J.-J. GAUME: IL SEGNO DELLA CROCE [lett. 12-14]

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LETTERA DECIMASECONDA.

7 dicembre.

Mio caro Federico

Il segno della croce nulla ha perduto della sua forza, e della sua necessità. È vero: i tiranni sono morti, e gli anfiteatri cadono in rovina, il segno della croce ha trionfato degli uni e degli altri; ma se i secondi non più si levano dalle loro ruine, i primi, di tanto in tanto, sortono dalle loro tombe. La razza de’ Neroni non sarà giammai estinta, e la più terribile deve ancora venire! – Con un furore antico, quelli, che sono apparsi di poi i Cesari, hanno decimato i cristiani; quest’altra razza parimente immortale, è razza consacrata alla morte, come dice Tertulliano, “expeditum morti genus”. Quanto hanno fatto ieri in occidente, e quello che fanno oggi in oriente, potranno farlo domani daportutto dove comandano. Avviso a’ combattenti: nessuno dimentichi ove trovasi la sorgente della forza! Attendendo, ricorda, caro amico, che la pace ancora ha i suoi martiri, “habet et pax martyres suos”. Qual è l’uomo che non ha uno, o più Neroni? V’ha un giorno della sua vita ragionevole, e ancora un’ora, in cui egli non debba vegliare, o combattere? Che dico? venti volte al giorno degli oggetti seducenti si presentano ai suoi sguardi, de’ pensieri non buoni importunano il suo spirito, i sensi in rivolta solleticano il suo cuore a vili tradimenti. Oh! che egli ha bisogno di forza! Dove la troverà? Nel segno della croce. – La testimonianza de’ secoli, l’esperienza de’ veterani e de’ coscritti della virtù, attestano oggi, come ieri, il sovrano potere del segno divino, per dissipare gl’incanti seduttori, scacciare i pravi pensieri e reprimere i movimenti della concupiscenza. Ascolta il poeta de’ martiri, Prudenzio, che conobbe ad un tempo i dettagli dei loro trionfi ed il segreto delle loro vittorie. « Quando all’invito del sonno tu cerchi il casto letto, segna della croce la tua fronte ed il tuo cuore. La croce ti preserverà d’ogni peccato: le potenze infernali fuggono al suo cospetto; l’anima santificata per essa, non sa vacillare »“…. Fac cum vocante somno Castum petis cubile, Frontem locumque cordis Crucis figura signet; Crux pellet omne crimen, Fugiunt crucem tenebra;. Tali dicata signo Mens fluctuare nescit”. Àpud S. Greg. Turón, lib. I Miracul c. 106. Ascolta ancora il capo della eterna battaglia. I grandi genii e gran santi peritissimi dell’arte della guerra spirituale, che si chiama ascetismo, tutti non hanno che una sola voce per esortare i soldati cristiani all’uso del segno della croce. « Senti il tuo cuore infiammarsi? dice san Giovanni Grisostomo: fa il segno della croce sul petto, e all’istante istesso la collera si dissiperà al pari del fumo» [“Si succendi cor tuum senseris, pectus continuo signaculo crucis signato, et ira illieo tamquam pulvis dissipabitur”. (S. Joan. Chris. Rom.il. 88 in Matth.]. – E sant’Agostino: « Amalec vostro nemico, cerca di sbarrarvi la strada e d’impedirvi l’Avanzare? Fate il segno della croce, sarà vinto » [“Si adversarius Amalecita iter intercludere atque impedire conabitur, pro reverentissima extensione brachiorum e-jusdem crucis indicio superetur.” (S. August. Homil, 20, lib. 50, Bomil.J. ]. Ed il gran servo di Dio, Marco, che predice all’imperatore Leone l’ora della morte. « Per propria esperienza conosco come siffatto segno dissipi le interne guerre, e produca la sanità dell’anima. Immediatamente dopo il segno della croce la grazia opera: tutto si calma » [“Statini post Signum crucis gratia sic operatur : sedat omnia membra pariter et ror.” (Biblioth. PP. toni. V.)]. – San Massimo di Torino: «Dal segno della croce noi dobbiamo attendere la guarigione delle nostre ferite. Se il veleno dell’avarizia si sparge nelle nostre vene, facciamo il segno della croce, ed il veleno sarà cacciato. Se lo scorpione della voluttà ci punge, facciamo ricorso allo stesso mezzo, e noi guariremo. Se gl’immondi pensieri della terra cercano insozzarci, facciamo il segno della croce, e noi vivremo vita divina » [Apud S. Ambros. Serm. 55]. -San Bernardo : « chi è l’uomo si padrone de’suoi pensieri da non averne d’impuri? Ma son da reprimere i loro attacchi, e tosto, per vincere l’inimico là dov’egli sperava 4rionfare. L’infallibile mezzo per riuscirvi è fare il segno della croce » [De passione Dom. c. XIX, ti. 65]. – San Pier Damiano : « Se per caso sperimentate che un pensiero non buono sorga nel vostro spirito, operate col pollice il segno della croce, e siate certi che tosto svanirà » [“Cum pravam tibimet cogitationem esse persenseris, e x – tento police protinus, cor tuum signare festines, certus etc (Institut. Monast.)]. – Il pio Teberlh: “Niente v’ha di più efficace, che il segno della croce, per dissipare le tentazioni per quanto siano disonorevoli” [“Signo crucis nihil efflcacius ad turpes effugandas tentationes”. (lib. viar. Domin. c. XXI)]. – Riassumiamo tutte queste testimonianze: « Qualsiasi la tentazione, che ci appéna, conchiude san Gregorio di Tours, noi dobbiamo respingerla. Epperò fate, non vigliaccamente ma con coraggio il segno della croce o sulla vostra fronte, o sul vostro petto » [“Viriliter et non tepide Signum vel fronti, vel pectori salutare superponas”. (S. Greg. Tur. ubi supra)]. – Se fosse mestieri confermare con la storia quanto tu leggi, mille fatti lo confermerebbero. Un solo basti. È la rivelazione di che fu favorito un santo monaco a nome Patroclo, con la quale Iddio gli manifestò la potenza sovrana di questo segno contro le tentazioni. – Un di il demonio trasformandosi in angelo di luce si mostrò al venerabile abate, e con parole d’ogni maniera di astuzia gli consigliava lasciare la solitudine e tornare al mondo. L’uomo di Dio sentendosi correre per le vene come un fuoco, si prostese sul suolo e pregò il Signore, perché eseguita fosse la sua volontà. La preghiera è accolta. Un angelo gli appare, e siffattamente gli parla: “Se tu vuoi conoscere il mondo, ascendi questa colonna e tu saprai quel che si sia. Rapito in estasi il pio solitario crede avere dinanzi a sé una colonna di prodigiosa altezza, e l’ascende. Dal sommo di essa vede omicidi, furti, massacri, fornifìcazioni e tutti i delitti del mondo. Ah! esclama, Signore non permettete che io torni in un luogo di tante abominazioni. E l’angelo a lui: Cessa adunque dal desiderare il mondo, per non perire con lui; invece corri nel tuo oratorio, prega il Signore che ti dia con che sostenerti nel mezzo delle prove del tuo pellegrinaggio. Detto, fatto: trovò un segno di croce scolpito in un mattone, e tosto comprese il dono di Dio, e che questo segno è inespugnabile fortezza contro le tentazioni [Greg. Turon, Vita Patr., c. 9]. – Un martire della guerra, o un martire della pace: ecco l’uomo lungo il corso della vita. Ed alla morte che cosa è egli? Vedi questo infermo in preda al dolore ed abbandonato dal mondo, circondato da’ soli parenti ed amici impotenti a soccorrerlo? Per lo passato il tempo che fugge; per l’avvenire, l’eternità che si avanza, in cui sentasi trascinato, senza che alcuna potenza umana possa ritardare il momento della partenza, e addolcire le agonie del viaggio. – Questo malato, sei tu, mio caro, sono io, è ogni uomo ricco o povero che sia, suddito o monarca. Se lungo le guerre della vita noi abbiamo bisogno di lume, di forza, di consolazione e di speranza, dimmi, se un tal bisogno non cresce di mille tanti nelle lotte decisive della morte? E bene, il segno della croce opera tutto ciò. Per questa nuova considerazione desso fu caro ai nostri avi, e dev’esserlo ancora a noi. Come i martiri andando all’ultima battaglia non mancavano di fortificarsi col segno della croce, cosi i veri cristiani de’ secoli passati facevano ricorso a questo medesimo segno, per addolcire i dolori e santificare la loro morte: citiamo qualche esempio. – Parlando della sua diletta sorella, santa Macrina, ch’egli stesso assisté negli estremi momenti della vita, san Gregorio Nisseno cosi si esprime: « Ella diceva: Signore, per mettere in fuga l’inimico, e proteggere la loro vita, voi avete dato a quelli, che vi temono, il segno della croce. E pronunziando tali parole ella formava il segno adorabile sopra i suoi occhi, le labbra ed il cuore » [Vita di santa Macrina]. – I primi cristiani alcune volte a vece di fare il segno della croce con la mano sul punto di morire, lo facevano distendendo le braccia, e ciò appellavano il sacrifizio della sera, “sacrifìcium vespertinum”. A questo modo di fare il segno della croce Arnobio applica le parole del Salmista: L’elevazione delle mani è il mio sacrifizio della sera. Egli dice, che tale sia il nostro sacrifizio della sera, voglio dire della sera della vita, quando tutta la nostra attenzione è da porre ad elevare le nostre mani in croce, per consolarci nel Signore, nel momento, che corriamo a lui [“Tunc enim in sacrificio vespertino sumus. Ibi est tota nostra cogitationis ponenda intentio, ut levantes manus nostras, in signo crucis, dum ad Dominum pergimus, gratulemur in Christo Jesu”. (In Ps. CXL)]. – In pari attitudine morì Paolo il patriarca del deserto, come lo trovò Antonio [“Introgressus speluncam, vidit gcnibus complicatis, e recta cervice, extensisque in altum manibus, corpus exanime” (S. Hieron. De Vita S. Pauli).] – Né altrimenti san Pacomio: « Essendo sul punto di morire, scrive lo scrittore della sua vita, egli si armò del segno della croce, vide con grande gioia un angelo di luce venire a lui, e rese la sua santa anima a Dio » [Vita di S. Pacomio. c. 53]. – Della stessa maniera morì santo Ambrogio. « L’ultimo giorno di sua vita, scrive il prete Paolino,’ da poi circa l’undecima ora, fino a che egli rese l’anima, pregò con le mani distese in croce » [“Eodem tempore quo migravit ad Dominum, ab hora circiter undecima diei, usque ad illam horam qua emisit spiritum expansis manibus in modum crucis, oravit. – Paulin. in Vit. S. Ambr.]. – Da Milano passiamo a Costantinopoli. Ecco un altro Vescovo che muore. Santo Eutichio, dice il suo istoriografo, fu preso da violenta febbre verso la metà della notte, e restò per ben sette giorni in tale stato, non cessando di pregare e di fortificarsi col segno della croce [“Vehementi febre circa mediam noctem correptus e s t: atque ita mansit septem dies, assidue precibus incumbens. Seque signo crucis muniens”. (Apud Sur. 2. Jul.)]. – Compiamo il nostro viaggio in Francia ed assistiamo alla morte di qualche nostro re. Arrestiamoci ad Aix-la-Chapelle per vedervi morire il grande imperatore: L’indomani giunto, dice un Vescovo testimone oculare, Carlo Magno sapendo quel che dovesse fare distese la destra e come poté, si segnò la fronte, il petto e tutto il corpo [“Incrastinum vero, luce adveniente, sciens quod facturus erat, extensa manu dextra, virtute, qua poterat, signum sánelas crucis fronti impressit, et super pectus et omne corpus consignavit”. (Thegan. De Gestis. Ludov. Imper.)]. Tale doveva essere la morte di questo grande uomo. E suo figlio Luigi il Pio, disposti gli affari, ordinò che si recitasse presso di lui l’uffizio della notte, e che sul suo petto si mettesse una reliquia della croce, e lungo questo tempo, come le forze glielo permettevano, egli faceva il segno della croce sulla fronte e sul petto, e quando era stanco pregava il fratello di continuare [“His peractis et dictis, præcepit ut ante se celebrarentur vigilia? nocturnas, et tigno sanctae crucis pectus munirete; et quamdiu manu propria tarn frontem quara pectus eodem si gnáculo insignibat. Si quando lassabatur per manus fratris sui natu id fieri poscebat”. (Apud Gretzer, lib. IV, c. 26, p. 618)]. – Veniamo ad uno de’ suoi più degni successori, il buon re Roberto. Negli ultimi giorni di sua vita, egli non rifiniva dall’implorare il soccorso de’ santi del cielo col gesto e con la voce; si fortificava col segno della croce sulla fronte, su gli occhi, sulle narici e le labbra, sulla gola e gli orecchi, in memoria della Incarnazione, della Natività, della Passione, Risurrezione, dell’Ascensione del Signore, e della venuta dello Spirito Santo. Una tale consuetudine era stata conservata da questo principe in tutta la sua vita, e giammai trasandò d’aver con lui dell’acqua benedetta [“Dei sanctis in auxilium suum venire, voce, signis inde sinenter orabat, muniens se semper in fronte et in oculis, naribus et labiis, gutture et auribus, per signum sanctæ crucis, memoria Dominica; incarnationis, nativitatis, passionis, resurrectionis et ascensionis et Spirltus Sancti. Habuit hoc ex more in vita; cui nunquam defuit volúntate aqua benedicta”. (Helgald. in Epitom. vit. Robert)]. – Citiamo ancora Luigi il Grosso. Vedendosi presso a morte, fece stendere un tappeto sulla terra, e sopra di esso spargere della cenere in forma di croce, e fattosi deporre da’ suoi uffiziali su di questo letto di morte, che gli ricordava quello del re del Calvario, il virtuoso monarca non cessò di fare il segno della croce fino all’ultimo respiro [“Elevata aliquantulum manu omnes benedixit, rogavitque adstantes episcopo! ut sanctissimis suis manibus cum crucis signo communirent”. Aipud Sur. 25 maii]. Per finire, morire come un Dio v’ha forse qualche cosa che disonori? Quel che disonora è morire senza comprendere la morte, morire con la insensibilità delle bestie. – Tu hai visto i martiri pregare i loro fratelli di segnarli del segno della croce innanzi morissero, se da per sé non lo potessero eseguire; ora i nostri avi facevano del pari morendo di morte naturale. Oltre l’esempio di Luigi Debonnaire che tu hai letto; voglio ricordartene qualche altro de’ primi secoli, dessi mostrano la continuazione della tradizione. – San Zenobio, amicissimo di santo Ambrogio, sul punto di terminar la sua vita con una morte preziosa, elevò le mani e fece il segno della croce su quanti Io circondavano; quindi pregò i vescovi di fare sopra di lui con le mani consacrate il segno della forza, della speranza e della salute [S. Elig. De rectitud. catech. etc. inter opp. S. August. tom. VI]. – Dal letto di un prete passiamo al talamo di un semplice fedele. Una giovane con rispettoso affetto assiste la tenera ed illustre madre. Oggi quasi tutti usano prestare a’ loro più cari infermi delle cure materiali, si farebbero coscienza di trasandare la minima prescrizione del medico, ma l’assistenza cristiana? Le prescrizioni del divin medico, e della Chiesa nostra madre? qual è la loro sollecitudine a compierle? I nostri avi più intelligenti e migliori di noi a queste cure univano quelle dell’anima. A Bethelemme l’illustre figlia de’ Fabii muore. Presso del letto è Eustachio, degna figlia di tal madre. Che cosa fa quest’angelo di tenerezza ? « Dessa non cessa, dice san Girolamo, dal fare il segno della croce sulle labbra e sul petto di sua madre, studiando di addolcire le sue sofferenze con l’impressione del segno consolatore » [“Eustochium Paulæ matris os stomachumque signabat, et matris dolorem crucis impressione nitebatur lenire”. – S. Hier. in Epitaph. Paulae]. – Tu il vedi: nella vita ed alla morte il segno della croce era presso i nostri avi il mezzo costantemente usato per ottenere a sé ed agli altri lume, forza, rassegnazione, coraggio e speranza. Il segno della croce è dunque gran cosa! esclamava un testimone di questi ammirabili effetti: “Magna res signum crucis” [Apud Sur. 10 Aug.]! Domani noi vedremo la sua efficacia in un nuovo ordine di cose.

