LETTERA DECIMASECONDA.
7 dicembre.
Mio caro Federico
Il segno della croce nulla ha perduto della sua forza, e della sua necessità. È vero: i tiranni sono morti, e gli anfiteatri cadono in rovina, il segno della croce ha trionfato degli uni e degli altri; ma se i secondi non più si levano dalle loro ruine, i primi, di tanto in tanto, sortono dalle loro tombe. La razza de’ Neroni non sarà giammai estinta, e la più terribile deve ancora venire! – Con un furore antico, quelli, che sono apparsi di poi i Cesari, hanno decimato i cristiani; quest’altra razza parimente immortale, è razza consacrata alla morte, come dice Tertulliano, “expeditum morti genus”. Quanto hanno fatto ieri in occidente, e quello che fanno oggi in oriente, potranno farlo domani daportutto dove comandano. Avviso a’ combattenti: nessuno dimentichi ove trovasi la sorgente della forza! Attendendo, ricorda, caro amico, che la pace ancora ha i suoi martiri, “habet et pax martyres suos”. Qual è l’uomo che non ha uno, o più Neroni? V’ha un giorno della sua vita ragionevole, e ancora un’ora, in cui egli non debba vegliare, o combattere? Che dico? venti volte al giorno degli oggetti seducenti si presentano ai suoi sguardi, de’ pensieri non buoni importunano il suo spirito, i sensi in rivolta solleticano il suo cuore a vili tradimenti. Oh! che egli ha bisogno di forza! Dove la troverà? Nel segno della croce. – La testimonianza de’ secoli, l’esperienza de’ veterani e de’ coscritti della virtù, attestano oggi, come ieri, il sovrano potere del segno divino, per dissipare gl’incanti seduttori, scacciare i pravi pensieri e reprimere i movimenti della concupiscenza. Ascolta il poeta de’ martiri, Prudenzio, che conobbe ad un tempo i dettagli dei loro trionfi ed il segreto delle loro vittorie. « Quando all’invito del sonno tu cerchi il casto letto, segna della croce la tua fronte ed il tuo cuore. La croce ti preserverà d’ogni peccato: le potenze infernali fuggono al suo cospetto; l’anima santificata per essa, non sa vacillare » – “…. Fac cum vocante somno Castum petis cubile, Frontem locumque cordis Crucis figura signet; Crux pellet omne crimen, Fugiunt crucem tenebra;. Tali dicata signo Mens fluctuare nescit”. Àpud S. Greg. Turón, lib. I Miracul c. 106. – Ascolta ancora il capo della eterna battaglia. I grandi genii e gran santi peritissimi dell’arte della guerra spirituale, che si chiama ascetismo, tutti non hanno che una sola voce per esortare i soldati cristiani all’uso del segno della croce. « Senti il tuo cuore infiammarsi? dice san Giovanni Grisostomo: fa il segno della croce sul petto, e all’istante istesso la collera si dissiperà al pari del fumo» [“Si succendi cor tuum senseris, pectus continuo signaculo crucis signato, et ira illieo tamquam pulvis dissipabitur”. (S. Joan. Chris. Rom.il. 88 in Matth.]. – E sant’Agostino: « Amalec vostro nemico, cerca di sbarrarvi la strada e d’impedirvi l’Avanzare? Fate il segno della croce, sarà vinto » [“Si adversarius Amalecita iter intercludere atque impedire conabitur, pro reverentissima extensione brachiorum e-jusdem crucis indicio superetur.” (S. August. Homil, 20, lib. 50, Bomil.J. ]. Ed il gran servo di Dio, Marco, che predice all’imperatore Leone l’ora della morte. « Per propria esperienza conosco come siffatto segno dissipi le interne guerre, e produca la sanità dell’anima. Immediatamente dopo il segno della croce la grazia opera: tutto si calma » [“Statini post Signum crucis gratia sic operatur : sedat omnia membra pariter et ror.” (Biblioth. PP. toni. V.)]. – San Massimo di Torino: «Dal segno della croce noi dobbiamo attendere la guarigione delle nostre ferite. Se il veleno dell’avarizia si sparge nelle nostre vene, facciamo il segno della croce, ed il veleno sarà cacciato. Se lo scorpione della voluttà ci punge, facciamo ricorso allo stesso mezzo, e noi guariremo. Se gl’immondi pensieri della terra cercano insozzarci, facciamo il segno della croce, e noi vivremo vita divina » [Apud S. Ambros. Serm. 55]. -San Bernardo : « chi è l’uomo si padrone de’suoi pensieri da non averne d’impuri? Ma son da reprimere i loro attacchi, e tosto, per vincere l’inimico là dov’egli sperava 4rionfare. L’infallibile mezzo per riuscirvi è fare il segno della croce » [De passione Dom. c. XIX, ti. 65]. – San Pier Damiano : « Se per caso sperimentate che un pensiero non buono sorga nel vostro spirito, operate col pollice il segno della croce, e siate certi che tosto svanirà » [“Cum pravam tibimet cogitationem esse persenseris, e x – tento police protinus, cor tuum signare festines, certus etc (Institut. Monast.)]. – Il pio Teberlh: “Niente v’ha di più efficace, che il segno della croce, per dissipare le tentazioni per quanto siano disonorevoli” [“Signo crucis nihil efflcacius ad turpes effugandas tentationes”. (lib. viar. Domin. c. XXI)]. – Riassumiamo tutte queste testimonianze: « Qualsiasi la tentazione, che ci appéna, conchiude san Gregorio di Tours, noi dobbiamo respingerla. Epperò fate, non vigliaccamente ma con coraggio il segno della croce o sulla vostra fronte, o sul vostro petto » [“Viriliter et non tepide Signum vel fronti, vel pectori salutare superponas”. (S. Greg. Tur. ubi supra)]. – Se fosse mestieri confermare con la storia quanto tu leggi, mille fatti lo confermerebbero. Un solo basti. È la rivelazione di che fu favorito un santo monaco a nome Patroclo, con la quale Iddio gli manifestò la potenza sovrana di questo segno contro le tentazioni. – Un di il demonio trasformandosi in angelo di luce si mostrò al venerabile abate, e con parole d’ogni maniera di astuzia gli consigliava lasciare la solitudine e tornare al mondo. L’uomo di Dio sentendosi correre per le vene come un fuoco, si prostese sul suolo e pregò il Signore, perché eseguita fosse la sua volontà. La preghiera è accolta. Un angelo gli appare, e siffattamente gli parla: “Se tu vuoi conoscere il mondo, ascendi questa colonna e tu saprai quel che si sia. Rapito in estasi il pio solitario crede avere dinanzi a sé una colonna di prodigiosa altezza, e l’ascende. Dal sommo di essa vede omicidi, furti, massacri, fornifìcazioni e tutti i delitti del mondo. Ah! esclama, Signore non permettete che io torni in un luogo di tante abominazioni. E l’angelo a lui: Cessa adunque dal desiderare il mondo, per non perire con lui; invece corri nel tuo oratorio, prega il Signore che ti dia con che sostenerti nel mezzo delle prove del tuo pellegrinaggio. Detto, fatto: trovò un segno di croce scolpito in un mattone, e tosto comprese il dono di Dio, e che questo segno è inespugnabile fortezza contro le tentazioni [Greg. Turon, Vita Patr., c. 9]. – Un martire della guerra, o un martire della pace: ecco l’uomo lungo il corso della vita. Ed alla morte che cosa è egli? Vedi questo infermo in preda al dolore ed abbandonato dal mondo, circondato da’ soli parenti ed amici impotenti a soccorrerlo? Per lo passato il tempo che fugge; per l’avvenire, l’eternità che si avanza, in cui sentasi trascinato, senza che alcuna potenza umana possa ritardare il momento della partenza, e addolcire le agonie del viaggio. – Questo malato, sei tu, mio caro, sono io, è ogni uomo ricco o povero che sia, suddito o monarca. Se lungo le guerre della vita noi abbiamo bisogno di lume, di forza, di consolazione e di speranza, dimmi, se un tal bisogno non cresce di mille tanti nelle lotte decisive della morte? E bene, il segno della croce opera tutto ciò. Per questa nuova considerazione desso fu caro ai nostri avi, e dev’esserlo ancora a noi. Come i martiri andando all’ultima battaglia non mancavano di fortificarsi col segno della croce, cosi i veri cristiani de’ secoli passati facevano ricorso