Dai documenti declassificati.

 

“In allegato alla presente, di possibile interesse per il Dipartimento, vi è un memorandum preparato dal Foreign Service Officer da Stephen G. Gebelt, contenente alcuni ricordi personali circa il papa della Chiesa Cattolica romana recentemente eletto, papa Giovanni XXIII.”

Il seguente documento declassificato del Dipartimento di Stato U.S., su “papa” Giovanni XXIII è stato depositato il 29/10/58, cioè appena dopo tre giorni la sua brutale usurpazione del trono Papale, sottratto al Papa legittimamente eletto, Gregorio XVII (“Cardinale” Siri).

Questo documento segreto ufficiale del governo degli Stati Uniti, fornisce importanti informazioni sul modus operandi dell’ “ingenuo vecchio prelato”, Angelo Roncalli, il cui atto satanico di usurpazione doveva dare inizio all’apostasia dei religiosi e prelati cattolici.

Introduzione:

.1. Alla fine della seconda guerra mondiale, mentre ero ancora in servizio nell’esercito, assegnato come Officiale politico al personale delle forze degli Stati Uniti in Francia, ho avuto contatti con l’Arcivescovo ausiliare di Parigi, mons. Beaussart, al fine di seguire le attività all’interno degli ambienti ecclesiastici francesi; Ho avuto contatti finché l’Arcivescovo Beaussart morì nel 1952. Durante la maggior parte di questo tempo, Beaussart è stato il confessore del nunzio papale a Parigi, monsignor Roncalli, appena eletto Papa Giovanni XXIII. Erano, inoltre, amici intimi. Proprio per le frequenti visite a monsignor Beaussart, ho avuto occasione di chiacchierare con lui.

2. Inoltre, durante il periodo 1948-1950, in qualità di capo della Divisione per le relazioni con il Governo del segretariato Unesco, ho avuto occasione di vedere il Nunzio che era accreditato dal Vaticano come osservatore presso l’UNESCO. –

3. Anche se gran parte del contatto di routine si è svolto attraverso monsignor Heim, il Nunzio ebbe un notevole interesse per il suo mandato presso l’UNESCO. –

4. Roncalli fu anche un partecipante assiduo dei circuiti sociali e lo si incontrava frequentemente all’ora del cocktail.

5. Il mio ultimo contatto con lui è stato nei primi mesi del 1952.

Discussione:

.1. Il papa appena eletto prestava servizio come nunzio pontificio a Istanbul durante la guerra ed è poi succeduto a Mons. Valerio Valeri come nunzio apostolico in Francia nel 1945. È arrivato in un momento difficile nelle relazioni franco-vaticane, per il fatto che si credesse in molti circoli francesi che il clero francese apicale non fosse stato sufficientemente vigoroso nella sua resistenza ai tedeschi, ed il fatto che egli fosse un italiano non ha fatto nulla per aumentare il gradimento dei francesi per lui. Il Generale De Gaulle, egli stesso un devoto cattolico, era estremamente critico verso il Vaticano e aveva una particolare animosità verso monsignor Valeri. Quando l’arcivescovo Roncalli è arrivato a Parigi, sembrava essere quasi la caricatura di un gioviale prelato ben nutrito e beone del 18 ° secolo, dall’insieme pesante, parlante un francese con forte accento italiano, e vi era una notevole sensazione, quando è arrivato, che non solo sarebbe stato politicamente inoffensivo ma probabilmente pure disinformato.

.2. In quel periodo ho incontrato spesso l’allora ambasciatore turco a Parigi, mr. Menemencioglu, che era stato ministro degli Esteri turco durante la II guerra mondiale. Gli ho chiesto una sera quale fosse la sua opinione di Roncalli avendo avuto la possibilità di valutare la sua azione in Turchia durante la guerra. L’ambasciatore sorrise e disse; “Quando Roncalli è arrivato a Istanbul, abbiamo preso atto del fatto che era sempre ad un cocktail party, sorridendo stupidamente e apparentemente inconsapevole di quanto stava succedendo. Fu solo alla fine di un anno che ho imparato che l’unico posto in Instanbul dove avrei potuto essere sicuro di trovare la conferma nel ricevere l’intelligence di entrambi i contendenti, sia i tedeschi che gli Alleati, era nell’ufficio del nunzio apostolico, “e poi ha aggiunto; “Ho il massimo rispetto per le sue capacità e mi chiedo quanto tempo gli ci vorrà per ottenere in Francia la stessa posizione di cui ha goduto in Turchia.

.3. Le mie osservazioni sulle sue azioni in Francia sono necessariamente limitate. È stato coinvolto in problemi difficili, come i preti-operai, i tentativi da parte del governo francese di perseguire certi prelati cattolici per la collaborazione in tempo di guerra, il disaccordo che coinvolgeva i cavalieri di Malta e i massoni francesi, ed è stato osservatore in quel periodo durante il quale il comunismo francese era al suo apice.

.4. Ho raccolto l’impressione di una nunziatura a conduzione piuttosto libera, durante il suo mandato. Notevole libertà di azione sembra essere stata concessa ai Monsignori di livello inferiore, al punto che due di loro (monsignor Heim e un altro il cui nome non riesco più a ricordare) sono stati trasferiti, essendo caduti in disgrazia. I contatti del nunzio erano estremamente ampi e nelle conversazioni che ho avuto con lui ho trovato che la sua comprensione della scena politica interna francese, fosse eccellente!

.5. Un aspetto interessante è il fatto che, su sua iniziativa, il Vaticano lo abbia nominato osservatore ufficiale all’UNESCO. Questo passo è stato a lungo ritardato a causa della credenza in molti ambienti vaticani che l’Unesco fosse una organizzazione sospetta, di sinistra, atea. La nomina di Julian Huxley come primo direttore generale non ha fatto nulla per calmare i timori del Vaticano, così come il suo successore, Torres Bodet, ex ministro messicano degli Affari Esteri ed un apostata, non ha reso certamente quegli ambienti più sereni. Nonostante questo, Roncalli si è raccomandato che il Vaticano lo nominasse osservatore e ha seguito le attività dell’organizzazione con grande interesse.

Commento: .1. Dalle mie osservazioni, che sono ovviamente fuori di data, vorrei considerare come il nuovo papa sia molto diverso dal suo predecessore per quanto il suo temperamento personale sia in grado di amministrare la chiesa. .2. Ho notato con un certo umorismo che il nuovo papa è segnalato nei vari articoli di riviste sui candidati papali come “non politico”; Non ho mai incontrato un individuo più politicamente consapevole, ed i dieci anni e più di servizio come legato pontificio e nunzio mi sono sembrati piuttosto politici!

 

 

VENERAZIONE DEI DEFUNTI

Venerazione dei defunti

 [Enciclopedia cattolica – vol. IV coll. 1315-1326)

III . NEL PENSIERO TEOLOGICO DELLA CHIESA CATTOLICA.

Le materne attenzioni della Chiesa nascente per il corpo dei fedeli defunti sono guidate da due articoli di fede: la risurrezione della carne (v.) e la santificazione sacramentale (v. SACRAMENTO).

1. La fede nella risurrezione, che il cristianesimo difese contro l’urto della generale incredulità (cf. Mt. 22, 23; Lc. XXII, 27; Act. 17, 32; s. Agostino: « In nulla re sic contra dicitur fidei christianae, quam in resurrectione carnis » Enarr. in Ps. 88,2: P L 37, 1134). Presso la salma dei cristiani alitò fin dall’inizio un’atmosfera di pace, di speranza, di gioia: il fedele non è morto, ma si è ritirato dalla terra d’esilio: recessit (epitafi cristiani) e ha preceduto gli altri nella patria : praecessit (epitafi cristiani); praecessit cum signo fidei (canone della Messa romana), perché è stato chiamato dal Signore: accersitione dominica ( Cipriano, De mortalitate 20 : P L 4, 596) e dagli angeli: accersitus ab Angelis (in due epitafi romani). Egli pertanto non è perduto, ma piuttosto mandato avanti quasi a preparare un posto agli altri fratelli: non amisimus sed praemisimus (Cipriano, loc. cit.), pertanto il giorno del suo obitus deve essere festeggiato come un novello dies natalis. La sua salma non è irrigidita dalla morte, ma composta nel sonno, in attesa dello squillo della risurrezione: « In christianis mors non est mors, sed dormitio et somnus » (s. Girolamo, Ep. 75 ad Theod. : P L 22, 685), onde il nome di cimitero (koimao = dormo) dato al luogo sacro, dove venivano deposte le salme. Per questa sublime concezione della morte gli antichi cristiani bandirono dai loro funerali i lamenti e i pianti: « Non ululatum, non planctus, ut inter saeculi homines fieri solet sed psalmorum linguis diversis examina concrepabant » (S. Girolamo, Epitaphium Paulae: PL 22, 878) e s. Paolino di Nola ne dà la ragione : « gaudentemque Deo fiere, nocens amor est » (Poem. 32, 44). In epitafio del sec. III è svolto questo delicato concetto: sia compresso il gemito dei cuori perché tu, innocente fanciullo, sei stato accolto dalla Madre della Chiesa (Mater Ecclesiae) mentre lieto facevi ritorno da questo mondo.

2. La santificazione sacramentale, di cui il corpo fu come il pernio « caro salutis cardo » (Tertulliano, De resurrectione carnis 8 : PL 2, 806) penetra in tutto l’essere umano, in modo che quando lo spirito ritorna a Dio, lascia impregnata di celesti fragranze la salma. Il corpo dei fedeli pertanto non è impuro, come ritenevano i giudei , non è sacro nel senso delle Dodici Tavole, ma è un resto umano consacrato dai carismi divini « caro abluitur . . . caro sigiungitur . . . caro corpore et sanguine Christi » (Tertulliano, loc. cit.) e votato alla più ambita delle sorti: la perfetta reintegrazione alla fine dei tempi. La pietà e l’umanità sorrette da questa fede moltiplicarono intorno alla salma dei fedeli le più delicate cure:

a) avvenuto il trapasso, si chiudevano gli occhi e la bocca del defunto : « Oculos illos et ora claudentes » (Eusebio, eccl., VII, 22 : PG 20, 690) e lavatolo con acqua tiepida, veniva modestamente composto sul letto « Exinde… manus componunt, oculos claudunt, caput directe statuunt, pedes reducunt, lavant » (s. Giovanni Crisostomo, Hom. in Iob. ; cf. Tertulliano, Apologeticum, 42: PL 1, 492).

b) Poi, ad imitazione del trattamento fatto al corpo del Redentore, si ungeva con preziosi aromi: « Thura plane non emimus; si Arabiae quaeruntur, sciant Sabæi pluris et carioris suas merces Christianis sepeliendis profligari quam diis fumigandis » (Tertulliano, Apologeticum, 42: PL 1,490). Al sec. IV ci si accontentava di un’aspersione di balsamo e di mirra: « Aspersaque mirra, sabæo corpus medicamine serva» ( Prudenzio, Chathemerinon, hymn., 10,51: P L 59,880). Talora s’introduceva il profumo attraverso piccoli fori praticati sulla pietra del sepolcro e molte volte si collocava presso il cadavere una fiala di essenze odorose, perché diffondesse il suo odore anche dopo la sepoltura.

c) La salma veniva poi avvolta in uno o due lenzuoli, generalmente bianchi: « Candore nitentia claro, prætendere lintea mos est » (Prudenzio, Cathemerinon , 10: PL 59, 870) e ricoperta di uno strato di calce. Se si trattava di membri del clero, si rivestivano degli abiti del loro grado; i martiri erano ravvolti in ricchi paludamenti. Le persone altolocate facevano un eccessivo sfoggio di abiti per i loro d., per cui furono talvolta ripresi: « Cur et mortuos vestros auratis abvolvitis vestibus? Cur ambitio inter luctus lacrymasque non cessat? An cadavera divitum nisi in serico putrescere nesciunt? (S. Girolamo, Vita s. Pauli Eremitae: PL 23, 28).

d) La salma cosi composta, si esponeva nella casa o nella Chiesa; si vegliava intorno ad essa con la recita di preghiere, specialmente dei salmi, che, quando era possibile, si cantavano (cf. s. Gregorio Nisseno, Vita Macrinæ, 41: PG 46, 992-93; s. Agostino, Confessiones, 9, 12: PL 32, 776). La salmodia era intercalata dal canto gioioso dell’Alleluia, come si usa ancora nella Chiesa orientale.

e) Il trasporto assumeva più o meno grande solennità, secondo le circostanze. In tempo di pace la salma portata sulle spalle o in appositi carretti (carrucæ), era accompagnata dal clero (cf. epitaffio di Pascasio, a Viviers) e dai fedeli recanti torce: « atque cereis calicibus funus duxerunt » (iscrizione di Chiusi). Talora assumeva l’aspetto di un triumphus, soprattutto quando si trasportavano i corpi dei martiri e dei confessori (cf. Vittore di Vita, Historia persecutionis vandalicæ, 1, 14: PL 58, 198). f) Nel luogo della depositio, che era il cimitero (catacombe) o la basilica annessa, si facevano le esequie: salmodia, preghiere, Messa: « Item antitypon regalis corporis Christi et acceptam seu gratam Eucharistiam offerte in ecclesiis vestris et in coemeteriis atque in funeribus mortuorum» (Costituzioni apostoliche, VI, 30). Agostino così descrive le esequie di s. Monica: « cum offerretur prò ea sacrificium pretii nostri, iam iuxta sepulcrum posito cadavere, antequam deponeretur, sicut fieri solet » (Confessiones, 9, 12: PL 32, 776).

3. S. Paolino di Nola chiese a s. Agostino se le cure dedicate alla salma dei morti giovino alla loro anima e il s. Dottore rispose magistralmente nel celebre trattato De cura gerenda prò mortuis (PL 40, 591-610). Direttamente « curatio funeris, conditio sepulturæ, pompa esequiarum, magis sunt solatia vivorum quam subsidia mortuorum», tuttavia queste delicate attenzioni « humanitatis officia » sono da approvare, perché indicano il rispetto per quei corpi, che santificati dai Sacramenti divennero strumenti dello Spirito Santo « ad omnia bona opera » (De civitate Dei, I. 1, cap. 13). Indirettamente queste premure giovano alle anime dei trapassati, in quanto ravvivano il ricordo e la preghiera « recordantis et precantis affectus », il quale « cum defunctis a fidelibus carissimis exhibetur, eum prodesse non dubium est iis, qui cum in corpore viverent, talia sibi post hanc vitam prodesse meruerunt ». S. Tommaso [Sum. Theol., suppl. q. 71, a. 11) riecheggia il pensiero di S. Agostino, che è divenuto dottrina comune della Chiesa (cf. cann. 1203-42; Pio X II, encicl. Mediator Dei, 30 nov. 1947, in AAS, 39 [1947], p. 530).

IV. NELLA LITURGIA DELLA CHIESA.

La preghiera per i d. è testificata da tutta l’antichità cristiana e più nel sec. II essa assume anche aspetto pubblico od ufficiale; perché dei d. si incominciava a fare memoria nel canone della Messa e le Costituzioni apostoliche del sec. IV ci parlano come di uso largamente diffuso delle riunioni presso le tombe dei d. al canto dei salmi con la lettura di passi della Scrittura nel giorno 3°, 9°, 30° e nell’anniversario della morte. Di pari passo con questo uso correva poi quello di raccomandarsi all’intercessione dei d., che si confidava avessero raggiunto la pace eterna.

I. ONORI ALLA SALMA NEL RITO OCCIDENTALE.

I primi cristiani continuarono (Act. VIII, 2) l’uso di lavare la salma affidandola in alcune Chiese a chierici o addetti, di ungerla e comporla secondo la costumanza locale, avvolgendola in bende, lenzuola di lino di seta, o, a segno di penitenza, nel cilicio. Alcune volte tali bende erano raccolte intorno alla testa e fermate con un sigillo di cera, asperso d’acqua benedetta; ai sacerdoti, talvolta, si poneva in mano un calice di stagno. Le persone che avevano ricoperto dignità ecclesiastiche o civili venivano rivestite degli abiti e delle insegne del loro proprio ufficio. Oggi è d’uso comune porre fra le mani del d. il Crocifisso od il Rosario. – L’uso della cassa si generalizzò alla fine del medioevo. Il cadavere veniva coperto, fuorché sul volto, da un drappo che scendeva sui fianchi, talvolta prezioso; oggi la coltre è nera con una croce nel mezzo e ricopre tutto il feretro; per le giovani nubili è ammesso possa essere di colore bianco. Per i bambini, come segno di purezza, tutto il rito si compie con il colore bianco e con un formulario proprio, informato al concetto che essi non hanno bisogno di suffragi. La consuetudine ammette pure che sul feretro o accanto o intorno ad esso si pongano o si portino i contrassegni del ceto sociale, degli uffici e dignità sostenuti dal d.; è permessa pure la presenza di vessilli di associazioni che non abbiano carattere di partito e di tendenze riconosciute avverse alla Chiesa. Questa dovette più volte per il passato intervenire per limitare lo sfarzo eccessivo nei funerali, specialmente di ecclesiastici; nel sec. XVII essa riteneva ancora come segno di vanità e di lusso il carro funebre. Ai fossori, che da principio erano incaricati di portare i cadaveri, si sostituivano talvolta in segno di onore chierici e persino vescovi; nel medioevo assolsero questa funzione i compagni d’arte o di mestiere, i colleghi di pari grado nel caso di ecclesiastici, escluse sempre le donne, essendo il funerale servizio liturgico. Oggi i vescovi devono essere portati da sacerdoti in cotta; gli ecclesiastici da altri ecclesiastici di grado inferiore, i laici da laici. – L’uso dei ceri nell’accompagnamento è antichissimo, ed ebbe la sua ragione dal fatto che i funerali si facevano di notte; poi rimase come un segno di onore. Con il cristianesimo ebbe il significato di luce e di vita eterna, e non mancò mai nella liturgia funebre, a cominciare dai ceri che si accendevano accanto al letto, poi accompagnavano il d. alla chiesa e rimanevano accesi intorno al cadavere durante l’ufficiatura. Se ne fa parola già nel funerale di s. Cipriano (m. nel 258) e s. Girolamo ne commentava l’uso « ad significandum lumine fidei illustratos sanctos decessisse et modo in superna patria lumine gloriæ splendescere » (Adv. Vigil., 13). – L’uso dei fiori nei funerali è per natura sua indifferente; riceve speciale significato dall’animo che lo accompagna. Il Rituale romano (tit. V , cap. 7, 1) dice a proposito dei bambini: « si impone sulla testa una corona di fiori o di erbe aromatiche ed odorifere in segno della integrità della carne e della verginità ». Per l’uso che dei fiori facevano i gentili nelle feste e nei conviti, cosicché essi apparivano segno di vanità, alcuni scrittori ecclesiastici come Tertulliano, Minucio Felice, Clemente Alessandrino, vi si dimostrarono contrari. I padri del sec. IV sembrano meno severi; s. Ambrogio e s. Girolamo avvertivano che vi si dovessero preferire preghiere ed elemosine. Prudenzio canta del sepolcro del cristiano: « Nos tecta fovebimus ossa – violis et fronde frequenti» (Cathemer.,X). Nessuna speciale prescrizione regola oggi le costumanze in proposito, qualora non si verifichino abusi locali; ma è consono allo spirito della Chiesa che i d. siano accompagnati al sepolcro con la preghiera e con opere benefiche più che con sfarzo di luminarie, di apparati, di fiori. I sacerdoti si recano processionalmente alla casa del d. per levarne il cadavere e lo accompagnano poi alla chiesa, di regola per la via più breve al canto dei salmi. Nella chiesa il feretro è posto in mezzo in modo che i piedi siano rivolti all’altare come faceva da vivo guardando l’altare stesso; se il d. è sacerdote ha il capo rivolto verso l’altare, perché in tale posizione egli era rispetto ai fedeli. – S. Agostino, nelle Confessioni (IX, 12), descrivendo il funerale della madre, fa comprendere come la parte principale consistesse nella Messa celebrata presso il sepolcro prima che vi venisse deposto il cadavere. Paolino scrive che, morto s. Ambrogio, fu portato nella chiesa e dopo la Messa fu sepolto. – Ed ancora oggi la parte sostanziale della liturgia funebre è la Messa. Il poco che precede e segue è composizione del tardo medioevo ( il Libera me Domine è del sec. IX); è detto «assoluzione funebre » il rito che nulla ha a che fare con l’assoluzione sacramentale, sebbene le preghiere si ispirino al medesimo concetto della potestà di sciogliere e legare conferita alla Chiesa. Se ne ha una prova nella classica formola « Absolve quaesumus, Domine, animam famuli tui », ancora oggi usata; l’aspetto di un giudizio appariva chiaro nel Pontificale romano della Curia (sec. XIII), dove il celebrante prima di procedere all’assoluzione di un chierico, ne chiedeva licenza al clero che gli stava attorno. Comunque gli antichi vedevano nel rito la remissione al d. della pena dovuta alle sue colpe e l’assoluzione dalle censure ecclesiastiche. Unica era un tempo la formola d’assoluzione, quale ancora appare nel Rituale romano. Ma il Pontificale ne assegna una più solenne per il Papa, i cardinali, i vescovi e gli insigni personaggi dello Stato, introdotta a Roma verso il sec. XIII. – In tale occasione l’assoluzione è data dal celebrante e da quattro vescovi, i quali, posti a quattro angoli del feretro, ripetono ogni volta l’incensazione, mentre la schola canta un responsorio con versetti e recita un’orazione. Il rito è chiuso con la quinta assoluzione del celebrante, preceduta da un sermone sulla vita del d. In assenza di vescovi può essere compiuta dai dignitari della cattedrale. Il sermone può essere anche tenuto da un semplice sacerdote. – Anche se Tertulliano e s. Cipriano già parlano di una Messa per i d., il suo tipo non doveva essere dissimile dal consueto, ma forse nel sec. IV ebbero inizio i formolari propri. L’introito Requiem æternam è preso dal IV Esd., che potè essere tenuto fra i libri canonici sino verso la fine del sec. V; esso si trova anche negli epitaffi di Ain Zara (Tripoli) nel VI sec. e venne sempre cantato con il Ps. 64, Te decet hymnus. Il Requiem al Graduale deve essere coevo all’Introito ed ha il versetto derivato dal Ps. III. Dal sec. II è escluso dalla liturgia dei d. l’Alleluia; tuttavia s. Girolamo lo ricorda nei funerali di Fabiola (PL 22, 697).

Il Dies irae (v.) è una sequenza medievale ricca di contenuto dottrinale, sentimento religioso e slancio lirico – drammatico; per questo fu accolta nella liturgia. L’offertorio Domine Iesu Christe si presta a discussioni per alcune frasi di sapore ritenuto persino pagano, ma che di fatto corrispondono ad espressioni bibliche; per l’accenno al signifer sanctus Michael, di schietto sapore orientale, forse copto; per l’emistichio Quam olim, ripetuto seconda l’uso antico e qui conservato perché più a lungo fu conservata nella Messa per i d. l’offerta da parte dei fedeli. Si ritiene sia stato composto a Roma nel sec. VIII i e modificato in Gallia nel sec. ix, probabilmente da un irlandese. Il testo aveva un tempo non uno, ma tre versetti. Al communio, il Lux aeterna sta già nei manoscritti del sec. X. Nella Messa dei d. si tralasciano alcune parti e cerimonie (Ps. 41 all’inizio, benedizione dell’acqua all’Offertorio, bacio di pace, Ite missa est, benedizione) perché non consone all’austerità particolare di tale Messa, o perché si è inteso far convergere tutto il rito al suffragio per i d. – L’accompagnamento alla sepoltura « non deve essere fatto da gemiti, pianti, come suole avvenire presso gli uomini del mondo (accenno alle praeficae, donne prezzolate per piangere nei funerali), ma dal canto dei salmi » (s. Girolamo: P L 22, 898). E tale infatti fu il proposito costante ed universale per cui stupende antifone, responsori e salmi accompagnano i d. per mano degli angeli, alla pace eterna, non alla sepoltura, ma al paradiso. La legge romana proibiva di seppellire entro le mura, ma poi tale precetto per ragioni diverse cadde in disuso e si seppellì in cimiteri intorno alla chiesa stessa; e la brevità del tragitto spiega bene il complesso delle formole ancora in uso. -Va notato l’uso, attestato già da s. Ambrogio di baciare prima della sepoltura il d., dicendogli tre volte addio secondo un costume orientale; più tardo è l’uso di spargere sul sepolcro un po’ di terra dicendo: “Sume terra quod tuum est, terra es et in terram ibis”, rimasto come uso popolare in più luoghi. Diffusa, sebbene disapprovata, fu anche la consuetudine di porre in bocca al morto l’Eucaristia; consuetudine corretta in molti luoghi con il porvela pochi istanti prima della morte, ovvero nel sepolcro, a tutela della salma contro influenze diaboliche o sacrileghe. Così pure fu praticato in alcuni luoghi, sin oltre il sec. VI, il rito del refrigerio, comunissimo già presso i pagani, che consisteva in una libazione di vino o in un banchetto celebrato dai parenti sulla tomba del d. Fu proibito per gli abusi che ne nascevano, come ne rende testimonianza il noto episodio di S. Monica (s. Agostino, Confess., V I , 2). – Si fa ricordo dei morti in ogni Messa, ma si ebbe sempre cura di pregare per essi particolarmente nei giorni esequiali: in Oriente e nei paesi gallicani d’occidente il 3°, 9°, 40° della morte; a Roma, in Africa, in Palestina il 3°, il 7°, 30°. Quest’uso si ispira ai fatti biblici: nel 3° giorno Gesù uscì dal sepolcro; Giuseppe ebreo indisse un lutto di 7 giorni per il padre (Gen. 50, 10); il popolo ebraico pianse per 30 giorni Mosè (Deut. XXXIV, 8) ed Aronne (Num. XX, 30). – In tali giorni e nell’anniversario si celebrano le esequie con riti che ricordano per testi e cerimonie quelli del funerale, evidentemente ridotti. – La liturgia ambrosiana ha un ordo per il funerale con schema uguale al romano, ma più ricco di elementi e con sapore di grande antichità; ha conservato il canto della Passio di Nostro Signore, già in uso a Roma, completa con altre aggiunte di antifone e responsori il funerale dei vescovi, sacerdoti e diaconi. Molto significativo pure il canto delle litanie dei santi. Nella riforma operata da s. Carlo si ebbero vari influssi romani: fino a s. Carlo la commemorazione di tutti i d., introdottasi a Milano tra il 1120 ed il 1125 ad opera di Olrico, era celebrata il lunedì seguente alla dedicazione della Chiesa Maggiore (3a domenica di ott.). Tale uso in determinata misura si è conservato nelle parrocchie della diocesi per il giorno successivo a quello della dedicazione della propria chiesa, o, non conoscendone la data, a quello dell’Ufficio per la dedicazione della chiesa minore.

II ONORI ALLA SALMA NEI RITI ORIENTALI

Nel rito bizantino i funerali comportano tre tappe: nella casa del d., in chiesa, al cimitero. Nella casa del d. il sacerdote celebra un breve ufficio accompagnato da una incensazione, e chiamato, quando si fa separatamente, “Αϗολουθια του νεκρωσιμου τρισαγίου” , o più spesso «piccola pannichida ». Comprende il canto di tre tropari, di una breve litania, di una orazione e dell’apolisi: tutto applicato al d.. Durante il trasporto si canta il Trisagio. In chiesa ha luogo l’ufficio, composto da testi diversi secondo la categoria alla quale appartiene il d.: uomo, donna, monaco, sacerdote. L’ultimo degli inni è sempre un commovente addio che accompagna il bacio della mano del d. Ripetuta la « piccola pannichida » risuona tre volte l’esclamazione: «Memoria eterna.» – Intanto, un sacerdote si avvicina alla bara e recita una preghiera di assoluzione. Poi, se il d. è un sacerdote, la bara è portata tre volte intorno alla chiesa prima di recarla al luogo della sepoltura. Là il celebrante getta un po’ di terra sulla bara, vi versa olio benedetto e la cosparge di cenere presa dall’incensiere. Mentre si chiude la bara e la tomba si recita una ultima volta la « piccola pannichida ». – Anche negli altri riti orientali l’ufficio funebre comprende un gran numero di canti, inni, composizioni ritmiche di diverso genere, di cui è ricca la liturgia orientale e che si applicano ad una grande varietà di categorie di persone. Ai sacerdoti sono riservati riti particolari (unzione con il s. crisma nel rito armeno, processione nel santuario o urto della bara contro le porte e le pareti della chiesa nei riti siri), che mettono in rilievo gli stretti vincoli che lo univano all’altare. L’addio è sempre commovente e spesso si esprime in dialoghi pieni di tenerezza fra il morto e quelli che rimangono. I Siri hanno un ufficio di consolazione per il secondo e terzo giorno dopo la sepoltura; presso i Copti le preghiere si protraggono durante sette giorni consecutivi. La commemorazione del d. ha luogo, nel rito armeno, il 2°, 7°, 15° e nell’anniversario; nel rito siro il 3°, 9°, 30° e nell’anniversario; nel rito copto i l 3°, 7°, 14° (o 15°), 40°, dopo un mese, sei mesi, un anno; nel rito etiopico il 7°, 12°, 30° , 40° , 60°, 80°, dopo sei mesi, un anno. . La commemorazione di tutti i d. si fa, nel rito bizantino, due volte l’anno, al sabato cosiddetto di carnevale e al sabato che precede la Pentecoste; nel rito armeno, cinque volte, nel giorno seguente le grandi feste : Epifania, Pasqua, Trasfigurazione, Assunzione, Esaltazione della Croce con la recita di un ufficio speciale nell’ora notturna; nel rito siro tre volte, e cioè i tre ultimi venerdì prima della Quaresima (il primo per i sacerdoti, il secondo per i fedeli e il terzo per gli stranieri); nel rito caldeo ogni anno, l’ultimo venerdì prima della Quaresima. – Ricordi speciali dei d. si fanno più volte durante la Messa, in particolare nella preparazione e offerta del Pane eucaristico, più lungamente nei dittici e nella preghiera di intercessione (prima o dopo la Consacrazione), in molte altre preghiere e litanie, o in certe ore dell’Ufficio divino. – È da notare che il colore nero per la liturgia dei d. non è conosciuto dagli Orientali, se non da alcuni cattolici i quali hanno subito, in tempi recenti, l’influsso latino; come anche i funerali non comportano per sé la celebrazione del Sacrificio eucaristico. Parecchi usi (ad es., olivi o pane benedetto presso i Bizantini, conviti funerari, bacio di addio) sono antichi e hanno precedenti negli usi pagani, santificati dal cristianesimo.

