INCREDULITA’

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INCREDULITA’

[da: E. Barbier –  I tesori di Cornelio Alapide – Sei ed. Torino 1930]

.1. Cause dell’incredulità. — 2. Effetti dell’incredulità: 1° l’accecamento; 2° l’indurimento; 3° la corruzione del cuore; 4° gli increduli sono abbandonati da Dio e giudicati fin da questa vita; 5° la morte da reprobo. — 3. Castighi dell’incredulità. — 4. Grande è il numero degli increduli. — 5. Rimedi contro l’incredulità.

1. Cause dell’incredulità. — S. Giovanni ci ha svelato fino dai suoi tempi le cause — e sono le stesse anche oggidì — per cui tanta parte di mondo, anche battezzato, è incredula. « Gesù, il Verbo di Dio, è la luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo, dice l’apostolo; Egli era nel mondo ed il mondo è stato fatto per mezzo di lui, ma il mondo non lo conobbe » (Ioann. I, 9-10). Il mondo si è rifiutato e tuttavia si rifiuta di accogliere, conoscere e ascoltare Gesù Cristo. Ecco in una parola e, diremo, in germe, le cause tutte dell’incredulità e antica e moderna. – Gesù Cristo poi, oltre al confermare con la sua autorità la sentenza dell’apostolo, ci ha posti su le tracce per scoprire le ragioni di questo trattamento a lui fatto dal mondo, in varie occorrenze nelle quali ebbe a folgorare l’incredulità de’ suoi contemporanei e connazionali. « Voi siete increduli, diceva loro, perché non siete del numero delle mie pecorelle. Queste odono la mia voce ed io le conosco ed essi mi tengono dietro » (Ioann. X, 26-27). Quasi che loro apertamente dicesse: Voi non siete credenti, non siete de’ miei, perché non mi volete conoscere; e vi rifiutate di conoscermi, perché non volete seguirmi. Questo poi vi pare la più dura e insopportabile e impossibile cosa del mondo, perché attaccati, come ostriche allo scoglio, al vostro orgoglio, alla vostra invidia, al vostro odio, alla vostra avarizia, alla vostra gelosia, alla vostra lascivia, amate meglio chiudere volontariamente gli occhi su le mie opere, turarvi le orecchie alle mie parole, anziché vedervi obbligati a cessare da quei vizi che tanto amate. – « Sapete voi, diceva ad essi un’altra volta, perché non intendete il mio linguaggio? È perché non potete sopportare i miei avvisi. Ah! voi siete figli del diavolo e volete adempire i desideri del padre vostro » (Ioann. VIII, 43-44). « Quei disgraziati, osserva S. Agostino, non potevano intendere, perché se avessero inteso e creduto, si sarebbero dovuti correggere ed emendare »; ma questo appunto essi non volevano fare, secondo quel detto dei Salmi: « Non volle intendere per timore di dover fare il bene » (Psalm. XXXV, 3). – « Io sono la via, la verità e la vita », disse anche il divin Redentore (Ioann. XIV, 6). « Io sono la luce del mondo; chi viene dietro di me, non cammina nelle tenebre, ma godrà la luce della vita » (Ioann. VIII, 12). Ora molti non vogliono seguire Gesù Cristo, Lo rinnegano nei loro affetti e nelle orazioni; non vi è dunque in essi né via, né verità, né luce; perciò che meraviglia se l’incredulità s’impossessa del loro spirito e del loro cuore? – Oggidì, come ai tempi di Gesù Cristo, l’incredulo vuol essere e rimanere incredulo… Stringete pur loro i panni addosso con vigorosi argomenti, con luminosi tatti, non verrete mai a capo di nulla. È proprio il caso di ripetere con Gesù Cristo: «Venne Giovanni che non mangiava e non beveva ed essi lo chiamarono un indemoniato; venne il Figliuolo dell’uomo che mangia e beve ed essi Lo accusano come ghiottone, amico dei pubblicani e dei peccatori » (Matth. XI, 18-19). Si persevera nell’incredulità volgendo tutto a male, incolpando ora la legge, ora la religione, ora quelli che sono mandati per istruire e illuminare. Si nega quello che si ignora, si dimentica quello che si è imparato; si mette in canzone quel po’ di bene che viene talora, senza volerlo, alla memoria. Poveri disgraziati! Ad essi si adattano quelle minacce del Salvatore: « Guai a te, Corozain! Guai a te, Cafarnao! perché se in Tiro ed in Sidone Io avessi operato i prodigi che ho fatto in voi, esse già si sarebbero convertite e avrebbero fatto penitenza nella cenere e nel cilicio. Perciò vi do parola che meno severa punizione toccherà a Tiro e a Sidone, che non a voi, nel giorno del giudizio » (Matth. XXI-22).

2. Effetti dell’incredulità: 1° l’accecamento. — Il primo effetto dell’incredulità è l’accecamento spirituale. Come i ciechi non vedono nemmeno la luce del sole, così gli increduli non vedono né Dio, né i loro doveri, né l’infelice stato della loro anima. Ciò non di meno la luce di Dio splende in mezzo alle tenebre stesse dell’incredulità, per mezzo della luce della ragione…, della voce delle creature animate, intelligenti e brute…, della legge antica…, della legge nuova…, dei dottori…, dei predicatori…, dei miracoli…, dei monumenti…, della Chiesa…, delle sante ispirazioni…, dei rimorsi…, della bellezza della virtù…, delle laidezze del vizio…, delle vite dei santi…, ecc. – O increduli, volete voi vedere e conoscere? credete. La luce non sta e non può stare con le tenebre; ora essendo l’incredulità fitta tenebra, come ci vedrete voi, rimanendo in essa? Solo Gesù Cristo, e nessun altro fuori di lui, è la vera luce, la luce increata. — Luce per la sua dottrina, luce per la sua grazia la quale illumina più chiaramente l’anima che non il sole la terra; luce per la verità del suo essere, del suo spirito, delle sue parole, delle sue opere; luce universale che rischiara ogni persona che viene su questa terra, per quanto è in sé, e tanto quanto basta perché il cieco incredulo sia senza scusa. Se gl’increduli non sono illuminati, la colpa è tutta loro; essi non sentono e non intendono nulla, ma è forse Iddio l’autore di questa terribile disgrazia? No: essi medesimi ne sono la causa, perché non vogliono né vedere, né udire, né comprendere. – La condizione degli increduli odierni è, rispetto a Gesù Cristo ed alla religione, quella medesima in cui erano e rimasero gli Ebrei. Ora furono essi e sono innocenti di questa loro incredulità? No, ma furono e sono colpevolissimi; infatti è fuori di ogni dubbio che potevano e dovevano chiaramente conoscere e assolutamente credere che Gesù era il Messia: l° per i suoi miracoli, facendoli esso a questo scopo… 2° Egli ha fatto tutti i miracoli predetti dai profeti… 3° Benché parecchi profeti e molti santi abbiano fatto dei miracoli, nessuno però uguagliò in numero ed in rilevanza quelli di Gesù Cristo. Inoltre i profeti e i santi non facevano miracoli per virtù loro propria, ma per l’invocazione e la virtù di Dio; mentre Gesù li faceva in nome e virtù e autorità propria, per quel potere che a lui competeva come a Signore di tutte le cose. I suoi miracoli erano pubblici, evidenti, strepitosi, numerosissimi; per operarli, gli bastava una parola, un cenno; ne operava dappertutto ed in ogni genere. Questa potenza assoluta, questa virtù perpetua appartengono esclusivamente a Gesù Cristo, non meno che la sua divina morale… Dunque i Giudei dovevano riconoscerlo. La loro incredulità è pertanto un enorme delitto e un delitto d’accecamento tutto volontario ed ostinato. E non è questa la condotta degli increduli di tutti i tempi? Non hanno essi da rimproverarsi il medesimo volontario accecamento? – I Giudei potevano e dovevano sapere e credere che Gesù era il Messia promesso, perché tutto quello che era stato predetto del Messia, si vedeva realmente adempito in Gesù. Io sono il Messia vaticinato, aveva egli tutta ragione di dire; io fo tutto quello che di lui fu predetto, dunque io sono il Messia. Sono il Messia, per il compiersi in me di tutte le Scritture; sono il Messia per la mia dottrina, la mia morale, la mia vita, le mie opere, i miei miracoli, la voce del mio Padre, la conversione dei gentili, ecc. Io provo la mia divinità, la mia missione; consultate le Scritture ed esse vi renderanno testimonianza di me (Ioann. V, 39). Quello che diceva Gesù, lo ripeteva S. Pietro, predicando che di lui fanno testimonianza tutti quanti i profeti (Ad. X, 43); lo ripeteva S. Paolo, asserendo che Gesù è il fine, il termine, il compimento, lo scopo di tutta quanta la legge (Rom. X, 4). – Chiunque legge e medita la sacra Scrittura, trova Gesù Cristo dappertutto, chiaramente e velatamente sotto le ombre e le figure; resta dunque che chi si ostina a non credere, sia o ignorante o uomo di mala fede. « E perché, scrive l’Apostolo, non hanno voluto ricevere l’amore della verità per essere salvi, Dio li abbandonerà alla potenza dell’errore; sicché credano alla menzogna; affinché siano condannati tutti coloro che non credettero alla verità e si acquietarono all’iniquità»  (II Thess. II, 10-11). Accade ancora degli increduli quello che di loro già notava il Salmista: «Essi vanno dicendo a se medesimi: Il Signore non ci vede e non saprà quello che noi facciamo» (Psalm. XCIII, 7); e su questo errore dormono tranquilli per tutta la vita. – « Le tenebre non hanno compreso la luce » (Ioann. I, 5), dice il Vangelo. Per l’incredulo tutto è tenebre e notte, Gesù Cristo, la rivelazione, la Chiesa, i sacramenti, la legge, il dogma, il culto, la morale, la preghiera, il giudizio, il paradiso, l’inferno, la santità, la sapienza, la virtù, la grazia, la salute, ecc. Qui si adattano quelle parole di Seneca : « A che illuderci? non è fuori di noi il male che ci rode, ma è dentro di noi, nelle nostre viscere; docilmente guariamo, perché non sappiamo di essere malati ». Perciò l’incredulità è follia a un tempo e malattia quasi incurabile; come il pazzo vede e giudica ben altrimenti dell’uomo assennato e sempre dà in fallo, così fa l’incredulo rispetto al credente. E’ questo, appunto il rimprovero che Gesù Cristo fece ai discepoli di Emmaus: « O stolti, voi che andate così a rilento nel credere a quello che dissero i profeti! » (Luc. XXIV, 25). – Ateniesi, disse S. Paolo, io mi sono abbattuto, passando per questa vostra città, in un altare su cui sta scritto: «Al Dio ignoto» (Ad. XVII, 23). Ciechi increduli, non meritate anche voi il medesimo rimprovero? Non è forse Dio una cosa a voi affatto sconosciuta? Ve ne date pensiero? Ma come conoscerete Iddio, mentre respingete volontariamente la fede?…- L’indurimento. — L’incredulo pensa e parla come Faraone : « Chi è il Signore, perché io deva ascoltarne la voce? Io non conosco alcun Signore » (Exod. V, 2). Ma ricordino gl’increduli che quanto più Faraone chiudeva gli occhi, tanto più s’indurava il suo cuore. Per gl’increduli che cercano di mascherare la loro incredulità con l’istruzione, dicendosi pronti a credere quando fossero persuasi con argomenti irrefutabili, si adatta quella risposta che diede Abramo al ricco dannato il quale lo pregava di mandare Lazzaro ad avvertire i suoi fratelli affinché mutassero vita, che cioè se non credevano a Mosè e ai profeti, non avrebbero nemmeno creduto ad un morto venuto dall’altro mondo (Luc. XVI, 29-31). L’incredulo che si acceca volontariamente, necessariamente s’indurisce. – Chi è l’indurito? chiede S. Bernardo, e risponde: l’indurito è colui il cui cuore non si commuove per nulla, che non si sente attratto dalla virtù, che non si lascia scuotere dalle preghiere, che si ride delle minacce, che resiste sotto i castighi, che dimentica i benefizi, che si burla dei pericoli, che non teme né Dio né gli uomini. Questo è il vero carattere dell’uomo indurito (Lib. 1 de Consider.). Ed è questo, soggiungiamo noi, il vero ritratto dell’incredulo. – La corruzione del cuore. — Questo terzo frutto dell’incredulità, così fu descritto dal Salmista: «Disse l’insensato in cuor suo: Dio non esiste. Ma ecco che questi tali si sono corrotti e divenuti abbominevoli nei loro affetti; non si trova più tra loro nemmeno uno che faccia il bene… Tutti si sono gittati fuori di strada e caddero in dissoluzione; la loro gola è un sepolcro spalancato, con la loro lingua ingannano, dalle labbra schizzano veleno di vipere. La loro bocca è piena di maledizione e di fiele, i loro piedi corrono allo spargimento del sangue. Nelle loro vie è afflizione e calamità, non conoscono la strada della pace, non è dinanzi ai loro occhi il timor di Dio » (Psalm. XIII, 1-3). – L’incredulo ben può dire di se stesso: «Le mie piaghe si sono incancrenite a cagione de’ miei traviamenti » (Psalm. XXXVII, 5). Gli increduli sono corrotti e carichi di delitti e sono increduli appunto perché carichi di peccati e di corruzione. La corruzione dello spirito e del cuore genera la incredulità e l’incredulità accresce la corruzione della mente e del cuore… Mondate, o increduli, il vostro cuore dall’impurità, cacciate dal vostro spirito la bestemmia e voi cesserete d essere increduli, avrete la fede… – Gli increduli sono abbandonati da Dio e giudicati fin da questa vita. « I rami, cioè i Giudei, furono recisi a cagione della loro incredulità » dice S. Paolo (Rom. XI, 20). Per la loro incredulità cessarono di essere il popolo di Dio; sono divenuti pagani; Dio li ha rigettati e maledetti… Così ugualmente tratta gli animi increduli quel Dio che vuole che si creda in lui, che si ami e si adori… Gli increduli corrono la sorte dei reprobi, con questa differenza, che i reprobi sono essi costretti ad allontanarsi da Dio, gli increduli costringono Dio ad allontanarsi da loro. Ed essere abbandonato da Dio è la somma delle disgrazie… – Del resto, l’incredulo non ha da aspettare la sua sentenza in fin di vita; egli è già giudicato mentre ancora vive, poiché è chiarissima e perentoria la parola di Gesù Cristo: « Chi disprezza me, e non dà orecchio alle mie parole, ha chi lo giudica: anzi egli non credendo è già giudicato » (Ioann. XII, 18) (Ioann. IlI, 18). E quello che qui Gesù Cristo dice di se stesso, lo aveva già detto Dio, nell’antica legge, di ogni uomo che parlasse in suo nome: « Chi non vorrà intendere quello che il mio profeta parlerà in vece mia mi troverà pronto a vendicarlo » (Deut. XVIII, 19). – La morte da reprobo. — L’incredulo vive da reprobo; ora come non morirà tale, senza un grande miracolo della grazia, miracolo che Dio non è tenuto a dare, anzi, per quanto si ricava dalla Scrittura, si protesta di non dare? – Nel Deuteronomio infatti leggiamo: « Chi si insuperbisce e non vuole ubbidire al comando del sacerdote, morrà » (XVII, 12). E ai Giudei Gesù diceva: «Se voi non crederete in me, morrete nei vostri peccati » (Ioann. VIII, 24). «Quale sarà, domanda S. Pietro, la sorte di quelli che non vogliono credere al Vangelo di Dio? Se appena il giusto troverà salvezza, che cosa toccherà all’empio ed all’incredulo » (I Petr. IV, 17-18).

3. Castighi dell’incredulità. — Dio ha in ogni tempo puniti gli increduli: Noè, nei cento anni che impiegò a fabbricare l’arca, non cessò mai di ammonire il mondo del castigo terribilissimo di un diluvio universale che stava per sommergerlo; gli uomini lo canzonano, rimangono increduli e il diluvio si avvera. – Chi travolse nella rovina di Sodoma coloro che Lot cercava di salvare? l’incredulità di quei cittadini che s’imaginavano ch’egli celiasse (Gen. XIX, 14). E le piaghe di Egitto non furono causate dall’incredulità? Perché Faraone annegò con seicento mila Egiziani nel Mar Rosso? perché furono increduli alla parola divina annunziata da Mosè. – Portatevi nel deserto e là vi dirà il Salmista, che tutta la nazione ebrea corse pericolo di totale sterminio, in punizione di non aver creduto alla parola del Signore, di non aver dato ascolto alla sua voce (Psalm. CV. 25-26). « L’ira di Dio piombò sopra di essi e prostrò il fiore d’Israele, perché non avevano prestato fede alle sue meraviglie » (Psalm. LXXVII, 30-32). – Zaccaria esita a credere quello che gli annunzia Dio e in pena della sua incredulità perde la favella (Luc. I, 20). Simili ai padri loro, gli Ebrei contemporanei di Gesù Cristo non vollero ascoltare le sue chiamate: ma la distruzione di Gerosolima, le inaudite calamità cui sottostette la nazione giudea e la sua dispersione tra le genti, mostrano il frutto della loro incredulità. « Quando gli increduli, esclama la Sapienza, dichiararono, o Signore, di non volervi conoscere, si aggravò sopra di loro il peso del vostro braccio, furono inondati da nuove acque, flagellati da grandini, battuti da tempeste, consumati dal fuoco »  (Sap. XVI, 16).  – Qual è stata la fine degli increduli in tutti i secoli? La loro morte somiglia alla loro vita; vivono senza fede, muoiono nell’incredulità… Gli increduli sono nemici di Dio e degli uomini. I loro fatti, i loro scritti, la lor vita, la loro morte, il loro nome sono esecrati dal cielo e dalla terra…

4. Grande è il numero degli increduli. — Già da’ suoi tempi si lagnava Isaia che molti non porgevano orecchio alle parole dei profeti e vivevano da increduli(Isai. LIII, 1). E a lui fa eco, dopo vari secoli, S. Paolo, lamentando che non tutti obbediscono al Vangelo (Rom. X, 16); prenunziando che sarebbe venuto un giorno, in cui gli uomini non avrebbero più dato ascolto all’annunzio della sana dottrina; ma deprezzando la verità, si sarebbero volti alle favole (II Tim. IV, 3-4). Questo vuol dire che in tutti i tempi vi sarebbero stati degli increduli, allora e oggi e sempre.