a questo medesimo segno, per addolcire i dolori e santificare la loro morte: citiamo qualche esempio. – Parlando della sua diletta sorella, santa Macrina, ch’egli stesso assisté negli estremi momenti della vita, san Gregorio Nisseno cosi si esprime: « Ella diceva: Signore, per mettere in fuga l’inimico, e proteggere la loro vita, voi avete dato a quelli, che vi temono, il segno della croce. E pronunziando tali parole ella formava il segno adorabile sopra i suoi occhi, le labbra ed il cuore » [Vita di santa Macrina]. – I primi cristiani alcune volte a vece di fare il segno della croce con la mano sul punto di morire, lo facevano distendendo le braccia, e ciò appellavano il sacrifizio della sera, “sacrifìcium vespertinum”. A questo modo di fare il segno della croce Arnobio applica le parole del Salmista: L’elevazione delle mani è il mio sacrifizio della sera. Egli dice, che tale sia il nostro sacrifizio della sera, voglio dire della sera della vita, quando tutta la nostra attenzione è da porre ad elevare le nostre mani in croce, per consolarci nel Signore, nel momento, che corriamo a lui [“Tunc enim in sacrificio vespertino sumus. Ibi est tota nostra cogitationis ponenda intentio, ut levantes manus nostras, in signo crucis, dum ad Dominum pergimus, gratulemur in Christo Jesu”. (In Ps. CXL)]. – In pari attitudine morì Paolo il patriarca del deserto, come lo trovò Antonio [“Introgressus speluncam, vidit gcnibus complicatis, e recta cervice, extensisque in altum manibus, corpus exanime” (S. Hieron. De Vita S. Pauli).] – Né altrimenti san Pacomio: « Essendo sul punto di morire, scrive lo scrittore della sua vita, egli si armò del segno della croce, vide con grande gioia un angelo di luce venire a lui, e rese la sua santa anima a Dio » [Vita di S. Pacomio. c. 53]. – Della stessa maniera morì santo Ambrogio. « L’ultimo giorno di sua vita, scrive il prete Paolino,’ da poi circa l’undecima ora, fino a che egli rese l’anima, pregò con le mani distese in croce » [“Eodem tempore quo migravit ad Dominum, ab hora circiter undecima diei, usque ad illam horam qua emisit spiritum expansis manibus in modum crucis, oravit. – Paulin. in Vit. S. Ambr.]. – Da Milano passiamo a Costantinopoli. Ecco un altro Vescovo che muore. Santo Eutichio, dice il suo istoriografo, fu preso da violenta febbre verso la metà della notte, e restò per ben sette giorni in tale stato, non cessando di pregare e di fortificarsi col segno della croce [“Vehementi febre circa mediam noctem correptus e s t: atque ita mansit septem dies, assidue precibus incumbens. Seque signo crucis muniens”. (Apud Sur. 2. Jul.)]. – Compiamo il nostro viaggio in Francia ed assistiamo alla morte di qualche nostro re. Arrestiamoci ad Aix-la-Chapelle per vedervi morire il grande imperatore: L’indomani giunto, dice un Vescovo testimone oculare, Carlo Magno sapendo quel che dovesse fare distese la destra e come poté, si segnò la fronte, il petto e tutto il corpo [“Incrastinum vero, luce adveniente, sciens quod facturus erat, extensa manu dextra, virtute, qua poterat, signum sánelas crucis fronti impressit, et super pectus et omne corpus consignavit”. (Thegan. De Gestis. Ludov. Imper.)]. Tale doveva essere la morte di questo grande uomo. E suo figlio Luigi il Pio, disposti gli affari, ordinò che si recitasse presso di lui l’uffizio della notte, e che sul suo petto si mettesse una reliquia della croce, e lungo questo tempo, come le forze glielo permettevano, egli faceva il segno della croce sulla fronte e sul petto, e quando era stanco pregava il fratello di continuare [“His peractis et dictis, præcepit ut ante se celebrarentur vigilia? nocturnas, et tigno sanctae crucis pectus munirete; et quamdiu manu propria tarn frontem quara pectus eodem si gnáculo insignibat. Si quando lassabatur per manus fratris sui natu id fieri poscebat”. (Apud Gretzer, lib. IV, c. 26, p. 618)]. – Veniamo ad uno de’ suoi più degni successori, il buon re Roberto. Negli ultimi giorni di sua vita, egli non rifiniva dall’implorare il soccorso de’ santi del cielo col gesto e con la voce; si fortificava col segno della croce sulla fronte, su gli occhi, sulle narici e le labbra, sulla gola e gli orecchi, in memoria della Incarnazione, della Natività, della Passione, Risurrezione, dell’Ascensione del Signore, e della venuta dello Spirito Santo. Una tale consuetudine era stata conservata da questo principe in tutta la sua vita, e giammai trasandò d’aver con lui dell’acqua benedetta [“Dei sanctis in auxilium suum venire, voce, signis inde sinenter orabat, muniens se semper in fronte et in oculis, naribus et labiis, gutture et auribus, per signum sanctæ crucis, memoria Dominica; incarnationis, nativitatis, passionis, resurrectionis et ascensionis et Spirltus Sancti. Habuit hoc ex more in vita; cui nunquam defuit volúntate aqua benedicta”. (Helgald. in Epitom. vit. Robert)]. – Citiamo ancora Luigi il Grosso. Vedendosi presso a morte, fece stendere un tappeto sulla terra, e sopra di esso spargere della cenere in forma di croce, e fattosi deporre da’ suoi uffiziali su di questo letto di morte, che gli ricordava quello del re del Calvario, il virtuoso monarca non cessò di fare il segno della croce fino all’ultimo respiro [“Elevata aliquantulum manu omnes benedixit, rogavitque adstantes episcopo! ut sanctissimis suis manibus cum crucis signo communirent”. Aipud Sur. 25 maii]. Per finire, morire come un Dio v’ha forse qualche cosa che disonori? Quel che disonora è morire senza comprendere la morte, morire con la insensibilità delle bestie. – Tu hai visto i martiri pregare i loro fratelli di segnarli del segno della croce innanzi morissero, se da per sé non lo potessero eseguire; ora i nostri avi facevano del pari morendo di morte naturale. Oltre l’esempio di Luigi Debonnaire che tu hai letto; voglio ricordartene qualche altro de’ primi secoli, dessi mostrano la continuazione della tradizione. – San Zenobio, amicissimo di santo Ambrogio, sul punto di terminar la sua vita con una morte preziosa, elevò le mani e fece il segno della croce su quanti Io circondavano; quindi pregò i vescovi di fare sopra di lui con le mani consacrate il segno della forza, della speranza e della salute [S. Elig. De rectitud. catech. etc. inter opp. S. August. tom. VI]. – Dal letto di un prete passiamo al talamo di un semplice fedele. Una giovane con rispettoso affetto assiste la tenera ed illustre madre. Oggi quasi tutti usano prestare a’ loro più cari infermi delle cure materiali, si farebbero coscienza di trasandare la minima prescrizione del medico, ma l’assistenza cristiana? Le prescrizioni del divin medico, e della Chiesa nostra madre? qual è la loro sollecitudine a compierle? I nostri avi più intelligenti e migliori di noi a queste cure univano quelle dell’anima. A Bethelemme l’illustre figlia de’ Fabii muore. Presso del letto è Eustachio, degna figlia di tal madre. Che cosa fa quest’angelo di tenerezza ? « Dessa non cessa, dice san Girolamo, dal fare il segno della croce sulle labbra e sul petto di sua madre, studiando di addolcire le sue sofferenze con l’impressione del segno consolatore » [“Eustochium Paulæ matris os stomachumque signabat, et matris dolorem crucis impressione nitebatur lenire”. – S. Hier. in Epitaph. Paulae]. – Tu il vedi: nella vita ed alla morte il segno della croce era presso i nostri avi il mezzo costantemente usato per ottenere a sé ed agli altri lume, forza, rassegnazione, coraggio e speranza. Il segno della croce è dunque gran cosa! esclamava un testimone di questi ammirabili effetti: “Magna res signum crucis” [Apud Sur. 10 Aug.]! Domani noi vedremo la sua efficacia in un nuovo ordine di cose.
