LETTERA X.
LA PROFANAZIONE DELLA DOMENICA:
ROVINA DELLA SANITÀ (1)
3 giugno.
Signore e caro amico,
I.
Gli empi hanno viscere di bronzo [“Viscera autem impiorum crudelta”. (Prov. XII, 10]. Verificato per lutti i fatti dell’istoria, e per le particolarità circostanziate contenute nella mia ultima epistola, questo motto delle nostre divine scritture, va ad esserlo abbondantissimamente per le considerazioni che oggi io vi presento. Gli empi, i quali introdussero infra noi la profanazione della domenica, come pur troppo i loro continuatori in questa opera d’iniquità, strapparono al popolo i soli beni che egli possedeva. Non contenti di avergli tolto la sua religione, i suoi godimenti di famiglia, la sua libertà, il suo benessere, il sentimento della sua dignità, gli vogliono ancora strappare l’ultimo conforto che gli rimane: la sanità. La fortuna dell’artigiano è la sua sanità. Ora la profanazione della domenica ne diventa la rovina. Da un canto, l’uomo non può del continuo operare, essendo di necessità che si riposi; dall’altro, non può riposarsi che nella domenica alla chiesa, od il lunedì alla taverna. Deggio io in prima di tutto stabilire la mia proposizione; e quindi ricercherò quali sono le conseguenze igieniche di questo doppio riposo.
II.
Da principio, l’uomo non può incessantemente lavorare. L’arco ognora teso ben tosto perde l’elasticità sua. Parimenti quell’uomo, che volesse continuamente lavorare, non lavorerebbe lunga pezza. Le infermità precoci, l’affievolimento degli organi e le malattie d’ogni specie non tarderebbero guari a vendicare la natura oltraggiata nelle sue leggi, e a condannare ad una feria forzata il temerario che avrà disdegnato d’accordarsi il riposo comandato dal Creatore. Il riposo è adunque una legge pel mortale: siccome questi non può vivere senza mangiare, cosi pure viver non può senza riposare. – Volentieri, o mal volentieri, è necessario che ciascuna sera egli ubbidisca a questo bisogno imperioso, di cui niuna scoperta, niun sistema, niun progresso valse infino al presente a renderlo padrone. – Ma siffatto riposo di ciascun giorno basta esso per confortare in una giusta misura le forze del mortale, e conservarlo lungamente in un’età di vigore e di sanità? Domandiamone la risposta non ai teologi ed ai padri della Chiesa, ma ai filosofi i meno sospetti, ai medici i più esperimentati, ai fisiologisti i più abili tanto in Francia che altrove. Ecco in sulle prime un filosofo contro a cui hanno nulla da obbiettare coloro, i quali noi combattiamo: « Che debbesi mai pensare, domanda Rousseau , di coloro che vogliono torre al popolo le sue feste, come altrettante distrazioni, che lo allontanano dal lavoro? Cotesta massima è barbara e falsa. Tanto peggio se il popolo non abbia spazio che per guadagnar il suo pane; fa d’uopo ancora che ne ritenga per mangiarlo con gioia; senza di che egli non raccorrà grande pezza. Iddio giusto e benefattore, il quale esige che si occupi, vuole altresì che si ricrei. La natura a lui impone ugualmente l’esercizio e il riposo, il piacere e la pena. L’avversione al lavoro aggrava più l’infelice, che l’istesso lavoro. Volete voi rendere un popolo attivo e laborioso? Date a lui delle feste…. De’ giorni così consumati infonderanno lena agli altri » .- Secondo Rousseau, il riposo ebdomadario di un sol giorno non bastando, fa di mestieri per entro regolati intervalli, d’avere un riposo più compiuto. « Havvene neressità, soggiunge Cabanis, ne’ laboratori chiusi; sopratutto in quelli nei quali l’aria si rinnova con difficoltà. Quivi, le forze muscolari ratto ratto diminuiscono, la riproduzione del calore animale languisce, e gli uomini di complessione la più robusta contraggono il temperamento mobile e capriccioso delle femmine. Lungi dall’influenza di questa aria salubre, e di questa viva luce, di cui si fruisce sotto la vòlta del cielo, il corpo languisce in qualche maniera, come una pianta priva dell’aria, e del giorno; il sistema