imprimatur e i “nihil obstat” del caso, ci ripromettiamo di far conoscere soprattutto alle nuove generazioni la realtà della Santa Messa di rito latino, il vero capolavoro che l’umanità abbia mai prodotto in simbiosi con il “soprannaturale”! Questo tesoro nessuno ce lo potrà mai rubare, perché di natura divina, onde siamo certi che esso sarà ripristinato completamente nelle sue meraviglie angeliche quando questa funesta eclissi sarà passata e la Chiesa Cattolica, l’unica vera Chiesa fondata da Cristo, e l’unica nella quale c’è salvezza, oscurata da un obbrobrioso mostro “conciliare”, ritroverà il suo splendore che irradierà a tutte le genti. Ed allora per non farci cogliere impreparati ed essere pronti nel momento in cui, una volta eliminato l’abominio della desolazione nelle nostre chiese, sarà ripristinato il Sacrificio eterno, studiamoci questa santa, piccola, preziosa opera!

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LA MESSA

[Mgr. G. De Ségur – da: “Le opere” vol. VIII, 1869]

-I-

A chi si rivolge questo opuscolo?

Un po’ a tutti, ma soprattutto a coloro per i quali il catechismo è solo un pallido ricordo. È veramente doloroso, dopo più di diciotto secoli di Cristianesimo, essere obbligati a spiegare ai Cristiano ciò che è la Messa. Ci siamo così ridotti grazie ai progressi dei lumi “del basso” che hanno quasi spento la luce “dall’alto”. A misura che si insegna alle persone ciò di cui essi potrebbero essere perfettamente ignari, essi dimenticano sempre più ciò di cui nessuno quaggiù dovrebbe obliare, sotto pena di diventare malvagio e perverso. Come il demonio si burla di noi, ingannandoci con il suo bel progresso, con la sua famosa scienza, con tutte le grandi parole di ci egli affabula le sue menzogne! In quelli che si è convenuto chiamare “i tempi dell’ignoranza”, tutto sapevano cosa fosse la Messa; oggi anche tra la brava gente, quanti sono coloro che lo sanno un po’ rettamente? Quanti forse, sarebbero capaci di dire come questo padrone calzolaio di Parigi che voleva fa lavorare tutte le mattine dei giorni di festa i suoi poveri apprendisti: “Ah! Ah! Voi sarete liberi di andare alla Messa di sera, invece che a quella del mattino. Tanto è uguale, l’una vale l’altra”. Egli scambiava i Vespri con la Messa. Un altro dello stesso calibro, diceva: “ … che alla Messa di sera, è più bello che alla Messa del mattino, perché vi si vede il sole”. Questo disgraziato credeva che al “saluto” (che egli chiamava la Messa della sera), noi adoriamo l’ostensorio. Ma non sono soltanto le persone senza educazione che non sanno cosa sia la Messa, e che vi parlano seriosamente della “Messa della sera”: un colonnello rispondeva ad un sacerdote che reclamava, a favore dei soldati del reggimento, la prima, la più sacra di tutte le libertà, quella della coscienza: “È vero che passando in rassegna la domenica a mezzogiorno, io impedisco loro di andare al mattino alla Messa; ma essi sono tutti liberi dopo una o due ore, e se vogliono possono assistere alla Messa delle tre”… – Per molte persone, ogni cerimonia religiosa, qualunque essa sia, è la Messa. Credo di aver raccontato altrove ciò che mi riferiva un testimone oculare, in occasione della benedizione solenne data da un Vescovo alla locomotiva che doveva inaugurare un tratto di ferrovia dell’ovest. Due o tre buoni industriali, felici ed entusiasti dicevano tra loro: “questo ci fa molto piacere, è da tanto tempo che non assistiamo ad una Messa”! Questa ignoranza è all’ordine del giorno. Essa è fortunatamente meno grossolana in coloro che vanno ogni tanto in chiesa, ma è sufficiente vedere come si comporta la maggior parte dei cittadini battezzati che assistono alle Messe di matrimonio, alle Messe dei funerali, ed anche alle Messe ordinarie della domenica, per convincersi che essi non comprendano nemmeno una parola di quello che avviene davanti a loro. – Li si vedono là senza religione, senza rispetto, senza preghiera, senza libro; gli uni chiacchieranti, sorridenti, occupati a guardare le donne e le loro toilettes, che non si inchinano neppure all’Elevazione, scambiando evidentemente la chiesa per una succursale del municipio o del caffè; gli altri, con le braccia penzoloni, la bocca aperta, con arie stupite che farebbero ridere se non ispirassero pietà. Io chiedo: è un ritratto di fantasia? Chi non è stato centinaia di volte testimone di queste cose? Infine tra i cristiani praticanti, tra coloro che non hanno dimenticato il sentiero della chiesa, io credo che ci sia un buon numero che non sappiano che in modo confuso ed insufficiente ciò che è la santa Messa, perché e come dobbiamo tutti assistervi, cosa significano le cerimonie che il prete compie sull’altare, e quale prezioso vantaggio si trae dall’assistere alla Messa. È per questo gran numero di cristiani onesti ma poco istruiti, che io cerco di riassumere qui ciò che la Chiesa ci insegna a riguardo del santo Sacrificio della Messa. Forse questo piccolo lavoro potrà essere di qualche utilità ai buoni preti, ai catechisti e ai genitori cristiani che comprendo l’importanza, oggi più grande che mai, di dare ai figli una istruzione religiosa solida, ben ragionata”.

II

Cos’è la Messa.

La parola Messa è la traduzione italiana di una vecchia parola latina, Missa, molto in uso nell’antichità per significare un’assemblea pubblica, una riunione qualunque di inviati, di deputati. Missus vuol dire in effetti “inviato”. Ancora oggi talvolta si chiama “messa”, la riunione giornaliera degli ufficiali di una guarnigione. – Questa locuzione è stata anche, si dice, l’occasione di una avventura singolare ; una dama molto pia e molto ricca concepì l’idea di dare sua figlia in moglie ad un luogotenente dotato di ogni tipo di virtù, ma non aveva un centesimo; ella gli aveva sentito dire pubblicamente, senza alcun rispetto umano, « che egli andava tutti i giorni alla “messa” ». l’affare si concluse; le parti interessate convennero reciprocamente; e quando la buona madre si accorse del quiproquo, era troppo tardi per rompere. Fortunatamente il giovane pretendente, pur non avendo la devozione alla Messa del buon DIO, bensì a quella degli ufficiali,, era in fondo un uomo molto onesto e non aspettava che una buona occasione per diventare un buon cristiano. – La Messa è per eccellenza l’assemblea religiosa dei cristiani, essa li riunisce tutti, le fonde tutti ai piedi dell’altare, ove il Figlio eterno di DIO fatto uomo GESÙ-CRISTO, il Signore, il Re ed il Redentore del mondo, si rende presente, benché velato, sotto le apparenze del pane e del vino. La Messa è il sacrificio incruento di GESÙ-CRISTO, che rende nuovamente presente, tra le mani dei preti, il sacrificio divino, l’immolazione santa che già una volta per tutte, ha salvato il mondo sul Calvario. È per questo che si dice “sacrificio della Messa, o anche semplicemente: il Santo-Sacrificio.

III

La Messa è il medesimo Sacrificio del Calvario.

Il Sacrificio di GESÙ-CRISTO è il grande atto, l’atto essenzialmente religioso, sacerdotale e divino, con il quale il Figlio di DIO fatto uomo si è offerto da Se stesso al suo Padre celeste, come vittima di adorazione, di azione di grazie, di misericordia e di perdono, per il mondo intero. Questo sacrificio, questo atto sacro, fu la vita intera di Nostro Signore, con tutte le sue sofferenze, le sue privazioni, le sue lacrime, le sue preghiere, le sue adorazioni e soprattutto con la sua Passione dolorosa, con la sua sanguinosa immolazione sul Calvario. Questo sacrificio è cominciato nel seno di MARIA, dal primo momento dell’incarnazione del Figlio di DIO; ed è stato consumato sulla Croce; o per meglio dire, è stata consumato e completato solo nel giorno dell’Ascensione quando la Vittima resuscitata e trionfante è entrata per sempre nella gloria dei cieli. L’oblazione, l’immolazione di GESÙ-CRISTO è resa interamente presente sui nostri altari, ogni volta che il prete celebra la Messa. Che cos’è, in effetti, il sacrificio di GESÙ-CRISTO, se non GESÙ-CRISTO stesso che si sacrifica, si offre a DIO, suo Padre, come Vittima di adorazione, di azioni di grazie, di preghiera ed espiazione, come noi stiamo per dire? Ora alla Messa, GESÙ-CRISTO si rende realmente e personalmente presente sull’altare sotto i veli sacramentali del pane e del vino, la Messa è evidentemente il sacrificio di GESÙ-CRISTO, reso nuovamente presente a tutte le generazioni cristiane attraverso tutti i secoli e fino alla fine del mondo. È per ricordare incessantemente questa grande verità al Prete ed agli Assistenti, che la Chiesa pone un crocifisso sull’altare ove si celebra la Messa, e vieta assolutamente che la Messa sia celebrata senza questa immagine di GESÙ crocifisso. – Così il santo Concilio di Trento ha dichiarato contro i protestanti che « la Messa è realmente e veramente un sacrificio ». La sola differenza che passa tra il Sacrificio del Calvario e quello dei nostri altari, è che il primo è stato offerto in forma cruenta, mentre il secondo si offre sotto una forma incruenta e mistica, cioè misteriosa , al di sopra della ragione e dei sensi. La Messa è dunque veramente un sacrificio, lo stesso Sacrificio del Calvario.

IV

La differenza tra il Santo Sacrificio e il Santo Sacramento

Il Sacrificio della Messa non è la stessa cosa del Santo-Sacramento; il Sacramento è al santo Sacrificio ciò che il frutto è all’albero. Non c’è frutto senza albero, ma quando il frutto è prodotto e raccolto, esiste perfettamente esso solo, indipendentemente dall’albero che lo ha prodotto. Così è la Messa in rapporto al Santo-Sacramento. La Messa, il sacrificio dell’Eucaristia, è un atto della Chiesa; mentre il sacramento dell’Eucaristia, frutto di questo sacrificio, frutto di questo atto è, nelle mani della Chiesa, come i frutti che noi disponiamo presso i nostri fruttivendoli, al fine di nutrircene nella misura dei nostri bisogni. Ciò che fa che il Santo Sacramento non sia il sacrificio di GESÙ-CRISTO, benché contenga realmente e personalmente la Vittima divina della mangiatoia e del Calvario, è che, poiché per essenza il sacrificio è un atto, esso è un atto transitorio, come è stato già il sacrificio cruento del Salvatore, come i germogli dei frutti sull’albero. La Messa al contrario è il Sacrificio di GESÙ-CRISTO, perché essa è l’atto che produce e che rende presente sulla terra GESÙ-CRISTO, con tutti i misteri della sua santa vita, e specialmente con la sua immolazione al Calvario. Il Santo Sacramento, che è il Pane della vita ed il nutrimento spirituale dei Cristiani, può compararsi al pane materiale di cui si nutre il nostro corpo: per l’uno come per l’altro, c’è un atto, un lavoro che produce il pane; e poi c’è il pane, frutto di questo lavoro. Per il pane materiale, c’è il lavoro del fornaio, che impasta la farina, le dà la sua forma e con la cottura ne fa il pane che noi mangiamo: per il Pane spirituale c’è il lavoro, l’atto del Prete che offre, che benedice, poi che consacra sull’altare il pane ed il vino in Corpo e Sangue di GESÙ-CRISTO, producendo così il Santo Sacramento che è nutrimento delle nostre anime mediante la comunione. Questo sacro lavoro del Prete è precisamente il sacrificio dell’Eucaristia, il sacrificio della Messa. È l’atto più grande, più divino che la Chiesa faccia quaggiù; così come il Santo Sacramento è ciò che vi è di più divino, di più grande, di più celeste nella Chiesa.

V

In cosa consiste specialmente il Sacrificio nella Messa

In questo atto che la Chiesa chiama “Consacrazione”, in questo solo atto. La consacrazione è come il cuore, come il punto centrale della Messa. Tutto ciò che precede la consacrazione non è che la preparazione a questo atto adorabile e divino; tutto ciò che segue ne è il complemento e l’azione di grazie. La consacrazione è l’atto per mezzo del quale il Prete consacra il pane ed il vino nel Corpo e Sangue di Nostro Signore GESÙ-CRISTO, cambiando, per effetto dell’onnipotenza divina, la sostanza del pane nella sostanza del Corpo vivente e glorificato di Nostro Signore, e la sostanza del vino nella sostanza egualmente vivente, divina, adorabile, del Sangue dello stesso Signore. E così, dopo la consacrazione sull’altare non c’è più né pane né vino, ma unicamente e realmente il Corpo ed il Sangue di GESÙ-CRISTO: c’è GESÙ-CRISTO tutto intero, GESÙ-CRISTO vivente e celeste, velato ai nostri sguardi sotto le specie o apparenze del pane e del vino: queste sono delle semplici apparenze, destinate a nascondere il Re del cielo ai nostri sguardi terrestri, incapaci di sostenere quaggiù lo splendore della sua Maestà. La consacrazione è così l’atto con il quale GESÙ, Vittima di salvezza, si rende presente sulla terra in mezzo alla sua Chiesa militante; e tutte le volte che il Prete consacra, egli offre di nuovo questa divina Vittima per la gloria di Dio, e per la salvezza del mondo. – Dunque è nell’atto della consacrazione e solo in questo atto che consiste il sacrificio; e tutto questo insieme di cerimonie sacre, che si chiama Messa, sarebbe, senza la consacrazione, come un corpo senza anima.

VI

Il sacrificio della Messa ci rappresenta tutti i misteri dolorosi e gaudiosi di GESÙ-CRISTO

Non c’è che un solo Signore GESÙ: il GESÙ del cielo è il neonato che piangeva e soffriva il freddo nella greppia di Bethlem, tra le braccia di Maria e di Giuseppe; è il GESÙ bambino di Nazareth; è il GESÙ del Vangelo, con tutti i suoi miracoli, le sue fatiche, le sue divine virtù, le sue pene, le sue lacrime; è il GESÙ del Cenacolo, dell’Agonia, della Flagellazione, del Pretorio, del Calvario; il GESÙ del Sepolcro e della Resurrezione, il GESÙ degli uomini e degli Angeli. Ora, nella Messa, questo Signore adorabile, apparendo in persona in mezzo a noi, sotto il velo del Santo-Sacramento, si trova là, davanti a noi, con tutti i suoi misteri riuniti, e con ciascuno di essi in particolare. È assolutamente vero il dire, ad esempio, nel giorno di Natale, alla Messa di mezzanotte: “Ecco il Santo Bambino-GESÙ, il Dio della mangiatoia. Io adoro qui, nell’Eucarestiam lo stesso Bambino- Dio che adoravano già a Bethlem, in forma umana, Maria e Giuseppe, i pastori ed i magi”. In quaresima alla Messa, noi possiamo ugualmente dire, in tutta verità: “Ecco, sull’altare, il Penitente universale del mondo, il buono e misericordioso GESÙ che, per amore nostro, ha voluto digiunare quaranta giorni nel deserto, umiliarsi ed espiare i nostri peccati con la sua penitenza”. Ogni qualvolta che alla Messa leggiamo il Vangelo, noi possiamo dire: “Ecco sull’altare, Colui che ha detto tutte queste sante parole, che ha fatto tutti questi bei miracoli, che ha perdonato a questi poveri peccatori, alla Maddalena, a Zaccheo, alla donna adultera; ecco GESÙ dei bambini e dei poveri; il GESÙ di Lazzaro del cieco nato, della vedova di Naim. Oh! Quanto è buono essere vicino a Lui!”. Il Giovedì-Santo l’Ostia della Messa, il GESÙ dell’altare, è il GESÙ del Cenacolo, che è là, davanti a noi e per noi, come era già nel Cenacolo davanti ai suoi Apostoli e per essi. Egli si da a noi, come si è dato ad essi; Egli ci dice ciò che diceva ad essi; Egli ci ama come amava loro. L’Atto divino della consacrazione lo rende di nuovo presente con i misteri del Cenacolo. È lo stesso per la Crocifissione e la morte del nostro Redentore. Ogni giorno, a Messa, nel momento in cui il Prete eleva la santa Ostia ed il Calice consacrato, ciascuno di noi può dirsi: “Qui io adoro il GESÙ della Passione, Colui che per me, per causa mia, miserabile peccatore, ha sudato sangue nella grotta dell’Agonia, è stato tradito da Giuda, è stato coperto di sputi ed oltraggi, è stato sballottato, rinnegato, condannato a morte! Questa Ostia è il mio Salvatore flagellato, coronato di spine, caricato della Croce con tutti i miei peccati, con tutti i peccati del mondo; è il GESÙ crocifisso, sospeso alla Croce sanguinante, spirante, morto! Io sono là, davanti al suo altare, come S. Giovanni, come Maddalena erano davanti all’altare insanguinato della Croce. Io non Lo vedo con gli occhi del corpo, ma l’infallibile fede me lo rivela; io so che Egli è là, che è Lui, Lui stesso; io so che Egli mi guarda, che Egli mi ama, e che Egli mi benedice”! e così di seguito, di tutti i misteri della Vittima divina: della sua Resurrezione e della sua Ascensione, dei suoi trionfi e della sua gloria celeste. Sull’Altare, tra le mani consacrate dei suoi Preti, Egli si rappresenta a noi con tutto ciò che ha, soprattutto con il suo dolce amore, con il suo sacro Cuore squarciato, che Egli ci mostra dicendoci: “Venite a me, voi tutti affaticati ed oppressi, ed Io vi ristorerò”. Nei giorni dell’Incarnazione e della Resurrezione, il Figlio di DIO, con il suo Sacrificio cruento, ha fatto scendere, nella sua Persona, il cielo sulla terra, per portarci la vita e la felicità del cielo. Ogni giono, alla Messa, nell’Eucaristia e mediante il suo Sacrificio incruento, GESÙ rinnova o piuttosto perpetua questo ineffabile beneficio, di cui gli Angeli stessi non possono concepire la grandezza. È dunque vero il dire che il Sacrificio della Messa, donandoci GESÙ, ci rende presenti tutti i Misteri della sua vita, della sua Passione e della sua morte. Adorando GESÙ-CRISTO e soprattutto recevendoLo nella Comunione, noi prendiamo parte alla grazia che scorre da ciascuno dei Misteri: come gli uccellini prendono la loro parte dalle acque rinfrescanti, tutte le volte che essi vi si avvicinano, che vi si bagnano e affondano in esse il loro becco.

VII

La Messa è il centro di tutto il culto di Dio.

La Messa è il centro di tutto il culto di DIO, perché essa è il Sacrificio di GESÙ-CRISTO, perché essa dà veramente e realmente GESÙ-CRISTO alla terra, e perché GESÙ-CRISTO è Lui stesso il Capo ed il centro della vera religione. Il buon Dio ha creato il cielo e la terra in vista del Figlio suo unico GESÙ-CRISTO, che nel mezzo dei tempi, doveva incarnarsi, vale a dire farsi uomo, unendo un’anima ed un corpo alla sua Persona divina, eterna, onnipotente. La religione, le sola e vera religione, è il culto di adorazione e di preghiera che GESÙ, l’Uomo-DIO, rende alla Maestà divina, prima nel suo nome, poi a nome di tutte le creature. Tra le creature ce ne sono di quelli che credono in GESÙ-CRISTO, che sperano in Lui, che Lo amano, che Lo servono, e che si uniscono a Lui: sono essi solo che possiedono e praticano la vera religione, e sono essi che rendono a DIO, con GESÙ-CRISTO e per GESÙ-CRISTO, il culto puro e santo che DIO attende dalle sue creature. Gli altri sono fuori dalla vera religione e di conseguenza fuori dal vero culto divino. La Chiesa è incaricata da GESÙ-CRISTO di predicare a tutti gli uomini la vera Religione, di farla praticare e di far rendere al buon DIO il vero culto; ora è principalmente alla Messa e per mezzo della Messa che la Chiesa rende a DIO questo culto perfetto, unendoci a GESÙ-CRISTO per adorare e pregare DIO, per renderGli grazie dei suoi benefici e per implorare le sue misericordie. La santa Messa riassume tutte le adorazioni e tutti gli omaggi religiosi che GESÙ, l’Uomo-DIO, ha reso a DIO suo Padre durante la vita mortale, e che Egli rende eternamente nei cieli. A questa religione di GESÙ, a questo Sacrificio veramente divino, a questo culto perfetto si uniscono, nel cielo, la Santissima Vergine, tutti i Serafini, tutti i Cherubini, tutti gli Arcangeli, tutti gli Angeli, tutti i Santi; nel Purgatorio le anime sante che sperano, che amano ed espiano; sulla terra tutti i veri figli di DIO e della Chiesa, tutti i veri cristiani, tutti coloro che non dimenticano di essere creati per conoscere, servire ed amare il buon DIO, e con questo mezzo arrivare alla vita eterna. GESÙ-CRISTO, il Re del cielo, la Vittima del Calvario, l’Ostia dell’altare, è la sorgente di tutta la religione degli Angeli e degli uomini; Egli è alla religione ed al culto divino, ciò che è il sole ai raggi di luce, ciò che è, nel nostro corpo, il cuore che spande il sangue e la vita in tette le membra. Dunque, la Messa è veramente il centro di tutto il culto divino e della sola vera Religione.

VIII

Chi ha istituito la Messa

 È quasi inutile dirlo: è Nostro-Signore GESÙ-CRISTO stesso. Solo Lui in effetti, poteva istituire, nella sua Chiesa, un Sacrificio che sotto la forma del pane e del vino, contenesse realmente il suo Corpo ed il suo Sangue, e rendesse presente a tutta la terra la sua Persona adorabile ed il Sacrificio cruento che Egli consumò per noi sulla Croce. È nel Cenacolo, il Giovedì-Santo, immediatamente prima della sua Passione, che il divino Redentore instituì solennemente il Sacrificio ed il Sacramento dell’Eucaristia. Ognuno sa come Egli prese del pane senza lievito (come facciamo ancora sull’altare), lo benedisse e lo consacrò nel proprio Corpo, con queste divine parole: “Prendetene e mangiatene tutti, perché questo è il mio Corpo”. Poi quando gli Apostoli ebbero tutti comunicati sotto la specie del pane, il Signore prese un calice, cioè una coppa, la riempì di vino, la benedisse e la consacrò nel suo vero Sangue, dicendo. “Prendete e bevetene tutti, perché è il calice del mio Sangue della nuova ed eterna Alleanza”. E dopo che gli Apostoli ebbero comunicato sotto la specie del vino, GESÙ diede loro il potere ed il comandamento di fare essi stessi ciò che stava facendo davanti a loro, cioè di consacrare il pane ed il vino nel suo Corpo e nel suo Sangue adorabile, e di celebrare così, nel suo nome sulla terra, quando Egli sarebbe tornato in cielo, il Santissimo Mistero dell’Eucaristia, “E voi, disse loro, tutte le volte che farete queste cose, le farete in memoria di me”; voi lo farete in ricordo di tutti i miei misteri che Io riassumo, raccolgo, per così dire in questo mistero dei misteri. Voi lo farete in memoria del mio amore per voi, ed è là soprattutto che riceverete incessantemente nei vostri cuori e nei cuori di tutti i vostri fratelli, l’amore che voi dovete a me, vostro amico celeste, vostro fratello divino, vostro Dio-Salvatore, vostra vittima e vostra salvezza. GESÙ-CRISTO è così il primo che abbia offerto il santo Sacrificio della Messa, il sacrificio di salvezza, sotto forma incruenta e permanente, nel momento stesso in cui si apprestava ad offrire questo stesso Sacrificio in modo cruento e transitorio.