LETTERA DECIMATERZA.

8 dicembre.

Povero nell’ordine spirituale l’uomo non l’è meno nell’ordine temporale : il suo corpo e l’anima non vivono che di accatto. Fra i beni necessarii al corpo ve n’hanno due, mio caro, che voglio ricordarti : la sanità, e la sicurezza. Il segno della croce ci procura con efficacia l’una e l’altra. – La sanità. Il Verbo eterno è la vita vivente e vivificante. L’evangelo parlandoci di Lui quando viveva nel mezzo degli uomini ci dice una parola quanto semplice, altrettanto sublime : Una virtù emanava da lui che guariva tutte le infermità; “virtus de illo exibat et sanabat omnes”. L’istoria c’insegna che questa parola può intendersi a cappello del segno della croce. – Che i primi cristiani si servissero del segno della croce a guarire le malattie, nulla v’ha di meglio dimostrato. San Cirillo e san Giovanni Crisostomo, uno patriarca di Gerusalemme e l’altro di Costantinopoli, affermano con ogni asseveranza, che il segno della croce continuava a guarire le infermità e i morsi delle bestie feroci al loro tempo, come all’epoca de’ loro maggiori [“Hoc Signum ad hodiernum diem curat morbos”. (Cateeh. XIII; S. Cris., hom. 54, in Math.]. – Veniamo alle prove: Tutti i sensi dell’uomo sono soggetti a delle infermità. Cominciamo dal più nobile, la vista. Se invece d’impallidire di continuo su gli autori pagani i giovani leggessero gli atti de’ martiri, troverebbero in quelli di san Lorenzo il gran miracolo, che ancora celebra la Chiesa, qui per signum crucis coecos illuminavit. L’illustre arcidiacono di Roma era entrato in una casa di un cristiano, dove trovavasi il cieco Crescenzio. Questi distruggendosi in lagrime si gettò ai suoi piedi dicendo: “Mettete la vostra mano sugli occhi miei, perché io veda”. Il beato Lorenzo profondamente commosso gli risponde: “Il nostro signore Gesù, che ha aperti gli occhi al cieco, ti doni la vista”. E si dicendo, fa il segno della croce su gli occhi di Crescenzio, che tosto vide la luce ed il beato Lorenzo [Vita del santo scritta da S. Oven vesc. di Raven, c. XXIX]. – Il dotto Teodoreto ci racconta quanto segue della propria madre: « Mia madre aveva tale una infermità negli occhi, che inutilmente la medicina aveva posto in uso tutti i suoi mezzi contro di essa. Tutti i vecchi volumi ed autori interrogati, nessuno dava mezzo a guarirne. In tale stato noi eravamo, quando un’amica venne a vedere mia madre, e le parlò d’un certo santo uomo per nome Pietro, e contolle d’un miracolo da esso operato. Ella diceva: La moglie del Governatore d’Oriente era affetta dallo stesso male: si diresse a Pietro dimorante a Pergamo, « questi la guarì pregando per lei, e facendo sopra di essa il segno della croce. Mia madre non perde un istante; corre per l’uomo di Dio, si getta ai suoi piedi e lo prega della guarigione. E questi a lei: “Io non sono che un povero peccatore, io non ho punto presso Dio il potere che voi credete”. Mia madre raddoppia le preghiere, e lagrimando protesta che non partirebbe se non guarita. Dio, riprese Pietro, è il medico di questi mali; egli esaudisce quelli che credono. Desso vi esaudirà non per i miei meriti, ma per la vostra fede. Se questa è in voi vera, sincera, pura e senza esitazione, trasandate medici e medicine, ed accettate il rimedio che Dio vi offre. Si dicendo, distese la mano su l’occhio, e fattovi il segno della croce il male disparve » [“Haec cum dixisset, manum imposuit oculo, et salutane crucis signo facto, morbum expuiit”. [Hist. ss. Patr. in Petr.]. – De’ fatti men lontani da noi ti mostreranno che questo segno attraversando i secoli non ha mai cessato di essere il migliore degli oculisti. S. Eloi vescovo di Noyon, passando uno de’ ponti di Parigi, guarì un cieco, che invece di chiedergli un soccorso, lo pregò che lo segnasse su gli occhi col segno della croce [Mabillon, Vita del santo, torn. 11]. – Uri simile miracolo leggesi nella vita di S. Frobert abate di un monastero presso Trojes nella Champagne. Era ancora fanciulletto, quando la madre cieca da più anni lo prese sulle sue ginocchia, e carezzatolo lo pregò di fare il segno della croce sopra i suoi occhi. Sulle prime il giovane santo si ricusò; ma, dietro le instanze materne, invocò il santo nome del Signore, fece il segno della croce richiesta, ed al momento la madre riebbe la vista [Atti di S. Seb.] – Il Mabillon nella vita di S. Bernardo cita oltre trenta ciechi di ogni età e condizione, che in Francia, Italia ed Alemagna furono guariti, alla presenza de’ re e de’ principi, col mezzo del segno della croce [Mabillon ubi supra]. – Dalla vista passiamo all’ udito. Come N. S. il segno della croce rende l’udito a’ sordi, e la loquela ai muti. Eccoci in Roma e nel palazzo del Prefetto: un giovane e brillante ufficiale è innanzi a noi, per nome Sebastiano. Questo nome illustre è ignoto nei collegi. Tu apprenderai ai tuoi compagni che S. Sebastiano comandava la prima coorte pretoriana al tempo di Diocleziano, che, alla moderna vuol dire, colonnello di un reggimento della guardia imperiale. Dotato di eloquenza pari al suo coraggio, egli usava i doni di Dio ad animare i martiri, che ogni giorno venivano tradotti al pretorio. In uno fra questi, Zoe femmina del prefetto ebbe la ventura di ascoltare uno di questi discorsi. Tuttavolta pagana, fu si commossa, che gittossi in ginocchio, e, comeché muta da poi sei anni, col gesto faceva intendere di voler essere cristiana. Fu intesa. Un segno di croce sulle labbra le diede la parola, di che, il primo uso che fece, fu in dimandare il battesimo [“Signavit eum Pater… et continuo dolor et omnisque tumor ascessi” (Mabillon vita lib. VI, c. 5, n. 17] – Tu dirai loro altresì, che con lo stesso mezzo l’immortale abate di Chiaravalle, san Bernardo, ha guarito un numero immenso di sordi e muti. A Cotogna una giovinetta sorda e muta; a Bourlemont un fanciullo sordo e muto dalla natività; a Bile un sordo; a Metz un sordo al cospetto di una folla immensa; a Costanza, a Spira, a Maastricht de’ sordi e de’ muti; a Troyes una giovinetta zoppa e muta alla presenza de’ vescovi Geoffrai di Langres, e di Enrico di Troyes. In fine, a Chiaravalle un fanciullo sordo-muto, che attendeva da quindici giorni il suo ritorno [“Ut signum sancte crucis expressit, confestim omnis vigor per membra diffunditur. (Vita cap. XLVI)].Mentre il Santo soggiornava a Spira, dove operava molte miracolose guarigioni, arrivò Anselmo vescovo di Havelsperg, cui una infermità di gola rendeva pressoché impossibile l’inghiottire ed il parlare. Voi dovreste guarirmi, disse questi a S. Bernardo. E S. Bernardo piacevolmente a lui: “Se voi aveste la fede di queste buone femmine, io potrei, può essere, operar su di voi in pari modo”. – “Se la mia fede non basta, riprese il Vescovo, mi guarisca la vostra”. Allora il Santo lo toccò facendo su di lui il segno della croce, ed all’instante istesso l’enfiagione ed il dolore sparirono [ Fleury, Hist. Eccl., lib. XXIV, n. 28.]. – II tatto è il senso sparso in tutto il corpo, epperò presenta agli attacchi delle infermità maggior presa. Come allontanare tutti i mali, gli uni più dolorosi degli altri, a cui è esposto? Per quanto numerosi siano, consola il pensiero che nessuno di essi sfugge alla potenza salutare del segno della croce, che, con la sua virtù, ricorda quella di colui, che guariva ogni maniera d’infermità ira gli uomini, “omnem languorem in populo”. – Uno de’ vescovi venuto in gran fama di santità, che abbia governato la diocesi di Parigi, è S. Germano. Questi conducevasi un giorno a render visita ad Ilario vescovo di Poitiers, suo degno collega. Sul suo passaggio due uomini gli presentarono, con pena, una donna muta e priva dell’uso delle gambe. Tosto che il Santo ebbe fatto il segno della croce sopra di essa, dessa ricuperò la favella e le gambe di modo, che dopo tre giorni si condusse a render grazie al suo benefattore [“Mox multa eius membra cruce consignât, et ille se sentit incolumis.” Vit., lib. IV]. – Un miracolo simile fu operato da S. Eutimio, il grande arcivescovo di Palestina. Terabone, figlio del governatore de’ Seraceni nell’Arabia, fin dalla fanciullezza aveva perduto per paralisi la metà del corpo; com’ebbe inteso parlare della virtù del santo Abate, si fece condurre presso di lui in compagnia del padre e della madre, con numeroso seguito di barbari. Il Santo lo segnò con la croce, e tosto guarì. Siffatta guarigione produsse la conversione de’ suoi genitori non solo, ma ancora de’ Saraceni compagni di viaggio, e spettatori del miracolo [Vit., lib. IV., c. 41, Vita, lib. II]. – Gran tempo dopo questo miracolo, che aveva rallegrato l’Oriente, un simile fu operato da San Vincenzo Ferreri a Nantes in Francia, nella persona di un uomo paralitico da 18 anni, che gli fu presentato perché lo benedicesse. Non ho oro, nè argento, disse il Santo all’infermo, ma pregherò il Signore perché ti conceda la sanità dell’anima, e del corpo. Come ebbe detto tali parole fece il segno della croce sulle membra dell’infermo. Il paralitico guarisce, si alza, e rende grazie a Dio ed al suo benefattore, torna a casa sua, senza più nulla risentire del passato malore! [Mabillon ubi supra, Lib. IV, c. 6, n. 33]. – È tale alcuna volta la forza del dolore da far perdere il bene dell’intelletto e la sanità dell’anima a’ poveri figli di Adamo; ma il segno della croce spinge la sua forza in queste nuove trincee del male. Edmer, istoriografo di S. Anselmo Arcivescovo di Cantorberi racconta, che questo Santo andando a Cluni, guarì col segno della croce una femmina affetta di follia, e furiosa. S. Bernardo operò lo stesso a Sechigen, e a Cologna. In quest’ultima città gli fu presentata una femmina frenetica per la morte del marito, che usava delle sue esaltate forze contro sé stessa di modo, da doverle assicurare le braccia con catene. Il Santo ebbe pietà di lei; fece il segno della croce sopra di essa, e tosto tranquilla rivenne all’uso della ragione. – Il Verbo Redentore, che il Vangelo mostra, come il medico di febbri ostinate, ha comunicato al segno della croce la virtù di operare simile prodigio. S. Prix Vescovo di Clermont nell’Alvernia, essendo venuto nel Monastero di Dorange, vi trovò l’abate Amarin infermo di pessima febbre, di maniera, ch’eragli impossibile camminare e prendere cibo. Il santo Vescovo ricorse all’arma sua ordinaria e pagò il suo scotto con un miracolo, risanando col segno della croce siffattamente l’infermo, che andò perfettamente guarito della infermità sua [“Cura vexilluiu crucis super ægrum fecisset, protinus, fugata febre, sanatus aeger surrexit” Vite de’ SS. 25 Jan.]. – Dello stesso potere è dotato contro una malattia più difficile a guarire ; l’epilessia. Nella vita di S. Malachia, Arcivescovo di Armagli, morto a Chiaravalle, S. Bernardo dice : « Inanzi partisse per Roma, dove si conduceva per ricevere il pallio da Eugenio III, il santo Arcivescovo guarì un epilettico col segno della croce». E S. Bernardo istesso operò simile prodigio nella persona di una giovinetta della Champagna a Troyes [“Signavit eam statimque locuta est”: Mabillon, ubi supra, c. XIV, n . 47. – Secondo l’esempio da me datovi, guarite i lebbrosi, aveva detto N. S. I Discepoli raccolsero questa parola, la cui virtù divina è passata nel segno della croce. La fama di Francesco Saverio era sparsa in tutte le Indie, e dessa faceva accorrere presso il Santo i lebbrosi da tutti i luoghi, per ottenere la guarigione tante volte inutilmente sperata. Uno fra questi, non osando di comparire in pubblico, pregò il Santo di condursi presso di lui. Il Saverio non poté soddisfarlo, ed in sua vece commise ad un compagno una tal visita, dicendogli di domandare per tre volte all’infermo se crederebbe al Vangelo, ove venisse guarito, e che dopo tale promessa lo segnasse per tre volte col segno della croce. Tutto fu eseguito come il Santo avea detto, ed il lebbroso guarì [Vita, lib. V, p. 347]. – Innanzi procedere più oltre, credo esser mestieri, mio caro, il ricordarti una osservazione di S. Giovanni Crisostomo, da aver presente ragionando dell’azione del segno della croce, sia nella guarigione delle malattie, che per l’allontanamento de’ tristi accidenti. Se alcuna volta i mali non sono guariti e le calamità allontanate, tutta volta il segno della croce convenevolmente sia eseguito, non è difetto di potere del segno, ma perché questi mali ci sono utili prove [“Morbis imperans terribile est hoc nomen, et si non abigerit morbum, non hinc est quod infirmimi sit hoc nomen, sed quod utilis est morbus”. Ad Coloss. II, homil IX]. – V’ha una infermità non meno crudele della lebbra, ma più comune: il cancro. Ma questa come tutte le altre infermità umane non resiste alla potente azione della croce. Ascolta quanto narra S. Agostino testimone oculare. « A Cartagine una nobilissima donna per nome Innocenza aveva nel petto un canchero stimato da’ medici incurabile. – Il medico nulla le aveva nascosto del suo stato, ed Innocenza, posta in Dio ogni sua fiducia, da lui solo attendeva la guarigione. Una notte, verso la Pasqua, è avvertita in sogno di condursi al battistero nel luogo delle donne, e di far fare dalla prima catecumena che trovasse, il segno della croce sul membro infermo, ubbidisce, ed è guarita. Il medico meravigliato trovandola risanata, volle saperne il come. La donna tutto gli narrò. Il medico con grande indifferenza, il che faceva temere alla donna dicesse qualche parola contro N. S., disse: Io mi attendeva qualche cosa straordinaria. E vedendola inquieta, soggiunse: “Che v’ha di meraviglioso che Gesù Cristo abbia guarito un cancro; Egli che ha dato la vita ad un morto dopo quattro interi giorni!” [“Quid grande fuit Christus sanare cancrum, qui quatriduannui mortuum suscitavit.” Aug. de Civ.Dei, lib. XXII, c. 8]. – A tutte queste infermità naturali spesso si congiungono gli attacchi delle bestie feroci e velenose, per togliere all’uomo la sanità e la vita. Contro esse gran rimedio è il segno della croce. Il santo anacoreta Tolasce, scrive Teodoreto, viaggiando fra le tenebre della notte, calpestò una vipera. Il rettile furioso lo morde nella pianta del piede. Il Santo s’inclina, porta la destra sulla ferita, e la vipera gliela morde, come altresì la sinistra accorsa al soccorso della destra. La bestia di tutto ciò non contenta, lo addentò per circa dieci volte, e poi si cacciò nella sua tana, lasciando la vittima in preda ad intollerabili dolori. In siffatto stato il servo di Dio crede non dover far ricorso a medicine. Per guarire le ferite si contentò impiegare i mezzi della fede: il segno della croce, la preghiera, e l’invocazione del santo nome di Dio ([“Sed neque tunc passus est uti arte medica, sed vulneribus adhibuit sola fidei medicamenta, crucisque signaculum, et orationem, et Dei invocationem.” (Tbecdoret. in Thalass).]. Padrone della vita, N. S. , lo è ancora della morte. – Questo impero sovrano si trova nel segno della croce. Ecco quanto leggesi nella vita di S. Domenico. Predicava il Santo in Roma: una dama, per nome Guttadona, devotissima di lui, per assistere al suo sermone, aveva lasciato a casa un figlio infermo, al suo ritorno lo trovò morto. Senza dar sfogo al materno dolore, assembra le sue donne e porta il fanciullo a S. Domenico. Lo incontra alla porta del convento di S. Sisto, depone il morto a’ suoi piedi, e disfacendosi in lacrime, gliene domanda la vita. Il Santo commosso s’inginocchia, e dopo breve preghiera fa il segno della croce, prende il fanciullo per la mano e lo rende in vita alla madre pregandola di profondo segreto. Ma che! la buona donna nell’eccesso della gioia pubblicò l’avvenuto miracolo in tutta Roma [Vita di S. Dom., lib. II, c. 3]. – Tu il vedi chiaro, mio caro Federico, io mi son contentato di citare uno o due fatti per ciascuna malattia, che se tutti rapportar si volessero, molti volumi non potrebbero neppure contenerli. S. Agostino, S. Crisostomo, S. Cirillo, S. Efrem, S. Gregorio Nisseno, S. Paolino e cento altri testimoni dell’Oriente e dell’Occidente di tutti i secoli mostrano, con migliaio di fatti, che il segno adorabile di Colui ch’è venuto per guarire ogni infermità, non ha mai cessato dal rendere la vista ai ciechi, l’udito ai sordi, la parola ai muti, la sanità agl’infermi e la vita ai morti. – Ecco l’istoria. È mestieri accettarla come è, o farne in pezzi le pagine e cader nello scetticismo: o farne un’altra più sapiente, più coscienziosa e veridica. Domanda a’ tuoi compagni se hanno polsi da ciò, e quando dessa sarà’ compilata, noi vedremo. A domani.