LETTERA DECIMATERZA.
8 dicembre.
Povero nell’ordine spirituale l’uomo non l’è meno nell’ordine temporale : il suo corpo e l’anima non vivono che di accatto. Fra i beni necessarii al corpo ve n’hanno due, mio caro, che voglio ricordarti : la sanità, e la sicurezza. Il segno della croce ci procura con efficacia l’una e l’altra. – La sanità. Il Verbo eterno è la vita vivente e vivificante. L’evangelo parlandoci di Lui quando viveva nel mezzo degli uomini ci dice una parola quanto semplice, altrettanto sublime : Una virtù emanava da lui che guariva tutte le infermità; “virtus de illo exibat et sanabat omnes”. L’istoria c’insegna che questa parola può intendersi a cappello del segno della croce. – Che i primi cristiani si servissero del segno della croce a guarire le malattie, nulla v’ha di meglio dimostrato. San Cirillo e san Giovanni Crisostomo, uno patriarca di Gerusalemme e l’altro di Costantinopoli, affermano con ogni asseveranza, che il segno della croce continuava a guarire le infermità e i morsi delle bestie feroci al loro tempo, come all’epoca de’ loro maggiori [“Hoc Signum ad hodiernum diem curat morbos”. (Cateeh. XIII; S. Cris., hom. 54, in Math.]. – Veniamo alle prove: Tutti i sensi dell’uomo sono soggetti a delle infermità. Cominciamo dal più nobile, la vista. Se invece d’impallidire di continuo su gli autori pagani i giovani leggessero gli atti de’ martiri, troverebbero in quelli di san Lorenzo il gran miracolo, che ancora celebra la Chiesa, qui per signum crucis coecos illuminavit. L’illustre arcidiacono di Roma era entrato in una casa di un cristiano, dove trovavasi il cieco Crescenzio. Questi distruggendosi in lagrime si gettò ai suoi piedi dicendo: “Mettete la vostra mano sugli occhi miei, perché io veda”. Il beato Lorenzo profondamente commosso gli risponde: “Il nostro signore Gesù, che ha aperti gli occhi al cieco, ti doni la vista”. E si dicendo, fa il segno della croce su gli occhi di Crescenzio, che tosto vide la luce ed il beato Lorenzo [Vita del santo scritta da S. Oven vesc. di Raven, c. XXIX]. – Il dotto Teodoreto ci racconta quanto segue della propria madre: « Mia madre aveva tale una infermità negli occhi, che inutilmente la medicina aveva posto in uso tutti i suoi mezzi contro di essa. Tutti i vecchi volumi ed autori interrogati, nessuno dava mezzo a guarirne. In tale stato noi eravamo, quando un’amica venne a vedere mia madre, e le parlò d’un certo santo uomo per nome Pietro, e contolle d’un miracolo da esso operato. Ella diceva: La moglie del Governatore d’Oriente era affetta dallo stesso male: si diresse a Pietro dimorante a Pergamo, « questi la guarì pregando per lei, e facendo sopra di essa il segno della croce. Mia madre non perde un istante; corre per l’uomo di Dio, si getta ai suoi piedi e lo prega della guarigione. E questi a lei: “Io non sono che un povero peccatore, io non ho punto presso Dio il potere che voi credete”. Mia madre raddoppia le preghiere, e lagrimando protesta che non partirebbe se non guarita. Dio, riprese Pietro, è il medico di questi mali; egli esaudisce quelli che credono. Desso vi esaudirà non per i miei meriti, ma per la vostra fede. Se questa è in voi vera, sincera, pura e senza esitazione, trasandate medici e medicine, ed accettate il rimedio che Dio vi offre. Si dicendo, distese la mano su l’occhio, e fattovi il segno della croce il male disparve » [“Haec cum dixisset, manum imposuit oculo, et salutane crucis signo facto, morbum expuiit”. [Hist. ss. Patr. in Petr.]. – De’ fatti men lontani da noi ti mostreranno che questo segno attraversando i secoli non ha mai cessato di essere il migliore degli oculisti. S. Eloi vescovo di Noyon, passando uno de’ ponti di Parigi, guarì un cieco, che invece di chiedergli un soccorso, lo pregò che lo segnasse su gli occhi col segno della croce [Mabillon, Vita del santo, torn. 11]. – Uri simile miracolo leggesi nella vita di S. Frobert abate di un monastero presso Trojes nella Champagne. Era ancora fanciulletto, quando la madre cieca da più anni lo prese sulle sue ginocchia, e carezzatolo lo pregò di fare il segno della croce sopra i suoi occhi. Sulle prime il giovane santo si ricusò; ma, dietro le instanze materne, invocò il santo nome del Signore, fece il segno della croce richiesta, ed al momento la madre riebbe la vista [Atti di S. Seb.] – Il Mabillon nella vita di S. Bernardo cita oltre trenta ciechi di ogni età e condizione, che in Francia, Italia ed Alemagna furono guariti, alla presenza de’ re e de’ principi, col mezzo del segno della croce [Mabillon ubi supra]. – Dalla vista passiamo all’ udito. Come N. S. il segno della croce rende l’udito a’ sordi, e la loquela ai muti. Eccoci in Roma e nel palazzo del Prefetto: un giovane e brillante ufficiale è innanzi a noi, per nome Sebastiano. Questo nome illustre è ignoto nei collegi. Tu apprenderai ai tuoi compagni che S. Sebastiano comandava la prima coorte pretoriana al tempo di Diocleziano, che, alla moderna vuol dire, colonnello di un reggimento della guardia imperiale. Dotato di eloquenza pari al suo coraggio, egli usava i doni di Dio ad animare i martiri, che ogni giorno venivano tradotti al pretorio. In uno fra questi, Zoe femmina del prefetto ebbe la ventura di ascoltare uno di questi discorsi. Tuttavolta pagana, fu si commossa, che gittossi in ginocchio, e, comeché muta da poi sei anni, col gesto faceva intendere di voler essere cristiana. Fu intesa. Un segno di croce sulle labbra le diede la parola, di che, il primo uso che fece, fu in