IX

Non è facile provare che sono stati i curati ad inventare la Messa

 Un buon curato, che io conosco che è intelligente ed istruito, zelante nell’esercizio del suo santo ministero, stava da qualche mese lottando in maniera molto penosa contro le predicazioni di un pastore protestante, più o meno evangelico, che si era venuto a stabilire nella sua parrocchia. Questo uomo distribuisce a piene mani il denaro delle Società bibliche e attirava così, attorno a sé un certo numero di “anime pure”. Il sindaco e l’aggiunto, l’uno oste, l’altro speziale, entrambi assidui lettori del “Secolo” e di conseguenza “illuminati”, trovavano i ragionamenti del ministro “di stringenti verità”, e ne facevano dappertutto gli elogi. Sfortunatamente per lui, al nuovo apostolo, uscendo un giorno dalle generalità, sfuggì il dire che la Messa non era altro che “un’invenzione dei curati”, e che la domenica seguente, egli avrebbe affrontato la questione a fondo, provando come la cosa sia chiara come due e due fan quattro, dicendo il nome dell’inventore della Messa. Questa gran novità fece il giro della parrocchia, e la sera stessa il curato ne fu informato. L’occasione era troppo ghiotta; egli non voleva lasciarsela sfuggire, e pertanto scrisse al ministro protestante per chiedergli una pubblica conferenza, nel giorno e nell’ora a lui più gradita, alla quale egli convenisse, davanti a dodici testimoni, scelti tra i notabili del distretto; lo invitava così a tener fede alla sua promessa e di citare il nome dell’inventore della Messa, aggiungendo che se la cosa era ben debitamente provata, egli si impegnava sull’onore, a versare seduta stante, cento franchi nuovi di zecca. Fece quindi consegnare nelle sue mani la sfida, davanti a due testimoni; poi ebbe cura di far circolare immediatamente in tutto il paese una copia del documento. Tutto il borgo era in fermento, si parteggiava per l’uno o per l’altro. L’oste e lo speziale non manifestavano alcun dubbio sull’esito della faccenda: evidentemente il curato sarebbe stato battuto. L’indomani entrambi andarono a trovare il ministro, per sapere il suo giorno e l’ora. Rimasero molto stupiti di vedere come questa conferenza lo irritasse. Cercò vanamente di eluderla, ma alla fine fissò il giorno. Ci si riunì presso il sindaco, un certo giovedì, alle due. Il curato giunse per primo con i suoi sei testimoni, in testa ai quali c’era il sindaco ed il suo aggiunto. Il ministro era pallido. Quando fu tutto pronto, il curato prese la parola: « Signore, dice al ministro, domenica scorsa voi avete detto, si o no ? …, che la Messa era un’invenzione dei preti!- Si, signore, e lo ripeto. – Voi avete promesso di farci conoscere l’inventore della Messa e che avreste provato la cosa così chiaramente che nessuno avrebbe avuto nulla da obiettare? – si, signore, replicò l’altro, con tono un po’meno fermo. – Ebbene, io, signore, riprese il curato, forte della verità che possiedo e che conosco, io vi ho sfidato, e vi sfido ancora davanti a questi signori, nel provare ciò che avete osare proferire, di provare quel che non è. E mostrando con le dita la banconota: « questi cento franchi sono vostri, aggiunse, se riuscirete a convincerci. Parlate, noi vi ascoltiamo ». tra un profondo silenzio, il ministro prese la parola. Cominciò a scagliarsi, prima freddamente, poi impietosamente, contro le superstizioni clericali, contro l’intolleranza della Chiesa cattolica. Il curato lasciò per un po’ di tempo che scaricasse il suo cuore evangelico; ma nondimeno non si vedeva come la cosa si definisse. Signore, gli disse allora interrompendolo dolcemente, la questione posta non è questa, mi rivolgo a questi signori. Il problema è sapere chi ha inventato la Messa, in quale secolo ed in quale paese vivesse l’inventore. – ecco, ci sto arrivando, replicò vivamente il ministro un po’ piccato. » E si mise a parlare con veemenza contro la presenza reale, contro la preghiera per i morti, contro il culto della Santa Vergine, contro … « Ma signore, disse di nuovo il curato, non è questo che noi vogliamo sapere qui. Voi dovete dirci, chi ha inventato la Messa, e dopo averlo detto, voi dovete provarlo chiaro come il giorno. Sono già tre quarti d’ora che vi ascoltiamo e voi non avete nemmeno sfiorato la questione. Signori, non siete anche voi dello stesso avviso? » aggiunse rivolto ai dodici testimoni. Di buon o mal grado, tutti furono obbligati a convenirne. Il bravo pastore era visibilmente contrariato. Si piegò e volle aprire dei grossi libri che aveva portato; « Scusatemi, signore, gli disse tranquillamente il curato, è il nome dell’inventore della Messa che cercate la dentro? Se non c’è, non vale la pena aprire i vostri libri. Noi vogliamo un dato positivo. Diteci chi è il Papa, o vescovo, o il curato che ha inventato la Messa, dove e quando? Se voi non ce lo dite, io dichiaro apertamente qui, e domenica prossima lo dichiarerò pubblicamente dall’alto del pulpito, che voi non siete che un impostore, che il vostro insegnamento non è altro che inganno e menzogna, e che un uomo onesto non può essere uno dei vostri ». il sindaco stesso ed il suo vice, poi tutti gli altri si misero dalla sua parte e dissero al ministro, l’uno, che bisognava mantenere la parola; l’altro che evidentemente non aveva ancora provato nulla, e che l’osservazione del curato era giusta; un terzo gli domandò se per caso non si fosse burlato di loro. « Il nome dell’inventore! Il nome dell’inventore! » gli gridavano tutti. La posizione diveniva impossibile. Lo sfortunato predicatore si alzò, lamentandosi che lo si insultava, che in tali condizioni non poteva continuare la conferenza. Egli disse che i preti erano degli ipocriti, che egli non credeva ad una parola di quel che essi insegnavano; e raccogliendo i suoi libri, prese la via della porta. Fu accompagnato dai fischi di tutto l’uditorio, ivi compreso l’oste e lo speziale, ed il buon curato, rimettendo i cento franchi nel suo borsello, profittò della circostanza per mostrare a tutti i danni che si producevano nell’accordare la fiducia al primo venuto, soprattutto in materia di religione. In un batter d’occhio l’esito della conferenza fu noto in tutta la parrocchia, e la sera, alcuni burloni andarono a fare un po’ di baccano sotto le finestre del sapiente ministro. Ma non fu tutto. Durante la notte si fece sapere al signor curato, che il bravo ministro stava preparando i suoi bagagli, e che parte dei suoi mobili erano giò caricati. Un abitante scherzoso del luogo, non volle che questo degno uomo se ne andasse senza trombe e grancasse: si arrampicò sul campanile e si mise a suonare la campana con tutte le sue forze. Ben presto tutti furono in piedi, il curato e gli altri. Ci si informò e si vide la vettura del traslocante. E chi era mai? Il ministro che si dava a gambe con sua moglie e il suo santo vangelo, con la sua paccottiglia di bibbie e del figli. Per illuminargli il cammino, si accesero le torce e lo si accompagnò Solo i preti hanno il potere di dire la Messa, come i magistrati solo hanno il potere di esercitare la giustizia. Il potere di giudicare viene ai magistrati non dal loro talento o dalla loro scienza, o anche dalla loro virtù, ma unicamente dalla loro designazione a giudice dall’autorità sovrana. Allo stesso modo, il potere di dire Messa viene ai preti, come il loro sacerdozio da qualcosa di ben più solenne ancora di una semplice nomina, dall’ordinazione, cioè dalla consacrazione sacerdotale che conferisce loro la Chiesa per mezzo delle mani del Vescovo. Questa ordinazione o consacrazione è un Sacramento istituito da Nostro Signore GESÙ-CRISTO e conferito da Lui stesso ai suoi dodici Apostoli, nel Cenacolo, dopo l’istituzione dell’Eucarestia. GESÙ-CRISTO è il sacerdote eterno, ed è come Sacerdote che ha voluto celebrare il Santo Sacrificio nel Cenacolo; Egli era là nello stesso tempo Sacerdote e Vittima del Sacrificio. Egli comunicò in seguito il suo sacerdozio e di conseguenza il potere di consacrare l’Eucaristia, di offrire il Santo Sacrificio. A San Pietro ed agli altri Apostoli, che furono così i primi sacerdoti della Chiesa Cattolica Gesù in più li fece Vescovi, e diede loro il potere di consacrare a loro volta o, come si dice, di ordinare i preti. Egli diede loro una potenza più grande ancora facendoli Apostoli, e dando loro come tali il potere di costituire, ovunque volessero, i Vescovi e le Chiese. Da questo tempo, fino ai nostri giorni, i Vescovi cattolici ordinano ogni anno un certo numero di preti per il servizio della Chiesa e per la santificazione del popolo cristiano; essi conferiscono loro il Sacramento dell’ordine e non altrimenti, il potere divino di celebrare la Messa. Questo potere è affatto indipendente dalle qualità e dalle virtù di coloro che lo ricevono. Il più gran sapiente, il più gran santo del mondo, se non ha ricevuto il sacramento dell’ordine, non può dire la Messa, così come non può validamente amministrare la giustizia. E al contrario, dal momento che un uomo è ordinato prete, ha il potere di consacrare sull’altare il Corpo ed il Sangue del Salvatore, anche se non avesse Scienza, spirito e virtù. Alla Messa l’uomo sparisce dinanzi al prete. I poveri pastori protestanti immaginano che essi, come i preti, siano ministri di GESÙ-CRISTO; ce ne sono alcuni che lo credono in buona fede. Io ne ho conosciuto uno che era al proposito nella miglior fede del mondo. Egli era venuto a trovarmi per discutere di religione con me; perché, egli diceva, io vorrei provare prima di morire la solidità delle mie convinzioni religiose. Da venti anni io sono ministro del santo Vangelo … – Ministro del santo Vangelo? Gli domando; e voi lo credete realmente? – ma certamente! Rimase un po’ sorpreso. – E chi vi ha fatto ministro del santo Vangelo?- Eh! Ma l’imposizione delle mani. – delle mani di chi? – Dalle mani degli anziani. – quali anziani? – gli anziani del nostro concistoro. – E chi ha dato agli anziani del vostro concistoro il potere di imporre le mani ad un uomo e di farne un ministro di GESÙ-CRISTO? – Sono gli anziani prima di loro che hanno loro imposto le mani e li hanno fatti ministri. – E agli anziani degli anziani chi ha dato il potere divino per far questo? Questo risale da concistoro a concistoro, da ministro a ministro. – e fin dove? – Eh! Fino a Lutero. – Ma Lutero aveva questo potere? Chi glielo aveva dato? – Egli era prete, mi dice in modo infantile, questo povero uomo. – prete cattolico, si: ministro della Chiesa cattolica, si. Ma supponendo che egli abbia potuto trasmettere i suoi poteri, voi siete dunque ministro della Chiesa cattolica? Voi siete questo, oppure non siete niente. « Caro signore, ma Lutero non vi ha potuto dare né i suoi poteri, né il suo carattere sacerdotale, né la missione divina che aveva ricevuto dalla Chiesa. I preti non hanno il potere di imporre le mani e di fare dei preti; questi sono i Vescovi, e solo i Vescovi che hanno ricevuto da Nostro Signore GESÙ-CRISTO, nella persona degli Apostoli, questa potenza e questa fecondità divina. Al di fuori dal Sacramento dell’ordine, che danno i Vescovi, e che voi non avete ricevuto, vero? … non ci sono preti, non c’è ministro di GESÙ-CRISTO, non ci sono ministri del santo Vangelo, pastori di anime. Gli anziani non hanno potuto darvi ciò che essi non avevano; e quando anche tutti i ministri del mondo, Lutero e Calvino in testa, vi imponessero le mani ed anche i piedi per ventiquattro ore di seguito, senza bere né mangiare, voi non sareste avanzato di un palmo rispetto a prima. Se il mio portiere vi imponesse le mani, questo farebbe di voi un ministri di DIO? Tutte le mani di tutti i vostri anziani non hanno più potenza in questo, che le mani del primo venuto. Mio caro signore, lo salutai tendendogli la mano, sapete voi cosa siete? Un bravo uomo e nulla più. » Egli in effetti lo era, io ho avuto con lui diverse cordiali conversazioni; oi lo misi in contatto con cattolici eminenti per sapienza e pietà; il risultato di tutto ciò fu la completa disillusione del buon uomo, ma la sua risoluzione di tornare nel seno della Chiesa cattolica con i suoi due figli fa frenata dal subire ogni tipo di minacce e di persecuzioni nelle Cevennes, ove tornò, da parte degli otto ministri, suoi confratelli, cugini e vicini; la moglie quasi gli strappava gli occhi e giunse perfino a sottrargli i due figli più giovani, ed il povero perseguitato non poté che realizzare la sua conversione se non sul letto di morte, nel 1859. Io lo ripeto, solo il prete legittimamente ordinato dal vescovo, è ministro di GESÙ-CRISTO, ed in questa qualità ha il potere di celebrare il santo sacrificio della Messa. I cattivi preti, i preti scomunicati o interdetti dai loro vescovi, conservano il potere di dire la Messa, consacrano realmente l’Eucaristia, ma commettono un peccato mortale ed un orribile sacrilegio.

XI

Le diverse forme che riveste la celebrazione del Santo-Sacrificio della Messa

 La Chiesa non ha che un solo Sacrificio, così come essa non ha che una sola fede, una religione, un DIO solo. Ma questo Sacrificio unico si celebra sotto diverse forme, alfine di rendere più sensibile a tutti lo scopo speciale per il quale esso viene offerto. Questa diversità di forme non altera l’unità del sacrificio; non più che il cambio di costume non toglie nulla all’unità della sua persona. Che un re rivesa l’uniforme militare per comandare la sua armata, che egli prenda la corona, lo scettro ed il mantello per presiedere una grande assemblea pubblica, che egli vestito come tutti all’interno del suo palazzo, in fondo è sempre lo stesso uomo.: è il Re. Così è la Messa; che sia detta a voce bassa, o cantata; che sia solenne o meno; che il prete indossi paramenti bianchi o rossi, violetti o neri, è sempre la Messa, lo stesso ed unico Sacrificio di GESÙ-CRISTO. Innanzitutto c’è la Messa bassa e la grande Messa. La Messa bassa è quella in cui il prete non fa che leggere e recitare le preghiere, la Grande Messa è quella in cui una parte delle preghiere sono cantate con più o mano solennità, sia dal solo prete, che dai cantori o dal popolo. Ordinariamente alla Grande Messa, il Prete è assistito da un Diacono e da un Sotto-Diacono, che cantano l’uno il Vangelo, l’altro l’Epistola; alla Messa bassa al contrario, il Prete è solo all’altare ela Messa non è servita che da un fedele, chierico o laico, uomo o ragazzo. La Messa, sia bassa che cantata, si celebra con i paramenti di colore bianco in tutte le feste di Nostro Signore, salvo quella della Passione; alle feste del Santo-Sacramento; a tutte le feste della Santa-Vergine, senza eccezioni; ad Ognissanti, ed in tutte le feste dei Santi e delle Sante che non sono martiri; infine in tutto il Tempo pasquale, a meno che non sopravvenga una festa di un martire. Ci si serve dei paramenti rossi alle Messe della Pentecoste e dello Spirito-Santo, e alle feste dei Martiti; dei paramenti violetto durante tutto l’Avvento, dalla domenica di Settuagesima fino al termine della Quaresima e tutti i giorni di digiuno, a meno che non si celebri una festa in bianco o in rosso. Ci si serve di paramenti verdi tutte le domeniche e tutti i giorni in cui non vi sia una festa speciale, dall’Epifania alla Settuagesima, e dopo la Pentecoste fino all’Avvento. Infine il Prete si riveste di paramenti neri il Venerdì Santo e in tutte le Messe per un morto e nei funerali. Il bianco è il colore della gioia, dell’innocenza, del trionfo e della gloria; è dunque il colore del Bambino Gesù, della Resurrezione e del cielo; è il colore del Santo-Sacramento, della Vergine e dei Santi. Il rosso è il colore del fuoco e del sangue, del fervore dell’amore e dell’ardore del martirio. Il violetto è il colore della penitenza, in verde quello della speranza; il nero quello della morte e della tomba. Con questa diversità, la Chiesa aiuta il popolo fedele ad entrare più facilmente nello spirito dei misteri e delle feste in onore delle quali si celebra la santa Messa.

XII

Ciò che un ministro protestante è capace di dedurre da tutto questo!

 Uno dei più illustri, gloriosamente di nome Napoléon Roussel, aveva osservato con il colpo d’occhio di Aquila, queste diverse forme sotto le quali si presenta la celebrazione della Messa cattolica. Egli non aveva esitato un istante;  egli aveva visto, proclamato a tutti che da noi la Messa si dice ora in bianco, ora in rosso, ora in nero. Non si poteva negare, egli lo aveva visto con i propri occhi, con i suoi occhi di ministro; ed egli aveva visto pure ben altre cose! Da tutto quanto aveva visto, questo Napoléon concludeva: dunque la Messa cattolica non è lo stesso di quanto aveva fatto GESÙ-CRISTO al cenacolo, “vedete bene, egli diceva gravemente: « al Cenacolo  GESÙ-CRISTO fa la Cena, ed aveva dodici Apostoli con Lui, alla Messa cattolica il prete è solo con un servente (io non invento, queste non sono le parole testuali, e non ho il libro del ministro sotto mano, ma garantisco l’esattezza rigorosa del senso). Al Cenacolo, il Cristo fa la cena con i suoi abiti ordinari; alla Messa, il Prete è rivestito da paramenti straordinari, al Cenacolo, il Cristo si serve della lingua volgare, alla Messa il Prete parla una lingua sconosciuta /al sapiente pastore). Al Cenacolo il Cristo fa una sola cena: i Preti cattolici hanno una quantità di Messe; la Messa bianca, la Messa rossa, la Messa nera, la Messa bassa, la Messa cantata. Al cenacolo il Cristo aveva lunghi capelli da nazareno, fluenti sulle spalle; i Preti cattolici hanno i capelli corti, ed anche una parte della testa rasata a tondo. E noi potremmo, aggiungeva Napoléon con fare serio, noi potremmo spingere ben più in là questo paragone decisivo. » Che ne dite, lettore? È possibile, io vi domando, spingere fino a questo punto l’inizio del ragionamento? Si possono prendere, come differenze reali, delle circostanze accidentali assai insignificanti, fuor di questione? A questo riguardo quindi, per essere ortodossi, bisognerebbe parlare la lingua siro-caldea che parlava Nostro Signore, avere i capelli del suo stesso taglio e colore, essere della stessa taglia, essere vestito come ai suoi tempi a Gerusalemme, non dire la Messa se non nel cenacolo, sul monte Sion, ed avere sempre a disposizione i dodici Apostoli, Giuda compreso. Ecco fin dove può giungere l’ignoranza, l’aberrazione dei nemici della fede. Di cose così semplici, si fanno dei mostri; essi non comprendono nulla delle istituzioni della Chiesa, e senza batter ciglio, attaccano i nostri santi misteri con argomenti impossibili. Qual differenza gran DIO!, tra la saggezza sì ragionevole, sì profonda e dolce della Chiesa, e le stupidaggini di coloro che blasfemano la sua dottrina!

XIII

Quanto sante e venerabili sono le cerimonie della Messa

Più una cosa, più una persona è grande, e più è naturale circondarla di rispetto e di onori. Quando un Sovrano onora della sua visita una città o un castello, si mette in opera tutto per offrire al re un’accoglienza degna di lui; non c’è niente di troppo bello, non si risparmia nulla. Ci si può allora meravigliare che i santi Apostoli ed i primi Sovrani-Pontefici regolando il culto divino abbiano circondato di cerimonie tanto auguste questa divina visita che il Re del cielo si degna di fare ogni giorno alla terra, per mezzo della Consacrazione Eucaristica? Le cerimonie che precedono la Consacrazione, sono come la preparazione del Prete e del fedele all’arrivo del grande Re GESÙ. Quando appare questo Re celeste, tutti si prosternano ed adorano in silenzio. Le altre cerimonie, quelle che seguono la Consacrazione e concludono la Messa, preparano il Prete ed i cristiani a ricevere, con le Comunione, l’adorabile Visitatore, ed a ringraziarLo del suo amore misericordioso. È molto importante comprendere, almeno grossolanamente, il senso delle cerimonie della Messa; altrimenti, ci si espone ad assistere agli Uffici divini come una bestia curiosa, e sse si viene a parlarne, si dicono delle enormità, che sono in fondo delle vere blasfemie. – all’inizio della spedizione in Crimea, il cappellano del vascello-ammiraglio, si presentò un sabato sera nella cabina dell’ammiraglio per prendere i suoi ordini circa la Messa militare dell’indomani. L’ammiraglio era circondato da tutto il suo stato maggiore e fumava, in compagnia di un alto personaggio, celebre più per il cinismo della sua empietà che per le sue imprese militari. Il cappellano era un bravo uomo, tutto tondo e franco. « Ammiraglio, egli dice, io non so se domani potremo avere la Messa a bordo: è tutto ingombrato ». L’ammiraglio esitava, quando l’alto personaggio prese bruscamente la parola. « Io non comprendo la Messa, dice con un insolente disdegno. La predica protestante, alla buon’ora! Ma la vostra Messa non è che un cumulo di confusione: non si capisce nulla! Il prete va a destra, va a sinistra, gesticola: costui non ha il senso comune! » Un momento di silenzio accoglie questo sfogo impertinente. Il cappellano, senza lasciarsi intimidire, guarda il suo interlocutore nel bianco degli occhi, e gli dice tranquillamente: « signore, quando si giunge così in alto come voi, non è per dire sciocchezze. » E dopo aver salutato l’ammiraglio, andò a preparare tutto. Sembrava che tutti gli ufficiali ridessero sotto i baffi, e non certamente per il cappellano. È dunque molto utile comprendere quel che significano le cerimonie della Messa. Il Concilio di Trento ci dichiara che, tra le cose sante, nulla è sacro come « queste benedizioni piene di misteri, che gli Apostoli stessi hanno istituito e lasciato alla Chiesa. » Queste cerimonie, queste benedizioni che circondano, per così dire, il mistero dell’Eucaristia, come la nube del Thabor circondava GESÙ trasfigurato, non sono venerabili solo per la loro origine, ma lo sono ancora per le sante cose che esse significano. Le cerimonie della Messa hanno per oggetto di ricordare e riassumere, attorno alla Persona di GESÙ eucaristico, tutto l’insieme del magnifico ed universale mistero di questo divino Salvatore. Così i Preti e tutti coloro che li assistono all’altare, devono rispettarli infinitamente ed osservarli religiosamente. Bisogna osservarli alla lettera con molta fede, religione ed amore, e fare tutto ciò che prescrive la Chiesa, come questo è prescritto, senza nulla eliminare, senza aggiungere nulla.

 

XIV

Cosa significa l’altare sul quale si celebra la Messa

L’altare rappresenta Nostro Signore, Re della gloria, e centro immutabile della Religione degli Angeli e degli uomini. – L’altare deve essere di pietra. Se esso è di legno o bronzo, o anche d’oro o d’argento, occorrerebbe che almeno in punto ove si offre il Sacrificio sia di pietra: questa pietra si chiama Pietra d’altare. L’altare (o pietra d’altare, che è la stessa cosa), è consacrato dal Vescovo, che lo segna con cinque croci, in onore delle cinque piaghe di GESÙ-CRISTO, che conserva eternamente nel suo corpo glorificato; questa consacrazione si fa con il Crisma santo, che è il più sacro degli oli santi. Dopo la Consacrazione , il Vescovo brucia un grano d’incenso puro in ciascuna delle croci incise nella pietra. – Così consacrato l’altare significa Nostro-Signore, al di fuori del Quale il Padre celeste non gradisce alcun omaggio religioso, alcuna adorazione, alcun sacrificio. GESÙ-CRISTO è, come detto, il centro ed il fondamento vivente della sola vera religione, la quale è cominciata con gli Angeli ed Adamo, dall’origine del mondo, e durerà nel cielo per tutta l’eternità. GESÙ è la pietra vivente, la pietra divinamente consacrata, la pietra angolare che sostiene tutto l’edificio della religione degli Angeli e degli uomini; ed è per questo che è assolutamente vietato celebrare la Messa al di fuori di una pietra d’altare consacrata. Alfine di rappresentare ancora meglio il senso nascosto e mistico dell’altare, la Chiesa vuole, almeno per l’altare principale delle nostre chiese, che esso sia elevato di tre gradini al di sopra del pavimento del santuario. Questi tre gradini elevati simbolizzano GESÙ-CRISTO elevato al di sopra di tutti i Santi e di tutti gli Angeli, e la sommità vivente dei cieli, la fonte di tutta la beatitudine celeste. Dall’alto del cielo, essa è pure per noi la fonte della grazia, ed è per questo che durante la Messa, il Prete, a più riprese, bacia l’altare, indicando che egli ripone in GESÙ-CRISTO la grazia e la benedizione di cui ha bisogno e che diffonde sugli astanti, in nome del divino Salvatore. L’altare significa dunque GESÙ-CRISTO, fondamento divino della Religione e del Sacrificio. Ognuno può concludere che da qui è la santità dei nostri altari, e perché è proibito non solo utilizzarli per uso profano, ma di non posarvi nulla di estraneo al culto divino. – Il santo abate Olier, uno degli uomini che hanno circondato di maggior rispetto il Santo Sacrificio ed il Santo Sacramento, era a questo riguardo di una severità straordinaria; un giovane chierico del seminario di San Sulpizio, di cui Olier era il Superiore, era stato scelto da lui per servir Messa, a causa della sua grande pietà. Un giorno, il pio giovane posò per distrazione il suo berretto sul cono d’altare. M. Olier lo riprese severamente, come una mancanza di rispetto, e per otto giorni gli tolse l’onore di servir Messa. Non si potrebbe essere tanto delicato in ciò che concerne le testimonianze della fede e dell’adorazione riguardo al Santo Sacramento e di tutto ciò che ha rapporto col Santo Sacramento. Nulla è trascurabile in tale materia. Gi aiutanti, i sacrestani ed i ragazzi del coro devono fare particolare attenzione a ciò che stiamo per dire. Spesso la loro sbadataggine attorno all’altare, giunge fino a veri inconvenienti. Essi posano sull’altare penne, fazzoletti, etc. io ho visto una volta un tale che per raggiungere un candelabro, era saltato all’improvviso sull’altare e vi si era messo in piedi, alla presenza di tutti i fedeli!

 

XV

Ciò che raffigurano le tovaglie e gli ornamenti dell’altare.

Si proibisce la Messa quando non ci sono tre tovaglie bianche di filo o di lino sull’altare; queste tovaglie che devono essere sempre tenute in uno stato perfetto, coprono interamente prima la parte superiore dell’altare, poi il lato destro e sinistro. La tovaglia superiore deve pendere dai due lati fino a giù. La parte anteriore dell’altare deve essere ugualmente coperto da un parato o drappo dello stesso colore degli ornamenti dei quali si servirà il Prete per celebrare la Messa: se la Messa si dice col bianco, il parato deve essere bianco; se la Messa si dice in rosso, o in nero, etc., la il parato sarà rosso, nero, etc. queste tre tovaglie e questi parati richiamano alla pietà dei fedeli un bellissimo mistero: cioè l’unione degli Angeli e dei Santi a Nostro Signore GESÙ-CRISTO nella gloria del Paradiso. Le tre tovaglie di lino bianco che coprono l’altare significano i tre ordini o gerarchie celesti dei santi Angeli che adorano, benedicono e glorificano incessantemente GESÙ-CRISTO, loro Signore e loro DIO, loro Maestro e loro Creatore. Ed anche le tre tovaglie coprono tre volte la parte superiore dell’altare; allo stesso modo, nella gloria del cielo, le tre grandi gerarchie angeliche formano nove cori, che rendono tutti a GESÙ-CRISTO tutti i doveri di una religione perfetta. I parati che coprono al davanti l’altare rappresentano non più gli Angeli, ma i Santi, in particolare il Santo o la Santa di cui si fa memoria nella Messa che si celebra. Nella gloria del suo bel Paradiso, Nostro-Signore è in mezzo ai suoi Angeli ed ai suoi Santi, come il sole in mezzo ai suoi raggi splendenti. Così GESÙ brilla e risplende nei suoi Serafini, Serafini, Troni, Dominazioni, Virtù, Potenze e Principati, Arcangeli ed Angeli che sono tutti suoi ministri e servitori; Egli brilla e risplende in tutti i suoi Santi, nei suoi Patriarchi, nei suoi Profeti, nei suoi Apostoli, Martiri, Vergini, in una parola, in tutti i suoi eletti. Tutti essi sono inseparabili da Lui, ed Egli è inseparabile da loro: lodarli ed onorarli è lodare, onorare GESÙ-CRISTO; ed il sacrificio di adorazione, di azione di grazie, di preghiera e di espiazione che viene ad essere offerto dal Prete sulla terra, sarà accompagnato nel cielo dalle adorazioni e dalle adorazioni di tutti i beati. È per esprimere queste grandi cose che la Chiesa ordina le tovaglie ed i paramenti di cui parliamo.