LETTERA DECIMAQUARTA.

9 dicembre.

Il segno della croce potente a rendere la sanità e la vita, mostra ugual potere, mio caro Federico, contro quanto può comprometterla. Qui ancora i fatti abbondano, ma i limiti di una lettera non mi consentono altro che citarne alcuni. Di poi la rivolta originale, tutti gli elementi sono sottoposti all’influenza di satana, congiurano contro l’uomo, l’aria, il fuoco, l’acqua, e che so io! gli fanno una guerra continua, e soventi volte mortale. A nostra difesa l’arma universale stabilita è il segno della croce! – Il Signore, la cui voce comanda ai venti ed alle tempeste, loro parla per lo mezzo di questo segno. Leggiamo di Niceta Vescovo di Treviri, che viaggiando alla volta della sua diocesi si addormentò sulla nave, che aveva noleggiata. A mezzo del corso levasi furiosa tempesta, che squarciate le vele, messi in pezzi gli alberi, minacciava la nave di certo naufragio. I viaggiatori spaventati lo destano. Ed egli, tranquillo fa il segno della croce sulle onde in furore, e queste placatesi lasciano succedere la calma alla furiosa tempesta (1). (1) [“Excitatus quoque a suis fecit Signum crucis super aquas, et cessavit procella.” (S. Greg. Turon. Dt glor. confes. c. XVII.)]. – È fede cattolica espressa nel Pontificale Romano che satana sia l’autore di molte tempeste, e, nell’aria, dimora di lui e degli angeli suoi, esercita particolare e trista influenza. Soventi volte egli reca di tali uragani per disertare le campagne, e soprattutto per far guai agli uomini da bene, che si studiano distruggere il suo impero. Di questi fenomeni, di fatti, usava per rendere inutile la predicazione di Vincenzo Ferreri. Il Santo, atteso il numero della gente, che d’ogni dove si traeva ai suoi sermoni, non poteva predicare in chiese, che anguste tornavano a contenere tanto popolo, ma su per le piazze, e queste erano sempre gremite di fedeli, ebrei, e maomettani, che per i sermoni di Vincenzo si rendevano cattolici, o se lo erano, divenivano migliori. Satana a distorre tanto bene usava quest’arte. Raccoglieva venti e nubi, suscitava tempeste tali, che il popolo impaurito si cacciava nelle case, e solo restava Vincenzo. La più terribile di tutte le tempeste fu quella suscitata in una borgata di Cotogna. Il Santo, secondo il suo solito dopo la Messa, innanzi deponesse i sacri paramenti, col segno della croce e con l’acqua benedetta, fattosi alla porta della chiesa, costrinse satana a restar tranquillo tutto quel giorno [“Sparsit aquam sacratam, ed deinde crucis expressit Signum; illico tempestas dissipatur…. saepissime…. ortas tempestates crucis signo compescuit. (Vit. lib. III)]. – Come l’aria cosi il fuoco ubbidisce al segno della croce. S. Tiburzio, figlio del Prefetto di Roma, è condannato a bruciar l’incenso ai falsi numi e camminare sul letto di fuoco. Il giovane martire fa il segno della croce, e senza esitare si avanza nel mezzo delle braci, ed in piedi e nudo, « Rinunzia, dice egli al giudice, adesso ai tuoi errori, e riconosci che non v’ha altro vero Dio che il nostro. Metti, se te ne basta l’animo, la tua mano nell’acqua bollente in nome di Giove, e questo che chiami Dio le impedisca di recarti nocumento alcuno. Per me, mi sembra un letto di rose questo che calpesto » [Atti di S. Sebast.]. – Sulpizio Severo racconta, come saputolo da S. Martino istesso, che una notte il fuoco si appiccò alla stanza del santo taumaturgo delle Gallie. Egli si risveglia, e confuso si studia estinguere il fuoco; ma inutili tornarono gli sforzi! Rasserenatosi, non più pensa né a salvarsi, né ad estinguere il fuoco, ma, fiduciando in Dio, fa il segno della croce. Le fiamme si dividono, e piegandosi in arco sul capo di lui, gli lasciano continuare la preghiera [Ep. 1 ad Euseb. Praesbyt.: e Vita di S. Martino, lib. X]. – Lascia che io ti parli di un fatto personale del gran Vescovo. Inimico instancabile dell’idolatria, Martino, aveva abbattuto un tempio d’idoli quanto antico, altrettanto in gran fama, e restava solo un gran pino, che sorgeva d’allato al tempio. Egli volevalo distrutto, comeché oggetto di superstizione; ma i sacerdoti degli idoli ed i pagani vi si opponevano a tutt’uomo. In fine, questi dissero al coraggioso vescovo: “Poiché tu hai tanta fiducia nel tuo Dio, noi abbatteremo l’albero a patto, che tu resti sotto di esso quando cadrà. La condizione fu accettata. Un popolo immenso si assembra e gremisce lo spazio dove l’albero doveva essere abbattuto; alla presenza di esso S. Martino lasciasi legare e mettere su quel punto verso cui l’albero inclinava. Ai compagni del Santo un fremito correva per le vene, che l’albero a metà asciato pendeva su Martino, e fra pochi istanti ne sarebbe schiacciato: ma l’uomo di Dio era tutto tranquillo, ed elevata la mano, fa contro il cadente albero il segno della croce. A questo segno l’albero si erge, e come spinto da violentissimo vento cade dalla parte opposta. Un grido d’ammirazione si eleva, e non v’ha quasi alcuno che non domandi il battesimo! [Ubi supra.]. – Questo avvenimento accaduto nelle Gallie è ripetuto in Italia. Onorato, santo abate, e fondatore di un monastero di Fondi, che raccoglieva 200 monaci, vide minacciata l’opera sua di totale ruina. Un gran monte era a cavaliere del monastero, e dal sommo di esso staccasi tale un macigno, che rotolando giù per la china avrebbe schiacciato e monastero, e frati. Onorato accorre; invoca il santo Nome di Dio, distende la mano destra ed oppone al macigno il segno salvatore. L’enorme massa si arresta, ed immobile si tiene sul pendio del monte sino ai giorni nostri [ S. Greg. (Dial., lib. I. c. 1)]. – Dall’occidente passiamo all’oriente, e noi troveremo che la potenza sovrana di questo segno non è limitata per differenza di latitudine, né di longitudine. Ascolta S. Girolamo. Il terremoto che seguì la morte di Giuliano l’apostata portò il mare fuori i suoi limiti, e quasi Dio avesse minacciato il mondo di un nuovo diluvio, o che l’universo dovesse rientrare nel caos, le navi si trovarono su i monti spintevi dal furore de’ flutti. Gli abitanti d’Epidauro spaventati per le grandi masse di acqua, che cadevano su i monti, e temendo che la patria fosse trasportata da esse, si condussero presso il santo vecchio Ilarione, e presolo, lo condussero alla loro testa quasi ad una battaglia, contro le acque. Giunti alla riva, il santo fece per tre volte il segno della croce sull’arena. A questo segno le acque si gonfiano, ascendono ad una altezza incredibile come irritate dell’ostacolo, che loro opponeva Ilarione; ma, dopo poco tempo, abbonacciate, rientrano nel loro letto senza più sorpassare il sacrato limite. Epidauro e tutta la contrada pubblicano questo miracolo, e le madri lo raccontano a’ figli perché la posterità ne risapesse [“Qui cum tria crucis signa pinxisset in sábulo, manusque contra tenderet, incredibile dictu est in quantam altitudinem intumescens mare ante eum steterit, ac diu fremens et quasi ad obicem indignans, paulatim in scmetipsum relapsum est”. (Tif. S. Hilarión, vers. fin.]. – Eccoti un altro fatto analogo, ma più recente. Mezey istoriografo francese narra che le pioggie del 1106 avevano fatto straripare i fiumi ed i laghi di modo, che le innondazioni producevano un nuovo diluvio. Le sole preghiere e le processioni furono potente rimedio contro questo flagello, e , come fu fatto il segno della croce sulle acque, incontanente entrarono nel loro letto [Ist. di Francia, tom. II, p. 135]. – Se la verga mosaica, figura della croce, ha potuto dividere le acque del Mar Rosso, e tenerle sospese come monti, perché il segno istesso della croce non potrà rientrare le acque nel loro letto? Torniamo all’immortale Tebaide, e lascia che io dica una qualche meraviglia, di che i suoi angelici abitanti furono gli attori, ed il segno della croce strumento. Uno di essi, Giuliano, chiamato Sabas, o il vecchio da’ capelli bianchi, traversando l’arida solitudine, s’imbatte in un enorme dragone. Lo spaventoso animale getta sovra di lui uno sguardo sanguigno, apre l’affamata gola, e si slancia per divorarlo. Il venerabile senza scomporsi rallenta il passo, invoca il nome di Dio, fa il segno della croce: il mostro stramazza morto [“At ego Dei nomen appellans, digitoque trophaeum crucis ostendens, et omnem metum excussi, et belluam extemplo corruentem vidi”. (Theodoret. Relig. hist., c. 2]. – Più lontano, osserva Marciano, solitario della Siria, che rinnova lo stesso prodigio. Egli pregava alla porta della sua stanzuccia quando Eusebio, suo discepolo, gli grida di lontano per avvertirlo che un rettile mostruoso, poggiato sul muro dalla parte d’oriente, è per slanciarsi sopra lui e divorarlo, e però si desse alla fuga. Marciano riprende il discepolo di siffattamente impaurirsi; fa il segno della croce, e soffia contro la spaventevole bestia. Si vide allora l’effetto della parola primitiva: “Metterò una guerra a morte fra la tua razza e la sua”. Il fiato uscito dalla bocca del santo fu come un fuoco, che invase di modo il dragone, che cadde in pezzi come bruciata canna [“Digito crucis signum expressit, et ore insufflans, veteres inimicitias pate fecit ; mox enim draco, spiritu oris, veluti fiamma quadam correptns, exustae instar arundinis, in multas partes dissectus est”. (Ibid. c. 3]. – Sarebbe facile narrare i molteplici fatti che hanno avuto luogo in queste celebri contrade; ma per riunire le meraviglie dello stesso genere percorriamo l’Italia, serbandoci tornare in Oriente. S. Gregorio il grande racconta che S. Amanzio, prete di Tiferno, oggi città di Castello nell’Umbria, aveva tale impero su i serpenti i più temuti e terribili, che queste bestie non potevano restare in sua presenza. Un segno solo di croce faceva morire quanti ne incontrasse, e se per salvarsi si cacciavano in qualche buco, lo chiudeva con lo stesso segno, e la serpe n’ era estratta morta da una potenza invisibile. Era un vero compimento delle parole del Signore: “Uccideranno i serpenti”, [“serpentes tollent”] – [“In quolibet loco, quamvis immanissimae asperitalis ser-pentem repererit, mox ut eum signo crucis signaverit, estingui”. (S. Greg. Dialog., lib. IH, c. 35)]. – Tu sai che N. S. aggiunge immediatamente: « E se » eglino beveranno alcun che di avvelenato, non ne avranno nocumento alcuno, “Et si mortiferum quid biberint, non eis nocebit ». Qualche prova tra mille. La città di Bosra nell’Idumea aveva a vescovo S. Giuliano. Alcuni notabili, in odio della religione, stabilirono avvelenarlo; all’uopo corruppero il servo del vescovo perché apprestasse il veleno al padrone in una coppa. Lo sciagurato ubbidisce. Il santo divinamente sapendo quanto sul conto suo si facesse, depone la tazza, e dice al servo: Va da mia parte presso i principali abitanti, ed invitali a pranzar meco. Egli sapeva essere fra questi i rei. Tutti accettarono l’invito. Allora il santo, che non voleva diffamare nessuno, disse con estrema dolcezza: Poiché volete avvelenare il povero Giuliano, ecco il veleno, io lo beverò. Ciò detto, segnò per tre fiate la coppa, dicendo: “In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo io bevo questa tazza”. Egli la beve sino all’ultima gocciola, senza averne nocumento alcuno. A sì strano spettacolo gl’inimici gli caddero ai piedi implorando perdono [“Voce mitissima omnibus dixit: si arbitramini humilem Julianum vencno occidere, ecce coram vobis pestiferum calicem bibo: signansque ter digito suo calicem, et dicens: In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti bibo hunc calicem, bibit illuni coram omnibus tot uni, atque illaesus perstitit. Quod illi cum vidissent, prostrati veniam petiere. (Sophron. in Prat. Spirit.)]. – È mestieri essere bacelliere del secolo decimonono per ignorare il fatto seguente. Se v’ha una vita da esser nota a tutti, è per fermo, quella del patriarca de’ monaci di occidente, Benedetto. Nuovo Mosè, a lui ed ai suoi figli l’Europa deve l’esser stata sottratta alla barbarie. Mostrate una landa materiale o morale che dal Benedettino non sia stata dissodata? Un principio civilizzatore che non sia stato coltivato, insegnato e praticato? Dio sa a prezzo di quali sacrifìzii! Quel che sappiamo si è, che satana, vecchio Faraone, non rincula d’innanzi ad alcun mezzo per impedire l’opera liberatrice; epperò come Benedetto si raccoglie nella solitudine, gli si assembrano d’intorno alcuni monaci, indegni di tal nome, supplicando il santo di rendersene direttore. Questi loro impone una regola, e con la parola e 1’esempio cerca accostumarli al giogo della disciplina. Vani sforzi! Gli esempi feriscono l’orgoglio de’ frati, le parole ne provocano la collera e ne accendono l’odio. La risoluzione è presa; il superiore deve morir di veleno: pensato, fatto. Un bicchier di vino avvelenato gli è presentato, perché, secondo il costume, lo benedicesse. Benedetto lo benedice, ma il bicchiere va in mille schegge. Il santo comprese che una coppa di morte gli era presentata, che non poteva reggere al segno della vita [“Extensa manu Benedictas Signum crucis edidit, et vas quod longius tenebatur, eodem signo rupit, sieque confractum est, ac si in illo vase mortis pro cruce lapidem dedisset. Intellexit protinus vir Dei quia potum mortis habuerat, quod portare non potuit Signum vitae”. (S. Greg. Dialog., lib. II, c. 3)]. – Per questi esempi e per mille altri di simil fatta t’è facil cosa comprendere qual potente preghiera sia il segno della croce, quante grazie ne apporti, e come preservi questa nostra fragile esistenza da’ pericoli che la minacciano e circondano. – In Francia, nella Spagna e nell’Italia e credo nelle altre regioni, i cattolici costumano segnarsi al tuono della folgore, e quando lampeggia. Gl’indifferenti se ne burlano, come se i veri cattolici de’ secoli scorsi, che ci precedettero, fossero tutti spiriti da nulla e superstiziose femminucce. Ora ne’ casi indicati ed in tutti i pericoli noi vediamo il segno della croce in uso presso i cristiani dell’oriente e dell’occidente, sino da’ primi tempi della Chiesa. S. Efrem, S. Agostino, S. Gregorio di Tours, mille altri testimoni, l’han visto per noi e l’attestano. « Se il lampo squarcia le nubi, dice il santo Diacono di Edessa, se la folgore scoppia, l’uomo s’impaura, e tutti intimoriti c’inchiniamo verso la terra » [“Si repente fulgur aliquod, vel tonitruum clarius ac vastius contingat, omnem subito sui formidine perterrèt hominem, cunclique horrore perculsi in terram nos inclinamus”. (S. Ephrem. Serra, de Cruc). – Il Santo parla del segno della croce, e benché non lo nomini, è evidente che esso aveva luogo in questa circostanza, poiché non si mancava di farlo ad ogni istante e nelle azioni le più ordinarie]. – S. Angostino parlando di quelli, che usano mondane riunioni, aggiunge: « Se un qualche accidente loro mette paura, tosto formano il segno della croce » (2). (S) [“Si forte aliqua ex causa expavescunt, continuo se signant.” Aug.,lib. 50 homel.: homel. XXI]. – S. Gregorio racconta, come cosa nota a tutti, che sotto l’impressione di un timore ed a vista di qualsiasi pericolo, i cristiani facevano ricorso al segno protettore. Fra mille fatti il seguente ne sia prova [S. Greg. Turon., lib. Il miracul., S. Martini, c. 45]. – Due uomini si conducevano da Ginevra a Losanna. Un uragano violento li sorprende, accompagnato da spessi lampi e tuoni. Uno de’ viaggiatori, secondo l’uso cristiano, fa il segno della croce, e l’altro beffandosene gli dice: Che? scacci le mosche ? Lascia le superstizioni da femminette. Simili anticaglie disonorano la religione, e sono indegne di un uomo illuminato! Non ebbe detto ciò, che un fulmine lo stende morto a’ piedi del compagno. Questi continuò a difendersi col segno salutare; compì il suo viaggio prosperamente, e propalò da per tutto l’accaduto [Tilman.. Collec. de’ Santi, lil. VII, c 58]. – Avviso agli spiriti forti! – Il segno della croce non protegge solamente la umana vita, ma quanto gli appartiene: desso è pegno di sicurezza. Quindi l’uso universale di apporre siffatto segno sulle case, nei campi, su i frutti e gli animali. « I cattolici , dice il grave Stuckius, hanno delle preghiere accompagnate dal segno della croce per ciascuna creatura, per le acque, le foglie, i fiori, l’agnello pasquale, il latte, il miele, il formaggio, il pane, i legumi, le uova, il vino, l’olio ed i vasi a contenerlo. In ciascuna formula di benedizione eglino domandano espressamente che la malefica potenza di satana ne sia allontanata, e pregano Dio per ottenere la sanità dell’anima e del corpo ». II giorno della Risurrezione benedicono il latte, il miele, le vivande, le uova, il pane, quanto si conserva ed è considerato’ come salutare all’anima. Il giorno dell’Ascensione, le erbe, le piante, le radici per loro comunicare una virtù divina. Il giorno di S. Giovanni il vino, considerato, senza tale benedizione, come impuro e male. Il giorno di S. Giovanni i pascoli; ed in quello di S. Marco le messi. E con ciò eseguono il comando di S. Paolo, che impone a’ fedeli di benedire quanto serve alla vita, e renderne grazie a Dio; uso misterioso, di che i Teologi apportano eccellenti ragioni [“Cuius sane rei a theologis, et quidem optimae, gravissima que rationes afferuntur”. Stukius Àntiq convivivi, lib. II, C. 36, p. 430′]. – Queste creature liberate, mercé il segno della croce, dalla influenza di satana, diventano strumento della inesausta bontà del Creatore ». – Leggesi in S. Gregorio di Tours, che una malattia distruggeva siffattamente il bestiame da temerne fin la perdita [“Mox dicto citius, clandestina peste propulsa, pecora liberala sunt”. s. Grog. Turon., lib. Ili Mimati. S. Martin, c. XVIII]. – Nella loro costernazione, alcuni abitanti si condussero alla basilica di S. Martino, presero l’olio che bruciavasi nella lampada, e dell’acqua benedetta; portatisi nelle loro dimore, con essi segnarono le teste delle bestie non ancora affette, e ne diedero a bere a quelle, che non erano ancora perite: tutte furono salve.