« Quando verrà il Figliuolo dell’uomo, stimate voi che troverà molti credenti sulla terra?», diceva il Salvatore (Luc. XVIII, 8). Ora se venisse oggidì, quanti increduli vi troverebbe!… Infatti non vivono forse da increduli tutti coloro che abbandonano la legge di Dio, la religione, i sacramenti? Invano diranno che credono, poiché la fede senza le opere, è morta, risponde loro S. Giacomo (II, 26). Come sono poche e rare le virtù cristiane, perché la fede manca. – « Chi è incredulo, opera sempre infedelmente », dice Isaia — (Isai. XXI, 2). Ora un gran numero di persone si regolano male, vivono infedeli a Dio, alla sua legge, alla coscienza; ecco altrettanti increduli. Se poi è incredulo chi non ha un anima retta, come dice Abacuc (Habac. II, 4), quanti non somigliano all’incredulo in questo punto!

5. Rimedi contro l’incredulità. — 1) – Bisogna spesso rivolgere a Dio questa preghiera del profeta: «Illuminate, o Signore, le mie tenebre, rischiarate i miei occhi, affinché non mi addormenti un giorno nella morte; perché il mio nemico non dica: l’ho soverchiato e vinto» (Psalm. XVII, 28) (Psalm. XII, 4-5). – 2) – Avere gran timore di perseverare nell’incredulità. « Se oggi udite la voce del Signore, grida il Salmista, non indurite i vostri cuori » (Psalm. XCIV). Pensate alla misericordia di Dio, che vi cerca e vi trae non ostante l’incredulità vostra; udite che vi dice per bocca d’Isaia: « Io sto tutto il giorno con le braccia tese per istringere al mio seno un popolo incredulo che cammina per una strada non buona » ( Isai. LXV, 2). Principalmente su la croce questo gran Dio stese le braccia per stringersi al petto il mondo intero… 3) – Bisogna fuggire gli increduli: è questo l’avviso di S. Paolo: « Se qualcheduno fa il riottoso alla nostra parola, non abbiate seco lui alleanza veruna » (II Thess. III, 14). 4) – Obbedite per prima cosa alla legge naturale, alla voce della coscienza, poi schivate il peccato e voi crederete senza pena…

 

J.-J. GAUME: La profanazione della DOMENICA [prefazione e lett. 1]

Iniziamo la pubblicazione di una opera piccola, ma importantissima, di Mons. Gaume, quanto mai attualissima per noi “presunti” o “veri” cattolici: “la profanazione della Domenica”. Oltre alle abitudini dell’epoca [lo scritto è del 1850], la profanazione della Domenica, è moda corrente favorita dalla falsa gerarchia conciliare: i presunti cattolici, anticipando abitualmente la frequentazione “fugace” della Messa domenicale [ma tanto è una Messa falsa e blasfema! … dirà giustamente qualcuno], hanno ampia possibilità di andare al mare, in campagna o in montagna d’estate, alle gite fuori porta, ai centri commerciali, allo shopping compulsivo, agli spettacoli teatrali e cinematografici, alle manifestazioni sportive, culinarie, c.d. artistiche e culturali, ai musei gratuiti la domenica, ai raduni politici e alle manifestazioni sindacali, ai programmi televisivi o alla navigazione internet, oltre a balere, discoteche, ludoteche … ce n’è per tutti i gusti, signori … entrate, accorrete, venghino lor signori,  venghino … di santificare le feste non c’è bisogno, tanto poi ci pensa la misericordia …! Ci torna alla mente una celebre frase di S. Alfonso M. de Liguori, nelle sue Meditazioni. “… e cantando e ballando, i cristiani se ne vanno all’inferno …!”. Leggiamola possibilmente con attenzione, onde trarne un frutto spirituale. [nota redaz.]

LA

PROFANAZIONE

DELLA DOMENICA

ED ESTREMI MALI CHE COTESTA CAGIONA ALL’UMANITA’

OPERA

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DELLABBATE GAUME

Vic. GEN. DI NEVERS, DOTT. IN TEOLOGIA

TRADOTTA DAL FRANCESE DA DOMENICO CERRI CANONICO ON. E PROFESSORE EMERITO DI TEOLOGIA E DIRITTO CANONICO.

TORINO, 1853. – – Via della Zecca n. 23, casa Birago.

 

Niente è più alto a materializzare un popolo, quanto la profanazione della Domenica. – Un popolo materializzato è un popolo morto.

Ill.mo Sig.r Conte CESARE DI CASTAGNETTO SENATORE DEL REGNO

La traduzione dell’eccellente opera francese la profanazione della domenica, che ho io eseguita, dietro l’onorevole invito d’autorevoli personaggi, alla tranquilla ombra dell’amenissimo Castello di Castagnetto di V. S. Ill.ma, non meglio che a Lei posso io dedicare, non tanto pelle preelette virtù di Lei, di cui fecero già chiaro cenno classici giornali francesi ed italiani, egregi scrittori, e l’istesso Supremo Gerarca, Pio IX; quanto per quella ardente premura, con la quale Ella santifica le Domeniche e Feste da render Sé legge, esempio, specchio e luce alla Lei nobile Famiglia, ed alle persone tutte da Lei dipendenti, e di Lei ammiratrici: premura Santa che la spinge infino a generosi e pii Sacrifizj, acciocché i Lei soggetti non vengano privi dei mezzi per santificarle. Per quanto debole sia la mia non serva penna ad innarrar le Lodi di Lei, non pertanto la delicata modestia di V. S. Ill.ma se ne risente, quindi m’impongo silenzio, protestandomi con perfetta osservanza, inalterabile devozione ed altissima stima,

D . V. S. Ill.ma, D.mo, Obbl.mo, Oss.mo Servitore Can. Domenico Cerri.

Torino, il 15 dicembre 1852

PREFAZIONE DEL TRADUTTORE

Invitati noi a porger mano alla traduzione in lingua italiana di questa eccellente operetta, stampatasi in francese per la prima volta in Parigi nel 1850, abbiamo opinato non esser disutile cosa, se le premettiamo in prima alcune brevi nozioni tolte dai più gravi scrittori intorno all’origine del giorno di Domenica, e delle principali feste celebratisi infra l’anno, acciocché sia compiuto in sua concisione questo trattatello. – Il giorno di Domenica adunque, primo dì festivo appresso i Cristiani, venne da’ santi Apostoli instituito invece del sabato dagli stessi primordi della Chiesa, a perpetua memoria della risurrezione di Gesù Cristo in tale giorno avvenuta. – I quali primordi propriamente deggionsi attribuire al giorno di Pentecoste: poiché allora, compiuti i Misteri di nostra redenzione, il sacrosanto Vangelo fu promulgato pubblicamente. Dopo questo giorno poi, permutati i giorni festivi giudaici ne’ nostri, egli è indubitato, che il primo giorno, il quale loro siasi presentato, non altro fosse che il Domenico: imperocché né il giorno di Natale, o di Pasqua, de’ quali la remotissima origine muoverebbe qualche dubbio, poterono occorrere, se non frapposto lo spazio di alcuni mesi, come saviamente osserva il venerabile Cardinale Bellarmino [Lib. 5, De Sanctis, c. II]. Del giorno di domenica fa menzione l’Apocalisse [I , 10], gli Alti Apostolici [XX, 7], S. Paolo [I. Cor., XVI, 2], come dirittamente dimostrano nel citato luogo Bellarmino ed Asorio [P. 2, Instit. Mor., I. I, c. 2, q. 1,2], allegando molti testimoni de’ Padri contra dei Centuriatori Magdeburgesi. Di questo giorno si fa cenno eziandio nel libro oliavo delle Costituzioni Apostoliche di S. Clemente [Cap. 55, version. Turriani], e nel canone 65 dogli Apostoli, e nell’epistola di S. Ignazio martire a’ Magnesiani, dove il giorno Domenico chiamasi re e principe de giorni; come anche nella lettera del medesimo a’ Filippesi; così pure nell’apologia di Tertulliano, cap. 46, ed in altri innumerevoli monumenti de’più antichi Dottori. – L’annua solennità del giorno del Natale di Gesù Cristo ebbe per istitutori gli Apostoli beati, come scrisse Asorio; e Bellarmino (L. 3, De’ Santi, c. 15) riporta molti Padri in confermazione di questo, de’ quali ci basta il solo S. Clemente romano nelle Costituzioni Apostoliche. Il giorno festivo dell’Epifania pur anche alle Apostoliche Costituzioni deve attribuirsi, secondo quello riferito viene da Epifanio nel Compendio della Fede verso il fine, ed Asorio al luogo citato. – L’annua celebrazione della Pasqua,ossia della risurrezione di Gesù Cristo fu ordinala dagli Apostoli, ci assicurano S. Clemente, S. Agostino ed Àsorio come si può vedere presso il Bellarmino. La stessa cosa hassi da dire della vigilia di Pasqua, delle altre vigilie, e delle quattro tempora poi si leggano Terlulliano, Eusebio, S. Leone M., Bellarmino, ed il Baronio. – Essa è altresì apostolica tradizione appresso Clemente e Bellarmino, che la Domenica in Albis, cioè l’ottava di Pasqua avesse l’istesso principio. La festività dell’Ascensione di Gesù Cristo anch’essa riconosce gli Apostoli per autori, come insegnano Clemente, Agostino, Asorio e Bellarmino. Il dì solenne e sacro di Pentecoste parimente secondo le Costituzioni degli Apostoli, ad essi deve ascriversi. – Di questo giorno fanno eziandio parola S. Ireneo nella sua orazione di Pasqua, citata da S. Giustino martire, Tertulliano e S. Basilio. Che anzi stimiamo, seguendo autorevolissimi scrittori, probabilissima la dottrina di S. Epifanio, il quale riferisce quello che della Pentecoste fu scritto negli Atti Apostolici e nella lettera di S. Paolo (1 Cor, XVI, 9) alla Pentecoste della Chiesa Cristiana, che afferma essere derivata dalla tradizione e dall’instituzione apostolica, benché a certuni paia forse potersi riportare alla Pentecoste de1 Giudei, quello che nel suddetto libro inspirato di somigliante giorno si dice. – La festa della Purificazione della Beatissima Vergine Maria è anch’essa antichissima, come chiaramente dimostra Bellarmino dallo orazioni recitate nel suddetto giorno da’ più vetusti Padri. E certamente esso è talmente antico, che giudicò Asorio essere cotesta solennità stata instituita o dagli Apostoli, o indubitatamente dai primi discepoli degli Apostoli. – I giorni poi consacrati alla celebrazione degli Apostoli vennero essi fissati dai discepoli di questi appena che loro succedettero, come ci ammaestrano Àsorio e Bellarmino e con dirittura: imperocché S. Clemente impose ai fedeli di osservare le feste de’Martiri, e nominatamente di santo Stefano. Da quello impertanto, che abbiamo detto de’ giorni festivi, sia di Nostro Signore Gesù Cristo, sia de’Santi, è manifesto, che sono da riprendersi o di brutto svarione, o di maliziosa dissimulazione i Centuriatori Magdeburgesi (1), a quali non basta ’l negare, che gli Apostoli abbiano statuito certi giorni festivi, ma per somma impudenza aggiungono ancora, che nei primi secoli della Chiesa non si legga essersi emanati decreti per regolare e fissare de’ giorni festivi, di Pasqua in fuori. – Santa Chiesa poi, sempre mai condotta da quella indefettibile sapienza, di cui fece ognora bella mostra, essa pure infino da’primi secoli instituì alcune solennità, ed approvonne certe altre: instituì ella alcune solennità per così contrapporre alle feste piene di lussuria, di brutalità e di scandali dei Pagani, la santità de’ nostri sacrosanti Misteri, per allontanare da codeste immoralità i Fedeli, e tenerli in orazione ed edificazione, col qual mezzo ella venne a guadagnare ne’ suoi figliuoli, che li conservava puri e virtuosi; nel paganesimo, che, rapito della virtù de’Cristiani, n’abbracciava la legge loro. Approvò poi ancora Santa Chiesa certe altre solennità che dai varii regni del mondo cattolico tra, i popoli a lei si rivolgevano, pregandola con istanza ad elevare al grado di festa certi giorni, e come tali, per sua autorità, dichiararli; le storie sono ripiene di simili petizioni devote, le quali i Romani Pontefici, dopo maturo esame, od esaudivano o rigettavano, secondo che giudicavano più conveniente pella Religione e pei popoli. E coloro che acremente impugnano le feste ed avventano in sulle adorabili guance di Chiesa Santa le più vili calunnie ed oltraggiose, perciò, se avessero letto la storia ecclesiastica, s’ adonterebbero di loro ignoranza grossa grossa, o di loro mala fede empia empia; ma se non la leggono questa istoria, o se la leggono, lo fanno non per altro che per attingervi le obiezioni orpellando e svisando la verità onde sedurre i credenti! Assaissimo sarebbevi a dire intorno a siffatto argomento, ma la mole del libro nol permettendo, ci limitiamo solo a quello della Santificazione della Domenica, né possiamo meglio sotto ogni riguardo trattarlo, che riproducendo la sovra accennata Opera, e presentandola tradotta; coloro che la leggeranno, non potranno almeno d’altamente commendare la potenza e dirittura somma dell’ingegno dell’autore sullodato nel condurre il suo tema, ed inorridiranno all’aspetto dei mali che stanno per rovinare d’ogni parte sopra de’profanatori del santo giorno della Domenica. 

LA PROFANAZIONE DELLA DOMENICA

considerata per rapporto alla Religione, alla società, alla famiglia, alla libertà, al benessere, alla dignità umana ed alla sanità.

LETTERA I

RAGIONE E DISEGNO DI QUESTA CORRISPONDENZA.

Nevers, 5 aprile 1830

I

Signore, e caro amico [Queste lettere sono indirizzate al signor M. N. membro dell’Assemblea legislativa – ndr.-], per corrispondere io a’ vostri desideri vi mando le considerazioni, le quali mi dettò la rapida disamina della grande questione, divenuta da bella pezza l’oggetto de1 vostri profondi studi. Certamente niente n’è più degno delle meditazioni. d’un personaggio veramente politico: la legge sacra del riposo ebdomadario essendo il fondamento della Religione, diventa la salvaguardia degli Stati. Pertanto avete voi mille volte ragione di dire che, se ne’ nostri giorni d’aberrazione, qualche cosa avesse diritto di stupefarci, questa è infallibilmente l’oblio generale, in cui si lascia un punto di somigliante importanza. Senz’altro preambolo, m’accingo alla mia prefazione. Io la giudico necessaria; ma rassicuratevi, eh’essa non sarà lunga.

II

Voi sapete, che (specialmente) cinque immortali testimonianze appoggiano lutti i cattolici dogmi: la parola di Dio, la quale li rivela; il sangue de’ martiri, il quale li conferma; l’odio de’ perversi, il quale li oppugna; l’amore de’ buoni, il quale li propugna; la felicità, la quale quelli apportano. Tale è, ne’ tempi ordinarj, la vittoriosa dimostrazione della fede. – Nulla ostante avvengono epoche di vertigine, in cui il mortale, strascinato dall’orgoglio, tiranneggiato dai sensi, non solamente chiude gli occhi per nulla vedere e le orecchie per nulla ascoltare, ma anzi indaga ogni via affine di oscurar la verità, che lo ristucca. Per questi giorni infausti Iddio riserva, in favore di sua opera, un’ultima testimonianza. – Quest’ultimo argomento somigliantemente alla folgore, la quale discinde le dense nubi, i cui vasti fianchi intercettano i raggi del sole, cosi dissipa esso tutte le tenebre stese in sulle intelligenze. La verità è mostrata all’uomo, com’essa a lui si mostrò dalla vetta del Sinai tra lo splendore dei lampi, e il rombo del tuono; o come sopra il Calvario, nello spavento dell’umanità, e nel conquasso di tutta la natura. Quest’ultimo argomento della Previdenza sono le Rivoluzioni. – Dietro questi formidabili uragani, il suolo, messo sossopra e profondamente socchiuso, lascia vedere apertamente le basi recondite delle umane società. Si scorgono allora quelle delle grandi assise, il cui scuotimento ha determinalo la catastrofe; si scopre la mina che giunse a coglierle; si comprende quello che avrebbe dovuto adoperarsi per sventarla, ciò che è di mestieri fare per prevenire reiterati colpevoli attacchi.

III

Da tre secoli la Provvidenza ai popoli d’Europa dona questa suprema dimostrazione. Neppure un solo de’ nostri dogmi, la cui sociale necessità non sia oggi provata per una catastrofe. — La società è un fatto divino; il simbolo con tutti i suoi articoli, il Decalogo con tutti i suoi comandamenti, senza niuno eccettuarne, sono le condizioni vitali delle incivilite nazioni. Ecco quello che ripetono montagne di rovine coacervate sovra il suolo da mezzanotte a mezzogiorno. Ecco altresì, e sono felice di confermarlo, quello che un vago istinto comincia à far presentire agli uomini non ha guari i più indifferenti, per non dire i più ostili alla rivelazione. – Ritornarvi, o morire, e questo senza ritardo: la è il punto attuale della questione nell’intera Europa. – Il facile scioglimento di questa verità troppo lontano mi trarrebbe. Lo scopo di nostra corrispondenza è di richiamare l’attenzione su d’una sola di quelle leggi cristiane, la quale somigliantemente è dimostrata per catastrofi. Anzi oserei pronunciare che qui la dimostrazione diventa più compiuta e rilevante. Difatti, se, parlando della necessità delle leggi e delle cattoliche verità, si potesse ammettere di più o di meno, sarebbe manifesto che questa legge, sopra le altre, rendesi indispensabile alla società: ho nominato la legge della santificazione delle domeniche.