III. UFFICIATURA DELLA CHIESA LATINA DEI D. –

I testi più antichi dell’Ufficio dei d. datano dai secc. XI-XII, e sono stati pubblicati dal Tommasi (Op. min., ed. Vezzosi, IV, Roma 1747-54, PP- t63– 6 s ), da A. Mocquereau (Paléogr. musicale, IX, pp. 535-60); da M . Magistretti (Manuale Ambros., II, Milano 1905, pp. 487-91). La forma del testo corrisponde a quella che indicano già gli autori anteriori, p. es., Amalario e s. Angilberto nel suo Ordo, composto nell’800 pel nuovo nonastero di St – Riquier. Ma i Vespri e i Notturni non sono conformi al Breviario benedettino o al modo gallicano o ambrosiano, bensì a quello romano, cioè con 5 salmi nei Vespri, tre salmi e tre lezioni a ciascun notturno. Mancano gli elementi aggiunti all’Ufficio canonico posteriormente a s. Gregorio Magno: le preci introduttorie, l’invitatorio, gli inni, il Capitolo, la dossologia finale (né Gloria né Requiem dei Salmi). – Come l’Ufficio del Triduo sacro, così quello dei d. ha conservato il carattere arcaico. Già Amalario nota questa somiglianza, che spiega dall’indole di tristezza o di lutto che avrebbero ispirato la composizione di quest’Ufficio al modo di quello del Triduo sacro. In realtà, questa somiglianza indica la sua antichità. L’Ufficio dei d. sembra infatti rimontare al tempo prima di Gregorio Magno. Quindi la sua origine romana. Dai testi, quali l’Ordo di s. Angilberto, le prescrizioni del Concilio di Aquisgrana (817; cann. 12,50,66,73) e Amalario De eccl. Off., 1. IV, cap. 42; De ord. Antiphon., cap. 65), appare che l’Ufficio dei d. era già in uso nella Gallia prima della riforma di s. Benedetto di Aniane, tanto che Amalario non nota differenze fra i libri gallicani e quelli recentemente venuti da Roma. Dall’Orbo Romanus di Giovanni arcicantore (ed. Silva-Tarouca, Meni, della Pont. Acc. Di Rom. di Archeologia, I , Roma 1923, p. 211 sgg.) si conclude che già prima del 680 quest’Ufficio era in uso a Roma. – L’Ufficio dei d. constava prima soltanto del Vespro, con i 3 Notturni e le lodi. In seguito furono introdotte aggiunte e varianti : p. es., fin dal sec. IX a S. Gallo l’invitatorio col salmo 94, che venne in uso generale al sec. XIII (presente cadavere); s. Pio V lo rese obbligatorio, Fin dal sec. x si distingue un Ufficio funebre maggiore con 3 Notturni e 9 lezioni, ed uno minore di un solo Notturno, scelto fra i tre precedenti secondo il giorno. Ed anche le lezioni si mutavano: invece che da Giobbe, prendevano quelle tratte da Eccle. 7 « Melius est ire » o dal libro di s. Agostino De cura gerenda prò mortuis (come oggi al 2 nov.). Il testo di Notker (m. 1912 « Media in vita » si cantava spesso al « Benedictus » invece dell’antifona originale « Ego sum ».L’Ufficio dei d. si recitava nei giorni 3°, 7°, 30°, nell’anniversario di un d. (per l’Ufficio presente cadavere, gli antichi ordini prescrivono la recita dei salmi secondo l’ordine del salterio). Poco a poco quest’Ufficio restò la sola preghiera ufficiale della Chiesa a suffragio dei d. Si recitava inoltre nelle esequie (indipendente dall’ Ufficio canonico del giorno) nel primo giorno libero del mese, in ogni lunedì della settimana o anche tutti i giorni, tranne il tempo pasquale e natalizio, per tutti i d.. – Nella riforma del Breviario sotto Pio X furono aggiunte la Compieta e le ore minori pel giorno della commemorazione

dei fedeli defunti (2 nov.), e furono cambiate le lezioni, mentre nell’uso comune l’Ufficio resta inalterato.

IV. COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI.

Di una commemorazione collettiva dei fedeli defunti si ha testimonianza in s. Agostino, il quale, nel De cura gerenda prò mortuis, c. IV, parla di preghiere che la Chiesa fa, in una commemorazione generale di tutti i fedeli defunti: « supplicationes pro spiritibus mortuorum, quas faciandas prò omnibus in Christiana et catholica societate defunti etiam tacitis nominibus sub generali commemorazione suscepit ecclesia ». Si trovano preghiere per i morti in genere già in un frammento di anafora antichissima della liturgia di Marco del tempo di s. Atanasio (295-375): « His qui obdormierunt, requiem animarum præsta» (Rev. des scienc. relig., 8 [1928″. Pag. 489-515), e nell’eucologio di Serapione di Thumuis (dopo 359), orat. IV: « Sanctifica omnes in Domino defunta ». La Chiesa romana aveva nell’orazione dei fedeli (Oratio fidelium), prima dell’Ore, una supplica speciale per tutti i fedeli d. Sparita l’orazione dei fedeli dal rito romano al tempo di Gelasio I (è rimasta nel rito ambrosiano), 1° preghiera per i morti fu sostituita con il Memento dopo la Consacrazione, ove si prega prima per i d. in modo speciale commemorati, poi per tutti; però fino al sec. XII-XIII soltanto nelle Messe dei morti e nelle Messe feriali, non in quelle della Domenica. Di questo Memento il cosiddetto Messale di Bobbio (PL72, 434) nella sua Missa Romensis cotti diana (sec. VIII) è il primo teste. Ma forse il Memento rimonta già al tempo di Gelasio (492-96), che col Memento ha sostituito la commemorazione dei d. nell’orazione dei fedeli. – Un giorno speciale per la commemorazione dei d. appare per la prima volta nella « Regula monachorum » attribuita a s. Isidoro di Siviglia (m. nel 636) fissato al lunedì dopo Pentecoste (PL 83, 894), cap. 24 n. 2 : « Pro spiritibus defunctorum altera die post Pentecosten sacrificaium Domino offeratur ». Questi usanza di un giorno speciale commemorativo si trova di regola nella fraternità di preghiere fra conventi; p. es., fra i conventi di Reichenau e di S. Gallo nell’800 (Monumenta Germ. Libri confraternitatum, ed. P. Pieper, Berlino, 1884). Era stabilito il giorno 14 nov. « commemoratio omnium fiat defunctorum memoria. Ipsoque die presbyteri ternas Missae et ceteri fratres psalterium decantent ». In seguito altri conventi si uniscono in questa fraternità la quale così si estese in Svizzera, Italia, Francia, Germania, Austria. Un altro centro è Fulda, dove è fissato come giorno di preghiere il 17 dic., nel quale si celebrava l’anniversario del primo abate fondatore Sturmio ed insieme la memoria di tutti i fratelli defunti (PL 400, n. 25). In altri luoghi erano fissati giorni differenti come notano per il 26 genn. Mabillon (Acta SS. Ord. S. Bened., VIII, p. 584, n. 111) e per il primo giorno dopo l’ottava dell’Epifania, 14 genn., Martene (De antiquis ecclesiae ritibus, Anversa 1738, 1. IV, c. 15 n. 16). – Nello stesso tempo si moltiplicano nei documenti i legati pii con l’obbligo di preghiere per tutti i fedeli. Da questa usanza delle Messe o preghiere fondate, deriva a Cluny la « fidelis inventio » di scegliere i l 2 novembre, giorno dopo la festa di Tutti i Santi, per la commemorazione speciale di tutti i fedeli defunti. Già Amalario nel De ordine Antiphonarii aveva avvicinato i due uffici, dei Santi e dei morti, ma senza stabilire un giorno speciale della commemorazione di tutti i d.. A s. Odilone, il grande abate di Cluny (994-1048), si deve la scelta nel calendario benedettino cluniacense del 2 nov. Come giorno di speciali preghiere per i d. di tutto il mondo e di tutti i tempi: «festivo more commemoratio omnium fidelium defunctorum, qui ab initio mundi fuerunt usque in finem » (PL 142, 1037, 38). In forza dello statuto di s. Odilone si facevano larghe elemosine di pane e di vino come nel giorno della Cena del Signore, a 13 poveri ed agli altri, e si cantavano i Vespri dei d. la sera antecedente, dopo i Vespri dei Santi. Nel giorno stesso si suonavano tutte le campane, come nelle feste, si recitava l’Ufficio dei d. e la Messa si celebrava con grande solennità. Tutti i sacerdoti dicevano le Messe per i d.. Oltre questa usanza del 2 nov. per tutti i d. del mondo, s. Odilone stabilì per un anniversario dei fratelli defunti alcune preghiere. Tra questi confratelli è nominato anche l’imperatore Enrico (m. nel 1024). La data dello statuto di s. Odilone è incerta, ma nella sua cronaca Sigeberto di Gembloux (m. nel 1112) l’ha fissata al 998, narrando sotto questa data gli avvenimenti leggendari che gli avrebbero dato origine (PL 160, 197-98). Tuttavia per determinarne i l tempo, è meglio attenersi alla « consuetudines Farfenses », scritte da Guidone di Farfa (cod. Vat. 6808), le quali notano questa innovazione per ben due volte: la prima recensione più breve senza il nome di Odilone e senza lo statuto di fraternità (con il nome dell’imperatore Enrico); la seconda più lunga attribuisce lo statuto a s. Odilone e contiene anche le prescrizioni per la fraternità stessa. Mortet e Wilmart darano le « Consuetudines Farfenses » agli anni 1039-1043; Hourlier al 1024-33, dal fatto che le insegne imperiali regalate da Enrico a s. Odilone dopo la sua incoronazione vennero portate nelle processioni. Nel 1033 esse furono quasi tutte vendute per l’aiuto ai bisognosi in una grande carestia. Un solo manoscritto della Biblioteca di Parigi (lat. 17716), un po’ tardo, fissa il decreto di s. Odilone al 1030-31, data che corrisponde a quella indicata dalle « Consuetudines Farfenses ». – Con il nome e con la autorità di s. Odilone, questa « fidelis inventio » del 2 nov. fu definitivamente introdotta nel calendario cluniacense e si propagò a tutte le dipendenze di Cluny e, ancora i n vita s. Odilone, fino a Farfa. Da Giovanni d’Avranches (m. nel 1079) si sa che fu accettata nella Normandia. Lanfranco, arcivescovo di Canterbury (1070-89), prescrisse nei suoi decreti che i monaci la dovessero osservare tanto nei monasteri che nelle cattedrali : « ipsa die sacerdotes omnes celebrent missæ prò omnibus fidelibus defunctis » (PL 150, 477). – Oltre i Benedettini accettarono la nuova usanza anche i Certosini (Consuetudines Guigonis, c. X I: PL 153, 655). Il clero secolare seguì poco a poco l’esempio dei monaci sia per propria iniziativa che per imposizione dei vescovi. A Milano fu introdotta nel 1120 dall’arcivescovo Udalrico, per il 16 ott., giorno dopo l’anniversario della dedicazione della Cattedrale; s. Carlo Borromeo la mise il 2 nov. – Sicardo, vescovo di Cremona (m. nel 1215) nel Mitrale 1. I X, cap. 50 (PL 213, 426), parla di essa come già in uso nel territorio di Cremona. A Roma era certamente nota ed in uso almeno al tempo dell’Ordo Romanus, XIV (1311), ove ai nn. 98 e 101 è indicata come « amniversarium omnium animarum »; non si predica e non si fa concistoro. Nell’Ordo Romanus XV tuttavia, secondo il card. Schuster (Liber Sacramentorum, IV, Torino 1932, p. 85), si trovano le tracce di una consuetudine liturgica assai più antica, giacché nell’8 luglio è indicato un « Officium defunctorum prò fratribus ( i cardinali) et Romanis Pontificibus » (PL 78, 1343), precisamente come nell’Ordo di Farfa del sec. X. – Una nuova fase della commemorazione dei fedeli defunti si inizia verso la fine del pontificato d i Pio X. Con decreto del 25 giugno 1914 (AAS, 6 [1914], p.378) fu concessa l’indulgenza plenaria « Toties quoties per il 2 nov., concessa già prima alla Chiesa dei Benedettini. Con la bolla Incruentum del 10 ag. 1915, Benedetto XV concesse ad ogni sacerdote il privilegio di dire tre Messe il 2 nov.: la prima secondo l’intenzione particolare del celebrante, la seconda per tutti i fedeli defunti, la terza secondo l’intenzione del Papa, cioè per soddisfare ai pii legati di Messe che nel corso dei secoli son divenuti insolubili, andati perduti o rimasti insoddisfatti. Tutti gli altari sono privilegiati. – Questo privilegio era già in uso nella Spagna, da prima del 1500. Nel 1540 Paolo III concesse alle chiese e cappelle della diocesi Orihuela di Spagna il privilegio di dire due Messe tanto nella festa di tutti i Santi quanto nel giorno dopo, cioè 2 nov., per soddisfare al gran numero di Messe richieste dal popolo a suffragi dei d.. Parimenti Giulio III confermò « vivae vocis oraculo » nel 1553 l’antico privilegio vigente nella provincia di Aragona (comprese Catalogna, Valencia, Navarra e le isole Baleari, Sardegna ed Ibiza, e nell’ordine domenicano di celebrare tre Messe al 2 nov. allo stesso fine. Ed il 25 giugno 1571 Pio V confermò lo stesso privilegio per la provincia dominicana di Spagna (con la Navarra distaccata dalla provincia di Aragona) Frattanto Ladislao IV, re di Polonia (1632-48), ottenne nel giorno della sua incoronazione per il suo regno lo stesso privilegio, ma in seguito rimadse dimenticato. – Alla richiesta dei re di Spagna e Portogallo, Benedetto XIV estese il privilegio di tre Messe al clero regolare e secolare dei loro regni e colonie (Benedicti XIV Bullarium, II , Venezia 1748, n. 225). Leone XIII nel 1897 lo concesse a tutta l’America latina. – In conseguenza del privilegio delle tre Messe Benedetto XV ha elevato (28 feb. 1917) il giorno 2 nov. a festa di rito doppio per la Chiesa universale.

Pietro Siffrin.

#   #   #   #

Questo è quanto vige nella Chiesa Cattolica. Attualmente il Cattolico dei paesi apostati modernisti, non ha più la possibilità di utilizzare per sé ed i propri cari i riti prescritti, essendo il funerale incentrato sulla falsa messa del baphomet di Bugnini-Montini, per cui si commetterebbe un ennesimo ed estremo grave sacrilegio in disprezzo delle leggi della Chiesa Cattolica e del Sacrificio di Cristo offerto al “signore dell’universo”, cioè al lucifero massonico, per cui l’anima del presunto non-suffragato sarebbe definitivamente condannata ad essere fuori dalla Chiesa Cattolica con tutte le conseguenze per la vita eterna. In effetti noi ci troviamo come in un paese pagano, islamico, ateo, per cui, onde conservare la propria fede cattolica fino in fondo, è bene, in assenza di un vero prete Cattolico con Missione e Giurisdizione pontificia di S.S. Gregorio XVIII, predisporre direttamente la sepoltura cimiteriale, contattando quanto prima un sacerdote Cattolico anche a distanza, per officiare la vera Messa cattolica di sempre in suffragio dell’anima del defunto, come pure per le altre successive Messe.

 

“Cum ex apostolatus officio” – UNA BOLLA DI PAOLO IV E LA TIRANNIA PONTIFICALE

[Mgr. Fevre, in Abbé Rohrbacher, Histoire universale de l’Eglise Catholic, tome II- Paris Libraire Louis Vivès, 1904.]

S.S. Paolo IV

Nel corso della sua polemica contro l’infallibilità, il padre Gratry, invocò una bolla di Paolo IV, perfettamente estranea alla questione. Per mostrare che non si poteva riconoscere l’infallibilità del Vicario di Cristo, il povero accademico, con una ispirazione che non si può né spiegare né assolvere, attaccò il Primato di giurisdizione; non che egli negasse il sovrano potere della Cattedra apostolica; egli non lo poteva senza contravvenire il decreto di Firenze; ma egli prese lo spunto per discreditare questo potere come eccesso di abuso che egli pretendeva di rimproverare. “Ciò che volevo citare, egli sostiene, non è che un esempio. E ce ne sarebbero altri da far conoscere, ma nella bolla di Paolo IV si trova tutto, tentando nel XVI secolo, di spiegare infine senza dubbio, la sua estensione e tutte le conseguenze di questo potere pontificale supremo, come scuola di vertigine e di errore, fantasia ancora oggi. “Ecco l’analisi di questa bolla, della quale do nel contempo l’intero testo. Il Papa Paolo IV ha voluto che quella bolla fosse affissa e letta da tutto il popolo. Egli ha voluto che il mondo intero se ne ricordasse per sempre. Io non faccio dunque che conformarmi a ciò che ordina il documento stesso, pubblicando questo testo. Che edificante sentimento di sottomissione e di obbedienza!

In questa bolla, [Cum ex apostolatus officio, del XVe delle calende di marzo, 1559] Paolo IV rinnova tutte le sentenze, censure e pene inflitte agli eretici dai suoi predecessori e dai Concili. Egli dichiara inoltre le pene spirituali nelle quali, coloro che tra essi, fossero vescovi, cardinali o investiti di qualche altra dignità ecclesiastica, principi, re, imperatori, o in possesso di qualche altra signoria temporale incorrerebbero per il fatto stesso (ipso facto) e senza altra procedura giuridica, con la perdita del loro potere ed autorità, dei loro principati, reami ed imperi, potere che non saranno mai più in grado di riprendere. Inoltre saranno considerati apostati ed affidati al braccio secolare per essere puniti con le pene previste dal diritto. Coloro che oseranno prestare aiuto ed appoggio e condividere le loro dottrine, incorreranno essi stessi nella sentenza di scomunica “ipso facto”, e saranno privati di qualsiasi diritto di testimonianza, di prova, etc. e qualora fossero vescovi, principi o re, i loro beni, i loro principati, i loro reami diventeranno di ambito pubblico e affidati al primo occupante che sia provvisto di fede, unità ed obbedienza alla Chiesa Romana. Infine se si dovesse scoprire che prima della loro promozione, un vescovo, un arcivescovo, cardinale o finanche il Papa, si fossero allontanati dalla fede cattolica, cadendo in qualsiasi eresia, la loro promozione o elevazione sarebbero nulle, senza valore, non avvenute, così che i loro atti, fatti in virtù di loro documenti, debbano ritenersi illegittimi. – Il padre Gratry non discute se questa bolla sia o meno ex cathedra, poiché, egli dice, nessuno sa ciò cosa voglia dire: ma egli aggiunge: è un atto di grandissima solennità, un atto deliberato maturato in concistoro, firmato all’unanimità da tutti i cardinali, indirizzata alla Chiesa intera ed anche a tutto il genere umano. È difficile non vedere qui l’espressione più alta dell’autorità sovrana del Pontefice, almeno in materia di diritto e costume … “Ecco il potere così forte, illimitato, assoluto, personale, separato dal tutto, al di sopra di tutto, che bisogna ora coronare, esaltare, con una corona di infallibilità! “Siamo uomini dotati di ragione, o abbiamo perso la ragione? Abbiamo conservato il senso morale o vi abbiamo abdicato? Pretendiamo volontariamente calpestare sotto i piedi la verità visibile, la giustizia manifesta e disprezzare Dio stesso, il Padre della giustizia e della verità? Calpestare tutto il Vangelo di Gesù-Cristo? Un potere con tali antecedenti e che potrebbe di rigore rinnovare qualche cosa oggi o nell’avvenire, questo potere non chiede di essere aumentato né esaltato. Ma domanda di essere ricondotto nei giusti limiti. Con quale mezzo? Con l’obbedienza ai canoni, cioè alle leggi della Chiesa”. – Per rispondere a queste ridicole esagerazioni, bisogna riportarsi al pontificato di Paolo IV. Correva l’anno 1559. L’Europa, lacerata dallo scisma degli eretici si trovava in una situazione molto triste. Avevano luogo disordini incresciosi, c’erano dei terribili massacri in Germania; i cattolici erano stati crudelmente perseguitati in Inghilterra, e in Irlanda, gli eretici avevano commesso in Francia delle crudeltà atroci; quasi dappertutto c’erano principi, signorotti, vescovi colpevoli, che avevano dato il segnale della defezione ed imposto ai popoli la loro apostasia. Ciononostante la costituzione legale dell’Europa era ancora cattolica; l’unità di fede era ancora la legge generale, e secondo il diritto pubblico riconosciuto, accettato da secoli, il Papa era il capo della grande repubblica cristiana. I re, i principi, i magistrati dovevano, sotto pena di perdere la loro dignità, fare professione di fede cattolica; era l’articolo fondamentale di tutte le carte e costituzioni del tempo, come attestavano i giuramenti imposti agli imperatori ed ai re nei loro insediamenti, ed anche a tutte le persone costituite in dignità. Paolo IV, incaricato di governare la Chiesa, di salvare la fede e, mantenendo l’unità di religione, di risparmiare all’Europa delle lotte fratricida e guerre sanguinose, tentò un ultimo sforzo prendendo in mano le armi che gli offrivano la sua carica apostolica ed il diritto pubblico della cristianità. Il Concilio di Trento era stato convocato, ma, disperso nel 1552 all’avvicinarsi dei luterani comandati da Maurizio di Sassonia, non poté riprendere che nel 1562: il male era grande, stava per divenire incurabile; occorreva intervenire prontamente con un rimedio energico. Paolo IV assieme ai cardinali, tra i quali si trovava colui che sarebbe divenuto Pio V [che confermerà questa bolla con una sua successiva bolla –ndr.-], delibera con essi, e dopo aver studiato attentamente il male ed i rimedi, promulga questa bolla “Cum ex apostolatus officio”, che inizia così nobilmente: “Poiché, a causa della carica d’Apostolato affidataci da Dio, benché con meriti non condicevoli, incombe su di noi il dovere d’avere cura generale del gregge del Signore. E siccome per questo motivo, siamo tenuti a vigilare assiduamente per la custodia fedele e per la sua salvifica direzione e diligentemente provvedere come vigilante Pastore, a che siano respinti dall’ovile di Cristo coloro i quali, in questi nostri tempi, indottivi dai loro peccati, poggiandosi oltre il lecito nella propria prudenza, insorgono contro la disciplina della vera ortodossia e pervertendo il modo di comprendere le Sacre Scritture, per mezzo di fittizie invenzioni, tentano di scindere l’unità della Chiesa Cattolica e la tunica inconsutile del Signore, ed affinché non possano continuare nel magistero dell’errore coloro che hanno sdegnato di essere discepoli della verità…” – Dopo questo preambolo vengono gli articoli che p. Gratry analizza.

1- Allontanare i lupi dal gregge di Cristo.

Noi, riteniamo che una siffatta materia sia talmente grave e pericolosa che lo stesso Romano Pontefice, il quale agisce in terra quale Vicario di Dio e di Nostro Signore Gesù Cristo ed ha avuto piena potestà su tutti i popoli ed i regni, e tutti giudica senza che da nessuno possa essere giudicato, qualora sia riconosciuto deviato dalla fede possa essere redarguito (possit a fide devius, redargui), e che quanto maggiore è il pericolo, tanto più diligentemente ed in modo completo si deve provvedere, con lo scopo d’impedire che dei falsi profeti o altre persone investite di giurisdizione secolare possano miserevolmente irretire le anime semplici e trascinare con sé alla perdizione ed alla morte eterna innumerevoli popoli, affidati alle loro cure e governo per le necessità spirituali o temporali; né accada in alcun tempo di vedere nel luogo santo l’abominio della desolazione predetta dal Profeta Daniele, desiderosi come siamo, per quanto ci è possibile con l’aiuto di Dio e come c’impone il nostro dovere di Pastore, di catturare le volpi indaffarate a distruggere la vigna del Signore e di tener lontani i lupi dagli ovili, per non apparire come cani muti che non hanno voglia di abbaiare, per non subire la condanna dei cattivi agricoltori o essere assimilati al mercenario.

2-Approvazione e rinnovo delle pene precedenti contro gli eretici

Dopo approfondito esame di tale questione con i nostri venerabili fratelli i Cardinali di Santa Romana Chiesa, con il loro parere ed unanime consenso, Noi, con Apostolica autorità, approviamo e rinnoviamo tutte e ciascuna, le sentenze, censure e pene di scomunica, sospensione, interdizione e privazione, in qualsiasi modo proferite e promulgate contro gli eretici e gli scismatici da qualsiasi dei Romani Pontefici, nostri predecessori o esistenti in nome loro, comprese le loro lettere non collezionate, ovvero dai sacri Concili ricevute dalla Chiesa di Dio, o dai decreti dei Santi Padri, o dei sacri canoni, o dalle Costituzioni ed Ordinamenti Apostolici, e vogliamo e decretiamo che essi siano in perpetuo osservati e che si torni alla loro vigente osservanza ove essa sia per caso in disuso, ma doveva essere vigenti; inoltre che incorrano nelle predette sentenze, censure e pene tutti coloro che siano stati, fino ad ora, sorpresi sul fatto o abbiano confessato o siano stati convinti o di aver deviato dalla fede, o di essere caduti in qualche eresia, od incorsi in uno scisma, per averli promossi o commessi, di qualunque stato (uniuscuiusque status), grado, ordine, condizione e preminenza essi godano, anche se episcopale (etiam episcopali), arciepiscopale, primaziale o di altra maggiore dignità (aut alia maiori dignitate ecclesiastica) quale l’onore del cardinalato o l’incarico (munus) della legazione della Sede Apostolica in qualsiasi luogo, sia perpetua che temporanea; quanto che risplenda con l’autorità e l’eccellenza mondana quale la comitale, la baronale, la marchesale, la ducale, la regia o imperiale.

3 – Sulle pene da imporre alla gerarchia deviata dalla fede. Legge e definizione dottrinale: privazione «ipso facto» delle cariche ecclesiastiche.

Considerando non di meno che, coloro i quali non si astengono dal male per amore della virtù, meritano di essere distolti per timore delle pene e che i vescovi, arcivescovi, patriarchi, primati, cardinali, legati, conti, baroni, marchesi, duchi, re ed imperatori, i quali debbono istruire gli altri e dare loro il buon esempio per conservarli nella fede cattolica, prevaricando peccano più gravemente degli altri in quanto dannano non solo se stessi, ma trascinano con sé alla perdizione nell’abisso della morte altri innumerevoli popoli affidati alla loro cura o governo, o in altro modo a loro sottomessi; Noi, su simile avviso ed assenso (dei cardinali) con questa nostra Costituzione valida in perpetuo (perpetuum valitura), in odio a così grave crimine, in rapporto al quale nessun altro può essere più grave e pernicioso nella Chiesa di Dio, nella pienezza della Apostolica potestà (de Apostolica potestatis plenitudine), sanzioniamo, stabiliamo, decretiamo e definiamo (et definimus), che permangano nella loro forza ed efficacia le predette sentenze, censure e pene e producano i loro effetti, per tutti e ciascuno (omnes et singuli) dei vescovi, arcivescovi, patriarchi, primati, cardinali, legati, conti, baroni, marchesi, duchi, re ed imperatori i quali, come prima è stato stabilito fino ad oggi, siano stati colti sul fatto, o abbiano confessato o ne siano stati convinti per aver deviato dalla fede o siano caduti in eresia o siano incorsi in uno scisma per averlo promosso o commesso, oppure quelli che nel futuro, siano colti sul fatto per aver deviato dalla fede o per esser caduti in eresia o incorsi in uno scisma, per averlo suscitato o commesso, tanto se lo confesseranno come se ne saranno stati convinti, poiché tali crimini li rendono più inescusabili degli altri, oltre le sentenze, censure e pene suddette, essi siano anche (sint etiam), per il fatto stesso (eo ipso) e senza bisogno di alcuna altra procedura di diritto o di fatto, (absque aliquo iuris aut facti ministerio) interamente e totalmente privati in perpetuo (penitus et in totum perpetuo privati) dei loro Ordini, delle loro chiese cattedrali, anche metropolitane, patriarcali e primaziali, della loro dignità cardinalizia e di ogni incarico di Legato, come pure di ogni voce attiva e passiva e di ogni autorità, nonché‚ di monasteri, benefici ed uffici ecclesiastici (et officiis ecclesiasticis) con o senza cura di anime, siano essi secolari o regolari di qualunque ordine che avessero ottenuto per qualsiasi concessione o dispensa Apostolica, o altre come titolari, commendatari, amministratori od in qualunque altra maniera e nei quali beneficiassero di qualche diritto, benché saranno parimenti privati di tutti i frutti, rendite e proventi annuali a loro riservati ed assegnati, anche contee, baronie, marchesati, ducati, regni ed imperi; inoltre, tutti costoro saranno considerati come inabili ed incapaci (inhabiles et incapaces) a tali funzioni come dei relapsi e dei sovversivi in tutto e per tutto (in omnibus et per omnia), per cui, anche se prima abiurassero in pubblico giudizio tali eresie, mai ed in nessun momento potranno essere restituiti, rimessi, reintegrati e riabilitati nel loro primitivo stato nelle chiese cattedrali, metropolitane, patriarcali e primaziali o nella dignità del Cardinalato od in qualsiasi altra dignità maggiore o minore, (aut quamvis aliam maiorem vel minorem dignitatem) nella loro voce attiva o passiva, nella loro autorità, nei loro monasteri e benefici ossia nella loro contea, baronia, marchesato, ducato, regno ed impero; al contrario, siano abbandonati all’arbitrio del potere secolare che rivendichi il diritto di punirli, a meno che mostrando i segni di un vero pentimento ed i frutti di una dovuta penitenza, per la benignità e la clemenza della stessa Sede, non siano relegati in qualche monastero od altro luogo soggetto a regola per darsi a perpetua penitenza con il pane del dolore e l’acqua dell’afflizione. – Essi saranno considerati come tali (relapsi et sovversivi) da tutti, di qualunque stato, grado, condizione e preminenza siano e di qualunque dignità anche episcopale, arciepiscopale, patriarcale, primaziale o altra maggiore ecclesiastica anche cardinalizia, ovvero che siano rivestiti di qualsiasi autorità ed eccellenza secolare, come la comitale, la baronale, la marchesale, la ducale, la regale e l’imperiale, e come persone di tale specie dovranno essere evitate (evitari) ed escluse da ogni umana consolazione.

4 – Estinzione della vacanza delle cariche ecclesiastiche

Coloro i quali pretendono di avere un diritto di patronato (ius patronatus) e di nomina delle persone idonee a reggere le chiese cattedrali, comprese le metropolitane, patriarcali, primaziali o anche monasteri ed altri benefici ecclesiastici resisi vacanti a seguito di tali privazioni (per privationem huiusmodi vacantia), affinché non siano esposti agli inconvenienti di una diuturna vacanza (vacationis), ma dopo averli strappati alla servitù degli eretici, siano affidati a persone idonee a dirigere fedelmente i popoli nella via della giustizia, dovranno presentare a Noi o al Romano Pontefice allora regnante, queste persone idonee alle necessità di queste chiese, monasteri ed altri benefici, nei limiti di tempo fissati dal diritto o stabiliti da particolari accordi con la Sede, altrimenti, trascorso il termine come sopra prescritto, la libera disposizione, delle chiese e monasteri, o anche dei benefici predetti, sia devoluto di pieno diritto a Noi od al Romano Pontefice suddetto.