[NOTA – Perché i fedeli possano intendere come per le benedizioni siano le cose sottratte all’azione di satana, vogliamo aggiungere a quanto dice l’autore, poche parole sulla “benedizione ecclesiastica”. Innanzi tutto è da avvertire, che benedire, da che è la voce benedizione, può avere un triplice significato. Il primo è dalla parola istessa che significa parlare vantaggiosamente di qualcuno, lodarlo, dirne del bene. Psal. XXXIII. Benedicami Augurare altresì prosperità è il secondo: Super populum tuum benedictio tua. Psal. III. Infine il terzo significa consacrare, santificare una qualche cosa, perché fosse o convenevole materia del sacrifizio o dei sacramenti, o che divenga strumento di salute sia per l’anima, che pel corpo. In quest’ultimo significato, dicesi benedizione ecclesiastica. Questo non è altro che una cerimonia ecclesiastica, con la quale la Chiesa dimanda a Dio del bene per le persone, o le cose. Distinguesi quindi dalla benedizione divina, che è conferire il bene dimandato, e dalla benedizione che ciascuno può dare, come quella de’ genitori e de’ superiori tutti. Questa benedizione ecclesiastica è di due specie, l’una invocativa, l’altra costitutiva. Per la prima si domanda a Dio il bene per la persona o la casa, senza che venga mutata la destinazione, o natura dell’oggetto per cui domandasi. Di siffatta natura è la benedizione episcopale o sacerdotale, ecc. Per la seconda le cose e le persone sono costituite in uno stato permanente di cosa sacra, religiosa, dedicata a Dio siffattamente, da non poter tornare ad uso profano. Gli oggetti e le persone siffattamente benedette possono avere un triplice fine e scopo. Sono dirette a significare e rappresentare qualche cosa di sacro come il cereo pasquale, le immagini, le palme, ecc., o ad esercitare gli uffici di religione, come i vescovi e i preti, i monaci; o a servire di mezzo a benedire, a santificare le cose e le persone, come l’acqua benedetta, gli oli, le vesti sacre. – Per la benedizione constitutiva le cose sono sottratte all’azione di satana; poiché la Chiesa per l’autorità ricevuta contro satana nella persona degli apostoli, impedisce a questo inimico esercitare le sue influenze su quanto da essa è deputato al culto divino; ed ancora perché in alcune benedizioni comincia dagli esorcismi, ed in tutte, usa sempre del segno della croce (l), che ha per suo scopo ed effetto scacciare satana, come santo Agostino: Tract. 118 in loan., et ser. de temp. 181, e san Giovanni Grisostomo, hom. 55 in Malli, insegnano. Istesso effetto è prodotto dalla benedizione invocativa. La preghiera della Chiesa è meritoria ed impetrativa, però il suo ministro pregando Dio in suo nome nella benedizione, affinché sottraesse le persone e le cose all’azione di satana, il Signore, se la sua bontà lo crede espediente per la salute de’ fedeli, ascolta la preghiera della sua sposa: Matth. VII, Luc. II. “Petite et accipietis; omnis qui petit accipit”].

Citiamo un ultimo esempio della potenza protettrice del segno della croce. S. Germano, vescovo di Parigi, si portava ad incontrare le reliquie di. S. Simforiano martire, quando gli abitanti di un villaggio, ch’egli traversava, lo pregarono di aver compassione di una povera vedova, il cui piccolo campo era divorato dagli orsi. “Vieni, gli dicevano, a vedere il povero campo, e le bestie distruggitrici fugiranno per la tua presenza”. Tuttavolta i compagni del santo si opponessero, egli si recò sul campo e lo benedisse col segno della croce. Tosto arrivarono due orsi, ma presi da furore cominciano a combattere fra loro; uno resta ucciso, l’altro gravemente ferito, che in seguito fu morto a colpi di piuoli, e la vedova nulla ebbe più a temere per la sua raccolta [Fortunati, In vita S. Germani.] – L’istoria e piena di simili fatti; ma basti per quest’oggi.

La basilica distrutta

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La basilica distrutta

Ha forse un significato simbolico la rovina a Norcia della Basilica di San Benedetto, patrono dell’Europa una volta cristiana? E’ forse il sigillo della Chiesa europea, che oramai ha perso ogni legame con il Cattolicesimo Romano? Il Patrono d’Europa ha voluto segnalare così a tutti noi che il suo patrocinio sull’Europa è decaduto, polverizzato? Roma e tutta l’Europa, come  anticipato da molteplici profezie, sono in piena e conclamata apostasia, guidate da una falsa e blasfema gerarchia che ha insediato la “sinagoga di satana” tra le mura della Chiesa Cattolica. A noi sparuti, superstiti Cattolici che vogliono con ostinazione conservare la fede in Cristo e nella sua vera ed unica Chiesa, in comunione con il Santo Padre Gregorio XVIII, non resta che attendere il ben meritato castigo e, nella penitenza e nella sofferenza, pregare il Cuore Immacolato della Vergine Maria perché abbia di noi pietà ed acceleri il suo trionfo sulle “porte del male”, onde la Chiesa di Cristo, Maestra dei popoli, e UNICA Via della salvezza eterna, possa nuovamente far risplendere nel mondo la luce della verità. La foto è perfetta: della Basilica solo la facciata è rimasta, così come solo la facciata esterna conserva la falsa “chiesa dell’uomo”, l’ecumenista e modernista blasfemo “tempio” postconciliare.