dimandare il battesimo [“Signavit eum Pater… et continuo dolor et omnisque tumor ascessi” (Mabillon vita lib. VI, c. 5, n. 17] – Tu dirai loro altresì, che con lo stesso mezzo l’immortale abate di Chiaravalle, san Bernardo, ha guarito un numero immenso di sordi e muti. A Cotogna una giovinetta sorda e muta; a Bourlemont un fanciullo sordo e muto dalla natività; a Bile un sordo; a Metz un sordo al cospetto di una folla immensa; a Costanza, a Spira, a Maastricht de’ sordi e de’ muti; a Troyes una giovinetta zoppa e muta alla presenza de’ vescovi Geoffrai di Langres, e di Enrico di Troyes. In fine, a Chiaravalle un fanciullo sordo-muto, che attendeva da quindici giorni il suo ritorno [“Ut signum sancte crucis expressit, confestim omnis vigor per membra diffunditur. (Vita cap. XLVI)]. – Mentre il Santo soggiornava a Spira, dove operava molte miracolose guarigioni, arrivò Anselmo vescovo di Havelsperg, cui una infermità di gola rendeva pressoché impossibile l’inghiottire ed il parlare. Voi dovreste guarirmi, disse questi a S. Bernardo. E S. Bernardo piacevolmente a lui: “Se voi aveste la fede di queste buone femmine, io potrei, può essere, operar su di voi in pari modo”. – “Se la mia fede non basta, riprese il Vescovo, mi guarisca la vostra”. Allora il Santo lo toccò facendo su di lui il segno della croce, ed all’instante istesso l’enfiagione ed il dolore sparirono [ Fleury, Hist. Eccl., lib. XXIV, n. 28.]. – II tatto è il senso sparso in tutto il corpo, epperò presenta agli attacchi delle infermità maggior presa. Come allontanare tutti i mali, gli uni più dolorosi degli altri, a cui è esposto? Per quanto numerosi siano, consola il pensiero che nessuno di essi sfugge alla potenza salutare del segno della croce, che, con la sua virtù, ricorda quella di colui, che guariva ogni maniera d’infermità ira gli uomini, “omnem languorem in populo”. – Uno de’ vescovi venuto in gran fama di santità, che abbia governato la diocesi di Parigi, è S. Germano. Questi conducevasi un giorno a render visita ad Ilario vescovo di Poitiers, suo degno collega. Sul suo passaggio due uomini gli presentarono, con pena, una donna muta e priva dell’uso delle gambe. Tosto che il Santo ebbe fatto il segno della croce sopra di essa, dessa ricuperò la favella e le gambe di modo, che dopo tre giorni si condusse a render grazie al suo benefattore [“Mox multa eius membra cruce consignât, et ille se sentit incolumis.” Vit., lib. IV]. – Un miracolo simile fu operato da S. Eutimio, il grande arcivescovo di Palestina. Terabone, figlio del governatore de’ Seraceni nell’Arabia, fin dalla fanciullezza aveva perduto per paralisi la metà del corpo; com’ebbe inteso parlare della virtù del santo Abate, si fece condurre presso di lui in compagnia del padre e della madre, con numeroso seguito di barbari. Il Santo lo segnò con la croce, e tosto guarì. Siffatta guarigione produsse la conversione de’ suoi genitori non solo, ma ancora de’ Saraceni compagni di viaggio, e spettatori del miracolo [Vit., lib. IV., c. 41, Vita, lib. II]. – Gran tempo dopo questo miracolo, che aveva rallegrato l’Oriente, un simile fu operato da San Vincenzo Ferreri a Nantes in Francia, nella persona di un uomo paralitico da 18 anni, che gli fu presentato perché lo benedicesse. Non ho oro, nè argento, disse il Santo all’infermo, ma pregherò il Signore perché ti conceda la sanità dell’anima, e del corpo. Come ebbe detto tali parole fece il segno della croce sulle membra dell’infermo. Il paralitico guarisce, si alza, e rende grazie a Dio ed al suo benefattore, torna a casa sua, senza più nulla risentire del passato malore! [Mabillon ubi supra, Lib. IV, c. 6, n. 33]. – È tale alcuna volta la forza del dolore da far perdere il bene dell’intelletto e la sanità dell’anima a’ poveri figli di Adamo; ma il segno della croce spinge la sua forza in queste nuove trincee del male. Edmer, istoriografo di S. Anselmo Arcivescovo di Cantorberi racconta, che questo Santo andando a Cluni, guarì col segno della croce una femmina affetta di follia, e furiosa. S. Bernardo operò lo stesso a Sechigen, e a Cologna. In quest’ultima città gli fu presentata una femmina frenetica per la morte del marito, che usava delle sue esaltate forze contro sé stessa di modo, da doverle assicurare le braccia con catene. Il Santo ebbe pietà di lei; fece il segno della croce sopra di essa, e tosto tranquilla rivenne all’uso della ragione. – Il Verbo Redentore, che il Vangelo mostra, come il medico di febbri ostinate, ha comunicato al segno della croce la virtù di operare simile prodigio. S. Prix Vescovo di Clermont nell’Alvernia, essendo venuto nel Monastero di Dorange, vi trovò l’abate Amarin infermo di pessima febbre, di maniera, ch’eragli impossibile camminare e prendere cibo. Il santo Vescovo ricorse all’arma sua ordinaria e pagò il suo scotto con un miracolo, risanando col segno della croce siffattamente l’infermo, che andò perfettamente guarito della infermità sua [“Cura vexilluiu crucis super ægrum fecisset, protinus, fugata febre, sanatus aeger surrexit” Vite de’ SS. 25 Jan.]. – Dello stesso potere è dotato contro una malattia più difficile a guarire ; l’epilessia. Nella vita di S. Malachia, Arcivescovo di Armagli, morto a Chiaravalle, S. Bernardo dice : « Inanzi partisse per Roma, dove si conduceva per ricevere il pallio da Eugenio III, il santo Arcivescovo guarì un epilettico col segno della croce». E S. Bernardo istesso operò simile prodigio nella persona di una giovinetta della Champagna a Troyes [“Signavit eam statimque locuta est”: Mabillon, ubi supra, c. XIV, n . 