5-Pene per il delitto di favoreggiamento delle eresie

Inoltre, incorreranno nella sentenza di scomunica «ipso facto», tutti quelli che scientemente (scienter) si assumeranno la responsabilità d’accogliere (receptare) e difendere, o favorire (eis favere) coloro che, come già detto, siano colti sul fatto, o confessino o siano convinti in giudizio, oppure diano loro attendibilità (credere) o insegnino i loro dogmi (eorum dogmata dogmatizare); e siano tenuti come infami; né siano ammessi, né possano esserlo (nec admitti possint) con voce, sia di persona, sia per iscritto o a mezzo delegato o di procuratore per cariche pubbliche o private, consigli, o sinodi o concilio generale o provinciale, né conclave di cardinali, né alcuna congregazione di fedeli od elezione di qualcuno, né potranno testimoniare; non saranno intestabili, né chiamati a successione ereditaria, e nessuno sarà tenuto a rispondere ad essi in alcun affare; se poi abbiano la funzione di giudici, le loro sentenze non avranno alcun valore e nessuna causa andrà portata alle loro udienze; se avvocati il loro patrocinio sia totalmente rifiutato; se notai, i rogiti da loro redatti siano senza forza o validità. – Oltre a ciò, siano i chierici privati di tutte e ciascuna delle loro chiese, anche cattedrali, metropolitane, patriarcali e primaziali, delle loro dignità, monasteri, benefici e cariche ecclesiastiche (et officiis ecclesiasticis) in qualsivoglia modo, come sopra riferito, dalle qualifiche ottenute anche regolarmente, da loro come dai laici, anche se rivestiti, come si è detto, regolarmente delle suddette dignità, siano privati «ipso facto», anche se in possesso regolare, di ogni regno, ducato, dominio, feudo e di ogni bene temporale posseduto; i loro regni, ducati, domini, feudi e gli altri beni di questo tipo, diverranno per diritto, di pubblica proprietà o anche proprietà di quei primi occupanti che siano nella sincerità della fede e nell’unità con la Santa Romana Chiesa sotto la nostra obbedienza o quella dei nostri successori, i Romani Pontefici canonicamente eletti.

6 – Nullità della giurisdizione ordinaria e pontificale in tutti gli eretici.

Aggiungiamo che, se mai dovesse accadere in qualche tempo che un vescovo, anche se agisce in qualità di arcivescovo o di patriarca o primate od un cardinale di Romana Chiesa, come detto, od un legato, oppure lo stesso Romano Pontefice, che prima della sua promozione a cardinale od alla sua elevazione a Romano Pontefice, avesse deviato dalla fede cattolica o fosse caduto in qualche eresia (o fosse incorso in uno scisma o abbia questo suscitato), sia nulla, non valida e senza alcun valore (nulla, irrita et inanis existat), la sua promozione od elevazione, anche se avvenuta con la concordanza e l’unanime consenso di tutti i cardinali; neppure si potrà dire che essa è convalidata col ricevimento della carica, della consacrazione o del possesso o quasi possesso susseguente del governo e dell’amministrazione, ovvero per l’intronizzazione o adorazione (adoratio) dello stesso Romano Pontefice o per l’obbedienza lui prestata da tutti e per il decorso di qualsiasi durata di tempo nel detto esercizio della sua carica, né essa potrebbe in alcuna sua parte essere ritenuta legittima, e si giudichi aver attribuito od attribuire una facoltà nulla, per amministrare (nullam … facultatem) a tali persone promosse come vescovi od arcivescovi o patriarchi o primati od assunte come cardinali o come Romano Pontefice, in cose spirituali o temporali; ma difettino di qualsiasi forza (viribus careant) tutte e ciascuna (omnia et singula) di qualsivoglia loro parola, azione, opera di amministrazione o ad esse conseguenti, non possano conferire nessuna fermezza di diritto (nullam prorsus firmitatem nec ius), e le persone stesse che fossero state così promosse od elevate, siano per il fatto stesso (eo ipso) e senza bisogno di una ulteriore dichiarazione (absque aliqua desuper facienda declaratione), private (sint privati) di ogni dignità, posto, onore, titolo, autorità, carica e potere (auctoritate, officio et potestate).

7 – La liceità delle persone subordinate di recedere impunemente dall’obbedienza e devozione alle autorità deviate dalla Fede.

E sia lecito a tutte ed a ciascuna delle persone subordinate a coloro che siano stati in tal modo promossi od elevati, ove non abbiano precedentemente deviato dalla fede, né siano state eretiche e non siano incorse in uno scisma o questo abbiano provocato o commesso, e tanto ai chierici secolari e regolari così come ai laici (quam etiam laicis) come pure ai cardinali, compresi quelli che avessero partecipato all’elezione di un Pontefice che in precedenza aveva deviato dalla fede o fosse eretico o scismatico o avesse aderito ad altre dottrine, anche se gli avessero prestato obbedienza e lo avessero adorato e così pure ai castellani, ai prefetti, ai capitani e funzionari, compresi quelli della nostra alma Urbe e di tutto lo Stato Ecclesiastico, anche quelli obbligati e vincolati a coloro così promossi od elevati per vassallaggio o giuramento o per cauzione, sia lecito (liceat) ritenersi in qualsiasi tempo ed impunemente liberati dalla obbedienza e devozione (ab ipsorum obedientia et devotione, impune quamdocumque cedere) verso quelli in tal modo promossi ed elevati, evitandoli (evitare eos) quali maghi, pagani, pubblicani ed eresiarchi, fermo tuttavia da parte di queste medesime persone sottoposte, l’obbligo di fedeltà e di obbedienza da prestarsi ai futuri vescovi, arcivescovi, patriarchi, primati, cardinali e Romano Pontefice canonicamente subentranti [ai deviati]. – Ed a maggior confusione di quelli in tale modo promossi ed elevati, ove pretendano di continuare l’amministrazione, sia lecito richiedere l’aiuto del braccio secolare, né per questo, coloro che si sottraggono alla fedeltà ed all’obbedienza verso quelli che fossero stati nel modo già detto promossi ed elevati, siano soggetti ad alcuna di quelle censure e punizioni comminate a quanti vorrebbero scindere la tunica del Signore.

8 – Permanenza dei documenti precedenti e deroga dei contrari

Non ostano all’applicabilità di queste disposizioni, le costituzioni ed ordinamenti apostolici, né i privilegi, gli indulti e le lettere apostoliche dirette ai vescovi, arcivescovi, patriarchi, primati e cardinali, né qualsiasi altro disposto di qualunque tenore e forma e con qualsivoglia clausola e neppure i decreti anche se emanati «motu proprio» (etiam motu proprio) e con scienza certa nella pienezza della potestà Apostolica, o promulgati concistorialmente od in qualsiasi altro modo e reiteratamente approvati e rinnovati od inseriti nel «corpus iuris», né qualsivoglia capitolo di conclave, anche se corroborati da giuramento o dalla conferma apostolica o rinforzate in qualsiasi altro modo, compreso il giuramento da parte del medesimo. – Tenute presenti tutte le risoluzioni sopra precisate, esse debbono aversi come inserite, parola per parola, in quelle che dovranno restare in vigore (alias in suo robore permansuris), mentre per la presente deroghiamo tutte le altre disposizioni ad esse contrarie, soltanto in modo speciale ed espresso (dum taxat specialiter et espresse).

9-Mandato di pubblicazione solenne

Affinché‚ pervenga notizia delle presenti lettere a coloro che ne hanno interesse, vogliamo che esse, od una loro copia (che dovrà essere autenticata mediante sottoscrizione di un pubblico notaio e l’apposizione del sigillo di persona investita di dignità ecclesiastica), siano pubblicate ed affisse sulle porte della Basilica del Principe degli Apostoli in Roma e della Cancelleria Apostolica e messe all’angolo del Campo dei Fiori da uno dei nostri corrieri; e che copia di esse sia lasciata affissa nello stesso luogo, e che l’ordine di pubblicazione, di affissione e di lasciare affisse le copie sia sufficiente allo scopo e sia pertanto solenne e legittima la pubblicazione, senza che si debba richiedere o aspettare altra.

10 – Illiceità degli Atti contrari e sanzioni penali e divine.

Pertanto, a nessun uomo sia lecito (liceat) infrangere questo foglio di nostra approvazione, innovazione, sanzione, statuto, derogazione, volontà e decreto, né contraddirlo con temeraria audacia. – Che se qualcuno avesse la presunzione d’attentarvisi, sappia che incorrerà nello sdegno di Dio Onnipotente e dei suoi Beati Apostoli Pietro e Paolo. – Data a Roma, in San Pietro, nell’anno 1559 dall’Incarnazione del Signore, il giorno 15 marzo, IV anno del Nostro Pontificato”.

Ecco dunque l’espressione più alta della tirannia pontificale, e se vogliamo credere a p. Gratry “l’analisi è più dolce del testo”, salvo in un punto, in cui A. de Margerie rimprovera a p. Gratry di aver attribuito a Paolo IV una eresia ed un’assurdità interpolando nella traduzione francese una parola che non esiste nell’originale. Lo stesso controversista rimprovera all’oratoriano di essere diventato da farfalla, una zanzara. 1) per aver fatto una cattiva guerra alla causa che egli combatte servendosi di un atto di governo evidentemente fuori dalle condizioni di infallibilità per scagliarsi contro l’infallibilità del Papa, un documento per aumentare i folli terrori di molti uomini del nostro tempo: 2) di aver fornito delle armi ai nemici della Chiesa invocando contro l’infallibilità del Papa un documento il cui equivalente completo, consegnato lungo il quarto concilio ecumenico Laterano, può essere invocato con egual diritto contro l’infallibilità dei Concili generali. Dal canto suo Veuillot si esprime in questi termini: “Quanto al p. Gratry, egli si è reso nello stesso tempo, ridicolo ed odioso. Ridicolo per le sue scoperte, odioso per l’uso che ne ha fatto. – Se veniamo agli esami degli articoli, il primo afferma la pienezza della potenza pontificale, derivante da ciò che il Papa esercita sulla terra le funzioni di Gesù-Cristo, di cui è il vicario. Questa pienezza di potenza è una verità riconosciuta nella Chiesa, lo è sempre stato, e la cristianità la riconosce ancora nel sedicesimo secolo. Occorre dire al padre Gratry che questa pienezza di potenza esiste sempre, ma nel modo in cui è sempre esistita, cioè per il governo della Chiesa, per il governo della società spirituale e tutto ciò che tocca la coscienza. Quando l’Europa era costituita cattolicamente, questa costituzione estendeva la giurisdizione pontificale anche alle materie civili, nei loro rapporti con le materie religiose, e ne derivavano degli effetti civili. Così l’eresia era un crimine agli occhi della legge: una volta che la Chiesa si era pronunciata, l’eretico cadeva sotto il colpo non solo delle pene spirituali, ma pure delle pene civili inflitte per questo crimine. Così il capo dello Stato, per costituzione doveva essere cattolico e, dichiarato eretico, cessava di essere re. Ancora una volta tale era la costituzione della società cristiana, che stimava la fede il più grande dei beni, e che, per conservare questo bene, metteva al servizio della Chiesa, tutta la potenza civile. – L’articolo 2 non può offrire difficoltà poiché Paolo IV non fa che rinnovarvi le sentenze di scomunica portate contro gli eretici dai Pontefici precedenti, dai Concili e dai sacri Canoni, sacris conciliis et sacris canonibus. – ma alle pene spirituali l’articolo 3 aggiunge le pene temporali. Di principio il padre Gratry non può condannare queste pene, perché egli sa che esse sono state imposte in tutti tempi dalla Chiesa: la penitenza pubblica, i digiuni, etc. erano certamente delle pene temporali. Ci sembra così che egli non possa rimproverare il Papa di privare di ogni autorità i vescovi o cardinali colpevoli di eresia. Ma Paolo IV dichiara privi di ogni autorità, principato, reame, impero, etc., anche i principi, re, imperatori, etc., che sono eretici. Lo ripetiamo, erano le legge del tempo, era una legge che preservava la fede, era una legge che soprintendeva ai diritti della coscienza dei popoli, che erano tutti cattolici e che volevano continuare ad esserlo, era tale la legge che il Concilio di Costanza non aveva agito altrimenti di come faceva Paolo IV. Dite allora che i tempi sono cambiati, che le costituzioni civili attuali non facciano più della professione di fede cattolica la “condicio sine qua non” per l’esercizio del potere civile, e che la bolla di Paolo IV non sia più applicabile, ma ancora una volta non vedete un atto di tirannia in un atto legittimo che ha come scopo il proteggere i deboli contro i forti. Il padre Gratry fa notare che, per i relapsi, il castigo era la pena del fuoco senza remissione: egli esagera, ma è obbligato a confessare che Paolo IV raddolciva le pene previste dalle leggi civili in ciò che concernevano gli eretici colpiti dalla sua bolla; non è dunque al sovrano Pontefice che va rimproverato il rigore. L’articolo 4 si occupa dei benefici ecclesiastici, ed il padre Gratry non pretende certamente che sia ingiusto spogliarne coloro che sono eretici o che non appartengono più alla Chiesa, e passiamo quindi all’articolo 5. Questo articolo 5 condanna alle stesse pene degli eretici coloro che li accolgono e li difendono. È chiaro che questi fautori e difensori, procurino alla cattolica società lo stesso male degli eretici confessi; occorreva mostrarsi assai severi nei loro riguardi. Inutile, pensiamo, sia tornare su quanto abbiamo detto sulla costituzione degli stati cristiani ai tempi di Paolo IV e del diritto pubblico allora universalmente vigente. – Ma l’articolo 6 scandalizza il padre Gratry più degli altri. Noi abbiamo riprodotto la nota che egli ha aggiunto alla sua analisi, e veramente siamo umiliati nel dover a lui ricordare quanto si insegna al catechismo. Il Papa colpisce di nullità gli atti di ogni Papa, patriarca, arcivescovo, vescovo che sarà stato scoperto esser caduto in eresia o essersi allontanato dalla fede prima della sua promozione, e dichiara che di fatto questi personaggi sono privati della loro dignità. « Da questo segue, dice il padre Gratry, che se si scopre che un vescovo, o finanche un Papa, prima della sua promozione abbia in qualche modo deviato dalla fede cattolica, questi non sarebbe né prete, né vescovo; i preti che essi avrebbero ordinato non sarebbero più preti, le ostie che questi ultimi, credendosi preti, avrebbero consacrato, non sarebbero state consacrate, e le assoluzioni che questi preti fantasmi avrebbero date, non sarebbero state delle assoluzioni. » Ma il padre Gratry ignora assolutamente la distinzione tra il potere d’ordine ed il potere di giurisdizione, egli ignora questo principio fondamentale che le pene pubbliche non seguono che le colpe pubbliche, e che di conseguenza:

– 1° gli atti colpiti da nullità dal Papa nell’articolo 6 non sono che atti di giurisdizione;

– 2° i procedenti dal potere d’ordine colpiti da illegittimità, non sono per questo colpiti da nullità, le ordinazioni sono valide, le consacrazioni, le assoluzioni sono valide.

3° In questo ultimo caso, particolarmente, le assoluzioni hanno tutto il loro valore per i fedeli che ignorano l’irregolarità del prete che le assolve. Il testo della bolla porta “promotio et assumptio, cioè promozione, elevazione, padre Gratry traduce “Ordinazione” e promozione, è inavvertenza? È ignoranza? È falsificazione volontaria? Veramente non si sa cosa pensare, in ogni caso è sicuro che il padre Gratry manipoli singolarmente i testi. Gli articoli 8, 9 e 10 non fanno che ripetere le clausole ordinarie che concludono le bolle, della cui natura non è il caso di occuparci qui ed è inutile soffermarvisi. Ecco dunque questo atto di tirannia pontificale che spaventa il padre Gratry, per cui egli chiede che il potere pontificale sia ricondotto nei giusti limiti, e che si badi bene di non aumentare e non esaltare questo potere con una corona di infallibilità! Questa costituzione, valida per sempre: “in perpetuum valitura”, portata nella pienezza dell’autorità apostolica: “de apostolicæ potestatis plenitudine”, con la minaccia dell’indignazione di Dio Onnipotente contro chi osasse opporvisi, è indirizzata alla Chiesa intera che l’accetta, da Paolo, vescovo della Chiesa cattolica, assistito dal Sacro-Collegio. È questa la costituzione che attaccava padre Gratry; Dio doveva ben presto chiederne conto. Noi non vogliamo citare all’avversario né il terzo Concilio del Laterano, contro gli Albigesi, né il quarto, in cui si ritrovano le medesime espressioni della bolla di Paolo IV, né il primo Concilio di Lione che depose Federico II (Concil. III. Lateranen. c.xxvi), De haereticis. — Concil. collect., t. X, col. 1522-1523. – Concil. IV Lateran., cap. III, Excommunicamus,t. XI, col. 148 ; Concïl.Lugd. t.XI, col. 630 et 640.), sarebbe capace di dirci che c’è Concilio e Concilio; ma noi crediamo di poterlo indirizzare al Concilio di Costanza, di cui tutto il gallicanesimo esalta la saggezza e l’autorità. Egli vi troverà: -1° quindicesima sessione, un “decretum silentii” che “diffida dal “fare nessun brusio di voce, piedi e mani, sotto pena di scomunica e due mesi di prigione, “sub poena carceris duorum mensium”, in cui incorrerà il contravvenente “etiamsi imperiali, regali, cardinalatus archiepiscopali aut episcopali proefulgeat dignitate” (Labbe, t. XII, col.122); il regolamento del Concilio Vaticano è si dice, meno severo.

2° Stessa sessione: vien posto l’interdetto su chiunque attacchi od impedisca a coloro che vengono al Concilio o ne tornino: “Etiamsi pontificali, imperiali, regali vel alia quacumque ecclesiastica vel mundana proe-fulgeant dignitate”, ed il Concilio minaccia di procedere contro coloro che disprezzino i suoi ordini, in modo ancora più severo, spiritualmente e temporalmente “insinuantes transgressoribus et contemptoribus in proedictis quod spiritualiter et temporaliter gravius procedetur [Consiitutio concilii, Col 144]. È forse per rispetto per questa decisione del Concilio di Costanza che i nostri governanti gallicani non hanno cercato di impedire ai vescovi di recarsi al Concilio.

3° Diciassettesima sessione. Decreto contro chiunque, re, cardinale, patriarca, arcivescovo, duce, principe o marchese, etc., impedirà, turberà o molesterà l’Imperatore Sigismondo o qualcuno dei suoi durante il loro viaggio intrapreso per trattare della pace della Chiesa con il re d’Aragona: “omni honore et dignitate, officio erclesiastico vel soeculari sit ipso facto privatus[Col. 160].

4° Ventottesima sessione. Il Concilio dichiara il duca d’Austria privato di ogni onore e dignità ed inabile a possederne alcuna, egli ed i suoi discendenti fini alla seconda generazione.

5° Trentunesima sessione. Atteso che i soggetti non hanno alcuna giurisdizione sui loro prelati, né i laici sugli ecclesiastici: Attendentes quod subditi in eorum proelatos et laïci in clericos nullam habent jurisdictionem et potestatem il Concilio ingiunge, sotto pena di scomunica, al conte di Verue, che aveva fatto arrestare un vescovo, di mettere questo prelato in libertà, e invita i vescovi di Pavia e Novara di procedere contro di lui se rifiuta di obbedire, e di infliggergli tutte le altre pene sia spirituali che temporali: “Ad omnes alias poenas spirituales ac temporales auctoritate proesentium procedere valeant(6).

6° Trentasettesima sessione. – Diffida a tutti i fedeli di prestare aiuto ed assistenza a Pietro de Luna detto Benedetto XIII sotto pena di essere trattato come fautore di scisma e di eresia, e di conseguenza di essere privato di ogni beneficio, onore e dignità, sia ecclesiastica, sia mondana (omnium beneficiorum, dignitatem et honorum ecclesîasticorum et mundanorum), fossero anche vescovi o patriarchi, re o imperatori “Etiamsi regalis sit dignitatis aut imperialis”. Se essi contravvengono a questa diffida, essi ne saranno privati “ipso facto” in virtù di questo decreto conciliare, fatto salvo ogni altro diritto (quibus sint auctoritate hujus decreti ac sententiam ipso facto privati).

7° Trentanovesima sessione. – il Concilio decreta quanto segue: « Se qualcuno incute timore o fa pressione o violenza agli elettori o ad uno di essi nell’elezione del Papa, o se uno procura che venga fatto, o approva quanto è stato fatto, o ha dato il suo consiglio in ciò, o ha prestato il suo favore, o consapevolmente ricetta colui che lo facesse, o lo difende, o si mostra negligente nell’infliggere le pene specificate più sotto, di qualunque stato, grado o autorità egli sia, anche imperiale, regale, vescovile, o di qualsiasi dignità ecclesiastica o secolare egli sia ornato, (etiamsi imperiali, regali, pontificali, vel alia quavis ecclesiastica aut seculari proefulgeat dignitate ipso facto incorra nelle pene contenute nella costituzione di Papa Bonifacio VIII, di felice memoria, che inizia con “Felicis”; e sia punito con esse. (illisque effectualiter puniatur). Le pene inflitte da questa costituzione di Bonifacio VIII sono tra le altre: l’infamia, l’incapacità di conservare o raccogliere successioni, la comparsa in giudizio, etc. la confisca dei beni, l’interdizione da ogni carica e dignità, sia ecclesiastica che temporale, non solo per il colpevole, ma pure per i suoi figli e discendenti.

8° Ultima sessione. — Nella bolla “Inter cunctas”, il Papa Martino V decreta: “Sacro Contanziensi Concilio approbante, dice Bossuet, che i Vescovi e gli inquisitori dovranno procedere contro i settari e difensori di Wiclef e di Hus, “qualunque sia la loro dignità, che siano patriarchi, arcivescovi, vescovi, re o regine, duchi, etc., «Quacumque que dignitate præfulgeant, etiamsi patriarchali, archiepiscopali, episcopali, regali, reginali, ducali… » essi saranno colpiti da scomunica, sospensione, spogliati delle loro dignità, cariche ed uffici, di tutti i benefici che essi potessero detenere, di chiese, monasteri o altri insediamenti ecclesiastici, ed anche dei loro beni temporali, delle loro dignità secolari etc. (Col. 271). Si sa la fine di Giovanni Hus. Il Concilio lo ha consegnato al braccio secolare e questo eseriarca subì la pena prevista dal codice penale allora in vigore in tutte le società cattoliche. Gli atti del Concilio di Costanza riempiono circa 300 colonne in folio; non c’è una parola che offra anche l’apparenza di una contraddizione con i decreti qui sopra indicati. Sempre e dappertutto il Concilio suppone come una verità costante, certa, indiscutibile, che esso ha il diritto di giudicare, di condannare, di punire gli eretici, gli scismatici ed i loro fautori fossero pure principi, re o imperatori; di togliere i loro beni, carichi, onori e dignità, le loro baronie, contee, marchesati, principati, ducati, reami ed imperi, se rifiutano di obbedire a questi decreti se essi mettono ostacoli alla pace della Chiesa. In questo concilio l’imperatore è presente: la maggior parte dei re e dei principi sovrani dell’Europa vi sono rappresentati dai loro ambasciatori. E principi, re ed imperatori trovano la condotta del Concilio naturale e non si sognano affatto di reclamare. Ci sono discussioni sulla questione del sapere se il Concilio è superiore al Papa, ma tutti sono d’accordo che il Papa ed il Concilio sono superiori, l’uno e l’altro ai re ed agli imperatori: che la potenza spirituale è superiore alle potenze temporali ed al diritto di giudicarli, di condannarli, di punirli, che il primo dovere di questi potenti è di obbedire alla Chiesa, e di sottomettersi alle sue sentenze e di procurarne l’esecuzione. – Un uomo che al Concilio di Costanza avesse chiesto l’impunità per il crimine di eresia, non sarebbe stato ascoltato più di colui che oggi chiederebbe l’impunità del furto o dell’omicidio, e chiunque avesse preteso di proclamare l’indipendenza assoluta dei re, sarebbe parso almeno così stravagante come ai nostri giorni un deputato che prendesse la fantasia di proclamare alla tribuna l’indipendenza assoluta del suo dipartimento. Tutti gli stati d’Europa erano uniti nel seno della repubblica cristiana e in questa epoca tentare di rompere questa unità, separarsene, sottrarsi con lo scisma e l’eresia all’autorità centrale e sovrana, che ne era la chiave di volta che solo la formava e la manteneva, era un crimine così grave, un’aberrazione così mostruosa come ai tempi d’oggi sarebbe un crimine la follia di una nostra provincia che volesse sottrarsi all’unità nazionale, separarsi dalla Francia, sottrarsi alle sue leggi. Noi, diceva Leibnitz, consideriamo la Chiesa universale come formante una specie di repubblica governata dal Papa. Le cose erano ancora così all’epoca del Concilio di Costanza; solo che non essendoci un Papa certo, il Concilio si poneva al suo luogo ed al suo posto. Leggete i suoi decreti: li motiva sui diritti riconosciuti in tutti i tempi dai romani Pontefici, la cui sede, egli dice, è al momento presente in seno al Concilio generale: “Generale concilium, ubi nunc romana curia existit” (col. 144). Nulla di piacevole come i tours de force ai quali si dedicano i dottori gallicani per dimostrare che questi atti e decreti del Concilio di Costanza non sono in contraddizione con il primo articolo della dichiarazione del 1682. Essi dicono ad esempio che il Concilio non ha voluto parlare che dei principi feudatari della Chiesa romana; ma le espressioni del concilio sono generali, e non fanno parte di questa distinzione – essendo presente l’imperatore, avrebbe egli sopportato che lo si trattasse da vassallo? Altri hanno poi sostenuto che il Concilio si fosse probabilmente riferito agli ambasciatori e che i decreti in questione traevano la loro forza dal consenso dei re. Ma essi sono sempre resi e dichiarati esecutori in virtù dell’autorità del concilio, auctoritate Concilii, senza che si sia mai parlato di alcun altro, e non si incontra traccia di questo preteso trattato tra il concilio ed i re. Il concilio dispone per l’avvenire; i re avrebbero dunque alienato la loro indipendenza in perpetuo. Molti di questi decreti sono stati approntati in un’epoca in cui molti re, principi e signori, parteggiavano per Pietro de Luna, e non avevano rappresentanti al Concilio e rifiutavano di riconoscerlo; gli altri re potevano mai conferire a questi principati e reami un diritto che non avevano da se stessi? Per tutti gli uomini di buona fede è manifesto che il Concilio di Costanza agisce in queste occasioni in virtù di un potere universalmente riconosciuto e sulla legittimità del quale non era da temere alcuna contestazione. Se era possibile il dubbio, nello stato di divisione in cui si trovava la Chiesa, il Concilio non avrebbe evitato con la maggior cura fino all’ultima parola, di offendere le orecchie reali. Il concilio del Vaticano poteva aver solo il pensiero di rendere dei decreti simili a quelli che stiamo per citare? Il Concilio di Costanza li pubblicò senza che alcune voce in Europa si levasse per reclamare. Questo fatto è sufficiente a dimostrare che in quest’epoca l’Europa considerava l’eresia come un crimine, gli eretici ed i loro fautori come colpevoli degni di pene, che determinava il codice penale in vigore presso tutte le nazioni cristiane, le potenze temporali, come subordinate di diritto e di fatto alla potenza spirituale. – Al Concilio di Costanza potremo aggiungere il Concilio di Basilea; il terzo e quarto concilio del Laterano ed il primo concilio di Lione, il Concilio di Trento. Ma bisogna limitarsi. Che l’abate Gratry consulti i quattro patriarchi del gallicanesimo: Pierre d’Ail, soprannominato il Martello degli eretici, Gerson, Almain e Major. Ecco quale era la loro dottrina:

1° il diritto canonico ha legittimamente definito, che esiste un crimine di eresia;

2° il mantenere la purezza della fede cristiana è presso un popolo il primo dei beni temporali;

3° La cura nel mantenere la purezza e l’integrità della fede non è soltanto un diritto del sovrano, ma un dovere d’onore;

4° in Francia i diritti della dinastia regnante sono legati al possesso della fede cattolica: “I re di Francia, tra tutti gli altri principi cristiani, sono sempre stati i difensori speciali ed i campioni della fede cattolica, la cui principale cura e sollecitudine è stata di estirpare e pulire la loro signoria, da tutte le eresie, errori indecorosi nella nostra fede”.

5° Il crimine di eresia rompe tutti i legami sociali e distoglie i soggetti dal dovere dell’obbedienza ai princìpi.

6° il crimine di eresia è un crimine di lesa maestà divina, al quale non si può applicare che una sola pena: la morte!

7° L’eresia è più pericolosa per l’ordine sociale che il tiranno.