IV

Io sono, come voi, talmente convinto della calamitosa influenza della violazione del riposo ebdomadario, che non posso trattenermi dall’esprimere novellamente il mio doloroso stupore del profondo oblio, in cui è restata questa essenziale causa della malattia, la quale ci strugge. Durante questi ultimi anni, una lunga e nobile lotta venne sostenuta dai cattolici di tutta Europa in favore della libertà della Chiesa, e dai cattolici di Francia in favore della libertà particolare dell’insegnamento. La questione è vitale per vero. L’educazione è l’imperio; imperocché, l’educazione è l’uomo. Chi fra noi nol comprese? – Ma se l’educazione religiosa è necessaria per formare figliuoli cristiani, non dimentichiamo noi mai che la santificazione delle domeniche sola può rassicurare la perseveranza dell’uomo. Che all’uscire delle scuole cattoliche, le giovani generazioni entrino in un mondo indifferente ed anticristiano, esse non tarderanno niente, siatene certo, a divenire esse stesse indifferenti ed anticristiane. Ora, qualunque nazione, la quale non rispetti il giorno sacro del riposo e della preghiera, è una nazione indifferente ed anticristiana, il contatto di cui è contagioso per le generazioni nascenti; da cotale punto, ogni speranza di salvezza sparisce: la società si condanna di per se stessa ad una inevitabile rovina.

V

Del rimanente, qualsiasi illusione è ormai impossibile. Sovrasta a noi la più grande catastrofe della storia. Non attendiamo pertanto nostro salvamento, né dalla parola umana, né dai grossi battaglioni. – Se vogliamo noi esser noi i nostri stessi salvatori, noi nulla salveremo, neanche un misero avanzo di codesti beni materiali, a cui noi tutti gli altri sacrificato abbiamo. Iddio solo, operando nella pienezza di sua misericordia, può ritirarci dall’abisso, dove noi già precipitiamo. Ma chi può commuovere in nostro favore il suo paterno cuore? Una cosa sola: il ritornare a Lui. Collocati in una situazione meno grave della nostra, i popoli ammalati non conobbero mai altra via di salvezza: Ninive è un tipo immortale, un tipo eccitativo. Chi sa, che non sia per rammemorarci vivamente l’esempio della penitente città, che la Provvidenza divina manda a noi i suoi giganteschi monumenti? Ma d’onde ricomincerà il ritorno a Dio, se non per lo pentimento? Qual sarà il primo atto sociale di questo pentimento, se non l’adempimento d’un dovere che conduca alla pratica di tutti gli altri? Vale a dire, la santificazione delle domeniche, senza la quale, noi assai spacciatamente vedremo, che ogni ritorno sociale al Cristianesimo è impossibile ed illusorio.

VI

Egli è più vero, che non si pensi, e sopratutto, che non si dica: La Francia [ed oramai tutta l’Europa un tempo cattolica -ndr.-] perisce per cagione della profanazione della domenica. Nulla ostante le ammonizioni d’ogni sorta, le quali ad essa vengono prodigate, consumerà ella la sua rovina?…. Iddio solo conosceva questo ridottabile mistero. A noi, che l’ignoriamo; nostro dovere è di combattere con vivissima energia, e sino allo stremo in favore di questa società agonizzante. Disimpegnandoci di sì fatta responsabilità, gli sforzi, cui noi tentiamo, se degnasi Dio benedirli, otterranno per risulta mento di strappare l’ammalato da morte, o attutire, a riguardo di parecchi, la terribile scossa degli avvenimenti, che l’universo intero paventa. – Acciocché si dimostri la verità nel suo pieno splendore, né si lasci scusa all’ignoranza, né pretesto all’indifferenza, né sotterfugio alla malevolenza, io esamino la questione capitale della santificazione della domenica sopra lutti i suoi aspetti; in altre parole, io la presento in tutti i suoi punti di contatto con gl’interessi dell’uomo e della società. Così, oso dire a tutti, ricchi e poveri, padroni ed operai, compratori e venditori, abitanti di città, ed abitanti di campagna: se voi volete scongiurare i flagelli sospesi sui vostri capi, e sfuggire dalla barbarie, la quale vi soggioga, il più stringente dei vostri doveri è di far cessare, infra voi, la scandalosa e calamitosa profanazione della domenica. Sì, voi lo dovete, e dal giorno, in cui voi lo vorrete, voi lo potrete.

1-. Voi lo dovete, se tenete ancora anzi che no alla religione de’ padri vostri, la quale insomma è l’unica sorgente degli avvantaggi temporali, cui voi esclusivamente pregiate. Per verità, la profanazione della domenica è la rovina della religione.

2. Se voi non tenete più alla vostra religione, lo dovete ancora, se tenete all’umana società, la quale protegge vostra fortuna, vostra libertà, vostra vita. Per verità, la profanazione della domenica è la rovina della società.

3. Se voi non tenete più alla società, lo dovete ancora, se tenete alla famiglia, l’unico bene comune che di presente ci rimane. Per verità, la profanazione della domenica è la rovina della famiglia.

4. Se voi non tenete più alla famiglia, lo dovete ancora, se tenete alla libertà, verso della quale voi professate un culto cotanto ardente. Per certo, la profanazione della domenica è la rovina della libertà.

5. Se voi non tenete più alla libertà, lo dovete ancora, se tenete al vostro benessere, a questo benessere, oggetto di tutti i vostri travagli. Per verità, la profanazione della domenica è la rovina del benessere.

6. Se voi non tenete più al vostro benessere, lo dovete ancora, se lenete alla vostra dignità d’uomo, a questa dignità, di cui voi vi mostrate cosi geloso. In vero, la profanazione della domenica è la rovina della dignità umana.

Se voi non tenete più alla vostra dignità d’uomo, lo dovete ancora, se tenete alla vostra sanità, ed alla sanità di coloro i quali vi sono cari. Per verità, la profanazione della domenica è la rovina della sanità.

La profanazione della domenica vuole adunque dire:

— Rovina della religione; — rovina della società; — rovina della famiglia; — rovina della libertà; — rovina del benessere; — rovina della dignità umana; — rovina della sanità.

Ciascuna di queste rovine sarà il soggetto d’una o di parecchie lettere, secondo l’importanza dello scioglimento. Come voi desiderate, signore e caro amico, la nostra corrispondenza finirà per l’indicazione de’ mezzi da rimediare immediatamente al male. Dico immediatamente; imperocché di questi mezzi ognuno può valersi, e farsi applicazione con uguale securanza e facilità. La lunghezza di questa lettera non mi permette d’intraprenderne ora la discussione: lo farò fra breve. Gradite, ecc. [Continua …]

J.-J. GAUME: IL SEGNO DELLA CROCE [lett. 22-23]

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LETTERA VENTESIMASECONDA.

19 dicembre.

Caro Federico

Pronunziata l’inappellabile sentenza negli affari civili, a qual partito dovranno appigliarsi le parti? Null’altro è da fare, che eseguirla sotto pena di rivolta, e di tutte le tristizie, che questa mena seco. Simile cosa è per le questioni dottrinali. Quando l’autorità infallibile ha deciso il punto in questione, resta solo prendere a norma di condotta il pronunziato del supremo tribunale, sotto pena di rivolta peggiore, e di tutti i tristi effetti, che potrebbero seguirla. – Un giudizio era stato iniziato fra noi ed i primi cristiani, che aveva a scopo determinare, se la ragione fosse per essi, che facevano il segno della croce e lo eseguivano soventemente e bene; o per i cristiani moderni, che più non lo fanno, o raramente e male. La causa è stata con ogni studio esaminata, la discussione pubblica, i difensori sono stati intesi. Il fiore della umanità costituita in supremo tribunale, avendo ad assessori, la fede, la ragione, l’esperienza, il sentire de’ popoli ancora pagani, ha pronunziato in favore dei cristiani della Chiesa primitiva. Che fare adunque? È da rinnovare la gloriosa catena delle nostre antiche tradizioni, sì sventuratamente rotta, e fare il segno della croce, farlo sovente, e bene. – Fare risolutamente e manifestamente il segno della croce. E perché nol faremo noi? Perché reputeremmo onta il farlo? Farlo o non farlo non è mica indifferente, mio caro; farlo è onore, tralasciarlo disonore. Facendolo, noi saremo i successori, e ci troveremo nel mezzo di tutti i grandi uomini, e dei grandi secoli dell’Oriente e dell’Occidente, con l’immortale nazione cattolica, col fiore dell’umana famiglia. Non facendolo, noi avremo per predecessori, compagni e successori, tutti i meschini eretici, la nullità degl’increduli, i poveri ignoranti, le piccole e grandi bestie. – Come facendo il segno della Croce noi ci copriamo, unitamente alle creature che ci appartengono, di un’armatura invincibile: cosi tralasciandolo, ci disonoriamo, ed esponiamo noi stessi e quanto ci appartiene a gravissimi pericoli; vivendo l’uomo ed il mondo necessariamente sotto la influenza dello spirito del bene, o sotto quella dello spirito del male. Quest’ultimo tiranno dell’uomo e delle creature, fa loro sperimentare le sue maligne influenze, ed il corpo e l’anima, lo spirito e la materia sono da esso viziati. Fu questa sempre fondamentale credenza del genere umano. Il perché, da poi diciotto secoli, i capi della spirituale battaglia ci dicono di coprir noi e le creature di questo segno, scudo impenetrabile alle ignee frecce dell’inimico: Sentititi in quo ignitæ diaboli extinquuntur sagittæ. E noi, soldati infedeli alla consegna, noi getteremo volontariamente la nostra armatura?Noi con un petto scoperto resteremo da insensati, esposti a’ colpi dell’armata nemica! E ciò, per non dispiacere ad alcuni, ed a chi? – Mi dicono: Il mondo attuale non fa il segno della Croce e non ne riporta nocumento alcuno. Una tal cosa può con certezza affermarsi? Qual è oggi la sanità pubblica dell’uomo, e della natura? Non intendi di continuo ripetere in Alemagna, ed in Francia come da per tutto: Non v’è più sanità! Questa parola divenuta popolare, è solo una parola? Ottimisti, come voi vi dite, credete dunque che le leggi divine fatte per l’uomo, spirito e materia, non abbiano in questa vita duplice sanzione, una morale e l’altra fisica? Voi credete che la profanazione del giorno consacrato al riposo dell’uomo e delle creature; che il disprezzo della legge del digiuno e dell’astinenza, non possano mettere in pericolo che la sola salute dell’anima? Voi credete che il movimento febbrile degli affari, le agitazioni politiche, la sete de’ piaceri, carattere distintivo di un mondo, che ha intrapreso la discesa del cielo sulla terra; che gli sregolati costumi, l’usanza di cangiare la notte in giorno, e questo in quella; che il soddisfare alla sensualità nella scelta de’ cibi, lo spaventevele consumo di spiriti, i cinque cento mila caffè, e bettole, siano di nessuna cattiva influenza per la sanità pubblica? D’onde procede lo scemarsi delle forze nelle generazioni moderne? Sarebbe facile trovare di presente molti giovani capaci di maneggiare le armi de’ nostri avi del medio evo, o di portare la loro armatura? Le riforme sì numerose, eseguite da’ consigli di revisione, per difetto di taglia e buona conformazione; l’impotenza di osservare i digiuni, ancorché sì addolciti, che sperimentano le stesse persone religiose, non ha alcun senso? Che cosa dice l’aumento considerabile e tuttodì crescente delle farmacie, e dei medici, e de medium medici, le cui anticamere saranno, fra breve, frequentate come le sale delle sommità medicali? – In fine, i casi continui e crescenti di suicidio e di pazzia, arrivati ad un numero incalcolabile sino al presente, sono de’ sintomi, che ci rassicurano sul conto del prosperare della sanità pubblica? Dando a tutti questi fatti, e ad altri ancora, il senso il più ristretto, non dimostrano essi, per lo meno, che la salute pubblica non è più quella di altri tempi? – E la vigoria della sanità della natura, su cui non è più eseguito il segno liberatore, è dessa in progresso? Qual cosa mai ci dicono la malattia delle patate, quella delle uve, degli alberi, de’ vegetali, delle piante, e delle erbe istesse, da negare il foraggio necessario? Tutti questi malati, in numero di cento, sorpresi simultaneamente da gravi ed ostinate, sconosciute malattie, attestano per la perfetta sanità delle creature? Questo fenomeno altrettanto più sinistro che non v’ha uguale nell’istoria, sembra piuttosto presentare la natura come un grande ospedale, ove, come nella specie umana, tutto è malato, languido, ed alterato. – Non lo si può negare, il mondo attuale è malato più che in altri tempi, sia che lo consideri nell’uomo, come nelle creature a lui immediatamente sottoposte. Che cosa mai è la malattia e l’infermità, se non mancanza ed indebolimento di vita? Il Verbo Creatore è la vita, è tutta la vita; epperò dilungarsi da Lui è un venir meno nella vita, uno scemarla, come appressarsi ad esso, è un’aumentarla e rinvigorirla. – Siamo debitori di questa nomenclatura alla gentilezza di un dotto naturalista, il sig. F. Verecruysse di Courtrai. Egli stesso ha raccolto, in quest’anno 1868 delle foglie di tutti gli individui malati, dei quali gli è piaciuto mandarci dei saggi. Ci conceda egli dunque di offrirgli un pubblico attestato di tutta la nostra riconoscenza. – Le creature materiali essendo incapaci di bene e di male, sono malate, solo perché seguono la condizione dell’ uomo. L’uomo essendo il centro ed il compendio della creazione, racchiude in se stesso tutte le leggi che reggono le creature inferiori, se egli le viola, l’effetto della violazione si fa sentire in tutta la natura. N’è testimonio il peccato di Adamo. Alla stessa causa, riprodotta nel corso dei secoli è necessario attribuire le malattie delle creature, sempre in ragion diretta della intensità della causa, che le produce. Non sembra egli che Isaia avesse gli occhi fissi alla nostra epoca allorché disse : « La terra è stata infettata dai suoi abitanti. Di là hanno origine le lacrime, l’afflizione, i languori della terra, la decadenza del globo; la malattia della vite, ed i gemiti dei coltivatori: » – Luxit et defluxit terra, et infirmata est… defluxit orbis et terra infecta est ab habitatoribus suis, quia…. mutaverunt ius etc. XXIV, 4 e segg.; Abacuc, Geremia e gli altri profeti parlano cogli stessi termini di quest’agonia della natura. – A giudizio della Chiesa e di tutti i secoli cristiani, l’atto esteriore, il tratto di unione il più che altro universale e comune, che metta le creature a contatto con la vita, è il segno della croce. Ora, voi ve ne beffate, non lo eseguite, né volete usarne; per tutto che vi riguarda, voi lo rimpiazzate, come usate riguardo alla preghiera, ed ai pellegrinaggi di altri tempi, con i bagni di mare, con le acque tiepide, calde, fredde, sulfuree, ferruginose di Vichy, della Svizzera e de’ Pirenei. Per le creature, collo stabio artificiale, col muover guerra alla vita degl’insetti, col prosciugare i terreni, col solforare le piante. Benissimo: non sono queste da trasandare, ma è mestieri non omettere le altre: “Haec oportet facere et illa non omittere. Cosi il mondo moderno disprezzatore della divina ed umana saggezza, senza farsene coscienza alcuna, crede poter violare una legge religiosamente osservata da poi il principio del Cristianesimo, e rispettata dallo stesso paganesimo, che la formulava dicendo: È da pregare per avere sanità fisica e morale: “Orandum est ut sit mens sana in corpore sano”. Non v’ha dunque ragione da muovere lamenti; noi raccogliamo quello ch’è, e dev’essere. – Che se la sanità fisica dell’uomo e della natura prosperasse, come si pretende, senza il segno della croce, resterebbe la morale, che avanza in importanza immensamente la prima. Qual è lo stato sanitario del mondo morale al presente? Se per minuto ed a segno, volessi a tale domanda rispondere, andrei troppo per le lunghe; però ti ricorderò solo, che l’uomo morale come il fisico, è nell’alternativa di vivere sotto l’influenza salutare dello spirito buono, e sotto quella malefica dello spirito cattivo; e che il segno redentore ci rende partecipi alla prima, e l’assenza di esso ci sommette, ed abbandona alla seconda. È questo l’insegnamento della Chiesa, confermato dalla pratica de’secoli cristiani. Sperienza di simil fatta, per diciotto secoli doratura, è un nulla per noi? Voi non volete più il segno liberatore, nessuna fede avete in lui, più non lo si vede sulla vostra fronte, sulle labbra, sul cuore, su i vostri alimenti. E bene! satana v’imporrà il suo. Su tutte codeste fronti, su tutte le labbra di simil fatta, e nei cuori, si vedrà, e senza bisogno di microscopio, il segno della bestia. Questo segno si rivela sulla fronte per lo spirito di orgoglio e di rivolta, per la collera, il disprezzo, l’imprudenza, la vanità, l’alterazione de’ lineamenti; il non esser atto alle scienze spiritualiste, lo aver nessun gusto per le scienze morali; il pallore delle goti impressovi dalla impurità, o il rosso prodotto dall’intemperante uso de’ vini; un certo che di livido nella fisonomia, di basso, di scolorito e bestiale. In fine, quel cinismo negli occhi spiranti adulterio, ed un peccato che non tocca mai la fine, provocatore continuo delle anime incostanti [“Animalis autem homo non percipit ea, quae sunt spiritus Dei”. (I. Corint. II, 14). — “Oculos habentes plenos adulterii, et incessabilis delicti, pellicientes animas instabiles”. (II. Petr. II, 14)]. – Come sono contrassegnate da esso le labbra? Le riconosci dall’esser sempre mosse ad un riso immoderato, od impudico, scioccamente empio, o crudelmente burliero, loquaci, senza alcuna regola, con discorso di nessuna importanza, sempre privo di scopo; parole invereconde, irreligiose, bestemmiatrici, piene di odio, di maldicenza e gelosia, spiranti concupiscenze, traspirano sepolcrali esalazioni, velenose più che tossico di vipera (2) [“Sepulcrum patens est guttur eorum”. (Psal. V, 11). — “Despumantes suas confusions”. (Judae Ep. v. 13)] Il cuore marcato da questo segno è ingombro di mali pensieri, di desideri, di fornicazioni e di tradimenti, di profondo egoismo, di ruberie, di avvelenamenti, di morti; sovra di esso hanno impero le cortigiane, e le femmine rifiuto della umanità [“De corde enim exeunt cogitationes malae, homicidia, a-dulteria, fornicationes, furta, falsa tcstimonia, blaspbemiae”. Matth.. XV, 19]. – Sugli alimenti lo riconoscerai alle loro pessime influenze. Non essendo stati questi liberati dal segno redentore, dessi servono da veicolo a satana per trasmettere tutte le sue tristi influenze, a giudizio de’ pagani stessi. Questi, messi per la nutrizione, a contatto con la inferior parte dello spirito, vi eccitano gli sregolati appetiti, solleticano gl’istinti, commuovono le passioni. Di che segue la ricerca di soddisfare alla sensualità nel vitto e nella bevanda, il dispotismo della carne, il disgusto del lavoro, la impotenza di resistere alle tentazioni, lo affievolirsi, e qualche volta ancora l’imbruttimento della ragione, la mollezza della vita, il sibarismo de’costumi, l’adorazione del dio ventre, terminando col disprezzo di sé, col soffocare la coscienza ed il senso morale con l’infanticidio, e col suicidio [“Inimicos crucis Christi, quorum finis interitus: quorum Deus venter est et gloria in confusione ipso rum”. Philip. Ill, 18]. – Volgi intorno Io sguardo, mio caro amico, e cerca le fronti, le labbra, i cuori, le mense ove si conserva la santità, la dignità, la sobrietà umana e cristiana ; il vivere mortificato e puro; i cuori forti contro le tentazioni; gli animi dedicati alla carità ed alla virtù; le forme di vivere, che possono senza rossore rivelarsi agli amici ed ai nemici: tu le troverai solo dove la croce regna protettrice! – Quanto dico quest’oggi sia per te come un dato di esperienza, domani ti apporterò di esso le ragioni e le prove.