47. – Secondo l’esempio da me datovi, guarite i lebbrosi, aveva detto N. S. I Discepoli raccolsero questa parola, la cui virtù divina è passata nel segno della croce. La fama di Francesco Saverio era sparsa in tutte le Indie, e dessa faceva accorrere presso il Santo i lebbrosi da tutti i luoghi, per ottenere la guarigione tante volte inutilmente sperata. Uno fra questi, non osando di comparire in pubblico, pregò il Santo di condursi presso di lui. Il Saverio non poté soddisfarlo, ed in sua vece commise ad un compagno una tal visita, dicendogli di domandare per tre volte all’infermo se crederebbe al Vangelo, ove venisse guarito, e che dopo tale promessa lo segnasse per tre volte col segno della croce. Tutto fu eseguito come il Santo avea detto, ed il lebbroso guarì [Vita, lib. V, p. 347]. – Innanzi procedere più oltre, credo esser mestieri, mio caro, il ricordarti una osservazione di S. Giovanni Crisostomo, da aver presente ragionando dell’azione del segno della croce, sia nella guarigione delle malattie, che per l’allontanamento de’ tristi accidenti. Se alcuna volta i mali non sono guariti e le calamità allontanate, tutta volta il segno della croce convenevolmente sia eseguito, non è difetto di potere del segno, ma perché questi mali ci sono utili prove [“Morbis imperans terribile est hoc nomen, et si non abigerit morbum, non hinc est quod infirmimi sit hoc nomen, sed quod utilis est morbus”. Ad Coloss. II, homil IX]. – V’ha una infermità non meno crudele della lebbra, ma più comune: il cancro. Ma questa come tutte le altre infermità umane non resiste alla potente azione della croce. Ascolta quanto narra S. Agostino testimone oculare. « A Cartagine una nobilissima donna per nome Innocenza aveva nel petto un canchero stimato da’ medici incurabile. – Il medico nulla le aveva nascosto del suo stato, ed Innocenza, posta in Dio ogni sua fiducia, da lui solo attendeva la guarigione. Una notte, verso la Pasqua, è avvertita in sogno di condursi al battistero nel luogo delle donne, e di far fare dalla prima catecumena che trovasse, il segno della croce sul membro infermo, ubbidisce, ed è guarita. Il medico meravigliato trovandola risanata, volle saperne il come. La donna tutto gli narrò. Il medico con grande indifferenza, il che faceva temere alla donna dicesse qualche parola contro N. S., disse: Io mi attendeva qualche cosa straordinaria. E vedendola inquieta, soggiunse: “Che v’ha di meraviglioso che Gesù Cristo abbia guarito un cancro; Egli che ha dato la vita ad un morto dopo quattro interi giorni!” [“Quid grande fuit Christus sanare cancrum, qui quatriduannui mortuum suscitavit.” Aug. de Civ.Dei, lib. XXII, c. 8]. – A tutte queste infermità naturali spesso si congiungono gli attacchi delle bestie feroci e velenose, per togliere all’uomo la sanità e la vita. Contro esse gran rimedio è il segno della croce. Il santo anacoreta Tolasce, scrive Teodoreto, viaggiando fra le tenebre della notte, calpestò una vipera. Il rettile furioso lo morde nella pianta del piede. Il Santo s’inclina, porta la destra sulla ferita, e la vipera gliela morde, come altresì la sinistra accorsa al soccorso della destra. La bestia di tutto ciò non contenta, lo addentò per circa dieci volte, e poi si cacciò nella sua tana, lasciando la vittima in preda ad intollerabili dolori. In siffatto stato il servo di Dio crede non dover far ricorso a medicine. Per guarire le ferite si contentò impiegare i mezzi della fede: il segno della croce, la preghiera, e l’invocazione del santo nome di Dio ([“Sed neque tunc passus est uti arte medica, sed vulneribus adhibuit sola fidei medicamenta, crucisque signaculum, et orationem, et Dei invocationem.” (Tbecdoret. in Thalass).]. Padrone della vita, N. S. , lo è ancora della morte. – Questo impero sovrano si trova nel segno della croce. Ecco quanto leggesi nella vita di S. Domenico. Predicava il Santo in Roma: una dama, per nome Guttadona, devotissima di lui, per assistere al suo sermone, aveva lasciato a casa un figlio infermo, al suo ritorno lo trovò morto. Senza dar sfogo al materno dolore, assembra le sue donne e porta il fanciullo a S. Domenico. Lo incontra alla porta del convento di S. Sisto, depone il morto a’ suoi piedi, e disfacendosi in lacrime, gliene domanda la vita. Il Santo commosso s’inginocchia, e dopo breve preghiera fa il segno della croce, prende il fanciullo per la mano e lo rende in vita alla madre pregandola di profondo segreto. Ma che! la buona donna nell’eccesso della gioia pubblicò l’avvenuto miracolo in tutta Roma [Vita di S. Dom., lib. II, c. 3]. – Tu il vedi chiaro, mio caro Federico, io mi son contentato di citare uno o due fatti per ciascuna malattia, che se tutti rapportar si volessero, molti volumi non potrebbero neppure contenerli. S. Agostino, S. Crisostomo, S. Cirillo, S. Efrem, S. Gregorio Nisseno, S. Paolino e cento altri testimoni dell’Oriente e dell’Occidente di tutti i secoli mostrano, con migliaio di fatti, che il segno adorabile di Colui ch’è venuto per guarire ogni infermità, non ha mai cessato dal rendere la vista ai ciechi, l’udito ai sordi, la parola ai muti, la sanità agl’infermi e la vita ai morti. – Ecco l’istoria. È mestieri accettarla come è, o farne in pezzi le pagine e cader nello scetticismo: o farne un’altra più sapiente, più coscienziosa e veridica. Domanda a’ tuoi compagni se hanno polsi da ciò, e quando dessa sarà’ compilata, noi vedremo. A domani.
LETTERA DECIMAQUARTA.
9 dicembre.