8° Tutti gli uomini, i principi come gli altri, sono sottomessi al Papa e se volessero abusare della loro giurisdizione, della loro temporalità, della loro potenza contro la legge divina e naturale, questa superiorità può essere chiamata una potenza direttiva ed ordinativa, piuttosto che civile. – Vi sono delle occasioni in cui il Papato confisca i beni dei laici, ad esempio in caso di eresia [Pierre d’Ailly, Traita de la puissance ecclésiastique, lu au Concile de sonstance, dans les oeuvres de Gerson, t. ll, p. 917].Il Cristo non ha mai dato a Pietro l’autorità di disporre della sua giurisdizione su un re temporale, non gli ha dato il potere di spogliare i laici delle loro proprietà e della loro potenza se non nel caso un principe secolare abusasse del suo potere a detrimento della cristianità e della fede, in modo da nuocere grandemente alla salvezza delle anime [Almain, De Potestate ecclesiast, et laic.] per una giusta causa “pro rationabili causa”, la Chiesa può in tutta la cristianità trasferirne il potere “dominium transferre”. [Juan. Major in 4 sent. Dist., 24 ad 4 argument.]. Gli stessi re ammettono questi princìpi. Bossuet lo confessa quando dice nella sua “Defense de la Déclaration: “voi mi chiedete forse perché i principi stessi, negli ultimi tempi sembrano possano convenire a loro pieno grado che la Chiesa possa deporre i principi cristiani quanto meno per causa di eresia o di apostasia? È facile rispondere, questo non viene dal fatto che riconoscano al Sovrano Pontefice alcun diritto temporale, ma perché detestando l’eresia, essi permettono volentieri tutto contro se stessi se si lasciano infettare da tale peste. Del resto, avendo in orrore a tal punto l’eresia, essi sapevano bene che non cedevano a nessuno alcun diritto contro di essi, non dando il diritto se non a causa di eresia”. [Dèfense, lib. iv, t . XVlll, § 73]. I re, in una parola, sapevano che essi non sarebbero mai diventati eretici. Sapevano essi che i loro fratelli, gli altri re, sapevano che i loro successori non lo diventassero mai? Ma non discutiamo di questa ingegnosa spiegazione, e contentiamoci di tenere il dubbio fatto che constata : il diritto dato al Papa da tutti i re in caso di eresia ed il loro orrore per questa peste. Da quanto precede segue che la bolla di Paolo IV proverebbe che i Papi non sono infallibili né sovrani nella Chiesa, come pretende M. Gratry, e quindi egli deve egualmente rifiutare l’infallibilità e la sovranità ai Concili ecumenici che, sui rapporti delle due potenze e sull’eresia e gli eretici, hanno proclamato ed applicato i principi di questa bolla. Egli deve in più negare l’infallibilità della Chiesa che, tutta intera, durante i secoli ha accettato e praticato la stessa dottrina. La Bolla stessa constata questa complicità secolare della Chiesa. – Cosa fa essa dopotutto? Essa rinnova le misure prese contro gli eretici e contro i principi che li sostengono, dai predecessori di Paolo IV e dai Concili, essa dichiara che saranno affidati al braccio secolare per subire le pene determinate dal diritto. Se la Bolla è mostruosa, il diritto al quale rinvia, non lo è altrettanto, e se la potenza spirituale che comanda è criminale, la potenza secolare è forse innocente? È dunque la Chiesa stessa e tutta la cristianità che l’abate Gratry accusa di aver calpestato la verità, la giustizia, il Vangelo di Gesù-Cristo. Ecco a quale blasfema condotta conduce l’ebbrezza delle idee liberali, e per sostenerle non si esita a condannare i princìpi e la dottrina da tutti i tempi insegnata e messa in pratica nella Chiesa. La si condanna e la si stigmatizza con la stessa violenza che potrebbe attuare un nemico ed un apostata. Non c’è imparzialità per tener conto della differenza dei tempi e delle diverse necessità che ne derivano. Si giudica la Chiesa ed il suo passato per partito preso secondo le opinioni regnanti. Non si vede o non si vuol vedere che l’ordine sociale nel quale viviamo differisce dall’ordine sociale dei tempi cattolici come la notte differisce dal giorno, ed è così assurdo domandare ai secoli della fede e di unità delle leggi ed i costumi dei tempi di dubbi e divisioni che si vorrebbe ristabilire? Oggi le leggi dell’ordine antico, ai tempi di Paolo IV, l’ordine stabilito nella cristianità aveva già subito dei rudi attentati, ed il dovere del Capo della Cristianità era difenderlo, impiegare per mantenerlo tutti i mezzi che gli offrivano ancora la fede dei popoli e la legislazione universalmente in vigore negli Stati cristiani. Oggi questa legislazione non esiste più, l’unità europea è distrutta, l’eresia e l’incredulità regnano dappertutto; e da esse, non dalla Chiesa che il braccio secolare riceve le sue direttive. E M. Gratry si leva e riesuma la Bolla di Paolo IV e la getta in pasto al pubblico così incapace di comprendere qualcosa delle cose del passato, imbevuto di pregiudizi contro la religione ed egli fa questo per salvare i popoli che il Papa infallibile farebbe ripiombare nelle tenebre; per salvare la Chiesa che si perderebbe rinserrando i legami della sua unità; per salvare i re che il papato minaccia! Egli lo fa anche per salvare il cattolicesimo liberale ed affinché i governi comprendano quanto loro convenga appoggiare questo partito contro il Concilio e contro il Papa!

#   #   #   #

Questa Bolla di Paolo IV, confermata tra l’altro da S. Pio V in una successiva bolla [Inter multiplices curas del 21 XII 1566] è stata quindi da tempo oggetto di discussioni e divisioni, ed ancora oggi è contestata da alcuni, come i gallicani alla Gratry, o gli attuali seguaci del Cavaliere kadosh 30° livello [A. Lienart con il figlioccio spirituale Lefebvre e derivati delle fraternità non-sacerdotali e delle cappellucce varie, oltre che da liberi “cani sciolti” scismatici], mentre altri ne fanno una bandiera per giustificare i loro deliri sedevacantisti. Per noi Cattolici, essa ha un’importanza storica, sia come documento del tempo, sia come elemento del Magistero della Chiesa, ma in realtà essa non è applicabile per quanto concerne la questione dei Papi “pretesi” eretici che darebbe spazio alle eresie sedevacantiste ed ai suoi scismi. I Papi “veri” infatti non sono mai incorsi nell’eresia, essendo Vicari di Cristo in terra e luce di verità infallibile per la fede e la morale. Quelli che vengono giustamente additati come eretici manifesti ed ostinati, fondatori della falsa chiesa dell’uomo, con l’intronizzazione di satana in Vaticano il 29 giugno 1963, sono gli antipapi che si sono susseguiti da Roncalli in poi [dal 28 ottobre del 1958, dopo la cacciata del legittimo Papa eletto, Gregorio XVII cardinal Siri] che, come tali, possono parlare ed agire “a vanvera”, come effettivamente è stato ed è, perché in essi opera ben altro spirito … che quello Santo! La Bolla quindi è applicabile a tutti gli ecclesiastici che sono stati e sono eretici, ma non ai “veri” Papi, che hanno tenuto sempre fede al loro impegno di Vicari perché assistiti dallo Spirito Santo in questione di fede e di morale! Gli scismatici sedevacantisti, non riconoscendo i veri Papi, sono ricorsi anch’essi alla Bolla di Paolo IV per tirare acqua al loro mulino senza voler distinguere i Papi dagli antipapi, procurando così per sé ed i loro seguaci, una messa al bando dalla Chiesa Cattolica, condizione primaria per passare poi al “calore” del fuoco eterno. – Interessante è il passaggio in cui si accenna alla 39^ sessione del Concilio di Costanza ove sono ricordate le pene inflitte a coloro che cercano di inficiare l’elezione del Papa, pene già specificate nella bolla “Felicis” di Bonifacio VIII, così come è avvenuto appunto nel Conclave del 1958, ove hanno operato gli agenti della quinta colonna, i marrani ed i massoni che hanno impedito la presa di possesso dell’Ufficio Pontificale da parte del Cardinale Siri, che aveva accettato la sua elezione all’unanimità, assumendo il nome di Gregorio XVII.

Domenica IV dopo l’EPIFANIA

Introitus Ps XCVI:7-8 Adoráte Deum, omnes Angeli ejus: audívit, et lætáta est Sion: et exsultavérunt fíliæ Judae.

[Adorate Dio, voi tutti Angeli suoi: Sion ha udito e se ne è rallegrata: ed hanno esultato le figlie di Giuda.]

Ps XCVI:1 Dóminus regnávit, exsúltet terra: læténtur ínsulæ multæ.

[Il Signore regna, esulti la terra: si rallegrino le molte genti.]

Orémus. Deus, qui nos, in tantis perículis constitútos, pro humána scis fragilitáte non posse subsístere: da nobis salútem mentis et córporis; ut ea, quæ pro peccátis nostris pátimur, te adjuvánte vincámus.

[O Dio, che sai come noi, per l’umana fragilità, non possiamo sussistere fra tanti pericoli, concédici la salute dell’ànima e del corpo, affinché, col tuo aiuto, superiamo quanto ci tocca patire per i nostri peccati.]

LECTIO

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános.

Rom XIII: 8-10

Fratres: Némini quidquam debeátis, nisi ut ínvicem diligátis: qui enim díligit próximum, legem implévit. Nam: Non adulterábis, Non occídes, Non furáberis, Non falsum testimónium dices, Non concupísces: et si quod est áliud mandátum, in hoc verbo instaurátur: Díliges próximum tuum sicut teípsum. Diléctio próximi malum non operátur. Plenitúdo ergo legis est diléctio.

[Lettura della Lettera del B. Paolo Ap. ai Romani. Rom XIII:8-10 – Fratelli: Non abbiate con alcuno altro debito che quello dell’amore reciproco: poiché chi ama il prossimo ha adempiuta la legge. Infatti: non commettere adulterio, non ammazzare, non rubare, non dire falsa testimonianza, non desiderare, e qualunque altro comandamento, si riassumono in questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso. L’amore del prossimo non fa alcun male. Dunque l’amore è il compimento della legge.]

Graduale Ps CI:16-17 Timébunt gentes nomen tuum, Dómine, et omnes reges terræ glóriam tuam. [Le genti temeranno il tuo nome, o Signore: tutti i re della terra la tua gloria.] V. Quóniam ædificávit Dóminus Sion, et vidébitur in majestáte sua. Allelúja, allelúja. [Poiché il Signore ha edificato Sion: e si è mostrato nella sua potenza. Allelúia, allelúia] Alleluja

Ps XCVI:1 Dóminus regnávit, exsúltet terra: læténtur ínsulæ multæ. Allelúja. [Il Signore regna, esulti la terra: si rallegrino le molte genti. Allelúia.]

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthaeum.

  1. Gloria tibi, Domine!

Matt VIII:23-27

“In illo témpore: Ascendénte Jesu in navículam, secúti sunt eum discípuli ejus: et ecce, motus magnus factus est in mari, ita ut navícula operirétur flúctibus, ipse vero dormiébat. Et accessérunt ad eum discípuli ejus, et suscitavérunt eum, dicéntes: Dómine, salva nos, perímus. Et dicit eis Jesus: Quid tímidi estis, módicæ fídei? Tunc surgens, imperávit ventis et mari, et facta est tranquíllitas magna. Porro hómines miráti sunt, dicéntes: Qualis est hic, quia venti et mare oboediunt ei?”

[In quel tempo: Gesù montò in barca, seguito dai suoi discepoli: ed ecco che una grande tempesta si levò sul mare, tanto che la barca era quasi sommersa dai flutti. Gesù intanto dormiva. Gli si accostarono i suoi discepoli e lo svegliarono, dicendogli: Signore, salvaci, siamo perduti. E Gesù rispose: Perché temete, o uomini di poca fede? Allora, alzatosi, comandò ai venti e al mare, e si fece gran bonaccia. Onde gli uomini ne furono ammirati e dicevano: Chi è costui al quale obbediscono i venti e il mare?]

OMELIA

Omelia della Domenica IV dopo l’Epifania

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. I -1851-]

(Vangelo sec. S. Matteo VIII, 23-27)

Sonno del peccatore.

Ascende il divin Redentore, accompagnato dai suoi discepoli, su la navicella di Pietro, e si abbandona a un dolce sonno. Intanto si scatenano i venti, si turba il mare, s’alzano i flutti, e stan per sommergere il combattuto naviglio, e Gesù dorme, “ipse vero dormiebat”. Che sonno, è questo, uditori? Che mistero in ciò si nasconde? Egli è, s’io ben mi avviso, un’immagine dell’uomo giusto, che in mezzo alle agitazioni di questo mar tempestoso, qual è il mondo, riposa in pace. Tutto l’opposto dell’uomo peccatore, che dorme in seno al peccato, ma nel peccato non trova riposo. Il suo sonno è piuttosto un letargo, che annunzia la vicina sua morte. Gesù fu svegliato dalla preghiera degli spaventati discepoli, e tosto fe’ sentire il suo comando e il suo potere al mare e ai venti: cessarono questi, e l’agitato mare si cangiò sull’istante in perfettissima calma. Se le preghiere fossero valevoli a destare il peccatore addormentato nella sua colpa, vorrei gettarmi a’ suoi piedi e dirgli; fratel mio, “miserere animæ tuæ”, abbiate pietà dell’anima vostra: non aspettate a svegliarvi sulle porte dell’eternità. Aprite gli occhi sul vostro pericolo;Surge qui dormis, et exsurge a mortuis(Ad Ephes. V,4): sorgete da questo sonno mortifero, foriero d’eterna morte. Le preghiere non bastano? Volete che per agevolare il vostro risorgimento ve ne adduca i più efficaci motivi? Lo farò senza più. Vi mostrerò da prima quanto Iddio ha fatto per risvegliarvi dal sonno di morte, e poscia quanto dovete far voi per corrispondere alle amorose premure ch’Egli ha di salvarvi. –

I. Per rendere più sensibile e fruttuosa la presente spiegazione, dal sonno del divino Maestro passiamo al sonno d’un suo discepolo: avremo in ciò una luminosa scorta, onde conoscere i tratti della divina bontà, e l’obbligo della nostra corrispondenza. Là nel fondo di oscura prigione in Gerosolima, condannato a morte da Erode Agrippa, giaceva l’apostolo Pietro, e in mezzo ai custodi e alle catene tranquillamente dormiva. Quand’ecco un Angelo da Dio spedito sgombra con improvvisa luce le tenebre della carcere, e data una scossa al fianco di Pietro lo sveglia, e “sorgi” gli dice, “surge”! Mirate se non è questa una viva figura e dello stato dell’uomo peccatore, e della condotta di Dio pietoso per ricondurlo a ravvedimento e a salvezza. Peccatore fratello, io parlo con voi, io parlo di voi. Il grave peccato v’à oscurato l’intelletto, voi siete in tenebre ed ombre di morte, la sentenza di vostra eterna condanna è scritta in cielo, i demòni vi stanno a fianco, e voi stretto da tante catene, quante sono le vostre colpe, in mezzo a tanti pericoli profondamente dormite. Che ha fatto Iddio per sottrarvi da tanto rischio, per svegliarvi dal fatale letargo? Ha fatto le tante volte balenare alla vostra mente una luce superna, che vi faceva vedere la bruttezza del vizio, la bellezza della virtù, la vanità del mondo, l’importanza della salute, la miseria del vostro stato, la brevità della vita, l’orrore della morte, l’eternità delle pene. La fede dell’eterne verità si è fatta sentire vostro malgrado. Ai lampi di tanta luce più che sufficiente a farvi aprir gli occhi ha aggiunto Iddio sempre pietoso colpi e percosse: colpi d’ostinata siccità, di storilezza di campagne, di spaventosi tremoti questi pubblici flagelli ha fatto succedere particolari percosse: quella lite, peste della vostra pace, rovina della vostra famiglia, quella perdita sul mare, quella sventura nel traffico, quella lunga malattia, la morte in fine di quel vostro congiunto, tanto per voi necessario. Colpi son questi della mano di Dio diretti a scuotervi dal sonno mortifero. Pure seguitaste a dormire, come Giona al fragor de’ tuoni e della tempesta; e il misericordioso Signore per risanarvi non cessò di ferirvi. Vi ferì nel più vivo del cuore con acerbi rimorsi, con pungenti stimoli, con nere malinconie, che v’han fatto conoscere e toccar con mano che il peccato è una spina che vi trafigge, un tossico che vi avvelena, un cancro che vi rode le viscere. Fra tante punture mal soffrendo voi stesso vi siete alquanto commosso, ma, come uomo sonnacchioso, rivolto sull’altro fianco, avete prolungato la rea vostra sonnolenza. E il vostro buon Dio, mai stanco d’adoperarsi intorno a voi, vi ha fatto sentir la sua voce, voce interna di vive ispirazioni, di forti chiamate, d’amorevoli inviti, voce esterna de’ suoi ministri sul pergamo, de’ suoi sacerdoti nel sacro tribunale, voce di quell’amico fedele, di quel congiunto zelante del vostro bene, voce di quel libro devoto, che a caso vi capitò alle mani, voce partita da quel cadavere, che vi venne sott’occhio. In queste occasioni la misericordia di Dio vi ripeteva le parole dell’Angelo a Pietro dormiente , “surge!”, “sorgi”, o figlio, dal tuo sonno dannevole, sorgi dalle tue tenebre, sorgi dalle tue catene, sorgi dal miserando tuo stato, “surge”! A queste voci amorevoli avete chiuse le orecchie, e serrato il cuore. Or via, non si parli più del passato. Si tiri un velo su i vostri rifiuti. Vediamo ora quel che far dovete per corrispondere alle divine chiamate, e ritorniamo a S. Pietro.

II. Tre comandi gli fece l’Angelo liberatore, di sorgere immantinente “surge velociter, di adattarsi la veste “circumda tibi vestimentum tuum”, e di seguirlo, “et sequere me(Act. XIX, 7,8) . La stessa voce fa sentire a voi in questo giorno quel Dio, che vi vuol salvo. Sorgete, e presto senza indugio sorgete dalla cattività del peccalo, “surge velociter”. Il ritardo può essere per voi fatale. Non dite: “risorgerò”, l’avete detto tante altre volte che lascerete il peccato, che verrà la quaresima, che in quel tempo più opportuno vi convertirete davvero. Venne la quaresima, e differiste la vostra conversione alla Pasqua, dalla Pasqua alla Pentecoste e dalla Pentecoste all’altra quaresima. Rimettere ad altro tempo un affare dì tanta conseguenza è manifesto indizio di poco buona volontà. So che per questa dilazione non mancano pretesti. Io sono, voi dite, assediato da tanti affari, che mi tolgono la necessaria quiete dell’animo e il tempo materiale per pensare a me stesso,- campagne da coltivare, frutti da raccogliere, negozi da spedire, liti da sostenere, conti da aggiustare, viaggi da intraprendere. Finiti questi disturbi, cessati quest’impedimenti… Non più per carità. Che affari, che travagli, che conti! L’affare più importante è quello dell’eterna salute, la lite più seria è quella da vincersi col demonio al divin tribunale, il viaggio più premuroso è quello che conduce all’eternità. Adesso è il tempo accettevole, adesso è l’ora propizia per sorgere ornai dal pigro sonno fatale, “Hora est iam de somno surgere(Ad Rom. XIII, 11); se voi differite, la dilazione sarà la vostra rovina. Una conversione futura quanto più vi lusinga, tanto é più ingannevole. Il tempo sta in man di Dio. Verrà tempo che non avrete più tempo, e vi pentirete senza rimedio di non aver profittato del tempo. Avverrà a voi, che Dio vi guardi, come ai generi di Lot: “surgite”, disse loro il giusto Lot con somma premura, “surgite”, uscite presto da Sodoma, è imminente il suo sterminio, sta per piovere su di essa il fuoco dal cielo; ma quegli scioperati, non curando l’avviso, restarono avvolti nell’incendio dell’infame città. La seconda cosa, che l’Angelo impose a S. Pietro, fu che prese le proprie vesti se le cingesse attorno, “Circunda tibi vestimentum tuum”. Voi al sacro fonte col carattere battesimale avete vestiti gli abiti delle teologali virtù: fede, speranza e carità. Di questi abiti per il peccato mortale vi siete in certo modo spogliati. Povera fede! Le ree vostre passioni han fatto illanguidire; anzi dopo la lettura di quell’empio libro, dopo il discorso di quel miscredente è morta in voi la fede, e come una veste logora l’avete abbandonata. Ah! per pietà ripigliatela, “circumda tibi vestimentum tuum”. Esiste un Dio, esiste l’idea d’un Dio a dispetto di tutti gli sforzi dell’empietà, a dispetto di tutte le violenze, che far si possono all’intelletto. L’idea d’un Dio esistente si può cacciar dal cuore per un atto di ribelle volontà, ma non dalla mente per ragionevole convincimento. Esiste un Dio premiatore dei buoni, punitore de’ malvagi. Dopo pochi giorni di vita, la morte manderà il corpo al sepolcro, l’anima all’eternità. Qual sarà la sua sorte? La vita presente deciderà della futura. Vita da peccatore: eternità di rancore. Ecco quel che insegna la fede: ripigliatene l’abito con ben ponderarne le infallibili verità, con applicarle all’attuale vostro bisogno, “circumda tibi vestimentum tuum.” Rivestitevi in seguito dell’abito della speranza. In chi avete fino ad ora fondate le vostre speranze? Nel mondo? Ma il mondo è un traditore, ed una trista speranza ve l’ha fatto chiamar più volte con questo nome. Il mondo è una scena volubile, che oggi vi alletta, domani vi contrista. La sua incostanza non può render sicura la vostra fiducia, “præterit figura huius mundi” (I. Ad Cor. VII, 31 ). Sperereste negli uomini? Ma questi sono o mentitori per malizia, o fallaci per impotenza, “Mendaces filii hominum(Ps. LXI, 10). Non vi appoggiate dunque ad una canna sdrucita, e ad un muro pendente. Ponete tutta la vostra fiducia in Dio: Egli è l’amico vero; niuno ch’abbia sperato in Lui è mai rimasto confuso. La carità finalmente è quella veste nuziale, che assumer dovete. Di questa vi rivestirà il Padre celeste, se a Lui fareste ritorno sull’orme del figliuol prodigo. Imitate l’umiltà di questo figlio ravveduto, il suo pentimento, il suo dolore. Ai piedi del ministro di Dio deponete l’uomo vecchio con tutti i suoi vizi, spogliatevene affatto colla manifestazione sincera delle vostre colpe, colla contrizione più viva del vostro cuore: vestitevi dell’uomo nuovo con intraprendere una vita nuova, una vita cristiana, che vi dia fonduta speranza d’eterna vita. Forniti così delle vesti della fede, della speranza e della carità, resta il tener diètro all’Angelo, che, come S. Pietro, v’invita a seguitarlo, sequere me”. Fatevi scelta d’un dotto, pio e prudente confessore. Egli, dice S. Francesco di Sales, è l’Angelo visibile delle nostre anime: egli si farà scorta a’ vostri passi, vi allontanerà dai pericoli, vi guiderà per la strada della salute. E quand’anche al vostro cammino si frapponessero porte di ferro, come a S. Pietro, s’apriranno agevolmente innanzi a voi: vincerete, volli dire, coi suoi consigli ogni difficoltà, supererete ogni ostacolo, finché arrivati in luogo d’eterna sicurezza, possiate dire ancor voi, come l’Apostolo Pietro: “ora conosco in verità che il Signore ha mandato il suo Angelo a liberarmi”: quegli diceva dalle mani d’Erode, io da quelle del demonio. Io dormivo, e il mio sonno profondo era sonno di morte; mi sono svegliato, perché mi ha steso la destra il pietoso Signore: “Ego dormivi, et soporatus sum, et exurrexi quia Dominus suscepit me(Ps. V, 6). – Ho finito, ma se potessi supporre che fra voi molti ancor dormono, “et dormiunt multi( I ad Cor. XI, 50), udite, vorrei dir loro, quel che mi suggerisce il mio ministero, e l’amor che vi porto. Voi volete persistere nel sonno del vostro peccato? Morrete nel vostro peccato, e vi sveglierete sulle porte dell’inferno. Dormiva Sisara assicurato dal cortese accoglimento di Giaele, e in mezzo al sonno trafitto dall’una all’altra tempia da lungo e grosso chiodo, dal luogo del suo riposo cadde nel luogo di tutti i tormenti. Dormiva Oloferne ben lontano dal temere la morte, e in mezzo al sonno, tronco il capo dalla prode Giuditta, dal suo letto piombò nell’abisso. Dormivano le vergini stolte, “dormitaverunt omnes, et dormierunt(Matt. XXV, 5), e perché sprovviste dell’olio della carità e dell’opere buone, furono escluse per sempre dalle nozze dello sposo celeste. Ah! Mio Dio non permettete mai che avvenga ad alcun di noi somigliante sventura.

 Credo in unum Deum…

Offertorium

Ps CXVII:16; CXVII:17

Déxtera Dómini fecit virtutem, déxtera Dómini exaltávit me: non móriar, sed vivam, et narrábo ópera Dómini. [La destra del Signore ha fatto prodigi, la destra del Signore mi ha esaltato: non morirò, ma vivrò e narrerò le opere del Signore.]

Secreta Concéde, quaesumus, omnípotens Deus: ut hujus sacrifícii munus oblátum fragilitátem nostram ab omni malo purget semper et múniat. [O Dio onnipotente, concedici, Te ne preghiamo, che questa offerta a Te presentata, difenda e purifichi sempre da ogni male la nostra fragilità.]

Communio Luc IV:22 Mirabántur omnes de his, quæ procedébant de ore Dei. [Si meravigliavano tutti delle parole che uscivano dalla bocca di Dio.]

Postcommunio Orémus. Múnera tua nos, Deus, a delectatiónibus terrenis expédiant: et coeléstibus semper instáurent aliméntis. [I tuoi doni, o Dio, ci distolgano dai diletti terreni e ci ristorino sempre coi celesti alimenti.]

“L’uomo saggio costruisce la sua casa sulla roccia”

“L’uomo saggio costruisce la sua casa sulla roccia” –

[una meditazione di Fr. UK, sacerdote di S. S. Gregorio XVIII]

 Conosciamo tutti dal Vangelo di San Matteo questo importante insegnamento di Nostro Signore Gesù Cristo che parla di due uomini, un uomo saggio ed un uomo stolto, che incarnano due tipologie di persone. – Possiamo cominciare da qui: “Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci. Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi? Così, ogni albero buono produce buoni frutti, e l’albero cattivo produce frutti cattivi. Un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. Ogni albero che non produce frutti buoni, viene tagliato e gettato nel fuoco. Perciò dai loro frutti li conoscerete”(Matteo VII, 15-20). – E continuiamo: – “Ognuno, pertanto, che ascolta queste mie parole, e le mette in pratica, sarà paragonato ad un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia (qui aedificavit domum suam supra petram), Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, e i venti soffiarono e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia (fundata enim erat eccellente petram); e chiunque ascolta queste mie parole, e non le mette in pratica, sarà simile ad un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia, cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e grande fu la sua rovina “(Matteo VII: 24-27). – Chi è un uomo saggio e perché egli è saggio? – Un uomo saggio è colui che ascolta le parole di Nostro Signore, e ha costruito la sua casa sulla roccia. – Chi è invece un uomo stolto e perché è stolto? – Un uomo stolto è colui che ascolta le parole di Nostro Signore, ma ha costruito la sua casa sulla sabbia. – E ora vedremo che cosa significhi: 1) ascoltare le parole di nostro Signore e costruire una casa sulla roccia, ed 2) ascoltare le parole di nostro Signore e costruire una casa sulla sabbia. – Vediamo quello che il Signore ha detto, appena prima di questo. – Egli ha detto che molte persone pensavano di aver fatto (in foro esterno) cose buone: hanno detto al Signore che hanno pregato per Lui, hanno profetizzato nel suo Nome, scacciato i demoni nel suo Nome, e fatto molti miracoli nel suo Nome. Ma comunque, il Signore disse loro che non li conosceva, e dovevano andar via da Lui, perché erano operatori di iniquità: “Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa volontà del Padre mio che è nei cieli: questi entrerà nel regno dei cieli! Molti mi diranno in quel giorno: “Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demòni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome” … ma Io dichiarerò loro: non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi che operate iniquità “(Matteo VII: 21-23). – Nel contesto di questo insegnamento di Nostro Signore, possiamo vedere chi sia l’uomo saggio e lo stolto, visto che le cose sembrano simili tra loro. Ma c’è una differenza essenziale tra di loro. – La differenza è che quelle persone che costruiscono le loro case sulla roccia sono sagge Omnis ergo qui audit verba mea hæc, et facit ea, assimilabitur viro sapienti, qui ædificavit domum suam supra petram”. (Matteo VII,24), ma l’altro tipo di persone, coloro che costruiscono le loro case sulla sabbia, sono stolte: “et omnis, qui audivit verba mea hæc, et non facit ea, similis erit viro stulto, qui ædificavit domum suam super arenam” (Matteo VII:26 ). – Perché il Signore dice che l’uomo saggio è colui che ha costruito la sua casa sulla roccia? – Perché l’uomo che ha ascoltato le parole di Dio, infatti, e si è sottomesso alla volontà di Dio, ed ha costruito la sua casa (la vita) sulla roccia (fondamento) che Dio ha comandato, poiché Dio stesso ha costruito la sua casa sulla roccia, che è Pietro: “E io ti dico: tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa” (Et ego dico tibi, quia Tu es Petrus, et super-hanc petram aedificabo ecclesiam meam, et portæ inferi non prævalebunt adversus eam) (Matteo XVI:18). – San Pietro, per volontà del Signore, è stato scelto per essere la roccia della Chiesa di Dio, di modo che un uomo che ha costruito la sua casa (la vita) su questa pietra, è un uomo saggio … “un albero buono produce frutti buoni ed entrerà nel regno dei cieli “. – Ma, al contrario, un uomo che non ha costruito la sua casa (la sua vita) su questa pietra (basamento), come Dio ha comandato, è uno stolto, perché ha costruito la sua casa sulla sabbia. E non importa quante volte queste persone abbiano detto: “Signore, Signore”, o “profetizzato”, o “scacciato i demoni, e abbiano fatto molti “miracoli” … questi uomini sono operatori di iniquità, e Dio non li conosce, sono falsi profeti, essi sono l’albero cattivo che produce frutti cattivi, e questo è il motivo per cui Dio manderà quegli uomini stolti direttamente “nel fuoco”! – Così, in questo semplicissimo insegnamento, possiamo vedere le dirette conseguenze del lavoro di un uomo saggio e del lavoro di un uomo stolto: 1) ogni uomo, che ha costruito la sua casa su San Pietro, parte integrante della Casa di Dio, quest’uomo con la sua casa (la vita) appartiene al regno dei cieli! 2) La casa che ogni uomo ha costruito sulla sabbia, è parte integrante della casa del Diavolo, ed un uomo del genere non appartiene al regno dei cieli, poiché lui con la sua casa “è caduto, e grande è stata la sua rovina.” – In conclusione, si vede dal Vangelo di Nostro Signore, che Egli dice a tutti … Egli vuole che tutti entrino nel regno dei cieli, che è già iniziato sulla terra. Il Regno dei Cieli in terra è la Chiesa di Gesù Cristo, che Egli ha costruito su San Pietro e tutti i successori di San Pietro … “e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa”. – Il 26 ottobre del 1958 è stato eletto il vero successore di San Pietro, che ha scelto il nome di Gregorio XVII, e dopo di lui, il 3 maggio 1991 è stato eletto un nuovo Pontefice che ha scelto il nome di Gregorio XVIII (il 262° successore di San Pietro). Il primo è stato in una prigione e il secondo è in esilio. E infatti il primo è stato la vera roccia, ed il secondo è la vera roccia. – Sia lodato Dio per la sua roccia, su cui tutti hanno ancora la possibilità di costruire una casa, e quindi diventare un “uomo saggio”. – Sii un uomo saggio!

23 gennaio 2016

J.-J. GAUME: La profanazione della DOMENICA [lett. X e XI]

LETTERA X.

LA PROFANAZIONE DELLA DOMENICA:

ROVINA DELLA SANITÀ  (1)

3 giugno.

Signore e caro amico,

I.

Gli empi hanno viscere di bronzo [Viscera autem impiorum crudelta”. (Prov. XII, 10]. Verificato per lutti i fatti dell’istoria, e per le particolarità circostanziate contenute nella mia ultima epistola, questo motto delle nostre divine scritture, va ad esserlo abbondantissimamente per le considerazioni che oggi io vi presento. Gli empi, i quali introdussero infra noi la profanazione della domenica, come pur troppo i loro continuatori in questa opera d’iniquità, strapparono al popolo i soli beni che egli possedeva. Non contenti di avergli tolto la sua religione, i suoi godimenti di famiglia, la sua libertà, il suo benessere, il sentimento della sua dignità, gli vogliono ancora strappare l’ultimo conforto che gli rimane: la sanità. La fortuna dell’artigiano è la sua sanità. Ora la profanazione della domenica ne diventa la rovina. Da un canto, l’uomo non può del continuo operare, essendo di necessità che si riposi; dall’altro, non può riposarsi che nella domenica alla chiesa, od il lunedì alla taverna. Deggio io in prima di tutto stabilire la mia proposizione; e quindi ricercherò quali sono le conseguenze igieniche di questo doppio riposo.