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LETTERA VENTESIMATERZA.

20 dicembre.

Tu non dimentichi, mio caro Federico, che di presente noi deduciamo le conseguenze pratiche, che emanano dal giudizio pronunziato fra noi ed i nostri avi. La prima è che noi dobbiamo fare risolutamente il segno della croce. – Tuttavolta l’inappellabile sentenza del tribunale, fosse tale da essere norma di nostra condotta, pure, a mettere in rilievo tutta la dignità sua, ho voluto mostrarti, quanta vergogna, e quali pericoli e sventure ci verrebbero addosso da una teoretica e pratica rivolta contro di essa. I fatti t’hanno cerziorato [reso certo –ndr. -] di tutto ciò. Tu hai visto il segno della bestia impresso su tutte le fronti, le labbra, i cuori e gli alimenti non santificati dal segno divino. D’onde trae ciò la origine sua? Ho promesso dirtelo, eccomi a compiere la mia promessa. – In nessun modo può mancare che il segno della bestia sia impresso in ogni uomo, ed in ogni cosa che non trovasi dall’egida del segno liberatore dell’uomo e del mondo, difeso; avvegnaché non v’ha che un solo preservativo per l’uomo, contro satana, ed un solo parafulmine pel mondo: il segno della Croce. Dove questo manca, satana agisce da padrone. Le quali cose, come ben altre volte abbiamo detto, dipendono e traggono tutta la loro evidenza dal dogma della umanità il più profondo, ed il più incontestabile, la servitù dell’uomo, e del mondo allo spirito del male, di poi l’originale peccato. Per mettere in piena evidenza quel che ho chiamato alta mistione della croce, concedimi che io ti venga ricordando qualche tratto isterico, che è troppo poco considerato. Quello che si osserva nell’ordine della cosa pubblica è un riflesso di quanto ha luogo nel mondo morale. – Ora quando una dinastia è assisa sul trono, dessa si studia d’inalzare il proprio stendardo, e scolpire il suo stemma da per tutto, poiché ciò è segno di sua dominazione. Come per opposto, se dal trono è rovesciata, primo atto del conquistatore è togliere via gli emblemi della caduta dinastia per rimpiazzarli con i propri, cosi annunziandosi a’ popoli l’inaugurazione de’ nuovi regni. Da poi settanta anni in Francia ed altrove, quanti di questi mutamenti di colori e di stemmi non abbiamo veduto! Quindi il Verbo incarnato venendo sulla terra per Io possesso del suo regno trovò satana che con esso la faceva da re e da Dio, e le statue ed i trofei, gli stemmi di lui da per tutto erano innalzati ; ma vintolo, i segni della sua dominazione disparvero, ed a loro vece brillò lo stemma del vincitore, la croce. Per la qual cosa, se un’anima od un paese, in pena delle sue colpe, è dannato di nuovo al servaggio di satana, il primo atto dell’infernale usurpatore è il far disparire la croce. Questa disparsa, comincia a far tirannico strazio del suo conquiso, non avendo più da temere il formidabile segno. – Rileggi una pagina della storia della patria tua. Dal 1520 al 1530 quale miserevole spettacolo non ti presenta l’Allemagna? Dal Reno al Danubio, tutte le croci, che, dipoi la vittoria del cristianesimo riportata sulla idolatria scandinava, sormontavano i monti e le colline, fiancheggiavano le vie, smaltavano le campagne, ornavano le case, coronavano le chiese, onoravano gli appartamenti e consolavano l’animo dolente dell’abitante del tugurio, furono abbattute, messe in pezzi, gettate al vento, ravvoltolate nel fango al grido di un popolo delirante. Qual cosa annunziava questo turbine distruttore? L’arrivo del vincitore, il ristabilimento del suo regno. Da quel momento lo spirito delle tenebre domina l’Allemagna, e vi regna, come nel vecchio mondo, con la voluttà e crudeltà d’ogni maniera, col brigantaggio, colla confusione del giusto e dell’ingiusto, coll’anarchia intellettuale d’ogni nome, e d’ogni forma. Né altro da questo è lo spettacolo che ti presenta la Prussia, la Svezia, la Norvegia, l’Inghilterra, la Svizzera, e tutte le contrade dove l’usurpatore ha preso il posto del legittimo re. Il che è tanto più significativo, che non trovasi isolalo nella storia, ma lo si vede riprodotto tutte le volte che satana prende nuovo possesso di un paese, l’articolare, o generale che sta, lento o rapido, desso è il carattere della vittoria infernale, e ne misura l’esteriore. Nel 1830 noi numerammo a centinaia le croci abbattute: il 1830 fu un aborto del 93. In questa ultima epoca, epoca di trionfo completo pel paganesimo, fu ben altrimenti, poiché a migliaia le croci furono abbattute sul suolo francese, ed in tal tempo di lugubre memoria, ma istruttivo, vi fu un giorno più nefasto fra tutti. – Sotto i colpi orde fanatiche, il 1793 vide radere nel sangue l’altare ed il trono. I massacri del convento del Carmine, e di S. Firmino, la proclamazione della repubblica, (l’assassinio di Luigi XVI, le ecatombe del Terrore, le nefandezze del Direttorio, le apostasie, i sacrilegi, le dee della Ragione, furono le conseguenze di quel disgraziato giorno, che ricorderà eternamente l’ora precisa in cui satana entrò trionfalmente nel regno cristianissimo. Ora in quel momento, dice uno scrittore, un uragano straordinario scoppiò sopra Parigi. Un calore soffocante aveva lungo tutto il giorno, impedita la respirazione, e le nuvole addensate e di un sinistro colore avevano ricoperto e nascosto il sole come in un oceano sospeso nell’aria. Verso le dieci l’elettricità cominciò a sprigionarsi con spesso lampeggiare, simile a luminose palpitazioni del cielo. 1 venti squarciando le nubi, come onde di mare tempestoso, abbattevano le messi, spezzavano gli alberi, trasportavano altrove i tetti. In men che io il dica, le case furono chiuse e le strade deserte. Il fulmine per otto lunghe ore non cessò dal colpire uomini e femmine, che si conducevano a’ mercati di Parigi, e molte sentinelle furono ritrovate morte fra le ceneri delle loro garitte, e la forza del fulmine strappava da’ gangheri le inferiate balzandole a smisurata distanza. Le due alture che sormontano l’orizzonte di Parigi Montmartre ed il monte Valeriane attrassero in gran parte l’elettrico delle nubi, che l’inviluppavano, ma scaricandosi questo su tutti i monumenti isolati sormontati da punte di ferro, abbattè tutte le croci, che trovavansi nelle campagne, sulle piazze, e lungo le strade, dal piano d’Issy per tutto il bosco di san Germano e di Versailles sino alla croce del ponte di Charenton. L’indomani, le braccia di queste coprivano da per tutto il suolo, come se un’ armata invisibile avesse rovesciato nel suo passaggio tutti i segni del ripudiato culto cristiano. – Nell’ordine morale nulla avviene per azzardo, come nell’ordine naturale niente ha luogo per saldo; epperò i fatti che narro hanno un significato. Questo è rivelato dalle circostanze che lo accompagnarono e seguirono, le quali mostrano evidentemente perché la croce sia in un paese, e perché vi manchi: insegnano altresì alle nazioni, alle città, alle provincie, agli uomini d’ogni maniera, quanto debba esser loro a cuore il conservare il segno della Croce, moltiplicarlo, ed onorare il segno protettore di tutta la creazione. – Fare il segno della croce soventemente è la seconda conseguenza pratica della emanata sentenza. E perché nol faremo noi? Perché ciascuno a sua posta non tornerà a’ pii usi de’ padri nostri? Eglino non si reputavano sicuri un istante, ed in tutte le azioni,tutta volta queste facilissime si fossero, se non protetti dal segno salutare. Siam noi forse da più di loro nel coraggio? Le tentazioni nostre son forse minori nel numero e nella forza delle loro, i pericoli che ne circondano, meno gravi, e i doveri nostri, da meno dei loro? Tutte le volte che i padri nostri sortivano dalle abitazioni, s’incontravano con statue, pitture, oggetti osceni, erano nel mezzo di usi e di feste, in cui lo spirito del male si rivelava in ogni maniera? E quali sono i discorsi, le conversazioni, i canti che i casti orecchi è forza che sentano? Il sensualismo ed il naturalismo delle idee e de’ costumi pubblici e privati, con tutta l’apparenza delle belle forme, sono in continua cospirazione contro al soprannaturale della vita, contro lo spirito di mortificazione, di semplicità, della povertà e del distacco dalle cose periture e passeggere della terra. – Eglino erano in continua tenzone per difendere la fede contro i sarcasmi, il disprezzo ed i sofismi della plebe, e della filosofia pagana; dovevano rispondere ai giudici ne’ tribunali, e comprovare la loro credenza negli anfiteatri; ed in tutta questa pugna, il mezzo di che usavano a confortarsi, era il segno della Croce, il solo segno della Croce. E per noi cattolici del secolo XIX, non è forse la condizione simile? Quanto ci circonda, non è forse, o cerca divenire pagano? Mi si mostri una parola di evangelo nella maggior parte degli uomini? Le città di Europa non sono di presente inondate di statue, di quadri, di fotografie esposte, forse a disegno, per accendere negli animi disonesti amori? Qual cosa mai manca per essere per filo ed a segno pagano la mensa, la mobilia, gli abiti del mondo moderno? la schiavitù, e la ricchezza. Ma gli istinti sono gli stessi che avevano gli uomini del tempo dei Cesari! Simile spettacolo è continuata insidia! Guai a colui che di esso non si avvede, ma più ancora per chi non custodisce da esso, notte e dì, i suoi sensi ed il suo cuore! Se torna difficile la difesa de’ nostri costumi, quanto non è altresì malagevole sostenere le guerre per la difesa della fede! È un’epoca la nostra in cui le false idee, le menzogne, i sofismi circolano nella società come gli atomi nell’aria. Da per tutto è l’anfiteatro, in cui è da combattere per la Chiesa, per le nostre credenze, usi, tradizioni, pel soprannaturale cristiano: l’arena non è mai chiusa, e come un combattimento è per finire, tosto un altro ne comincia. I primi cristiani posti in simili condizioni, un’arma sola conobbero vittoriosa, universale e famigliare, di che facevano continuo uso, il segno della croce. Potremmo noi trovarla migliore? E se fu tempo in che era necessario usare di questo segno per noi e le creature, l’è questo nostro; chi può però impedirci d’imitare i nostri avi? E che cosa può avere d’incompatibile il Segno della Croce eseguito sul cuore, o secondo l’antico uso, col pollice sulla bocca, con le nostre occupazioni? Se siamo vinti, chi n’ è causa? Perditio tua ex te, Israel! – Far bene il segno della croce è la terza applicazione della sentenza pronunziata. La regolarità, il rispetto, l’attenzione, la confidenza, la devozione, devono accompagnare la nostra mano, quando essa forma l’adorabile segno. La regolarità: questa vuole che il segno della croce nella sua forma perfetta, secondo la tradizionale usanza, sia fatto con la mano destra, e non con la sinistra, portandola lentamente dalla fronte al petto, da questo alla spalla sinistra, e quindi alla destra. In ciò nulla di arbitrario [“Nominato Spiritu Sancto, dum ab uno ad alteram latus sit transversio”. — Navarr. Comment, de oral, et oris canon c. XIX, n. 200]; che se i primi cristiani venissero fuori dalle loro tombe, non altrimenti eseguirebbero il segno della croce. Ascoltiamo un testimone oculare, e Noi facciamo il segno della croce su i catecumeni con la destra, comeché questa più nobile è reputata, tuttavolta non differisca dall’altra, che per sola postura e non per natura: parimente noi preghiamo rivolti all’oriente, essendo questa la parte più nobile della creazione. Le quali cose la Chiesa le ha apprese da coloro, che le insegnarono a pregare, gli Apostoli (“Quemadmodum dextera manu in nomine Christi eos, qui crucis signo obsignandi sunt, obsignamus, propterea quod dextera manus praestantior censetur quam sinistra; quamquam situ, non natura ab ea différat: sic oriens, ut quae pars sit in natura praestantior, ad Dei venerationem cultumque secreta est . . . . A quibus autem Ecclesia precandi moreui accepit, ab iis etiam ubi precandum sit accepit, id est, ab Apostolis”. (S. Iustin. Q. XVIII)]. – Sul conto della dignità della mano destra abbiamo un bel passo di santo Agostino. “Non rimproverate voi, dice egli, colui che vuol mangiare con la sinistra mano? Se voi stimate insulto fatto alla vostra mensa il mangiar dell’invitato con la mano sinistra, come non Io stimereste ingiurioso per la mensa divina far con la sinistra quello, che andrebbe fatto con la destra, e far con questa l’opera di quella [“Nonne corripis eum qui de sinistra voluerit manducare? Si mensae tuae iniuriam putas fieri manducante conviva de sinistra: quomodo non fit iniuria mensae Dei, si quod dextrum est, sinistrum feceris, et quod sinistrum est, dextrum feceris?” (S. August, in psalm. CXXXVI]. E S. Gregorio aggiunge:. < È questa una maniera di parlare degli uomini. Noi stimiamo più nobile ciò che trovasi a destra, di quello che trovasi a sinistra » [“Ipso enim locuiionis usu pro dextro habere dicimur quod pro magno pensamus, pro sinistro vero quod despicimus”. (S. Sregor. Moral, lib. XX, c. 18)]. – Le parole che accompagnano il segno della mano, sono parimente di apostolica tradizione, poiché le si trovano descritte da tutta l’antichità. Santo Efrem scrive: Su tutto che incontrate fate il Segno della Croce nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo » [“Quaecumque pertransis, signa primum in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti. (S. Ephrem De Panoplia)]. E santo Alessandro martire, condannato nel capo da Massimiano, sotto le cui bandiere militava, rivoltosi all’oriente, e segnatosi tre volte, disse: “Gloria ne venga a voi, o Dio de’padri nostri; Padre, Figlio e Spirito Santo” [“Totum corpus croce ter signavit, et ad orientem versus: gloria, inquit, tibi sit, Deus patroni nostrorum, Pater et Filius el Spiritus Sanctus. (Apud Surium, 13 Maii)]. – Questa maniera di segnarsi, che descriviamo, è più in uso fra i cristiani de’ tempi nostri che presso gli antichi; poiché la forma di croce con che costumavano segnarsi, era quella del pollice sulla fronte: “Frontem crucis signaculo terimus; comeché facile fosse ripeterla ed opporle al nemico. Di presente un siffatto modo è in uso nella Spagna, ed in altri paesi ancora. Ma perché più tosto sulla fronte che non sul cuore? In questo, mio caro Federico, come in mille altre cose dell’antichità v’hanno de’ misteri, ed io ne conto cinque: – Il primo, per onore del divino Crocifisso. Non senza ragione il Verbo incarnato ha voluto che il suo segno fosse impresso sulla fronte, dice santo Agostino; in essa ha sua sede il pudore, ed egli ha voluto che il cristiano non abbia ad onta gli obbrobri del suo Maestro. Se voi lo eseguite, seguitandosi egli dice, alla presenza degli uomini, e se non la stimate vostra vergogna, mettete pure ogni vostra confidenza nella divina misericordia di lui » [“Non sine causa Signum suum Christus in fronte nobis flgi voluit, tamquam in sede pudoris, ne Christi opprobria Christianus erubescat. (S. August, in Psal. XXX. Enar. IV, n. 8). – Il secondo, è per onorare la nostra fronte. Il segno della croce è il segno della fronte, signaculum frontium [Tertull. contra Marcion., lib. V]. E santo Agostino: « Una fronte senza questo segno è come una testa senza capelli. Come il capo calvo è fatto segno alle burle, ed è cosa da averne rossore, così l’è parimente per una fronte senza questo segno; dessa è impudente. Non sapete voi che l’uomo per insultar l’altro uomo gli dice: Tu non hai fronte? Il che suona: Sei impudente: Dio mi preservi dall’avere la fronte nuda, il segno del mio Maestro la copra e la onori » [“Non habeam nudam frontem; eam crux Domini mei. In psal. CXXXI] – II terzo, è il miracolo della Redenzione. Il Segno della Croce è un trofeo. Questo si eleva non fra le tenebre e negli infimi luoghi della città, ma lungo le pubbliche piazze, dove da tutti possa andar veduto, e con la sua presenza ricordare le gesta ed i trionfi del vincitore. « Ecco ragione, dice santo Agostino, da aver stabilito il Verbo divino, che la fronte dell’uomo, membro il più visibile ed il più nobile, venisse segnato dal trofeo della vittoria riportata sulle potenze infernali [“ipsam crucem de diabolo superato tanquam tropheum in frontibus fidelium positurus erat”. In loan. Trad. XXXVI]. Passando la croce dal luogo del supplizio sulla fronte degl’imperatori, doveva proclamare eternamente il gran miracolo della conversione dell’universo. – Il quarto, il diritto di Dio sopra dell’uomo. Il divino Crocifisso, preso possesso dell’uomo, lo ha segnato col suo stemma, come il proprietario contrassegna col suo, tutto che gli appartiene. « Tosto che il Redentore ebbe reso libero l’uomo, scrive S. Cesario di Arles, impresse su di lui il proprio segno. Questo segno è la Croce. Noi lo abbiamo sulla fronte impressovi dal vincitore per insegnare a tutti, che noi siamo sua possessione e suoi tempii viventi, e satana furioso, invidia a tanta nostra ventura, ed agogna ad involarci il segno del nostro riscatto, la carta di nostra libertà [“Et ideo nunc (diabolus) gemit, invidet, circuit, si forte vel furto a nobis possit auferre instrumentum ipsius manumissionis, et acquisitæ tabulæ libertatis”. S. Caesar. Arelat. Humil. V, de Pascha]. – II quinto è la dignità dell’uomo. La fronte e la parte più nobile dell’umano corpo, ed è come la sede dell’anima; però il demonio con ogni studio cerca di sformare la umana fronte più di ogni altro membro, perché chi è padrone del capo, l’è di tutto l’uomo. Il rendere deforme quest’organo con artificiali compressioni, è stato in voga in molti tempi, ed al presente esiste ancora in alcuni paesi. Sfigurare la divina immagine nell’uomo, indebolire le intellettuali facoltà, sviluppare gl’istinti i più volgari, furono i risultati di questo sformare del capo umanamente inesplicabile. Il perché, il riparatore di tutte le cose, Nostro Signore, ha voluto che il segno della croce fosse a preferenza marcato sulla fronte, per liberar l’uomo, o, rendendogli la libertà, elevarlo nella pienezza delle sue facoltà alla dignità del suo essere. Il rispetto è un’altra condizione per ben fare il segno della croce : avvegnaché è un atto di religione degno di ogni venerazione. Questo dev’essere inspirato dalla sua origine, dalla sua antichità, dall’uso che ne ha fatto quanto il mondo ha visto di meglio, gli Apostoli, i martiri, i veri cattolici della primitiva Chiesa e di tutti i secoli; per la gloria con che si presenterà l’ultimo giorno, quando, annunziato l’arrivo del supremo Giudice, dessa maestosa poserà dal lato al tribunale supremo, per consolazione de’ giusti, ed eterna confusione de’ cattivi. L’attenzione; senza di questa sarebbe un movimento da macchina, spesso inutile a noi, ed ingiurioso a Colui, di cui ricorda la maestà, l’amore ed i benefizi. La fiducia; ma una fiducia da figlio, viva, forte, fondata sul testimone de’ secoli, la pratica della Chiesa, e su gli effetti meravigliosi prodotti da tal segno, liberatore dell’uomo e del mondo, che mette paura a satana. – La devozione; che faccia corrispondere il cuore alle labbra. Eseguendo il segno della Croce che fo io? Io mi proclamo il discepolo, il fratello, l’amico, il figlio di un Dio crocifisso; epperò sotto pena di mentire a Dio, io devo essere quello che dico. Ascolta i nostri padri. « Quando tu ti segni, pensa a tutti i misteri raccolti nella croce. Non basta il farlo con le dita, è mestieri innanzi tutto farlo con la fede e buona volontà. Quando imprimi questo segno sul tuo petto, sopra i tuoi occhi, su tutte le tue membra, offriti a Dio come accettevole ostia. Segnandoti siffattamente, tu ti proclami soldato cristiano, ma se nelle stesso tempo, tu non pratichi, il più che da te si possa, la carità, la giustizia, la castità, questo segno non ti varrà a nulla. « Nobilissima cosa è il segno della croce! Con esso sono da segnare i nobili e preziosi oggetti. Non sarebbe strano suggellare in oro la paglia ed il fango? Qual senso potrà avere questo segno sulle labbra e sulla fronte, se interiormente l’anima è immonda, ed in preda ai vizi [S.Ioan.Chrys. Homil. 51, inMatth.– S.Ephrem, Ds adorat. vivif. Cruc. D. N. — S. Augustin. Serm. 215, de Temp. — Si-gnum maximum atque sublime. Lactant. Divin. Institut. lib. IV. c. 26]. « Qual cosa mai, si domanda santo Agostino, è il fare il segno della croce e peccare? E un porre il suggello della vita sulle labbra, e darsi un pugnale nel cuore da morirne [“Qui se signat, et aliquid de sacrilego cibo manducat, qùomodo se signat in ore, et gladium sibi mittit in pectore”. (S. Caesar. Serm. 278, inter Angustin.]. » Quindi il proverbio de’ primi cristiani ripetutoci da Beda : « Fratelli, abbiate Gesù Cristo nel cuore, ed il suo segno sulla fronte. Habete Chrìstum in cordibus, et signum eius in frontibus » Beda, tom. III, in collact. flor, et parab.]. – Quindi santo Agostino aggiunge una bella parola: « Dio non vuole de’ pittori, ma degli operatori de’ suoi misteri. Se voi portate sulla fronte il segno della umiliazione di Gesù Cristo, portate altresì nel vostro cuore l’imitazione della umiltà di Lui » [“Factorem quaerit Deus signorom suorum, non pictorem, etc. ( S. August. Serm 32 .)]. – Ogni ragione ci assiste, ed è per siffatto nostro operare, né alcuno ardisca dire: il far bene o male il segno della croce, non è poi gran cosa. Altrimenti da ciò hanno pensato i secoli cristiani; altrimenti ha pensato la verità istessa. Ammettendo ancora che sia poca cosa un segno di croce, il Verbo incarnato non ha forse detto: « Quello che è fedele nelle piccole cose, lo sarà altresì nelle grandi, e chi è infedele nelle piccole, 1’è nelle grandi? » Non è forse questa fedeltà giornaliera e continua, che prepara, e forma la gloria eterna? Nel grande affare della propria salvezza, come negli altri è sempre vero che, ciò che basta non basta sempre; – Fo io dicci volte al giorno il segno della croce? Se è ben fatto, dico dieci opere buone, dieci gradi di meriti e di felicità, dieci monete per pagare i miei debiti, e quelli de’ miei fratelli che sono sulla terra o nel purgatorio; dieci istanze per ottenere la conversione de’ peccatori e la perseveranza finale, per allontanare dal mondo e dalle creature le infermità, i pericoli ed i mali di che sono afflitti. Misura i meriti raccolti a capo di una settimana, di un anno, di una vita di cinquanta anni. E potrà ciò stimarsi cosa da poco! – Tu conosci ora, mio caro Federico, il Segno della Croce, e come questo debbasi eseguire: lascia all’amor mio confidarti un pensiero solo, un pensiero, che accenna un po’ a santa ambizione. Suppongo che uno straniero arrivi a Parigi, e che domandi chi sia il giovane che nella gran capitale esegua meglio il segno della Croce: desidero che tu sii nominato. A questo prezzo io ti prometto una vita degna de’ nostri avi della primitiva Chiesa, ed una morte preziosa agli occhi di Dio, e forse ancora gli onori della canonizzazione: In hòc signo vinces,per questo segno vincerai’.  – Questa parola divina sempre antica e sempre nuova, poiché è la formula di una legge, che il gran Costantino primamente meritò d’intendere, qual tipo dell’uomo, e della cristiana famiglia. L’immortale imperatore procedeva a marce sforzate contro Massenzio, per battere in battaglia questo spaventoso tiranno fattosi padrone della capitale del mondo. Ad un tratto, nel mezzo di un cielo sereno, una croce luminosa tanto da superare il chiarore del sole, si manifesta a tutta l’armata, che stupefatta legge intorno ad essa scritto: in hoc signo vinces: per questo segno avrai vittoria. La notte seguente il Figlio di Dio compare all’imperatore con lo stesso segno in mano, e gli ordina farne uno simile da usarne in battaglia, con promessa di sicura vittoria. Costantino ubbidisce. Il segno celeste risplendente di oro e di gemme brilla allo sguardo delle legioni e diviene il celebre Labarum. Ovunque siffatto segno apparisce, rincora lo stanco soldato, accende coraggio nel cuore delle legioni di Costantino, e spavento produce in quelle di Massenzio; le aquile romane fuggono al cospetto della croce; il paganesimo innanzi al cristianesimo; satana, il vecchio tiranno del mondo innanzi Gesù Cristo, il Salvatore di Roma e del mondo. Così esser doveva! Massenzio disfatto ed annegato, Costantino trionfatore entrò in Roma. Una statua lo rappresenta con in mano una croce, e la seguente iscrizione ricorda ai posteri la prodigiosa conquista.