nervoso può degenerare in torpore, e troppo sovente, non ne esce, che per irregolari eccitamenti. – « Non se ne abbisogna di meno, aggiunge un giudizioso osservatore, nei laboratori più coperti, dove si raduna un gran novero di operai. L’esercizio istesso della loro professione e la loro agglomerazione non tarda troppo ad infettar l’aria…. l’atmosfera si trova presto presto piena e zeppa d’acido carbonico, di miasmi mortiferi, di polvere e di molecole metalliche, cose tutte, le quali introducono negli organi polmonari degli agenti di distruzione più o meno rapida. Così, quasi per tutto dove esistono manifatture, fabbriche ed altre case d’industria di qualunque genere siasi, che esigano il concorso d’una grande quantità di braccia, si produce tosto una specie di degenerazione, la quale si manifesta prontamente presso gl’individui. » Facce pallide, le quali conservano un’espressione dura e spiacevole, costituzione diafana negli uomini, fisionomia bacata e dolorosa nelle femmine, bamboli, che portano dal loro entrare nella vita le marche, indelebili della maledizione che sembra pesare in sur gli autori de’ loro giorni; sono l’affliggente spettacolo che presentano comunemente queste riunioni di operai. Se, per nutricare le famiglie loro, dovettero eglino curvarsi durante tutta la settimana sovra il mestiere o i banchi loro, nella domenica almeno possa ciascun di essi rimettersi dalle tollerate fatiche e ringagliardire le forze, colle quali sia in grado di riprendere l’opera con una novella energia». « Esso è necessario agli uomini, i quali affaticano al di fuori e portano il peso del giorno. Di questi stando gli uni esposti al sole, alla pioggia, al vento ed a tutte le intemperie delle stagioni, lavorano la terra, e depongono nel seno d’essa, colla semenza che fruttificherà, una porzione della forza e vita loro. Gli altri tagliano con lunghi sforzi le foreste e le rupi, quelli si seppelliscono nelle viscere della terra, ed avventurano l’esistenza loro nel seno dei vapori letali, cui occultano le profondità del globo, esposti alle frane ed a mille accidenti d’ogni specie. Chi non capisce quanto tutte queste persone di professioni così travagliose abbisognino d’un riposo riparatore? » Esso è necessario agii uomini di gabinetto il lavoro dei quali agisce più che ogni altro mai d’una maniera dannosa sovra la sanità. Esso è necessario particolarmente eziandio al commerciante seduto al suo banco, ed a coloro cui egli associa alla sua solitudine. Per poco che si rifletta circa il prodigioso raddoppiamento d’attività, necessitato per lo sviluppo dell’industria, per l’accrescimento rapido delle relazioni commerciali, per l’estensione delle operazioni giornaliere de’ diversi stabilimenti di negozio, si resta persuaso che una giornata periodica di riposo è divenuta più necessaria che giammai. Dal tempo de’ nostri padri, le case istesse le più modeste, nelle quali vendevansi degli oggetti necessari di consumazione, avevano in tutti i dì certe ore di requie, durante le quali il mercatante rinchiudevasi per liberamente mangiare, e per abbandonarsi alcuni istanti ad un assoluto riposo. Chiunque fossesi presentato per comperare, l’avrebbero invitato gentilmente a ritornare in un altro momento.» Presentemente, non vi ha più respiro. – Il mercatante e ’l suo commesso trangugiano frettolosi i loro pasti senza interrompere le operazioni, i calcoli loro, ed in alcune città le fatiche del commerciante sono ancora aumentate per veglie soventemente protratte, donde viene quella caterva di malattie, le quali riempiono le pagine delle fisiologie medicinali. Lungi impertanto, che il giorno di festa sia divenuto meno vantaggioso per codesta classe di persone, debbesi riconoscere al contrario, che per esse bisognerebbe inventarlo, se non esistesse; imperciocché egli è forse a queste stesse che i suoi benefizj sono maggiormente proficui » [Perennès, Institulion du dimanche, p. 112. Àn. IV. — La Prof, , ecc].