ORIGINI DELLA « QUINTA COLONNA »

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[Il trionfo della quinta colonna]

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[Il trionfo del sommo marrano]

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ORIGINI DELLA « QUINTA COLONNA »

[M. Pinay: “Complotto contro la Chiesa”- Roma, 1962]

 Allo scopo di fornire esauriente dimostrazione sulla fondatezza dei fatti da noi narrati nel precedente capitolo, chiameremo in causa un testimonio illustre ed importante le cui prove, soprattutto per gli ebrei, sono esaurienti ed indiscutibili. Ci riferiamo all’insigne storico ebreo contemporaneo Cecil Roth, giustamente stimato, nel mondo giudaico come il più illustre. Soprattutto in materia di criptogiudaismo. Nella sua celebre opera Historia de los Marranos (con l’appellativo di marrani l’autore ebreodefinisce dispregiativamente coloro tra gli ebrei che per paura o per tornaconto personale hanno nascosto e nascondono la loro origine e la loro fede religiosa, n.d’A.). Cecil Roth ci rivela molti interessanti dettagli su come gli ebrei, grazie alla loro apparente conversione, riuscirono ad introdursinella Cristianità, comportandosi in pubblico come cristiani, però conservando in segreto la religione ebrea. Egli ci dimostra anche come questa fede clandestina possa trasmettersi da padre in figlio, coperta dall’apparente attivismo cristiano. – Nella sua opera suddetta — Editoriale d’Israele, Buenos-Ayres, anno 1946 (anno ebreo 5706) — Cecil Roth scrive testualmente :

« Introduzione- Precedenti del cripto-giudaismo

« Il cripto-giudaismo, nelle sue diverse forme, è antico come lo stesso giudaismo. Nei tempi della dominazione ellenica in Palestina, i deboli di carattere cercavano di nascondere la loro origine, allo scopo di sottrarsi al ridicolo negli esercizi atletici. Sotto la ferula romana essi continuarono egualmente nei loro sotterfugi onde evitare il pagamento dell’imposta speciale ebrea: il Fisco giudaico, istituito dopo la caduta di Gerusalemme. Lo storico Svetonio ci fornisce una viva relazione delle angherie patite da un nonagenario, sul conto del quale si intendeva scoprire se fosse o no ebreo. « L’attitudine ebrea ufficiale, così come viene espressa nelle sentenze dei rabbini, non può essere maggiormente chiara. Un uomo può e deve salvare la sua vita in pericolo, con qualsiasi mezzo, eccezion fatta per l’assassinio, l’incesto, e l’idolatria. Questa massima si applicava nei casi in cui veniva imposto un pubblico gesto di rinuncia alla fede. Il semplice occultamento del Giudaismo era, in cambio, una cosa del tutto diversa. Gli intransigenti esigevano, è vero, che non si rinunziasse agli abiti tradizionali, anche se ciò veniva imposto come mezzo di oppressione religiosa. Ma una così ferma fedeltà ai principi non poteva essere richiesta a tutti. La legge ebraica tradizionale stabilisce, e consente; eccezione nei casi in cui, per forza maggiore, sia impossibile osservare i precetti e quando tutto il Giudaismo vive giorni difficili. « Il problema divenne attuale negli ultimi anni dei tempi talmudici, nel secolo quinto, durante le persecuzioni di Zoroastro in Persia, ma fu però risolto, più che con il conformismo attivo alla religione dominante, grazie ad una forzata negligenza delle tradizionali osservanze. Il Giudaismo divenne, in un certo modo sotterraneo e solo dopo alcuni anni recuperò la sua intera libertà. « Con l’avvento delle dottrine cristiane, impostesi definitivamente in Europa nel secolo quarto, ebbe inizio una fase particolare della vita ebrea. La nuova fede reclamava per se il possesso della verità e considerava, inevitabilmente, il proselitismo come uno dei suoi maggiori obblighi morali. La Chiesa riprovava, questo è certo, la conversione forzosa. I battesimi impartiti in condizioni siffatte eranoconsiderati nulli. Papa Gregorio il Grande (590-604) li condannò ripetutamente, pur accogliendovolentieri quei proseliti che erano stati attratti con altri mezzi. La maggior parte dei suoi successori seguirono il suo esempio. Malgrado ciò non sempre la proibizione pontificia veniva rispettata, pur riconoscendo, naturalmente, che la conversione forzosa, non era ortodossa. Per evitarla gli ebrei venivano larvatamente minacciati di espulsione e anche di morte; mentre veniva loro detto, che qualora si fossero fatti battezzare sarebbero stati salvi. – « Capitava quindi, a volte, che gli ebrei dovessero sottomettersi a questa dura necessità. E in questo caso la loro conversione al Cristianesimo si considerava spontanea. Si ebbe, in questo modo, una conversione forzosa in massa a Mahon (Minorca), nell’anno 418, sotto gli auspici del vescovo Severo. Un episodio simile capitò a Clermont, in Francia, la mattina del giorno dell’Assunzione dell’anno 576; e nonostante la disapprovazione di Gregorio il Grande, tale esempio venne seguito in diversi altri luoghi della Francia stessa. Nell’anno 629 il re Dagoberto ordinò che tutti gli ebrei accettassero il battesimo pena l’esilio. Il sistema fu imitato dopo poco tempo anche in Lombardia. « Evidentemente le conversioni ottenute con questo mezzo non potevano esser sincere. E nei limiti del possibile le vittime continuavano a praticare occultamente la loro religione e approfittavano della prima occasione per ritornare alla fede dei loro antenati. Un clamoroso caso del genere ebbe a verificarsi in Bisanzio, sotto Leone, nell’anno 723. La Chiesa lo sapeva e faceva quanto era in suo potere per evitare che gli ebrei continuassero a intrattenere relazioni con i loro fratelli rinnegati, qualunque fosse stato il mezzo con il quale era stata ottenuta la conversione. « I rabbini chiamavano questi apostati riluttanti « anusim » (forzati), trattandoli diversamente da coloro che rinnegavano la fede di propria volontà. Una delle prime manifestazioni della sapienza rabbinica in Europa fu il libro di Gerschom, di Magonza, Luce dell’esilio, scritto all’incirca nell’anno 1000, nel quale veniva vietato di trattare duramente i « forzati » che ritornavano al Giudaismo. Proprio il figlio dello scrittore era stato vittima delle persecuzioni; e pur essendo morto come cristiano Gerschom lo piangeva come se fosse morto nella sua vera fede. « Nel servizio di sinagoga c’è una orazione che implora la protezione divina per tutta la Casa d’Israele, anche per i ” forzati ” che fossero in pericolo, in terra a in mare senza fare distinzione alcuna. Quando ebbe inizio il martirologio del giudaismo medioevale, con la strage sul Reno, verificatasi durante la prima crociata (1096) numerose persone accettarono il battesimo per aver salvala vita. Più tardi, incoraggiati e protetti da Salomon Ben Isaac de Troyes (Rachi), il grande saggio ebreo francese, molti di loro ritornarono alla fede dei padri, malgrado che le autorità ecclesiastiche guardassero di malocchio la perdita di queste preziose anime, guadagnate da loro alla Chiesa. « Il fenomeno del marranismo senza dubbio, va altre la conversione forzosa e la conseguente pratica segreta del giudaismo. La sua caratteristica principale è questa : la fede clandestina si trasmette egualmente da padre in figlio. « Una delle ragioni addotte per giustificare l’espulsione degli ebrei dall’Inghilterra, nel 1290, fu che essi seducevano i recenti convertiti, e li facevano ritornare nel « vomito del giudaismo ». Cronisti ebrei aggiungono che molti ragazzi vennero sequestrati e inviati nel nord del paese, dove continuarono per lungo tempo a praticare la loro antica religione. Anche a questo fatto si deve, informa uno di essi, la prona accettazione della Riforma, così come la predilezione per i nomi biblici e certe peculiarità dietetiche scozzesi. La versione è meno improbabile di quanto a prima vista potrebbe sembrare e costituisce un interessante esempio di come il fenomeno del cripto-giudaismo possa rivelarsi nei luoghi apparentemente meno indicati. “Duecento anni dopo che gli ebrei furono espulsi dal sud della Francia, taluni maliziosi esperti in genealogia scopriranno tracce di sangue ebreo — di quegli ebrei! — in talune altolocate famiglie, le quali stando alle dicerie continuarono a praticare il giudaismo nella intimità dei loro focolari. Si tratta, è chiaro, di ebrei, che preferirono restare nel Paese quali cattolici dichiarati e confessi, anziché affrontare le asprezze e le incognite dell’esilio. « Esempi simili esistono anche nei tempi molto più prossimi a noi. Il più notevole di tutti è l’episodio dei neofiti di Puglia (Italia) venuto recentemente alla luce dopo molti secoli di oblio. Verso la fine del secolo XIII gli Angioini, che regnavano su Napoli, provocarono una conversione generale degli ebrei dei loro domini, la cui comunità risiedeva nelle vicinanze di Trani. Sotto il nome di « neofiti » i convertiti continuarono a vivere come cripto-giudei durante più di tre secoli e la loro segreta fedeltà all’ebraismo fu uno dei motivi per i quali l’Inquisizione fu tanto attiva a Napoli nel secolo XVI. Molti di essi morirono sul rogo, a Roma nel febbraio del 1572; tra essi tale Teofilo Panarelli, un saggio di illustre reputazione. Alcuni riuscirono a fuggire nei Balcani e s’incorporarono nelle locali comunità. I loro discendenti conservano ancora oggi, nel sud dell’Italia, taluni vaghi ricordi dell’ebraismo. « Né il fenomeno può dirsi ristretto unicamente al mondo cristiano, perché si è infatti verificato sovente anche in diversi luoghi di quello musulmano, dove è ancora facile imbattersi in antiche comunità di criptogiudei. I daggatun del Sahara, per esempio, continuarono a praticare i loro precetti ebrei molto dopo la loro formale conversione all’Islam, ed i loro eredi odierni non li hanno ancora del tutto dimenticati. I donmeh di Salonicco, altro esempio, discendono da coloro che seguirono lo pseudomessia Sabbetai Zevi nella sua apostasia, e, anche se ostentatamente appaiono quali perfetti mussulmani, praticano in segreto un giudaismo messianico. « Oltre a questi, si hanno numerosi altri esempi. Le persecuzioni religiose in Persia, iniziatesi nel secolo XVII, hanno lasciato nel Paese, particolarmente a Meshed, numerose famiglie che osservano privatamente il Giudaismo con puntigliosa scrupolosità, mentre esteriormente appaiono come devotissime adepte della fede dominante. « Il Paese tipico del cripto-giudaismo è, però, la Spagna. La tradizione è divenuta colà talmente generale e lunga, che è da sospettarsi l’esistenza di una predisposizione marranica nell’atmosfera stessa del paese. Già nel periodo romano gli ebrei erano numerosi e influenti. Molti di essi pretendevano discendere addirittura dalla aristocrazia di Gerusalemme, condotta in esilio da Tito e dai precedenti conquistatori. Nel secolo V, dopo le invasioni barbariche, la loro situazione migliorò assai, in quanto i Visigoti, voltisi alla forma ariana del cristianesimo, erano favorevoli agli ebrei perché strettamente monoteisti, e anche perche essi formavano una influente minoranza il cui appoggio valeva la pena di assicurarsi. « Convertitisi però alla fede cattolica, i Visigoti dimostrarono subito il tradizionale zelo di tutti i neofiti e gli ebrei furono immediatamente le vittime di questo zelo. Salito al trono Recaredo nell’anno 589, la legislazione ecclesiastica cominciò ad essere applicata sin nei minimi dettagli. I suoi successori non furono invece così severi. Asceso alla regalità Sisebuto (612-620) prevalse però il suo acceso fanatismo. Questi infatti, forse istigato dall’imperatore bizantino Eraclio, promulgò nel 616 un editto col quale ordinò il battesimo di tutti gli ebrei del suo regno, pena l’esilio e la confisca dei beni. Stando ai resoconti dei cronisti del tempo novantamila ebrei abbracciarono la fede cristiana. Fu questa il primo dei grandi disastri che la storia degli ebrei spagnoli dovette registrare. « Fino al regno di Rodrigo, l’ultimo dei Visigoti, la tradizione persecutoria fu seguita fedelmente, salvo brevi interruzioni. Durante gran parte di questo tempo infatti, la pratica del giudaismo era completamente proibita, ma allorquando la vigilanza del governo divenne meno rigida, i più recenti convertiti approfittarono della situazione per tornare alla loro fede d’origine. I successivi Concili di Toledo, dal quarto sino al decimo ottavo, consacrarono le loro energie nel prescrivere sempre nuove norme che impedissero il ritorno alla sinagoga. I figli dei sospetti vennero separati dai loro padri, ed educati in una atmosfera cristiana incontaminata. Venne fatta obbligo ai conversi di firmare una dichiarazione con la quale essi si impegnavano a non praticare in futuro nessun rito ebreo, eccezion fatta per l’interdizione della carne di maiale per la quale essi affermavano di sentir ripugnanza fisica. « Malgrado. questa però, la infedeltà dei recenti convertiti e dei loro discendenti continuò notoriamente e costituì sempre uno dei più gravi problemi della politica visigota, sino all’invasione araba del 711. – « Il gran numero di ebrei trovati nel Paese dagli arabi dimostra il completo fallimento di tutti i ripetuti tentativi di convertirli. Così ha avuta inizio nella Penisola Iberica la tradizione marranica. « Con la venuta degli arabi ebbe inizio per gli ebrei di Spagna un’età d’oro; prima con il califfato di Cordova, e, dopo la sua caduta, (1012) nei regni minori che si costituirono sulle rovine, del califfato, il giudaismo peninsulare si rafforzò notevolmente e le sue comunità superarono in numero, cultura e ricchezza tutte le altre dell’Occidente. « La lunga tradizione di tolleranza s’interruppe con l’invasione degli Almoravidi, all’inizio del secolo XII. Quando i puritani Almohades — una setta nord-africana — vennero chiamati nella penisola, nel 1148, per contenere la minacciosa avanzata delle forze cristiane, la reazione esplose violenta. I nuovi governanti introdussero in Spagna l’intolleranza di cui avevano data prova in Africa e la pratica religiosa, vuoi dell’Ebraismo che del Cristianesimo, venne proibita nelle provincie ancora soggette al dominio musulmano. La maggior parte degli ebrei si rifugiarono allora nei regni cristiani del nord, e da questo periodo data l’inizio dell’egemonia delle comunità israelitiche della Spagna cristiana. « La minoranza di coloro che non potettero fuggire, e che non riuscirono a salvarsi dall’essere sgozzati a venduti schiavi, segui invece l’esempio dato anni prima dai fratelli del Nord-Africa: abbracciò la religione dell’lslam. Nel sua intima però, continuò a professare la fede dei suai avi. Così ebbe vita, ancora una volta nella Penisola Iberica il fenomeno dei proseliti insinceri che pagavano, unicamente con le labbra, il loro tributo alla religione dominante, mentre nel segreto dei focolari coltivavano la tradizione ebrea. La loro infedeltà era notoria ». [Cecil Roth, Historia de los Marranos, Ediz. cit., da p. 11 a 18]. – Sin qui la trascrizione integrale del testo del suddetto storico ebreo, Cecil Roth, che dimostra: – I. Che il cripto-giudaismo o giudaismo clandestino, nelle sue diverse forme, è antico come gli stessi ebrei e che gli stessi ebrei — anche nei tempi dell’antichità pagana — ricorrevano già all’artificio di nascondere la loro qualità e quindi apparire come membri ordinari del popolo Gentile nel cui territorio vivevano. – II. Che nel secolo V dell’era cristiana, durante la persecuzioni Zoroastrica in Persia, il Giudaismo si trasformò sicuramente in occulto. – III. Che con l’affermarsi, nel IV secolo, della dottrina cristiana, ebbe inizia una nuova fase della vita ebrea, in quanto la Chiesa reclamava il possesso esclusivo della Verità, considerando, così, inevitabilmente, il proselitismo come uno dei suoi maggiori obblighi morali. – Anche se la Chiesa cristiana condannò le conversioni forzose e si adoperò per proteggere gli ebrei, tollerò, pur tuttavia, che gli stessi venissero fatti oggetto di pressioni o posti dinanzi a dilemmi che inducessero a convertirsi; e in questo caso le conversioni vennero giudicate spontanee. L’autore suddetto cita in proposito le conversioni di questo genere avvenute a Minorca, in Francia e in Italia durante i secoli V e VI dell’era cristiana, per dopo concludere che queste conversioni di ebrei al Cristianesimo non poterono esser sincere e che i convertiti continuarono quindi a praticare occultamente il Giudaismo. – L’autore stesso segnala inoltre che qualcosa del genere si verificò anche a Bisanzio, ai tempi di Leone, nell’anno 723, dimostrando così che già nel secolo ottavo dell’era cristiana, ossia altre milleduecento anni orsono, dalla Francia a Costantinopoli, cioè da un estrema all’altro dell’Europa Cristiana, l’infiltrazione degli ebrei nella Santa Chiesa era divenuta un fenomeno generale, mediante, appunto, le false conversioni. – Tutto ciò ha condotto alla formazione di un giudaismo sotterranea che vive al fianco di quello palese i cui membri apparentemente sembrano cristiani. In quella parte del libro in cui l’autore parla della leggenda di Elcanan, il Papa ebreo, si rileva ancora una volta quale è l’ideale supremo che questi falsi cristiani hanno coltivato e accarezzato in tutti i tempi : impadronirsi delle Alte Dignità della Chiesa, sino a poter collocare un Papa ebreo clandestino sul Trono di San Pietro. In questo modo essi s’impadronirebbero della Santa Chiesa per tentare — naturalmente invano — di distruggerla. – IV. Che nel marranismo, altre alla finta conversione e alla segreta pratica della religione anteriore, deve riscontrarsi una radicata tradizione che obbliga gli ebrei a trasmettere questa loro tendenza di padre in figlio. L’autore, infatti, ricordo quanto accadde in Inghilterra e nella Scozia, a partire dall’anno 1290, dove una delle ragioni addotte per espellere gli ebrei, fu che essi inducevano i convertiti a praticare il Giudaismo e un’altra che molti bambini venivano raccolti e inviati nel nord del Paese, dove potevano continuare nella loro antica religione. Occorre rilevare, a questo punto, che dopo il 1290, l’Ebraismo restò proscritto in tutta la Gran Bretagna, dove nessuno poté eleggere dimora senza essere cristiano. La menzione fatta dall’illustre storico ebreo — il quale ha tratta le notizie da un cronista dell’epoca — relativa alla supina acquiescenza degli inglesi alla Riforma e alla loro predilezione per i nomi biblici, dovute ancora una volta, fu la « quinta colonna » ebrea, costituita da questi falsi convertiti al cristianesimo, quella che, operando nella Gran Bretagna, facilitò la sua separazione dalla Chiesa di Roma. Apparve evidente anche in Gran Bretagna che attraverso queste false conversioni la Santa Chiesa, lungi dall’ottenere la sperata salvazione di alcune anime, ne perdette milioni di altre, in quanto i discendenti dei falsi convertiti hanno fomentato lo scisma protestante. Anche il caso dei neofiti del Sud dell’Italia, riferita da Cecil Roth, i quali operarono lo loro falsa conversione al cristianesimo, spicca per la sua evidenza. Dovette trattarsi, non c’è dubbio, di un fatto molto importante, se di questo fu obbligata ad occuparsi la Santa Inquisizione, per cui molti dei perseguiti finirono i loro giorni a Roma, sul rogo. E’ anche importantissimo sottolineare che la Santa Inquisizione che funzionò a Roma fu, naturalmente la Santa Inquisizione Pontificia, la cui benemerita istituzione, avvenuta nel Medio Evo — e ciò non sarà mai ripetuta abbastanza! — riuscì a bloccare per tre secoli i progressi della bestia apocalittica dell’Anticristo. – V. Che il fenomeno del cripto-giudaismo non fu affatto limitato al mondo cristiano. Si verificò, infatti, anche in diversi luoghi del mondo mussulmano, dove non è difficile incontrare, come l’autore segnala, antiche comunità ebree le quali, al pari di quelle operanti nella Cristianità, pur apparendo devote alla religione del Paese, coltivavano in segreto i loro antichi riti di origine. Ciò rivela che la « quinta colonna » ebrea è operante anche in seno alla religione islamica e che quindi non si è davvero lontani dalla verità affermando che le divisioni e le continue rivolte tra i seguaci di Maometto sono dovute a questa specie di giudaismo. – VI. Che il Paese tipico del cripto-giudaismo è la Spagna, dove la tradizione è stata tanto lunga e diffusa che si può persino sospettare l’esistenza di una predisposizione marranica, nell’atmosferastessa del Paese. – Crediamo che altrettanto possa dirsi del Portogallo e dell’America Latina, dove le organizzazioni segrete dei marrani, ovviamente coperte con la maschera del falso cattolicesimo, hanno creato, come in Spagna, tanti scompigli e si sono infiltrate nel Clero e nelle organizzazioni cattoliche. – Sono in maggioranza marrani anche coloro che controllano le organizzazioni della massoneria e del comunismo e che formano il potere occulto che le dirige. Come in altre parti del mondo, inoltre, anche nei suddetti Paesi, il movimenta antipatria è diretto da ebrei. Ebrei la cui religione è, in gran parte, occulta e sotterranea, celata sotto le apparenze dell’ortodosso eppur falso cristianesimo e sotto i cristianissimi nomi spagnoli e portoghesi che quattro a cinque secoli fa, vennero presi ai padrini di battesimo che testimoniarono sulla conversione e adottati dai loro antenati. – Un conversione opportunistica e di tutto comodo, come abbiamo visto, quindi ostentata e falsa al cento per cento.