È QIESTO IL SEGNO SALUTARE

VERO SIMBOLO DI FORZA

PER ESSO DAL GIOGO DELLA TIRANNIDE

HO LIBERATO LA CITTA’ VOSTRA

AL SENATO AL POPOLO ROMANO HO RESO LA LIBERTA’

L’AVITO SPLENDORE E L’ANTICA MAESTÀ

AD ESSI HO RIDONATO

[“hanc inscriptionem, latino sermone, mandat incidere. Hoc salutari signo, vero fortitudini Indicio, civitatem vestram tyrannidis jugo liberavi, et S. P. Q. R. in libertatem vindicans, pristinae amplitudini et splendori restituì” – Euseb. Vit. Costantin. c. 3]. – Costantino sei tu, sono io, ed ogni anima battezzata, è il mondo cristiano. Gettati noi nel mezzo della grande arena della vita, noi alla testa dell’armata de’ nostri sensi e delle nostre facoltà, camminiamo all’incontro di un tiranno peggiore di Massenzio. La nostra Roma è il cielo; esso vuole sbarrarcene la via, e viene contro di noi capitanando intere legioni infernali; la battaglia è inevitabile. Dio ha provveduto alla nostra vittoria come a quella di Costantino, ci ha fornito di mezzo per trionfare, il segno della croce: In hoc signo vinces. – Al presente, come in altri tempi, questo segno mette spavento a satana, formulo dæmonum. Facciamolo con fede, ed il cammino della eterna città ci sarà aperto! E noi vincitori, e vincitori per sempre, per dovere di gratitudine eleveremo al cospetto degli Angeli e degli eletti una statua che avrà la costantiniana iscrizione.

É QUESTO IL SEGNO SALUTARE VERO SIMBOLO DI FORZA PER ESSO HO VINTO SATANA LIBERATA QUESTA ANIMA E QUESTO MIO CORPO DALLA TIRANNIDE DI LUI I MIEI SENSI LE MIE FACOLTÀ, TUTTO L’ESSERE MIO PER ESSO ETERNALMENTE GIOISCONO

IN HOC VINCES!

Salve, dunque dirò con i padri e dottori dell’oriente e dell’occidente, salve, o segno della Croce! Stendardo del gran Re, immortale trofeo del Signore, segno di vita e di salute, segno di benedizione, terrore di satana e delle sue legioni, baluardo inespugnabile ed arena invincibile, scudo impenetrabile, spada da re, onore della fronte, speranza de’ cristiani, farmaco salutare, risurrezione dei morti, guida de’ ciechi, consolazione degli afflitti, gioia de’ buoni e terrore dei cattivi, freno dei ricchi, umiliazione dei superbi, giudice degl’ingiusti, libertà degli schiavi, gloria de’ martiri, purità dei vergini, virtù dei santi, fondamento della Chiesa, salve! [Gretzer, lib. IV, c. 54]. – E tu, mio caro Federico, tu hai ormai la mia risposta alle tue questioni. L’autorità di tutti i secoli le ha sciolte a tuo favore. Quest’apologia vittoriosa della tua nobile condotta, ti convincerà, io lo spero, contro le burle ed i sofismi. Da un canto, tu sai quanto sia importante e solidalmente fondata la pratica continua del segno della croce; dall’altro, tu sei in grado da apprezzare il giusto valore della intelligenza di coloro che non lo fanno, e di giudicare com’eglino meritano il carattere di chi arrossisce di farlo: In hoc vinces!

 

UN’ENCICLICA AL GIORNO TOGLIE IL MODERNISTA APOSTATA DI TORNO: “QUANTO CONFICIAMUR”

Una bolla al giorno, toglie il modernista-eretico di torno:

pio IX

QUANTO CONFICIAMUR

Proseguendo nella ricerca di una boccata d’aria per ritemprare con “ossigeno” cattolico il nostro cuore avvilito e la mente attossicata da tante idiozie moderniste, sbandierate spudoratamente dai carnevaleschi falsi ed eretici non-prelati, ci imbattiamo in una enciclica di S. S. Pio IX: “Quanto conficiamur” del 10 agosto del 1863. Sembra quasi che il Santo Padre l’abbia scritta stamane, tanto è attuale nella condanna di false tesi anti-cattoliche, un tempo partorite da larve dalle menti corrotte dal tarlo massonico-protestante, oggi considerate banale normalità in ambienti che si millantano cattolici, ma che sono, come purtroppo ormai sappiamo, vetrine di lugubri teorie gnostico-cabaliste, ferocemente a-cattoliche. Particolarmente, per tanti allocchi colpevolmente ignoranti, sembrerà eresia antimodernista la condanna senza appello che: “fuori dalla Chiesa Cattolica non c’è salvezza per NESSUNO!” Oggi questa è una sentenza inaudita e respinta dai falsi teologi e dal bianco clown e dalla corte della sinagoga di satana insediatasi nella Chiesa e nei sacri palazzi. Siamo al ribaltone conciliare, che ha invertito addirittura dogmi cattolici inamovibili e abbattuto i saldi pilastri della fede in Cristo e nel suo Vangelo. Ed allora curiamo lo stato venefico dell’asma spirituale con una boccata di aria pura dell’alta montagna: il Magistero Cattolico. Silenzio, si respiri a polmoni pieni e ci si disintossichi! Signori, togliete il cappello: parla un Papa vero!

S. S. Pio IX

Lettera Enciclica “QUANTO CONFICIAMUR”

 “Quanto conficiamur moerore ob sævissimum sacrilegumque bellum….