III.
Egli è adunque evidentissimo, che il riposo ordinario di ciascun giorno non basta punto all’uomo; la sua sanità esige di tanto in tanto un riposo compiuto. Tale è la conclusione della scienza, e noi vedremo in breve che tale è pur anco quella dell’esperienza. Io dico male; imperocché di già la nostra esperienza personale non ci lascia alcun dubbio sovra di siffatto soggetto. Ma a quali intervalli debbe rivenire questo riposo per esser veramente riconfortatore? Se i giorni che voi feriate, son troppo frequenti, la ristrettezza, l’affanno della mancanza di lavoro, e le conseguenze funeste ch’essa ingenera, alterano la vostra instituzione. Se intervalli troppo grandi li separano, l’inconveniente della fatica eccedentemente prolungata sussiste, e il riposo incompiuto non inanimirà che a metà lo smarrimento delle forze. Trovansi soltanto due mezzi per risolvere questo importante problema, la rivelazione e l’osservazione. Ora il Signore, che creò l’ uomo, e ne misurò le forze, a lui intimò: “Tu ti riposerai il settimo giorno”. E qualunque siasi scienza, qualunque siasi filosofia s’inchinò mutola avanti la legge del Signore. S’attentarono esperimenti con grande schiamazzo per sostituirle delle leggi umane, e queste effimere leggi sono divenute oggetto di derisione e disprezzo. Tu ti riposerai nel settimo dì, qualunque sia la natura delle tue occupazioni, e ciò sotto pena di più grave pericolo per la tua sanità ed anche per la tua vita: tale è eziandio la conclusione a cui conduce l’osservazione profonda delle leggi fisiologiche del mortale. Prestiamo l’orecchio intorno a ciò ad un celebre medico protestante, il dottore Farr. In un rapporto indirizzato al Parlamento, egli s’esprime cosi: «L’osservanza della domenica deve essere annoverata non solamente infra i doveri religiosi, ma anche tra i doveri naturali, se la conservazione della propria vita è un dovere, e se uno è colpevole di suicidio distruggendola prematuramente. Io non parlo qui che come medico, e senza occuparmi in niuna maniera della questione teologica [Archives du Chist., 1835, p. -183 et seg.]. – Perciò, a meno d’accusare l’Altissimo istesso d’imprevidenza, la rivelazione di menzogna, l’osservazione la più coscienziosa di vaneggiamento, od i nostri esperimenti personali d’illusione, fa di mestieri riconoscere due cose: la prima che il riposo è necessario all’ uomo; la seconda che il riposo ordinario di ciascun giorno non basta, e che abbisogna dargli un riposo più compiuto, un giorno sovra sette. – Argomento questo che trionfa ormai d’ogni contrario insegnamento. – Potrebbesi obbiettare l’esempio dei Cinesi e degl’Indiani, i quali non rispettano il riposo del settimo dì. Io rispondo: 1° che questi popoli nulladimeno in differenti stagioni hanno dei giorni di riposo, come al principiar del novello anno, che celebrano per otto e dodici giorni di solennità; al piccolo novello anno, cioè a metà, dell’annata, ed anche al rinnovellamento della luna; 2° che in conseguenza delle loro preoccupazioni esclusivamente matèrialiste, essi sono snervati: la mollezza, la poltroneria formano il carattere loro; l’immoralità è presso de’ medesimi al suo stremo; la miseria in permanenza; le malattie epidemiche vi sono più terribili e più frequenti; 3° che a cagione della diversità del clima, e dell’abitudine, che gli obbligano a protrarre assai più, che noi il riposo quotidiano, è possibile che il riposo regolare del settimo dì loro sia meno necessario. Ma in Europa, colla nostra attività indefessa, e colla nostra vocazione intellettuale, si comprende ugualmente l’indispensabile necessità d’un riposo regolare.
LETTERA. XI.
LA PROFANAZIONE DELLA DOMENICA
ROVINA DELLA SANITÀ ( Seguito ).
10 giugno.
I.