2 NOVEMBRE-COMMEMORAZIONE DEI DEFUNTI

_purgatory2 NOVEMBRE

Commemorazione dei DEFUNTI

[Dom Gueranger – l'”anno liturgico” Vol.II]

Non vogliamo, o fratelli, che ignoriate la condizione di quelli che dormono nel Signore, affinché non siate tristi come quelli che non hanno speranza (I Tess. IV, 12). La Chiesa ha oggi lo stesso desiderio che aveva l’Apostolo quando scriveva ai primi cristiani. La verità a riguardo dei morti mette in mirabile luce l’accordo della giustizia e della bontà in Dio, sicché anche i cuori più duri non resistono alla caritatevole pietà che questo accordo ispira, e, nello stesso tempo, offre la più dolce delle consolazioni al lutto di quelli che piangono. Se la fede ci insegna che esiste un Purgatorio dove i peccati da espiare costringono i nostri cari, ci insegna anche che noi possiamo essere loro di aiuto (Concilio di Trento, sess. XXV) ed è teologicamente certo che la loro liberazione, più o meno sollecita, è nelle nostre mani. Ricordiamo qui qualche principio di natura, per chiarire la dottrina.

L’espiazione del peccato.

Ogni peccato causa al peccatore due danni, perché insudicia l’anima e la rende passibile di castigo. Dal peccato veniale, che implica un semplice disgusto del Signore e la cui espiazione dura soltanto qualche tempo, si arriva alla colpa mortale, che implica difformità e rende il colpevole oggetto di abominio davanti a Dio, sicché la sanzione non può essere che un bando eterno, se l’uomo non previene col pentimento, in questa vita, la sentenza irrevocabile. Però, anche cancellando il peccato mortale, si evita la dannazione, ma non ogni debito del peccatore è sempre cancellato. È vero che un’eccezionale sovrabbondanza di grazia sul prodigo può talvolta, come avviene regolarmente nel Battesimo e nel martirio, sommergere nell’abisso dell’oblio divino anche l’ultima traccia del peccato, ma è cosa normale che, in questa vita o nell’altra, la giustizia sia soddisfatta per ogni peccato.

Il merito.

In opposizione al peccato, qualsiasi atto di virtù porta al giusto un doppio profitto: merita per l’anima un nuovo grado di grazia e soddisfa per la pena dovuta per i peccati passati nella misura di una giusta equivalenza, che davanti a Dio spetta alla fatica, alla privazione, alla prova accettata, alla libera sofferenza di uno dei membri del suo Figlio prediletto. Ora, mentre il merito non si può cedere e resta cosa personale di chi lo acquista, la soddisfazione si presta a spirituali transazioni come moneta di scambio, potendo Dio accettarla come acconto o come saldo in favore di altri, – chi è disposto a cedere può essere di questo mondo o dell’altro – alla sola condizione che chi cede deve lui pure in forza della grazia, far parte del corpo mistico del Signore, che è unito nella carità (I Cor. XII, 27). – Come spiega Suarez, nel trattato dei Suffragi, tutto ciò è conseguenza del mistero della Comunione dei santi, manifestato in questo giorno. Penso che questa soddisfazione dei vivi per i morti vale in giustizia (esse simpliciter de iustitia) ed é accettata secondo tutto il suo valore e secondo l’intenzione di colui che l’applica, sicché, per esempio, se la soddisfazione che deriva dal mio atto, serbata per me, mi valesse in giustizia la remissione di quattro gradi di purgatorio, ne rimette altrettanti all’anima per la quale mi piace offrirla (De Suffragiis, Sectio VI).

Le indulgenze.

È noto come la Chiesa in questo assecondi il desiderio dei suoi figli e, con la pratica delle Indulgenze, metta a disposizione della loro carità un tesoro inesauribile al quale di epoca in epoca le soddisfazioni sovrabbondanti dei Santi si aggiungono à quelle dei martiri, a quelle di Maria Santissima e alla riserva infinita delle sofferenze del Signore. Quasi sempre la Chiesa permette che queste remissioni di pena concesse col suo potere diretto ai viventi siano applicate ai morti che non appartengono più alla sua giurisdizione, per modo di suffragio, nel modo cioè che abbiamo veduto. Per cui ogni fedele può offrire a Dio, che lo accetta, il suffragio o soccorso delle proprie soddisfazioni. È sempre la dottrina di Suarez, il quale insegna pure che l’Indulgenza ceduta ai defunti nulla perde dell’efficacia e del valore che avrebbe per noi che siamo ancora in vita. – Le Indulgenze ci sono offerte dappertutto e in tutte le forme e dobbiamo saper utilizzare questo tesoro, ottenendo misericordia alle anime in pena. Vi è miseria più toccante della loro? É così pungente che nessuna miseria della terra l’uguaglia e tuttavia così degna che nessun lamento turba il « fiume di fuoco, che nel suo corso impercettibile le trascina poco a poco all’oceano del paradiso » (Mons. Gay, Vita e virtù cristiane. Della carità verso la Chiesa, 2). Per esse il cielo è impotente perché in cielo non si merita più e Dio stesso, infinitamente buono, ma infinitamente giusto, non può concedere la liberazione, se non hanno integralmente pagato il debito che le ha seguite oltre il mondo della prova (Mt. V, 26). E il debito forse fu contratto per causa nostra, forse insieme con noi e le anime si volgono a noi, che continuiamo a sognare piaceri mentre esse bruciano, e potremmo con facilità abbreviare i loro tormenti! Abbiate pietà di me, abbiate pietà di me voi almeno che siete miei amici, perché la mano del Signore mi ha raggiunto (Giob. XIX, 21).

La preghiera per le anime del Purgatorio.

Lo Spirito Santo non si contenta oggi di conservare lo zelo delle vecchie confraternite, che nella Chiesa si propongono il suffragio dei trapassati, quasi che il Purgatorio rigurgiti più che mai per l’affluenza di moltitudini precipitate in esso ogni giorno dalla mondanità del secolo, e forse per l’approssimarsi del rendiconto finale e universale, che chiuderà i tempi. Suscita infatti nuove associazioni e anche famiglie religiose con l’unico compito di promuovere in ogni maniera la liberazione o il sollievo delle anime sofferenti. – In quest’opera di nuova redenzione dei prigionieri vi sono cristiani che si espongono e si offrono a prendere sopra se stessi le catene dei fratelli rinunciando totalmente, come a tale scopo è consentito, non solo alle proprie soddisfazioni, ma anche ai suffragi che potessero ricevere dopo la morte: atto eroico di carità questo, che non deve essere compiuto senza riflessione, ma che la Chiesa approva [Propagato nel secolo XVIII dai Chierici Regolari Teatini e arricchito di favori spirituali dai Papi Benedetto XIII, Pio VI e Pio IX], perché molto glorifica il Signore e perché il rischio che si corre di un ritardo temporaneo della felicità eterna merita al suo autore di essere per sempre più vicino a Dio, in terra con la grazia e in cielo con la gloria. – Se i suffragi del semplice fedele sono così preziosi, sono molto più preziosi quelli della Chiesa intera nella solennità della preghiera pubblica e nell’oblazione dell’augusto Sacrificio, in cui Dio soddisfa a se stesso per ogni peccato degli uomini! Come già la Sinagoga (II Macc. XII, 46), la Chiesa fin dalla sua origine ha pregato per i morti. Mentre onorava con azioni di grazie i suoi figli martiri nell’anniversario del loro martirio, ricordava con suppliche l’anniversario della morte degli altri suoi figli, che potevano non essere ancora giunti al cielo. Nei sacri Misteri pronunciava quotidianamente il nome degli uni e degli altri col doppio scopo di lode e di supplica; e allo stesso modo che non potendo ricordare in ogni chiesa particolare tutti i beati del mondo intero, tutti li comprendeva in un unico ricordo, così, dopo le raccomandazioni relative al giorno e al luogo, ricordava i morti in generale. Chi non aveva parenti, né amici, osserva sant’Agostino, non restava privo di suffragi, perché riceveva, per ovviare alla loro mancanza, le tenerezze della Madre comune (De cura prò mortuis, IV). – Siccome la Chiesa aveva sempre seguito la stessa linea nel ricordare i beati e i morti, era da prevedersi che l’istituzione di una festa di tutti i Santi avrebbe portato con sé l’attuale Commemorazione dei defunti. Nel 998, secondo la Cronaca di Sigeberto di Gembloux, l’Abate di Cluny, sant’Odilone, la istituì in tutti i monasteri da lui dipendenti, stabilendo che fosse sempre celebrato il giorno dopo la festa dei Santi. Egli rispondeva così alle rampogne dell’inferno che, con visioni – che troviamo ricordate nella sua vita (Jostsald, 2, 13) – accusava lui e i suoi monaci di essere i più intrepidi soccorritori di anime che le potenze dell’abisso avessero a temere nel luogo di espiazione. Il mondo applaudì al decreto di Sant’Odilone, Roma lo adottò e divenne legge per tutta la Chiesa latina. I Greci fanno una prima Commemorazione dei morti nella vigilia della nostra domenica di Sessagesima, che per essi è di fine carnevale o di Apocreos, nella quale ricordano la seconda venuta del Signore. Essi danno il nome di Sabato delle anime a quel giorno e al sabato precedente la Pentecoste, in cui di nuovo pregano solennemente per tutti i morti.