“Ognuno di Voi, Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, può facilmente capire in quale dolore versiamo a causa della guerra crudele e sacrilega mossa, in questi tempi terribili, contro la Chiesa cattolica in quasi tutte le regioni della terra e soprattutto a causa di quella che, nell’infelice Italia, sotto i Nostri occhi, è stata dichiarata da diversi anni dal Governo Subalpino e che, di giorno in giorno, infuria sempre più. Invero, pur tra le Nostre così gravi afflizioni, quando a Voi volgiamo lo sguardo, proviamo un profondo e consolante sollievo. Nonostante siate dolorosamente tormentati da ogni sorta d’ingiustizie e di violenze, strappati dal vostro gregge, mandati in esilio, perfino gettati in carcere, tuttavia, armati della forza che viene dall’alto, non avete mai cessato, con la parola e con salvifici scritti, di difendere coraggiosamente la causa, i diritti, la dottrina del Signore, della Sua Chiesa e di questa Apostolica Sede, e di provvedere alla incolumità del vostro gregge. Dal profondo dell’animo Ci felicitiamo con Voi per la letizia con cui sopportate l’oltraggio in nome di Gesù, e Noi vi rivolgiamo le lodi che meritate con le parole del Nostro Santissimo Predecessore Leone: “Quantunque condivida con tutto il mio cuore le afflizioni che avete sopportato per la difesa della fede cattolica e consideri ciò che avete sofferto non altrimenti che se io stesso avessi patito, tuttavia sento che vi è più motivo di gaudio che di lamento nel fatto che Voi, confortandovi in Nostro Signore Gesù Cristo, siate rimasti invincibili nella dottrina evangelica ed apostolica e che, cacciati dalle vostre Chiese ad opera dei nemici della fede cristiana, abbiate preferito soffrire i dolori dell’esilio piuttosto che insudiciarvi al contatto con la loro empietà” . – Voglia il cielo che Noi possiamo annunciarvi la fine di così grandi calamità! Ma la corruzione dei costumi, mai abbastanza deplorata, che si propaga in ogni parte, continuamente alimentata da scritti empi, infami, osceni, da rappresentazioni teatrali, da postriboli aperti pressoché ovunque e da altri perversi artifici; gli errori più mostruosi ed orribili disseminati ovunque; il crescente e abominevole straripare di tutti i vizi e di tutte le scelleratezze; il mortale veleno dell’incredulità e dell’indifferentismo largamente diffuso; la noncuranza e il disprezzo per il potere ecclesiastico, per le cose e le leggi sacre; l’ingiusto e violento saccheggio dei beni della Chiesa; la ferocissima e continua persecuzione contro i Ministri sacri, contro gli Alunni delle Famiglie Religiose, contro le Vergini consacrate a Dio; l’odio davvero diabolico contro Cristo, la Sua Chiesa, la Sua dottrina e contro questa Sede Apostolica; infine gli altri eccessi, pressoché innumerabili, commessi dagli accanitissimi nemici di quanto è cattolico e sui quali siamo costretti a versare quotidiane lacrime, sembrano rimandare e allontanare il tanto desiderato momento in cui sarà concesso veder il pieno trionfo della nostra santissima Religione, della giustizia e della verità. – Questo trionfo certamente non potrà mancare, benché non ci sia dato conoscere il tempo ad esso destinato da Dio Onnipotente, che regola e governa tutte le cose con la Sua mirabile provvidenza e le volge a nostro vantaggio. Anche se il Padre celeste permette che la Sua santa Chiesa, militante in questo miserrimo e mortale pellegrinaggio, sia afflitta da dolori e tormentata da calamità, nondimeno, essendo stata fondata da Cristo Signore su di una pietra immobile e solidissima, non soltanto non può mai essere divelta né fatta vacillare da alcuna forza e da alcuna violenza ma anzi “non si indebolisce ma si accresce con le persecuzioni; e il campo del Signore si riveste di una messe sempre più abbondante, mentre i grani che cadono ad uno ad uno nascono moltiplicati” . Ecco, Nostri Diletti e Venerabili Fratelli, ciò che vediamo accadere in questi tempi deplorevoli, per un beneficio speciale di Dio. Infatti, sebbene la Sposa immacolata di Cristo sia vivamente afflitta dalle presenti malefatte degli empi, Essa trionfa tuttavia dei suoi nemici. Effettivamente Essa trionfa sui suoi nemici, mentre risplende in modo mirabile per la fede vostra e di altri Venerabili Fratelli di tutto il mondo cattolico e dei sacri Vescovi verso Noi e questa Cattedra di Pietro; risplende per l’amore, l’obbedienza e la costante difesa dell’unità cattolica, mentre si moltiplicano di giorno in giorno, con l’aiuto di Dio, le opere pie di religione e di carità cristiana che, grazie alla luce della santissima fede, si diffondono quotidianamente in tutte le regioni; risplende per questo ardente amore e zelo dei Cattolici verso la Chiesa, verso Noi e verso questa Santa Sede, e per l’insigne e immortale gloria del martirio. Sapete infatti che nel Tonchino e in Cocincina i Vescovi, i Preti, i laici e persino le deboli donne, gli adolescenti e le fanciulle, imitando gli esempi degli antichi martiri, sfidano, con un coraggio invincibile, con eroica virtù, i tormenti più atroci ed esultano nel donare la loro vita per Cristo. Tutte queste cose devono essere, per Noi come per Voi, di grande consolazione pur tra le afflizioni crudeli che ci opprimono. – Invero le funzioni del Nostro Ministero Apostolico esigono assolutamente che difendiamo con tutta la cura e lo zelo possibili la causa della Chiesa che Ci è stata affidata dallo stesso Cristo Signore, e che condanniamo tutti coloro che non temono di combattere e calpestare la Chiesa, i suoi sacri diritti, i suoi Ministri e questa Sede Apostolica. Con questa Lettera confermiamo, dichiariamo e condanniamo di nuovo, in generale e in particolare, tutto ciò che in diverse Allocuzioni concistoriali ed in altre Nostre Lettere, con grande rammarico del Nostro animo, fummo costretti a deplorare, a segnalare, a condannare. E a questo punto, Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, ancora dobbiamo ricordare e biasimare il gravissimo errore in cui sono miseramente caduti alcuni cattolici. Credono infatti che, vivendo nell’errore, lontani dalla vera fede e dall’unità cattolica, possano pervenire alla vita eterna. Ciò è radicalmente contrario alla dottrina cattolica. A Noi ed a Voi è noto che coloro che versano in una invincibile ignoranza circa la nostra santissima Religione, ma che osservano con cura la legge naturale ed i suoi precetti, da Dio scolpiti nei cuori di tutti; che sono disposti ad obbedire a Dio e che conducono una vita onesta e retta, possono, con l’aiuto della luce e della grazia divina, conseguire la vita eterna. Dio infatti vede perfettamente, scruta, conosce gli spiriti, le anime, i pensieri, le abitudini di tutti e nella sua suprema bontà, nella sua infinita clemenza non permette che qualcuno soffra i castighi eterni senza essere colpevole di qualche volontario peccato. Parimenti è notissimo il dogma cattolico secondo il quale fuori dalla Chiesa Cattolica nessuno può salvarsi e chi è ribelle all’autorità e alle decisioni della Chiesa, chi è ostinatamente separato dalla unità della Chiesa stessa e dal Romano Pontefice, Successore di Pietro, cui è stata affidata dal Salvatore la custodia della vigna, non può ottenere la salvezza eterna. Infatti le parole di Cristo Nostro Signore sono perfettamente chiare: “Chi non ascolta la Chiesa, sia per te come un pagano o come un pubblicano (Mt XVIII,17). Chi ascolta voi ascolta me; chi disprezza voi disprezza me, e chi disprezza me disprezza Colui che mi ha mandato (Lc X,16). Colui che non mi crederà sarà condannato (Mc XVI,16). Colui che non crede è già giudicato (Gv III,18). Colui che non è con me è contro di me, e colui che non accumula con me, dissipa” (Lc XI,23). Allo stesso modo l’Apostolo Paolo dice che questi uomini sono “corrotti e condannati dal loro proprio giudizio” (Tt III,11) e il Principe degli Apostoli li dice “maestri mendaci che introducono sette di perdizione, rinnegano il Signore, attirano su di sé una rapida rovina” . – Non sia mai che i figli della Chiesa Cattolica siano nemici di coloro che non sono uniti a Noi dagli stessi legami di fede e di carità; devono al contrario prodigarsi nel render loro tutti i servizi della carità cristiana, nella loro povertà, nelle loro malattie, in tutte le altre disgrazie da cui sono afflitti; devono fare in modo di aiutarli sempre e soprattutto di trascinarli fuori dalle tenebre di errori in cui miseramente versano, di ricondurli alla verità cattolica e alla Chiesa, Madre amatissima, che non cessa mai di tender loro affettuosamente le sue mani materne, di aprir loro le braccia, per rafforzarli nella fede, speranza e carità, per farli fruttificare in ogni genere di buone opere e per far loro ottenere la salute eterna. – Ora, Figli Diletti e Venerabili Fratelli Nostri, non possiamo passare sotto silenzio un altro errore, un altro male dei più funesti che seduce miseramente in questi nostri infelici tempi, che turba le menti e gli animi. Parliamo di questo amor proprio, di questo ardore sfrenato e nocivo che porta molti uomini a curare e a ricercare esclusivamente i loro interessi e i loro vantaggi, senza degnare di alcuna attenzione il loro prossimo; parliamo di questo insaziabile desiderio di dominare e di possedere che li spinge ad ammassare ricchezze avidamente e con ogni mezzo, disprezzando ogni regola di onestà e di giustizia. Unicamente preoccupati soltanto dei beni terreni, dimentichi di Dio, della religione e della loro anima, miserabilmente pongono tutta la loro felicità nell’accumulare ricchezze e somme di danaro. Ricordino questi uomini e meditino seriamente su queste gravi parole di Cristo Signore: “Che cosa serve all’uomo guadagnare il mondo, se perde l’anima?“(Mt XVI,26). Ripensino con animo attento ciò che insegna l’Apostolo Paolo: “Coloro che vogliono arricchirsi cadono nella tentazione e nella rete del diavolo, ed in desideri inutili e nocivi che gettano gli uomini nella rovina e nella perdizione. Radice di tutti i mali, infatti, è la cupidigia e chi le ha ceduto ha deviato dalla fede, è penetrato in una selva di dolori” (1Tm VI,9-10). – Gli uomini, secondo la propria e personale condizione, devono certamente fare in modo di procurarsi le risorse necessarie alla vita, sia coltivando le lettere e le scienze, sia esercitando le arti liberali o professionali, sia adempiendo a funzioni private o pubbliche, sia dedicandosi al commercio; ma è assolutamente necessario che agiscano con onestà, con giustizia, con probità, con carità; che abbiano sempre Dio davanti agli occhi; che osservino i suoi comandamenti e i suoi precetti con assoluta diligenza. – Ma non possiamo dissimulare che proviamo un dolore amaro nel vedere in Italia non pochi membri dell’uno e dell’altro Clero, tanto dimentichi della loro santa vocazione che non si vergognano di diffondere false dottrine anche con scritti esiziali; di eccitare gli animi dei popoli contro di Noi e contro questa Sede Apostolica; di attaccare il Nostro potere temporale e quello della Santa Sede; di favorire impudentemente, con ardore e con ogni mezzo i perfidi nemici della Chiesa Cattolica e di questa Sede. Questi ecclesiastici, allontanandosi dai Vescovi, da Noi e da questa Santa Sede, facendosi forti della protezione del Governo Subalpino e dei suoi Amministratori, spinsero la temerarietà fino al punto di disprezzare apertamente le censure e le pene ecclesiastiche e di sottovalutare certe Società, del tutto condannabili, che vanno sotto il nome di Clerico-liberali, di Mutuo Soccorso, di Emancipatrice del Clero Italiano (così comunemente chiamate) e altre ancora, animate dallo stesso spirito perverso. Sebbene i Vescovi abbiano giustamente proibito loro di esercitare il sacro ministero, non temono, come intrusi, di esercitare illecitamente le funzioni in diverse Chiese. Per cui riproviamo e condanniamo queste detestabili Società e la condotta colpevole di tali ecclesiastici. Nello stesso tempo avvertiamo ed esortiamo più e più volte questi sventurati ecclesiastici di ravvedersi, di ritornare in se stessi, di vegliare sulla loro salvezza, considerando con serietà il fatto che “Dio non prova dispiaceri maggiori di quando vede dei sacerdoti incaricati di correggere gli altri, dare loro stessi il cattivo esempio” , e infine meditando attentamente sul conto rigoroso che dovremo rendere un giorno al tribunale di Cristo. Piaccia a Dio che accogliendo i Nostri paterni avvertimenti, questi poveri ecclesiastici vogliano darci la consolazione che riceviamo dai membri dei due Cleri allorché, miseramente ingannati ed indotti in errore, ritornano a Noi ogni giorno in veste di penitenti, implorando ardentemente e con voce supplicante il perdono del loro smarrimento e l’assoluzione dalle censure ecclesiastiche. – Voi conoscete perfettamente, Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, gli scritti empi di ogni genere usciti dalle tenebre, traboccanti di ipocrisie, di menzogne, di calunnie e di bestemmie, le Scuole affidate a maestri acattolici, i templi destinati al culto acattolico e le molteplici altre insidie davvero diaboliche, le astuzie, gli sforzi che impiegano questi nemici di Dio e degli uomini, nella infelice Italia, per sovvertire sin dalle fondamenta (se mai ciò potesse accadere) la Chiesa Cattolica, per depravare, per corrompere ogni giorno i popoli e specialmente la gioventù, per strappare da tutti i cuori la nostra santissima fede e la religione. Pertanto non dubitiamo che Voi, Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, fortificati dalla grazia di Nostro Signore Gesù Cristo e per la nobile ispirazione del vostro zelo episcopale, continuerete, come avete fatto fino ad ora con la massima lode per il vostro nome, ad opporre costantemente (di comune accordo e con raddoppiato ardore) un muro intorno alla casa d’Israele; continuerete a combattere la buona battaglia della fede, a difendere dalle insidie dei nemici i fedeli affidati alla vostra sorveglianza, ad avvertirli e ad esortarli senza sosta a conservare con costanza questa santissima fede (senza la quale è impossibile piacere a Dio), che la Chiesa Cattolica ha ricevuto da Cristo Signore per il tramite degli Apostoli e che Essa continua a insegnare; a restare fermi e incrollabili nella nostra divina religione, la sola vera, la sola che prepara la salvezza eterna, che salva e rende prospera la società civile. Non cessate, dunque, soprattutto con l’aiuto dei parroci e degli altri ecclesiastici stimati per l’integrità della loro vita, per la gravità dei loro costumi, per una dottrina santa e solida, di predicare la divina parola, di catechizzare i popoli affidati alla vostra cura, di insegnare loro continuamente e con zelo i misteri, la dottrina, i precetti e la disciplina della nostra augusta religione. Infatti sapete bene che una grande parte dei mali deriva prevalentemente dall’ignoranza delle verità divine necessarie alla salvezza e, di conseguenza, comprendete perfettamente che non si devono trascurare né cure né sforzi per allontanare dai popoli una tale iattura. – Prima di terminare questa Nostra Lettera non possiamo astenerci dall’attribuire meritati elogi al Clero d’Italia che, in grande maggioranza aderendo a Noi, a questa Cattedra di Pietro e ai suoi Prelati, mai ha abbandonato il retto cammino, ma – seguendo gli illustri esempi dei suoi Superiori e superando pazientemente le prove più ardue – adempie ammirevolmente al suo dovere. In verità Ci sostiene la speranza che, con l’aiuto della grazia divina, questo stesso Clero, procedendo degnamente nella vocazione alla quale fu chiamato, si impegnerà a fornire prove sempre più luminose della sua pietà e della sua virtù. – Elogi ugualmente meritati vanno a tante vergini consacrate a Dio: strappate violentemente dai loro Monasteri, spogliate dei loro redditi e ridotte alla mendicità, non hanno per questo rinnegato la fede che avevano giurato allo Sposo, ma sopportando con tutta la costanza possibile la loro tristissima condizione, non cessano con preghiere diurne e notturne di levare le loro mani, di pregare Dio per la salvezza di tutti e anche dei loro persecutori, e di attendere pazientemente la misericordia del Signore. Siamo lieti di tessere anche meritate lodi per i popoli d’Italia che altamente animati di sentimenti cattolici, detestano le tante empie congiure contro la Chiesa, si gloriano vivamente di pagare un tributo di pietà filiale, di rispetto e obbedienza a Noi, a questa Santa Sede e ai loro Vescovi; benché impediti da difficoltà e pericoli assai gravi, tuttavia non desistono dal manifestare quotidianamente in ogni modo l’incomparabile amore e la devozione che nutrono verso di Noi, e dall’alleviare, sia con doni raccolti per ogni dove, sia con altre oblazioni, le grandissime angustie in cui versiamo Noi e questa Apostolica Sede. – Fra tante amarezze e in una così violenta tempesta scatenata contro la Chiesa, non perdiamoci mai d’animo, Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, “essendo Cristo il nostro consiglio e la nostra fortezza: senza Lui non possiamo nulla, ma con Lui possiamo tutto; Egli infatti, confermando i predicatori del Vangelo e i Ministri dei Sacramenti disse: Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla consumazione dei secoli” , e sappiamo anche con certezza che le porte dell’inferno non prevarranno mai sulla Chiesa, la quale sempre è stata e starà salda, sotto la custodia e sotto la protezione di Gesù Cristo Nostro Signore, che l’ha edificata e che fu “ieri e oggi e nei secoli” (Eb XIII,8). – Non cessiamo dunque, Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, di offrire giorno e notte, con uno zelo sempre più ardente e nell’umiltà del nostro cuore, le suppliche e le preghiere: domandiamo a Dio, tramite Gesù Cristo, di allontanare questo terribile uragano, di permettere che la sua Santa Chiesa respiri dopo tante calamità; che gioisca, in ogni angolo della terra, della pace tanto desiderata e della libertà; che riporti sui suoi nemici nuovi e splendidi trionfi, in modo che tutti coloro che sono smarriti siano illuminati dalla divina luce della sua grazia, ritornino dall’errore al cammino della verità e della giustizia, e producendo degni frutti di penitenza abbiano perpetuo amore e timore del suo santo nome. E per ottenere che nella sua immensa misericordia Dio esaudisca più facilmente le nostre ardenti preghiere, invochiamo il patrocinio potentissimo dell’Immacolata e Santissima Vergine Maria Madre di Dio, e chiediamo i suffragi dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e di tutti i Beati Celesti perché, attraverso le loro valide suppliche rivolte a Dio, implorino per tutti misericordia e grazia per un tempestivo aiuto affinché allontanino efficacemente tutte le calamità e i pericoli da cui la Chiesa è ovunque afflitta, specialmente in Italia. – Infine, come sicura testimonianza della Nostra particolare benevolenza verso di Voi, dal fondo del cuore impartiamo affettuosamente la Benedizione Apostolica a Voi stessi, Diletti Figli Nostri e Venerabili Fratelli, e al gregge affidato alle vostre cure”.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 10 Agosto 1863, anno decimo ottavo del Nostro Pontificato.

Omelia della Domenica I di AVVENTO

Omelia della DOMENICA I DELL’AVVENTO

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. III -1851-]

(Vangelo sec. S. Luca XXI, 25-33)

giudice

Giudizio Universale.