Signore e caro amico, Quello che mi scrivete voi nella vostra risposta dell’incredulità di certi uomini intorno al fatto di Rimini, non debbe punto istupirvi, eppure tiene del prodigioso. Ecco per verità degli uomini che si vantano per ispiriti forti, per ispiriti superiori, per ispiriti estesi, e che lo credono ancora più di quello che lo dicono; degli uomini che, in ciascun giorno, ammettono, in sulla fede di due o tre de’ loro simili, degli aneddoti, de’falli, delle dottrine, delle quali mille altri pretendono aver ben molte ottime ragioni di dubitar, e che le ammettono come parola di Vangelo, come base di governo, come regola infallibile di condotta. E codesti stessi uomini, senza solida ragione, negano un fatto strepitoso, ripetuto cento fiale durante quindici giorni in presenza di miriadi di testimonj, sani di corpo e di mente, e che l’attestano come potrebbero attestare l’esistenza di sé. Ecco un’ostinazione, che certo ha del prodigioso, ma la pretendenza loro ne ha assai di più. Non vogliono eglino ammettere il miracolo di Rimini, e pretendono farne ammettere un altro, avanti il quale allibiscono tutti quelli che giammai si operarono, quell’istesso compresovi della creazione del mondo: questo è il miracolo dell’occhibagliolo in sessanta mila persone, durante quindici giorni 11! – In fallo di miracoli, voi vedete che l’incredulità vi largheggia alla grossa. Per me, tutto cattolico, che io mi sono, vi confesso che la mia fede non è punto abbastanza robusta per ingojare m simile smargiassone; e se non si può essere incredulo che a cotal prezzo, io vi rinuncio. – Voi mi richiedete del motivo di siffatta negazione la più ridicola; scrutato non già lo spirito, ma i1 cuore di codesti signori, e voi lo troverete. In un ripostiglio il più recondito di codesto povero cuore si rannicchia una ragione di non credervi, e questa ragione è un interesse: allora tutto a voi sarà spiegato. Lasciatevi voi sorprendere il dito per entro l’imboccatura de’ denti di certe macchine, e tutto il vostro corpo sarà costretto a passare fra mezzo de’ cilindri: Ammettere un miracolo, un solo, è lasciarsi cogliere dai denti del Cattolicismo. Ora, siate sicuro, che non ammetteranno questo miracolo, fosse ben anche questo la risurrezione d’un morto; poiché, a niun conto assolutamente vogliono essi lasciarsi guadagnare dal Cattolicismo, opponendovisi il loro interesse. – Se ne dubitate, io faccio con voi una scommessa. Supponiamo che domani l’assemblea legislativa decreti, che chiunque, in sul territorio della Repubblica francese, crederà che due e due fanno quattro, sarà obbligalo, sotto pena di morte, di confessarsi: non sono io peritoso di porre pegno che dopodomani si troveranno cinquanta giornali, e cinquantamila uomini, che avranno provato, per cinquanta ragioni, migliori le une delle altre, che due e due non fanno punto quattro; che ciò non è dimostrato; che essi non possono crederlo ; eh’essi non lo credettero mai. Ecco l’uomo! Egli è sempre il cuore che nuoce alla testa di lui.
II.
Lagnatevi unicamente con voi, se vi piace, signor Rappresentante, della mia digressione: è la vostra lettera che mi vi sospinse. Del resto, io non credo d’essermi troppo allontanato dal mio soggetto, conciossiachè abbia ancora odiernamente degli increduli a convincere. Ora, dopo avere istabilito 1’assoluta necessità del riposo settenario per la sanità, tratto la seconda parte della mia proposizione, e pronuncio che i1 mortale non può riposarsi che nella domenica – alla chiesa o nel lunedì alla biscazza. – Sostenendo che l’uomo non può riposarsi che nella domenica o nel lunedì, voi comprendete che non parlo d’un potere assoluto. Io so perfettamente ch’è libero all’uomo di scegliere, per suo riposo, il giorno a lui piacevole, ma io ragiono dietro un fatto costante, e passato in abitudine. Ora, questo fatto, che ciascun vede coi suoi occhi, è che in realtà il lavoro non vien sospeso, che nella domenica, o nel lunedì. Tale è la potenza di simile abitudine, che l’industriale, il negoziante, il lavorante, non
potrebbero senza eccitar la sorpresa generale, e concitarsi degli sberteggiamenti d’ogni natura, prendere il mercoledì, od il giovedì, per esempio, per darsi al riposo. – Fa d’uopo’ adunque eleggere infra la domenica e il lunedì, infra il riposo della chiesa, e i1 riposo delle biscazze. Disaminiamo quale dei due ò veramente ravvivante, veramente igienico.