XVI

I ceri, ed il loro bel significato.

I ceri accesi sull’altare durante la Messa, a destra ed a sinistra del Crocifisso esprimono ancora i santi Angeli e l’unione intima della Chiesa del cielo con la Chiesa della terra nella celebrazione del Santo Sacrificio. La luce è una creatura misteriosa e meravigliosa, destinata a rappresentare nell’ordine materiale e terrestre ciò che è GESÙ-CRISTO nell’ordine spirituale e terrestre. Nostro Signore è in effetti “la Luce vera che illumina ogni uomo venuto in questo mondo”, come dice il Vangelo di San Giovanni; Egli è la “Luce del mondo”. Gli Angeli ed anche i Santi sono, come sempre diciamo, i raggi viventi di questa Luce vivente: essi « sono luce nel Signore » ; essi sono delle luci illuminate dalla divina, eterna Luce: tutta la loro santità, in effetti, tutta la loro gloria non viene loro dal Figlio di DIO? Anche gli Angeli sono spesso chiamati dai Santi Dottori « delle luci celesti, delle stelle, degli astri viventi », etc. per questo motivo, la Chiesa ha ordinato fin dalle origini, che non si celebrasse Messa senza luce; e dopo i primi secoli, è stato ordinato che queste luci fossero delle candele di cera. Il cero è in effetti, una sostanza purissima, raccolta dalle api nel calice dei fiori più balsamici; la purezza di questa sostanza produce una fiamma molto luminosa e molto tranquilla, una luce pura che si eleva dritta verso il cielo e sembra volersi slanciarsene. Brillando così sulla punte delle candele, a destra ed a sinistra del Crocifisso, davanti al Prete e davanti ai fedeli, le sacre luci della Messa significano la Chiesa del cielo che si unisce alla Chiesa della terra, gli Angeli che si uniscono agli uomini per adorare GESÙ-CRISTO, Vittima del Santo Sacrificio. – Il Beato Francesco de Posadas, dell’ordine di San Domenico, vedeva spesso gli Angeli e gli Arcangeli assisterlo all’altare: essi erano là, mantenendo dei ceri illuminati, e alla Elevazione, sostenevano le braccia del Beato. San Francesco di Assisi vide molto spesso le moltitudini degli Angeli che circondavano l’altare. GESÙ-CRISTO è in effetti il loro DIO, come il nostro, il loro Creatore, come il nostro Creatore, il loro Signore, la loro Luce, la loro Vita eterna, come Egli è la nostra vita, il nostro Signore, la nostra Luce, il nostro Amore. I raggi di GESÙ-CRISTO, in cielo, sono gli Angeli ed i Beati: i suoi raggi sulla terra sono i cristiani, i fedeli, ed in particolare i Preti. – Ecco perché è assolutamente proibito dire Messa senza luci, senza ceri illuminati sull’altare. – Ecco perché i sagrestani, gli aiutanti o i ragazzi del coro, incaricati di accendere i ceri, non devono cominciare indifferentemente da un lato o dall’altro come è loro più comodo: alfine di ricordarsi e ricordare agli astanti che la luce e la Santità degli Angeli vengono da GESÙ-CRISTO, che solo è la Luce eterna ed il Santo dei santi, essi devono, accendendo i ceri, partire dal Crocifisso e cominciare dal cero più vicino al lato destro del Crocifisso, per passare poi al secondo ed al terzo; poi tornando in mezzo all’altare e salutando il Crocifisso, devono seguire lo stesso ordine per gli altri tre ceri. Per spegnerli, alla fine della Messa, essi devono seguire l’ordine inverso. È alla lampada del Santo-Sacramento, che deve bruciare giorno e notte senza interruzione, che si deve prendere la luce per accendere i ceri. E la ragione di questa regola liturgica è molto bella: la luce che brilla davanti al Tabernacolo ricorda al Prete ed ai fedeli che là, nella Santa Eucaristia, è presente Colui che è la Luce del mondo, la Luce di vita, la Luce degli Angeli e delle anime. GESÙ-CRISTO è òa fonte unica della luce celeste che illumina il Paradiso e che, sulla terra, insegna agli uomini a conoscere il vero DIO: alla luce della lampada che simbolizza GESÙ-CRISTO, si deve dunque attingere la luce dei ceri che simboleggiano gli Angeli e gli eletti nella gloria. Se le persone di chiesa conoscessero bene ed osservassero religiosamente questi minimi dettagli del culto divino, esse troverebbero nelle loro funzioni una fonte inesauribile di significato pratico, e non si abituerebbero, come spesso succede, a trattare le cose sante, come volgarmente si dice, sottogamba. Ordinariamente, nulla edifica meno della grossolana familiarità che induce la gente di chiesa ad assolvere le loro funzioni intorno ai santi altari.

XVII

Il numero dei ceri dell’altare.

Alle Messe basse, ci devono essere due ceri illuminati sull’altare, uno a destra l’altro a sinistra del Crocifisso. – Alle Messe basse celebrate da un Vescovo, ce ne devono essere quattro, almeno nei giorni di festa: due a destra e due a sinistra. Alle Messe solenni celebrate da un singolo Prete, ce ne devono essere sei, né più né meno; tre a destra e tre a sinistra. Infine nelle Messe solenni pontificali, celebrate cioè solennemente da un Vescovo, ce ne vogliono sette: tre a destra, tre a sinistra e il settimo dietro al Crocifisso il più vicino possibile ad esso. Niente di tutto questo è arbitrario, ed eccone il motivo. – bisogna sapere che a capo di tutti gli Angeli, similmente ad un capo d’armata, ci sono sette Angeli principali, che « presenziano davanti al trono di DIO », come uno di loro diceva al santo uomo Tobia: « io sono l’Angelo Raffaele, uno dei sette che stiamo davanti al Signore ». la Scrittura santa ci fornisce il nome di tre di loro: l’Arcangelo Michele, l’Arcangelo Gabriele e l’Arcangelo Raffaele. Ora sono precisamente questi santi Grandi Serafini, questi sette principi della milizia celeste che sono rappresentati dai sette ceri della più solenne di tutte le Messe, cioè la Grande Messa Pontificale. Il settimo cero che fa un tutt’uno con il Crocifisso esprime il futuro trionfo di GESÙ-CRISTO, quando, alla settima età del mondo [secondo le tradizioni più antiche, la durata del mondo deve dividersi, come la durata della settimana, in sette grandi epoche, delle quali sei dedicate al lavoro, e la settima al riposo e al trionfo ], ridiscenderà dal cielo in terra, pieno di gloria e di maestà. Alla Gran Messa del singolo Prete, i sei ceri illuminati rappresentano lo stesso mistero; ma il Crocifisso, che si mostra senza luce, ricorda soprattutto che il Sacrificio dell’Eucaristia è il Sacrificio della Chiesa militante, cioè della Chiesa che combatte e che soffre con il suo divino Capo; che con la gloria e la pazienza conquista la gloria eterna. In questo combattimento gli Angeli del cielo l’assistono costantemente, e durante le sei età che devono trascorrere dopo la creazione dell’uomo fino alla seconda venuta dell’Uomo-DIO, gli Angeli aiutano i loro fratelli della terra a rendere al Figlio di DIO, Creatore e Signore di tutte le cose, il culto di adorazione, di azione di grazie e di preghiere che Gli è dovuto. I sei ceri della Grande Messa ricordano così alla nostra pietà ed al nostro amore i sei Angeli che aiutano a glorificare quaggiù GESÙ-CRISTO. Alla Messa bassa del Vescovo, i quattro ceri significano i quattro principali di questi grandi spiriti, che in nome di tutti gli altri adorano GESÙ-CRISTO, in unione con il Vescovo celebrante e con tutta la Chiesa della terra. Il Profeta Ezechiele lo aveva già visto nella celebre visione, circondante il Figlio dell’uomo e tutto scintillante di luce. Infine i due ceri della Messa bassa ordinaria significano e rappresentano più particolarmente il santo Arcangelo Michele ed il santo Arcangelo Gabriele, i due principali di tutta la Corte angelica, che in nome di tutti i loro beati fratelli, aiutano il Prete ed i fedeli a rendere al Signore GESÙ i loro omaggi d’amore, di fede viva e di perfetta adorazione. Sono i due Arcangeli che Isaia, rapito in spirito, scorse in cielo, in adorazione davanti a Nostro-Signore, ripetendo con amore: « Santo, Santo, Santo è il Signore, DIO degli eserciti! ». – Il cero illuminato alla destra del Crocifisso rappresenta più specificatamente l’Arcangelo Michele, l’Angelo dell’onnipotenza, il primo Ministro di GESÙ-CRISTO, Dio Creatore. Il cero a sinistra, posto dal lato del cuore di GESÙ crocifisso e glorificato, rappresenta in particolare l’Arcangelo Gabriele, l’Angelo dell’Incarnazione e della Redenzione, il ministro di Dio-Salvatore, della grazia, dell’amore, della misericordia. Ecco ciò che significa il numero variato dei ceri e dei lumi dell’altare durante la Messa. Così è proibito cambiare; non si deve, col pretesto di rendere l’illuminazione più solenne, aggiungere al numero dei ceri prescritti dalla Liturgia, cioè dalla regola del culto pubblico. Si possono, al di fuori dell’altare, tenere altri ceri, o semplici candele; ma sull’altare bisogna attenersi al numero fissato dalla Chiesa, non si deve pertanto eliminare nemmeno uno dei ceri prescritti, né per economia né per qualsiasi altro motivo. Occorre controllare che la cera delle candele sia bella, pura, candida, ed il tutto accuratamente osservato. I sacrestani sono avvisati! [Continua ...]

 

CATTEDRA DI SAN PIETRO A ROMA

18 GENNAIO

CATTEDRA DI SAN PIETRO A ROMA (1)

[Dom Guéranger, l’Anno liturgico – vol.I]

(1) [Nel III secolo si venerava in un cimitero di Roma un trofeo – cattedra di tufo o di legno – del ministero di San Pietro in quel luogo. Più tardi si venerò nel battistero di Damaso in Vaticano la sella gestatoria “apostolicae confessionis”. Sotto il nome di Natale Petrl de Cathedra era celebrata una festa il 22 febbraio; ma, a causa della quaresima, le chiese della Gallia presero l’abitudine di celebrarla il 18 gennaio. Le due usanze si svilupparono in modo parallelo; poi, finalmente, si perdette l’unità primitiva del loro signiifcato e si ebbero due feste della Cattedra di San Pietro, la prima attribuita a Roma – quella del 18 gennaio -, la seconda attribuita a un’altra sede – In definitiva a quella d’Antiochia – il 22 febbraio. – La Cattedra di San Pietro è ora conservata nell’abside della basilica vaticana, racchiusa in un grande reliquiario; nemmeno il Papa si può sedere, come usavano i Pontefici dei primi quindici secoli, sulla Cathedra Apostolica (Schuster, Liber Sacram.)].

cattedra

L’Arcangelo aveva annunciato a Maria che il Figlio che sarebbe nato da lei sarebbe stato Re, e che il suo Regno non avrebbe avuto mai fine. I Magi guidati dalla Stella vennero dal lontano Oriente a cercare questo Re in Betlemme. Ma ci voleva una capitale per il nuovo Impero; e poiché il Re che doveva stabilirvi il suo trono doveva anche, secondo i consigli eterni, risalire presto al cielo, era necessario che il carattere visibile della sua regalità risiedesse in un uomo che fosse, fino alla fine dei secoli, il suo Vicario. – Per questa gloriosa reggenza, l’Emmanuele scelse Simone, cambiandone il nome in quello di Pietro e dichiarando espressamente che tutta la Chiesa sarebbe stata basata su quell’uomo, come su una roccia incrollabile. E siccome Pietro doveva anch’egli terminare con la croce la sua vita mortale, Cristo s’impegnava a dargli dei successori nei quali sarebbero sempre stati rappresentati Pietro e la sua autorità.

Regalità del Vicario di Cristo.

Ma quale sarà il segno distintivo di questa successione nell’uomo privilegiato sul quale deve essere edificata la Chiesa sino alla fine dei tempi? Fra tanti Vescovi, chi è il continuatore di Pietro? Il Principe degli Apostoli ha fondato e governato parecchie Chiese; ma una sola, quella di Roma, è stata irrorata del suo sangue; una sola, quella di Roma, custodisce la sua tomba; il Vescovo di Roma è dunque il successore di Pietro, e perciò stesso, il Vicario di Cristo. – Di lui, e non d’un altro, è detto: Su te costruirò la mia Chiesa. E ancora: Ti darò le chiavi del Regno dei cieli. E inoltre: “Ho pregato per te, perché non venga meno la tua fede; …conferma i tuoi fratelli”. – E infine: “Pasci i miei agnelli; pasci le mie pecorelle”. – L’eresia protestante l’aveva compreso tanto bene che per lungo tempo si sforzò di avanzare dubbi sul soggiorno di san Pietro a Roma, credendo giustamente di distruggere, con questo ritrovato, l’autorità del Pontefice Romano, e la nozione stessa d’un capo nella Chiesa. La scienza storica ha fatto giustizia di quella puerile obiezione; e da lungo tempo studiosi della Riforma sono concordi con i cattolici sul terreno dei fatti, e non contestano più nessuno dei punti della storia meglio definita dalla critica. – Fu in parte per opporre l’autorità della Liturgia a quella strana pretesa dei Riformatori, che Paolo IV, nel 1558, fssò al 18 gennaio l’antica festa della Cattedra di san Pietro a Roma. Da lunghi secoli, la Chiesa non celebrava il mistero del Pontificato del Principe degli Apostoli se non il 22 febbraio. D’ora in poi quest’ultimo giorno è stato assegnato al ricordo della Cattedra d’Antiochia, la prima ad essere occupata dall’Apostolo. – Oggi dunque, la Regalità dell’Èmmanuele brilla in tutto il suo splendore; e i figli della Chiesa si rallegrano nel sentirsi tutti fratelli e concittadini d’uno stesso Impero, celebrando la gloria della Capitale che è comune a tutti. Allorché, guardando attorno a sé, vedono tante sette divise e sprovviste di tutte le condizioni della continuità perché manca ad esse un centro, rendono grazie al Figlio di Dio per aver provveduto alla conservazione della sua Chiesa e della sua Verità, con l’istituzione di un capo visibile nel quale Pietro continua per sempre, come lo stesso Cristo in Pietro. Gli uomini non sono più pecore senza pastore; la parola detta al principio si perpetua, senza interruzione, attraverso i tempi; la prima missione non è mai sospesa e, per il Pontefice Romano, la fine dei tempi si ricollega all’origine delle cose. « Quale consolazione per i figli di Dio – esclama Bossuet nel Discorso sulla Storia universale – ma quale convinzione della verità, quando vedono che da Innocenzo XI, che occupa oggi (1681) degnamente la prima Sede della Chiesa, si risale senza interruzione fino a san Pietro, costituito da Gesù Cristo come Principe degli Apostoli! ».

Primato della sede di Roma.

Pietro, entrando in Roma, viene dunque a compiere e amplificare i destini di questa città sovrana, recandole un impero ancora più esteso di quello che essa possiede. È un Impero che non si costituirà con la forza, come il primo: da superba dominatrice delle genti che fu, Roma, per mezzo della carità, diventa Madre dei popoli. – Ma, per quanto pacifico, il suo Impero non sarà meno durevole. Ascoltiamo san Leone Magno, in uno dei suoi più magnifici Sermoni (Serm. 82), narrare, con tutta la nobiltà del suo linguaggio, l’ingresso oscuro eppure così decisivo, del Pescatore di Genezareth nella capitale del paganesimo: « Il Dio buono, giusto e onnipotente, che non ha mai negato la sua misericordia al genere umano e che con l’abbondanza dei suoi benefici, ha dato a tutti i mortali i mezzi per giungere alla conoscenza del suo Nome, nei segreti consigli del suo immenso amore ha avuto pietà del volontario accecamento degli uomini e della malizia che li sprofondava nella degradazione, e ha inviato il suo Verbo, che è a Lui uguale e coeterno. Ora, questo Verbo, fattosi carne, ha unito così strettamente la natura divina con quella umana, che l’umiliazione della prima fino alla nostra abiezione è diventata per noi il principio della più sublime elevazione.» Ma, per spargere nel mondo intero gli effetti di quel beneficio, la Provvidenza ha preparato l’Impero romano, e ne ha esteso così lontano i confini, da fargli abbracciare nella sua cerchia tutte le genti. – Era infatti una cosa utilissima per il compimento dell’opera progettata che i diversi regni formassero la confederazione d’un unico Impero, affinché la predicazione generale giungesse più presto all’orecchio dei popoli, raccolti com’erano già sotto il regime d’una sola città. » Questa città, disprezzando il divino Autore dei suoi destini, s’era fatta schiava degli errori di tutti i popoli, nel tempo stesso in cui li teneva quasi tutti sotto le sue leggi, e credeva ancora di possedere una grande religione, perché non respingeva nessuna menzogna; ma più fortemente era tenuta legata dal diavolo e più meravigliosamente fu riscattata da Cristo. » Infatti, quando i dodici Apostoli, dopo aver ricevuto con lo Spirito Santo il dono di parlare tutte le lingue, si furono distribuite le varie parti della terra, ed ebbero preso possesso di quel mondo a cui dovevano predicare il Vangelo, il beato Pietro, Principe dell’Ordine Apostolico, ricevette in eredità la roccaforte dell’Impero romano, affinché la Luce della verità che era manifestata per la salvezza di tutte le genti, si diffondesse più efficacemente, irradiando al centro di questo Impero sul mondo intero. » Quale nazione, infatti, non contava numerosi rappresentanti in quella città? Quali popoli avrebbero mai potuto ignorare ciò che Roma aveva loro insegnato? Qui dovevano essere battute le opinioni della filosofia; qui sarebbero state distrutte la vanità della sapienza terrena; qui sarebbe stato confuso il culto dei demoni e distrutta infine l’empietà di tutti i sacrifici, in quello stesso luogo in cui una stuta superstizione aveva radunato tutto ciò che i diversi errori avevano potuto produrre. » Non temi tu dunque, o beato Apostolo Pietro, di venire solo in questa città? Paolo Apostolo il compagno della tua gloria, è ancora intento a fondare altre Chiese; e tu ti immergi in questa foresta popolata di bestie feroci, avanzi su questo oceano il cui fondo è pieno di tempeste, con più coraggio di quando camminasti sulle acque. Non hai timore di Roma, la dominatrice del mondo, tu che nella casa di Caifa avevi tremato alla voce d’un servo del sacerdote. – Il tribunale di Pilato o la crudeltà dei Giudei erano forse più temibili della potenza di Claudio o della ferocia di Nerone? No; ma la forza del tuo amore vinceva il timore, e non avevi paura di quelli che t’eri impegnato di amare. Senza dubbio avevi già avuto il sentimento di quell’intrepida carità il giorno in cui la professione del tuo amore verso il Signore fu sanzionata dal mistero della triplice domanda. Cosicché non si richiese altro alla tua anima se non che, per pascere le pecore di Colui che amavi, il tuo cuore effondesse per esse la sostanza di cui era ripieno. » La tua fiducia, è vero, doveva aumentare al ricordo dei numerosi miracoli che avevi operati, dei preziosi doni della grazia che avevi ricevuti, e delle esperienze molteplici della virtù che risiedeva in te. Tu avevi già ammaestrato i Giudei che avevano creduto alla tua parola; avevi fondato la Chiesa d’Antiochia, dove ebbe i suoi inizi la dignità del nome Cristiano ; avevi sottomesso alle leggi della predicazione evangelica il Ponto, la Galazia, la Cappadocia, l’Asia e la Bitinia; e allora, certo del progresso della tua opera e della durata della tua vita, venisti ad innalzare sulle mura di Roma il trofeo della croce di Cristo, proprio là dove i consigli divini avevano predisposto per te l’onore della potenza sovrana e la gloria del martirio » (P. L. voi. 54, c. 423-425). – L’avvenire del genere umano mediante la Chiesa è dunque fissato a Roma, e i destini di questa città sono per sempre comuni con quelli del sommo Pontefice. Diversi per razza, per lingua, per interessi, noi tutti, figli della Chiesa, siamo Romani nell’ordine della religione; questo titolo ci unisce mediante Pietro a Gesù Cristo, e forma il legame della grande fraternità dei popoli e degli individui cattolici.

Gloria della Roma cristiana.

Gesù Cristo per mezzo di Pietro e Pietro per mezzo del suo successore ci reggono nell’ordine del governo spirituale. Ogni pastore la cui autorità non emana dalla Sede di Roma, è un estraneo, un intruso. – Così pure nell’ordine della credenza Gesù Cristo per mezzo di Pietro e Pietro per mezzo del suo successore ci impartiscono la dottrina divina e ci insegnano a distinguere la verità dall’errore. – Qualunque simbolo di fede, qualunque giudizio dottrinale, qualunque insegnamento contrario al Simbolo, ai giudizi e agli insegnamenti della Sede di Roma, viene dall’uomo e non da Dio, e dev’essere respinto con orrore ed anatema. Nella festa della Cattedra di san Pietro in Antiochia, parleremo della Sede Apostolica, come unica fonte del potere di governo nella Chiesa. Oggi, onoriamo la Cattedra romana come l’origine e la regola della nostra fede. Prendiamo ancora qui le eloquenti parole di san Leone (Serm. 4) e interroghiamolo sui titoli di Pietro all’infallibilità dell’insegnamento. Impareremo da questo grande Dottore a misurare la forza delle parole che Cristo pronunciò perché fossero il principale motivo della nostra adesione per tutta la durata dei secoli. – « Il Verbo fatto carne era venuto ad abitare in mezzo a noi, e Cristo si era consacrato interamente alla riparazione del genere umano. Non c’era nulla che non fosse regolato dalla sua sapienza, o che fosse superiore al suo potere. Gli elementi gli obbedivano, e gli Spiriti angelici erano ai suoi ordini; il mistero della salvezza degli uomini non poteva non giungere ad effetto, poiché, era lo stesso Dio, nella sua Unità e nella sua Trinità, che si degnava di occuparsene. Tuttavia in questo mondo, solo Pietro è scelto per essere preposto alla vocazione di tutte le genti, a tutti gli Apostoli, a tutti i Padri della Chiesa. Nel popolo di Dio, vi saranno parecchi sacerdoti e parecchi pastori; ma Pietro reggerà, con un potere che gli è proprio, tutti quelli che Cristo stesso governa in una maniera ancora più elevata. Quale grande e meravigliosa partecipazione del suo potere Dio si è degnato di dare a quest’uomo, fratelli diletti! Se ha voluto che vi fosse qualcosa di comune fra lui e gli altri pastori, l’ha fatto a condizione di dare a questi, per mezzo di Pietro tutto ciò che non voleva loro rifiutare. » Il Signore chiede a tutti gli Apostoli quale idea gli uomini abbiano di lui. Gli Apostoli sono concordi, finche si tratta di esporre le diverse opinioni dell’ignoranza umana. Ma quando Cristo giunge a chiedere ai suoi discepoli quello che pensano essi stessi, il primo a confessare il Signore è colui che è anche il primo nella dignità apostolica. – È lui che dice : Tu sei il Cristo, Figlio del Dio vivo. Gli risponde Gesù: Beato te, O Simone, figlio di Giona, poiché né la carne né il sangue ti hanno rivelato queste cose, ma il Padre mio che è nei cieli. – Cioè: Sì, tu sei beato, poiché il Padre mio ti ha ammaestrato; i pensieri della terra non ti hanno indotto in errore, ma ti ha illuminato l’ispirazione del cielo. Non già la carne e il sangue, ma Colui stesso del quale Io sono il Figlio unigenito, mi ha rivelato a te. Ed Io, aggiunge, ti dico: Come il Padre mio ti ha svelato la mia divinità, Io a mia volta ti farò conoscere la tua grandezza. Poiché tu sei Pietro, cioè, come Io sono la Pietra incrollabile, la Pietra angolare che unisce i due muri, il Fondamento tanto essenziale che non se ne potrebbe costituire un altro, così tu pure sei Pietro, poiché sei basato sulla mia solidità, e le cose che sono proprie a me per la potenza che in me risiede sono comuni anche a te per la partecipazione che io te ne faccio. E su questa pietra fonderò la mia Chiesa; e le porte dell’inferno non prevarranno contro di essa. Sulla solidità di questa pietra, io fonderò il tempio eterno; e la mia Chiesa, il cui fastigio salirà fino al cielo, s’innalzerà sulla fermezza di questa fede. » Alla vigilia della sua Passione, che doveva essere una prova per la costanza dei discepoli, il Signore disse quest’altre parole: “Simone, Simone, satana ha chiesto di macinarti come il frumento; ma Io ho pregato per te, perché non venga meno la tua fede. Quando poi sarai convertito, conferma i tuoi fratelli. Il pericolo della tentazione era comune a tutti gli Apostoli; tutti avevano bisogno dell’aiuto della protezione divina, poiché il diavolo aveva proposto di agitarli tutti e di annientarli. Tuttavia il Signore prende una cura speciale per il solo Pietro; le sue preghiere sono per la fede di Pietro, come se la salvezza degli altri fosse già sicura, per il fatto stesso che non verrà abbattuto l’animo del loro Principe. È dunque su Pietro che si baserà il coraggio di tutti e l’aiuto della grazia divina sarà disposto affinché la solidità che Cristo attribuisce a Pietro sia attraverso Pietro conferita agli Apostoli» (P. L. voi. 54, c. 149-152).

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L’infallibilità del Vicario di Cristo.