Il segno della croce potente a rendere la sanità e la vita, mostra ugual potere, mio caro Federico, contro quanto può comprometterla. Qui ancora i fatti abbondano, ma i limiti di una lettera non mi consentono altro che citarne alcuni. Di poi la rivolta originale, tutti gli elementi sono sottoposti all’influenza di satana, congiurano contro l’uomo, l’aria, il fuoco, l’acqua, e che so io! gli fanno una guerra continua, e soventi volte mortale. A nostra difesa l’arma universale stabilita è il segno della croce! – Il Signore, la cui voce comanda ai venti ed alle tempeste, loro parla per lo mezzo di questo segno. Leggiamo di Niceta Vescovo di Treviri, che viaggiando alla volta della sua diocesi si addormentò sulla nave, che aveva noleggiata. A mezzo del corso levasi furiosa tempesta, che squarciate le vele, messi in pezzi gli alberi, minacciava la nave di certo naufragio. I viaggiatori spaventati lo destano. Ed egli, tranquillo fa il segno della croce sulle onde in furore, e queste placatesi lasciano succedere la calma alla furiosa tempesta (1). (1) [“Excitatus quoque a suis fecit Signum crucis super aquas, et cessavit procella.” (S. Greg. Turon. Dt glor. confes. c. XVII.)]. – È fede cattolica espressa nel Pontificale Romano che satana sia l’autore di molte tempeste, e, nell’aria, dimora di lui e degli angeli suoi, esercita particolare e trista influenza. Soventi volte egli reca di tali uragani per disertare le campagne, e soprattutto per far guai agli uomini da bene, che si studiano distruggere il suo impero. Di questi fenomeni, di fatti, usava per rendere inutile la predicazione di Vincenzo Ferreri. Il Santo, atteso il numero della gente, che d’ogni dove si traeva ai suoi sermoni, non poteva predicare in chiese, che anguste tornavano a contenere tanto popolo, ma su per le piazze, e queste erano sempre gremite di fedeli, ebrei, e maomettani, che per i sermoni di Vincenzo si rendevano cattolici, o se lo erano, divenivano migliori. Satana a distorre tanto bene usava quest’arte. Raccoglieva venti e nubi, suscitava tempeste tali, che il popolo impaurito si cacciava nelle case, e solo restava Vincenzo. La più terribile di tutte le tempeste fu quella suscitata in una borgata di Cotogna. Il Santo, secondo il suo solito dopo la Messa, innanzi deponesse i sacri paramenti, col segno della croce e con l’acqua benedetta, fattosi alla porta della chiesa, costrinse satana a restar tranquillo tutto quel giorno [“Sparsit aquam sacratam, ed deinde crucis expressit Signum; illico tempestas dissipatur…. saepissime…. ortas tempestates crucis signo compescuit. (Vit. lib. III)]. – Come l’aria cosi il fuoco ubbidisce al segno della croce. S. Tiburzio, figlio del Prefetto di Roma, è condannato a bruciar l’incenso ai falsi numi e camminare sul letto di fuoco. Il giovane martire fa il segno della croce, e senza esitare si avanza nel mezzo delle braci, ed in piedi e nudo, « Rinunzia, dice egli al giudice, adesso ai tuoi errori, e riconosci che non v’ha altro vero Dio che il nostro. Metti, se te ne basta l’animo, la tua mano nell’acqua bollente in nome di Giove, e questo che chiami Dio le impedisca di recarti nocumento alcuno. Per me, mi sembra un letto di rose questo che calpesto » [Atti di S. Sebast.]. – Sulpizio Severo racconta, come saputolo da S. Martino istesso, che una notte il fuoco si appiccò alla stanza del santo taumaturgo delle Gallie. Egli si risveglia, e confuso si studia estinguere il fuoco; ma inutili tornarono gli sforzi! Rasserenatosi, non più pensa né a salvarsi, né ad estinguere il fuoco, ma, fiduciando in Dio, fa il segno della croce. Le fiamme si dividono, e piegandosi in arco sul capo di lui, gli lasciano continuare la preghiera [Ep. 1 ad Euseb. Praesbyt.: e Vita di S. Martino, lib. X]. – Lascia che io ti parli di un fatto personale del gran Vescovo. Inimico instancabile dell’idolatria, Martino, aveva abbattuto un tempio d’idoli quanto antico, altrettanto in gran fama, e restava solo un gran pino, che sorgeva d’allato al tempio. Egli volevalo distrutto, comeché oggetto di superstizione; ma i sacerdoti degli idoli ed i pagani vi si opponevano a tutt’uomo. In fine, questi dissero al coraggioso vescovo: “Poiché tu hai tanta fiducia nel tuo Dio, noi abbatteremo l’albero a patto, che tu resti sotto di esso quando cadrà. La condizione fu accettata. Un popolo immenso si assembra e gremisce lo spazio dove l’albero doveva essere abbattuto; alla presenza di esso S. Martino lasciasi legare e mettere su quel punto verso cui l’albero inclinava. Ai compagni del Santo un fremito correva per le vene, che l’albero a metà asciato pendeva su Martino, e fra pochi istanti ne sarebbe schiacciato: ma l’uomo di Dio era tutto tranquillo, ed elevata la mano, fa contro il cadente albero il segno della croce. A questo segno l’albero si erge, e come spinto da violentissimo vento cade dalla parte opposta. Un grido d’ammirazione si eleva, e non v’ha quasi alcuno che non domandi il battesimo! [Ubi supra.]. – Questo avvenimento accaduto nelle Gallie è ripetuto in Italia. Onorato, santo abate, e fondatore di un monastero di Fondi, che raccoglieva 200 monaci, vide minacciata l’opera sua di totale ruina. Un gran monte era a cavaliere del monastero, e dal sommo di esso staccasi tale un macigno, che rotolando giù per la china avrebbe schiacciato e monastero, e frati. Onorato accorre; invoca il santo Nome di Dio, distende la mano destra ed oppone al macigno il segno salvatore. L’enorme massa si arresta, ed immobile si tiene sul pendio del monte sino ai giorni nostri [ S. Greg. (Dial., lib. I. c. 1)]. – Dall’occidente passiamo all’oriente, e noi troveremo che la potenza sovrana di questo segno non è limitata per differenza di latitudine, né di longitudine. Ascolta S. Girolamo. Il terremoto che seguì la morte di Giuliano l’apostata portò il mare fuori i suoi limiti, e quasi Dio avesse minacciato il mondo di un nuovo diluvio, o che l’universo dovesse rientrare nel caos, le navi si trovarono su i monti spintevi dal furore de’ flutti. Gli abitanti d’Epidauro spaventati per le grandi masse di acqua, che cadevano su i monti, e temendo che la patria fosse trasportata da esse, si condussero presso il santo vecchio Ilarione, e presolo, lo condussero alla loro testa quasi ad una battaglia, contro le acque. Giunti alla riva, il santo fece per tre volte il segno della croce sull’arena. A questo segno le acque si gonfiano, ascendono ad una altezza incredibile come irritate dell’ostacolo, che loro opponeva Ilarione; ma, dopo poco tempo, abbonacciate, rientrano nel loro letto senza più sorpassare il sacrato limite. Epidauro e tutta la contrada pubblicano questo miracolo, e le madri lo raccontano a’ figli perché la posterità ne risapesse [“Qui cum tria crucis signa pinxisset in sábulo, manusque contra tenderet, incredibile dictu est in quantam altitudinem intumescens mare ante eum steterit, ac diu fremens et quasi ad obicem indignans, paulatim in scmetipsum relapsum est”. (Tif. S. Hilarión, vers. fin.]