Le tre Messe.

I sacerdoti possono dal 1915 celebrare tre Messe, grazie alla pietà di Benedetto XV. Una delle Messe è lasciata all’intenzione del celebrante, la seconda è celebrata secondo le intenzioni del Papa e la terza per tutti i fedeli defunti. L’intenzione di Benedetto XV era di venire in soccorso con questa generosità, non solo a quelli che cadevano a migliaia sui campi di battaglia, durante la guerra, ma anche alle anime che avevano visto le loro fondazioni di Messe spogliate dalla Rivoluzione dalla confisca dei beni ecclesiastici.Più recentemente Pio XI accordò una indulgenza plenaria applicabile alle anime del Purgatorio per la visita al Cimitero il 2 novembre e ciascuno degli otto giorni seguenti, a condizione che sia fatta una preghiera secondo le intenzioni del Sommo Pontefice.

I VESPRI DEI MORTI

Eloquenza e scienza non raggiungeranno mai l’altezza di insegnamento e la potenza di supplica che regnano nell’Ufficio dei Morti. Solo la Chiesa conosce i segreti dell’altra vita e la via del cuore di Cristo, solo la Madre può avere il tatto supremo che le permette di consolare gli orfani, gli abbandonati, quelli che sono rimasti sulla terra in lacrime, alleggerendo la purificazione dolorosa ai figli che l’hanno lasciata.

Primo Salmo. [CXIV]

Dilexi: il primo canto del purgatorio è un canto di amore. Le angosce di quaggiù sono finite, sono lontani i pericoli dell’inferno e, confermata in grazia, l’anima non pecca più ed ha in sé soltanto riconoscenza per la misericordia che l’ha salvata, per la giustizia che la purifica e la rende degna di Dio. Il suo stato di quiete assoluta e di attesa fiduciosa è tale che la Chiesa lo chiama « un sonno di pace » (Canone della Messa). – Piacere a Dio, un giorno, senza riserve! Separata dal corpo che l’appesantiva, la distraeva con mille futili preoccupazioni (Sap. IX, 15) l’anima si immerge in questa unica aspirazione e converge tutte le sue energie, tutti i tormenti, dei quali ringrazia il cielo, perché aiuta la sua debolezza a soddisfare tale aspirazione. O crogiolo benedetto nel quale si consumano i resti del peccato, in cui si paga ogni debito! Dalle sue fiamme soccorritrici, sparita ogni traccia dell’antica sozzura, l’anima piglierà il volo verso lo Sposo veramente felice, sicura che le compiacenze del Diletto non avranno per essa limitazioni.

Secondo Salmo. [CXIX]

Come però si prolunga il suo esilio doloroso! Se è in comunione con gli abitanti del cielo per mezzo della carità, il fuoco che la castiga non è materialmente diverso da quello dell’inferno. Il suo soggiorno confina con quello dei maledetti, deve sopportare la vicinanza del Cedar infernale, dei nemici di ogni pace, dei demoni, che perseguitarono la sua vita mortale con assalti, con insidie, che al tribunale di Dio ancora l’accusavano con bocche ingannatrici. La Chiesa si appresta a supplicare: Strappatela alle porte dell’inferno.

Terzo Salmo. [CXX]

Tuttavia l’anima non vien meno e, levando i suoi occhi verso le montagne, sa che può contare sul Signore, che non è abbandonata dal cielo che l’attende, né dalla Chiesa della quale è figlia. Per quanto sia vicino alla regione del pianto eterno, il purgatorio, in cui giustizia e pace si abbracciano (Sai. LXXXIV, 11), non è inaccessibile agli Angeli. Questi augusti messaggeri portano il conforto di divine comunicazioni alle quali si aggiunge l’eco delle preghiere dei beati e dei suffragi della terra. L’anima è ormai sovrabbondantemente assicurata che il solo male, il peccato, non la può più toccare.

Quarto Salmo. [CXXIX]

L’uso del popolo cristiano dedica alla preghiera per i morti il Salmo CXXIX in modo particolare: è un grido di angoscia e, nello stesso tempo, di speranza. La privazione cui sono sottoposte le anime nel purgatorio deve toccare profondamente il nostro cuore. Non hanno ancora raggiunto il cielo, ma ormai hanno cessato di appartenere alla terra e hanno con ciò perduto i favori con i quali Dio compensa i pericoli del viaggio in questo mondo di prove e, per quanto siano perfetti i loro atti di amore, di fede e di speranza, esse non meritano più. Delle sofferenze, che accettate come sono, varrebbero a noi la ricompensa di mille martiri, nulla rimane a queste anime, nulla fuorché il fatto del regolamento di un conto, che la sentenza del giudice ha appurato. – Come non possono meritare, non possono neppure soddisfare come noi alla giustizia per mezzo di equivalenze da Dio accettate. La loro impotenza a giovare a se stesse è più radicale di quella del paralitico di Betsaida (Gv. V) perché la piscina della salvezza la possiede la terra con l’augusto Sacrificio, i Sacramenti e l’uso delle chiavi onnipotenti affidate alla Chiesa. – Ora la Chiesa, che non ha più giurisdizione su di esse, conserva però la sua tenerezza di Madre e la sua potenza presso lo Sposo non è diminuita e quindi fa sue le loro preghiere, apre i tesori, che la sovrabbondante redenzione del Signore le ha procurati, paga con il suo fondo dotale Colui che le ha costituito il fondo stesso, perché liberi le anime o allevii le loro pene e in questo modo, senza ledere alcun diritto, la misericordia si apre il passo e raggiunge l’abisso in cui regnava soltanto la giustizia.

Quinto Salmo.[CXXXVII]

Ti loderò, perché mi hai esaudito. La Chiesa non prega mai invano e l’ultimo salmo dice la sua riconoscenza e la riconoscenza delle anime che l’Ufficio che sta per terminare ha liberate dall’abisso o per lo meno avvicinate al cielo. Grazie a quell’Ufficio e cioè alla Chiesa, più d’una delle anime ancora prigioniere è entrata nella luce. Seguiamo col pensiero e con il cuore i nuovi eletti, che sorridendo e ringraziando noi, loro fratelli o figli, si elevano radiosi dalla regione delle ombre e cantano: Ti glorificherò, 0 Signore, davanti agli Angeli, ti adorerò, finalmente, nel tuo santo tempio! No, il Signore non disprezza le opere delle sue mani.

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Omelia di S. S. GREGORIO XVII (Cardinal SIRI)

Commemorazione dei defunti [1972]

Un’altra volta, come ieri giorno di tutti i Santi, oggi abbiamo ascoltato le otto beatitudini (Mt V, l-12a), il codice della santità. Noi saremo giudicati secondo questo codice; quelli per i quali intendiamo pregare sono stati giudicati secondo questo codice. – Vedete, è probabile ed è anche abbastanza naturale che quello che ci spinge a pregare per i morti sono cari ricordi, nostalgie, che portiamo in noi di esperienze pregresse, cari volti, cari contorni; e allora preghiamo. In questo caso vedete che il movente della preghiera per i morti è legato a cose personali e allora, quando la preghiera per i morti è legata a memorie personali, affetti che la morte ha interrotto almeno nella loro esterna manifestazione, noi finiamo per pregare per pochi, e i morti sono tanti, tanti. – Dobbiamo portarci su motivazioni più grandi per andare al largo. La preghiera per i defunti, specialmente fatta in una chiesa cattedrale, nella prima chiesa di Liguria, deve andare al largo, e occorrono ragioni che non siano soltanto affettive o sentimentali, ma che ci spingano al largo. – E una ragione l’avete avuta ora nella lettura del Vangelo. Quando si pensa che tutti coloro che sono andati all’eternità – cosa che accadrà per tutti noi -, sono stati giudicati secondo questo codice della santità – “Beati i poveri di spirito, beati i pacifici, beati i miti, beati quelli che hanno fame e sete, beati i misericordiosi”, per arrivare a sentirci dire: “Beati voi quando vi perseguiteranno e diranno di voi ogni male a cagion mia”, capite bene che allora viene freddo a pensarci; se non ci fosse il soccorso della misericordia di Dio, ci si arresterebbe. Ma quando si pensa che tutta l’umanità è stata giudicata su questo codice, quella umanità per la quale è stato promulgato, la cosa diventa difficile. E allora la nostra preghiera deve andare al largo: non basta chiudersi nei nostri ricordi, anche belli, anche onesti, nelle nostre nostalgie, che possono essere utili per la nostra vita, perché talvolta le nostalgie ripresentano le cose migliori, i volti più esemplari, le circostanze più entusiasmanti verso il bene della nostra vita, ma bisogna andare al largo e ricordarsi della serietà di questo giudizio che hanno dovuto passare. Noi, quando siamo al buio o alla mezza luce, non vediamo le macchie dei nostri abiti, ma quando ci esponiamo al sole in una giornata limpida, al sole di mezzogiorno, vediamo quasi le macchie che non ci sono. Ma vi immaginate voi la esposizione di un’anima di fronte a Dio! Come le macchie che la flebile mezza luce poteva anche consentire a noi di non vedere, diventano vivificate, presenti, qualificate per la vergogna di chi le porta. – Ho detto questo perché noi qui non preghiamo solo per la cerchia dei nostri morti, ma in questa cattedrale si è obbligati a pregare, andando al largo, per tutti. Quasi tutti non li abbiamo conosciuti, non abbiamo motivi umani che ci evochino qualche cosa che personalmente ci stringe, ma è la realtà di Dio, la realtà del giudizio e la realtà del criterio in questo giudizio che muove a pregare per tutti. – Anche perché normalmente succede questo: che si ha, si avrà quello che si è dato; un giorno in questa cattedrale pregheranno per tutti noi che siamo qui. Se ragioneranno secondo quello che ho detto in questa sera, la rugiada della loro preghiera arriverà anche a noi. Ma se non facciamo noi, non possiamo aspettare troppo che gli altri facciano. Non è egoismo, è soltanto l’implorazione del misero, del povero – e lo siamo tutti davanti a Dio -, che allarga le braccia, perché abbiamo bisogno della misericordia di Dio come quelli che sono morti non meno che quelli che verranno dopo di noi, e vogliamo poterla cantare in eterno.

FESTA DI OGNISSANTI

 

ognissanti

Hymnus

Placare, Christe, servulis,

Quibus Pátris clementiam

Tuæ ad tribunal grátiæ

Patrona Virgo póstulat.

Et vos beáta, per novem

Distincta gyros ágmina,

Antíqua cum præsentibus,

Futúra damna péllite.

Apóstoli cum vatibus,

Apud severum Júdicem,

Veris reorum flétibus

Exposcite indulgéntiam.

Vos purpurati mártyres,

Vos candidati præmio

Confessiónis, éxsules

Vocate nos in pátriam.

Chorea casta vírginum,

Et quos erémus íncolas

Transmísit astris, cælitum

Locáte nos in sédibus.

Auférte gentem pérfidam

Credéntium de fínibus,

Ut unus omnes únicum

Ovíle nos pastor regat.

Deo Patri sit glória,

Natóque Pátris unico,

Sancto simul Paráclito,

In sempitérna sæcula. Amen.

[Ti placa, o Cristo, coi servi, per i quali la clemenza del Padre implora, presso il tribunale della tua grazia, la Vergine patrona. E voi, schiere beate in nove cori distinte, gli antichi, presenti e futuri mali da noi allontanate. Apostoli e Profeti, presso il severo Giudice al sincero pianto dei rei, implorate clemenza. Voi, porporati Martiri, voi, candidi e gloriosi Confessori, da questo esilio chiamateci alla patria. Casto stuolo delle Vergini, e quanti dall’eremo migraste a popolare il cielo, nelle sedi locateci dei celesti. Sperdete la gente perfida di mezzo ai credenti, onde tutti in unico ovile ci governi un sol Pastore. Sia gloria a Dio, Padre, e al Figlio suo unigenito, insieme collo Spirito Paraclito, per i secoli eterni. Amen.]

 

FESTA DI TUTTI I SANTI

La festa della Chiesa trionfante.

[Dom Gueranger, “l’anno liturgico” vol. II]

« Vidi una grande moltitudine, che nessuno poteva contare, d’ogni nazione, d’ogni tribù, d’ogni lingua e stavano davanti al trono vestiti di bianco, con la palma in mano e cantavano con voce potente: Gloria al nostro Dio » (Apoc. VII, 9-10). Il tempo è cessato e l’umanità si rivela agli occhi del profeta di Pathmos. La vita di battaglia e di sofferenza della terra (Giob. VII, 1) un giorno terminerà e l’umanità, per molto tempo smarrita, andrà ad accrescere i cori degli spiriti celesti, indeboliti già dalla rivolta di Satana, e si unirà nella riconoscenza ai redenti dell’Agnello e gli Angeli grideranno con noi: Ringraziamento, onore, potenza, per sempre al nostro Dio! (Apoc. VII, 11-14). – E sarà la fine, come dice l’Apostolo (I Cor. 15, 24), la fine della morte e della sofferenza, la fine della storia e delle sue rivoluzioni, ormai esaurite. Soltanto l’eterno nemico, respinto nell’abisso con tutti i suoi partigiani, esisterà per confessare la sua eterna sconfitta. Il Figlio dell’uomo, liberatore del mondo, avrà riconsegnato l’impero a Dio, suo Padre e, termine supremo di tutta la creazione e di tutta la redenzione, Dio sarà tutto in tutti (ibid. 24-28). Molto prima di san Giovanni, Isaia aveva cantato: Ho veduto il Signore seduto sopra un trono alto e sublime, le frange del suo vestito scendevano sotto di lui a riempire il tempio e i Serafini gridavano l’uno all’altro: Santo, Santo, Santo, il Signore degli eserciti: tutta la terra è piena della sua gloria (Is. VI, 1-3). – Le frange del vestimento divino sono quaggiù gli eletti divenuti ornamento del Verbo, splendore del Padre (Ebr. I, 3), perché, capo della nostra umanità, il Verbo l’ha sposata e la sposa è la sua gloria, come egli è la gloria di Dio (I Cor. XI, 7). Ma la sposa non ha altro ornamento che le virtù dei Santi (Apoc. XIX, 8): fulgido ornamento, che con il suo completarsi segnerà la fine dei secoli. La festa di oggi è annunzio sempre più insistente delle nozze dell’eternità e ci fa di anno in anno celebrare il continuo progresso della preparazione della Sposa (Apoc. XIX, 7).