III.
« Se si avverte, continua il dottore inglese di già citato. che la religione produce la pace dell’anima, la confidenza in Dio, i sentimenti interiori del benessere, non si tarderà a convincersi che essa è una fonte di vigore per lo spirito, e per l’intermedio dello spirito un principio di forze pel corpo. Il santo riposo della domenica infonde nel corpo un novello germe di vita. L’esercizio laborioso del corpo e dello spirito, ugualmente che la dissipazione delle sensuali voluttà, sono i nemici del mortale tanto, quanto una profanazione del sabbato, frattanto che le gioie della quiete nella famiglia, gioie unite agli studj ed ai doveri che impone il giorno del Signore, tendono a prolungar la vita umana. Quest’è la sola e perfetta scienza, la quale rende il presente più certo, ed assicura la felicità avvenire. » Egli è vero, che 1’ecclesiastico ed il medico debbono operare nella domenica pel vantaggio dèlla comunità; ma io ho riguardalo come essenziale alla mia conservazione di restringere il mio lavoro della domenica allo stretto necessario. Io ho osservato sovente la morte precoce de’ medici, i quali s’occuparono continuamente: e ciò sopratutto è visibile ne’ paesi caldi-. Quanto agli ecclesiastici, io loro consigliai di riposarsi in un altro dì della settimana. Ne conobbi parecchi che sono morti per cagione de’ loro lavori durante questi giorni, perché non avevano di seguito abbracciato un equivalente riposo. Conobbi pur anco de’ personaggi parlamentari che sidistrussero la sanità per aver negligentato questa economia della vita. Al postutto, all’uomo abbisogna che il suo corpo goda di requie un giorno sopra sette, e che il suo spirito si abbandoni ad un cangiamento d’idee, che conduce il giorno instituito per una ineffabile sapienza » [Archivi. du Christ., \ 835, 168]. – Di questa guisa , un’avventurosa diversione a’pensieri, i quali durante tutta la settimana occuparono lo spirito, ed affaticarono gli organi, la calma dell’anima, la tranquillità del cuore, la preghiera, la conversazione con se stesso e con Dio, la pompa delle cerimonie, la gravità e l’unzione della santa parola, il silenzio che regna dovunque, le gioie della famiglia, le rimembranze degli avi, di cui si visitò la tomba, l’aspirazione del1’essere tutto intero verso il cielo; tutte queste cose collocano l’uomo come in un nuovo mondo, lo fanno respirare in una atmosfera più pura, e sono meravigliosamente proprie a riposare insieme e i1 corpo e l’anima. Senza essere fisiologista, nè medico, si capisce senza pena quanto un somigliante riposo sia igienico e riparatore.
IV.