In un altro discorso (Serm. 3), l’eloquente Dottore ci fa vedere come Pietro vive ed insegna sempre nella Cattedra Romana. « La disposizione data da Colui che è la Verità stessa, permane dunque sempre, e il beato Pietro, conservando la solidità che ha ricevuta, non ha mai abbandonato il timone della Chiesa. Perché è tale il posto dato a lui al disopra di tutti gli altri, che, quando è chiamato Pietro, quando è proclamato Fondamento, quando è costituito Portinaio del Regno dei cieli, quando è nominato Arbitro per legare e sciogliere con una forza tale nei suoi giudizi che questi vengono ratificati anche in cielo, noi siamo in grado di conoscere, attraverso il mistero di così sublimi titoli, il legame che lo univa a Cristo. Ora egli compie con maggior pienezza e potenza la missione che gli è stata affidata; e tutte le parti del suo ufficio e del suo incarico le esercita in Colui e con Colui dal quale è stato glorificato. » Se dunque, su questa Cattedra, facciamo qualcosa di buono, se decretiamo qualcosa di giusto, se le nostre preghiere quotidiane ottengono qualche grazia dalla misericordia di Dio, è per effetto delle opere e dei meriti di colui che vive nella sua sede e vi agisce con la sua autorità. Egli ce lo ha meritato, fratelli diletti, con la confessione che, ispirata al suo cuore di Apostolo da Dio Padre, ha superato tutte le incertezze delle opinioni umane, ed ha meritato di ricevere la fermezza della Pietra che nessun assalto potrebbe scuotere. – Ogni giorno in tutta la Chiesa, è Pietro che dice: Tu sei il Cristo, Figlio del Dio vivo, e ogni lingua che confessa il Signore è guidata dal magistero di quella voce. E questa fede che vince il diavolo, e spezza i legami di coloro che egli tiene prigionieri. È essa che introduce in cielo i fedeli quando escono da questo mondo; e le porte dell’inferno non possono prevalere contro di essa. La forza divina che la garantisce, infatti, è tale che mai la perversità eretica l’ha potuta corrompere, né la perfidia pagana sopraffarla » (P. L. voL 54, c. 146). Così parla san Leone. « Non si dica dunque, esclama Bossuet nel suo Sermone sull’Unità della Chiesa, non si dica e non si pensi che questo ministero di san Pietro finisce con lui: ciò che deve servire di sostegno ad una Chiesa eterna, non può mai aver fine. Pietro vivrà nei suoi successori, Pietro parlerà sempre nella sua Cattedra: è quanto dicono i Padri ed è quanto confermano seicentotrenta Vescovi nel Concilio di Calcedonia ». E ancora: « Così la Chiesa Romana è sempre Vergine, la fede Romana è sempre la fede della Chiesa; si crede sempre quello che si è creduto, la stessa voce risuona dappertutto, e Pietro rimane, nei suoi successori, il fondamento dei fedeli. – È Gesù Cristo che l’ha detto; e il cielo e la terra passeranno, ma la sua parola non passerà ».

Pietro continuato nei suoi successori.

Tutti i secoli cristiani hanno professato questa dottrina dell’infallibilità del Romano Pontefice che guida la Chiesa dall’alto della Cattedra Apostolica. La si trova insegnata espressamente negli scritti dei santi Padri, e i Concili ecumenici di Lione e di Firenze si sono pronunciati, nei loro atti, in un modo abbastanza chiaro per non lasciare alcun dubbio ai cristiani di buona fede. Tuttavia, lo spirito di errore, con l’aiuto di sofismi contraddittori e presentando sotto falsa luce alcuni fatti isolati e mal compresi, tentò, per troppo tempo, di far cambiare idea ai fedeli d’un paese devoto del resto alla sede di Pietro. L’influenza politica fu la prima causa di quella triste scissione, che l’orgoglio di scuola rese troppo durevole. L’unico risultato ottenuto fu quello di indebolire il principio di autorità nelle regioni in cui essa regnò, e di perpetuarvi la setta giansenista, i cui errori erano stati condannati dalla Sede Apostolica. Gli eretici ripetevano, dopo l’Assemblea di Parigi del 1682, che i giudizi che avevano messo al bando le loro dottrine non erano neanch’essi irrefutabili. Lo Spirito Santo che anima la Chiesa ha infine estirpato quel funesto errore. Nel Concilio Vaticano ha dettato la sentenza solenne la quale dichiara che d’ora in poi chiunque si rifiutasse di riconoscere come infallibili i decreti emessi solennemente dal Pontefice romano in materia di fede e di morale cessa per ciò stesso di far parte della Chiesa Cattolica. Invano l’inferno ha tentato di ostacolare gli atti dell’augusta assemblea, e se il Concilio di Calcedonia aveva esclamato: «Pietro ha parlato per bocca di Leone»; se il terzo Concilio di Costantinopoli aveva ripetuto : « Pietro ha parlato per bocca di Agatone »; il Concilio Vaticano ha proclamato: « Pietro ha parlato e parlerà sempre per bocca del Romano Pontefice ». – Pieni di riconoscenza per il Dio di verità che si è degnato di elevare e garantire da ogni errore la Cattedra romana, ascolteremo con umiltà di spirito e di cuore gli insegnamenti che ne emanano. Riconosceremo l’azione divina nella fedeltà con cui questa Cattedra immortale ha saputo custodire la verità senza macchia per diciannove secoli, mentre le Sedi di Gerusalemme, d’Antiochia, d’Alessandria e di Costantinopoli hanno potuto appena custodirla per qualche centinaia di anni, e sono diventate l’una dopo l’altra le cattedre di pestilenza di cui parla il Profeta.

La Fede della Chiesa.

In questi giorni consacrati ad onorare l’Incarnazione del Figlio di Dio e la sua nascita dal seno d’una Vergine, richiamiamo alla nostra mente che dobbiamo alla Sede di Pietro la conservazione di quei dogmi che costituiscono il fondamento di tutta la nostra Religione. Non soltanto Roma ce li ha insegnati per mezzo degli Apostoli ai quali affidò la missione di predicare la fede nelle Gallie; ma quando le tenebre dell’eresia tentarono di gettare la loro ombra su così sublimi misteri, fu ancora Roma che assicurò il trionfo della verità con la sua suprema decisione. A Efeso, dove si trattava, condannando Nestorio, di stabilire che la natura divina e la natura umana in Cristo non formano che una sola ed unica persona e che di conseguenza Maria è veramente Madre di Dio; a Calcedonia, dove la Chiesa doveva proclamare contro Eutiche la distinzione delle due nature nel Verbo incarnato. Dio e uomo, i Padri dei due Concili ecumenici dichiararono che non facevano altro che seguire nella loro decisione la dottrina trasmessa loro dalle lettere della Sede Apostolica. – Questo è dunque il privilegio di Roma, di provvedere mediante la fede agli interessi della vita futura, come provvedé con le armi, per lunghi secoli, agli interessi della vita presente, nel mondo allora conosciuto. Amiamo ed onoriamo questa città Madre e Maestra, nostra patria comune, e con cuore fedele celebriamo oggi la sua gloria. Noi siamo dunque fondati su Gesù Cristo nella nostra fede e nelle nostre speranze, o Principe degli Apostoli, poiché siamo fondati su te che sei la Pietra che egli ha posta. Siamo dunque le pecore del gregge di Gesù Cristo, poiché obbediamo a te come a nostro pastore. – Seguendo te, o Pietro, siamo dunque certi di entrare nel Regno dei cieli, poiché tu ne possiedi le chiavi. Quando ci gloriamo di essere le tue membra, o nostro Capo, possiamo considerarci come le membra di Gesù Cristo stesso, poiché il Capo invisibile della Chiesa non riconosce altre membra se non obbediamo ai suoi ordini, è la tua fede, o Pietro, che noi professiamo, sono i tuoi comandi che noi seguiamo; poiché se Cristo insegna e governa in te, tu insegni e governi nel Pontefice Romano. Siano dunque rese grazie all’Emmanuele che non ha voluto lasciarci orfani, ma prima di tornare in cielo si è degnato di assicurarci, fino alla consumazione dei secoli, un Padre e un Pastore. La vigilia della sua Passione, volendo amarci sino alla fine, ci lasciò il suo corpo per cibo e il suo sangue per bevanda. Dopo la sua gloriosa Resurrezione, sul punto di salire alla destra del Padre, mentre gli Apostoli erano riuniti intorno a lui, costituì la sua Chiesa come un immenso gregge, e disse a Pietro: Pasci le mie pecore, pasci i miei agnelli. – In tal modo, o Cristo, assicuravi la perpetuità di quella Chiesa; costituivi nel suo seno l’unità, la sola che potesse conservarla e difenderla dai nemici esterni ed interni. Gloria a te, o divino architetto, che hai fondato sulla Pietra solida il tuo immortale edificio! Hanno imperversato i venti, si sono scatenate le bufere, l’hanno percossa rabbiosamente i marosi, ma la casa é rimasta in piedi, poiché era fondata sulla roccia (Mt. VII, 25). – O Roma, in questo giorno in cui tutta la Chiesa proclama la tua gloria e si rallegra di essere fondata sulla tua Pietra, ricevi le nuove promesse del nostro amore, i nuovi giuramenti della nostra fedeltà. – Tu sarai sempre la nostra Madre e la nostra Maestra, la nostra guida e la nostra speranza. La tua fede sarà per sempre la nostra, poiché chiunque non é con te, non è neanche con Gesù Cristo. In te tutti gli uomini sono fratelli, e non sei per noi una città straniera, né il tuo Pontefice un sovrano straniero. Noi viviamo per te della vita del cuore e dell’intelligenza; e tu ci prepari ad abitare un giorno quell’altra città di cui sei l’immagine, la città celeste di cui costituisci l’ingresso. – Benedici, o Principe degli Apostoli, le pecore affidate alla tua custodia, ma ricordati, di quelle che sono sventuratamente uscite dall’ovile. Lontano da te, popoli interi che tu avevi nobilitati e civilizzati per mezzo dei tuoi successori, languiscono e non sentono ancora l’infelicità di essere lontani dal Pastore. Lo scisma raffredda e corrompe gli uni; l’eresia divora gli altri. Senza Cristo visibile nel suo Vicario, il Cristianesimo diventa sterile e a poco a poco svanisce. Le audaci dottrine che tendono a diminuire l’insieme dei doni che il Signore ha elargiti a colui che deve farne le veci fino al giorno dell’eternità, hanno per troppo tempo inaridito i cuori di quelli che le professavano; troppo spesso esse li hanno portati a sostituire il culto di Cesare al servizio di Pietro. Guarisci tutti questi mali, o Pastore supremo! – Accelera il ritorno delle genti separate; affretta la caduta dell’eresia del xvi secolo; apri le braccia alla tua figlia, la Chiesa d’Inghilterra, e che essa rifiorisca come negli antichi giorni. Scuoti sempre più la Germania e i regni del Nord, e che tutti quei popoli si accorgano che non vi è più salvezza per la fede se non all’ombra della tua Cattedra. Rovescia il mostruoso colosso del Settentrione, che pesa insieme sull’Europa e sull’Asia, e scardina dovunque la vera religione del tuo Maestro. Richiama l’Oriente alla sua antica fedeltà, e che esso riveda dopo così lunga eclisse, le sue Sedi Patriarcali risorgere nell’unità della sottomissione all’unica Sede Apostolica. – E infine mantieni noi che, per divina misericordia e per effetto della tua paterna tenerezza, siamo rimasti fedeli, nella fede Romana, nell’obbedienza al tuo successore. Istruiscici nei misteri che ti sono affidati; rivelaci ciò che il Padre celeste ha rivelato a te stesso. Mostraci Gesù, tuo Maestro; guidaci alla sua culla, affinché dietro il tuo esempio, e senza essere scandalizzati dai suoi abbassamenti, abbiamo la fortuna di dirgli come te: Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente!

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Questo è pertanto un giorno straordinario di preghiera per il nostro Santo Padre in esilio, S. S. Gregorio XVIII, eletto dopo Gregorio XVII, cardinal Siri, unico e legittimo successore di Pietro, al quale dobbiamo tutto il nostro amore ed il supporto spirituale che la sua difficile situazione richiede. Per noi cattolici romani, questo è un obbligo di primaria importanza e fondamentale nell’economia della nostra salvezza perché, come Dom Guèranger ricordava, l’accesso al regno dei cieli passa necessariamente attraverso l’adesione fedele ed obbediente a Pietro, che solo ne permette l’ingresso, perché solo a lui il Cristo-Dio ha dato le chiavi che aprono le porte del Regno della eterna felicità. È Pietro che ci introdurrà nel Regno dei cieli! Beato sia Pietro, il Principe degli Apostoli.

J.-J. GAUME: La profanazione della DOMENICA [lett. IX]

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LETTERA IX.

IL LAVORO DELLA DOMENICA:

ROVINA DELLA DIGNITÀ UMANA.

25 maggio.

I

Signore e caro amico,

Voi mi fate, signore, sapere, che non siete stato nominato membro della commissione del budget [tipo le attuali commissioni del bilancio]: io ve ne felicito. Sembrami che niente deve esser più sgradevole d’un somigliante titolo. Ecco, eccetto errore, lo stato dei vostri onorevoli colleghi che ne sono rivestiti. Urtarsi la lesta contra i muri d’una segreta, attaccare le piramidi a colpi di spilla ; egli è così che l’immaginazione mi dipinge la fatica loro. Parliamo senza figure: esser mandatarj d’un popolo acciaccato di tributi; non essere accreditato per lui che per alleggerire il proprio fardello; aver promesso d’eseguirlo; averne la volontà, e vedersi colpito d’impotenza; questo non è tutto: aver dinanzi gli occhi un baratro spalancato, dove alcuni gradi di meno al termometro della confidenza sono sufficienti per ingoiare l’onore e la fortuna della nazione; esser condannati durante mesi interi a ritagliare, raspollare di qua e di là sovra lutti i pubblici servigj qualche centinaio di mille franchi; e poi da ultimo esser ridotti a venire a presentare al popolo queste insignificanti economie, come le sole riduzioni possibili in sulla massa enorme delle spese, e a dirgli per tutta consolazione: soffrite e pagate, havvi egli mai un incarico più penoso? Risento io tale pena, ed infino ad un certo punto comprendo simile impossibilità. – Da una parte, l’organizzazione rivoluzionaria della Francia fatalmente conduce all’aumento della spesa pubblica dall’altra parte, io credo, come lo si dice, che delle riduzioni seriose non possono effettuarsi che sopra due budgets: Il budget della guerra, e quello della marina, le cui cifre annuali rimontano a sei o settecento milioni. Ma io credo altresì che, nelle circostanze, nelle quali si trova l’Europa, queste riduzioni non sono possibili. Ridurre, è disarmare, disarmare è abbandonare la società al comunismo. D’un altro canto, non disarmare, si è correre al fallimento: fallimento, o barbarie, tale n’è l’alternativa. Rimane non pertanto un mezzo di scampo: quest’ è attaccare un terzo budget, il quale ingrossa ogni anno, ed a cui non mai si stese mano; un budget che ci divora direttamente, ed al minimo, più di cento milioni per anno; un budget, che ci sforza a tener gli altri al massimo: questo è il budget dell’immoralità, profuso principalmente all’osteria, e sostenuto sopratutto per la profanazione della domenica. Non l’ignoro, non si otterrà tutto in un giorno; ma, per valermi d’un espressione adusata alla Camera, havvi certamente qualche cosa da operarsi, dappoiché, voi ne siete in grado, fate adunque, fate prontamente, fate seriamente. Imprimetetelo bene in mente; una legge veramente morale sarà la migliore legge d’economia, la migliore legge in sulle casse di pensione, la migliore legge sopra l’assistenza pubblica, la migliore di tutte le leggi sul miglioramento della sorte delle classi lavoratrici. Senza ciò, le altre produrranno nulla, nulla, nulla: quid proficiunt vanae leges sine moribus? – Io spero di mostrarvi più lardi che volere è lo stesso che potere, dovendo in questo momento entrare nel soggetto della mia epistola, e stabilire che la profanazione della domenica è la rovina dell’umana dignità.

II.

La questione è d’estrema importanza, non solamente dal punto di vista religioso, ma eziandio al punto di vista puramente umano, in verità, per poco che vogliate riflettervi, signore e caro amico, voi vedrete che le società cristiane sono tutte fondate in sul dogma dell’umana dignità, per conseguenza sopra il rispetto dell’uomo per l’uomo, e dell’uomo per se stesso. Rigeneratesi col Battesimo, quelle ricevettero il sentimento, e la conoscenza di questa grande legge. Iddio in persona era disceso dal cielo per loro annunciare: “L’uomo è mio figliuolo; egli è un non so che di cotanto grande, ch’ io stesso non lo tratto, se non con un profondo rispetto; la sua libertà è per me una cosa sacra, la quale giammai io violento ([“Cum magna reverentia disponis nos”]. (Stop. XII, 18.) – [“Reliquit illum in manu consilii sui”. (Eccl., XV, 14.)]. Àgli occhi della mia sovrana giustizia, l’inferno co’suoi eterni supplizj non è troppo per’ punire il colpevole, il quale per le sue parole, o pe’ suoi atti osa attentare alla sua dignità personale od a quella del suo fratello; questo fratello fosse egli pure un tenero pargoletto, il più povero e l’ultimo degli uomini [“Si quis autem templum Dei violaverit, disperdet illum Deus. Templum enim Dei sanctum est, quod estis vos”. (I. Cor. III, 17.) – “Qui autem dixerit fratri suo rara: reus erit concilio. Qui antem dixerit fatue: reus erit gehennae ignis”. (Matth., V, 22.) – Et quisquis scandalizerit unum ex pusillis credcntìbus in me, bonum est ei magis si circumdaretur mola asinaria collo eius, et in mare mitteretur”. (Marc., IX, 41)]. – Questa carta divina, una volta concessa, due voci s’innalzarono prestissimamente per promulgarla di generazione in generazione, e queste due voci giammai cessarono di farsi intendere: la voce della madre al focolare, la voce della Chiesa nel tempio. Ed ecco che la prima nozione che fu data al mortale, questa è la nozione dell’umana dignità. In su tutti i punti del globo, sopra le ginocchia d’ogni genitrice, il bimbo balbetta da diciotto secoli questi sublimi molti: “Nostro Padre che è nel cielo; io sono Figliuolo di Dio”. – Ma non basta che ’l mortale conosca la sua dignità, è necessario che se ne sovvenga, e che conformi la sua condotta al sentimento che n’ha: nobiltà obbliga. Sotto siffatta considerazione, l’Eterno, che conosceva e la debolezza dell’uomo e le ignobili passioni da cui è stretto, vuole pur che questi consacri un giorno sovra sette per riflettere intorno alla sua dignità, per riparare le tacche, dalle quali essa poté essere lesa, per rinvigorire le forze, di cui abbisogna per sostenerla. – Qual alto insegnamento non è questo stesso precetto! – Donandolo all’uomo, Iddio gli disse per questo solo fatto: « Tu sei il più nobile degli esseri; imperocché tu sei l’immagine mia in mezzo dell’universo, il quale Io ti ho assegnato per impero. Artigiano del mondo, io lavorai durante sei giorni, e nel settimo, glorioso della perfezione di mia opera, sono rientrato nel mio eterno riposo. Tu pure, lavorando a mio esempio, per sei giorni, ti creerai un mondo di meraviglie in questo mondo che tu abiti. Tu li costruirai case e palazzi; tu abbellirai il tuo domicilio d’ogni opera del genio; tu ti procurerai, per tua industria, tutto quello che può conservar la tua esistenza, ed anche contribuire a’ tuoi piaceri. Quando giungerà il settimo, tu, figliuolo di Dio, ti ricorderai del Padre tuo. Comò Io, tu volgerai uno sguardo in sulle tue opere; e rientrerai in un santo riposo; poi allora quando il corso di tua mortal vita sarà finito, verrai a riunirti a me nel riposo dell’eternità, di cui il riposo settenario ò tutto insieme la condizione e l’immagine » [“Et requievit Deus die septima ab omnibus operibus suis … Itaque relinquitur sabbatismus populo Dei. Qui enim ingressus est in requiem eius, etiam ipse requievit ab operibus suis, sicut a suis Deus”. (Hebr., IV, 4, 9, 10]. A siffatta considerazione quanto l’uomo è mai grande! Quale alta moralità presiede alle sue opere: docili a questa luminosa parola, le nazioni moderne vennero religiosamente, durante lunghi secoli, ad ascoltare la Chiesa Cattolica, che la spiegava loro ne’suoi templi, e ’il sentimento cristiano dell’umana dignità s’insinuò profondamente nelle anime. Di quivi pullularono, colla purità de’ costumi, e la santità del matrimonio, le cure per gli esseri deboli, i riguardi per gl’infelici, la salvezza pel fanciullo, la libertà per la donna, la carità per tutti. Di quivi pur anco, l’abolizione della schiavitù, e l’impossibilità pel dispotismo di radicarsi presso le nazioni tenutesi cattoliche.

III.

Ciò non pertanto sòpravennero giorni tristi, in cui i popoli dimenticarono e ’l riposo settenario e ’l cammino del tempio. Che n’arrivò quindi? Desistendo d’ascoltar la voce della Chiesa, l’uomo cessò d’esser cristiano, e restando d’esser cristiano, smarrì la conoscenza e ’l sentimento della sua dignità. Nonostante i grandi movimenti di progresso, di civilizzazione, d’uguaglianza, d’emancipazione, di perfezionamento e d’altro ancora, io non sono peritoso d’ affermare, che sono quelli di cui, sopra tutto in Francia, difettiamo. Evidentemente noi ritorniamo al paganesimo, lorché il disprezzo di sé e degli altri tocca il suo colmo. Che erano per i fieri borghesi di Roma le frotte di schiavi che si avvinghiavano ai loro piedi? Che erano per i Cesari questi borghesi stessi? Ed i Cesari che erano a propri loro occhi? Quale idea avevano essi dell’umana dignità, e come la rispettavano essi stessi nella propria persona? Orgoglio da una parte, bassezza dall’altra; turpitudine, e disprezzo dovunque; invilimento universale, e per servirmi d’una famigerata espressione, un traffico generale dell’uomo per l’uomo: ecco il quadro che presenta la storia di codesta inqualificante epoca. Poco vi manca che tale sia già la nòstra. – Omettendo le eccezioni dovute all’influenza delle idee cristiane, il mortale presentemente rispetta egli d’assai più il suo simile, rispetta egli se stesso assai che imprima della rigenerazione del Calvario? La superiorità, l’autorità, l’onore, l’innocenza, la libertà, la riputazione, la buona fede, la fortuna, la figliuola, la sposa, l’anima degli altri, sono esse l’Oggetto costante d un sincero rispetto? Ostacolo, o via , non è ciò tutto quello che 1’uomo mira nel suo simile? Ed in se stesso, che vede egli se non un essere creato per godere? E quel procacciarsi voluttà, e voluttà ontose ed ignobili, al prezzo di tulle le bassezze, non h questo il suo vivere? Ch’è dunque mai codesta sì scandalosa e così umiliante mobilità di opinioni e di carattere che rassomiglia 1′ uomo attuale ad un vero camaleonte che si scorge cangiare, dalla mattina alla sera, di condotta e di linguaggio; passare successivamente ne’ campi i più opposti; sostenere con lo stesso ardore il prò ed il contra; abbruciare oggi quello, che jeri adorava; spiegare ogni bandiera; prestare venti giuramenti di fedeltà a tutti i partiti, e non guardarne che un solo, quello di violarli tutti, se 1 suo interesse lo richiede? A che tanti Bruti diventati servi? A che tanti fieri scrittori, non ha guari, liberali, ed empj, sono essi oggigiorno conservatori e religiosi, ed a che domani professeranno contrarj principj? A che la stessa bocca parla essa per edificare e per abbattere? Forse che il bene e ’l male, il vero e il falso, il bianco e il rosso non sono ugualmente ridotti a tariffa? Forse che a sostenerli, secondo le circostanze, non lucrano argento, non gioiscono diletti? La vita è essa mai altra cosa, che una speculazione, e la società non è essa che un copioso bazare, dove tutto si vende, perché tutto sì compera, pur anco la coscienza? – Questo ritratto è forse troppo caricato? Me ne appello agli occhi d’ognuno. Da questo momento non si può dire, addolcendo un molto celebre, che l’Europa attuale è la più grande scuola del disprezzo, che giammai esistita abbia? Ora, disprezzo e rispetto s’escludono, e colà dove non trovasi rispetto, non vi si rinviene più né conoscenza, né sentimento della dignità umana. Tale è, senza replica, una delle piaghe le più profonde della nostra epoca, ed una delle più insormontabili difficoltà della rigenerazione.

IV.