La santa Chiesa, amatissima nostra Madre, per disporre i suoi figli alla nascita del divin Salvatore, ed a venerare in ispirito di fede, d’esultazione e di riconoscenza questa sua prima discesa dal cielo per la nostra salvezza, ci fa menzione nel Vangelo di questa prima Domenica del sacro Avvento, della seconda sua venuta, allorché nella consumazione de’ secoli, sopra luminosa nube, in aria di gran maestà, sederà giudice d’un mondo intero. Comincia questa Madre, sollecita del nostro bene, ad atterrirci colla rimembranza del tremendo universale Giudizio, acciò, mossi a vera penitenza, andiamo incontro a questi sacri giorni all’aspettato sommo pacifico Re con un cuor purificato e mondo da ogni lordura di colpa’, da ogni macchia di rea affezione, In adventu summi Rcgis, è questa l’esortazione diretta a tutti i suoi figli, “mundentur corda hominun, ut digne ambulemus in occursum illius”. Secondiamo, o fedeli, i suoi amorosi disegni. – Facciamo un confronto della prima colla seconda venuta; della prima come Salvatore del mondo, della seconda come Giudice del mondo; osserviamone la gran differenza. Nella prima vedremo risplendere la sua grande misericordia, nella seconda la sua tremenda giustizia; misericordia e giustizia, che debbono risolverci a profittare della grazia d’un Dio Redentore pietoso, per evitare la giusta collera d’un Dio Giudice inesorabile. – La misericordia e la giustizia sono fra gli altri quegli attributi, che Iddio fa più risplendere nel governo del mondo. La misericordia però suole sempre precedere la giustizia. Se ne protesta Iddio medesimo per bocca del suo Profeta Geremia: “Ego sum Dominus, qui facio misericordiam et iudicium; e perciò dopo aver fatta spiccare la sua gran misericordia nella prima venuta, farà conoscere nella seconda la sua tremenda giustizia. Osserviamolo col proposto confronto. – Apparve al mondo il divin Verbo fatto uomo, quando sotto l’imperò di Cesare Angusto si godeva in quel regno, e in tutti i popoli confinanti, una pace universale. Ed era ben convenevole che al nascere del Principe della pace, riconciliatore tra gli uomini e Dio, si trovasse per alta sua disposizione il mondo in pace. – Non così, non così nella sua seconda comparsa nel giorno estremo. Forieri del suo arrivo saranno le guerre, le sedizioni, le calamità, le pestilenze, scosse orribili di rovinosi tremuoti, cieli in iscompiglio, sole ottenebrato, luna sanguigna, stelle minaccianti caduta, lampi di orrore, tuoni di spavento, fulmini di eccidio e di sterminio. “Haec autem omnia initia sunt dolorum ( Matt. XXIV, 8). – Alla grotta di Bettelemme gli Angeli, cantando le glorie dell’Altissimo, annunziarono la pace agli uomini di buona volontà, ed ai pastori la nascita del Salvatore del mondo, e Gli inviarono a riconoscerLo ed adorarLo. – Gli angeli stessi, non più di pace annunziatori, a suon di tromba ferale chiameranno tutta l’umana generazione a comparire nella gran valle al cospetto di Cristo giudice, non più locato in umile presepio, ma sedente in trono di maestà; “Populi, populi in valle concisionis(Gioel. III). – Così rimbomberà altamente lo squillo delle angeliche trombe dall’oriente all’occaso, dal meriggio al settentrione: olà, o morti, è Dio che parla, “surgite mortui”; sepolcri apritevi, cimiteri scuotetevi, mare restituisci i tuoi naufraghi, terra i tuoi sepolti, “Surgite mortui,venite ad iudicium; e questa voce tremenda risuona nel Cielo, discende nel Purgatorio, penetra nell’Inferno; ed ecco da tutte parti uscir anime qual giuste, qual malvagie a rivestirsi dei loro corpi, ecco tutta risuscitata la carne, ecco tutt’i figli di Adamo incamminarsi alla valle, ed ecco altri Angeli discendere dal cielo a metter ordine nella gran folla, a separare i reprobi dagli eletti, i capri immondi dalle innocenti pecorelle. – Nel mondo Caino conviveva con Abele, Esaù con Giacobbe; Giuda con Giovanni; or non si offre più tal mescolanza: “Exibunt Angeli, et separabunt malos de medio iustorum” (Matt. 13) . Separazione amara, separazione eterna, che divide il padre timorato dal figlio perverso, la moglie pudica dall’infedele consorte, l’amico dall’amico, il fratel dal fratello; separazione …. ma torniamo al confronto. – Discese dal cielo il Figliuol di Dio la prima volta in qualità di buon Pastore per andare in cerca della pecora smarrita, cioè della perduta umana generazione. I peccatori furono sempre l’oggetto delle sue amorose ricerche; il trattar con essi, il tenerli a colloquio, l’assidersi alla lor mensa per ridurli a conversione, erano delizie del suo cuore, fino a prender le difese delle Maddalene, e delle donne adultere, fino a fare scusa, e ad implorare dal Padre perdono ai propri crocifissori. – Tutto l’opposto nel dì finale. In aria di giudice inesorabile discenderà dall’alto de’ cieli a far giusta vendetta di tutt’i peccatori della terra; saranno questi l’oggetto dell’ ira sua, il bersaglio delle sue saette: se da pastore li cercò, se da padre gli accolse, se li difese, se gli scusò, se per essi interpose le sue preghiere, ora scoprirà in faccia a un mondo intero le loro colpe più abbominevoli : “Revelabo pudenda tua et ostendam gentibus . . ignominìam tuam” (Naum III). Che rossore intanto per chi su questa terra passò per uomo giusto, per donna onesta, vedere scoperti i furti di uno, le oscenità dell’altra, le nequizie d’entrambi! Io, dirà altamente Cristo Gesù, sono il testimonio e il giudice di tutte le più recondite scelleratezze: “ego sun testis, et iudex” (Gerem. XXIX, 53). Non sono stati i soli Farisei sepolcri imbiancati, lupi mascherati da agnelli, voi, voi lo foste falsi devoti, ipocriti, impostori, teologi bugiardi, sacerdoti sacrileghi. Voi il foste, figlie sedotte, mogli adultere, che nascondeste l’ignominia de’ vostri falli agli occhi del mondo, ma nasconderli non poteste agli occhi miei. Il foste voi cristiani di nome e di apparenza, ma nella mente e nel cuore apostati, e miscredenti: vi comunicaste alla Pasqua per non decadere di stima, per non perdere l’impiego: compariste difensori della vedova e del pupillo, ma foste drudi dell’una, ed assassini dell’altro: giudicaste le cause, ed ebbe in voi più forza una vil femminetta, che la legge e la giustizia. Potenti del secolo abusaste del grado e dell’autorità per opprimere i subalterni, gli operai, i creditori: impiegaste i Legati pii a far lauti i vostri conviti: pagaste quei vostri debiti con altrettanti spergiuri. Voi, Religioso, voi Ecclesiastico, ascendeste sulla nave di Pietro per andare a diporto, per scansare il lavoro, per fuggire la milizia: la sana dottrina da voi vangata era un manto ai disordini di vostra vita, l’onor del carattere un pretesto alla vostra superbia. – Ad accrescere la vostra confusione, ecco qui la mia Croce, quella Croce, che per vostra salvezza ho portata al Calvario, e sulla quale confitto ho tramandato lo spirito. “Tunc parebit signum Filii hominis” (Matt. XXIV, 30) . All’ apparir di questo legno trionfale piangeranno tutte le generazioni della terra, “et tunc plangent omnes tribus terræ”: piangeranno per consolazione i giusti, per disperazione i malvagi. O santa Croce, lagrimando per gioia, diranno gli eletti, che grazia, che sorte per noi l’averti abbracciata! tu fosti la guida dei nostri passi, tu l’arme delle nostre vittorie, tu l’arca di nostra salvezza, tu la chiave per aprirci le porte del cielo. Piangeranno i reprobi per disperato cordoglio, i Giudei ai quali la Croce fu oggetto di scandalo, i Gentili, che la reputarono una stoltezza, cristiani, che della Croce furon nemici, e nemici del Crocefisso. – Qual saranno le nostre lacrime, uditori miei cari, in quel dì funestissimo? Che ci dice la nostra coscienza? che cosa ci fa sperare? che cosa ci fa temere? – Torniamo al confronto. Gesù nel corso di sua vita mortale non fu conosciuto dal riprovato mondo, “mundus eum non cognovit” (Giov. I) e perché non conosciuto per figlio di Dio, dice S. Paolo, fu crocifisso, “si cognovissent, numquam Dominum gloriæ crucifìxissent” (1 Cor. II, 8); si farà però ben conoscere in quel giorno finale, “cognoscetur Dominus iudicia faciéns” (Ps. IX). Mi conoscete? dirà pertanto rivoltatosi ai reprobi, mi conoscete? Ebrei, io son quel Re da burla che voi prendeste a schiaffi là nel pretorio del presidente romano, quel re da scena, trastullo delle vostra insolenze, e bersaglio de’ vostri sputi. Eretici, mi ravvisate? Io sono quel Cristo, la cui mistica veste laceraste sacrilegamente, dalla cui Chiesa fuggiste per seguire lo spirito privato d’una licenziosa libertà di coscienza. Atei, miscredenti, ecco quel Dio che negaste esistente, che appunto in negarLo, vostro malgrado, mostraste di temerLo, ma d’un timore che accrebbe immensamente la vostra nequizia. Mi conoscete o Cristiani? Di Cristiani aveste il nome, ma non i costumi. Il battesimale carattere impresso nelle anime vostre vi fa più rei. Disse Faraone a Mosè che non mi conosceva, “nescio Dominum” (Es. V, 2); ma era un Pagano. Voi diceste altrettanto coi pensieri contrari alla verità da me rivelate, colle parole contrarie alla mia maestà, coll’opere contrarie alla mia legge. Miratemi in volto, vasi d’ira e di riprovazione, oggetti dell’odio mio necessario e sempiterno. Io son quel Dio che vi creò, quell’Uomo-Dio, il cui sangue conculcaste con tante confessioni bugiarde, con tante comunioni sacrileghe, quell’ Uomo-Dio, a cui faceste oltraggio in propria casa, in sua presenza con tanta libertà di parlare, di sguardi, d’indegne azioni. Io tacqui allora, io sopportai per tanti anni, “tacui, patiens fui” (Isai. XLII, 14); ora però dell’ira mia ripieno e ridondante, non posso più contenermi, “nunc ut partorienti loquar”. Voi Angeli al mio trono assistenti, voi Santi che qui sedete a giudicare tutte le tribù d’Israele, fate giudizio tra me e la vigna mia, “iudicate inter me et vineam meam” (Isai. V, 3). Io venni al mondo non per giudicare il mondo, ma per salvarlo. Volli nascere in una capanna, viver negletto in una bottega per confondere la sua superbia: predicai il mio Vangelo, lo confermai coll’esempio, e coi miracoli, lo consacrai col mio sangue, e colla mia morte per dargli vita, per insegnarli la via della salute; egli non profittò di questa visita di mia misericordia, soffra ora il rigore della mia giustizia, “nunc iudicium est mundi” (Giov. XII). Mondo iniquo, stolti ed empì seguaci del riprovato mondo, andate maledetti da me lontani per sempre, andate a quell’inferno che non temeste, a quell’eterno fuoco che non credeste, “discedite a me maledicti in ignem æternum” (Matt. XXV, 41). Ma no, fermatevi ancor un istante, e sia il colmo delle vostre sciagure il vedere come da me si ricompensano quei, che, profittando della mia prima venuta, mi sono stati fedeli. Orsù, anime mie care, fide pecorelle della mia greggia, osservatrici de’ miei precetti, seguaci dei miei esempi, Giobbi pazienti, casti Gioseffi, Lazzari mendici, Sacerdoti depressi, Religiosi avviliti, cristiani perseguitati, venite, che siete i benedetti da me e dal Padre mio, venite dopo le fatiche al riposo, dopo le pene al godimento, dopo l’umiliazione alla gloria, dopo la guerra al trionfo: venite ad aver meco in eterno comune il regno. “Venite, bcnedicti Patris mei, possidete paratum vobis regnum” (Matt. XXV, 34). E voi mi state più innanzi o malvagi? lungi dal mio cospetto, anime maledette, invano comprate col sangue mio, invano redente colla mia morte, voi non siete più mie, Io non sono più vostro. “Vos non populus meus, et ego non ero vester” (Osea, I, 9). Olà, apriti o terra in immensa voragine, spalanca l’orrenda bocca o inferno, o togli al mio sguardo la massa dannata de’ miei caparbi nemici. Così va: chi non mi rispettò Redentore nel tempo, mi provi giudice e punitore per tutta l’eternità. – Fratelli miei amatissimi, che sarà di noi in quel terribile giorno? Interroghiamone la nostra coscienza, argomentiamolo dalla nostra buona o mala condotta. Oh Dio! se la nostra coscienza ci fa temere, se la nostra condotta ci fa tremare, che facciam noi? Piangiamo ora a’ piedi di Gesù Salvatore le nostre colpe, dacché innanzi ad Esso giudice sarà inutile il nostro pianto.

 

Supplica della Medaglia

LA MEDAGLIA MIRACOLOSA (27 Novembre)

Non è una medaglia come le altre, è la Medaglia per eccellenza fatta coniare per ordine espresso della Madonna, secondo il modello da Lei stessa ideato. È il “dono” che la buona Mamma del Cielo ci ha portato, affinché fosse per noi un pegno del suo amore e della sua protezione, fonte inesauribile di grazie.

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Santa Caterina Labourè, Figlia della Carità, di S. Vincenzo, fu la fortunata privilegiata che Maria prescelse per trasmetterci il suo dono. Nella notte dal 18 al 19 luglio 1830, S. Caterina vide per la prima volta la Madonna che le profetizzò, con le lacrime agli occhi le sciagure che stavano per colpire la Francia, il clero e le comunità, promettendo però una speciale protezione sulla sua. Infine le preannunziò che Dio le voleva affidato una grande missione. – Il 27 novembre 1830, vide due prodigiosi quadri, corrispondenti alle due facce della Medaglia, e udì una voce che le disse: Fa coniare una medaglia secondo il modello che hai visto: coloro che la porteranno saranno sotto la specialissima protezione della Madre di Dio e riceveranno grandi grazie; copiose saranno le grazie per chi avrà fiducia… I raggi sono simbolo delle grazie che io concederò a chi me le chiederà con fiducia.

Maria ci ha pure insegnato la preghiera che esercita un potere irresistibile sul suo cuore, volendo fosse scritta sulla medaglia la giaculatoria:

O Maria, concepita senza peccato,

pregate per noi che ricorriamo a Voi.

Portiamola dunque, la cara medaglia, che per i prodigi operati ha meritato il nome di Miracolosa, con amore e gratitudine, quale prezioso dono di Maria; portiamola a tutti quelli a cui vogliamo assicurare la protezione di Maria Santissima.

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Per impetrare qualche grazia

1. — O Vergine Immacolata della Medaglia Miracolosa che, mossa a pietà delle nostre miserie, scendeste dal cielo per mostrarci quanta parte prendete alle nostre pene e quanto vi adoperate per stornare da noi i castighi di Dio e impetrarci le sue grazie, muovetevi a pietà della presente nostra necessità; consolate la nostra afflizione e concedeteci la grazia che vi domandiamo.

Ave Maria – O Maria concepita etc.

2. – O Vergine Immacolata della Medaglia Miracolosa, che quale rimedio a tanti mali spirituali e corporali che ci affliggono, ci avete portato la vostra Medaglia affinché fosse difesa delle anime, medicina dei corpi e conforto di tutti i miseri, ecco che noi la stringiamo riconoscenti al nostro petto e vi domandiamo per essa di esaudire la nostra preghiera.

Ave Maria – O Maria concepita ecc.

3. – O Vergine Immacolata della Medaglia Miracolosa, Voi avete promesso che grandi sarebbero state le grazie per i devoti della vostra Medaglia che vi avessero invocata con la giaculatoria da Voi insegnata; ebbene, o Madre, ecco che noi, pieni di fiducia nella vostra parola, ricorriamo a Voi e vi domandiamo, per la vostra Immacolata Concezione, la grazia di cui abbiamo bisogno.

Salve Regina …

Supplica della Medaglia

Da farsi verso le 5,30 di sera del 27 Novembre, del 27 di ogni mese ed in ogni urgente necessità.

O Vergine Immacolata, noi sappiamo che sempre ed ovunque siete disposta ad esaudire le preghiere dei vostri figli esuli in questa valle di pianto, ma sappiamo pure che vi sono giorni ed ore cui Vi compiacete di spargere più abbondantemente i tesori delle vostre grazie. Ebbene, o Maria. eccoci qui prostrati davanti a Voi, proprio in quello stesso giorno ed ora benedetta, da Voi prescelti per la manifestazione della vostra Medaglia. – Noi veniamo a Voi, ripieni di immensa gratitudine ed illimitata fiducia, in quest’ora a Voi sì cara, per ringraziarVi del gran dono che ci avete fatto dandoci la vostra immagine, affinché fosse per noi attestato di affetto e pegno di protezione. Noi dunque Vi promettiamo che, secondo il vostro desiderio, la santa Medaglia sarà la nostra compagna indivisibile; sarà il segno della vostra presenza presso di noi; sarà il nostro libro su cui impareremo a conoscere quanto ci avete amato e ciò che noi dobbiamo fare, perché non siano inutili tanti sacrifici vostri e del vostro divin Figlio. Sì, il vostro Cuore trafitto, rappresentato sulla Medaglia, poggerà sempre sul nostro e lo farà palpitare all’unisono col vostro. Lo accenderà d’amore per Gesù e lo fortificherà a portar ogni giorno la propria croce dietro a Lui.

Questa è l’ora vostra, o Maria, l’ora della vostra bontà inesauribile, della vostra bontà trionfante, l’ora in cui faceste sgorgare per mezzo della vostra Medaglia, quel torrente di grazia e di prodigi che inondò la terra. Fate, o Madre che quest’ora, che Vi ricorda la dolce commozione del vostro Cuore, la quale vi spinse a venirci a visitare ed a portarci il rimedio di tanti mali, fate che quest’ora sia anche l’ora nostra, l’ora della nostra sincera conversione, e l’ora del pieno esaudimento dei nostri voti. – Voi che avete promesso in quest’ora fortunata, che grandi sarebbero state le grazie per chi le avesse domandate con fiducia, volgete benigna i vostri sguardi alle nostre suppliche. Noi confessiamo di non meritare le vostre grazie, ma a chi ricorreremo, o Maria, se non a Voi, che siete la Madre nostra, nelle cui mani Dio ha posto tutte le sue grazie? Abbiate dunque pietà di noi. Ve lo domandiamo per la vostra Immacolata Concezione e per l’amore che Vi spinse a darci la vostra preziosa Medaglia. O Consolatrice degli afflitti, che già Vi inteneriste sulle nostre miserie, guardate ai mali da cui siamo oppressi. Fate che la vostra Medaglia sparga su di noi e su tutti i nostri cari i suoi raggi benefici: guarisca i nostri ammalati, dia la pace alle nostre famiglie, ci scampi da ogni pericolo. Porti la vostra Medaglia conforto a chi soffre, consolazione a chi piange, luce e forza a tutti. Ma specialmente permettete, o Maria, che in quest’ora solenne domandiamo al vostro Cuore Immacolato la conversione dei peccatori, particolarmente di quelli che sono a noi più cari. RicordateVi che anch’essi sono vostri figli, che per essi avete sofferto, pregato e pianto. Salvateli, o Rifugio dei peccatori, affinché dopo averVi tutti amata, invocata e servita sulla terra, possiamo venirVi a ringraziare e lodare eternamente in cielo. Così sia.

Salve Regina e tre volte:

O Maria concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a Voi!

ATTENZIONE

Ancora una volta il lupo massonico-cabalista si è introdotto nell’ovile per azzannare finanche la Medaglia Miracolosa della Vergine In giro infatti ci sono tante FALSE medaglie, anche nei negozi pretesi cattolici e santuari una volta cattolici. Attenti a non portare al collo lo “sgorbio” di satana, che scimmiotta audacemente la sacra Immagine della Medaglia. Ve ne mostriamo qui diverse, in vendita anche su siti internet. Queste false medaglie sono riconoscibili subito da due caratteristiche: 1) in alto della medaglia, perpendicolarmente al centro c’è una sola stella, simbolo di lucifero portatore della “falsa” luce, mentre in quella “vera” ce ne sono due a cinque punte e mai a sei. 2) La spada passa dietro il Cuore in basso a destra nella “falsa”, mentre nella Medaglia la spada trafigge il Cuore! Il cuore a sinistra, invece della corona di spine, nella patacca, porta camuffato il nefasto simbolo massonico, la squadra ed il compasso che stanno ad indicare quale sarà il lavoro eterno dei massoni dannati nell’inferno: ammassare pietre ardenti per costruirsi all’infinito il loculo rovente! Poi ci sono i dettagli della croce che incontra la M in modo opposto all’originale, le terminazioni dei bracci della croce, ed altri particolari.

ECCO LE PATACCHE:

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LA CRESIMA [di Michael Muller] (2)

LA CRESIMA -2 –

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3. In che modo il vescovo dà la Confermazione?

.1)- Il vescovo, stende le sue mani su tutti coloro che sono da confermare, e prega affinché lo Spirito Santo possa scendere su di loro; 2)- poi impone le mani su ciascuno in particolare, fa il segno della croce sulla fronte con il crisma, dicendo: “Io ti segno con il segno della croce, e ti confermo con il crisma della salvezza, nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”; 3)- dà un leggero colpo sulla guancia della persona confermata; 4)- finisce col dare la benedizione a tutti.