Tal è il riposo della domenica. N’è altrettanto di quello del lunedì? Evidentemente no: poiché il riposo del lunedì non è punto il riposo dell’anima e del corpo, il riposo del lunedì, esso è il riposo nella dissolutezza, atteso che cotesto è il riposo alle taverne. Lungi d’essere ravvivificatore, cotesto riposo è più letale che il lavoro. Crederassi forse, che l’eccesso nel nutrimento e nella bevanda; che l’uso esagerato de’ spiritosi liquori; che le veglie prolungale nell’orgia; che le passioni infiammate per lo vino, pei canti o pei discorsi osceni; che gli impeti di collera, le querele, le risse; che i rivoltamenti di tutte le abitudini d’ordine e dì sobrietà siano mezzi buoni ed igienici, capaci di supplire equivalentemente al salutare riposo della domenica, e perfettamente proprj a ristorare le forze sfinite, a rinfrancare il temperamento, e a conservare la sanità? Proporre la questione egli è risolverla. – Accordo io che la profanazione della domenica e i1 riposo funesto delle bettole, che n’è l’ordinaria sequela, non trascinino subitamente alla malattia od alla morte. Tuttavia tenete per certo che le invita 1’una e 1’altra. Non si burla punto impunemente di Dio: tanto di Dio autore delle leggi morali, le quali regolano le condizioni della vita dell’anima, quanto di Dio, autore delle leggi fisiche, le quali presiedono alla conservazione della vita, e della sanità del corpo. L’intemperanza del lavoro, come quella della mensa, è la violazione della prima legge igienica, che l’Onnipotente abbia dato al mortale, e l’intemperanza ne fa perire troppo più che non la spada. – Interrogate l’esperienza. Sovra chi principalmente si scagliano le malattie contagiose? Per chi si riserbano le febbri endemiche? In quali classi, tra quali persone il sudor maligno, e il cholera menarono di recente maggiore strage? Dovunque vi si ripeterà ch’è infra le classi lavoratrici e gli uomini, che la profanazione della domenica predisposto aveva a questi terribili flagelli, corrodendo la costituzione loro per un lavoro eccessivo, e sospingendoli all’intemperanza ed all’irregolarità nelle abitazioni di vivere; tale è la regola. Si contano tremila anni dacché il Creatore e’ i1 medico dell’uomo a questo predisse, che il cholera sarà la punizione dell’intemperanza, cio è del disprezzo delle leggi igieniche stabilite dalla Provvidenza, e tra queste leggi igieniche, noi lo provammo, quella che primeggia, è la legge del riposo ebdomadario [“Vigilia, cholera et tortura viro infrunito in multis escis erit infirmitas, et aviditas appropinquabit usque ad colera”. (Eccl. XXXI, 23; XXXVII, 53]. Quali rivelazioni spaventevoli, la scienza non avrebbe essa mai a farci in prova di ciò ch e io propongo, se essa volesse scrutinare, colla fiaccola della fede alla mano, le prime radici del suicidio, della follia , codeste epidemie morali, le quali si estendono al pari d’una schifosa lebbra in sur i popoli moderni! Né voi, né io, signore, ne dubitiamo, e niuno può dubitare: un ampio, un amplissimo posto è qui occupato per la violazione della legge igienica del riposo sacro. – Quello che io posso dire, è che secondo la testimonianza di accreditati medici, sopra cento casi di follia, novantadue deggiono essere attribuiti all’eccesso delle passioni, principalmente dell’orgoglio e della voluttà. Ma dove s’esaltano sopratutto le passioni delle classi lavoratrici, che formano i due terzi della Francia? Dove si riscaldano le teste ai ragionari anarchici, eccitatori dell’orgoglio; dove si scialacqua con disorbitanza il vino, padre della lussuria? Non è egli mai alle taverne? E chi mai le riempie? Non è essa forse in prima di tutto la profanazione della domenica? Quello che aggiungere posso ancora, si è che i Consigli di revisione constatano la degenerazione rapida della specie nei paesi, dove la domenica è abitualmente profanata, a tal segno che, in su cento giovanotti, se ne trovano appena venti che siano atti al servizio. – Quello che ultimamente posso io aggiungere, quantunque voi lo sappiate meglio di me, si è che le municipalità dei grandi centri d’industria reclamarono energicamente, ed a più riprese le misure le più urgenti per ottenere il riposo della domenica, e regolare le condizioni del lavorio che logora le popolazioni. A convincervi della trista situazione in cui queste trovansi, vi bastino questi pochi esempi. – Nel 1837 la Senna inferiore dovendo fornire un’contingente di 1,609 uomini, fu d’uopo riformarne 2,044. Così avvenne in Proporzione alle cillà di Rouen, Mulhouse, Elbeuf e Nimes. «Àl rapporto di ufficiali esperimentali, la costituzione de’ nostri soldati è, in generale, delle più deboli. Ne risulta una grande perdita d’effettivo lorquando si entra in campagna; e codesta conseguenza fu talmente rimarcata, che molti scrittori militari attribuirono allo stato fisico della nostra armata i disastri che nel 1813, e 1814 percossero la Francia.Sovra 300,000 coscritti, un terzo riparava all’ospedale nei due o tre primi mesi di campagna; imperocché questi poveri giovani, sì prodi in sul campo di battaglia, non avendo più la forza di portare le loro armi nelle marce forzate, o di bravare le intemperie delle scolte, soccombevano alla nostalgia, al tifo ed a tutte quelle infermità epidemiche che avevano riempiuto Dresda e Mayence nel 1813 e Parigi, nel 1814, di vaste e gloriose tombe » [Influence des fabriques etc.].