. – Eccoti un altro fatto analogo, ma più recente. Mezey istoriografo francese narra che le pioggie del 1106 avevano fatto straripare i fiumi ed i laghi di modo, che le innondazioni producevano un nuovo diluvio. Le sole preghiere e le processioni furono potente rimedio contro questo flagello, e , come fu fatto il segno della croce sulle acque, incontanente entrarono nel loro letto [Ist. di Francia, tom. II, p. 135]. – Se la verga mosaica, figura della croce, ha potuto dividere le acque del Mar Rosso, e tenerle sospese come monti, perché il segno istesso della croce non potrà rientrare le acque nel loro letto? Torniamo all’immortale Tebaide, e lascia che io dica una qualche meraviglia, di che i suoi angelici abitanti furono gli attori, ed il segno della croce strumento. Uno di essi, Giuliano, chiamato Sabas, o il vecchio da’ capelli bianchi, traversando l’arida solitudine, s’imbatte in un enorme dragone. Lo spaventoso animale getta sovra di lui uno sguardo sanguigno, apre l’affamata gola, e si slancia per divorarlo. Il venerabile senza scomporsi rallenta il passo, invoca il nome di Dio, fa il segno della croce: il mostro stramazza morto [“At ego Dei nomen appellans, digitoque trophaeum crucis ostendens, et omnem metum excussi, et belluam extemplo corruentem vidi”. (Theodoret. Relig. hist., c. 2]. – Più lontano, osserva Marciano, solitario della Siria, che rinnova lo stesso prodigio. Egli pregava alla porta della sua stanzuccia quando Eusebio, suo discepolo, gli grida di lontano per avvertirlo che un rettile mostruoso, poggiato sul muro dalla parte d’oriente, è per slanciarsi sopra lui e divorarlo, e però si desse alla fuga. Marciano riprende il discepolo di siffattamente impaurirsi; fa il segno della croce, e soffia contro la spaventevole bestia. Si vide allora l’effetto della parola primitiva: “Metterò una guerra a morte fra la tua razza e la sua”. Il fiato uscito dalla bocca del santo fu come un fuoco, che invase di modo il dragone, che cadde in pezzi come bruciata canna [“Digito crucis signum expressit, et ore insufflans, veteres inimicitias pate fecit ; mox enim draco, spiritu oris, veluti fiamma quadam correptns, exustae instar arundinis, in multas partes dissectus est”. (Ibid. c. 3]. – Sarebbe facile narrare i molteplici fatti che hanno avuto luogo in queste celebri contrade; ma per riunire le meraviglie dello stesso genere percorriamo l’Italia, serbandoci tornare in Oriente. S. Gregorio il grande racconta che S. Amanzio, prete di Tiferno, oggi città di Castello nell’Umbria, aveva tale impero su i serpenti i più temuti e terribili, che queste bestie non potevano restare in sua presenza. Un segno solo di croce faceva morire quanti ne incontrasse, e se per salvarsi si cacciavano in qualche buco, lo chiudeva con lo stesso segno, e la serpe n’ era estratta morta da una potenza invisibile. Era un vero compimento delle parole del Signore: “Uccideranno i serpenti”, [“serpentes tollent”] – [“In quolibet loco, quamvis immanissimae asperitalis ser-pentem repererit, mox ut eum signo crucis signaverit, estingui”. (S. Greg. Dialog., lib. IH, c. 35)]. – Tu sai che N. S. aggiunge immediatamente: « E se » eglino beveranno alcun che di avvelenato, non ne avranno nocumento alcuno, “Et si mortiferum quid biberint, non eis nocebit ». Qualche prova tra mille. La città di Bosra nell’Idumea aveva a vescovo S. Giuliano. Alcuni notabili, in odio della religione, stabilirono avvelenarlo; all’uopo corruppero il servo del vescovo perché apprestasse il veleno al padrone in una coppa. Lo sciagurato ubbidisce. Il santo divinamente sapendo quanto sul conto suo si facesse, depone la tazza, e dice al servo: Va da mia parte presso i principali abitanti, ed invitali a pranzar meco. Egli sapeva essere fra questi i rei. Tutti accettarono l’invito. Allora il santo, che non voleva diffamare nessuno, disse con estrema dolcezza: Poiché volete avvelenare il povero Giuliano, ecco il veleno, io lo beverò. Ciò detto, segnò per tre fiate la coppa, dicendo: “In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo io bevo questa tazza”. Egli la beve sino all’ultima gocciola, senza averne nocumento alcuno. A sì strano spettacolo gl’inimici gli caddero ai piedi implorando perdono [“Voce mitissima omnibus dixit: si arbitramini humilem Julianum vencno occidere, ecce coram vobis pestiferum calicem bibo: signansque ter digito suo calicem, et dicens: In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti bibo hunc calicem, bibit illuni coram omnibus tot uni, atque illaesus perstitit. Quod illi cum vidissent, prostrati veniam petiere. (Sophron. in Prat. Spirit.)]. – È mestieri essere bacelliere del secolo decimonono per ignorare il fatto seguente. Se v’ha una vita da esser nota a tutti, è per fermo, quella del patriarca de’ monaci di occidente, Benedetto. Nuovo Mosè, a lui ed ai suoi figli l’Europa deve l’esser stata sottratta alla barbarie. Mostrate una landa materiale o morale che dal Benedettino non sia stata dissodata? Un principio civilizzatore che non sia stato coltivato, insegnato e praticato? Dio sa a prezzo di quali sacrifìzii! Quel che sappiamo si è, che satana, vecchio Faraone, non rincula d’innanzi ad alcun mezzo per impedire l’opera liberatrice; epperò come Benedetto si raccoglie nella solitudine, gli si assembrano d’intorno alcuni monaci, indegni di tal nome, supplicando il santo di rendersene direttore. Questi loro impone una regola, e con la parola e 1’esempio cerca accostumarli al giogo della disciplina. Vani sforzi! Gli esempi feriscono l’orgoglio de’ frati, le parole ne provocano la collera e ne accendono l’odio. La risoluzione è presa; il superiore deve morir di veleno: pensato, fatto. Un bicchier di vino avvelenato gli è presentato, perché, secondo il costume, lo benedicesse. Benedetto lo benedice, ma il bicchiere va in mille schegge. Il santo comprese che una coppa di morte gli era presentata, che non poteva reggere al segno della vita [“Extensa manu Benedictas Signum crucis edidit, et vas quod longius tenebatur, eodem signo rupit, sieque confractum est, ac si in illo vase mortis pro cruce lapidem dedisset. Intellexit protinus vir Dei quia potum mortis habuerat, quod portare non potuit Signum vitae”. (S. Greg. Dialog., lib. II, c. 3)]. – Per questi esempi e per mille altri di simil fatta t’è facil cosa comprendere qual potente preghiera sia il segno della croce, quante grazie ne apporti, e come preservi questa nostra fragile esistenza da’ pericoli che la minacciano e circondano. – In Francia, nella Spagna e nell’Italia e credo nelle altre regioni, i cattolici costumano segnarsi al tuono della folgore, e quando lampeggia. Gl’indifferenti se ne burlano, come se i veri cattolici de’ secoli scorsi, che ci precedettero, fossero tutti spiriti da nulla e superstiziose femminucce. Ora ne’ casi indicati ed in tutti i pericoli noi vediamo il segno della croce in uso presso i cristiani dell’oriente e dell’occidente, sino da’ primi tempi della Chiesa. S. Efrem, S. Agostino, S. Gregorio di Tours, mille altri testimoni, l’han visto per noi e l’attestano. « Se il lampo squarcia le nubi, dice il santo Diacono di Edessa, se la folgore scoppia, l’uomo s’impaura, e tutti intimoriti c’inchiniamo verso la terra » [“Si repente fulgur aliquod, vel tonitruum clarius ac vastius contingat, omnem subito sui formidine perterrèt hominem, cunclique horrore perculsi in terram nos inclinamus”. (S. Ephrem. Serra, de Cruc). – Il Santo parla del segno della croce, e benché non lo nomini, è