Confidenza.

Beati gli invitati alle nozze dell’ Agnello! (ibid. 9). Beati noi tutti che, come titolo al banchetto dei cieli, ricevemmo nel battesimo la veste nuziale della santa carità! Prepariamoci all’ineffabile destino che ci riserba l’amore, come si prepara la nostra Madre, la Chiesa. Le fatiche di quaggiù tendono a questo e lavoro, lotte, sofferenze per Dio adornano di splendenti gioielli la veste della grazia che fa gli eletti. Beati quelli che piangono! (Mt. V, 5). – Piangevano quelli che il Salmista ci presentava intenti a scavare, prima di noi, il solco della loro carriera mortale (Sal. CXXV) e ora versano su di noi la loro gioia trionfante, proiettando un raggio di gloria sulla valle del pianto. La solennità, ormai incominciata, ci fa entrare, senza attendere che finisca la vita, nel luogo della luce ove i nostri padri hanno seguito Gesù, per mezzo della beata speranza. – Davanti allo spettacolo della felicità eterna nella quale fioriscono le spine di un giorno, tutte le prove appariranno leggere. O lacrime versate sulle tombe che si aprono, la felicità dei cari scomparsi non mescolerà forse al vostro rammarico la dolcezza del cielo? Tendiamo l’orecchio ai canti di libertà che intonano coloro che, momentaneamente da noi separati, sono causa del nostro pianto. Piccoli o grandi (Apoc. XIX, 5), questa è la loro festa e presto sarà pure la nostra. – In questa stagione, in cui prevalgono brine e tenebre, la natura, lasciando cadere i suoi ultimi gioielli, pare voler preparare il mondoall’esodo verso la patria che non avrà fine. Cantiamo anche noi con il salmista: « Mi sono rallegrato per quello che mi è stato detto: Noi andremo nella casa del Signore. O Gerusalemme, città della pace, che ti edifichi nella concordia e nell’amore, noi siamo ancora nei vestiboli, ma già vediamo i tuoi perenni sviluppi. – L’ascesa delle tribù sante verso di te prosegue nella lode e i tuoi troni ancora liberi si riempiono. Tutti i tuoi beni siano per quelli che ti amano, o Gerusalemme, e nelle tue mura regnino la potenza e l’abbondanza. Io ho messo ormai in te le mie compiacenze, per gli amici e per i fratelli, che sono già tuoi abitanti, e, per il Signore nostro Dio, che in te abita, in te ho posto il mio desiderio » (Sal. CXXI).

Storia della festa.

Troviamo prima in Oriente tracce di una festa in onore dei Martiri e san Giovanni Crisostomo pronunciò una omelia in loro onore nel iv secolo, mentre nel secolo precedente san Gregorio Nisseno aveva celebrato delle solennità presso le loro tombe. Nel 411 il Calendario siriaco ci parla di una Commemorazione dei Confessori nel sesto giorno della settimana pasquale e nel 539 a Odessa, il 13 maggio, si fa la «memoria dei martiri di tutta la terra». In Occidente i Sacramentari del V e del VI secolo contengono varie messe in onore dei santi Martiri da celebrarsi senza giorno fisso. Il 13 maggio del 610, Papa Bonifacio IV dedicò il tempio pagano del Pantheon, vi fece trasportare delle reliquie e lo chiamò S. Maria ad Martires. L’anniversario di tale dedicazione continuò ad essere festa con lo scopo di onorare in genere tutti i martiri. – Gregorio III, a sua volta, nel secolo seguente, consacrò un oratorio « al Salvatore, alla sua Santa Madre, a tutti gli Apostoli, martiri, confessori e a tutti i giusti dormienti del mondo intero ». – Nell’anno 835, Gregorio IV, desiderando che la festa romana del 13 maggio fosse estesa a tutta la Chiesa, provocò un editto dell’imperatore Luigi il Buono, col quale essa veniva fissata al 1 novembre. – La festa ebbe presto la sua vigilia e nel secolo xv Sisto IV la decorò di Ottava obbligatoria per tutta la Chiesa.

Desiderare l’aiuto dei Santi.

 «Perché possiamo sperare tanta beatitudine dobbiamo desiderare ardentemente l’aiuto dei Santi, perché quanto non possiamo ottenere da noi ci sia concesso per la loro intercessione.» Abbiate pietà di noi, sì, abbiate pietà di noi, voi che siete nostri amici. Voi conoscete i nostri pericoli, voi conoscete la nostra debolezza; voi sapete quanto grande è la nostra ignoranza, e quanta la destrezza dei nostri nemici; voi conoscete la violenza dei loro attacchi e la nostra fragilità. Io mi rivolgo a voi, che avete provato le nostre tentazioni, che avete vinto le stesse battaglie, che avete evitato le stesse insidie, a voi ai quali le sofferenze hanno insegnato ad avere compassione.» Io spero inoltre che gli angeli stessi non disdegneranno di visitare la loro specie, perché è scritto: visitando la tua specie non peccherai » (Giob. V, 24). Del resto, se io conto su di essi perché noi abbiamo una sostanza spirituale e una forma razionale simile alla loro, credo di poter maggiormente confidare in coloro che hanno, come me, l’umanità e che sentono perciò una compassione particolare e più intima per le ossa delle loro ossa e la carne della loro carne.

Confidenza della loro intercessione.

»Non dubitiamo della loro benevola sollecitudine a nostro riguardo. Essi ci attendono fino a quando anche noi non avremo avuta la nostra ricompensa, fino al grande giorno dell’ultima festa, nella quale tutte le membra, riunite alla testa sublime, formeranno l’uomo perfetto in cui Gesù Cristo, nostro Signore, degno di lode e benedetto nei secoli, sarà lodato con la sua discendenza. Così sia » (Discorso sui Santi, passim).

OMELIA di S.S. GREGORIO XVII (G. Siri)

TUTTI I SANTI – S. Messa (1972)

Fratelli miei, tra poco procederemo all’ordinazione sacerdotale di questi quattro diaconi. Ora, riflettiamo bene sul Vangelo che abbiamo sentito leggere. E tolto dal capitolo 5° di Matteo (vv. 1- 12a) e fa parte del Discorso detto della Montagna. Non mi fermo a commentare le otto beatitudini espresse, ma, considerando l’insieme del brano evangelico, mi limito ad alcuni rilievi di carattere generale, che peraltro ritengo estremamente importanti. – Dobbiamo partire da questo punto: le otto beatitudini, enunciate e proclamate ora, contengono il codice della santità. Questo va affermato in modo certo, va scolpito, perché c’è da desiderare che si finisca in questo mondo una buona volta di giocare con le parole, sostituendo le parole e gli slogans al Vangelo, e si ritorni a parlare puramente e semplicemente con le parole che ha usato Nostro Signore Gesù Cristo. Si è abusato e si abusa troppo di parole generiche, che possono dire tutto quello che si vuole e che possono anche dire nulla. Qui abbiamo i l codice della santità. E vorrei osservare che la meta proposta non solo ai sacerdoti, ma ai fedeli è la santità. La santità corrisponde alla giustizia in senso biblico, perché nella Sacra Scrittura quando si parla di giustizia si intende tutto l’insieme per cui una creatura intelligente può piacere a Dio ed entrare nel beneplacito divino. Dico: si deve tendere alla giustizia. Non basta tendere alla comunione, è troppo poco; non basta tendere alla liberazione – chissà poi da che -, è troppo poco; non basta tendere alla solidarietà, è troppo poco; non basta tendere alla redenzione dei mali terreni, che non avverrà mai, è troppo poco, ed è talmente troppo poco da essere un inganno per tutti, poveri e ricchi. Si tende alla santità! Il Vangelo ci chiama a questo traguardo, ed è necessario pronunciare una parola di severa condanna su tutte le sostituzioni e su tutti gli alibi che si tendono a offrire con tante parole vuote agli uomini, alibi affinché facciano tutto quello che loro comoda e per di più si credono, ingannandosi, dì Poter meritare la vita eterna. Dunque è a questo codice della santità che si deve guardare. Le parole umane ci possono ingannare, quelle divine no. – Veniamo ad una seconda considerazione di ordine generale: questi otto canoni che portano alla santità e che sono tali che uno li comprende tutti, sono fra di loro reversibili come gli universali nell’ente. Questi otto canoni hanno un punto di arrivo, che sta al di sopra della santità ed è la vita eterna, perché Gesù promette per quelli che osserveranno questi canoni il Regno di Dio ultimo, perfetto, che è il Cielo. È necessario guardare alla vita eterna. È essa che domina la vita del tempo; gli altri elementi, che possono nello svolgersi dei fatti diventare indicativi per noi, sono elementi che in tanto vanno accolti in quanto possono essere certamente recepiti nella tendenza alla vita eterna. Tutto riguarda la vita eterna: quello che faremo oggi, quello che abbiamo fatto ieri, quello che faremo domani, un lungo domani. Tutto è giustificato solo se tende alla vita eterna. L’alternativa alla vita eterna per i destini ultimi si chiama dannazione; per il tempo, e cioè l’esperienza della vita, si chiama il nulla. Difatti gli uomini sembra che si divertano; non è così! In realtà la gran parte, la quasi totalità del loro divertirsi è semplicemente una fuga. Hanno paura di se stessi, del mistero che portano nell’anima loro e del mistero che sta al fondo di tutte le cose e della storia. La vita eterna: si parli di quella, anche perché in tanto si aggiustano, meglio diremo, si rabberciano le cose di questo mondo in quanto tendiamo alla vita eterna, perché è sul filo di questa tentazione che sta la risoluzione di tutti i problemi terrestri degli uomini. E questa è la seconda considerazione generale. – Passo ad una terza: negli otto canoni della santità noi abbiamo una rivelazione che abbaglia. Tutto quello che potrebbe sembrare rifiuto per gli uomini, serve benissimo per la vita eterna. Gli uomini dal fomite della loro concupiscenza sono portati ad amare prima di tutto se stessi e poi le cose, in quanto le cose sono un arricchimento di se stessi. Dire a loro e parlare a loro della povertà di spirito, la prima delle beatitudini, cioè del distacco del cuore dai beni terreni, è cosa che agli sprovveduti può far paura. E invece no, è la cosa più utile che a loro si possa suggerire sia per l’eternità sia anche per il tempo, perché quando nel tempo si ha il cuore distaccato dalle cose terrene, tutti noi diventiamo padroni e sovrani e solo allora abbiamo l’indipendenza e la libertà. Quando uno non ha il cuore distaccato da se stesso e dai beni terreni, dica quel che vuole, non è un uomo libero, fa pietà, e voi capite quale scorta di pietà occorre avere nel cuore a vedere e a sentire tutto quello che vediamo e sentiamo. Ecco la rivelazione abbagliante degli otto canoni della santità: tutto quello che il mondo scarta come se fosse minorazione, come se fosse debolezza, come se fosse asservimento – no! -; la fame e la sete di giustizia, la sofferenza, il pianto, la mitezza (scambiata dagli uomini come una debolezza, mentre è la più grande forza per dominarli): tutto questo, quello che il mondo pare rifiutare, tutto serve alla vita eterna. Ma l’ho già detto: è quello che serve di più anche a risolvere le questioni terrene. E ringraziamo Iddio che noi, molte volte prigionieri delle cose, di questa terra e costretti quasi al pianto dal loro maligno intersecarsi, possiamo guardare le vicende di questo mondo in qualche modo, non del tutto, come le vedremo quando saremo arrivati nella casa del Padre. – E finalmente vi prego di osservare: questi otto canoni cominciano tutti con la parola “beati”. È grande questo, perché la parola “beati” non si riferisce solo al fatto che avremo la vita eterna e che intanto possiamo godere della speranza e dell’attesa della vita eterna, ma si riferisce anche al tempo. In questo mondo ci può essere una beatitudine, naturalmente imperfetta, naturalmente relativa, naturalmente ridotta e naturalmente contestabile dagli altri. Comunque nostro Signore afferma che in questo mondo pure può esistere una certa beatitudine iniziale, perché l’insieme delle beatitudini fa capire che la beatitudine perfetta è nel Regno, lassù, non quaggiù, ma la possiamo avere. E la cosa è da Lui esplicitamente detta nell’ultima beatitudine, con la quale chiuderemo il nostro discorso, perché dice della peggior cosa di cui abbiano paura gli uomini addirittura: “in questo momento godete ed esultate” (Mt 5, 12). È la rivelazione stupenda di questo canone della santità: Nostro Signore non ci ha condannati alla tristezza di questo mondo, no; sa che ce ne sarà, ma non ci ha condannati, non ci ha obbligati ad essere perennemente tristi, tutt’altro. Ci ha insegnato persino a godere ed esultare quando le cose secondo una piccola ragione umana sembrerebbero addirittura disastrose. E ringraziamo Iddio, perché sappiamo sempre dove poterci rifugiare comunque vadano le cose di questo mondo. – Ed ora, l’ultima beatitudine: “Beati voi quando vi perseguiteranno e, mentendo, diranno di voi ogni male a causa mia” (Mt 5, 11). Causa sua: attenti bene alle parole! “Godete allora ed esultate perché è grande la vostra ricompensa nei cieli” (Mt 5, 12a). Più di così non si può dire. Cari tra poco sacerdoti, questa beatitudine portatela con voi e ringraziate Dio, imparate a ringraziare Dio e a godere quando gli altri vi daranno fastidio. Il fastidio è un inizio della persecuzione, ma è già una piccola persecuzione. Ne troverete tante di cose che vi daranno fastidio. Sappiate che il Salvatore ha detto: “Delle più grandi cose che danno fastidio, godete ed esultate”. Per poter godere ed esultare imparate per tempo a ringraziare Dio di tutte le cose che vi andranno a traverso. Imparate per tempo! Quando si è imparato a ringraziare sempre Iddio, a questo mondo non ci si sta poi troppo male, e non esageriamo con le cose tristi e con le cose severe fuori posto. Portatela con voi questa ottava beatitudine. Ed ora, cari fratelli questa solennità di tutti i Santi è non sotto tutti i punti di vista, ma sotto un certo punto di vista la più grande solennità dell’anno, e noi in questa cattedrale la celebriamo come tale. Perché? Perché è la festa in cui siamo tutti uno, noi quaggiù e quelli che sono in Cielo. Avete sentito legger la visione dell’Apocalisse (7, 2-4.9-14), della liturgia eterna. La visione di questa liturgia eterna è una visione composta con elementi umani, pertanto è un segno, soltanto un segno, che però getta la nostra mente in una ricerca verso l’infinito. Oggi siamo una cosa sola noi e i Santi. È questo i l giorno. Anche perché tra i Santi, dei quali celebriamo la festa, non ci sono soltanto quelli che sono stati canonizzati o beatificati, ci sono tutti coloro che sono in Cielo con Dio. Quindi pensiamo alle molte persone che abbiamo conosciuto. Oggi siamo con loro.