II.

Da principio, l’uomo non può incessantemente lavorare. L’arco ognora teso ben tosto perde l’elasticità sua. Parimenti quell’uomo, che volesse continuamente lavorare, non lavorerebbe lunga pezza. Le infermità precoci, l’affievolimento degli organi e le malattie d’ogni specie non tarderebbero guari a vendicare la natura oltraggiata nelle sue leggi, e a condannare ad una feria forzata il temerario che avrà disdegnato d’accordarsi il riposo comandato dal Creatore. Il riposo è adunque una legge pel mortale: siccome questi non può vivere senza mangiare, cosi pure viver non può senza riposare. – Volentieri, o mal volentieri, è necessario che ciascuna sera egli ubbidisca a questo bisogno imperioso, di cui niuna scoperta, niun sistema, niun progresso valse infino al presente a renderlo padrone. – Ma siffatto riposo di ciascun giorno basta esso per confortare in una giusta misura le forze del mortale, e conservarlo lungamente in un’età di vigore e di sanità? Domandiamone la risposta non ai teologi ed ai padri della Chiesa, ma ai filosofi i meno sospetti, ai medici i più esperimentati, ai fisiologisti i più abili tanto in Francia che altrove. Ecco in sulle prime un filosofo contro a cui hanno nulla da obbiettare coloro, i quali noi combattiamo: « Che debbesi mai pensare, domanda Rousseau , di coloro che vogliono torre al popolo le sue feste, come altrettante distrazioni, che lo allontanano dal lavoro? Cotesta massima è barbara e falsa. Tanto peggio se il popolo non abbia spazio che per guadagnar il suo pane; fa d’uopo ancora che ne ritenga per mangiarlo con gioia; senza di che egli non raccorrà grande pezza. Iddio giusto e benefattore, il quale esige che si occupi, vuole altresì che si ricrei. La natura a lui impone ugualmente l’esercizio e il riposo, il piacere e la pena. L’avversione al lavoro aggrava più l’infelice, che l’istesso lavoro. Volete voi rendere un popolo attivo e laborioso? Date a lui delle feste…. De’ giorni così consumati infonderanno lena agli altri » .- Secondo Rousseau, il riposo ebdomadario di un sol giorno non bastando, fa di mestieri per entro regolati intervalli, d’avere un riposo più compiuto. « Havvene neressità, soggiunge Cabanis, ne’ laboratori chiusi; sopratutto in quelli nei quali l’aria si rinnova con difficoltà. Quivi, le forze muscolari ratto ratto diminuiscono, la riproduzione del calore animale languisce, e gli uomini di complessione la più robusta contraggono il temperamento mobile e capriccioso delle femmine. Lungi dall’influenza di questa aria salubre, e di questa viva luce, di cui si fruisce sotto la vòlta del cielo, il corpo languisce in qualche maniera, come una pianta priva dell’aria, e del giorno; il sistema nervoso può degenerare in torpore, e troppo sovente, non ne esce, che per irregolari eccitamenti. – « Non se ne abbisogna di meno, aggiunge un giudizioso osservatore, nei laboratori più coperti, dove si raduna un gran novero di operai. L’esercizio istesso della loro professione e la loro agglomerazione non tarda troppo ad infettar l’aria…. l’atmosfera si trova presto presto piena e zeppa d’acido carbonico, di miasmi mortiferi, di polvere e di molecole metalliche, cose tutte, le quali introducono negli organi polmonari degli agenti di distruzione più o meno rapida. Così, quasi per tutto dove esistono manifatture, fabbriche ed altre case d’industria di qualunque genere siasi, che esigano il concorso d’una grande quantità di braccia, si produce tosto una specie di degenerazione, la quale si manifesta prontamente presso gl’individui. » Facce pallide, le quali conservano un’espressione dura e spiacevole, costituzione diafana negli uomini, fisionomia bacata e dolorosa nelle femmine, bamboli, che portano dal loro entrare nella vita le marche, indelebili della maledizione che sembra pesare in sur gli autori de’ loro giorni; sono l’affliggente spettacolo che presentano comunemente queste riunioni di operai. Se, per nutricare le famiglie loro, dovettero eglino curvarsi durante tutta la settimana sovra il mestiere o i banchi loro, nella domenica almeno possa ciascun di essi rimettersi dalle tollerate fatiche e ringagliardire le forze, colle quali sia in grado di riprendere l’opera con una novella energia». « Esso è necessario agli uomini, i quali affaticano al di fuori e portano il peso del giorno. Di questi stando gli uni esposti al sole, alla pioggia, al vento ed a tutte le intemperie delle stagioni, lavorano la terra, e depongono nel seno d’essa, colla semenza che fruttificherà, una porzione della forza e vita loro. Gli altri tagliano con lunghi sforzi le foreste e le rupi, quelli si seppelliscono nelle viscere della terra, ed avventurano l’esistenza loro nel seno dei vapori letali, cui occultano le profondità del globo, esposti alle frane ed a mille accidenti d’ogni specie. Chi non capisce quanto tutte queste persone di professioni così travagliose abbisognino d’un riposo riparatore? » Esso è necessario agii uomini di gabinetto il lavoro dei quali agisce più che ogni altro mai d’una maniera dannosa sovra la sanità. Esso è necessario particolarmente eziandio al commerciante seduto al suo banco, ed a coloro cui egli associa alla sua solitudine. Per poco che si rifletta circa il prodigioso raddoppiamento d’attività, necessitato per lo sviluppo dell’industria, per l’accrescimento rapido delle relazioni commerciali, per l’estensione delle operazioni giornaliere de’ diversi stabilimenti di negozio, si resta persuaso che una giornata periodica di riposo è divenuta più necessaria che giammai. Dal tempo de’ nostri padri, le case istesse le più modeste, nelle quali vendevansi degli oggetti necessari di consumazione, avevano in tutti i dì certe ore di requie, durante le quali il mercatante rinchiudevasi per liberamente mangiare, e per abbandonarsi alcuni istanti ad un assoluto riposo. Chiunque fossesi presentato per comperare, l’avrebbero invitato gentilmente a ritornare in un altro momento.» Presentemente, non vi ha più respiro. – Il mercatante e ’l suo commesso trangugiano frettolosi i loro pasti senza interrompere le operazioni, i calcoli loro, ed in alcune città le fatiche del commerciante sono ancora aumentate per veglie soventemente protratte, donde viene quella caterva di malattie, le quali riempiono le pagine delle fisiologie medicinali. Lungi impertanto, che il giorno di festa sia divenuto meno vantaggioso per codesta classe di persone, debbesi riconoscere al contrario, che per esse bisognerebbe inventarlo, se non esistesse; imperciocché egli è forse a queste stesse che i suoi benefizj sono maggiormente proficui » [Perennès, Institulion du dimanche, p. 112. Àn. IV. — La Prof, , ecc].

III.

Egli è adunque evidentissimo, che il riposo ordinario di ciascun giorno non basta punto all’uomo; la sua sanità esige di tanto in tanto un riposo compiuto. Tale è la conclusione della scienza, e noi vedremo in breve che tale è pur anco quella dell’esperienza. Io dico male; imperocché di già la nostra esperienza personale non ci lascia alcun dubbio sovra di siffatto soggetto. Ma a quali intervalli debbe rivenire questo riposo per esser veramente riconfortatore? Se i giorni che voi feriate, son troppo frequenti, la ristrettezza, l’affanno della mancanza di lavoro, e le conseguenze funeste ch’essa ingenera, alterano la vostra instituzione. Se intervalli troppo grandi li separano, l’inconveniente della fatica eccedentemente prolungata sussiste, e il riposo incompiuto non inanimirà che a metà lo smarrimento delle forze. Trovansi soltanto due mezzi per risolvere questo importante problema, la rivelazione e l’osservazione. Ora il Signore, che creò l’ uomo, e ne misurò le forze, a lui intimò: “Tu ti riposerai il settimo giorno”. E qualunque siasi scienza, qualunque siasi filosofia s’inchinò mutola avanti la legge del Signore. S’attentarono esperimenti con grande schiamazzo per sostituirle delle leggi umane, e queste effimere leggi sono divenute oggetto di derisione e disprezzo. Tu ti riposerai nel settimo dì, qualunque sia la natura delle tue occupazioni, e ciò sotto pena di più grave pericolo per la tua sanità ed anche per la tua vita: tale è eziandio la conclusione a cui conduce l’osservazione profonda delle leggi fisiologiche del mortale. Prestiamo l’orecchio intorno a ciò ad un celebre medico protestante, il dottore Farr. In un rapporto indirizzato al Parlamento, egli s’esprime cosi: «L’osservanza della domenica deve essere annoverata non solamente infra i doveri religiosi, ma anche tra i doveri naturali, se la conservazione della propria vita è un dovere, e se uno è colpevole di suicidio distruggendola prematuramente. Io non parlo qui che come medico, e senza occuparmi in niuna maniera della questione teologica [Archives du Chist., 1835, p. -183 et seg.]. – Perciò, a meno d’accusare l’Altissimo istesso d’imprevidenza, la rivelazione di menzogna, l’osservazione la più coscienziosa di vaneggiamento, od i nostri esperimenti personali d’illusione, fa di mestieri riconoscere due cose: la prima che il riposo è necessario all’ uomo; la seconda che il riposo ordinario di ciascun giorno non basta, e che abbisogna dargli un riposo più compiuto, un giorno sovra sette. – Argomento questo che trionfa ormai d’ogni contrario insegnamento. – Potrebbesi obbiettare l’esempio dei Cinesi e degl’Indiani, i quali non rispettano il riposo del settimo dì. Io rispondo: 1° che questi popoli nulladimeno in differenti stagioni hanno dei giorni di riposo, come al principiar del novello anno, che celebrano per otto e dodici giorni di solennità; al piccolo novello anno, cioè a metà, dell’annata, ed anche al rinnovellamento della luna; 2° che in conseguenza delle loro preoccupazioni esclusivamente matèrialiste, essi sono snervati: la mollezza, la poltroneria formano il carattere loro; l’immoralità è presso de’ medesimi al suo stremo; la miseria in permanenza; le malattie epidemiche vi sono più terribili e più frequenti; 3° che a cagione della diversità del clima, e dell’abitudine, che gli obbligano a protrarre assai più, che noi il riposo quotidiano, è possibile che il riposo regolare del settimo dì loro sia meno necessario. Ma in Europa, colla nostra attività indefessa, e colla nostra vocazione intellettuale, si comprende ugualmente l’indispensabile necessità d’un riposo regolare.

LETTERA. XI.

LA PROFANAZIONE DELLA DOMENICA

ROVINA DELLA SANITÀ ( Seguito ).

10 giugno.

I.

Signore e caro amico, Quello che mi scrivete voi nella vostra risposta dell’incredulità di certi uomini intorno al fatto di Rimini, non debbe punto istupirvi, eppure tiene del prodigioso. Ecco per verità degli uomini che si vantano per ispiriti forti, per ispiriti superiori, per ispiriti estesi, e che lo credono ancora più di quello che lo dicono; degli uomini che, in ciascun giorno, ammettono, in sulla fede di due o tre de’ loro simili, degli aneddoti, de’falli, delle dottrine, delle quali mille altri pretendono aver ben molte ottime ragioni di dubitar, e che le ammettono come parola di Vangelo, come base di governo, come regola infallibile di condotta. E codesti stessi uomini, senza solida ragione, negano un fatto strepitoso, ripetuto cento fiale durante quindici giorni in presenza di miriadi di testimonj, sani di corpo e di mente, e che l’attestano come potrebbero attestare l’esistenza di sé. Ecco un’ostinazione, che certo ha del prodigioso, ma la pretendenza loro ne ha assai di più. Non vogliono eglino ammettere il miracolo di Rimini, e pretendono farne ammettere un altro, avanti il quale allibiscono tutti quelli che giammai si operarono, quell’istesso compresovi della creazione del mondo: questo è il miracolo dell’occhibagliolo in sessanta mila persone, durante quindici giorni 11! – In fallo di miracoli, voi vedete che l’incredulità vi largheggia alla grossa. Per me, tutto cattolico, che io mi sono, vi confesso che la mia fede non è punto abbastanza robusta per ingojare m simile smargiassone; e se non si può essere incredulo che a cotal prezzo, io vi rinuncio. – Voi mi richiedete del motivo di siffatta negazione la più ridicola; scrutato non già lo spirito, ma i1 cuore di codesti signori, e voi lo troverete. In un ripostiglio il più recondito di codesto povero cuore si rannicchia una ragione di non credervi, e questa ragione è un interesse: allora tutto a voi sarà spiegato. Lasciatevi voi sorprendere il dito per entro l’imboccatura de’ denti di certe macchine, e tutto il vostro corpo sarà costretto a passare fra mezzo de’ cilindri: Ammettere un miracolo, un solo, è lasciarsi cogliere dai denti del Cattolicismo. Ora, siate sicuro, che non ammetteranno questo miracolo, fosse ben anche questo la risurrezione d’un morto; poiché, a niun conto assolutamente vogliono essi lasciarsi guadagnare dal Cattolicismo, opponendovisi il loro interesse. – Se ne dubitate, io faccio con voi una scommessa. Supponiamo che domani l’assemblea legislativa decreti, che chiunque, in sul territorio della Repubblica francese, crederà che due e due fanno quattro, sarà obbligalo, sotto pena di morte, di confessarsi: non sono io peritoso di porre pegno che dopodomani si troveranno cinquanta giornali, e cinquantamila uomini, che avranno provato, per cinquanta ragioni, migliori le une delle altre, che due e due non fanno punto quattro; che ciò non è dimostrato; che essi non possono crederlo ; eh’essi non lo credettero mai. Ecco l’uomo! Egli è sempre il cuore che nuoce alla testa di lui.

II.

Lagnatevi unicamente con voi, se vi piace, signor Rappresentante, della mia digressione: è la vostra lettera che mi vi sospinse. Del resto, io non credo d’essermi troppo allontanato dal mio soggetto, conciossiachè abbia ancora odiernamente degli increduli a convincere. Ora, dopo avere istabilito 1’assoluta necessità del riposo settenario per la sanità, tratto la seconda parte della mia proposizione, e pronuncio che i1 mortale non può riposarsi che nella domenica – alla chiesa o nel lunedì alla biscazza. – Sostenendo che l’uomo non può riposarsi che nella domenica o nel lunedì, voi comprendete che non parlo d’un potere assoluto. Io so perfettamente ch’è libero all’uomo di scegliere, per suo riposo, il giorno a lui piacevole, ma io ragiono dietro un fatto costante, e passato in abitudine. Ora, questo fatto, che ciascun vede coi suoi occhi, è che in realtà il lavoro non vien sospeso, che nella domenica, o nel lunedì. Tale è la potenza di simile abitudine, che l’industriale, il negoziante, il lavorante, non

potrebbero senza eccitar la sorpresa generale, e concitarsi degli sberteggiamenti d’ogni natura, prendere il mercoledì, od il giovedì, per esempio, per darsi al riposo. – Fa d’uopo’ adunque eleggere infra la domenica e il lunedì, infra il riposo della chiesa, e i1 riposo delle biscazze. Disaminiamo quale dei due ò veramente ravvivante, veramente igienico.

III.

« Se si avverte, continua il dottore inglese di già citato. che la religione produce la pace dell’anima, la confidenza in Dio, i sentimenti interiori del benessere, non si tarderà a convincersi che essa è una fonte di vigore per lo spirito, e per l’intermedio dello spirito un principio di forze pel corpo. Il santo riposo della domenica infonde nel corpo un novello germe di vita. L’esercizio laborioso del corpo e dello spirito, ugualmente che la dissipazione delle sensuali voluttà, sono i nemici del mortale tanto, quanto una profanazione del sabbato, frattanto che le gioie della quiete nella famiglia, gioie unite agli studj ed ai doveri che impone il giorno del Signore, tendono a prolungar la vita umana. Quest’è la sola e perfetta scienza, la quale rende il presente più certo, ed assicura la felicità avvenire. » Egli è vero, che 1’ecclesiastico ed il medico debbono operare nella domenica pel vantaggio dèlla comunità; ma io ho riguardalo come essenziale alla mia conservazione di restringere il mio lavoro della domenica allo stretto necessario. Io ho osservato sovente la morte precoce de’ medici, i quali s’occuparono continuamente: e ciò sopratutto è visibile ne’ paesi caldi-. Quanto agli ecclesiastici, io loro consigliai di riposarsi in un altro dì della settimana. Ne conobbi parecchi che sono morti per cagione de’ loro lavori durante questi giorni, perché non avevano di seguito abbracciato un equivalente riposo. Conobbi pur anco de’ personaggi parlamentari che sidistrussero la sanità per aver negligentato questa economia della vita. Al postutto, all’uomo abbisogna che il suo corpo goda di requie un giorno sopra sette, e che il suo spirito si abbandoni ad un cangiamento d’idee, che conduce il giorno instituito per una ineffabile sapienza » [Archivi. du Christ., \ 835, 168]. – Di questa guisa , un’avventurosa diversione a’pensieri, i quali durante tutta la settimana occuparono lo spirito, ed affaticarono gli organi, la calma dell’anima, la tranquillità del cuore, la preghiera, la conversazione con se stesso e con Dio, la pompa delle cerimonie, la gravità e l’unzione della santa parola, il silenzio che regna dovunque, le gioie della famiglia, le rimembranze degli avi, di cui si visitò la tomba, l’aspirazione del1’essere tutto intero verso il cielo; tutte queste cose collocano l’uomo come in un nuovo mondo, lo fanno respirare in una atmosfera più pura, e sono meravigliosamente proprie a riposare insieme e i1 corpo e l’anima. Senza essere fisiologista, nè medico, si capisce senza pena quanto un somigliante riposo sia igienico e riparatore.

IV.

Tal è il riposo della domenica. N’è altrettanto di quello del lunedì? Evidentemente no: poiché il riposo del lunedì non è punto il riposo dell’anima e del corpo, il riposo del lunedì, esso è il riposo nella dissolutezza, atteso che cotesto è il riposo alle taverne. Lungi d’essere ravvivificatore, cotesto riposo è più letale che il lavoro. Crederassi forse, che l’eccesso nel nutrimento e nella bevanda; che l’uso esagerato de’ spiritosi liquori; che le veglie prolungale nell’orgia; che le passioni infiammate per lo vino, pei canti o pei discorsi osceni; che gli impeti di collera, le querele, le risse; che i rivoltamenti di tutte le abitudini d’ordine e dì sobrietà siano mezzi buoni ed igienici, capaci di supplire equivalentemente al salutare riposo della domenica, e perfettamente proprj a ristorare le forze sfinite, a rinfrancare il temperamento, e a conservare la sanità? Proporre la questione egli è risolverla. – Accordo io che la profanazione della domenica e i1 riposo funesto delle bettole, che n’è l’ordinaria sequela, non trascinino subitamente alla malattia od alla morte. Tuttavia tenete per certo che le invita 1’una e 1’altra. Non si burla punto impunemente di Dio: tanto di Dio autore delle leggi morali, le quali regolano le condizioni della vita dell’anima, quanto di Dio, autore delle leggi fisiche, le quali presiedono alla conservazione della vita, e della sanità del corpo. L’intemperanza del lavoro, come quella della mensa, è la violazione della prima legge igienica, che l’Onnipotente abbia dato al mortale, e l’intemperanza ne fa perire troppo più che non la spada. – Interrogate l’esperienza. Sovra chi principalmente si scagliano le malattie contagiose? Per chi si riserbano le febbri endemiche? In quali classi, tra quali persone il sudor maligno, e il cholera menarono di recente maggiore strage? Dovunque vi si ripeterà ch’è infra le classi lavoratrici e gli uomini, che la profanazione della domenica predisposto aveva a questi terribili flagelli, corrodendo la costituzione loro per un lavoro eccessivo, e sospingendoli all’intemperanza ed all’irregolarità nelle abitazioni di vivere; tale è la regola. Si contano tremila anni dacché il Creatore e’ i1 medico dell’uomo a questo predisse, che il cholera sarà la punizione dell’intemperanza, cio è del disprezzo delle leggi igieniche stabilite dalla Provvidenza, e tra queste leggi igieniche, noi lo provammo, quella che primeggia, è la legge del riposo ebdomadario [“Vigilia, cholera et tortura viro infrunito in multis escis erit infirmitas, et aviditas appropinquabit usque ad colera”. (Eccl. XXXI, 23; XXXVII, 53]. Quali rivelazioni spaventevoli, la scienza non avrebbe essa mai a farci in prova di ciò ch e io propongo, se essa volesse scrutinare, colla fiaccola della fede alla mano, le prime radici del suicidio, della follia , codeste epidemie morali, le quali si estendono al pari d’una schifosa lebbra in sur i popoli moderni! Né voi, né io, signore, ne dubitiamo, e niuno può dubitare: un ampio, un amplissimo posto è qui occupato per la violazione della legge igienica del riposo sacro. – Quello che io posso dire, è che secondo la testimonianza di accreditati medici, sopra cento casi di follia, novantadue deggiono essere attribuiti all’eccesso delle passioni, principalmente dell’orgoglio e della voluttà. Ma dove s’esaltano sopratutto le passioni delle classi lavoratrici, che formano i due terzi della Francia? Dove si riscaldano le teste ai ragionari anarchici, eccitatori dell’orgoglio; dove si scialacqua con disorbitanza il vino, padre della lussuria? Non è egli mai alle taverne? E chi mai le riempie? Non è essa forse in prima di tutto la profanazione della domenica? Quello che aggiungere posso ancora, si è che i Consigli di revisione constatano la degenerazione rapida della specie nei paesi, dove la domenica è abitualmente profanata, a tal segno che, in su cento giovanotti, se ne trovano appena venti che siano atti al servizio. – Quello che ultimamente posso io aggiungere, quantunque voi lo sappiate meglio di me, si è che le municipalità dei grandi centri d’industria reclamarono energicamente, ed a più riprese le misure le più urgenti per ottenere il riposo della domenica, e regolare le condizioni del lavorio che logora le popolazioni. A convincervi della trista situazione in cui queste trovansi, vi bastino questi pochi esempi. – Nel 1837 la Senna inferiore dovendo fornire un’contingente di 1,609 uomini, fu d’uopo riformarne 2,044. Così avvenne in Proporzione alle cillà di Rouen, Mulhouse, Elbeuf e Nimes. «Àl rapporto di ufficiali esperimentali, la costituzione de’ nostri soldati è, in generale, delle più deboli. Ne risulta una grande perdita d’effettivo lorquando si entra in campagna; e codesta conseguenza fu talmente rimarcata, che molti scrittori militari attribuirono allo stato fisico della nostra armata i disastri che nel 1813, e 1814 percossero la Francia.Sovra 300,000 coscritti, un terzo riparava all’ospedale nei due o tre primi mesi di campagna; imperocché questi poveri giovani, sì prodi in sul campo di battaglia, non avendo più la forza di portare le loro armi nelle marce forzate, o di bravare le intemperie delle scolte, soccombevano alla nostalgia, al tifo ed a tutte quelle infermità epidemiche che avevano riempiuto Dresda e Mayence nel 1813 e Parigi, nel 1814, di vaste e gloriose tombe » [Influence des fabriques etc.].

V.

Sarebbemi agevole il moltiplicare questi racconti affliggenti; ma essendo stati altrove registrati, io ne prescindo [Histoire de la Société domestique, t. II , ch. 8 e 9]. È impertanto sodamente stabilito che la legge della santificazione della domenica è una legge eminentemente igienica; e che per essa l’Eterno protegge la sanità dell’uomo contra un doppio pericolo: l’egoismo del padrone che vorrebbe esigere un lavoro mortifero, e l’ardore inconsiderato dell’operaio, pel lavoro, come gli eccessi di un funesto riposo. – Il mortale non volle tenerne conto, e tutta l’economia della sua esistenza venne intorbidata. Religione, società, famiglia, libertà, benessere, dignità, sanità, ricco patrimonio che formava la felicità de’ suoi avi, e che dovea far la sua, tutto cade in rovina, e codeste rovine, ch’egli non dimentica, sono umanamente irreparabili. Ancora un poco, e se non s’affretta di ricoverarsi sotto la legge, la quale sola garantisce tutti i beni, perirà corpo ed anima nelle convulsioni della più orrenda anarchia che giammai abbia spaventato il mondo, e niuno ne lo compiangerà. – Al contrario, tutti coloro i quali intenderanno questi gridi di dolore, scuoteranno il capo, e diranno: quest’è la sorte che a lui spetta; gli avvertimenti a lui non mancarono; volle egli correre al supplizio, sen corra adunque al supplizio; alla morte, che sen vada alla morte; alla miseria ed alla schiavitù, che sen vada alla miseria ed alla schiavitù [“Qui ad mortem ad mortem, et qui ad gladium ad gladium, et qui ad famem ad famem, et qui ad captivitatem ad captivitatem.” (Jerem ., XV, 2]. – Popolo sfortunato! abbi adunque infine pietà di te stesso: riconosci l’e rrore fatale del quale tu sei la vittima. Traviato per un sentimento funesto d’indipendenza, tu scuotesti il giogo di tuo padre; e come il prodigo del Vangelo, tu sei sdrucciolato in un’ignominiosa schiavitù. Tu ricercasti la gloria, ed hai trovato l’onta. « Povero popolo! quando mai aprirai tu gli occhi? Uomini di travaglio, servitori, operai, artigiani, immensa famiglia de’ lavoranti, sì diletta alla Chiesa, quando riconoscerete voi che siete burlati, e tratti in perdizione? Sì, si predicò a voi in nome della libertà il disprezzo della domenica. Eh! non sentite che il giogo si è aggravato in sugli omeri vostri, e che l’egoismo vi tratta ora con un’ alterigia insultante? Si fece al cospetto vostro una grande pompa delle perdite che vi cagiona il riposo religioso. Eh! Non vedete che esiste per voi un riposo più rovinoso e più umiliante, quello della taverna, e quello dell’infermità, necessaria conseguenza della dissolutezza o d’un lavoro smodato? Cristiani, riconoscete la vostra dignità; e, per comprenderla, venite in ciascheduna domenica a far corona a questa sacra tribuna, dove il sacerdote di Gesù Cristo vi ridirà la vostra origine tutta celeste, il prezzo della vostra redenzione, ch’è il sangue d’un Dio, il vostro sublime destino, ch’è la possessione d’una felicità senza fine e misura » [Mandement de monseigneur l’Évéque de Beauvais, 1844]. – A questi paterni avvertimenti dati ai popoli, aggiugnerò qualche consiglio a’ mandatarj de’ medesimi. Gradite, ecc.

 

CONVERSIONE DI SAN PAOLO

25 GENNAIO

CONVERSIONE DI SAN PAOLO

Uno dei più gloriosi trionfi della grazia divina è senza dubbio la Conversione di S. Paolo, di cui la Chiesa oggi celebra una festa in particolare. S. Paolo era giudeo della tribù di Beniamino. Fu circonciso l’ottavo giorno dopo la sua nascita, ed ebbeil nome di Saulo. Apparteneva come il padre alla setta dei farisei; setta la più rigorosa, ma nello stesso tempo la più depravante. – I suoi genitori lo mandarono per tempo a Gerusalemme, alla scuola di Gamaliele, celebre dottore in legge. Sotto questa sapiente guida Saulo si abituò alla più esatta osservanza della legge Mosaica. Questo zelo fu quello appunto che fece di Saulo un bestemmiatore e il persecutore più terribile dei seguaci di Gesù. Ecco noi lo vediamo nella lapidazione di Stefano custodire le vesti dei lapidatori non potendo far altro per mancanza dell’età prescritta; egli stesso però lapidava nel suo cuore non solo Stefano, ma tutti i cristiani, avendo in mente una sola cosa: sradicare dalle fondamenta la Chiesa di Dio e propagare in tutto il mondo il giudaismo. – Con questo zelo quindi non vi è niente da stupire se fu uno di più crudeli, anzi il più terribile ministro nella persecuzione che si eccitò contro i cristiani di Gerusalemme. Saulo fu il promotore e capo di questa persecuzione e ben presto fece scomparire i cristiani che colà si trovavano o imprigionandoli o bandendoli; ma non ancora pago di ciò chiese lettere autorizzative al Sommo Sacerdote per poter far strage anche dei cristiani rifugiatisi in Damasco. Qui però il Signore l’attendeva; qui la grazia divina doveva mostrare la sua potenza. – Eccolo pertanto sulla via di Damasco, scortato da buona mano di arcieri, tutto spirante furore e vendetta. – Ma d’improvviso una fulgida luce l’abbaglia e l’acceca; una forza misteriosa lo balza da cavallo ed ode una voce celestiale: « Saulo, Saulo! perchè mi perseguiti? » — E chi sei tu? risponde Saulo, meravigliato e spaventato ad un tempo. Ed il Signore a lui: — Io sono quel Gesù che tu perseguiti. — E che vuoi ch’io faccia, o Signore? chiede Saulo interamente mutato dalla grazia. — Va in Damasco, gli rispose il Signore benignamente, colà ti mostrerò la mia volontà. – Saulo si alza, ed essendo cieco si fa condurre a Damasco, dove rimane per tre giorni in rigoroso digiuno e in continua orazione. Al terzo giorno Anania, capo della Chiesa Damascena per rivelazione di Dio si porta nel luogo dove si trovava Saulo, lo battezza, cangiandogli il nome di Saulo in Paolo. – Da quel momento in Paolo non regna più il primitivo naturale: la grazia di Dio incomincia la sua opera santificatrice per formare il vaso di elezione, l’apostolo delle genti. – Paolo docile ai voleri di Dio tanto crebbe nell’amore di Gesù che arrivò a dire: e chi mi separerà dalla carità del mio Gesù? forse la persecuzione? la fame? i sacrifici o la morte? Ah, no, né vita né morte, né presente, né futuro saranno capaci di separarmi da quel Gesù per cui vivo, per cui lavoro e col quale sono crocifisso. – Egli sarà la mia corona perché non sono già io che vivo, ma è Gesù che vive in me.

PRATICA. — Iddio permette nella Chiesa le persecuzioni affinché potata la sua vigna, produca poi frutti più abbondanti. (S. Agostino).

PREGHIERA. — Dio, che con la predicazione del beato Apostolo Paolo hai istruito il mondo universo; deh! fa, che mentre oggi veneriamo la sua conversione, per i suoi esempi veniamo a te. Così sia.