evidente che esso aveva luogo in questa circostanza, poiché non si mancava di farlo ad ogni istante e nelle azioni le più ordinarie]. – S. Angostino parlando di quelli, che usano mondane riunioni, aggiunge: « Se un qualche accidente loro mette paura, tosto formano il segno della croce » (2). (S) [“Si forte aliqua ex causa expavescunt, continuo se signant.” Aug.,lib. 50 homel.: homel. XXI]. – S. Gregorio racconta, come cosa nota a tutti, che sotto l’impressione di un timore ed a vista di qualsiasi pericolo, i cristiani facevano ricorso al segno protettore. Fra mille fatti il seguente ne sia prova [S. Greg. Turon., lib. Il miracul., S. Martini, c. 45]. – Due uomini si conducevano da Ginevra a Losanna. Un uragano violento li sorprende, accompagnato da spessi lampi e tuoni. Uno de’ viaggiatori, secondo l’uso cristiano, fa il segno della croce, e l’altro beffandosene gli dice: Che? scacci le mosche ? Lascia le superstizioni da femminette. Simili anticaglie disonorano la religione, e sono indegne di un uomo illuminato! Non ebbe detto ciò, che un fulmine lo stende morto a’ piedi del compagno. Questi continuò a difendersi col segno salutare; compì il suo viaggio prosperamente, e propalò da per tutto l’accaduto [Tilman.. Collec. de’ Santi, lil. VII, c 58]. – Avviso agli spiriti forti! – Il segno della croce non protegge solamente la umana vita, ma quanto gli appartiene: desso è pegno di sicurezza. Quindi l’uso universale di apporre siffatto segno sulle case, nei campi, su i frutti e gli animali. « I cattolici , dice il grave Stuckius, hanno delle preghiere accompagnate dal segno della croce per ciascuna creatura, per le acque, le foglie, i fiori, l’agnello pasquale, il latte, il miele, il formaggio, il pane, i legumi, le uova, il vino, l’olio ed i vasi a contenerlo. In ciascuna formula di benedizione eglino domandano espressamente che la malefica potenza di satana ne sia allontanata, e pregano Dio per ottenere la sanità dell’anima e del corpo ». II giorno della Risurrezione benedicono il latte, il miele, le vivande, le uova, il pane, quanto si conserva ed è considerato’ come salutare all’anima. Il giorno dell’Ascensione, le erbe, le piante, le radici per loro comunicare una virtù divina. Il giorno di S. Giovanni il vino, considerato, senza tale benedizione, come impuro e male. Il giorno di S. Giovanni i pascoli; ed in quello di S. Marco le messi. E con ciò eseguono il comando di S. Paolo, che impone a’ fedeli di benedire quanto serve alla vita, e renderne grazie a Dio; uso misterioso, di che i Teologi apportano eccellenti ragioni [“Cuius sane rei a theologis, et quidem optimae, gravissima que rationes afferuntur”. Stukius Àntiq convivivi, lib. II, C. 36, p. 430′]. – Queste creature liberate, mercé il segno della croce, dalla influenza di satana, diventano strumento della inesausta bontà del Creatore ». – Leggesi in S. Gregorio di Tours, che una malattia distruggeva siffattamente il bestiame da temerne fin la perdita [“Mox dicto citius, clandestina peste propulsa, pecora liberala sunt”. s. Grog. Turon., lib. Ili Mimati. S. Martin, c. XVIII]. – Nella loro costernazione, alcuni abitanti si condussero alla basilica di S. Martino, presero l’olio che bruciavasi nella lampada, e dell’acqua benedetta; portatisi nelle loro dimore, con essi segnarono le teste delle bestie non ancora affette, e ne diedero a bere a quelle, che non erano ancora perite: tutte furono salve.
[NOTA – Perché i fedeli possano intendere come per le benedizioni siano le cose sottratte all’azione di satana, vogliamo aggiungere a quanto dice l’autore, poche parole sulla “benedizione ecclesiastica”. Innanzi tutto è da avvertire, che benedire, da che è la voce benedizione, può avere un triplice significato. Il primo è dalla parola istessa che significa parlare vantaggiosamente di qualcuno, lodarlo, dirne del bene. Psal. XXXIII. Benedicami Augurare altresì prosperità è il secondo: Super populum tuum benedictio tua. Psal. III. Infine il terzo significa consacrare, santificare una qualche cosa, perché fosse o convenevole materia del sacrifizio o dei sacramenti, o che divenga strumento di salute sia per l’anima, che pel corpo. In quest’ultimo significato, dicesi benedizione ecclesiastica. Questo non è altro che una cerimonia ecclesiastica, con la quale la Chiesa dimanda a Dio del bene per le persone, o le cose. Distinguesi quindi dalla benedizione divina, che è conferire il bene dimandato, e dalla benedizione che ciascuno può dare, come quella de’ genitori e de’ superiori tutti. Questa benedizione ecclesiastica è di due specie, l’una invocativa, l’altra costitutiva. Per la prima si domanda a Dio il bene per la persona o la casa, senza che venga mutata la destinazione, o natura dell’oggetto per cui domandasi. Di siffatta natura è la benedizione episcopale o sacerdotale, ecc. Per la seconda le cose e le persone sono costituite in uno stato permanente di cosa sacra, religiosa, dedicata a Dio siffattamente, da non poter tornare ad uso profano. Gli oggetti e le persone siffattamente benedette possono avere un triplice fine e scopo. Sono dirette a significare e rappresentare qualche cosa di sacro come il cereo pasquale, le immagini, le palme, ecc., o ad esercitare gli uffici di religione, come i vescovi e i preti, i monaci; o a servire di mezzo a benedire, a santificare le cose e le persone, come l’acqua benedetta, gli oli, le vesti sacre. – Per la benedizione constitutiva le cose sono sottratte all’azione di satana; poiché la Chiesa per l’autorità ricevuta contro satana nella persona degli apostoli, impedisce a questo inimico esercitare le sue influenze su quanto da essa è deputato al culto divino; ed ancora perché in alcune benedizioni comincia dagli esorcismi, ed in tutte, usa sempre del segno della croce (l), che ha per suo scopo ed effetto scacciare satana, come santo Agostino: Tract. 118 in loan., et ser. de temp. 181, e san Giovanni Grisostomo, hom. 55 in Malli, insegnano. Istesso effetto è prodotto dalla benedizione invocativa. La preghiera della Chiesa è meritoria ed impetrativa, però il suo ministro pregando Dio in suo nome nella benedizione, affinché sottraesse le persone e le cose all’azione di satana, il Signore, se la sua bontà lo crede espediente per la salute de’ fedeli, ascolta la preghiera della sua sposa: Matth. VII, Luc. II. “Petite et accipietis; omnis qui petit accipit”].
– Citiamo un ultimo esempio della potenza protettrice del segno della croce. S. Germano, vescovo di Parigi, si portava ad incontrare le reliquie di. S. Simforiano martire, quando gli abitanti di un villaggio, ch’egli traversava, lo pregarono di aver compassione di una povera vedova, il cui piccolo campo era divorato dagli orsi. “Vieni, gli dicevano, a vedere il povero campo, e le bestie distruggitrici fugiranno per la tua presenza”. Tuttavolta i compagni del santo si opponessero, egli si recò sul campo e lo benedisse col segno della croce. Tosto arrivarono due orsi, ma presi da furore cominciano a combattere fra loro; uno resta ucciso, l’altro gravemente ferito, che in seguito fu morto a colpi di piuoli, e la vedova nulla ebbe più a temere per la sua raccolta [Fortunati, In vita S. Germani.] – L’istoria e piena di simili fatti; ma basti per quest’oggi.