Ho dimostrato l’effetto della profanazione della domenica in sull’umana dignità, nella società in generale. Ciò non basta. Havvi due classi di uomini in sui quali 1’influenza deplorabile del disordine, cui noi combattiamo, si fé’ sentire di una maniera più marcata. Queste due classi sono giustamente quelle che si erano promesso un risultato più vantaggioso dalla violazione del riposo ebdomadario, quelle che ne diedero, e continuano a darne il più scandaloso esempio: voi avete nominalo i padroni e gli operai. Conciossiachè anche a’ nostri dì si tributa ad ogni signore onore e rispetto, cominciamo dai padroni. – Escluse le eccettuazioni, tanto più onorevoli quanto esse sono più rare, cosa è questa nostra borghesia industriale e negoziatrice; codesta borghesia, la quale regnante al banco, al magazzino, all’usina, alla manifattura, al laboratorio, alla filatura; codesta borghesia, la quale, divenuta l’aristocrazia dell’argento, e la sovrana del paese, s’impadronì di tutte le cariche, dal Sindacato del villaggio insino alla rappresentazione nazionale; che scrive, che emana leggi, che amministra, che piatisce, che giudica, che insegna; che infino alla rivoluzione di febbrajo, e dopo, diè gomitate a lutto il mondo per farsi ceder luogo, e fortissimamenìe vocifera a tutto ciò che non è dessa: Levati di quivi, che mi vi metto io; qual è codesta borghesia? Una verga d’argento. – Dopo i liberti della vecchia Roma, conoscete voi nell’istoria una genia di persone più cupide, più limitate, più dure, più vanitose, più gelose, più empie, più aliene ad ogni sentimento elevato, ad ogni pensiero generoso? Qual veri Cinesi dell’Occidente, costoro oltrepassato hanno i loro confratelli d’Oriente. Questi, diceva non è gran pezza uno d’infra loro, ammettono quattro verità : pecchiare, pappare, digerire e dormire (1); i nostri non ne ammettono che una: guadagnare del danaro. Se rifiutano essi di riconoscersi a somiglianti lineamenti, contemplino la Francia, quella Francia che fu in varii tempi la derisione, la pietà e lo spavento delle nazioni : codesta non è soltanto l’opera loro, sebbene la loro immagine. Quale dignità! 0 matre pulchra, filia pulchrior! Del resto, che la borghesia francese non prenda punto per essa sola le mie parole, queste si rivolgono a tutta la borghesia europea. – Il delineare siffatto ritratto m’amareggia l’animo, signore e caro amico, perché desso è troppo rassomigliante. Questo non è un rimprovero che io faccia, ma una disgrazia, che deploro; egli non è l’odio che io provochi, sebbene la compassione, la quale io imploro. Se io segnalo difetti, che invano si negherebbero, egli si è per indicarne la cagione e ‘1 rimedio. Quando il pilota, sapendolo od ignorandolo, spinge la nave contra gli scogli, i passeggeri non sono forse in diritto di riprendernelo e dirgli: voi ci perdete? Ecco adunque lo stato d’avvilimento, per non impiegare un’espressione più forte, in cui è discesa una classe cotanto numerosa, e d’ altronde cotanto interessante della società. Come mai s’è essa materializzata a questo segno? Occupandosi esclusivamente della materia, e nulla facendo per ispiritualizzarsi, cioè consacrandosi ostinatamente, e perseverantemente al lavoro materiale anche ne’ giorni divinamente destinati alle opere morali; in una parola, profanando la domenica da sessanta anni. Se tale non è la sorgente esclusiva della degradazione, che ci affligge, non v’è un osservatore, il quale non ne convenga, ch’essa ne diventa, per lo meno, la più efficace.

V.

Che soggiugnerò io dell’operaio? Ah! egli è desso sopratutto che ne viene digradato violando la legge sacra del riposo settimanale. Voi avete senza dubbio osservato, signore e caro amico, che in tutti i comandamenti di Dio, la dignità di padre è sempre molto più distinta di quella del legislatore : direbbesi che l’Eterno non è legislatore se non perché desso è padre. Per entro mille, il precetto della preghiera e del riposo settenario ne diviene una pruova commovente. Scandagliando tutti i misterj dell’avvenire, l’Onnipotente vide dal principio l’uomo, sì felice all’uscire della culla, subissarsi nel1’abisso delle disgrazie, ed inabissar visi per propria colpa. Egli lo vide piegantesi sotto il giogo d’un lavoro penoso, incurvato verso la terra, trascinante dietro sé la lunga e pesante catena dell’ansietà. – Egli vede questo nobile figliuolo scendere in ciascun giorno d’un grado nell’ordine morale. Il suo pensiero s’affralisce sotto il peso delle terrestri necessità; i suoi sentimenti s’abbassano al livello del suolo che calca co’piedi; la sua fronte stessa sembra aver perduto il carattere sublime di cui era stata adornata. À codesta condizione, di già così dura, egli mira l’egoismo aggiungere le sue crudeli esigenze, ed obbligare il povero a consumarsi in un lavoro che non conosce riposo, di quello in fuori cagionato dalla malattia, e dal rifinimento prematuro della natura. – Che fece questo Dio legislatore e padre? Sopra selle giorni di fatica, Egli ne volò uno al riposo del suo figliuolo. Egli, Egli stesso propalò quest’ordine che sarà irremovibile, che sarà sacro tanto pel ricco quanto pel povero, e lo contrassegnò del suo nome: Io Signore, ego Dominus, Poi denominando la Chiesa sua sposa, le dice: Andate, ed annunciate a questi poveri operai: « Al nome del re de’ cieli, di cui voi siete figliuoli, prendete in un giorno almeno l’attitudine e l’andamento conveniente alla vostra origine. – Voi siete stati creati per regnare in sulla natura: sovvenitevene voi oggi. Voi siete nati per riposarvi gloriosamente nel seno dell’immortalità, venite ad impararlo nella mia magione. Venite, ed Io vi farò seder nel mezzo de’vostri padroni; io vi riceverò alla stessa mensa; Io vi darò il medesimo pane e il medesimo calice: Io vi offrirò i medesimi consigli, e i medesimi gaudj. La vostra anima, a’ miei occhi è preziosa al par di quella di un principe ; ambedue ed al medesimo titolo voi siete miei figliuoli; ma se io debbo una preferenza di tenerezza, egli è a colui ch’è povero e piccolo ». Docili a questa voce sì dolce, le classi lavoratrici si mostrarono, durante un lungo seguito di secoli, i più premurosi a riunirsi nei templi, a gustare il riposo salutare, che era stato preparato, a raccogliere le consolanti lezioni, le quali loro venivano comunicate, ed a partecipare delle gioie sì pure, le quali loro erano offerte. Moralizzate, nobilitate e consolate dalla religione, queste classi, divise in mille corporazioni, furono veramente il nerbo della Francia, e ’l fondamento della gloria di lei. La rivoluzione dell’89, le trovò generalmente fedeli alle credenze ed alle abitudini cattoliche. Per difendere questa nobile eredità, esse ebbero numerosi martiri. – Vittoriosa l’empietà pel terrore, non si fece punto illusione; codesta comprese che 1’unico mezzo d’assicurare il suo trionfo era di scattolizzare la Francia. – Né le parodie sacrileghe de’nostri augusti misterj, né le feste della deessa ragione le parvero bastanti per pervenire alla designala mela. Con questo accorgimento che non mai le mancò, essa instituì le decadi, bandendo pena di morte contra chi non lavorerebbe nella domenica, cioè essa decretò la profanazione permanente del giorno sacro [La prova evidente che l’odio della religione fe’ sostituire il calendario repubblicano al cattolico è scritta con indelebili caratteri ne’ due passi seguenti: un decreto del 13 germinale, an. VI (5 aprile 1798) dice espressamente che « l’osservanza del calendario francese è una delle istituzioni le più atte a far dimeticare il ruggime sacerdotale ». Un messaggio del 18 germinale, an .V JI (8 aprile 1799) arroge « che questo calendario ha per iscopo di sradicare dal cuore del popolo la superstizione, generalizzando in tutti i comuni le feste decadarie »]. Somigliante misura fu calamitosa: le classi operaie, private d’altronde delle loro chiese e de’loro sacerdoti, si disusarono insensibilmente del riposo sacro, epperciò perdettero la salvaguardia della loro fede, la scaturigine delle loro consolazioni, i titoli della loro nobiltà e il sentimento della loro dignità.

VI.

Lacrime di sangue, signore e caro amico, v’andrebbero per piangere la digradazione di questo infelice popolo divenuto profanatore della domenica. Che è egli mai agii sguardi de’suoi padroni, al cospetto di coloro stessi che lo spinsero nel precipizio, e che ve lo ritengono? Secondo 1’energica espressione d’un profeta, che non trovò mai una più diritta applicazione, egli è un istrumento, un arnese, una macchina, una bestia da soma [“Comparatus est jumentis insipientibus, – Ps., XLVIII.] – Percorrete le fucine, le manifatture, le fabbriche, i laboraloj, i dominj, le città e le campagne, dove il giorno del Signore non è più conosciuto. Io lo dico, e voi lo direte, come io, con profondo sentimento di pietà, colà, salvo le rare eccettuazioni dovute all’azione secreta del Cristianesimo, 1’artigiano, il coltivatore, l’uomo del popolo, non è più considerato che come una macchina ed una bestia da soma. Macchina a lavorare il terreno, macchina a fabbricare de’tessuti, macchina a battere il ferro, macchina ad affazzonare l’argilla, macchina a piallare il legno od a tagliare la pietra; ma sempre mai macchina. – E la prova è che la stima che gli si accorda si misura al numero, alla facilità ed alla precisione de’movimenti che egli eseguisce. E la prova è che si crede avere adempiuto ad ogni giustizia a riguardo di lui allorquando gli si diede di che riparare le sue forze muscolari, come si versa di tanto in tanto nella ruota di una macchina 1’olio necessario per farla girare. – E la prova è che, una volta rifinito per un lavoro forzato, si licenzia senza misericordia, come si ributta una macchina inservibile. Ma quest’essere ha egli forse un’anima, o no? La delicatezza della sua complessione o de’ suoi sentimenti merita essa de’riguardi, o no? È egli un bestemmiatore, un libertino, o qualche altra cosa? Poco monta! Non havvi che una questione, la quale attentamente si disamina: qual prodotto positivo si può ricavare dalle braccia di lui? Ecco tutto. Sì, ecco tutto, per questa creatura fatta ad immagine di Dio ; ecco lutto per quest’anima immortale riscattata col prezzo d’un sangue divino; ecco tutto per questo figliuolo del cielo, per questo erede presuntivo d’un regno eterno! Ebbi io torto di premettero che il rispetto della dignità umana si è perduto, e che noi ritorniamo al paganesimo?

VII.

Tal è 1’operaio agli occhi di ciascun padrone della scuola inglese, e codesta scuola ha discepoli in ogni parte. Che pensa egli di se stesso, ed in qual conto si tiene? Si crede per quello che divenne. – Ma ciò che havvi di più deplorabile si è, che l’operaio profanatore della domenica non comprende la digradazione, a cui è disceso. Senza difficoltà, egli acceda il ruolo umiliante che a lui viene assegnato. Egli, dimentico d’esser figliuolo dell’Altissimo, accetta di divenire una macchina ed un somaro, secondo un’espressione profetica [“Et similis factus est ìllis” (Ps. XLVIII.) Egli si contenta di pane per mangiare, di vino per bore, d’un giaciglio per accovacciarsi, d’un letto per ripararsi dall’intemperie, e di alcune poche monete per partecipare all’osteria. Se sospiri cose a un altro ordine, se ne può dubitare; imperocché quand’egli, come il somaro, sbramò i suoi appetiti, è contento. L’intendete voi in ciascheduna settimana, trasformando il di della preghiera in giorno di dissolutezza, fare rintronare insino nel mezzo delle notturne tenebre, e nelle sue taverne, e biscazze, e nelle nostre piazze, e contrade de’ canti avvinazzati della sua ignobile prosperità ? Smangiazziamo, trinchiamo, tripudiamo; poiché noi domani morremo. Guardatevi voi, mio caro amico, di volergli indirizzare qualche osservazione, e di richiamarlo ai sentimenti della sua dignità. Egli potrebbe pur rispondere a voi, quello che già fu a me gettato in faccia. « Eh! dite voi che 1’artigiano non deve bere; ed io vi replico che 1’operaio non è punto uno schiavo, e quando esso possiede del danaro, deve bere e godersela. » O dignità umana! Che la sua sposa non faccia mai a lui rimprocci; che giammai costei a lui parli della sua prole sprovveduta di vestimenta e di pane. Ella provocherebbe degli accessi di furore, e tutto quello che otterrebbe da simile uomo, che ne perdè la dignità, sarebbero bestemmie e cattivi trattamenti. – I fatti di siffatto genere sono innumerevoli, ed ognuno può raccontarne moltissimi. Quando anche dovessi commettere una ripetizione, io voglio riportarvene uno, a me particolarmente noto: “ab uno disce omnes”. – Un artigiano metaniere, padre di cinque fanciulli, guadagnava cinque franchi alla giornata. Ricevuta la sua paga, andava sene difilato alla bettola, dove intrattenevasi insino a che li avesse per intero sprecati. Dopo parecchi giorni e parecchie notti d’assenza, rientrava infine nel suo domicilio, e domandava da bere. – Una notte d’inverno, la sua moglie e i suoi pargoli, che sofferivano ugualmente le angosce della fame e i rigori del freddo, ebbero ardire di richiederlo di che comperare un poco di pane e di carbone. Per tutta risposta cotesto sposo, cotesto padre, tal quale li formano la profanazione della domenica e la sua inevitabile compagna, la frequenza de’ridotti, si precipita addosso alla sua donna ed a’suoi figliuoletti, indegnamente li batte e magagna, quindi li caccia in sulla strada: per ultimo, chiudendo a doppio giro la porta in faccia loro, affardella quanto seco può trasportare, se n’esce e scomparisce senza più ritornarvi. – Se questo esempio fosse isolato, io so che se ne potrebbe nulla concludere contro le classi operaie; ma disavventuratamente codesti fatti, tolte leggiere variazioni, divengono talmente numerosi che tostamente non ne costituiranno più per l’innanzi 1’eccezione, ma la regola. – Allora, qual indizio più certo ci si potrà aspettare dell’influenza esercitata pel materialismo profanatore della domenica fra i sentimenti della dignità e dell’umanità, sì estesi altre volte nelle nostre popolazioni francesi!

Gradite, ecc.

Il Papato come mezzo di salvezza.

Riportiamo l’omelia che fr.UK ha tenuto alla Messa del giorno di Natale 2016 al meeting cattolico tenutosi negli Stati Uniti. Un’omelia essenziale, che va diritta al cuore dell’argomento centrale della nostra vita: “la salvezza eterna” senza compromessi e senza rispetti umani., seguendo solo la parola di Dio e del suo Vicario in terra.

tiara

Omelia della Messa del giorno di Natale 2016

Il Papato come mezzo di salvezza.

“Ed Ella partorirà un Figlio e tu Lo chiamerai Gesù: Egli salverà il suo popolo dai suoi peccati”. Ora tutto questo avvenne perché si adempisse quel che il Signore aveva predetto per mezzo del profeta dicendo:..”Ecco la Vergine concepirà e partorirà un figlio, che, sarà chiamato Emmanuele, che significa “Dio con noi” “(Matteo I: 21-23). – Prendiamo in considerazione in questo giorno del santo Natale la verità sui legami tra l’incarnazione di Nostro Signore, il Papato e la nostra salvezza. – Per dirla brevemente, il Papato è un meraviglioso frutto benedetto dell’Incarnazione ed è il mezzo più importante di salvezza. Perché? Saremmo in grado di avanzare molte ipotesi, ma parlando ancora una volta brevemente – vediamo che questa è la volontà di Dio, e questo è il piano di Dio! Noi abbiamo diverse parole del Dio incarnato, e dovremmo prestare particolare attenzione a queste parole: “Voi siete miei amici, se fate le cose che vi comando” (San Giovanni XV,14). – Il contrario della parola “amico” è la parola “nemico”. Quelle persone che fanno le cose che Dio comanda, sono amici di Dio. Ma, al contrario, quelle persone che non fanno le cose che Dio comanda, sono i nemici di Dio. – Uno dei comandamenti di Dio è il seguente: “E Gesù, rispondendo, disse a Pietro: “Beato te, Simone Pietro Bar-Jona, perché non la carne e il sangue te lo hanno rivelato a te, ma il Padre mio che è nei cieli ed Io dico a te: tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa ed Io ti darò le chiavi del regno dei cieli e tutto ciò che legherai sulla terra, sarà legato anche in cielo e tutto ciò che scioglierai sulla terra, sarà sciolto anche nei cieli” (Matteo XVI: 17-19). – Anche nel Vangelo di Giovanni leggiamo le parole che Gesù Cristo ha rivolto a S. Pietro: “Pasci i miei agnelli … Pasci i miei agnelli … Pasci le mie pecore” (S. Giovanni XXI: 15-17). “Qui il Signore compie le sue promesse (Matteo XVI: 17-19) circa la carica di San Pietro nella Soprintendenza di tutte le sue pecore, senza eccezioni, e di conseguenza di tutto il suo gregge, cioè, della propria Chiesa” (Commento nella Sacra Bibbia, DOUAY-RHEIMS VERSION). – La Chiesa di Cristo che Egli ha costruito su di San Pietro, è il corpo di Cristo.- Essendo corpo di Cristo, la Chiesa non può contraddire il capo, cioè Cristo stesso. Ogni parola ed ogni dottrina della Chiesa, corpo di Cristo, è in piena armonia con ogni parola ed ogni dottrina di Gesù Cristo. – Ecco una dottrina molto importante della Chiesa di Cristo: Il glorioso Concilio Vaticano nel 1870 ha infallibilmente dichiarato che San Pietro avrà successori perpetui. Nel lavoro nobile, che i Padri dei primi secoli del Cristianesimo avevano profuso negli scritti per difendere le dottrine della Chiesa contro i loro assalitori, avevano unanimemente stabilito questo chiaro principio: “che tale dottrina è veramente cattolica se si è creduta in tutti i luoghi, in tutti i tempi, e da tutti i fedeli “. – Il sacerdote Redentorista p. Michael Mueller nel 1880 d.C, ha dichiarato: “Con questo test di universalità, la Chiesa nell’antichità, nel cercare il consenso, specialmente nei suoi Concili generali, in tutte le questioni riguardanti la fede e la morale, condannava e respingeva tutte le variazioni dalla fede, e quindi trionfava sempre sull’eresia e sull’infedeltà “. – Papa S. Stefano I (257 d.C.), dice in una lettera alla Chiesa d’Africa: “Nessuno introduca innovazioni, ma lasciate che si osservi tutto quanto viene tramandato dalla tradizione”. E qui va detto che la Tradizione, citata da Papa S. Stefano I, viene tramandata a noi da Dio stesso. Questo significa, che dobbiamo obbedire a questa tradizione. Se qualcuno non obbedisce a questa tradizione, non obbedisce a Dio stesso! – Così, allo stesso modo dobbiamo seguire ogni dottrina che venga della successione perpetua di San Pietro, perché Egli è il Vicario di Cristo, ed obbedirGli è parte essenziale della nostra salvezza. – Quindi, non c’è salvezza al di fuori del Papato, non vi è alcuna Chiesa al di fuori del Papato, e non c’è salvezza al di fuori della Chiesa. “La Chiesa si trova dove è il Papa.” – Perché nel nostro tempo il demonio induce molto facilmente le persone a commettere peccati mortali? Perché le persone rifiutano la successione perpetua di San Pietro, che è il Vicario di Cristo, il Vicario del Figlio di Dio, il Vicario del Dio incarnato! – “Ed ella partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù egli salverà il suo popolo dai suoi peccati.” (Matteo 1,21). “Voi siete miei amici, se fate le cose che vi comando” (San Giovanni XV,14). – Quindi, continuiamo a praticare la nostra vera fede nell’ Incarnazione di Dio nel vero perpetuo successore di San Pietro, il Vicario di Cristo. E questa vera fede continuerà ad aiutarci ad essere gli amici di Gesù,onde essere il suo popolo, per essere salvati dai nostri peccati.

Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, Amen.

Fr. UK

Domenica II dopo l’EPIFANIA

cana

Introitus Ps LXV:4 Omnis terra adóret te, Deus, et psallat tibi: psalmum dicat nómini tuo, Altíssime.

Introito Ps 65:4 Tutta la terra Ti adori, o Dio, e inneggi a Te: canti salmi al tuo nome, o Altissimo. Ps LXV:1-2 Jubiláte Deo, omnis terra, psalmum dícite nómini ejus: date glóriam laudi ejus. [Tutta la terra Ti adori, o Dio, e inneggi a Te: canti salmi al tuo nome, o Altissimo. Ps 65:1-2 Alza a Dio voci di giubilo, o terra tutta: canta salmi al suo nome e gloria alla sua lode].

Orémus. Omnípotens sempitérne Deus, qui coeléstia simul et terréna moderáris: supplicatiónes pópuli tui cleménter exáudi; et pacem tuam nostris concéde tempóribus.

[O Dio onnipotente ed eterno, che governi cielo e terra, esaudisci clemente le preghiere del tuo popolo e concedi ai nostri giorni la tua pace].

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános. Rom XII:6-16 Fratres: Habéntes donatiónes secúndum grátiam, quæ data est nobis, differéntes: sive prophétiam secúndum ratiónem fídei, sive ministérium in ministrándo, sive qui docet in doctrína, qui exhortátur in exhortándo, qui tríbuit in simplicitáte, qui præest in sollicitúdine, qui miserétur in hilaritáte. Diléctio sine simulatióne. Odiéntes malum, adhæréntes bono: Caritáte fraternitátis ínvicem diligéntes: Honóre ínvicem præveniéntes: Sollicitúdine non pigri: Spíritu fervéntes: Dómino serviéntes: Spe gaudéntes: In tribulatióne patiéntes: Oratióni instántes: Necessitátibus sanctórum communicántes: Hospitalitátem sectántes. Benedícite persequéntibus vos: benedícite, et nolíte maledícere. Gaudére cum gaudéntibus, flere cum fléntibus: Idípsum ínvicem sentiéntes: Non alta sapiéntes, sed humílibus consentiéntes. R. Deo gratias.

[Epistola Lettura della Lettera, del B. Paolo Ap. ai Romani. Rom XII:6-16 [Fratelli: Abbiamo doni diversi a seconda della grazia a noi data: chi ha la profezia, se ne serva secondo le norme della fede; chi il ministero, eserciti il ministero; chi ha il dono di insegnare insegni; chi di esortare esorti; chi dà del suo lo faccia con semplicità; chi sta al comando governi con sollecitudine; chi fa opera di misericordia lo faccia con gioia. L’amore sia senza simulazione. Aborrite il male, attenetevi al bene; Vogliatevi bene gli uni gli altri con amore fraterno; Prevenitevi a vicenda nel rendervi onore; Non siate pigri nello zelo; siate ferventi nello spirito; servite il Signore; siate lieti nella speranza; pazienti nella tribolazione; perseveranti nella preghiera: Partecipi delle necessità dei santi: Propugnatori di ospitalità. Benedite i vostri persecutori: benedite e non maledite. Godete con chi è nella gioia, piangete con chi piange: abbiate tra voi gli stessi sentimenti: Non aspirate a cose alte, ma accontentatevi delle umili.]

Evangelium

Sequéntia ✠ sancti Evangélii secúndum Joánnem. R. Gloria tibi, Domine! Joann II:1-11 In illo témpore: Núptiæ factæ sunt in Cana Galilaeæ: et erat Mater Jesu ibi. Vocátus est autem et Jesus, et discípuli ejus ad núptias. Et deficiénte vino, dicit Mater Jesu ad eum: Vinum non habent. Et dicit ei Jesus: Quid mihi et tibi est, mulier? nondum venit hora mea. Dicit Mater ejus minístris: Quodcúmque díxerit vobis, fácite. Erant autem ibi lapídeæ hýdriæ sex pósitæ secúndum purificatiónem Judæórum, capiéntes síngulæ metrétas binas vel ternas. Dicit eis Jesus: Implete hýdrias aqua. Et implevérunt eas usque ad summum. Et dicit eis Jesus: Hauríte nunc, et ferte architriclíno. Et tulérunt. Ut autem gustávit architriclínus aquam vinum fáctam, et non sciébat unde esset, minístri autem sciébant, qui háuserant aquam: vocat sponsum architriclínus, et dicit ei: Omnis homo primum bonum vinum ponit: et cum inebriáti fúerint, tunc id, quod detérius est. Tu autem servásti bonum vinum usque adhuc. Hoc fecit inítium signórum Jesus in Cana Galilaeæ: et manifestávit glóriam suam, et credidérunt in eum discípuli ejus.

[Séguito del S. Vangelo secondo Giovanni. R. Gloria a Te, o Signore! Joann II:1-11 In quel tempo: Vi furono delle nozze in Cana di Galilea, e li vi era la Madre di Gesù. E alle nozze fu invitato anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la Madre di Gesù disse a Lui: Non hanno più vino. E Gesù rispose: Che ho a che fare con te, o donna? La mia ora non è ancora venuta. Disse sua Madre ai domestici: Fate tutto quello che vi dirà. Orbene, vi erano lì sei pile di pietra, preparate per la purificazione dei Giudei, ciascuna contenente due o tre metrete. Gesù disse loro: Empite d’acqua le pile. E le empirono fino all’orlo. Gesù disse: Adesso attingete e portate al maestro di tavola. E portarono. E il maestro di tavola, non appena ebbe assaggiato l’acqua mutata in vino, non sapeva donde l’avessero attinta, ma i domestici lo sapevano; chiamato lo sposo gli disse: Tutti servono da principio il vino migliore, e danno il meno buono quando sono brilli, ma tu hai conservato il vino migliore fino ad ora. Così Gesù, in Cana di Galilea dette inizio ai miracoli, e manifestò la sua gloria, e i suoi discepoli credettero in lui. R. Lode a Te, o Cristo.

Omelia della Domenica II dopo l’Epifania

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. I -1851-]

(Vangelo sec. S. Giovanni II, 1-11)

Gesù onorava di sua presenza un convito di nozze in Cana della Galilea, così ci narra l’odierno Vangelo. Dunque il matrimonio, dice S. Agostino, ha Dio per autore. Dunque il matrimonio, soggiunge S. Paolo, è santo, ed è nella Chiesa di Cristo un gran sacramento. “Sacramentum hoc magnum est… in Christo et in Ecclesia” (ad Ephes.V, 32). Della santità del matrimonio potrei, uditori amatissimi, tenervi ragionamento, se non credessi più profittevole parlarvi di alcuni obblighi annessi allo stato del matrimonio stesso. E per ciò fare il modo facile a intendersi, e ritenersi da tutti, contentatevi ch’io mi serva di cose sensibili, che fissino l’mmaginativa, e possano ritenersi più agevolmente nella memoria de’ meno istruiti. L’arca del Testamento è un simbolo assai espressivo delle obbligazioni del matrimonio. Su quella stavano due Cherubini d’oro, figura de’ due sposi, l’amore e le intenzioni de’ quali devono esser pure come puro è 1″oro. L’arca era formata di legni incorruttibili, simbolo della reciproca inviolabile fedeltà. Nel seno dell’arca si conservavano le tavole della legge data da Dio a Mosè sul Sinai, la verga d’Aronne, e un vaselletto di manna, piovuta già nel deserto (ad Heb. IX,4). In questi ultimi oggetti io raffiguro tre principali obbligazioni de’genitori verso i propri figliuoli: Istruzione, correzione e custodia. Ripigliamo: tavole della Legge, ecco l’istruzione: verga d’Aronne, ecco la correzione: vaselletto di manna, ecco la custodia della propria prole. Ciò ch’io passo ad esporvi con la maggiore a me possibile chiarezza.