CONVERSIONE DI SAN PAOLO 

[Dom Guéranger: l’Anno liturgico, vol. I]

Abbiamo visto la Gentilità, rappresentata ai piedi dell’Emmanuele dai Re Magi, offrire i suoi mistici doni e ricevere in cambio i doni preziosi della fede, della speranza e della carità. La messe dei popoli è ormai matura; è tempo che il mietitore vi ponga la falce. Ma chi sarà questo operaio di Dio? Gli Apostoli di Cristo non hanno ancora lasciata la Giudea. Tutti hanno la missione di annunciare la salvezza fino agli estremi confini del mondo, ma nessuno fra loro ha ancora ricevuto il carattere speciale di Apostolo dei Gentili. Pietro, l’Apostolo della Circoncisione, è destinato particolarmente, al pari di Cristo, alle pecore smarrite della casa d’Israele (Mt. XV, 24). Tuttavia siccome è il capo e il fondamento, spetta a lui aprire la porta della Chiesa ai Gentili, e lo fa solennemente, conferendo il Battesimo al centurione romano Cornelio. – Intanto la Chiesa si prepara: il sangue del Martire Stefano e la sua ultima preghiera otterranno un nuovo Apostolo: l’Apostolo delle Genti. Saulo, cittadino di Tarso, non ha visto Cristo nella sua vita mortale e soltanto Cristo può fare un Apostolo. Dall’alto dei cieli dove regna impassibile e glorificato. Gesù chiamerà Saulo alla sua scuola, come chiamò negli anni della sua predicazione a seguire i suoi passi e ad ascoltare la sua dottrina i pescatori del lago di Genezareth. Il Figlio di Dio rapirà Paolo infino al terzo cielo, e gli rivelerà tutti i suoi misteri; e quando Saulo avrà avuto modo, come egli narra, di vedere Pietro (Gal. 1, 18) e di paragonare con il suo il proprio Vangelo, potrà dire :« Io non sono meno apostolo degli altri Apostoli ». – È appunto nel giorno della Conversione di Saulo che ha inizio questa grande opera. È oggi che risuona quella voce che spezza i cedri del Libano (Sal. XXVIII, 5), e la cui immensa forza fa del Giudeo persecutore innanzitutto un cristiano, nell’attesa di farne un Apostolo. Questa meravigliosa trasformazione era stata vaticinata da Giacobbe allorché sul letto di morte svelava l’avvenire di ciascuno dei suoi figli, nelle tribù che dovevano uscire da essi. Giuda ebbe i più alti onori: dalla sua stirpe regale doveva nascere il Redentore, l’atteso delle genti. Beniamino fu annunciato a sua volta sotto caratteristiche più umili, ma pure gloriose: sarà l’avo di Paolo, e Paolo l’Apostolo delle genti. Il santo vegliardo aveva detto : « Beniamino é un lupo rapace: al mattino si prende la preda; ma alla sera distribuisce il bottino » (Gen. XLIX, 27). Colui che nell’ardore della sua adolescenza si scaglia come un lupo spirante minaccia e strage all’inseguimento delle pecore di Cristo, non é forse – come dice sant’Agostino (Disc. 278) – Saulo sulla via di Damasco, portatore ed esecutore degli ordini dei pontefici del Tempio e tutto ricoperto del sangue di Stefano che egli ha lapidato con le mani di coloro ai quali custodiva le vesti? Colui che, alla sera, non rapisce più le spoglie del giusto, ma con mano caritatevole e pacifica distribuisce agli affamati il cibo vivificante, non é forse Paolo, Apostolo di Gesù Cristo, bruciante d’amore per i suoi fratelli, e che si fa tutto a tutti, fino a desiderare di essere anatema per essi? – Questa é la forza vittoriosa dell’Emmanuele, forza sempre crescente e alla quale nulla può resistere. Se egli vuole come primo omaggio la visita dei pastori, li fa chiamare dai suoi angeli le cui dolci note sono bastate per condurre quei cuori semplici alla mangiatoia dove giace sotto poveri panni la speranza d’Israele. Se desidera l’omaggio dei principi della Gentilità, fa spuntare in cielo una stella simbolica, la cui apparizione, aiutata dall’intimo moto dello Spirito Santo, fa decidere quegli uomini a venire dal lontano Oriente a deporre ai piedi d’un bambino i loro doni e i loro cuori. – Quando è giunto il momento di formare il Collegio Apostolico, cammina sulle rive del mar di Tiberiade, e basta la sola parola: Seguitemi, per legare a lui gli uomini che ha scelti. In mezzo alle umiliazioni della sua Passione, un suo sguardo cambia il cuore del discepolo infedele. Oggi, dall’alto dei Cieli, compiuti tutti i misteri, volendo mostrare che Egli solo è maestro dell’Apostolato e che la sua alleanza con i Gentili è consumata, si manifesta a quel Fariseo che vorrebbe distruggere la Chiesa; spezza quel cuore di Giudeo e crea con la sua grazia un nuovo cuore d’Apostolo, un vaso di elezione, quel Paolo che dirà d’ora in poi : « Vivo, ma non son già io, bensì Cristo che vive in me» (Gal. II, 20). – Ma era giusto che la commemorazione di quel grande evento venisse a porsi non lontano dal giorno in cui la Chiesa celebra il trionfo del Protomartire. Paolo è la conquista di Stefano. Se l’anniversario del suo martirio s’incontra in un altro periodo dell’anno (29 giugno), non poteva fare a meno di apparire accanto alla culla dell’Emmanuele, come il più splendido trofeo del Protomartire; i Magi esigevano anche il conquistatore della Gentilità di cui formavano le primizie. – Infine, per completare la corte del nostro grande Re, era giusto che si elevassero ai lati della mangiatoia le due potenti colonne della Chiesa, l’Apostolo dei Giudei e l’Apostolo dei Gentili: Pietro con le chiavi e Paolo con la spada. Betlemme ci sembra allora ancor più l’immagine della Chiesa, e le ricchezze della liturgia in questa stagione ci appaiono più belle che mai. – Noi ti rendiamo grazie, o Gesù, perché hai oggi abbattuto il tuo nemico con la tua potenza, e l’hai risollevato con la tua misericordia. Tu sei veramente il Dio forte, e meriti che ogni creatura celebri le tue vittorie. Come son meravigliosi i tuoi piani per la salvezza del mondo! Tu associ gli uomini all’opera della predicazione della tua parola e alla dispensa dei tuoi misteri; e per rendere Paolo degno di tale onore, usi tutte le risorse della grazia. Ti compiaci di fare dell’assassino di Stefano un Apostolo, perché il tuo potere si mostri a tutti gli occhi, il tuo amore per le anime appaia nella sua più gratuita generosità, e sovrabbondi la grazia dove abbondò il peccato. Visitaci spesso, o Emmanuele, con questa grazia che cambia i cuori, perché noi desideriamo la vita in larga misura, ma sentiamo che il suo principio è così spesso sul punto di sfuggirci. Convertici come hai convertito l’Apostolo e assistici quindi, poiché senza di Te noi non possiamo far nulla. Previenici, seguici, accompagnaci, non lasciarci mai, e come ci hai dato il principio, così assicuraci la perseveranza sino alla fine. Concedici di riconoscere, con timore ed amore, quel dono della grazia che nessuna creatura potrebbe meritare, e al quale tuttavia una volontà creata può fare ostacolo. Noi siamo prigionieri: solo Tu possiedi lo strumento con l’aiuto del quale possiamo infrangere le nostre catene. Tu lo poni nelle nostre mani, dicendoci di usarlo: sicché la nostra liberazione è opera tua e non nostra, e la nostra prigionia, se continua, si deve attribuire soltanto alla nostra negligenza e alla nostra viltà. Dacci, o Signore, questa grazia; e degnati di ricevere la promessa di associarvi umilmente la nostra cooperazione. – Aiutaci, o san Paolo, a corrispondere ai disegni della misericordia di Dio su di noi; fa’ che siamo soggiogati dalla dolcezza di Gesù. Non udiamo la sua voce, la sua luce non colpisce i nostri occhi, ma leva il suo lamento perché troppo spesso Lo perseguitiamo. – Ispira ai nostri cuori la tua preghiera: « Signore, che vuoi che io faccia ? ». Ci risponderà di essere semplici e bambini come Lui, di riconoscere il suo amore, di finirla con il peccato, di combattere le cattive inclinazioni, di progredire nella santità seguendo i suoi esempi. Tu hai detto, o Apostolo: « Chi non ama nostro Signore Gesù Cristo sia anatema! ». Faccelo conoscere sempre più, perché Lo amiamo, e questi dolci misteri non diventino, per la nostra ingratitudine, la causa della nostra riprovazione. – Vaso di elezione, converti i peccatori che non pensano a Dio. Sulla terra tu ti sei prodigato interamente per la salvezza delle anime; nel cielo dove ora regni, continua il tuo ministero, e chiedi al Signore, per coloro che perseguitano Gesù nelle sue membra quelle grazie che vincono i più ribelli. Apostolo dei Gentili, volgi gli occhi su tanti popoli che giacciono ancora nell’ombra della morte. Un giorno tu eri combattuto fra due ardenti desideri: quello di essere con Gesù Cristo, e quello di restare sulla terra per lavorare alla salvezza dei popoli. Ora, tu sei per sempre con il Salvatore che hai predicato: non dimenticare quelli che ancora non Lo conoscono. – Suscita uomini apostolici per continuare la tua opera. Rendi fecondi i loro sudori e il loro sangue. Veglia sulla Sede di Pietro, tuo fratello e tuo capo; sostieni l’autorità della Chiesa di Roma che ha ereditato i tuoi poteri, e che ti considera come la sua seconda colonna. Rivendicala dovunque è misconosciuta; distruggi gli scismi e le eresie; riempi tutti i pastori del tuo spirito, affinché sul tuo esempio non cerchino se stessi, ma unicamente e sempre gli interessi di Gesù Cristo.

Hymnus
Egregie Doctor, Paule, mores instrue,

Et nostra tecum pectora in caelum trahe:
Velata dum meridiem cernat fides,
Et solis instar sola regnet caritas.

Sit Trinitati sempiterna gloria,
Honor, potestas, atque jubilatio,
In unitate, quae gubernat omnia,
Per universa aeternitatis saecula.
Amen.

[Egregio Dottore Paolo, ammaestraci,
e attira dietro a te i nostri cuori nel cielo:
e finché la fede ci fa vedere la piena luce solo attraverso un velo,
sovrana regni, qual sole, la carità fra noi.

Alla Trinità sia sempiterna gloria,
onore, potenza e giubilo,
la quale, nella sua unità, governa ogni cosa
per tutti i secoli eterni.
Amen.]

I SACRAMENTALI

SACRAMENTALI

[Enciclopedia Cattolica, C. d. V. 1953 – vol X , col 1555-1558]

Sono cose o azioni, di cui Chiesa, imitando in qualche modo i Sacramenti, si serve per raggiungere, in virtù della sua impetrazione, effetti soprattutto spirituali (CIC, can. 1144). – Il termine, come sostantivo, non si trova nell’uso teologico prima del sec. XII. Fino allora, ciò che ora si designa come sacramentale (s.), era indicato dal termine sacramento, usato per significare qualunque rito sensibile, che avesse rapporto con realtà spirituali e soprannaturali. Nel sec. XII gli scolastici incominciarono a distinguere fra Sacramenta salutis (Ugo di S. Vittore), o necessitatis (Algero di Liegi), o maiora (Abelardo), cioè quelli che oggi si chiamano Sacramenti in senso stretto, e i sacramenta ministratoria, veneratoria, preparatoria; sacramenta minora, sacramenta dignitatis, cioè le semplici cerimonie e pratiche religiose compiute sia durante, sia fuori dell’amministrazione dei Sacramenti.

I . NATURA DEI s. – Come i Sacramenti, i s. consistono in qualche cosa di sensibile, sono dotati di una efficacia superiore a quella delle opere buone dei privati, e infine ottengono effetti spirituali. A differenza, però, dei Sacramenti, non sembra si richieda che il rito sensibile significhi l’effetto a cui è ordinato; sotto questo aspetto, perciò, nulla vieta che si pongano fra i s. l’invocazione del nome di Gesù e le opere di misericordia. – Inoltre, l’efficacia dei Sacramenti è ex opere operato, derivante dai meriti di Gesù Cristo, mentre i s. ottengono 1 loro effetti per l’efficacia impetratoria della Chiesa. I Sacramenti inoltre producono la Grazia santificante, non così i s.; finalmente quelli sono d’istituzione divina, questi di istituzione ecclesiastica. – Dalla definizione del CIC risulta anche i l rapporto che i s. hanno con le cerimonie in genere. Con queste si intendono tutte le azioni che si riferiscono al culto pubblico. Perciò, dal numero delle cerimonie vengono esclusi gli atti di culto privato, e in esse viene sottolineato il valore di omaggio reso a Dio, prescindendo dalla efficacia pratica in ordine agli effetti spirituali. Invece i s. sono cose o azioni, di uso pubblico o privato, che posseggono una efficacia pratica, in quanto la Chiesa vi ha aannesso la sua impetrazione per ottenere particolari effetti.

ENUMERAZIONE DEI s. – I teologi antichi li raggrupparono in sei classi, designate dal noto verso: « Orans, tinctus, edens, confessus, dans, benedicens ». Orans: allude alla orazione domenicale e alle altre preghiere della Chiesa, specialmente pubbliche; tinctus, indica l’aspersione con l’acqua benedetta e le unzioni sacre: edens la manducazione dei cibi benedetti; confessus, la recita del Confiteor e altri atti di umiliazione; dans, l’elemosina e in genere le opere di misericordia; benedicens, le molteplici benedizioni impartite su persone e cose. Seguendo le indicazioni del CIC, gli autori moderni enumerano i s. secondo un altro criterio. Prima distinguono fra cose ed azioni, poi dividono le cose in benedette, consacrare, esorcizzate, e le azioni in benedizioni, consacrazioni ed esorcismi. Va precisato (cf. E. Doronzo, De Sacramentis in genere, Milwaukee 1947, p. 544) che le benedizioni e le consacrazioni non verificano esattamente i l concetto fissato dal CIC quando implicano soltanto une separazione delle cose dall’uso profano e pertanto una certa santità legale, ma quando importano pure l’impetrazione di qualche effetto spirituale. Gli esorcismi rientrano nella definizione del CIC solo in quanto l’espulsione o la repressione del demonio è oggetto di impetrazione della Chiesa, non in quanto dalla Chiesa è operata con l’esercizio di quel potere di comando sui demoni che Cristo le conferì. Quelle stesse opere buone a cui la Chiesa ha annesso l’acquisto di indulgenze per i vivi, non verificano la definizione del CIC, per la ragione che il beneficio dell’indulgenza ai vivi non è effetto dell’impetrazione della Chiesa, ma dalla Chiesa è conferito con l’esercizio di quel potere di giurisdizione, per il quale fu costituita depositaria dei meriti e delle soddisfazioni di Cristo e dei santi. – Precisato questo, si può affermare che la divisione moderna è più scientifica, perché fondata sulle diverse specie di impetrazione, nota essenziale del s.; è inoltre esauriente, perché tutti i s. possono farsi rientrare nei vari membri della medesima; infatti, o l’impetrazione è legata all’uso di una cosa permanente (s.-cose) o consiste in un’azione transitoria (s.-azione). Inoltre, l’impetrazione o riguarda beni positivi (benedizioni o consacrazioni, o riguarda l’allontanamento dei mali (esorcismi). La differenza fra consacrazioni e benedizioni consiste nel fatto che le consacrazioni hanno sempre per effetto di separare in modo stabile un oggetto o una persona dall’uso profano (pertanto in esse le unzioni accompagnano le parole), nelle benedizioni, invece, si usano solo le parole e soltanto le benedizioni costitutive, a differenze di quelle semplicemente invocative, comportano una separazione stabile dall’uso profano.

III. EFFICACIA DEI s. – La questione presenta due aspetti: quale sia la natura di tale efficacia, ossia il modo secondo cui operano i s., e quali siano in particolare gli effetti ottenuti. – I s. si possono considerare anzitutto cerimonie, e come tali posseggono, di loro natura la virtù di suscitare nell’animo conoscenze e sentimenti religiosi. – Inoltre, come atti buoni, hanno un valore meritorio per chi li compie. Finalmente, sono dotati di una speciale efficacia in quanto informati dalla impetrazione della Chiesa. È appunto questa l’efficacia propria dei s., la cui natura è precisata dai seguenti rilievi: a) i s. non sono strumenti di cui Dio si serva per santificare le anime, ma azioni con le quali la Chiesa sollecita da Dio il conferimento di Grazie; b) l’efficacia dei s.. in quanto deriva dall’impetrazione della Chiesa, non dipende, come da causa, dalle disposizioni morali del ministro o del soggetto. Pertanto si dice che i s. non agiscono « ex opere operantis ministri vel subiecti », e in ciò convengono con i Sacramenti; da essi però differiscono perché l’efficacia di questi è « ex opere operato ». Si può porre la questione se, oltre a questa efficacia, fondata sull’intercessione della Chiesa, i s. non ne posseggano un’altra « ex opere operato». Il CIC non ne fa menzione. Parecchi autori (p. es., Michel) l’affermano a proposito di quei s. che hanno per effetto di dedicare cose o persone al servizio divino; infatti, il rito esterno, obiettivamente preso e compiuto secondo le norme prescritte, quando il soggetto non oppone impedimento, produce l’effetto di consacrare la cosa o la persona al servizio divino. Altrettanto si può affermare di quei s. a cui la Chiesa ha annesso una qualche indulgenza. Questi effetti non sono dovuti alla intercessione e ai meriti né del ministro o del soggetto, né della Chiesa, ma alla semplice posizione del rito esterno, il quale, tuttavia, possiede tale virtù per istituzione della Chiesa. Si può pertanto ritenere che alcuni s. producono l’effetto della deputazione al culto divino o della remissione della pena temporale « ex opere operato, vi institutionis ipsius Ecclesiae ». Però non si deve dimenticare che, stando alla definizione del CIC, la deputazione al culto divino e l’indulgenza concessa ai viventi non rientrano negli effetti specifici dei s., perché non si conseguono per impetrazione della Chiesa; c) va osservato, infine, che posto il rito, secondo le norme prescritte, ne consegue infallibilmente l’impetrazione della Chiesa, ma il conseguimento degli effetti impetrati è condizionato a tutti i requisiti da cui dipende l’efficacia della preghiera in genere. – Nel caso, trattandosi di una impetrazione fatta dalla Chiesa, sposa di Cristo, le condizioni da parte del soggetto che prega si verificano sempre; ma potrebbero mancare i requisiti da parte della cosa impetrata o della persona, per la quale si prega.

2) Il CIC parla in genere di effetti specialmente spirituali. La maggior parte degli autori li distribuisce nelle seguenti categorie: a) grazie attuali che eccitano a compiere atti di fede, di speranza, di carità, di penitenza, ecc.; b) allontanamento o repressione del demonio; c) beni temporali, come la salute, il tempo buono, ecc. sempre però nella misura in cui conducono alla salvezza eterna e rientrano nel piano della Provvidenza ordinaria di Dio. – Incertezze e divergenze esistono fra gli autori riguardo alla questione se ed in qual senso l’efficacia dei s. si estenda alla Grazia santificante, alla remissione dei peccati veniali e della pena temporale. Sembra evidente che la questione proposta si debba risolvere nei termini seguenti: a) come ogni preghiera, così anche quella ecclesiastica incorporata nei s., può avere per oggetto qualunque beneficio, quindi anche la conversione dei peccatori, il conferimento o la conservazione della Grazia santificante, il perdono dei peccati mortali e veniali, la remissione della pena temporale; b) qualora si chieda se questi benefici, dalla Chiesa intesi, possano essere direttamente conferiti da Dio, in modo che il conferimento consegua immediatamente nell’ordine della realtà l’impetrazione della Chiesa, si deve rispondere che, secondo il comune parere dei teologi, l’infusione della Grazia santificante e quindi anche il perdono dei peccati mortali non si possono conseguire che per la via dei Sacramenti « ex opere operato » e per quella della carità perfetta o delle opere meritorie « ex opere operantis… ». Quando, perciò, si chiede al Signore la santificazione delle anime, direttamente si ottengono solo le Grazie attuali che dispongono l’individuo all’uso dei Sacramenti o al compimento di quelle opere buone a cui Dio ha connesso la santificazione. Pertanto, l’infusione della Grazia santificante e il perdono dei peccati mortali non possono costituire un effetto immediato dei s. Riguardo ai peccati veniali, per la loro analogia con le colpe gravi, si deve pensare che i s. non ottengono immediatamente il perdono di essi, ma che direttamente ottengono solo quelle Grazie che sono particolarmente indicate a suscitare sentimenti di penitenza, con cui vengono cancellati i peccati veniali. – La questione intorno alla remissione della pena temporale, può riassumersi in tre punti: a) la Chiesa ha il potere di istituire s. che abbiano l’efficacia di condonare immediatamente la pena temporale; b) anzi, un simile s. esiste di fatto, a vantaggio delle anime purganti, ed è tutta la liturgia dei defunti. Pertanto, se le preghiere della Chiesa possono ottenere immediatamente la remissione della pena temporale per i defunti, non si vede perché non la possano ottenere anche per i viventi; e) ma è probabile che non esista nessun s. ordinato a questo scopo specifico riguardo ai viventi.

L’ISTITUZIONE DEI S. – Che la Chiesa, ed essa sola, abbia i l potere di istituire i s., risulta dalla sua prassi costante, dalla decisione del CIC (can. 1145) e dalla natura stessa delle cose. E evidente, infatti, che il potere sacerdotale di santificazione di cui essa è dotata comporta anche il diritto e il dovere, come di regolare il culto in genere così anche di istituire riti e cerimonie con valore impetratorio. È altrettanto evidente che un rito avente il valore di esprimere i voti e le aspirazioni della Chiesa non possa provenire che da essa. Nella tradizione ecclesiastica, mentre si trova inculcato, con insistenza, il principio che la Chiesa non può mutare la sostanza dei Sacramenti perché di origine divina, si è sempre riconosciuto, e dal Concilio di Trento definito, che la Chiesa può mutare a piacimento le cerimonie del culto; il CIC esplicitamente attribuisce alla S. Sede il diritto di istituire nuovi s. e di mutare, abrogare, autenticamente interpretare quelli vecchi (can. 1145); ciò equivale ad ammettere che tutti i s. sono d’istituzione ecclesiastica.

AMMINISTRAZIONE DEI S. – 1) Il rito esterno. – ci si deve attenere scrupolosamente alle norme liturgiche (can. 1148 §1); le benedizioni e le consacrazioni sono invalide se non si usa la formula prescritta (ibid. § 2). In genere i s. vanno trattati con riverenza; in particolare, poi, le cose consacrate o benedette, con benedizione costitutiva, non possono essere volte ad uso profano o diverso dal loro, nemmeno se si trovano in possesso di persone private (can. 1150); così, p. es., non è lecito servirsi dell’acqua benedetta per dissetarsi. 2) Il ministro. – Fissato il principio generale che legittimo ministro è soltanto il chierico, il quale ne abbia ricevuto il potere e non sia impedito di esercitarlo dalla competente autorità (can. 1146), il CIC scende ai casi particolari. Per le consacrazioni, ministro valido è solo i l vescovo e chi ne ha l’autorizzazione per diritto (come i cardinali) o per indulto apostolico (can. 1147 § 1). Le benedizioni che non siano riservate al romano pontefice, o ai vescovi, o ad altri possono essere date da qualunque sacerdote (ibid. § 2); ma anche le benedizioni riservate, quando sono impartite da un semplice sacerdote senza la necessaria autorizzazione, restano valide sebbene illecite, a meno che la S. Sede, promulgandone la riserva, non abbia deciso diversamente (ibid. § 3). I diaconi e i lettori possono dare validamente e lecitamente soltanto le benedizioni che a loro sono espressamente concesse dal diritto (ibid. § 4). Per gli esorcismi v. la voce relativa. 3) Il soggetto. – Le benedizioni devono essere impartite dapprima ai cattolici, per ottenere loro il lume della fede o, con esso, la salute del corpo (can. 1149). Gli esorcismi possono essere fatti anche sui non cattolici e sugli scomunicati (can. 1152).

[Antonio Gaboardi].

Necessità della Chiesa. Note della “vera” Chiesa Cattolica

Necessità della Chiesa. Note della “vera” Chiesa Cattolica

[da: J.–J. Gaume “Catechismo di perseveranza”, vol II, Torino Tipografia G. Speirani e figli- 1881 – imprim.]

[DELLA NOSTRA UNIONE CON IL SIGNOR NOSTRO, NUOVO ADAMO, PER MEZZO DELLA FEDE]

Prosegue il nono articolo del Simbolo. — Necessità della Chiesa. — Visibilità ed infallibilità della Chiesa. — Note della Chiesa. — Unità. — Santità. — Apostolicità. — Cattolicità — Verità della Chiesa Romana – Primo vantaggio della Chiesa. – Comunione dei Santi. – Scomunica.

Dio vuole che tutti gli uomini giungano a salvezza; essi non vi possono giungere che mediante Gesù Cristo, vale a dire, colla cognizione e coll’esercizio della vera Religione, di cui Gesù Cristo è l’anima e il fondatore; ma Gesù Cristo e la vera Religione non si trovano che nella vera Chiesa, ed è quivi soltanto ch’Egli insegna, spande le sue grazie, comunica il suo spirito: dunque è evidente, che di necessità esiste una vera Chiesa, la qual cosa ne dimostrano di pieno accordo la fede e la ragione.

I . Necessità della Chiesa. Nostro Signore solennemente promise di stabilire una Chiesa, colla quale Egli sarebbe stato sempre sino alla fine dei secoli; esso ha ingiunto di riguardare come pagani e pubblicani tutti coloro che ricusassero di ascoltare questa Chiesa; egli è morto per stabilirla e per comunicarle quella santità, di cui essa doveva essere l’unico canale sino al finire del mondo: dunque se non vuolsi sostenere l’orribile bestemmia, che il Figlio di Dio ne ha ingannati, non stabilendo punto, ovvero non stabilendo che per un tempo limitato quella Chiesa, che aveva promesso di stabilire e di stabilire per sempre, minacciandoci l’inferno se non ascoltiamo sua Chiesa, che non ha esistito o che non esiste più; sarà forza ammettere l’esistenza e l’esistenza perpetua d’una sola e vera Chiesa. La ragione, d’accordo coi dettati della fede, ne suggerisce che siccome il Signor Nostro non doveva restar per sempre visibile sulla terra, così Ei dovea provvedere alla perpetuità della sua Religione. Ciò posto non era assai a tant’uopo lasciarci un codice scritto di leggi: un libro, e specialmente un corpo di leggi abbisogna di interpretazione; è dunque evidente che il Signor Nostro dovè stabilire un’autorità, o a parlar propriamente, una Chiesa cui incombesse l’ufficio di spiegare autenticamente la sua Religione, e di farla praticare. Perciò, se non si vuol negare al Figlio di Dio quel tanto di buon senso, che pur concedesi all’ultimo fra gli uomini, è giuocoforza ammettere ch’Esso ha stabilito una vera Chiesa per conservare intatto il deposito di sua dottrina.

Visibilità bèlla Chiesa. Questa vera Chiesa deve in ogni tempo esser visibile, primieramente per la ragione poc’anzi riferita, vale a dire, che Iddio vuole la salute di tutti gli uomini, e la salute non è possibile che nel grembo della Chiesa; donde si deduce per logica necessità che la Chiesa in tutte le occasioni e in tutte le età dev’essere visibile, affinché tutti possano discernerla e divenire suoi membri. In secondo luogo perché Iddio ha dichiarato apertamente ch’ella sarebbe visibile a tutti i popoli. Per organo dei Profeti, Egli la paragona ad una città immensa, edificata sulla vetta di alta montagna, esposta agli sguardi di tutte le nazioni, rifulgente di tutta la luce della verità, di modo che tutte le tribù della terra potranno camminare dietro la sua luce, come camminano allo splendor del sole. Finalmente, perché essendo la Chiesa una società d’ uomini, riuniti per l’esteriore professione di una medesima fede, per la partecipazione ai medesimi Sacramenti e alle stesse cerimonie pubbliche impossibile altresì che non sia visibile. Cosi la pensarono tutti i Padri ; così la pensa ancora il più volgare buon senso.

III. Infallibilità della Chiesa. La vera Chiesa debb’essere infallibile. Intendesi per infallibilità il privilegio di non potersi ingannare, né ingannare gli altri nell’ammaestrarli. La prova che la vera Chiesa è infallibile e ch’ella non può altrimenti essere, è la più agevole di ogni altra. Quattro domande metteranno tale verità in piena evidenza. .1° Nostro Signor Gesù Cristo è egli infallibile? Niuno certo oserebbe dubitarne. 2° Ha egli potuto comunicare la sua infallibilità a quelli che ha. inviato per insegnare agli uomini? Niuno può muoverne dubbio, attesoché, essendo Dio, egli può tutto. 3° Ha egli comunicato la sua infallibilità a’suoi Apostoli, ed ai loro successori? Senza fatto, perocché ha loro detto: « Andate, insegnate, io sarò con voi sino alla fine dei secoli ». 4° Doveva Esso comunicare la propria infallibilità a’ suoi Apostoli, e loro successori? Sì , lo doveva, poiché senza di ciò non avremmo avuto alcun mezzo per conoscere con certezza la vera Religione. Eppure Iddio vuole che da noi si conosca con certezza la vera Religione, dappoiché vuole, sotto pena della dannazione, che noi la pratichiamo, e che siamo pronti a morire, piuttostochè revocare in dubbio alcuna delle verità ch’essa insegna: la vera Chiesa è dunque infallibile. Se ella nol fosse, è facile vedere quali mostruose conseguenze converrebbe ammettere. 1° Non esisterebbe mezzo alcuno per conoscere la vera Religione. A guisa di fanciulli noi piegheremmo ad ogni vento di dottrina, e invano perciò sarebbe venuto Gesù Cristo sulla terra per insegnare agli uomini la via del Cielo: ed i nostri fratelli separati ce ne offrono un esempio irrefragabile. Presso di loro non v’ha più nulla di certo: quante teste altrettante dottrine: prova manifesta che la Bibbia sola non basta. La Bibbia è un libro che vuol essere spiegato, e spiegato da un’autorità infallibile per divenire una regola obbligatoria di fede e di condotta. II° Il Signor Nostro stesso, orribile a dirsi!, sarebbe al di sotto di un onest’ uomo, atteso ché non avrebbe mantenuto la sua parola: dopo aver promesso di parlar sempre per organo degli Apostoli e dei loro successori, non ne farebbe nulla, lasciandoli spacciar delle prette menzogne. III° Gesù Cristo sarebbe il più barbaro e il più ingiusto di tutti i tiranni; Egli ne avrebbe intimato, sotto minaccia dell’inferno, di ascoltare degli uomini, che potrebbero trascinarci nell’errore e guidarne al precipizio. Vedasi adunque quante bestemmie debbano sostenere, e quali spaventose conseguenze siano costretti ad ammettere coloro che ardiscono di negare l’infallibilità della Chiesa.

Deh! noi almeno, docil gregge dell’ovile divino, seguiamo fedelmente i nostri Pastori; ed oggi, più che mai, professiamo verso di loro la più perfetta sottomissione. Crediamo ciò ch’essi credono, approviamo ciò che approvano, rigettiamo ciò che rigettano, condanniamo ciò che condannano. Figli della Chiesa, diciamo come i Padri nostri: «Tutto quello che noi sappiamo si è, che dobbiam credere alla Chiesa, e morire ben anco per la sua fede; ma noi non sappiamo disputare ». Allontanandosi da questo canone, gli eretici naufragarono nella fede; indocili a tali avvertimenti una moltitudine di spiriti presuntuosi credettero capaci di discutere intorno alle verità della Religione, e, anteponendo il proprio giudizio a quello dei primi pastori della Chiesa , per seguire il loro spirito privato, caddero miseramente in quel precipizio che si erano da se medesimi scavato.