V.
Sarebbemi agevole il moltiplicare questi racconti affliggenti; ma essendo stati altrove registrati, io ne prescindo [Histoire de la Société domestique, t. II , ch. 8 e 9]. È impertanto sodamente stabilito che la legge della santificazione della domenica è una legge eminentemente igienica; e che per essa l’Eterno protegge la sanità dell’uomo contra un doppio pericolo: l’egoismo del padrone che vorrebbe esigere un lavoro mortifero, e l’ardore inconsiderato dell’operaio, pel lavoro, come gli eccessi di un funesto riposo. – Il mortale non volle tenerne conto, e tutta l’economia della sua esistenza venne intorbidata. Religione, società, famiglia, libertà, benessere, dignità, sanità, ricco patrimonio che formava la felicità de’ suoi avi, e che dovea far la sua, tutto cade in rovina, e codeste rovine, ch’egli non dimentica, sono umanamente irreparabili. Ancora un poco, e se non s’affretta di ricoverarsi sotto la legge, la quale sola garantisce tutti i beni, perirà corpo ed anima nelle convulsioni della più orrenda anarchia che giammai abbia spaventato il mondo, e niuno ne lo compiangerà. – Al contrario, tutti coloro i quali intenderanno questi gridi di dolore, scuoteranno il capo, e diranno: quest’è la sorte che a lui spetta; gli avvertimenti a lui non mancarono; volle egli correre al supplizio, sen corra adunque al supplizio; alla morte, che sen vada alla morte; alla miseria ed alla schiavitù, che sen vada alla miseria ed alla schiavitù [“Qui ad mortem ad mortem, et qui ad gladium ad gladium, et qui ad famem ad famem, et qui ad captivitatem ad captivitatem.” (Jerem ., XV, 2]. – Popolo sfortunato! abbi adunque infine pietà di te stesso: riconosci l’e rrore fatale del quale tu sei la vittima. Traviato per un sentimento funesto d’indipendenza, tu scuotesti il giogo di tuo padre; e come il prodigo del Vangelo, tu sei sdrucciolato in un’ignominiosa schiavitù. Tu ricercasti la gloria, ed hai trovato l’onta. « Povero popolo! quando mai aprirai tu gli occhi? Uomini di travaglio, servitori, operai, artigiani, immensa famiglia de’ lavoranti, sì diletta alla Chiesa, quando riconoscerete voi che siete burlati, e tratti in perdizione? Sì, si predicò a voi in nome della libertà il disprezzo della domenica. Eh! non sentite che il giogo si è aggravato in sugli omeri vostri, e che l’egoismo vi tratta ora con un’ alterigia insultante? Si fece al cospetto vostro una grande pompa delle perdite che vi cagiona il riposo religioso. Eh! Non vedete che esiste per voi un riposo più rovinoso e più umiliante, quello della taverna, e quello dell’infermità, necessaria conseguenza della dissolutezza o d’un lavoro smodato? Cristiani, riconoscete la vostra dignità; e, per comprenderla, venite in ciascheduna domenica a far corona a questa sacra tribuna, dove il sacerdote di Gesù Cristo vi ridirà la vostra origine tutta celeste, il prezzo della vostra redenzione, ch’è il sangue d’un Dio, il vostro sublime destino, ch’è la possessione d’una felicità senza fine e misura » [Mandement de monseigneur l’Évéque de Beauvais, 1844]. – A questi paterni avvertimenti dati ai popoli, aggiugnerò qualche consiglio a’ mandatarj de’ medesimi. Gradite, ecc.