I. Due erano, come voi sapete, le tavole della divina legge. Conteneva la prima i comandamenti che riguardano Dio, la seconda quei che al prossimo si appartengono. Padri e madri, siccome il grande Iddio impose a Mosè di promulgare al suo popolo i precetti scritti dal suo dito in quelle tavole, così lo stesso Dio comanda a voi di intimarli, e d’istruirne la vostra prole. Questo comando del Signore esattamente adempì il buon Tobia (IV). “Figliuol mio, diceva sovente all’unico suo figlio, abbi sempre il tuo Dio presente allo spirito, guardati dal trasgredire alcuno dei suoi comandamenti, guardati da qualunque peccato: fa’ volentieri limosina a’ poverelli, e noli far volto duro sopra l’altrui miserie: da’ prontamente agli operai la loro mercede, e non fare ad altri quel male che non vorresti fosse fatto a te. Oh se i padri e le madri con frequenti esortazioni facessero penetrare queste massime sante nell’animo de’ teneri figli, quanto si vedrebbe fiorire nelle città cristiane la Religione e il buon costume! Se tratto tratto dicessero come la madre de’ Maccabei: “figliuoli chi vi ha data la vita, non siam in noi precisamente: Dio è l’autore del vostro essere. Da esso venite, a Lui dovete ritornare. Questa terra, su cui vi ha posti, è un esilio, un luogo di prova. Chi opera il bene avrà Iddio per premio, chi fa il male avrà Dio per nemico. Un po’ più presto, o un po’ più tardi io e voi dovremo sloggiare di questo mondo, e comparire al suo tremendo giudizio; il peccato è quel solo, che può trarci addosso una sentenza di eterna morte. Odiate adunque il peccato, o figli, fuggite da questo e dai malvagi compagni come dalla faccia del serpente”. Queste e simili debbon essere le istruzioni de’genitori, se bramano salvi i propri figli e sé stessi. Ma i miei figliuoli, dirà alcun di voi, non mi danno ascolto, le mie parole se le porta il vento, ed essi son sempre più perversi. Sentite; le tavole del Decalogo erano di pietra, e il dito di Dio vi scrisse i precetti della sua legge. Quand’anche il cuor de’ figli nostri fosse di pietra, non cessate d’istruire, replicate le ammonizioni, gli avvisi, i buoni consigli, e vi assicuro che’ resteranno impressi nella loro mente. “Gutta cavat lapidem”. Verrà un giorno, che memori delle salutari vostre istruzioni, e delle buone massime loro inculcate, diranno: benedetto quel mio padre, egli sempre mi raccomandava il timor santo di Dio. ora mi leggeva e mi faceva leggere un libro spirituale, ora mi narrava i fatti più celebri della sacra Scrittura. Benedetta quella mia madre, essa m’istruiva nella cristiana dottrina, non ammetteva scuse per dispensarmi dalle quotidiane preghiere, mi voleva sempre sotto i suoi occhi; qualche volta mi sembrava troppo precisa, ora conosco il bene che mi fece, e i pericoli da’ quali mi liberò. Così i vostri ammaestramenti, a guisa di buona semente, produrranno a suo tempo il frutto desiderato. Tanto più che voi padri e madri, avete per natura e per grazia del Sacramento le più idonee disposizioni a muovere il cuore de’ vostri figli, a formarne lo spirito, a regolarne i costumi, a riformarne i difetti. È necessario però agli insegnamenti congiungere i buoni esempi. Se raccomandate alla vostra famiglia il timor di Dio, e poi vi fate sentire a nominarLo invano, o a bestemmiarLo col proferire il suo santo Nome nell’impeto della vostra collera, se ad essi inculcate la frequenza de’ Sacramenti, e voi ne state lontani; se li mandate alla Chiesa e voi vi portate all’osteria: voi distruggete colle opere quel ch’edificaste colle parole. Sostenete per carità coll’esempio cristiano la cristiana istruzione… la via de’ documenti e de’ precetti è troppo lunga, e il più delle volte senza successo, la più corta ed efficace è il buon esempio. L’intendeva anche un Gentile : “Longum iter per praecepta; breve et effìcax per exempla”.

II. L’istruzione però non basterebbe, se ai dati tempi si escludesse l’opportuna correzione. Deve questa esser simile alla verga di Aronne, che non era un ramo d’albero selvaggio, ma di mandorlo, pianta fruttifera, e perciò la correzione riuscirà vantaggiosa, se sarà figlia della ragione, della prudenza e della carità, carità che finga sdegno per apportare rimedio, come fa il chirurgo che ferisce la piaga a fin di sanarla. Se per l’opposto il vostro correggere sarà effetto di collera, sfogo di rabbia e di furioso trasporto, non n’aspettate buon esito; mancherete all’avviso che vi dà l’Apostolo, di non provocare i vostri figli a concepir ira contro di voi, “Patres, nolite ad indignationem, provocare filios vestros(ad COL. III, 21). La verga d’Aronne era flessibile, e in una notte si coprì prodigiosamente di fiori. Alla qualità della colpa, della persona e dell’età va adattata la correzione. Le mancanze de’ figlioletti meritan verga, ma dolce e flessibile, ma fiorita per discreta moderazione: da queste regole quanto si discostano comunemente i genitori! Quel fanciullo rompe un vaso, versa un liquido: e la madre di esso, lo batte senza riguardo, e lo vuol morto, Lo stesso poi proferisce una parola scandalosa, e gli ride in faccia. Che razza di procedere è questo? L’interesse nel primo caso è quel che spinge una correzione ingiusta; nel secondo quel che va corretto si approva col riso. Non si approvano è vero certe colpe più notabili degli adulti, ma la troppa indulgenza, ma la trascuratezza in castigarli ridonda poi in danno de’ figli rei e de’ negligenti genitori. Che disgusto non provò Davide pe’ suoi due figliuoli Ammone e Assalonne? Sa che il primo ha fatto violenza a Tamar sua sorella, e non si legge che aprisse bocca ad un rimprovero. Gli arriva notizia, che il secondo ha ucciso Ammone a tradimento, e non si dà premura d’aver in mano il delinquente; e perciò nella più grande amarezza piange inutilmente uno trucidato in un convito, l’altro trafitto in un bosco: un proporzionato castigo avrebbe impedito la morte d’entrambi. Castigate i figli vostri, o padri e madri, se non volete disgusti, castigateli se volete salvarvi. Dio ve lo comanda; dovete ubbidire. Non vi lasciate sedurre da natural tenerezza, o da un falso amore. Non è amore, ma odio quel che risparmia al figlio reo il meritato castigo. Lo dice lo Spirito Santo: “Qui parcit virgae odiit fìlium suum” (Prov. XVIII). Ho detto se volete salvarvi, dal Sacerdote Eli apprendete il vostro obbligo e il vostro pericolo. Riprese egli le scandalose azioni de’ figli suoi, pe’ quali il popolo si allontanava dal tempio e da’ sacrifizi; ma siccome invece d’una giusta severità e rigorosa punizione, si contentò di poche parole, Iddio gli fece intimare dal profeta Samuele la perdita dei propri figli in un sol giorno, e quel che più importa, perdette egli non solo la vita temporale, colpito da subitanea morte, ma, secondo l’opinione de’ santi Cirillo e Giovanni Damasceno, anche la vita eterna!

III. Devono finalmente i genitori aggiungere all’istruzione, ed alla correzione l’esatta custodia della loro prole. La manna era custodita nell’arca del Testamento. Pareva dovesse bastare l’essere riposta in una delle sue cassette; no, non bastava, dice S. Paolo (ad Ebr. IX, 4) chiusa in un’urna, e da Dio conservata incorrotta! Usate voi somigliante cautela per custodire la vostra figliolanza? Oh Dio! su questo punto così declamava innanzi al suo popolo di Antiochia S. Giovanni Crisostomo, acceso di santo zelo: dovrò dirlo, o dovrò tacerlo? ma che giova il tacere per non contristarvi, se il mio silenzio vi fosse nocevole? Io vedo in questa vostra città che molti di voi hanno più cura degli asini e dei cavalli, che de’propri figliuoli. “Maiorem asinorum et equorum, quam filiorum curam habent(Hom. 60). E forse che non può dirsi lo stesso di noi? Si ha più cura della vacca, della capra, della gallina, dell’uccello di gabbia, che della propria famiglia, che del proprio sangue; ond’è che si lasciano i figli tutto giorno in abbandono, come i cani alla strada; e se questo è un gran delitto riguardo ai figli qual sarà in rapporto alle figlie? Oh la mia figlia è innocente! Se la lascerete in libertà perderà la sua innocenza. La manna nel deserto appena vedeva il sole si dileguava. Io la lascio, è vero, andare a quella campagna, a quel passeggio, a quel festino, ma con persone oneste, buoni amici e stretti parenti. Voi vi fidate troppo, io piango la vostra figlia e voi. Ma io l’ho data in custodia a un mio congiunto, uomo di senno e di tutta probità. Sarebbe stato meglio, che si fosse offerto ad accompagnarla uno scapestrato, ché così non vi sareste fidati, e non fidandovi, voi e la figlia vostra eravate sicuri. Vi fidate? dunque arrischiate. Bisogna dire che voi, o padre, conosciate poco il mondo, e che a voi, o madre, non sia mai occorso di trovarvi in qualche cimento. Possibile che la vostra esperienza non vi faccia aprir gli occhi, e non vi renda più cauti! Con questo di più, che forse nella vostra adolescenza e giovinezza non v’erano tanti lacci, tant’inciampi, tanta dissolutezza come nel secolo presente, secolo presso che somigliante a quel di Noè avanti il diluvio, secolo in cui, rotto ogni freno all’impudenza, si aggirano ingordi avvoltoi intorno alle incaute colombe, lupi rapaci in cerca di agnelle non custodite. – Non volete restar persuasi sul pericolo delle vostre figlie se non avrete cent’occhi? Imparatelo da Dina unica figliuola di Giacobbe. Questa savia donzella si presenta un dì al suo buon genitore dicendogli.- siavi qui nelle vicinanze di Siehem, contentatevi ch’io vada a vedere come sono abbigliate le donne Sichimite. Qual più innocente domanda? Ah Giacobbe, chi presago dell’avvenire avesse potuto dire all’orecchio di questo patriarca: Giacobbe, non accordare chesta licenza, che troppo ti costerà d’amarezza, di lacrime e di pericoli. Ma Giacobbe che nulla prevede, consente e permette. Va Dina per vedere ed è veduta, e l’esser veduta, rapita, disonorata fu una cosa stessa. Giunge al padre la contristante notizia, e ne piange, arriva ai fratelli, e van sulle furie, dissimulano per poco la vendetta, armati poi assalgono quella città, e mettono a ferro, a fuoco uomini, donne, bambini, case, campagne. I paesi vicini temono una egual sorte; onde tutti gridano all’armi contro i forestieri assassini. Ed ecco il buon Giacobbe e tutta la famiglia in evidente pericolo della vita, costretto a darsi a fuga precipitosa e notturna per selve, per balze e per dirupi. Che dite ora di quella domanda innocente, e di quella incolpabile licenza? Che avverrà delle figlie vostre, alle quali sì facilmente accordate la conversazione, il passeggio il ballo, il festino, il teatro? Ah per carità aprite gli occhi sulle altrui disgrazie. Tante ne vedete, e ne sapete meglio di me. Che aspettate voi dunque? Deh, ve ne prego, ammaestrare i vostri figli, tenete sempre innanzi agli occhi loro le tavole della divina legge, e datene loro l’esempio coll’osservarla; maneggiate la verga per loro correzione: custoditeli in fine come una manna, come un prezioso deposito che Iddio vi ha affidato, e di cui vi domanderà strettissimo conto. E così voi a’ vostri figli, e a voi medesimi procurerete una temporale ed eterna felicità, ch’io vi desidero.

Credo

Communio Joann II:7; II:8; II:9; II:10-11 Dicit Dóminus: Implete hýdrias aqua et ferte architriclíno. Cum gustásset architriclínus aquam vinum factam, dicit sponso: Servásti bonum vinum usque adhuc. Hoc signum fecit Jesus primum coram discípulis suis.

Communio Joann 2:7; 2:8; 2:9; 2:10-11 [Dice il Signore: Empite d’acqua le pile e portate al maestro di tavola. E il maestro di tavola, non appena ebbe assaggiato l’acqua mutata in vino disse allo sposo: Hai conservato il vino migliore fino ad ora. Questo fu il primo miracolo che Gesù fece davanti ai suoi discepoli].

Postcommunio Orémus. Augeátur in nobis, quaesumus, Dómine, tuæ virtútis operatio: ut divínis vegetáti sacraméntis, ad eórum promíssa capiénda, tuo múnere præparémur.

Preghiamo. Cresca in noi, o Signore, Te ne preghiamo, l’opera della tua potenza: affinché, nutriti dai divini sacramenti, possiamo divenire degni, per tua grazia, di raccoglierne i frutti promessi.

13 GENNAIO BATTESIMO DI CRISTO

battesimo di Gesù

Il secondo Mistero dell’Epifania, il Mistero del Battesimo di Cristo nel Giordano, attira oggi in modo speciale l’attenzione della Chiesa. L’Emmanuele si è manifestato ai Magi dopo essersi mostrato ai pastori; ma questa manifestazione è avvenuta nel ristretto spazio d’una stalla a Betlemme, e gli uomini di questo mondo non l’hanno conosciuta. Nel mistero del Giordano, Cristo si manifesta con maggior splendore. La sua venuta è annunciata dal Precursore; la folla che accorre al Battesimo del fiume ne fa testimonianza, e Gesù esordisce alla vita pubblica. Ma chi potrebbe descrivere la grandiosità delle cose che accompagnano questa seconda Epifania?- Essa ha per oggetto, al pari della prima, il bene e la salvezza del genere umano; ma seguiamo il progredire dei Misteri. La stella ha condotto i Magi verso Cristo. Prima essi aspettavano e speravano; ora, credono. La fede nel Messia venuto comincia in seno alla Gentilità. Ma non basta credere per essere salvi; è necessario che la macchia del peccato sia lavata nell’acqua. « Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo» (Me. XVI, 16): è tempo dunque che avvenga una nuova manifestazione del Figlio di Dio, per inaugurare il grande rimedio che deve dare alla Fede la virtù di produrre la vita eterna. – Ora, i decreti della divina Sapienza avevano scelto l’acqua come strumento di questa sublime rigenerazione della razza umana. – Già all’origine delle cose lo Spirito di Dio ci è rappresentato mentre sorvola sulle acque, affinché, come canta la Chiesa il Sabato Santo, la loro natura concepisse già un principio di santificazione. Ma le acque dovevano servire alla giustizia contro il mondo colpevole, prima di essere chiamate a compiere i disegni della misericordia. – Ad eccezione d’una sola famiglia, il genere umano per un terribile decreto, scomparve sotto le acque del diluvio. Tuttavia, alla fine di quella terribile scena, si manifestò un nuovo indizio della futura fecondità di questo elemento predestinato. La colomba, uscita per un momento dall’arca della salvezza, vi rientrò con un ramoscello d’ulivo, simbolo della pace ridata alla terra dopo l’effusione dell’acqua. Ma il compimento del mistero annunciato era ancora lontano. – Nell’attesa del giorno in cui il mistero sarebbe stato manifestato, Dio moltiplicò le immagini destinate a sostenere l’attesa del suo popolo. Così, fu attraversando le acque del Mar Rosso che il popolo arrivò alla Terra promessa; e durante il misterioso tragitto, una colonna di nube copriva insieme il cammino d’Israele e le acque benedette alle quali questi doveva la sua salvezza. – Ma il solo contatto delle membra umane d’un Dio incarnato poteva dare alle acque la virtù purificatrice che ogni uomo colpevole sospirava. Dio aveva dato il Figlio suo non al mondo soltanto come Legislatore, Redentore e Vittima di Salvezza, ma perché fosse anche il Santificatore delle acque; e appunto in seno a questo sacro elemento doveva rendergli una testimonianza divina, manifestarlo una seconda volta.

Il battesimo di Gesù.

Gesù dunque, all’età di trent’anni, va verso il Giordano, fiume già famoso per le meraviglie profetiche operate nelle sue acque. – Il popolo ebreo, risvegliato dalla predicazione di Giovanni Battista, accorreva in massa per ricevere il Battesimo che poteva produrre il pentimento del peccato, ma non cancellarlo. Il nostro divino Re va anch’egli al fiume, non per cercarvi la santificazione, poiché Egli è il principio di ogni giustizia, ma per dare finalmente alle acque la virtù di produrre, come canta la Chiesa, una razza nuova e santa. Scende nel letto del Giordano, non più come Giosuè per attraversarlo a piedi asciutti, ma affinché il Giordano lo cinga delle sue acque, e riceva da Lui, per comunicarla a tutto l’elemento, quella virtù santificatrice che esso non perderà mai più. Riscaldate dai divini ardori del Sole di giustizia, le acque divengono feconde, nel momento in cui il sacro capo del Redentore viene immerso nel loro seno dalla mano tremante del Precursore. – Ma in questo preludio di una nuova creazione, è necessario che intervenga tutta la Trinità. Si aprono i cieli, e ne scende la Colomba, non più come simbolo e figura, ma per annunciare la presenza dello Spirito d’amore che dà la pace e trasforma i cuori. Essa si ferma e si posa sul capo dell’Emmanuele, scendendo insieme sull’umanità del Verbo e sulle acque che bagnano le sue auguste membra.

La testimonianza del Padre.

Tuttavia il Dio-Uomo non era manifestato ancora con abbastanza splendore; bisognava che la parola del Padre risonasse sulle acque, e le agitasse fin nella profondità dei loro abissi. Allora si fece sentire quella Voce che aveva cantata David: Voce del Signore che risuona sulle acque, tuono del Dio di maestà che spezza i cedri del Libano, l’orgoglio dei demoni, che spegne il fuoco dell’ira celeste, che scuote il deserto, che annuncia un nuovo diluvio (Sal. XXVIII), un diluvio di misericordia; e quella voce che diceva: Questi è il mio Figlio diletto nel quale mi sono compiaciuto. Così fu manifestata la Santità dell’Emmanuele dalla presenza della divina Colomba e dalla voce del Padre, come era stata manifestata la sua Regalità dalla muta testimonianza della Stella. Compiuto il divino mistero e investito della virtù purificatrice l’elemento delle acque, Gesù esce dal Giordano e torna a riva, portando con sé – secondo l’opinione dei Padri – rigenerato e santificato il mondo di cui lasciava sotto le acque i delitti e le immondezze.

Usanze.

Come è grande la festa dell’Epifania, che ha per oggetto di onorare così sublimi misteri! E come non c’è da stupire se la Chiesa Orientale ha fatto di questo giorno una delle date per l’amministrazione solenne del Battesimo. Gli antichi monumenti della Chiesa delle Gallie ci mostrano che l’usanza esisteva anche presso i nostri avi; e più d’una volta – stando a quanto riferisce Giovanni Mosch – si vide il santo battistero riempirsi d’un’acqua miracolosa il giorno di questa grande festa, e asciugarsi da sé dopo l’amministrazione del Battesimo. La Chiesa Romana, fin dal tempo di san Leone, insisté per riservare alle feste di Pasqua e di Pentecoste l’onore di essere gli unici giorni consacrati alla celebrazione solenne del primo fra i Sacramenti; ma in parecchi luoghi dell’Occidente si conservò e dura ancora oggi l’usanza di benedire l’acqua con una solennità del tutto speciale nel giorno dell’Epifania. – La Chiesa d’Oriente ha conservato inviolabilmente tale usanza. La funzione ha luogo, ordinariamente, nella Chiesa, ma talvolta il Pontefice si reca sulle rive di un fiume, accompagnato dai sacerdoti e dai ministri rivestiti dei più ricchi paramenti e seguito da tutto il popolo. Dopo alcune magnifiche preghiere, che ci dispiace di non poter riportare qui, il Pontefice immerge nelle acque una croce rivestita di pietre preziose che significa il Cristo, imitando così l’azione del Precursore. Un tempo, a Pietroburgo, la cerimonia aveva luogo sulla Neva, e attraverso un’apertura praticata nel ghiaccio il Metropolita faceva scendere la croce nelle acque. Questo rito si osserva parimenti nelle Chiese dell’Occidente che hanno conservato l’usanza di benedire l’acqua nella Festa dell’Epifania. I fedeli si affrettano ad attingere nella corrente del fiume quell’acqua consacrata; e san Giovanni Crisostomo – nella sua ventiquattresima Omelia sul Battesimo di Cristo – attesta, chiamando a testimone il suo uditorio, che quell’acqua non si corrompeva mai. Lo stesso prodigio è stato riconosciuto molte volte in Occidente. – Glorifichiamo dunque Cristo per questa seconda manifestazione del suo divino carattere, e rendiamogli grazie, insieme con la santa Chiesa, per averci dato, dopo la Stella della fede che ci illumina, l’Acqua potente che toglie le nostre immondezze. Nella nostra riconoscenza, ammiriamo l’umiltà del Salvatore che si curva sotto la mano di un uomo mortale al fine di compiere ogni giustizia, come dice egli stesso; poiché, avendo assunto la forma del peccato era necessario che sopportasse l’umiliazione per risollevarci dal nostro abbassamento. Ringraziamolo per questa grazia del Battesimo che ci ha aperto le porte della Chiesa terrena e della Chiesa celeste. Infine, rinnoviamo gli impegni che abbiamo contratti sul sacro fonte, e che sono stati la condizione di questa nuova nascita.

Un’ENCICLICA AL GIORNO, toglie il modernista apostata di torno: ARCANUM DIVINAE SAPIENTIAE,

Il Papa ha sempre amato le sue pecorelle, proteggendole non solo con tutte le sue possibilità materiali, ma soprattutto tenendole lontane dagli errori spirituali, apparentemente innocui, ma che pongono le anime fuori della Chiesa Cattolica, alla cui appartenenza è legata la salvezza dell’anima. Il Santo Padre, Vicario di Cristo, si è sempre adoperato, senza rispetti falsi, codardie ed indietreggiamenti davanti all’errore, esalta il valore del matrimonio, elevato da Gesù alla dignità di Sacramento, e conseguentemente condanna con veemenza il diorzio. La codardia di oggi, vogliamo porre un tema di riflessione per gli ostinati aderenti alla falsa chiesa dell’uomo, si trincera dietro ridicole e clawnesche dichiarazioni … chi sono io per giudicare, etc. etc. … Non vale la pena polemizzare circa l’acqua calda, ma leggiamo in questa grandissima Enciclica di Papa Pecci, LEONE XIII, le sue puntualizzazioni teologicamente millimetriche e senza speranza di confutazione da parte di imbecilli e faziosi impregnati da massonismo e liberalismo anticlericale. Alla seconda enciclica, era già così evidente lo spirito combattivo del Vicario di Cristo, pronto a tutto pur di difendere i suoi agnelli dai lupi rapaci pronti a penetrare nell’ovile per farvi strage di anime. Ma non togliamo ulteriore spazio alla voce della verità: Arcanum divinae sapientiae consilium, quod Salvator hominum Iesus Christus ….

ARCANUM DIVINAE

LETTERA ENCICLICA

DI SUA SANTITÀ

LEONE PP. XIII

leone-xiii

 

A tutti i Venerabili Fratelli Patriarchi, Primati, Arcivescovi e Vescovi del mondo cattolico che hanno grazia e comunione con la Sede Apostolica.

Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

L’arcano consiglio della sapienza divina, che il Salvatore degli uomini Gesù Cristo doveva compiere sulla terra, mirava appunto a questo: che Egli, per sé ed in sé, rinnovasse prodigiosamente il mondo, quasi consunto della vecchiaia. Il che espresse in una splendida e magnifica frase l’Apostolo Paolo quando scrisse agli Efesini: “Averci Iddio fatto noto il mistero della sua volontà… di riunire in Cristo tutte le cose, sia quelle che sono nei cieli, sia quelle che sono in terra” (Ef 1,9-10). Infatti, allorché Cristo Signore cominciò ad eseguire il mandato che gli aveva dato il Padre, subito comunicò a tutte le cose una nuova forma e bellezza, dileguandone ogni squallore. Infatti, Egli sanò le ferite che il peccato del primo padre aveva cagionato alla natura umana; riconciliò con Dio tutti gli uomini, per natura figli dell’ira; ricondusse alla luce della verità coloro che erano oppressi dagli errori; riportò ad ogni virtù coloro che erano soggiogati da ogni impudicizia; ed avendo ridonato tutti alla eredità della beatitudine eterna, diede loro la sicura speranza che lo stesso loro corpo mortale e caduco sarebbe stato un giorno partecipe dell’immortalità e della gloria celeste. Affinché poi benefìci tanto singolari durassero sulla terra fintantoché vi fossero uomini, costituì la Chiesa vicaria di ogni sua potestà, e, guardando all’avvenire, volle che essa, se qualche turbamento si verificasse nella società umana, vi riportasse l’ordine e riparasse eventuali guasti. – Benché questo divino rinnovamento che abbiamo detto riguardasse principalmente e direttamente gli uomini costituiti nell’ordine della grazia soprannaturale, tuttavia i suoi preziosi e salutari frutti ridondarono largamente anche nell’ordine naturale, così che ne conseguirono una non mediocre perfezione tanto i singoli mortali, quanto l’intiera famiglia del genere umano. Infatti, appena stabilita nel mondo la religione cristiana, a tutti e singoli gli uomini fu offerta la felice sorte di conoscere la paterna provvidenza di Dio, di avvezzarsi a porre in essa ogni loro fiducia, ed a nutrire quella speranza che non confonde, cioè la speranza dei celesti aiuti, dai quali derivano la fortezza, la moderazione, la costanza, l’equilibrio dello spirito e, infine, molte belle virtù e fatti egregi. È davvero meraviglioso quanta dignità, quanta stabilità e quanto decoro ne siano derivati alla comunità familiare e a quella civile. L’autorità dei Principi si è resa più ragionevole e più santa; l’obbedienza dei popoli più devota e più pronta; i vincoli di fratellanza fra i cittadini più stretti, i diritti di proprietà più garantiti. La religione cristiana provvide a tutte le cose che sono ritenute utili nello Stato, tanto che, come dice Sant’Agostino, non pare che essa avrebbe potuto apportare maggior soccorso al tranquillo e beato vivere, se fosse nata unicamente per apprestare od accrescere i comodi ed i beni della vita mortale. – Ma non è ora Nostro intendimento enumerare tutti i particolari intorno a questo argomento; solo Ci proponiamo di ragionare della comunità domestica, il cui principio o fondamento si trova nel matrimonio. – Tutti sanno, Venerabili Fratelli, quale sia l’origine vera del matrimonio. Poiché, sebbene i detrattori della fede cristiana rifuggano dal conoscere la dottrina perpetua della Chiesa intorno a questa materia, e si sforzino da gran tempo di cancellare la memoria di tutte le genti e di tutti i secoli, tuttavia non hanno potuto né estinguere, né diminuire la luce della verità. Rammentiamo a tutti cose note e non dubbie: dopo che Iddio, nel sesto giorno della creazione, formò l’uomo dalla polvere della terra, e gli soffiò nel volto l’alito della vita, volle dargli una compagna che trasse prodigiosamente da un fianco dello stesso uomo addormentato. Con questo il provvidentissimo Iddio intese che quella coppia di coniugi fosse il principio naturale di tutti gli uomini, dal quale cioè dovesse propagarsi il genere umano e, attraverso generazioni mai interrotte, conservarsi nel tempo. Quella congiunzione dell’uomo e della donna, affinché meglio rispondesse ai sapientissimi consigli di Dio, fin da allora mostrò in sé, come altamente impresse e scolpite, due proprietà principali ed oltremodo nobilissime, cioè l’unità e la perpetuità. Ciò vediamo dichiarato e solennemente ratificato dal Vangelo con la divina autorità di Gesù Cristo, il quale proclamò ai Giudei ed agli Apostoli che il matrimonio, per la sua stessa istituzione, deve essere solamente tra due, ossia tra un uomo e una donna; che dei due si forma come una sola carne, e che il vincolo nuziale, per volere di Dio, è così intimamente e fortemente unito che nessuno tra gli uomini può romperlo o scioglierlo. “Starà congiunto [l’uomo] con la moglie sua, e i due saranno una sola carne. Pertanto non sono più due, ma una carne sola. Dunque ciò che Iddio ha congiunto l’uomo non separi” (Mt XIX,5-6). – Peraltro questa forma di connubio, tanto nobile e sublime, a poco a poco cominciò a corrompersi e a venir meno presso i popoli pagani; e presso la stessa nazione degli Ebrei parve quasi annebbiarsi e oscurarsi. Infatti, presso questi, a proposito delle mogli era comune consuetudine che ad ogni uomo fosse lecito averne più d’una. Successivamente, avendo Mosè, “a cagione della durezza del loro cuore” (Mt XIX,8), dato benignamente la facoltà dei ripudi, fu aperta la strada al divorzio. Presso i pagani, poi, sembra cosa appena credibile quanta corruzione e depravazione si concentrassero nelle nozze, soggette al fluttuare degli errori e delle turpissime cupidigie di ciascun popolo. Tutte le genti, più o meno, parvero disimparare la nozione e l’origine vera del matrimonio; e intorno ai connubi dappertutto si promulgavano leggi le quali parevano secondare l’indole dei governi, non quelle richieste dalla natura. I riti solenni, introdotti ad arbitrio dei legislatori, facevano sì che le donne ottenessero il nome onesto di moglie o quello infame di concubina, anzi, si giunse a un punto tale che secondo la volontà dei capi della repubblica si disponeva a chi fosse permesso di contrarre le nozze, e a chi no, dato che le leggi richiedevano molte cose contrarie all’equità e molte a favore dell’ingiustizia. Oltre a ciò, la poligamia, la poliandria, il divorzio furono cagione che il vincolo nuziale si rallentasse di molto. Esisteva una grandissima confusione nei vicendevoli diritti e doveri dei coniugi, dato che il marito acquistava la proprietà della moglie, e sovente senza nessuna giusta causa ordinava a lei che, ripigliate le cose sue, se ne andasse; egli poi, spinto da una sfrenata ed indomabile libidine, poteva impunemente “scorrazzare per i lupanari in cerca di schiave, come se dalla dignità non dalla volontà dipendesse la colpa”. In così strabocchevole licenza del marito, nulla vi era di più miserando della moglie, abbassata a tanta viltà che quasi veniva considerata soltanto come uno strumento destinato a soddisfare alla libidine od a procreare figli. Né arrossì per il fatto che quelle che erano da collocare per mogli fossero comprate e vendute a somiglianza delle cose corporali, essendo stata data talvolta facoltà al padre o al marito di condannarle all’estremo supplizio di moglie. Una famiglia nata da siffatti connubi era giocoforza considerata come proprietà dello Stato, o come schiava del padre di famiglia, al quale le leggi avevano concesso il potere non solo di effettuare o di sciogliere a suo arbitrio il matrimonio dei figli, ma di esercitare altresì sopra di essi l’immane potere della vita e della morte. – Ma a tanti vizi e a così grandi ignominie, da cui erano inquinati i connubi, vennero infine approntati dal cielo il soccorso e la medicina, in quanto Gesù Cristo, riparatore dell’umana dignità e perfezionatore delle leggi mosaiche, si prese non piccola né ultima cura del matrimonio. Egli infatti nobilitò con la sua presenza le nozze in Cana di Galilea, e con il primo dei suoi prodigi le rese memorabili (Gv II,1-11), e da quel giorno pare che cominciasse a risplendere una nuova santità nei connubi degli uomini. Poscia richiamò il matrimonio alla nobiltà della prima origine, sia col riprovare i costumi degli Ebrei, che abusavano e del numero delle mogli e della facoltà del ripudio, sia massimamente col prescrivere che nessuno osasse sciogliere ciò che Iddio con perpetuo vincolo di congiunzione aveva legato. Pertanto, avendo confutato le difficoltà che derivavano dalle istituzioni mosaiche, assunta la persona di supremo legislatore, decretò queste cose intorno ai coniugi: “Ora io vi dico che chiunque rimanderà la propria moglie, salvo che per cagione d’adulterio, e ne sposerà un’altra, commette adulterio; e chi sposerà colei che fu ripudiata commette adulterio” (Mt XIX,9), cioè che Cristo Signore ha innalzato il matrimonio alla dignità di Sacramento, ed ha contemporaneamente fatto sì che i coniugi, rivestiti e fortificati dalla celeste grazia che i meriti di Lui apportarono, ottenessero la santità nello stesso matrimonio. In questo, conformato mirabilmente all’esempio del suo mistico connubio con la Chiesa, ha perfezionato l’amore naturale, e stretto più fortemente col vincolo della carità divina l’unione, indivisibile per sua stessa natura, del marito e della moglie. “O uomini, – dice Paolo agli Efesini – amate le vostre mogli come anche Cristo amò la Chiesa e diede se stesso per lei, al fine di santificarla… I mariti debbono amare le loro mogli come i loro propri corpi… dato che nessuno ebbe mai in odio la propria carne; anzi la nutre e la cura, come fa pure Cristo della Chiesa: perché noi siamo membra del suo corpo, della sua carne e delle sue ossa. Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre sua, e starà congiunto con sua moglie; e i due saranno una carne sola. Questo Sacramento è grande: io però lo dico riguardo a Cristo e alla Chiesa” (Ef V,25-33). Similmente apprendemmo dagli Apostoli che Cristo ha decretato che l’unione e la perpetua stabilità – che si richiedevano fino dalla stessa origine delle nozze – fossero sacre e inviolabili in tutte le età. “Ai coniugati, dice lo stesso Paolo, ordino, non io, ma il Signore, che la moglie non si separi dal marito, e qualora si sia separata, rimanga senza rimaritarsi, o si ricongiunga con suo marito” (1Cor VII,10-11), e di nuovo: “La moglie è legata alla legge per tutto il tempo che suo marito vive; se il marito muore, ella è libera” (1Cor VII,39). Per questi motivi dunque il matrimonio divenne “Sacramento grande” (Ef V,32), “onorabile in tutto” (Eb XIII,4), pio, casto, venerando per la figura ed il significato d’altissime cose. – Né la sua cristiana e somma perfezione è contenuta soltanto nelle prerogative che si sono ricordate. Infatti, in primo luogo alla società coniugale fu prestabilito uno scopo più nobile e più alto che mai fosse stato in precedenza, in quanto si volle che essa mirasse non solo a propagare il genere umano, ma a generare figli alla Chiesa, “concittadini dei Santi e domestici di Dio” (Ef 2,19), cioè “che fosse creato ed educato un popolo al culto e alla religione di Cristo, vero Dio e nostro Salvatore” . In secondo luogo, all’uno ed all’altro dei coniugi furono stabiliti i loro propri doveri, e interamente descritti i loro diritti. È necessario cioè che essi abbiano sempre l’animo talmente disposto da comprendere l’uno dovere all’altro un amore grandissimo, una fede costante, un sollecito e continuo aiuto. Il marito è il principe della famiglia e il capo della moglie; la quale, non pertanto, dato che è carne della carne di lui ed osso delle sue ossa, deve essere soggetta ed obbediente al marito, non a guisa di ancella, ma di compagna; cioè in modo tale che la soggezione che ella rende a lui non sia disgiunta dal decoro né dalla dignità. In lui che governa, ed in lei che obbedisce, dato che entrambi rendono l’immagine l’uno di Cristo, l’altra della Chiesa, sia la carità divina la perpetua moderatrice dei loro doveri. Infatti “l’uomo è capo della donna, come Cristo è capo della Chiesa… Quindi, come la Chiesa è soggetta a Cristo, così le mogli debbono essere soggette ai loro mariti in ogni cosa” (Ef 5,23-24); furono pareggiati i diritti del marito e della moglie; infatti, come diceva San Girolamo , “presso di noi ciò che non è lecito alle donne, altrettanto non è lecito agli uomini, e la stessa servitù viene considerata a pari condizione”; furono stabilmente consolidati i medesimi diritti per mezzo della reciproca benevolenza e dei vicendevoli compiti; fu garantita e tutelata la dignità delle donne; fu vietato al marito di punire l’adulterio con la pena di morte , e di violare per libidine e impudicizia la fede giurata. È altresì di grande importanza che la Chiesa abbia posto un limite, nella misura necessaria, alla patria potestà, affinché nulla venisse tolto alla ragionevole libertà dei figli e delle figlie che desiderassero sposarsi ; che abbia decretato nulle le nozze tra i consanguinei e gli affini in certi gradi , affinché l’amore soprannaturale dei coniugi potesse diffondersi in più vasto campo; che abbia avuto cura di rimuovere dalle nozze, per quanto le fu possibile, l’errore, la violenza e la frode ; che abbia voluto si conservassero intere ed intatte la pudicizia santa del talamo, la sicurezza delle persone , la dignità dei connubii , la integrità della religione . Da ultimo, con tanto vigore, con tanta provvidenza di leggi fortificò codesta divina istituzione, tanto che non v’è alcuno, giusto estimatore delle cose, il quale non comprenda che anche per quanto si riferisce ai connubi, la Chiesa è ottima conservatrice e protettrice del genere umano; la sua sapienza trionfò nel corso dei tempi contro le ingiurie degli uomini e le innumerevoli vicende degli Stati. – Ma ad opera del nemico del genere umano non mancano coloro che, come rigettano ingratamente gli altri benefici della redenzione, così disprezzano o non riconoscono affatto la riabilitazione e il perfezionamento del matrimonio. Fu malvagità di alcuni antichi l’essere stati nemici delle nozze in qualche loro prerogativa, ma con danno molto più grave peccano all’età nostra coloro che vogliono completamente corromperne la natura, così perfetta e completa in tutte le sue parti e qualità. La causa di tale guerra consiste massimamente in questo, che imbevuti delle opinioni di una falsa filosofia e di prave abitudini, gli animi di molti soffrono soprattutto nello stare soggetti e nell’obbedire; pertanto operano a più non posso perché non solo ciascun uomo, ma le famiglie e tutta l’umana società disprezzino i comandi di Dio. Siccome però la fonte e l’origine della famiglia e della società umana sono riposte nel matrimonio, non possono in alcun modo sopportare che esso sia sottoposto alla giurisdizione della Chiesa; anzi si sforzano di spogliarlo d’ogni santità e di circoscriverlo entro la cerchia veramente angusta delle cose che furono istituite dal senno umano, e che cadono sotto l’autorità e il governo del diritto civile. Dal che doveva derivare per necessaria conseguenza che essi attribuissero ogni diritto sopra i connubi ai capi dello Stato, e che non ne avesse alcuno la Chiesa; la quale, se talvolta esercitò un siffatto potere, ciò avvenne o per condiscendenza dei Principi, o per sopruso. Ma essi dicono che ormai è giunto il tempo nel quale coloro che reggono lo Stato devono difendere gagliardamente i loro diritti, e cominciare a regolare a loro discrezione ogni cosa che appartiene ai connubi. Quindi sono nati i cosiddetti matrimoni civili; sono state stabilite le leggi intorno alle cause che possano impedire le nozze; da qui le sentenze del foro intorno ai contratti matrimoniali eseguiti illegalmente o con difetto. Infine vediamo che ogni facoltà di far leggi e pronunciare sentenze in questa materia è stata sottratta alla Chiesa cattolica con studiata abilità, al punto che non si tiene alcun conto né della sua potestà divina, né delle sue provvide leggi, con le quali così a lungo vissero beatamente i popoli, ai quali con la cristiana sapienza pervenne la luce della civiltà. – Con tutto ciò i Naturalisti e tutti coloro che, professandosi altamente devoti alla onnipotenza dello Stato, si sforzano di sconvolgere con queste malvagie dottrine tutta la società, non possono sfuggire all’accusa di falsità. Infatti, poiché il matrimonio ha Dio come autore, ed essendo stato fin da principio quasi una figura della Incarnazione del Verbo di Dio, perciò in esso si trova qualcosa di sacro e religioso, non avventizio, ma congenito, non ricevuto dagli uomini, ma innestato da natura. Pertanto, Innocenzo III e Onorio III, Nostri Predecessori, non a torto né senza ragione poterono affermare che “il Sacramento del matrimonio esiste presso i fedeli e gl’infedeli”. Chiamiamo in testimonio i monumenti dell’antichità, ed i costumi e le usanze dei popoli che meglio si erano avvicinati all’umanità, e che avevano progredito in una più esatta cognizione del diritto e della equità; nelle loro menti era impressa, come preconcetta ed innata, questa nozione, cioè che quando pensavano al matrimonio sorgeva in essi spontaneamente l’idea di una cosa congiunta con la religione e la santità. Per questo motivo le nozze presso di loro non venivano sovente celebrate senza i riti delle religioni, l’autorità dei pontefici, il ministero dei sacerdoti. – Tanta meravigliosa efficacia ebbero in quegli animi, pur digiuni della celeste dottrina, la natura delle cose, la memoria delle origini, la coscienza del genere umano! Pertanto, mostrandosi il matrimonio per la sua stessa natura come cosa del tutto sacra, è giusto che venga regolato e moderato non dal potere dei Principi, ma dall’autorità divina della Chiesa, la quale sola ha il magistero delle cose sacre. Inoltre si deve por mente alla dignità del Sacramento, prerogativa per la quale divennero oltre ogni dire nobilissimi i matrimoni dei cristiani. Il dar leggi, poi, e disposizioni intorno ai Sacramenti, lo può e deve, per volontà di Cristo, soltanto la Chiesa, sicché ripugna assolutamente il volere che una minima parte di tale potestà sia trasferita nei reggitori delle cose civili. – Da ultimo, grande è il peso, grande l’autorità della storia, la quale solennemente attesta che la Chiesa liberamente e costantemente fu solita esercitare il potere legislativo e giudiziario, di cui ragioniamo, anche in quei tempi nei quali sarebbe somma stoltezza supporre che i moderatori dello Stato in tal fatto prestassero il loro consenso o fingessero di non vedere. È certamente tanto incredibile quanto assurdo che Cristo Signore condannasse l’inveterata consuetudine della poligamia e del ripudio per una facoltà a lui delegata dal governatore della provincia o dal principe dei Giudei; analogamente che l’Apostolo Paolo proclamasse illeciti i divorzi e le nozze incestuose per condiscendenza o per tacito mandato di un Tiberio, di un Caligola, di un Nerone! E neppure potrà mai farsi credere ad un uomo di sano intelletto, che intorno alla santità e alla stabilità dei connubi , intorno alle nozze tra gli schiavi e le donne libere, fossero promulgate dalla Chiesa tante leggi con licenza impetrata dagli Imperatori romani, assolutamente nemici del nome cristiano, i quali non avevano altro più deciso proposito che di opprimere con la violenza e con le stragi la crescente religione di Cristo, soprattutto per la ragione che il diritto stabilito dalla Chiesa era alle volte talmente discordante dal diritto civile, che Ignazio Martire, Giustino, Atenagora e Tertulliano riprovavano pubblicamente come ingiuste od illegittime le nozze di alcuni alle quali, nondimeno, erano favorevoli le leggi imperiali. – Dopo che ogni potere passò agli Imperatori cristiani, i Sommi Pontefici ed i Vescovi adunati nei Concili, con la stessa libertà e coscienza del loro diritto continuarono sempre a prescrivere o ad inibire intorno ai matrimoni quanto ritenevano utile, quanto conforme ai tempi, ancorché sembrasse contrario alle consuetudini civili. Nessuno ignora quante grandi cose, spesso contrarie ai decreti sanciti dal diritto cesareo, siano state stabilite dai Prelati della Chiesa nei Concili Illiberitano, Arelatese, Calcedonese, Milevitano II ed in altri, intorno agli impedimenti del vincolo, del voto, della diversità di culto, della consanguineità, del delitto e della pubblica onestà. Anzi, fu così lontana l’ipotesi che i Principi si arrogassero la giurisdizione nei matrimoni cristiani, che riconobbero invece e dichiararono che essa era tutta e soltanto nella Chiesa. Infatti Onorio, Teodosio il giovine, Giustiniano non esitarono a dichiarare che, nelle cose che riguardano le nozze, non era loro lecito di esser altro che custodi e difensori dei sacri canoni. E se sancirono qualche cosa con i loro editti sopra gl’impedimenti dei connubi, ne fecero spontaneamente conoscere il motivo, cioè che essi si erano presa tale libertà con il permesso e l’autorizzazione della Chiesa, della quale furono soliti ricercare e seguire con ossequio la decisione nelle questioni riguardanti l’onestà dei natali , i divorzi , e in definitiva tutte le cose che hanno una relazione con il vincolo coniugale . Pertanto fu con buona ragione definito nel Tridentino essere in potestà della Chiesa “determinare gl’impedimenti che rompono il matrimonio, ed essere di competenza dei giudici ecclesiastici le cause matrimoniali”. – Né deve impressionare qualcuno la separazione tanto sostenuta dai Regalisti, che distinguono il contratto nuziale dal Sacramento, con l’intenzione di lasciare il contratto in balìa ed in arbitrio dei capi dello Stato, riservando alla Chiesa le ragioni del Sacramento. Infatti non si può approvare tale distinzione, o più esattamente separazione, essendo manifesto che nel matrimonio cristiano il contratto non può essere separato dal Sacramento, e perciò non può sussistere un vero e legittimo contratto che non sia al tempo stesso Sacramento. Poiché il matrimonio fu arricchito da Cristo Signore della dignità di Sacramento, il matrimonio si identifica con lo stesso contratto, quando sia fatto secondo le norme volute. Si aggiunga che il matrimonio è Sacramento proprio per questo: che è un segno sacro, che produce la grazia e rende immagine delle mistiche nozze di Cristo con la Chiesa. La forma poi e la figura di queste vengono espresse da quello stesso vincolo di perfetta unione con il quale l’uomo e la donna si congiungono tra loro, e che non è altro se non il matrimonio medesimo. È dunque chiaro che ogni giusto connubio tra cristiani è in sé e per sé Sacramento: e niente è più contrario alla verità di questo, che il Sacramento sia un certo ornamento aggiunto, od una proprietà estrinseca, che si possa ad arbitrio degli uomini disgiungere e separare dal contratto. Quindi né con la ragione, né con la storia, testimone dei tempi, si arriva a provare che il potere sui matrimoni dei Cristiani sia a buon diritto trasferito nei capi dello Stato. Se in questa materia fu violato l’altrui diritto, nessuno certamente potrà dire che sia stato violato dalla Chiesa. – Dio volesse poi che le dottrine dei Naturalisti, piene come sono di falsità e d’ingiustizia, così non fossero anche portatrici di danni e di calamità! Ma è facile conoscere quanta rovina abbiano arrecato i connubi celebrati profanamente, quanta siano per arrecarne alla generale comunità degli uomini. Innanzi tutto è legge divinamente sancita che le cose istituite da Dio e dalla natura risultano sperimentalmente tanto più utili e salutari quanto più rimangono integre ed immutabili nel loro stato originale, dato che Dio, creatore di tutte le cose, ben conobbe ciò che alla istituzione e al mantenimento di ciascuna sia conveniente, e con la volontà e con la mente sua le ha tutte ordinate in modo che ognuna debba opportunamente raggiungere il suo fine. Ma se la temerità e la malvagità degli uomini vogliono mutare e sconvolgere l’ordine delle cose provvidamente stabilito, allora anche le cose istituite con somma sapienza ed altrettanta utilità cominciano a nuocere o cessano di giovare, sia perché col mutare abbiano perduto la virtù di far bene, sia perché Iddio stesso voglia piuttosto castigare siffatte manifestazioni dell’orgoglio e dell’audacia dei mortali. Ora, coloro che negano che il matrimonio è sacro e, spogliatolo d’ogni santità, lo relegano nel novero delle cose profane, rovesciano le fondamenta della natura, e come si oppongono ai consigli della provvidenza divina, così ne abbattono, per quanto sta in loro, le istituzioni. Pertanto non deve suscitare meraviglia che da tali sforzi forsennati ed empi si generi quella moltitudine di mali, di cui niente è più pernicioso alla salute delle anime ed alla incolumità degli Stati. – Se si ricerca a qual fine fosse ordinata la divina istituzione dei matrimoni, apparirà evidentissimo che Dio volle in essi racchiudere fonti ricchissime di pubblica utilità e salvezza. E in verità, oltre che provvedere alla propagazione del genere umano, essi hanno anche lo scopo di rendere migliore e più facile la vita dei coniugati, e ciò per più ragioni, quali gli scambievoli aiuti nell’alleviare le loro necessità, l’amore costante e fedele, la comunanza di tutti i beni, la grazia celeste che proviene dal Sacramento. I matrimoni poi contribuiscono assai alla salvezza delle famiglie, giacché essi, finché saranno conformi alla natura e risponderanno pienamente ai consigli di Dio, potranno senza dubbio rafforzare la concordia degli animi fra i genitori, garantire la retta educazione dei figli, moderare la patria potestà sull’esempio della potestà divina, rendere obbedienti i figli ai genitori, i servi ai padroni. Da tali connubi poi le comunità possono ragionevolmente aspettarsi una stirpe ed una successione di cittadini che siano ottimamente animati e che, assuefatti all’ossequio e all’amore verso Dio, reputino stretto dovere prestare obbedienza a coloro che giustamente e legittimamente esercitano il comando, portare a tutti benevolenza, non recare offesa ad alcuno. – Il matrimonio produsse veramente tutti questi frutti copiosi e salutari finché mantenne le prerogative della santità, dell’unità e della perpetuità, dalle quali esso riceve ogni virtù feconda di beni e di salute; né si può dubitare che ne avrebbe sempre prodotto di simili ed eguali se fosse stato continuamente ed in ogni luogo sotto il potere e la protezione della Chiesa, la quale è conservatrice e vindice di quelle prerogative. Ma poiché al presente piacque dappertutto sostituire il diritto umano al naturale e al divino, cominciò non solo a cancellarsi l’immagine e la nozione nobilissima del matrimonio che la natura aveva impressa e quasi scritta negli animi dei mortali, ma nei medesimi connubi dei cristiani, per colpa degli uomini, fu molto affievolita quella virtù generatrice di grandi beni. Infatti, che cosa di buono possono mai apportare quelle unioni coniugali dalle quali è costretta ad allontanarsi la religione, madre feconda di ogni bene, che alimenta le più grandi virtù, promovendo ed avvalorando ogni eccelsa qualità d’animo generoso e sublime? Quando essa sia allontanata e sia rigettata è inevitabile che le nozze siano fatte schiave della viziosa natura degli uomini e di quelle pessime cupidigie che signoreggiano gli animi, senza che questi trovino altra difesa che quella ben poco efficace della onestà naturale. La molteplice rovina che derivò da questa fonte si diffuse non solo nelle famiglie private, ma nelle intiere comunità. Infatti, rimosso il timore salutare di Dio, e tolto ai miseri il conforto che si trova nella religione cristiana, del quale non esiste uno maggiore, avviene sovente ciò che è troppo facile che accada, cioè che sembrino quasi insopportabili gli obblighi e gli altri pesi del matrimonio. Conseguentemente molti desiderano che sia sciolto quel vincolo che credono dipendere dal diritto umano e dal loro libero arbitrio, nell’ipotesi in cui la diversità dei caratteri, la discordia o la violata fedeltà da parte dell’uno o dell’altro, o il consenso di entrambi, od altri motivi li persuadano che sia necessario scioglierlo. E se per avventura la legge vieta loro di soddisfare alla protervia delle loro voglie, allora gridano che le leggi sono ingiuste, disumane, in piena contraddizione con il diritto di liberi cittadini, e perciò si deve ad ogni modo far sì che, rigettate ed abrogate quelle, si stabilisca con una legge più umana che sono leciti i divorzi. – I legislatori poi dei tempi nostri, professandosi fedeli ed ardenti seguaci degli stessi principi di diritto, non possono schermirsi, quand’anche lo volessero, dalla protervia degli uomini che abbiamo detto: quindi è giocoforza cedere ai tempi ed accordare la facoltà dei divorzi. Questo ci viene dimostrato dalla storia. Infatti, per tralasciare altri esempi, sul declinare del secolo scorso, in quello, più che perturbamento, orribile sconvolgimento delle Gallie, quando l’intera società, allontanato da sé Iddio, si rese profana, volle infine che fossero ratificati per legge i divorzi dei coniugi. Queste stesse leggi, poi, molti ai giorni nostri desiderano che siano richiamate in vigore, in quanto vogliono che Dio e la Chiesa siano tolti di mezzo e allontanati dalla umana società, dandosi stoltamente a credere che in siffatte leggi si debba ricercare il supremo rimedio alla rovinosa corruttela dei costumi. – Ora, quanta occasione di mali contengano in sé stessi i divorzi, è appena il caso di ricordarlo. Per essi infatti si rendono mutabili le nozze; si diminuisce la mutua benevolenza; si danno pericolosi eccitamenti alla infedeltà; si reca pregiudizio al benessere e all’educazione dei figli; si offre occasione allo scioglimento delle comunità domestiche; si diffondono i semi delle discordie tra le famiglie; si diminuisce e si abbassa la dignità delle donne, le quali, dopo aver servito alla libidine degli uomini, corrono il rischio di rimanere abbandonate. E poiché per distruggere le famiglie e abbattere la potenza dei regni niente ha maggior forza che la corruzione dei costumi, è opportuno conoscere che contro la prosperità delle famiglie e delle nazioni sono funestissimi i divorzi, i quali nascono da depravate consuetudini e, come attesta l’esperienza, aprono l’adito ad una sempre maggiore corruzione del costume pubblico e privato. E questi mali appariranno anche più gravi se si considera che non vi sarà mai alcun freno tanto potente che valga a contenere la licenza entro certi e prestabiliti confini, una volta che sia stata concessa la facoltà dei divorzi. È grande la forza degli esempi; maggiore quella delle passioni. Per tali eccitamenti avverrà certamente che la sfrenata voglia dei divorzi, serpeggiando ogni dì più largamente, invaderà l’animo di moltissimi, simile a morbo che si sparge per contagio, o come torrente che, rotti gli argini, trabocca. – Queste cose senz’altro sono per se stesse evidenti, ma, rinfrescando la memoria di quanto è accaduto, diventano più evidenti ancora. Non appena si cominciò a rendere sicura la via dei divorzi attraverso la legge, crebbero assai le discordie, le inimicizie, le separazioni; e ne conseguì tanta turpitudine di vita che quegli stessi che si erano fatti difensori di tali separazioni ne furono pentiti; e se non avessero tempestivamente apprestato il rimedio con legge contraria, si poteva temere che ben presto la repubblica stessa sarebbe caduta in rovina. È fama che gli antichi romani inorridissero davanti ai primi esempi di divorzio; ma dopo non lungo tempo cominciò ad assopirsi negli animi il sentimento dell’onestà, a spegnersi il pudore che modera gli appetiti, e a rompersi con tanta licenza la fede coniugale, che sembra abbia grande verosimiglianza ciò che alcuni lasciarono scritto, cioè che le donne usavano computare gli anni non con la successione dei consoli, ma dei mariti. Parimenti presso i Protestanti, le leggi da principio avevano disposto che fosse lecito fare divorzio per cause determinate, e a dir vero non molte; tuttavia queste, per l’affinità con cose simili, giunsero a tal numero presso i Tedeschi, gli Americani ed altri popoli, che coloro i quali non avevano perduto il senno ritennero doversi deplorare sommamente l’infinita depravazione dei costumi e la intollerabile avventatezza delle leggi. Né altrimenti andò la cosa presso le nazioni cattoliche, nelle quali, se fu concessa la separazione dei connubi, la moltitudine degli inconvenienti che ne seguirono superò di gran lunga la previsione dei legislatori. Perciò molti giunsero a tanta malizia da escogitare ogni malignità e frode per mezzo di crudeltà da essi stessi usate, d’ingiurie, di adulterii, di finte cause al fine di sciogliere impunemente il vincolo dell’unione coniugale che era loro venuto a noia: e ciò con così grave pregiudizio della pubblica onestà, che tutti ritennero necessario intervenire senza indugio per emendare le leggi. E vi sarà qualcuno che dubiti che esiti egualmente tristi e calamitosi non debbano avere le leggi favorevoli ai divorzi, qualora in qualche luogo, in questa nostra epoca, si richiamassero in vigore? I progetti o i decreti degli uomini non hanno certamente tanta forza da poter mutare l’indole naturale e l’ordine delle cose. Pertanto hanno ben poca saggezza coloro che ritengono che la pubblica felicità possa giungere pervertendo impunemente la vera natura del matrimonio. Accantonata qualsiasi santità di religione e di Sacramento, sembra che essi vogliano deformare e disonorare i connubi più turpemente di quanto non usassero gli stessi Gentili. Quindi, qualora non si muti consiglio, le famiglie e la società umana dovranno stare in perpetuo timore di essere travolte in quella lotta e in quello scompiglio di tutte le cose a cui da gran tempo anelano le pericolose sette dei Socialisti e dei Comunisti. Dal che si rende palese essere vanità e follia attendere la salvezza pubblica dai divorzi, i quali anzi condurranno a sicura rovina la società. – Si deve pertanto riconoscere che la Chiesa cattolica è stata sommamente benemerita del bene comune di tutti i popoli, essa che fu sempre intenta a tutelare la santità e la perpetuità dei connubii; né piccola gratitudine le si deve per avere apertamente protestato contro le riprovevoli leggi civili che ormai da cento anni in questa materia si vanno promulgando; per avere fulminato l’anatema contro la pessima eresia dei Protestanti sui divorzi e i ripudi ; per avere in molti modi riprovato la separazione dei matrimoni praticata presso i Greci così frequentemente ; per avere decretato la nullità delle nozze celebrate con la condizione che una volta possano sciogliersi ; infine per avere fino dai primi tempi rigettato le leggi imperiali che erano favorevoli in modo esiziale ai divorzi e ai ripudi. Quante volte poi i Sommi Pontefici fecero resistenza a Principi potentissimi i quali chiedevano con minacce che i divorzi da loro fatti venissero ratificati dalla Chiesa, altrettante volte si deve ritenere che essi abbiano combattuto non solo per la salvezza della religione, ma anche per la civiltà dei popoli. Al qual proposito tutti i posteri ammireranno gli esempi di animo invitto mostrati da Niccolò I contro Lotario; da Urbano II e da Pasquale II contro Filippo I, re delle Gallie; da Celestino III e Innocenzo III contro Filippo II, re delle Gallie; da Clemente VII e Paolo III contro Enrico VIII; infine dal santissimo e fortissimo Pontefice Pio VII contro Napoleone I, baldanzoso per la fortuna che lo assecondava e per la grandezza del proprio impero. – Quindi, se tutti i governatori e amministratori degli Stati avessero voluto seguire la ragione, la sapienza e lo stesso interesse dei sudditi, avrebbero dovuto desiderare che le sacre leggi intorno al matrimonio rimanessero intatte, e valersi dell’aiuto offerto dalla Chiesa a tutela dei costumi e a prosperità delle famiglie, piuttosto che mettere in sospetto quale nemica la stessa Chiesa, ed attribuirle la falsa ed iniqua accusa di avere violato il diritto civile. – Ciò tanto più in quanto la Chiesa cattolica, come in nessuna cosa può mancare alla fedeltà del suo ufficio e alla difesa dei suoi diritti, così suole essere sommamente inclinata a benignità e indulgenza in tutte quelle cose che possono insieme conciliarsi con la saldezza delle sue ragioni e con la santità dei suoi doveri. Infatti non stabilì mai intorno ai connubi senza tener conto dello stato della società e della condizione dei popoli. Più volte ella medesima, per quanto poté mitigò le proprie leggi, quando fu indotta a mitigarle da giusti e gravi motivi. Analogamente ella non ignora, né sconfessa che il Sacramento del matrimonio, essendo indirizzato anche alla conservazione e all’incremento dell’umana società, ha una stretta relazione con le stesse cose umane, le quali derivano bensì dal matrimonio, ma appartengono all’ordine civile, e sulle quali, a ragione, giudicano e dispongono i reggitori dello Stato. – Nessuno poi mette in dubbio che il fondatore della Chiesa, Gesù Cristo, volesse che la potestà sacra fosse distinta da quella civile, e che l’una e l’altra avessero, nell’ordine proprio, libero e sciolto l’esercizio del proprio potere, tuttavia alla condizione, che conviene all’una e all’altra e che è vantaggiosa per tutti gli uomini, che intercorressero tra loro unione e concordia, e che nelle cose le quali sono, quantunque per diversa ragione, di comune diritto e competenza, quella cui furono raccomandate le cose umane dipendesse in modo opportuno e conveniente dall’altra, alla quale furono affidate le cose celesti. In siffatto accordo poi, quasi un’armonia, è riposto non solo il benessere dell’una e dell’altra potestà, ma anche il più opportuno e più efficace mezzo di giovare al genere umano in ciò che appartiene al modo di vivere ed alla speranza della salute eterna. Infatti, poiché l’intelletto umano, come Noi dimostrammo nella precedente Enciclica, se si accorda con la fede cristiana diviene molto più nobile ed acquista maggior forza per schivare e combattere gli errori, e vicendevolmente la fede ottiene non piccolo aiuto dalla stessa ragione, così nello stesso modo, ove l’autorità civile proceda in pieno accordo con la sacra potestà della Chiesa, non può non derivarne grande utilità all’una e all’altra. Conseguentemente, a questa viene aggiunta maggiore dignità: ispirandosi alla religione, essa dominerà sempre secondo giustizia; a quella vengono forniti aiuti di tutela e di difesa a comune vantaggio dei fedeli. – Noi dunque, mossi dalla considerazione di tali cose, come altre volte con la maggior cura, così al presente esortiamo di nuovo caldamente i Principi ad unirsi in buon accordo e in amicizia. Ad essi, con paterna benevolenza Noi per primi porgiamo la destra, offrendo loro il soccorso del Nostro supremo potere, il quale è tanto più necessario in questo tempo in quanto l’autorità sovrana nella opinione degli uomini, come per ferite ricevute, è resa più debole. Essendo gli animi già accesi di licenziosa libertà, e rifiutando con empio ardire il dominio di qualsivoglia autorità, anche la più legittima, la salvezza pubblica richiede che le forze dell’una e dell’altra potestà si uniscano al fine di allontanare i danni che sovrastano non solo sulla Chiesa, ma sulla stessa società civile. – Però, mentre consigliamo caldamente l’amichevole unione delle volontà, e supplichiamo Dio, principe della pace, che infonda negli animi di tutti gli uomini l’amore della concordia, non possiamo Noi stessi astenerci, Venerabili Fratelli, dall’eccitare con le esortazioni sempre meglio il Vostro zelo, la Vostra operosità e la vigilanza che sappiamo in Voi essere grandissima. Per quanto si possano estendere i Vostri sforzi, per quanto possa la Vostra autorità, adoperatevi perché presso i popoli affidati alla Vostra fede si mantenga integra ed incorrotta la dottrina che Cristo Signore e gli Apostoli, interpreti dei voleri del cielo, insegnarono, e che la stessa Chiesa cattolica conservò gelosamente, e comandò che fosse custodita dai cristiani in tutti i tempi. – Adoperatevi al massimo che i popoli conoscano in abbondanza i precetti della sapienza cristiana, ed abbiano sempre fisso nella mente che il matrimonio fu dal principio stabilito non per volontà degli uomini, ma per autorità e volere di Dio, e con questa legge: che sia di uno solo con una sola. Cristo poi, autore della nuova Legge, da ufficio di natura lo ha collocato fra i Sacramenti, e per quel che riguarda il vincolo, ne ha dato alla Chiesa il potere legislativo e giudiziario. In questa materia conviene vigilare diligentemente affinché le menti non siano tratte in errore dalle fallaci argomentazioni degli avversari, i quali vorrebbero che fosse tolto alla Chiesa tale potere. Similmente deve essere chiaro a tutti che se tra i cristiani si contrae l’unione dell’uomo e della donna indipendentemente dal Sacramento, essa manca della natura e dell’efficacia del legittimo matrimonio, e quantunque essa sia stata fatta in modo conforme alle leggi dello Stato, tuttavia non può essere considerata più che un rito od un’usanza introdotta dal diritto civile. Inoltre, dal diritto civile non possono essere ordinate e amministrate se non quelle cose che i matrimoni producono nell’ordine civile, e che ovviamente non possono essere prodotte se non ne esiste la vera e legittima causa, cioè il vincolo nuziale. – Certo importa moltissimo che gli sposi conoscano appieno queste cose, le quali debbono essere approvate anche da loro e impresse nei loro animi affinché sia loro consentito in questo caso di uniformarsi alle leggi. La Chiesa non vieta ciò, anzi vuole e desidera che siano completamente salvi gli effetti dei matrimoni, e che non venga cagionato alcun danno ai figli. In tanta confusione poi di giudizi, che vanno crescendo ogni giorno di più, è necessario che sia anche ben conosciuto che lo sciogliere il vincolo del connubio rato e consumato tra cristiani, non è in facoltà di nessuno, e che conseguentemente sono rei di manifesto delitto quei coniugi – se per avventura ve ne fossero alcuni – i quali per qualunque motivo addotto vogliano stringersi in un nuovo vincolo matrimoniale innanzi che per morte resti sciolto il primo. Se le cose giungessero a tal punto che il convivere insieme non sembri più a lungo sopportabile, allora la Chiesa permette che l’uno conduca i suoi giorni separato dall’altro, e cerca con cure e rimedi, da apprestarsi secondo la condizione dei coniugi, di alleggerire i danni della separazione, né avviene mai che ella non s’adoperi o che disperi di ridurre gli animi alla concordia. Questi, per altro, sono i partiti estremi ai quali sarebbe facile non addivenire se gli sposi, non trasportati dalla passione, ma riflettendo in precedenza sia i doveri dei coniugi, sia i motivi nobilissimi dei connubi, si accostassero al matrimonio con ponderata intenzione e non anticipassero le nozze con una serie continuata di turpitudini, sotto lo sdegno di Dio. Per concludere, allora i matrimoni potranno avere una dolce e sicura stabilità, quando attingano lo spirito e la vita dalla virtù della religione, la quale dà grazia d’animo forte ed invitto; e fa sì che si sopportino non solo con rassegnazione, ma con lieto animo, i difetti che possono avere le persone, la diversità dei costumi e delle indoli, il peso delle cure materne, la grave sollecitudine dell’educazione dei figli, i travagli, compagni della vita. – Di un’altra cosa si deve ancora avere cura, che cioè non si desiderino con facilità le nozze con persone che non appartengono alla Chiesa cattolica. Infatti si possono nutrire poche speranze che gli animi dissidenti in materia religiosa riescano ad andare d’accordo nel resto. Anzi, che si debba rifuggire da siffatti connubi, si comprende soprattutto per il fatto che essi porgono occasione alla vietata comunanza e partecipazione delle cose sacre, mettono a rischio la religione del coniuge cattolico, sono d’impedimento alla buona istruzione della prole, e troppo spesso inducono gli animi ad assuefarsi a tenere in pari stima tutte le religioni, eliminando ogni differenza tra il vero ed il falso. Infine, ben sapendo che alla Nostra carità nessuno deve rimanere estraneo, raccomandiamo all’autorità, alla tutela e alla pietà Vostra, Venerabili Fratelli, coloro, veramente molto miseri, i quali trascinati dall’ardore delle passioni ed assolutamente dimentichi della propria salute, conducono una vita licenziosa, congiunti in vincolo di nozze non legittime. A richiamare a dovere tali uomini sia rivolta la Vostra sagace solerzia; Voi stessi, direttamente o mediante l’opera di persone dabbene, cercate in tutti i modi che essi sentano di avere operato scandalosamente, si pentano di tanta vergogna e s’inducano a celebrare le vere nozze secondo il rito cattolico. – Voi vedete facilmente, Venerabili Fratelli, che questi ammaestramenti e precetti intorno al matrimonio cristiano, che con questa Nostra lettera ritenemmo doveroso comunicarVi, sono di grande utilità non solo per la conservazione della civile comunanza, ma anche per l’eterna salute degli uomini. Voglia dunque Iddio che, quanto più essi hanno d’importanza e di autorità, tanto più trovino in ogni parte animi docili e pronti ad obbedire. Per la qual cosa, con supplici ed umili preghiere tutti uniti imploriamo l’aiuto della Beata Maria Vergine Immacolata che, rafforzate le menti alla obbedienza della fede, si mostri madre e soccorritrice degli uomini. Né con minore calore supplichiamo i Principi degli Apostoli Pietro e Paolo, vincitori della superstizione, seminatori della verità, affinché proteggano con il più costante patrocinio il genere umano insidiato dall’inondazione dei rinascenti errori. – Intanto, auspice dei celesti favori e testimonio della singolare Nostra benevolenza, a Voi tutti, Venerabili Fratelli, ed ai popoli affidati alla Vostra vigilanza, impartiamo di cuore l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 10 febbraio 1880, anno secondo del Nostro Pontificato.