Note della vera Chiesa. Rimane adesso a conoscere la vera Chiesa. Ora, per discernerla dalle false Chiese, non basta che ella sia visibile, poiché molte altre società religiose lo sono egualmente; non basta ch’ella sia infallibile, dappoiché l’infallibilità è una prerogativa che le altre sette si appropriano esse pure, ovvero l’attribuiscono ad ognuno de’suoi membri. Cosa è dunque necessario? È uopo che la vera Chiesa, la legittima sposa dell’Uomo-Dio, mostri sulla sua fronte contrassegni così splendidi, caratteri sì perfettamente inimitabili, che a nessun’altra setta sia dato contraffarli od arrogarseli. Ora queste note non possono essere che quelle della stessa verità, e se ne annoverano quattro principali: 1° L’Unità; II° la Santità; III° l’apostolicità; IV° la Cattolicità.

L’UNITÀ. L’unità è il carattere essenziale della verità, imperocché Iddio è uno, e la verità è Iddio rivelato all’uomo. Il Salvatore ha pregato perché la sua Chiesa fosse una; egli l’ha rappresentata sotto l’immagine di un ovile governato da un solo pastore, d’una casa in cui dimora un solo capo, d’un corpo i cui membri sono tutti perfettamente uniti. Perciò la vera Chiesa debb’essere una; una nella sua fede, una nelle sue leggi, una nelle sue speranze, una nel suo Capo.

LA SANTITÀ. La santità è il carattere essenziale, la perfezione per eccellenza di Dio; la qual santità in Dio esclude l’idea medesima del male e dell’errore. La vera Chiesa deve adunque esser santa; santa nelle sue massime, nei suoi dogmi, nei suoi Sacramenti, ne’suoi precetti; santa nello scopo che si propone di ottenere, santa nei suoi membri; di santità resa visibile dai miracoli, affinché tutti, così dotti come ignoranti, possano riconoscerla. Tale si è la Chiesa che Gesù Cristo volle ottenere colla sua morte: Cristo, dice S. Paolo, amò la Chiesa, e diede per lei se stesso, alfine di santificarla e renderla vestita di gloria, senza macchia, e senza grinza e … farla santa e immacolata [Ephes. V, 25-27].

L’APOSTOLICITÀ. Discendere dagli Apostoli, ed essere stata da loro predicata, ecco il carattere della verità; imperciocché in essi confidò il Salvatore tutte le verità, che’Egli stesso aveva attinte nel seno del Padre suo, verità che svolgevano, raffermavano e completavano tutte quelle che Iddio aveva rivelate fin dalla creazione del mondo [Giov. XV, 15] . Ad essi Egli commise l’ufficio di annunziarle per tutta la terra: la vera Chiesa deve adunque partire dagli Apostoli, e risalire fino agli Apostoli.

LA CATTOLICITÀ. La verità è una e la stessa in tutti i tempi e in tutti i luoghi; ciò ch’è vero in Europa non può esser falso in Asia; ciò ch’è vero oggi non poteva esser falso ieri. Si arroge che essendo tutti gli uomini fatti per la verità, ella dev’essere accessibile a tutti, e trovarsi dovunque si trovano degli uomini. Dunque la vera Chiesa, che sola possiede la verità, deve abbracciare tutti i tempi, tutti i luoghi, tutte le verità insegnate dal Signor Nostro G. C. Tali sono le note che deve necessariamente avere la vera Chiesa; queste sono indispensabili affinché tutti possano riconoscerla; ma con queste altresì è impossibile di non riconoscerla e di non discernerla da tutte le altre società.

Verità della Chiesa Romana. Percorrete adesso il giro del mondo, studiate tutte le società religiose che esistono presso i differenti popoli, cercate quella che fra tutte vi presenterà questi quattro caratteri; essa, essa sola è la vera Chiesa. Ora questo viaggio è stato fatto, non una volta sola, ma sì bene migliaia di volte; non da un uomo, ma da milioni di uomini, e sempre ha offerto il seguente risultato: i quattro caratteri della vera Chiesa convengono alla Chiesa Romana, e non convengono che a lei sola.

L’unità. La Chiesa Romana è una nella fede e nel suo ministero. E primieramente una nella sua fede. Supponiamo che si potesse evocare dalle tombe in un’ora medesima un Cattolico di ciascuno dei diciotto secoli che ci hanno preceduto, un Cattolico di Oriente, uno dell’Occidente, uno dell’Asia, l’altro dell’Europa; e che noi dimandassimo a tutti questi Fedeli che vissero senza conoscersi, senza vedersi, morti gli uni cento anni fa, altri mille, altri mille e cinquecento, altri mille ottocento: Qual è la vostra fede? Ognuno per parte sua reciterebbe lo stesso Simbolo, il Simbolo che noi recitiamo tutti i giorni, e che si recita egualmente ai quattro angoli della terra. Quest’accordo così perfetto, questa perpetua unità rapiva già d’ammirazione i primi Padri della Chiesa, e già essi adoperavano un tale argomento per dimostrarti agl’eretici ch’erano nell’errore. « Sebbene sparsa per tutta la terra, diceva S. Ireneo, la Chiesa conserva la fede apostolica con estremo zelo, e come se abitasse una sola e medesima casa; ella crede della stessa maniera, come se tutti i suoi membri non avessero che uno stesso spirito ed uno stesso cuore, e con mirabile accordo ella professa ed insegna la stessa fede, come se avesse una sola bocca. I linguaggi sono bensì diversi fra loro, ma la fede è una dappertutto. Le Chiese di Germania, delle Gallie, dell’Oriente, dell’Egitto non pensano, non insegnano colla minima varietà ». Quanto non dobbiamo andare alteri di professare la fede degli Apostoli, dei Martiri, dei più grand’ingegni che il mondo abbia giammai conosciuto! Quale consolazione! Quale malleveria! Ma questo vanto non è proprio delle società separate dalla Chiesa; in esse, variazioni ognora rinascenti, contraddizioni senza numero. Le professioni di fede succedonsi senza interruzione, le sètte particolari si moltiplicano come foglie sugli alberi. Nella sola città di Londra e nei suoi dintorni si contano oggigiorno cento nove religioni diverse. La stessa divisione si riscontra in Alemagna, nella Svizzera, in America, in tutti i paesi sedicenti Evangelici. E lo sminuzzamento è giunto a tale, che un ministro protestante diceva non ha molto, ch’egli era in grado di scrivere sull’unghia del pollice tutto quello ch’era obbietto di comune credenza fra i riformati. – Il Protestantismo non è dunque la vera Chiesa, poiché non serba unità di dottrina; e lo stesso deve dirsi del Maomettismo, del Giudaismo, e di tutte le altre società religiose che si spartiscono il mondo. – La Chiesa cattolica è una nel suo ministero e ne’ suoi Sacramenti, vale a dire, che tutti i suoi figli, soggetti alla stessa autorità, sono uniti mediante la partecipazione ai medesimi Sacramenti, al medesimo Sacrificio, alle stesse preghiere, allo stesso culto. Discorrete le regioni tutte del mondo, interrogate i Cattolici che le abitano, e dovunque voi troverete su questo punto l’accordo più perfetto. Allo scopo di mantenere questa divina unità il Signor Nostro Gesù Cristo istituì un ministero sparso per tutte le parti della sua Chiesa, ma dappertutto altresì animato da un solo spirito, cui spetta di predicare ed insegnare la fede, di amministrare i Sacramenti, celebrare i santi riti, a dir breve governare e pascere tutto il gregge; e tale ministero fu da Lui distinto in diversi ordini, che formano perciò una gerarchia. In tutti i luoghi abitati, città, borgate ed altro, volle che vi fosse un Ministro di ordine subalterno; ed in ogni provincia un Ministro di ordine superiore, che dicesi Vescovo, al quale sono sottomessi i Pastori inferiori, e che comunica coi Vescovi degli altri paesi. Tutti i Vescovi sono in rapporto di sommissione col sovrano Pontefice, capo supremo della Chiesa. Rivestito di un primato d’onore, egli è collocato su tutti gli altri, all’oggetto di essere da tutti ravvisato come il centro di unità a cui fan capo tutte le Chiese della terra; rivestito di un primato di giurisdizione, egli può colla sua autorità separare gli erranti dall’ unità, o ricondarvi i traviati. In tal guisa questo ministero forma fra tutti i Cattolici sparsi sulla tersi un magnifico legame d’unione: tutti essendo riuniti ai loro Pastori, e questi fra loro col Pastore dei Pastori, necessariamente ancora sono tutti gli uni agli altri congiunti. – Nulla di somigliante nelle sètte separate! Non subordinazione generale fra i loro ministri; non altro centro d’unità tranne il potere temporale che li tien stretti sotto il suo freno; a tal che la gerarchia, la quale nella Chiesa cattolica finisce nel Papa, Vicario del Signor Nostro Gesù Cristo, termina nei paesi protestanti nella persona di un re, e talvolta in una regina, ignari della scienza divina, e pur non ostante arbitri supremi della Chiesa di Dio e della coscienza umana. Più disuniti fra loro di quello che lo siano colla Chiesa, si accusano, si diffamano, si condannano; sempre fra loro in guerra, non sono uniti che coll’odio comune contro la vera Chiesa perchè tutti li colpisce dello stesso a anatema. Quindi nessuna unità di culto;gli uni ammettono due sacramenti, gli tre: gli uni hanno un culto senza simbolo, gli altri un culto diverso; sicché il protestante, uscito da quell’angolo della terra ove regna la setta a cui appartiene, è straniero al resto del mondo!

2° La Santità. La Chiesa Romana è santa nei suoi dogmi, santa nella sua morale, ne’ suoi Sacramenti, nel suo culto; ond’è che si può sfidare l’avversario il più accanito, purché imparziale, a ritrovare nella sua magnifica costituzione un iota che non sia eminentemente adatto a rischiarare la mente, a purificare il cuore, e sollevare 1’uomo a Dio. Niuna setta, vuoi antica, vuoi moderna, può vantare questo primo genere di santità, perché tutte hanno adulato, e carezzano ancora ignobilmente dal loro lato accessibile qualcuna delle tre grandi passioni umane: l’orgoglio, l’ambizione, la voluttà. La Chiesa Romana è santa nel suo Capo che è Gesù Cristo; santa ne’ suoi fondatori che sono gli Apostoli; ma santo non fu mai verun fondatore di eresie. Troppo è noto qual fosse nei primi secoli la santità di Ario, di Manete e degli altri eresiarchi. Chi furono nei tempi moderni i corifei dei protestantismo? Lutero, Calvino, Zuinglio, tre ecclesiastici apostati, ed i tre uomini più scandalosamente impudichi del secolo sedicesimo. E si potrà credere che Iddio abbia scelto cotali uomini per riformare la sua Chiesa? Santa è la Chiesa cattolica in un gran numero di Papi e di Vescovi; santa finalmente in buon numero di Fedeli. Basta gettare uno sguardo su d’un martirologio, o su d’un calendario per vedere quanto grande sia la schiera dei Santi che si sono formati nella Chiesa, anche dopo gli ultimi secoli. E fuori ancora di quelle innumerevoli legioni di Santi, che risvegliano la generale ammirazione per l’eroiche loro virtù, ed ai quali i popoli non hanno potuto ricusare omaggi solenni, esiste una moltitudine assai più grande ancora di coloro che si santificarono colla pratica di virtù oscure celate agli occhi degli uomini! La santità dei figli della Chiesa è vera, dappoichè Iddio ha operato splendidissimi miracoli affine di manifestarla. Ora i miracoli operati dai Santi ebbero luogo in tutti i secoli, e succedono tuttavia al dì d’oggi nella sola Chiesa cattolica. Le sètte separate non possono dunque addurre la condotta regolare dei loro seguaci come una prova della santità di loro dottrina; avvegnaché Iddio non ha giammai confermato con alcun miracolo le loro virtù; mentre i Protestanti medesimi confessano la verità dei miracoli operati dai Santi della Chiesa cattolica, e segnatamente da S. Francesco Saverio. Per altro, affinché la Chiesa Romana sia santa, e madre dei Santi; affinché ell’abbia diritto di presentare la propria santità come un carattere di sua verità, non è necessario che tutti i suoi membri siano santi. Il Signor Nostro Gesù Cristo ha paragonato la sua Chiesa ad una rete in cui si trovano pesci buoni e cattivi; ad un’ aja in cui la paglia è mescolata al grano: laonde basta che tutti i membri della Chiesa siano stati santi, e tutti realmente lo furono nel giorno del loro battesimo; e che buon numero d’essi abbiano perseverato nella loro santità, e che Iddio abbia manifestata la loro santità coi miracoli.

La Cattolicità. La Chiesa Romana è cattolica per triplice cattolicità: primieramente per cattolicità di dottrina. Essendo essa l’erede di tutte le verità rivelate, la Chiesa Romana uniformandosi al comando del divino suo Maestro, insegna senza distinzione, senza eccezione, senza aggiunte, senza diminuzione tutto quello che il Signor Nostro degnossi di rivelarle. Ella non si fa lecito, alla guisa degli eretici, di portare una mano sacrilega sulle Scritture, e scegliere a capriccio fra le verità a lei affidate in deposito, accettando le une, rifiutando le altre; no, ella riceve, conserva ed insegna con uguale zelo tutti i dogmi e tutti i precetti del suo Sposo divino. Ad onta di tutti gli sforzi, gli eretici antichi e moderni -, aventi per ausiliari i filosofi e gli empi, non hanno mai potuto provare che la Chiesa cattolica abbia mutato, accresciuto, diminuito, e molto meno inventato una sola delle verità che propone da credere all’universo: i Padri apostolici parlavano come i Sacerdoti de’nostri giorni. – In secondo luogo cattolicità di tempo. Rivelate ai primi Padri nostri, trasmesse dai Patriarchi, sviluppate sotto 1’antica Legge, completate mediante 1’Evangelo, confidate agli Apostoli dallo stesso Uomo-Dio, propagate per mezzo loro in tutte le parti dell’universo, trasmesse fino a noi per costante tradizione, le verità insegnate dalla Chiesa Romana risalgono fino ai primi giorni del mondo, e saranno col ministero di lei annunziate a tutte le future generazioni, sino alla consumazione dei secoli. Il suo Simbolo è il Simbolo del genere umano, nel significato, che tutto ciò che presso qualsiasi nazione riscontrasi di vero gli appartiene, come il ramo appartiene all’albero, le membra al corpo, i raggi al sole. – Da ultimo cattolicità di luoghi. Scorrete l’universo, visitate le quattro o cinque parti del mondo; passate dalla Cina alle nordiche spiagge dell’America, dall’Africa alle regioni settentrionali dell’Europa, e dappertutto ritroverete dei Cattolici. Per ammirabile disposizione di sua Previdenza, Iddio volle che così fosse, affinché ad ogni ora del giorno e della notte risuonasse sulle labbra di qualche persona il Simbolo cattolico. Questa recitazione non è interrotta più di quanto sia il Sacrificio dei nostri altari, mercé cui il sangue divino non ha cessato un solo istante nel corso di diciotto secoli di scorrere su qualche punto del globo. Allorché la notte ricopre de’suoi veli una parte della terra, e i l Sacerdote discende dall’altare, cesssando eziandio il Fedele di ripetere il Simbolo, ecco nascere il giorno per un altro emisfero, il Sacerdote salire all’altare, e i nostri fratelli Cattolici ripetere la professione di nostra fede: e così avverrà sempre con successione invariabile sino alla fine dei tempi. Ma voi non ritroverete dovunque degli eretici, o dei membri di una società separata. Cattolicità di luoghi! – La Chiesa Romana a guisa del sole scorre l’orizzonte dell’universo; la sua luce si levò successivamente sulle diverse contrade del globo: l’eresia non mai. Cattolicità di luoghi! La Chiesa Romana è la più numerosa di tutte le società separatamente considerate. Il Maomettismo, 1’Idolatria, il Protestantismo, si dividono in una infinità di sètte, ciascuna delle quali è ben lontana dall’avere tanta copia di partigiani, quanti Fedeli conta la Chiesa cattolica. – Cattolicità di luoghi! Essere una come Dio è uno; essere dovunque come Iddio è dappertutto senza cessare di essere uno; tale si è la Chiesa Romana. L’unità nell’universalità stessa, ecco il carattere splendidissimo che la distingue e che si chiama Cattolicità. « Siccome non esiste che un solo Episcopato, scriveva, sono ornai diciassette secoli San Cipriano, così non trovasi che una sola Chiesa la quale abbraccia la vasta moltitudine dei membri che la compongono. A quel modo che un’indicibile quantità di raggi si veggon partire dal sole, sebben non v’abbia che un solo centro di luce; e infiniti rami sorgono sopra un sol tronco d’albero, il quale tutti li sostiene, immobilmente fisso colle sue radici al suolo; a quella guisa che da una stessa sorgente escono più rivi che risalgono alla comune origine, sebben diversi fra di loro per la copia delle acque che ne ricevono; cosi pure si stendono i Fedeli per tutta la terra, tale è l’immagine della Chiesa cattolica. La luce divina che la penetra co’ suoi raggi abbraccia il mondo intero, viene da un centro unico che diffonde i suoi chiarori in ogni luogo, senzaché sia lesa l’unità di principio: la sua fecondità inesauribile propaga i suoi talli per tutta la terra; spande lontano abbondevol dovizia delle sue acque; per ogni dove è lo stesso principio, la stessa origine, la stessa madre, che palesa la propria virtù mediante il numero de’ suoi figli ».

L’Apostolicità. La Chiesa Romana è apostolica, vale a dire, che risale agli Apostoli; eglino sono i suoi maestri, i suoi fondatori. Si distinguono due sorta di apostolicità: apostolicità di dottrina, e apostolicità di ministero. La Chiesa Romana è apostolica nella sua dottrina, vale a dire, che crede ed insegna, e ha sempre creduto ed insegnato la dottrina che ricevè degli Apostoli. Risalite d’età in età sino al giorno in cui il Figlio di Dio disse ai dodici Missionari evangelici: Andate, insegnate a tutte le nazioni; voi troverete la stessa istruzione, la stessa credenza, lo stesso Simbolo che noi recitiamo; voi l’udirete echeggiare nelle vaste basiliche di Nicea e di Costantinopoli; ne intenderete gli accenti sotto le vòlte illuminate delle catacombe: colà si amministrò lo stesso Battesimo, la stessa Eucaristia, gli stessi Sacramenti: colà si credè nel medesimo Dio, nel medesimo Gesù Cristo suo Figlio: colà si sperò lo stesso Cielo, si temette lo stesso inferno. – Questa venerabile antichità, questa non mai interrotta successione è l’eterna vergogna degli eretici. Per convincerli di errore basta chieder loro : Che cosa si credeva quando voi siete nati? Non sorse mai eresia che non trovasse la Chiesa cattolica in attuale possesso della dottrina contraria alla vostra: è questo un fatto pubblico, costante, universale, senza eccezione. Così la decisione è agevole; non resta a vedersi se non che qual fede fiorisse quando son comparsi gli eretici ; in qual fede fossero essi medesimi stati allevati nel grembo della Chiesa, ed a pronunziare su questo solo fatto, che non è dubbioso o nascosto, la loro condanna. O nostri fratelli! O voi che vi siete separati dall’unità cattolica, voi non avete adunque il carattere essenziale della vera dottrina, vale a dire, l’apostolicità. Qual è la vostra antichità? Forse quella di trecent’anni? No, v’ingannate; voi non avete che l’antichità della vostra opinione. Ieri voi la scriveste sulla carta, oggi stesso, questa mattina, voi l’avete mutata: ecco la vostra antichità! – La Chiesa Romana è apostolica nel suo ministero; e questo fatto, evidente come l’esistenza del sole, è la prova più palpabile ch’essa è la vera Chiesa. Il Signor Nostro disse a San Pietro: Tu sei Pietro, e su questa pietra io edificherò la mia Chiesa. Per trovare la vera Chiesa basta dunque cercare quale fra esse risale fino a Gesù Cristo, e di cui San Pietro è il fondamento. Ora, niuna setta antica o moderna può arrogarsi questo glorioso privilegio, niuna ascende fino ai giorni del Salvatore, niuna ha San Pietro per fondamento. – La sola Chiesa Romana, e le Chiese uscite dal suo seno possono additare l’ordine e la successione dei loro Vescovi sino agli Apostoli, oppure fino ad uno degli uomini apostolici che furono dagli Apostoli inviati; e per tal modo le Chiese veramente apostoliche autenticano la legittimità di loro origine. Cominciando dal nostro Santo Padre, Papa Pio IX felicemente regnante, si risale per successione non interrotta di 258 Papi tino a San Pietro fondatore della Romana Chiesa: giunti a San Pietro noi siamo a Gesù Cristo; e così delle altre Chiese cattoliche. Tutte ad un modo ci additano alla loro testa un Apostolo, o un inviato degli Apostoli, che le ha fondate, e che incomincia la catena della tradizione. Dalle Chiese primitive hanno le altre attinto la sana dottrina, e l’attingono tuttavia a misura che si formano. Perciò a buon diritto anche le nuove sono annoverate fra le Chiese cattoliche di cui elleno sono figlie; tutte quindi sono apostoliche, e tutte insieme non formano che una sola e medesima Chiesa. Il Sommo Pontefice ed i Vescovi sono adunque i successori degli Apostoli; e da essi hanno avuto l’origine e l’autorità di predicare la dottrina di Gesù Cristo. – Ma altrettanto non può dirsi degli eretici; avvegnaché 1’Evangelo sia stato in principio predicato ne’ loro paesi dagli Apostoli, o dagli uomini apostolici, non per questo essi possono appropriarsi l’apostolicità; separandosi dalla Chiesa Romana essi hanno rotto la catena dell’apostolica successione. Nissuno li ha inviati; da se medesimi si son fatti apostoli delle nazioni. « Chi siete voi? può dire la Chiesa a tutti questi novatori, ed ai Protestanti per esempio; da qual tempo e d’onde siete voi venuti? Dove eravate prima del secolo sedicesimo? Or sono quattrocent’anni, nissuno parlava di voi, non eravate conosciuti nemmeno di nome. Che fate voi in casa mia, mentre non siete de’ miei? A che titolo, o Lutero, abbatti le mie foreste? Chi ti diede facoltà, o Calvino, di deviare i miei canali? Con qual diritto, o Zuinglio, sconvolgi i miei confini? Come osate voi pensare e vivere quivi a vostro talento? Questi sono i miei averi; io ne sono da lungo tempo in possesso: sono essi mia proprietà; io nasco dagli antichi possessori, e provo la mia discendenza con autentici documenti. Io sono l’erede degli Apostoli, e ne godo il retaggio secondo le disposizioni del loro testamento, e conforme al giuramento che ho prestato. – Quanto a voi, essi vi hanno disconosciuti e diseredati come stranieri, come nemici. – Ma perché siete voi stranieri e nemici degli Apostoli? Bramate saperlo? Perch’essi non vi hanno inviato; perché la dottrina che ciascuno di voi ha inventato od adottato a capriccio, è direttamente opposta alla dottrina degli Apostoli ». – Per le quali cose la Chiesa Romana e una, santa, cattolica, apostolica; ella sola porta scolpiti in fronte i caratteri della vera Chiesa; ella sola adunque, ad esclusione di tutte le altre, è la vera sposa di Gesù Cristo, la colonna e il fondamento della verità. – Ma esiste ancora un’altra nota della vera Chiesa, ed è il fatto pronunziato dal Salvatore medesimo, allorché disse: E sarete in odio a tutti per causa del nome mio. Cercate adunque fra tutte le società religiose quella che è esposta all’odio di tutte le altre, all’odio del mondo intero, e voi avrete la vera sposa dell’ Uomo-Dio; voi la ravvisate alla corona di spine che porta perpetuamente infissa sul suo capo. Ma questa corona dolorosa nessuna setta l’ha portata, nessuna desidera di portarla; è un diadema che orna la fronte della sola Chiesa Romana. O Cattolici, miei fratelli che tremate talvolta allo scroscio spaventoso di un mondo che si sconquassa e va in rovina, invece di turbarvi, pensate piuttosto che le tempeste, le quali assalgono oggidì la Chiesa , sono ammirabilmente acconcie a corroborare la vostra fede. Che cosa provano queste novelle persecuzioni che succedono a tante altre che precedettero, se non che la Chiesa Romana, madre nostra, non ha cessato di essere la sposa fedele del Dio del Calvario? Sin tanto che il diadema delle tribolazioni splenderà sull’augusta sua fronte, ella, siatene certi, non avrà fatto né col mondo, né col vizio, né coll’errore veruna adultera alleanza. Più sarà viva la persecuzione, più vivo ancora sarà lo splendore della sua inviolabile fedeltà, più ella sarà degna della vostra fiducia e del vostro amore. – Il nono articolo del Simbolo finisce con questa frase: Io credo la comunione dei Santi. Queste parole, siccome spiegazione di quello che precede, non formano un articolo particolare, ma sono tuttavia di un’importanza grandissima: perciocché da una parte fanno conoscere la Chiesa nella sua vita intima; e dall’altra esprimono il primo dei quattro grandi vantaggi che la Chiesa ne procura. – Pronunziando le parole, io credo la comunione dei Santi, la nostra lingua proclama altamente la più magnifica fraternità che possa idearsi, il comunismo più bello, il solo vero, il solo possibile, il solo desiderabile; professando noi per tal modo di credere con una sicurezza pari alla nostra felicità all’esistenza ed alla bontà infinita di Dio: 1° Che tutti i membri della Chiesa, tanto quelli che godono nel Cielo, come quelli che sono viatori sulla terra, e quelli che sono nel Purgatorio, sono uniti fra di loro colle tre Persone della Santissima Trinità con vincolo intimo, efficace e permanente; 2° Che questa unione non consiste unicamente nella comunione di fede, di speranza, di carità; ma eziandio nella partecipazione ai medesimi Sacramenti, mediante i quali il Signor Nostro Gesù Cristo, il iSanto dei Santi, diffonde i meriti della sua passione e della sua vita su tutti i membri della Chiesa che degnamente li ricevono; e questa fraterna unione ha la sua origine nel Battesimo, per cui nasciamo figli di Dio, ed è alimentata e conservata specialmente dalla santa Eucaristia, atteso ché il cibarsi dello stesso pane e dello stesso vino fa di noi tutti un corpo stesso; 3° Che per virtù di tale unione tutti i beni spirituali della Chiesa sono comuni fra i Fedeli, siccome le sostanze di una famiglia fra i figli; in guisa che le grazie interiori e i doni esteriori che ciascuno riceve, le buone opere che ciascuno mette in pratica giovano meravigliosamente a tutto il corpo e ad ogni membro della Chiesa. Che per virtù di tale uniorie tutti i Fedeli della terra hanno tra di loro tutte le grazie ad essi concesse, tutte le buone opere da loro esercitate, siccome ad esempio 1′ assistenza al santo Sacrificio della Messa, le confessioni, le comunioni, le meditazioni, le pie letture, le limosine, le mortificazioni, le preghiere, giovano, in una certa misura, a tutti quelli che si trovano in istato di grazia. E diciamo in una certa misura, imperocché i frutti delle buone opere non possono tutti comunicarsi. – Ora, le buone opere del giusto producono tre effetti: il merito, la soddisfazione, l’impetrazione. Il merito è l’effetto delle buone opere, in quanto che producono un accrescimento di grazia, e un diritto nel Cielo ad un grado maggiore di gloria. Il merito è personale a chi fa l’opera buona, né può essere comunicato agli altri. Esso inoltre non si può acquistare che dall’uomo viatore e in istato di grazia; perocché solo in colui che è in possesso della grazia può essa venire aumentata; gli abitatori del Cielo e quelli del Purgatorio non possono più meritare, quantunque siano in istato di grazia. – La soddisfazione è l’effetto delle opere buone in quanto che ottengono la remissione delle pene temporali dovute al peccato. Soltanto 1 uomo sulla terra ed in istato di grazia può soddisfare: i Santi più non abbisognano di soddisfazione; e le anime purganti, a parlare propriamente, non soddisfanno: sarebbe più esatto il dire ch’esse soddissoffrono. Gli uomini in istato di peccato mortale non possono più soddisfare, attesoché non è lor dato di ottenere la remissione della pena dovuta al peccato, prima di aver ottenuto la remissione del peccato medesimo. La soddisfazione non può adunque loro essere applicata, ma bensì può esserlo alle anime giuste in istato di grazia e alle anime del Purgatorio. – E questo si fa coll’offrire la soddisfazione, ossia il merito satisfattorio delle buone opere a scarico di colui del quale si desidera diminuire il debito contratto pel peccato. – L’impetrazione è l’effetto delle buone opere in quanto che ottengono da Dio speciali favori. A rigore i soli giusti possono impetrare, perché i soli giusti hanno qualche diritto ad essere esauditi; atteso ché egli è convenevole e conforme alla ragione che Iddio, giusta le sue promesse, faccia la volontà di que’ suoi servi fedeli, i quali da parte loro si studiano di compire quella del loro padrone. Perciò che riguarda i peccatori, sebbene Iddio abbia dichiarato di non ascoltarli, essi possono tuttavia ottenere con impetrazione meno rigorosa; vale a dire, che dietro movimenti imperfetti di fede e di speranza si dispongono alla grazia e all’amicizia di Dio, e gli domandano qualche favore. La loro impetrazione non ha altro fondamento che l’infinita misericordia di Dio. – Questo terzo effetto delle opere buone, cioè l’impetrazione, si può comunicare non solo a tutti membri della Chiesa, giusti e peccatori, ma può estendersi ancora a tutti coloro che non sono in modo alcuno i membri della Chiesa, quali sarebbero gli infedeli, i giudei, gli eretici, gli scismatici, gli scomunicati; imperciocché si può domandare la loro conversione, ed esercitarsi in opere buone, affine di ottenerla. – Ma quale diversità, qui potreste richiedere, corre adunque sotto questo rapporto fra i Fedeli e gl ‘Infedeli? La diversità in ciò consiste, che questi ultimi rimangono privi delle preghiere pubbliche della Chiesa, eccettuato il Venerdì santo, e che non profittano delle buone opere private, se non in quanto si fanno espressamente per loro; laddove i Fedeli si vantaggiano delle pubbliche preci, e traggono aiuto naturalmente dalle buone opere particolari di tutti i membri della Chiesa, anche quando non si abbia espressa intenzione di applicarle a loro; e la ragione si è questa, che tutti i Fedeli sono membri viventi di un medesimo corpo. Cosi, per servirmi di un paragone, allorché la bocca mangia e lo stomaco digerisce, tutte le altre membra ne risentono sollievo; ed egualmente allorché un giusto compie un’opera buona, tutti gli altri giusti ne sono confortati. – Noi abbiam detto un’opera buona, perciocché tutte quelle che ne hanno l’apparenza, non sono tali realmente. Difatti si distinguono tre sorta di opere : le opere vive, che sono quelle dell’uomo in stato di grazia, e sono profittevoli a tutti i membri vivi della Chiesa. Le opere morte, e sono quelle dell’uomo in stato di peccato mortale, e che non servono né a soddisfare né a meritare, ma solamente ad ottenere da Dio che usi misericordia, e converta a penitenza colui che le fa. Finalmente le opere mortificate, vale a dire, quelle che furono fatte in stato di grazia, ma il cui merito è coperto e come estinto per effetto del peccato mortale che le ha seguite: esse rivivono allorquando colui che le ha fatte ritorna nello stato di grazia. Per render complete le spiegazioni precedenti, noi aggiungeremo che il Signor Nostro, cella sua qualità di Capo, distribuisce il frutto prezioso delle buone opere ai diversi membri vivi del corpo mistico, in proporzione dei loro bisogni e dei loro meriti. Rispetto ai peccatori, essi appartengono ancora alla Chiesa per mezzo della lede e della speranza; ma privi come sono della carità, rimangono membri morti, né partecipano a’ suoi beni spirituali, se non nel senso, che Iddìo, avendo riguardo alle preghiere dei giusti, accorda talvolta ai peccatori la grazia di conversione, oppure sospende le punizioni che si sono meritate! 5° Noi professiamo che in virtù dell’unione, cui i Fedeli della terra hanno coi Santi del Cielo, i primi ottengono da Dio, ad intercessione dei secondi, molte grazie per se medesimi e per gli altri Fedeli, allorché l’invocano, li onorano e si studiano d’imitarli; 6° Che in virtù dell’unione che i Santi della terra e del Cielo hanno coi Santi del Purgatorio, queste anime tormentate trovano sollievo nelle preghiere, nelle elemosine, nelle indulgenze, e nel Sacrificio augustissimo dell’Altare, offerto nell’intenzione di giovare alle medesime. Un’ ammirabile similitudine adoperata dallo Spirito Santo medesimo ci offre la idea la più magnifica e la più commovente di questa unione fra loro di tutti i membri della Chiesa, e fa conoscere ad un tempo persino ai fanciulli medesimi tale intera comunicazione di beni fra i Fedeli: la similitudine è tratta dal corpo umano. Nel corpo umano v’hanno molte membra, e non formano nullameno che un solo corpo. Non tutte per altro hanno la stessa funzione, ciascuno ha la sua: il piede cammina, l’occhio vede, l’orecchio ode; ciò non ostante queste operazioni particolari non si riferiscono direttamente all’utile del membro che le compie, ma sì bene all’armonia ed al vantaggio universale del corpo e di tutte le altre membra; onde a prò di tutto il corpo il piede cammina, l’occhio vede, l’orecchio ode. Egualmente nel corpo della Chiesa havvi molti membri. I Fedeli che vivono sulla terra , le Anime del Purgatorio, i Santi del Cielo, i Cattolici dell’Europa, quelli dell’Asia, dell’Africa, dell’America, dell’Oceania; quelli, in una parola, di tutte le parti del mondo, e siano quanto esser si vogliano remote, sono membri della Chiesa, e non formano che un solo e medesimo corpo. Tutti però non hanno la stessa funzione: gli uni sono Vescovi, gli altri Sacerdoti, Religiosi o Religiose; taluni sono Dottori, Predicatori, Consolatori; altri padroni, altri servi; ciascuno ha il suo stato e le sue incombenze, che tutte son rivolte al bene generale del corpo e di tutti i membri. Perciò è che a vantaggio di tutta la Chiesa il Sacerdote predica ed amministra i Sacramenti, il Dottore insegna la Religiosa prega e consacra se stessa al soccorso de’ suoi fratelli , ed i semplici Fedeli adempiono quegli obblighi cui piacque alla Provvidenza di imporre alla loro condizione particolare. – Nel corpo umano le membra sono talmente unite, che non sì tosto una d’esse, anche la più debole e la meno importante, viene a provare una sensazione di piacere o di dolore, subito le altre tutte risenton gli effetti di questo piacere o di questo dolore, a motivo dell’unione e della simpatia che la natura ha posto fra di loro. – Similmente nel corpo della Chiesa, approfittando noi dei beni accordati a ciascuno dei nostri fratelli, dobbiam pure partecipare ai dolori che li affliggono, rallegrarci con quelli che si rallegrano, piangere con quei che piangono. Sarebbe mai possibile che l’unione stabilita tra di noi dalla grazia fosse meno efficace, nel renderci sensibili i dolori ed i gaudii altrui, che la naturale simpatia per far sentire a tutte le membra del corpo il piacere od il dolore di cui è affetto ciascuno di loro? Nel corpo umano v’ha un capo che regge tutte le membra ed influisce su ciascuno di esse mediante le emanazioni che trasmette; un cuore da cui parte il sangue, e dov’esso ritorna per purificarsi, riscaldarsi e ripartire di nuovo; ed oltracciò il corpo è animato, vivificato da un’anima che gli comunica il movimento, la bellezza, la forza. Così pure nel corpo della Chiesa v’ha un Capo, il Signor Nostro Gesù Cristo, il quale regge tutti i membri, ed influisce sopra ciascuno colle sue grazie; un cuore che è la santa Eucaristia, donde parte l’amore, ed ove ritorna per purificarsi, accendersi e ripartire di nuovo; finalmente un’anima, che è lo Spirito Santo, il quale si diffonde per tutte le parti di questo corpo meraviglioso, e gli conferisce la beltà, la forza, la vita; la vita di grazia sulla terra, la vita di gloria nell’eternità. Alla vista di questo corpo magnifico , non possono risvegliarsi nell’anima nostra che tre sentimenti: un sentimento d’ineffabile gratitudine per farne parte; un sentimento di profondo timore di esserne resecato, o di non diventare che membro morto; un sentimento di tenera ed attiva compassione per gl’infedeli, gli eretici, gli scismatici, e per tutti coloro che non ci appartengono. A compiere la spiegazione del nono articolo del Simbolo cattolico più non resta che di esporre la ragione e i l significato dell’ultima parola, la comunione dei Santi. – Tutti i membri della Chiesa son detti santi; primieramente perché la santità è lo scopo della nostra vocazione alla fede, e l’obbligo strettissimo che ne fu imposto a tutti col Battesimo; in secondo luogo perché meravigliosa comunione sovra descritta; in terzo luogo perché i peccatori stessi rinvengono nella medesima potenti mezzi di santificazione; finalmente perché questa comunione dei Santi della terra ne conduce all’eterna e generale comunione dei Santi, degli Angeli, e di Dio medesimo nel Cielo. Guai dunque a coloro che si fanno scacciare da questa società, fuori della quale non si dà salute! La Chiesa fa suo mal grado; ma essa può farlo, essendo investita dell’ autorità di scomunicare. Nulla di meglio stabilito, che la legittimità di questo formidabile potere: gli Apostoli lo hanno adoperato; i Concili, i sommi Pontefici ed i Vescovi seguirono il loro esempio nel corso dei secoli, tutte le volte che lo credettero necessario « Forsechè il padre di famiglia non ha il diritto di metter fuori di casa il figlio scandaloso e ribelle? Forsechè il pastore non ha diritto di cacciare dall’ovile la pecora indocile e scabbiosa? I giudici ed i magistrati non scacciano forse tutto giorno dalla società i malandrini pericolosi ed ostinati? Perchè adunque la Chiesa, che è la società la più perfetta, non dovrebbe godere di egual diritto? Tranne la sentenza del Signor Nostro Gesù Cristo nel dì del finale giudizi nulla deve ispirarci timor più grande della scomunica. Coloro che ne rimangono colpiti trovansi privi di tutti i beni spirituali che sono nella Chiesa; non possono ritornare fra le sue braccia materne, se dopo aver fatto la loro sottomissione, data soddisfazione a quelli che hanno offeso, spogliato, ed ottenuta l’assoluzione dal Superiore che ha podestà di concederla; e se per loro sventura muoiono senza essersi riconciliati colla Chiesa, restano privi dell’ecclesiastica sepoltura, e di tutti i suffragi della Chiesa in sollievo dei trapassati. Spessissimo ancora si è veduto la scomunica produrre effetti sensibili sui colpevoli, quindi nei secoli di fede, i re, i potenti cuii popoli non hanno temuto nulla quanto questo folgore spirituale. Lo stesso Napoleone, che ostentava di sprezzare il fulmine che l’aveva percosso, erane per altro palesemente tormentato; rivolta ancora il suo esasperamento non conosceva misura. Negl’impeti del suo dispetto andava esclamando: Finalmente crede forse il Papa che la sua scomunica farà cadere le armi dal braccio de’miei soldati? Ora tutto il mondo sa che dall’epoca della comunica la stella di Napoleone cominciò ad impallidire, e che la sua vita divenne una serie continua di disastri. Di più gl’istorici della campagna di Russia, narrando la tremenda catastrofe, dicono tutti in precisi termini : Le armi cadevano dalle mani dei soldati. I filosofi non mancheranno di dire che fu il gelo e non la scomunica che faceva cader le armi di mano ai soldati. Ottimamente; ma il freddo chi lo aveva mandato? Chi fatto scendere il termometro a grado sì micidiale? Foste voi forse, o filosofi? Ovvero Colui che impera agli elementi con autorità più dispotico di quella di Napoleone alla grande armata? Quel Dio che tien soggetti gli elementi, è quegli stesso che disse alla Chiesa ed al Papa: Colui che disprezza voi, disprezza me medesimo: io stritolerò come vetro colui che ardirà resistermi. Né rivoluzioni, né civilizzazione, né possanza alcuna può togliergli o circoscrivere il suo potere. – Noi parleremo dei vantaggi che il nono articolo del Simbolo cattolico arreca alla società, allorquando spiegheremo i comandamenti della Chiesa.

Preghiera.

“O mio Dio, che siete tutto amore, io vi ringrazio di avermi reso partecipe di tutti i beni spirituali di vostra santa Chiesa; non vogliate giammai permettere ch’io meriti d’esserne privato. Mi propongo di amar Dio sopra tutte le cose e il prossimo come me stesso per amor di Dio, e in prova di questo amore, io amerò la Chiesa come un figlio ama la propria madre”.

Messa della Domenica III dopo Epifania

Introitus Ps XCVI:7-8

Adoráte Deum, omnes Angeli ejus: audívit, et lætáta est Sion: et exsultavérunt fíliæ Judae.

[Adorate Dio, voi tutti Angeli suoi: Sion ha udito e se ne è rallegrata: ed hanno esultato le figlie di Giuda]. Ps XCVI:1

Dóminus regnávit, exsúltet terra: læténtur ínsulæ multæ.

[Il Signore regna, esulti la terra: si rallegrino le molte genti].

Orémus. Omnípotens sempitérne Deus, infirmitatem nostram propítius réspice: atque, ad protegéndum nos, déxteram tuæ majestátis exténde. [Onnipotente e sempiterno Iddio, volgi pietoso lo sguardo alla nostra debolezza, e a nostra protezione stendi il braccio della tua potenza] – Per Dominum nostrum Jesum Christum …

Lectio

Léctio Epístolæ beáti Pauli Apóstoli ad Romános.

Rom XII:16-21

Fratres: Nolíte esse prudéntes apud vosmetípsos: nulli malum pro malo reddéntes: providéntes bona non tantum coram Deo, sed étiam coram ómnibus homínibus. Si fíeri potest, quod ex vobis est, cum ómnibus homínibus pacem habéntes: Non vosmetípsos defendéntes, caríssimi, sed date locum iræ. Scriptum est enim: Mihi vindícta: ego retríbuam, dicit Dóminus. Sed si esuríerit inimícus tuus, ciba illum: si sitit, potum da illi: hoc enim fáciens, carbónes ignis cóngeres super caput ejus. Noli vinci a malo, sed vince in bono malum. [Fratelli: Non vogliate essere sapienti ai vostri occhi: non rendete male per male: abbiate cura di fare bene non solo agli occhi di Dio, ma anche davanti agli uomini. Se è possibile, per quanto sta da voi, siate in pace con tutti: non difendete voi stessi, carissimi, ma date luogo all’ira. Sta scritto infatti: Mia è la vendetta: io farò ragione, dice il Signore. Se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare, se ha sete, dagli da bere: poiché, così facendo, radunerai carboni ardenti sopra la sua testa. Non voler esser vinto dal male, ma vinci il male col bene.]

Deo gratias.

Graduale Ps CI:16-17 Timébunt gentes nomen tuum, Dómine, et omnes reges terræ glóriam tuam.[Le genti temeranno il tuo nome, o Signore: tutti i re della terra la tua gloria]. V. Quóniam ædificávit Dóminus Sion, et vidébitur in majestáte sua. Allelúja, allelúja. [Poiché il Signore ha edificato Sion: e si è mostrato nella sua potenza. Allelúia, allelúia].

Ps XCVI:1 Dóminus regnávit, exsúltet terra: læténtur ínsulæ multæ. Allelúja. [Il Signore regna, esulti la terra: si rallegrino le molte genti. Alleluja.].

Evangelium

Sequéntia sancti Evangélii secúndum Matthaeum.

Gloria tibi, Domine!

Matt VIII:1-13

In illo témpore: Cum descendísset Jesus de monte, secútæ sunt eum turbæ multæ: et ecce, leprósus véniens adorábat eum, dicens: Dómine, si vis, potes me mundáre. Et exténdens Jesus manum, tétigit eum, dicens: Volo. Mundáre. Et conféstim mundáta est lepra ejus. Et ait illi Jesus: Vide, némini díxeris: sed vade, osténde te sacerdóti, et offer munus, quod præcépit Móyses, in testimónium illis. Cum autem introísset Caphárnaum, accéssit ad eum centúrio, rogans eum et dicens: Dómine, puer meus jacet in domo paralýticus, et male torquetur. Et ait illi Jesus: Ego véniam, et curábo eum. Et respóndens centúrio, ait: Dómine, non sum dignus, ut intres sub tectum meum: sed tantum dic verbo, et sanábitur puer meus. Nam et ego homo sum sub potestáte constitútus, habens sub me mílites, et dico huic: Vade, et vadit; et alii: Veni, et venit; et servo meo: Fac hoc, et facit. Audiens autem Jesus, mirátus est, et sequéntibus se dixit: Amen, dico vobis, non inveni tantam fidem in Israël. Dico autem vobis, quod multi ab Oriénte et Occidénte vénient, et recúmbent cum Abraham et Isaac et Jacob in regno coelórum: fílii autem regni ejiciéntur in ténebras exterióres: ibi erit fletus et stridor déntium. Et dixit Jesus centurióni: Vade et, sicut credidísti, fiat tibi. Et sanátus est puer in illa hora. [In quel tempo: Essendo Gesù disceso dal monte, lo seguirono molte turbe: ed ecco un lebbroso che, accostatosi, lo adorava, dicendo: Signore, se vuoi, puoi mondarmi. Gesù, stesa la mano, lo toccò, dicendo: Lo voglio. Sii Mondato. E tosto la sua lebbra fu guarita. E Gesù gli disse: Guarda di non dirlo ad alcuno: ma va, mòstrati ai sacerdoti, e offri quanto prescritto da Mosè, onde serva a loro di testimonianza. Entrato poi in Cafàrnao, andò a trovarlo un centurione, raccomandandosi e dicendo: Signore, il mio servo giace in casa, paralitico, ed è malamente tormentato. E Gesù gli rispose: Verrò, e lo guarirò. E il centurione disse: Signore, non son degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ solo una parola e il mio servo sarà guarito. Perché anch’io, sebbene soggetto ad altri, ho sotto di me dei soldati, e dico a uno: Va, ed egli va; e all’altro: Vieni, ed egli viene; e al mio servo: Fai questo, ed egli lo fa. Gesù, udite queste parole, ne restò ammirato, e a coloro che lo seguivano, disse: Non ho trovato fede così grande in Israele. Vi dico perciò che molti verranno da Oriente e da Occidente e siederanno con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, ma i figli del regno saranno gettati nelle tenebre esteriori: ove sarà pianto e stridore di denti. Allora Gesù disse al centurione: Va, e ti sia fatto come hai creduto. E in quel momento il servo fu guarito.]

Laus tibi, Christe!

Omelia della Domenica III dopo l’Epifania

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. I -1851-]

(Vangelo sec. S. Matteo VIII, 1-13)

Volontà di salvarsi

Un povero lebbroso andava in cerca di Gesù Nazzareno, spinto dal desiderio di ricuperare la perduta sanità. Quando opportunamente lo vede discendere dal declive d’un monte, seguitato da numerosa turba, e fattosi a Lui incontro, proteso a terra profondamente L’adora. Indi alzato il capo, le mani e la voce, “Signore, Gli dice, se Voi volete, io son guarito, il potere non manca: basta un atto di vostra volontà; “Domine, si vis, potus me mundare”. In vista di tanta umiliazione, di tanta fede, stende la mano il pietoso Signore, e “tu, gli risponde, mi chiedi se voglio mondarti, e ciò è appunto che voglio. Orsù resta mondo”, “volo mundare”. E così avvenne sull’istante. “Vattene, soggiunse poi, presentati al sacerdote, ed offerisci al Tempio quel che da Dio vien prescritto nella legge di Mose”. Fin qui un tratto dell’odierno Vangelo, in cui due cose naturalmente si presentano alla nostra riflessione; cioè la volontà del lebbroso in cercar la sua guarigione, e in procurarsela co’ modi più moventi ed efficaci, e la volontà dei divin Redentore, manifestata con quell’imperioso “volo”, e compiuta coll’istantaneo prodigioso risanamento di quell’infelice. Da ciò dobbiamo apprendere, uditori miei, che per conseguire la nostra eterna salvezza, sono necessarie due volontà: quella di Dio, e la nostra. Quella di Dio è sempre pronta, la nostra sovente manca. Sono questi i due riflessi, che meritano tutta la nostra applicazione. La volontà di Dio è sempre disposta e pronta a salvarci. Dio vuole che tutti si salvino, “vult omnes homines salvos fieri” (ad Tim. II, 4). Di questa sua volontà ci ha Egli dato prove? Infinite! Noi eravamo per l’originale peccato figli d’ira, vasi di riprovazione, e secondo la frase di S. Agostino, una “massa dannata”. Dio Padre, mosso a pietà di noi, diede il proprio Figlio riparatore dei nostri mali, e vittima de’ nostri falli; ed Egli discese dal cielo per liberarci dalle catene del peccato, e dalla schiavitù del demonio. “Propter nos homines, et propter nostram salutem descendit de coelis” (Symb. Nic.). Osservate pertanto quel Dio fatto uomo nella capanna di Bettelemme, quelle lacrime che sparge sono sparse per lavarci dalla lebbra immonda delle nostre colpe; quel sangue che versa fin da’ primi giorni nella sua circoncisione, è il balsamo per le nostre ferite. – OsservateLo in Gerusalemme nella Galilea, nella Palestina, ove ammaestra i discepoli, istruisce i popoli, catechizza le turbe, e ovunque sparge colla sua predicazione i semi dell’Evangelica sua dottrina, e cogli stupendi prodigi i lampi della divinità, che in Lui si asconde. E tutto ciò a fine di farsi conoscere per nostro liberatore, maestro e guida; onde seguendo le sue pedate, arriviamo per istrada sicura all’esenta salute. OsservateLo finalmente nell’orto dei suoi languori sudante sangue, nel pretorio da ogni parte grondante sangue, sul Calvario dalle piaghe e dal cuor trafitto versante sangue fino all’ultima stilla, e poi dite, di questo suo sangue Gesù Cristo ha formato un bagno salutare per lavarci dalla macchia dell’originale peccato; ed a riparo dell’innocenza perduta ha aperto un altro bagno dello stesso suo sangue nel Sacramento della penitenza, Battesimo secondo, seconda tavola dopo il naufragio. Che vi pare di queste prove? doveva forse far di più per dimostrarci la volontà che ha della nostra salvezza? – Poco forse vi muovono le indicate prove, perché universali, estese a tutto il genere umano? Seguite ad ascoltarmi. Siete voi nel numero degl’innocenti, o de’ penitenti, o de’ peccatori? Se siete innocente, ditemi: “chi vi conservò illibata la candida stola della battesimale innocenza?” Chi vi ha liberato da’ tanti pericoli del mondo e della carne? È Dio, che vi fe’ sortire un’anima buona, un’indole inclinata al bene, un’ottima educazione cristiana; è desso che colle sante ispirazioni, coi lumi della sua fede, cogli aiuti della sua grazia regolò i vostri passi, i vostri affetti, le vostre azioni. Desso è che vi ha tenuto lontano da tante occasioni nelle quali avrebbe fatto naufragio la vostra innocenza. Desso è finalmente che, in mezzo ai lacci e agli scandali d’un secolo così pervertito, vi ha difeso come un giglio fra le spine, come Lot fra le abominazioni di Sodoma: dunque Dio vi vuol salvo! Siete penitente? Or bene chi fu il primo a richiamarvi dalla via di perdizione? chi v’ispirò di tornare a’ suoi piedi? chi vi die’ forza a risolvervi? Chi vi die’ grazia di vomitare il veleno de’ vostri peccati a pie’ del confessore? Chi medicò le vostre ferite? Gesù, Samaritano pietoso, col vino della sua sapienza, coll’olio della sua misericordia! Ei vi accolse al suo seno come un altro fìgliuol prodigo, vi diede un bacio di pace, e vi rivestì della stola prima, cioè della grazia santificante. Dunque Dio vi vuol salvo! Se poi siete peccatore non ancor ravveduto, ditemi da chi vengono quelle interne voci che vi chiamano a penitenza? Da chi sono eccitati i rimorsi, che v ‘inquietano nelle vegliate notti, che vi amareggiano ne’ tediosi giorni, che vi avvelenano gli stessi vostri piaceri, che vi fan toccar con mano che il peccato non può farvi contento? Dalla divina misericordia partono questi colpi, la quale vi vola d’intorno, come provò S. Agostino, e vi assedia, e amaramente vi affligge con tetre apprensioni, con nere malinconie massime in quel tempo che una sventura vi attrista, che una febbre vi crucia, un dolor vi tormenta, una grave infermità vi minaccia di morte vicina. Son questi finissimi tratti della bontà di un Dio, che non vi perde di vista, che tutta adopera i mezzi per farvi uscire dal vostro misero stato e vi molesta per consolarvi, e vi ferisce per risanarvi, perché in fine sazio e mal contento del mondo, del peccato e di voi stesso, cerchiate in Lui la pace che non avete, la felicità che aver non potete, se non in Lui. Dunque Dio vi vuol salvo! A finirla, siete una pecorella innocente? È Gesù buon pastore, che vi custodì nel suo gregge. Siete pecorella ritornata da’ vostri traviamenti? È Gesù buon pastore che sugli omeri suoi vi riportò all’ovile. Siete pecora ancora errante? È Gesù buon pastore, che vi tien dietro, e vi chiama a sé, perché non andiate in bocca al lupo infernale. Dunque, ripetiamolo ancor una volta: Dio vi vuol salvo!

II. “S’è così, ripigliate voi, noi abbiamo in pugno la nostra salvezza. Dio ci vuol salvi, noi vogliamo salvarci, e chi è quello stolto che non voglia salvarsi? dunque la nostra salvezza sarà sicura”. Sicura sarà se avrete una volontà decisa, efficace, operante. Una volontà astratta, superificiale, oziosa non vi salverà. Siccome vi sono delle monete legittime, e delle false, così v’è una volontà vera, ed una fallace. Come faremo a distinguerle facilmente. L’oro si conosce alla prova del fuoco, la volontà si distingue alla prova del fatto. Perché Iddio ha una vera volontà di salvarci, abbiamo veduto poc’anzi quanto abbia fatto, e quanto fa continuamente per noi. Veniamo dunque all’opere, se ci preme la nostra salute. Voi pertanto, anime innocenti, allontanatevi da’ pericoli del tristo mondo, adempite i doveri del vostro stato, frequentate le Chiese e i Sacramenti, regolatevi colle massime della fede, fortificatevi colle incessanti preghiere, perseverate nel bene e vi salverete! Voi penitenti cristiani, piangete i vostri trascorsi, ed il vostro pianto vi accompagni fino all’ultimo de’ vostri respiri, fuggite le occasioni pericolose, soddisfate la divina giustizia colle opere di penitenza, mortificate i vostri sensi, raffrenate le vostre passioni, la mutazione del vostro cuore si manifesti col cambiamento de’ vostri costumi, perseverate nell’intrapresa via di penitenza, e vi salverete. Voi peccatori, fratelli miei cari, ancor macchiati da colpa, ancor coperti di lebbra, imitate il lebbroso del presente Vangelo, gettatevi a’ piedi di Gesù, portatevi a’ pie del sacerdote, tuffatevi nel bagno formato dal sangue dell’immacolato Agnello di Dio nella sacramental confessione, e sarete guariti, e Dio vi salverà. Non vi sentite acconci di farlo? dunque non volete salvarvi! Costantino imperatore, carico di schifosa lebbra, consultò per liberarsene i più valenti medici del suo impero, ed essi gli consigliarono un bagno di sangue di fanciulli lattanti, in cui dovesse immèrgersi, e ricuperare la pristina salute. Questo crudel consiglio, questo crudelissimo bagno, non ebbe effetto; poiché gli apparì S. Pietro, gli propose un bagno migliore nel santo Battesimo, ove acquistò la salute dell’anima e del corpo. Fingete però che si fosse eseguito, immaginatelo presente. Che orrore! Chi può soffrir la vista di quel sangue innocente, caldo, fumante? “Spogliati barbaro imperatore”. Che mi spogli? l’aria fredda, la stagione cruda, non mi sento per ora, più tosto … ah disumano, ah mostro di crudeltà! dunque per così poco tu rendi inutile il dolor di tante madri, il sangue di tanti bambini? Deh cessiamo dalle invettive in un supposto accidente, rivolgiamole contro di noi in un fatto vero. Gesù Cristo ha dato tutto il suo sangue, ne ha formato un mistico bagno nel Sacramento di penitenza per darci vita e salute, e noi per non spogliarci di un abito cattivo, per risparmiare un incomodo, rifiutiamo un tanto e così necessario rimedio? Dunque non vogliamo salvarci! – Se il Signore ci comandasse aspre, difficili cose pure per la salute eterna converrebbe eseguirle. Quanto si soffre per la salute del corpo? Rigorose diete, amare bevande, tagli di membra, dolori di spasimo; e per l’anima si ricusa un rimedio così consolante, qual è chiedere a Dio perdono col cuor contrito, e scoprire le proprie piaghe a chi tiene il suo luogo? “Se il Profeta Eliseo (dissero i cortigiani al loro principe Naaman Siro), se Eliseo per guarirvi dalla lebbra v’avesse ordinato una cura lunga, ardua, penosa, dovreste intraprenderla; ma una cosa sì agevole,qual è il lavarsi nel fiume Giordano, perché non praticarla?” Si arrese il principe al saggio consiglio, e doppiamente fu risanato, nel corpo cioè e nello spirito. Un esito egualmente felice dobbiamo sperare dal Sacramento della penitenza. Più dell’acque del Giordano è salubre il sangue dei Redentore. – Lavati così nei fonti del Salvatore, ecco quel che far ci resta, fedeli amatissimi, apprendetelo dalla bocca di Gesù Cristo. Un certo giovane Gli domandò che far doveva per conseguire la vita eterna, “si vis, gli rispose, ad vitam ingredi, serva mandata” (Matth. XIX, 17). Ponderate bene queste divine parole : “si vis”, se tu vuoi entrare nell’eterna vita, osserva i comandamenti; se tu vuoi, e veramente vuoi, tu mi darai prove del tuo volere coll’osservanza de’ divini precetti. – Altrettanto ripete a ciascun di noi. Volete salvarvi? ecco la necessaria condizione, osservate la legge di Dio! Ma se invece bestemmiate il suo santo Nome, se non santificate le feste, se per santificarle vi contentate d’una Messa sentita in piedi, cogli occhi in giro, colla mente altrove, se usurpate la roba d’altri, se non restituite, se odiate il prossimo, se gli togliete la fama, se non lasciate il giuoco, il ridotto, la scandalosa amicizia, non state a dire che volete salvarvi, perché direte bugia, perché smentite col fatto quel che pronunziate colla lingua. La strada non passa. Quel Dio, dice S, Agostino, che ha creato voi senza di voi, non vuol salvare voi senza di voi. “Qui creavit te sine te, non salvabit te sine te”. Iddio per crearvi non ha avuto bisogno di voi, vi ha tratto dal nulla, con un sol atto di sua volontà; ma per salvarvi, e assolutaménte vuole, che alla sua volontà sia unita la vostra, con eseguire in tutto la sua santissima volontà. Non vi sentite, non volete farlo? Dunque non volete salvarvi, non vi salverete! – Concludiamo, e mi sia permesso servirmi d’un detto tratto dalla storia non sacra. Ne’ passati secoli, e nella nostra Europa eravi forte guerra tra due possenti monarchi; e com’è costume di tutti i tempi, tra i novellisti e geniali si teneva diverso partito, e la futura vittoria chi la voleva per l’uno, chi per l’altro sovrano. Interrogato su di ciò un principe neutrale, qual di quei due credeva sarebbe il vincitore, rispose: “vincerà quegli a cui presterò la mia spada”. Cristiani amatissimi, tra Dio e il demonio, a nostro modo d’intendere, passa una forte guerra contro dell’anima nostra. Iddio la vuole per sé, e come abbiam veduto, ne ha dato i più evidenti contrassegni, il demonio la vuol sua, e fa tutti i suoi sforzi. Chi la vincerà? senza alcun dubbio colui la vincerà, al quale presteremo la nostra spada, a cui uniremo la nostra volontà. – Se unita la volontà nostra è con quella del demonio, volendo persistere nel peccato, noi siam perduti. Sarà unita a quella di Dio colla fedele osservanza della sua santa legge? Noi sarem salvi!

Credo ….

Offertorium

Orémus Ps CXVII:16; CXVII:17 Déxtera Dómini fecit virtutem, déxtera Dómini exaltávit me: non móriar, sed vivam, et narrábo ópera Dómini. [La destra del Signore ha fatto prodigi, la destra del Signore mi ha esaltato: non morirò, ma vivrò e narrerò le opere del Signore.]

Secreta Hæc hóstia, Dómine, quaesumus, emúndet nostra delícta: et, ad sacrifícium celebrándum, subditórum tibi córpora mentésque sanctíficet. [Quest’ostia, o Signore, Te ne preghiamo, ci mondi dai nostri delitti e, santificando i corpi e le ànime dei tuoi servi, li disponga alla celebrazione del sacrificio.]

Communio Luc IV:22

Mirabántur omnes de his, quæ procedébant de ore Dei. [Si meravigliavano tutti delle parole che uscivano dalla bocca di Dio.]

Postcommunio

Orémus. Quos tantis, Dómine, largíris uti mystériis: quaesumus; ut efféctibus nos eórum veráciter aptáre dignéris. [O Signore, che ci concedi di partecipare a tanto mistero, dégnati, Te ne preghiamo, di renderci atti a riceverne realmente gli effetti.]