 

G. B. MONTINI fonda la contro-Chiesa dell’uomo

il 29 giugno del 1963, intronizzando satana nella Cappella Paolina durante una doppia messa nera.

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Prima di morire, nel luglio 1999, l’ex gesuita, scrittore e perenne “insider” del Vaticano, Malachi Martin, marrano braccio destro dell’altrettanto marrano cardinal Bea, incaricato di pedinare e ricattare i cardinali ostili alle riforme di Montini, cripticamente ammise che, durante il conclave del 1963, si verificò un intervento criminale subito dopo la seconda (la prima era già avvenuta il 26/X/1958) elezione papale di Siri, S. S. Gregorio XVII, per mezzo di UNA TERRIBILE MINACCIA ESTERNA PER ANNIENTARE IL VATICANO. Martin chiaramente affermò che: «È certo che nelle votazioni del Conclave del 1963, Siri avesse raccolto il numero necessario di voti per essere eletto Papa, ma l’elezione fu accantonata da quella che è stata definita come una “piccola brutalità”. (…) Dopo tre giorni di Conclave, Montini fu invalidamente eletto come Paolo VI. Montini avrebbe rappresentato la testa dell’anti-Chiesa».

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– Sempre l’ex gesuita, scrittore e perenne “insider” del Vaticano, Malachi Martin, nel suo libro: “Windswept house – A Vatican Novel”, fornisce i dettagli di una doppia messa nera, che ebbe luogo solo alcuni giorni dopo la fraudolenta elezione di G. B. Montini (il sedicente antipapa Paolo VI) al soglio pontificio. – Il 29 giugno 1963, otto giorni dopo l’elezione di Paolo VI, fu celebrata una doppia messa nera, a Roma e a Charleston (Carolina del Sud – USA) con la quale Satana fu intronizzato nella Cappella Paolina, il luogo in cui il Papa ricopre il ruolo di “Custode dell’Eucarestia”. – Il “marrano” gesuita fece queste rivelazioni non per rimorso o scrupolo di coscienza, ma semplicemente perché in tal modo tutti i fratelli del bnai Brith venissero a conoscenza dell’evento che sigillava la riuscita totale del piano organizzato da secoli, un po’ come quando il Montini denunciava il fumo di satana in Vaticano, quel fumo che egli stesso aveva permesso che infestasse la Cattedra di Pietro … non era uno stato di allerta, ma un segnale per i suoi mandanti che la cose stavano procedendo come pianificato. Quel 29 giugno 1963, fu, e cioè l’inizio del Regno dell’Anticristo. In quel giorno, divennero realtà le parole della Madonna de La Salette: «Roma perderà la Fede e diventerà la sede dell’Anticristo», e le parole della Madonna di Fatima: «Effettivamente, Satana riuscirà ad introdursi fino alla sommità della Chiesa».

– A conclusione di quella doppia messa nera, il Delegato Internazionale Prussiano lesse la Legge di Autorizzazione davanti ai presenti della messa nera di Roma: «Chiunque, attraverso questa Cappella Interna, fosse designato e scelto come successore finale dell’Ufficio Papale, dovrà giurare lui stesso, e tutti coloro che egli comanderà, di essere il volonteroso strumento e collaboratore dei Fondatori della “Casa dell’Uomo sulla Terra” … Così sarà modellata la “Nuova Era dell’Uomo”».

– Il 29 giugno 1963, quindi, nasceva la “Nuova Chiesa Universale dell’uomo” di ispirazione satanica che aveva il compito di sopprimere la Chiesa di Cristo, ma in modo particolare, doveva eliminare dalla faccia della terra la Redenzione del Sacrificio di Cristo sulla Croce, e sostituirla con la redenzione blasfema e satanica della Triplice Trinità massonica, di cui Mons. Montini ben conosceva la rappresentazione geometrico-simbolica, per averla personalmente progettata e fatta scolpire, nel 1943, sul tombale della madre, Giuditta Alghisi, nel cimitero di Verolavecchia (Brescia). – Alla fine, il Vescovo Leo (Mons. John Joyce Russell, Vescovo di Charleston – n.d.r.) chiuse la prima parte del Cerimoniale con la Grande Invocazione: «Credo che il Principe di questo Mondo sarà Insediato, questa notte, nell’Antica Cittadella e, da lì, Egli creerà una Nuova Comunità». La Risposta venne immediatamente con un brio impressionante: «E IL SUO NOME SARA LA “CHIESA UNIVERSALE DELL’UOMO”». Era giusto e adeguato che il Vescovo Leo offrisse l’Ultima Preghiera d’Investitura della Cappella Satellite: «… ora Ti adoro, Principe delle Tenebre. Con la Stola di tutte la Empietà, io ora pongo nelle Tue mani la Triplice Corona di Pietro, secondo la adamantina volontà di Lucifero, cosicché Tu possa regnare qui, cosicché ci possa essere un’unica Chiesa, una Chiesa Universale, una Vasta e Potente Congregazione fatta di Uomini e Donne, di animali e piante, cosicché il nostro Cosmo possa essere di nuovo uno, immenso e libero». Dopo queste ultime preghiere e dopo l’ultimo gesto di Leo, tutti si sedettero. Il Rito passò alla Cappella Madre di Roma. – L’Intronizzazione del Principe in seno alla Cittadella del Debole (La Cappella Paolina) era ormai quasi terminata. Rimanevano ancora la Legge di Autorizzazione, la Legge delle Istruzioni e la Prova. – Il Delegato Internazionale Prussiano si diresse verso l’Altare e lesse la Legge di Autorizzazione con un forte accento: «Come voluto dagli Anziani Sacrosanti e dall’Assemblea, istituisco, autorizzo e riconosco questa Cappella d’ora in avanti come la Cappella Interna, presa, posseduta e appropriata da lui, colui il quale abbiamo insediato “signore” e comandante del nostro destino umano. – Chiunque, attraverso questa Cappella Interna, sarà designato e scelto come successore finale dell’Ufficio Papale, dovrà giurare lui stesso, e tutti coloro che egli comanderà, di essere il volonteroso strumento e collaboratore dei Fondatori della “Casa dell’Uomo sulla Terra” e su tutto il Cosmo dell’Uomo. (…) Così sarà modellata la “NUOVA ERA DELL’UOMO”». Poi venne il momento del giuramento. Il Delegato Internazionale alzò la mano sinistra e disse: «Voi tutti, avendo udito questa autorizzazione, ora giurate solennemente di accettarla intenzionalmente, inequivocabilmente, immediatamente e senza alcuna riserva?».

«LO GIURIAMO!».

«Voi tutti giurate solennemente che la vostra amministrazione sarà volta a soddisfare il volere della “CHIESA UNIVERSALE DELL’UOMO?”».

«LO GIURIAMO SOLENNEMENTE!».

«Voi tutti siete pronti a firmare questa volontà con il vostro stesso sangue, che Lucifero vi punisca se non siete stati fedeli a questa Promessa d’Impegno?». – «SIAMO PRONTI E DISPOSTI!». «Voi tutti accettate che, con tale Promessa, trasferirete la Signoria e la Possessione delle vostre anime dall’Antico Nemico, il Debole Supremo, nelle mani dell’Onnipotente nostro Signore Lucifero?».

«LO ACCETTIAMO!».

– Poche ore dopo l’evento della doppia messa nera, Paolo VI fece il giuramento da “papa”. Quel “giuramento” fu uno “spergiuro” perché, de facto, Paolo VI lo annullò in tutto con la sua “rivoluzione” che non salvò alcun aspetto del Dogma, della Morale, della Liturgia, della stessa Disciplina. I quindici anni di pontificato di G. B. Montini (alias Paolo VI) videro la nascita e lo sviluppo della “Casa dell’uomo sulla Terra” o meglio della “Nuova Chiesa Universale dell’Uomo” d’ispirazione satanica. Questa fu la “nuova chiesa di Paolo VI” che, secondo le parole della Madonna de La Salette, come “corpo nero” avrebbe “eclissato” la Chiesa di Cristo, il “corpo lucente”, ancora oggi la “gerarchia in esilio”.

Padre Pio da Pietrelcina incaricò il sacerdote don Luigi Villa di scovare i massoni infiltrati nella Chiesa indirizzandogli tra l’altro (seconda metà del 1963) le seguenti parole:  «Coraggio, coraggio, coraggio, perché la Chiesa è già invasa dalla Massoneria», seguita dalle parole: «La Massoneria è già entrata nelle pantofole del Papa (l’antipapa Paolo VI)», dandogli come principale obiettivo del suo incarico, ratificato ufficialmente da S. S. Pio XII: PAOLO VI.

Ecco la missione che Padre Pio è passata a Don Luigi Villa ed oggi a tutti noi, ognuno con i suoi poveri e scarsi mezzi [ma … è quando siamo deboli che siamo forti]: combattere il Regno dell’Anticristo, nato il 29 giugno 1963, smascherare i nemici di Cristo ai vertici della Chiesa e condannarli come disse la Madonna a La Salette, parlando degli apostoli degli ultimi tempi: «… essi faranno progressi per virtù dello Spirito Santo e condanneranno gli errori diabolici Dell’Anticristo!». La Vera Chiesa Cattolica è salva, anche se in affanno, in sofferenza, in pericolo costante tra sotterranei e catacombe. Ma C’è! … non praevalebunt …

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et ipsa conteret caput tuum!