  1. Ogni cattolico che è arrivato all’età critica in cui inizia l’obbligo di praticare la virtù, tutte le giovani persone che possono continuare ad essere buoni cristiani senza grandi sforzi, vengono preparati con cura da istruzioni speciali. Il giorno stabilito, si presentano nel tempio di Dio, mettendosi di fronte a distanza in due linee come soldati; essi infatti, stanno per diventare i cavalieri armati di Cristo. Nel frattempo, il vescovo, dopo essersi, per mezzo di alcune domande ed una sorta di esame, accertato della loro sufficientemente istruzione, si inginocchia e invoca lo Spirito di Dio, cantando o recitando il “Veni Creator Spiritus”, mentre tutti i candidati sono in ginocchio. Dopo questa invocazione il Vescovo si alza, stende le mani sui candidati, e nello stesso tempo supplica al Signore di mandare su di loro, dall’alto: “lo Spirito di saggezza e di forza, lo Spirito di consiglio e di intelletto, lo Spirito di pietà, di scienza ed il timore di Dio “, e di volere, nella sua bontà, confermarli con il segno della croce per la vita eterna. Il clero e le persone presenti, si uniscono a queste preghiere, dicendo a voce alta, dopo ogni invocazione, “Amen”, “Così sia”!
  2. Poi il Vescovo si avvicina alle persone da confermare. Egli impone le mani su ciascuno in particolare, unge la fronte con il santo crisma a forma di croce, dicendo: “Io ti segno con il segno della croce, e ti confermo con il crisma della salvezza, in nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.”
  3. Forte di questa unzione divina, la persona che ha ricevuto la Confermazione, è diventato un soldato di Cristo. Il vescovo sembra voler subito mettere la sua costanza alla prova. Egli fa per lui, ora che è un cavaliere della Chiesa militante, quello che lui è abituato a fare quando benedice un guerriero. Dopo aver messo nelle mani del cavaliere la spada di guerra, il vescovo lo colpisce tre volte sulla spalla ed una volta sulla guancia, come se a scopo di provare la grandezza del suo coraggio, e dicendo nello stesso tempo: «Sii un tranquillo e coraggioso guerriero, fedele e devoto a Dio.” Allo stesso modo, dopo aver segnato la fronte del cristiano confermato con il segno della croce, il vescovo pone dolcemente la mano sulla guancia, dicendo: “. La pace sia con te”.
  4. Infine il Vescovo prega per tutti coloro che ha confermato, e li benedice con queste parole: “Ti benedica il Signore da Sion, perché tu possa vedere la prosperità di Gerusalemme tutti i giorni della tua vita, e giungere alla vita eterna “.
  5. Perché il vescovo fa il segno della croce sulla fronte di coloro che conferma?

Per ricordare loro che non devono mai vergognarsi della croce, ma con coraggio professare la loro fede in Gesù crocifisso.

Il Vescovo unge la persona che deve essere confermata. Quando si erige un tempio materiale in onore del Signore, esso viene solennemente consacrato dalla preghiera, dal segno della croce, e da unzioni sacre, perché il Signore del cielo e della terra è ivi a dimorare. Allo stesso modo, i nostri corpi sono consacrati dalla preghiera, dal segno della croce, e da unzioni sacre, perché le nostre anime vivono in essa, e sono i santuari dello Spirito Santo. “Non sapete”, dice S. Paolo, «che voi siete templi dello Spirito Santo?” Come templi materiali, i nostri corpi sono purificati dalle acque del Battesimo, contrassegnati con il segno della croce, purificati per mezzo del sale della saggezza, unto dai santi oli del Battesimo e della Confermazione; e poi, per quanto vile possano essere in se stessi, quei corpi sono letteralmente consacrati al banchetto angelico per il contatto con la stessa carne ed il sangue di Gesù Cristo. La consacrazione di questi templi viventi, un giorno sarà completata con l’estrema unzione, nel corso della quale si ripetono queste unzioni. – L’unzione della Confermazione viene fatta sulla fronte, che è la sede del pudore e della paura, per significare che non dovremmo mai arrossire o aver paura di confessare il nome di Gesù Cristo, anche a rischio della nostra vita. L’unzione è realizzata sotto forma di una “croce”, per darci a capire che non dovremmo mai vergognarci della croce di Cristo, ma dovremmo portarla con gioia, sull’esempio di nostro Signore; che non dovremmo mai trascurare le pratiche della religione, per paura del ridicolo o dello scherno. Un cristiano non deve mai arrossire per la povertà, l’umiliazione o gli affronti; al contrario, dovrebbe piuttosto gioire e gloriarsi in esse; perché sopportando con pazienza queste cose, egli si rende in qualche modo simile al suo divino Maestro, che, quando era su questa terra, ha sottostato alla povertà, alle umiliazioni e al disprezzo. La croce di Gesù Cristo dovrebbe avere per noi più valore di tutti i tesori di questo mondo.

  1. Perché il vescovo dà alle persone che conferma un leggero colpo sulla guancia?

Per ricordare loro che devono essere pronti a soffrire, e anche a morire, per Cristo. Quando il Vescovo ha consacrato la persona che si sta confermando, gli da subito un colpo delicato sulla guancia, per ricordargli che, essendo ormai costituito un soldato di Cristo Gesù per la Confermazione, egli deve virilmente combattere contro tutti i nemici della sua salvezza, sopportare con mitezza e pazienza tutte le croci, le persecuzioni e le prove per amore del suo Signore, subire ogni sorta di disagio, perdita di beni, la detenzione, e, se necessario, morire per Cristo sopportando il martirio e versando per lui fino all’ultima goccia del suo sangue. – Nel dare un colpo delicato sulla guancia, il Vescovo dice: “pace a voi:” per insegnarci che l’unico modo per avere la vera pace in questo mondo, come pure come nel prossimo, è soffrire, pazientemente per amore di Cristo; ed anche poi per incoraggiarci a farlo nella speranza di una ricompensa, secondo la promessa a noi fatta dal Signore: “Imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete riposo per le vostre anime.” (Matt, XI, 29).

  1. E’ necessaria la confermazione per la salvezza?

La conferma non è assolutamente necessaria per la salvezza; ma sarebbe un grande peccato trascurare di riceverla, o disprezzarla.

Il sacramento della Confermazione non è, come il Battesimo, assolutamente necessario per la salvezza: non è un mezzo essenziale per la salvezza. È, tuttavia, così necessario il riceverlo, che non può essere volontariamente trascurato senza grave peccato. Questo parere, dice S. Alfonso, deve essere seguito come è definito da Papa Benedetto XIV, in una bolla riguardante i greci, in cui egli dice: “Loro (che non sono confermati) devono essere ammoniti dai Vescovi che sono colpevoli di un grave peccato se rifiutano o trascurano di ottenere la Confermazione quando ne hanno l’opportunità. ” (Horn. Esort, Tract, XIV, de Conf., N. 17.) Coloro che non hanno ricevuto il Sacramento sono deboli, deboli come i bambini appena nati. Sono soldati senza armi, che non sono in grado di respingere gli attacchi portati loro dal diavolo, da uomini malvagi, e dalla carne. “Tutti”, dice Papa Clemente, “dovrebbero venire immediatamente a rinascere a Dio nel santo Battesimo, e poi essere sigillati dal Vescovo, ricevendo cioè i sette doni dello Spirito Santo; nessuno che omette questo Sacramento non perché non abbia alcuna possibilità di riceverlo, ma perché volontariamente lo disprezza e trascura di farlo, può diventare un cristiano adulto: questo abbiamo ricevuto dal beato Pietro. Questo è stato anche l’insegnamento degli altri Apostoli, che sono stati istruiti sulla Confermazione dal nostro Signore “. (Catech. Rom., parte II, c. 3). ” E allora”, dice san Tommaso,” è molto pericoloso affrontare questa vita senza essere stato confermato. “Questo è particolarmente vero in un paese ove si è perseguitati, oppure in un paese, come il nostro, dove la fede e la morale cattolica trovano tanta opposizione e vengono ridicolizzate da coloro fra i quali si vive. I giorni in cui viviamo sono “giorni cattivi,” per tutta una serie di scrittori virulenti che quotidianamente portano attacchi sulla nostra fede, con clamorose false accuse contro la nostra religione, per cui siamo quotidianamente assaliti dalle lingue malvagie di detrattori costituiti. In ogni parte degli emissari di campagne di errore vanno in giro, cercando con ogni mezzo in loro possesso di distruggere la fede dei cattolici. La morale cattolica, anche, viene respinta e messa in ridicolo dalle beffe e dagli scherni degli empi. le pratiche di pietà sono derise, le funzioni più essenziali della morale sono fatti luce, e ogni sforzo è fatto per rendere spregevoli le cose probe e sante. Circondati, come siamo, in questi giorni empi da tanti pericoli, ci rendiamo colpevoli di gravi peccati se non ci avvaliamo di un così potente aiuto come quello che Gesù Cristo ci ha dato nella Confermazione, al fine di scongiurare il ripetuto attacchi dei nemici della nostra salvezza. – Negli Apostoli abbiamo un esempio lampante della necessità e della grande utilità di ricevere le grazie speciali dello Spirito Santo, così come ci sono conferite nella Confermazione. Gli Apostoli erano stati tre anni con Cristo, avevano visto i suoi miracoli, avevano sentito le sue istruzioni, avevano visto i suoi esempi, ecc., tuttavia non avevano avuto il coraggio di professare e di praticare ciò che il loro divin Maestro aveva loro insegnato. Anzi addirittura Lo hanno abbandonato quando Lo trattavano da bugiardo, non osavano mostrarsi in pubblico, fingevano di non essere suoi discepoli. Ma, non appena ricevuto lo Spirito Santo, con i suoi doni e le sue grazie, le loro menti furono illuminate, i loro cuori pieni di zelo e di coraggio. Una volta “quindi rivestiti di potenza dall’alto” (Lc XXIV, 49), con coraggio hanno professato, pubblicamente predicato, e con coraggio ed anche con gioia, hanno sofferto per la Religione che professavano e predicavano. Il Sacramento della Confermazione produce gli effetti benefici soprattutto nelle anime di coloro che lo ricevono degnamente. – Costanzo Clori, padre di Costantino il Grande, anche se pagano, aveva nel suo palazzo un gran numero di cristiani confermati, molti dei quali erano ufficiali dei suoi domestici. Un giorno, desideroso di mettere la loro fede alla prova, li radunò davanti a lui, rivolgendo loro parole adatte a poterli dissimulare. Alla fine, li costrinse a dirgli chiaramente anche se erano o non cristiani. Alcuni, influenzati dal rispetto umano e timorosi di perdere il posto che occupavano nella corte, negarono la loro religione. Il numero maggiore, tuttavia, forti nella loro fede, apertamente si dichiararono cristiani. Poi Costanzo, parlando con linguaggio non mascherato, manifestò i sentimenti del suo cuore lodando la forza d’animo di coloro che erano pronti a sacrificare la posizione mondana per non negare la loro religione; rimproverava in termini amari il rispetto umano di chi temeva di manifestare il proprio credo religioso. “Come, …” egli concludeva, ” … questi possono essere fedeli all’imperatore quando si sono dimostrati sleali verso Dio?” E così li rimosse dalla sua corte licenziandoli dal suo servizio. Per quanto riguarda coloro che erano disposti a sacrificare tutto pur di non rinunciare alla propria fede, li ha considerati come i suoi più fidati servitori; li mantenne nel loro ufficio, contando principalmente su di loro nel costituire la sua guardia personale; in seguito mostrò sempre loro segni particolari del suo affetto e della sua fiducia: “… gli uomini di carattere, diceva, essendo fedeli a Dio, non si potranno mai dimostrare sleali verso di me!” – Ormisda era il capo dei nobili fra i Persiani, ed era figlio del governatore di una provincia. Varanes, il re di Persia, lo mandò a chiamare e gli comandò di rinunciare a Gesù Cristo. Ormisda gli rispose: “Ma questo sarebbe offendere Dio e trasgredire le leggi della carità e della giustizia, e chiunque osa violare la legge suprema del Signore sovrano di tutte le cose, potrebbe più facilmente tradire il suo re, che è solo un uomo mortale. Se in quest’ultimo caso egli commette un crimine meritevole della peggiore delle morti, quanto più grave deve essere rinunciare al Dio dell’universo!?” Il re si indignò a questa risposta saggia e giusta, e lo privò del suo ufficio, di onori e di beni spogliandolo pure dei suoi stessi abiti, ad eccezione di un piccolo pezzo di tela che lo copriva in vita; e in questa condizione di nudità gli ordinò di guidare e di prendersi cura dei cammelli dell’esercito. Molto tempo dopo, il re, guardando fuori della finestra della sua camera, vide Ormisda tutto bruciato dal sole e coperto di polvere, e richiamando alla mente la sua antica dignità e ricchezza e l’alta posizione di suo padre, mandatolo a chiamare, ordinato che gli venisse dato un abito, gli disse: “Ora, almeno, metti da parte la tua ostinazione e rinuncia al “figlio” del carpentiere”. Il Santo, trasportato da un santo zelo, strappato via l’abito, lo gettò via dicendo: “Se tu pensi che io possa essere così facilmente tentato di abbandonare la legge di Dio, tieniti il tuo bel regalo con la tua empietà”. Irritato da questo coraggio, il re lo bandì di nuovo dalla sua presenza. S. Ormisda concluse felicemente la sua carriera terrena. Egli è nominato nel Martirologio Romano. (Alban Butler.) – Giuliano l’Apostata, dopo aver deciso di fare solenne Professione di idolatria, ordinò i preparativi da effettuare per un sacrificio agli idoli in uno dei templi pagani. Il giorno stabilito, si recò là, accompagnato dalla sua corte in pompa magna, affinché il sacrificio potesse essere celebrato con ogni possibile magnificenza. Appena tutto fu pronto, fece un cenno ai sacerdoti per iniziare l’empio rito; ma quale non fu il loro stupore, quando si trovarono impossibilitati dal procedere nelle operazioni! I loro coltelli, che erano stati ben affilati, non riuscivano a scalfire la carne delle vittime, e il fuoco che avevano acceso sull’altare si era improvvisamente spento. Il sacerdote sacrificante allora disse: “… qui è in azione un certo potere sconosciuto che interrompe le nostre cerimonie”. Poi rivolgendosi all’imperatore, “Ci deve essere”, osservò subito, “qualcuno qui presente che è stato battezzato o confermato.” Giuliano ordinò quindi che fosse fatta un’inchiesta, … quando ecco! Un ragazzo, una delle sue guardie, si fece avanti e disse:.. “Sappiate, sire, che io sono cristiano, e sono stato confermato da pochi giorni quando sono stato unto con l’olio santo, per rafforzarmi nel combattimento: io sono un discepolo di Gesù Cristo, il Quale, con la sua croce, mi ha liberato ed io Lo riconosco come il mio solo Dio, e mi glorio di appartenere a Lui! ‘Sono stato io, o meglio è stato il Dio che io servo, che ha impedito l’empietà che si stava per commettere, io ho invocato il sacro Nome di Gesù Cristo, e i demoni non potevano essere riconosciuti come dei; udendo quel sacro Nome, il nome del Dio vero ed unico, i diavoli sono stati messi in fuga! “L’imperatore, che in precedenza aveva professato il Cristianesimo, consapevole del potere del nostro Signore Gesù Cristo, fu preso dal terrore; e temendo gli effetti della vendetta divina, lasciò il tempio coperto di confusione, senza dire una sola parola. Il giovane soldato coraggioso di Cristo immediatamente riferì a tutti i cristiani ciò che era accaduto: essi resero gloria a Dio, riconoscendo come terribile per i diavoli le virtù di Gesù Cristo contenute nel Sacramento della confermazione quando lo si prende con disposizioni adeguate. (Prudenzio.) – Ci sono, d’altra parte, gli esempi di coloro che, avendo trascurato di ottenere la Confermazione, non avevano forza sufficiente per resistere alle tentazioni del demonio. Nel terzo secolo, un uomo, di nome Novaziano, fu battezzato nel suo letto nel corso di una malattia pericolosa. Ripresosi dalla sua malattia, trascurò di ricevere poi il Sacramento della Cresima. Venne poi ordinato sacerdote. Gli venne richiesto di assistere i fedeli che, in quei momenti, venivano trascinati fino al luogo di punizione. Egli rispose che non aveva alcuna intenzione di svolgere i compiti di un prete, perché la sua mente era fatta per ben altro. Egli aveva intenzione nientemeno di diventare Papa. In quel tempo fu eletto papa Cornelio, e Novaziano con intrighi, si fece consacrare privatamente da tre vescovi ignoranti. Così egli fu il primo antipapa ad aver sollevato uno scisma nella Chiesa di Roma. La sua ambizione arrivava al punto che, nell’amministrare l’Eucaristia ai suoi partigiani, egli esigeva un giuramento da ognuno di loro, dicendo: “Giurami, per mezzo del sangue di Gesù Cristo, che non potrai mai lasciare il mio partito per unirti a Cornelio.” Egli insegnava che la Chiesa non poteva perdonare nessun peccato mortale commesso dopo il Battesimo, né usare alcuna indulgenza nei confronti di coloro che avevano commesso peccato di idolatria per paura delle persecuzioni, e che la Confermazione non era un Sacramento. (Hist, di Heres. da S. Alfa). I padri della Chiesa sono concordi nel ritenere che Novaziano abbia commesso tutti questi crimini, perché aveva trascurato di ricevere il Sacramento della Confermazione.

  1. Chi può ottenere la Confermazione?

Tutti i battezzati che sono debitamente preparati.

Possono ricevere la Confermazione tutti coloro che, battezzati, non sono ancora confermati, e così debitamente preparati, possono essere ammessi a questo Sacramento. Un tempo era una cosa comune per confermare i neonati subito dopo il Battesimo. Questa pratica è ancora mantenuta in alcuni Paesi dell’Oriente, da speciali permessi della Santa Sede. Attualmente, tuttavia, è costume generale non confermare coloro che non hanno raggiunto l’uso della ragione, a meno che non siano in punto di morte. La ragione è che si ritiene che le grazie della Confermazione saranno di più grande vantaggio per il giovane cristiano se ricevuto in quel momento, quando comincia a sperimentare il combattimento con i nemici della sua salvezza. Un altro motivo per rinviare la Confermazione fino a quando i destinatari non siano giunti all’uso della ragione, è che essi possono essere meglio istruiti e preparati a riceverlo.

  1. Come possono prepararsi le persone alla Confermazione?

1 – Esse devono essere esenti da ogni peccato mortale;

2 – devono conoscere le principali verità di fede, in particolare quelle che riguardano questo Sacramento.

A rigor di termini, tutto ciò che è necessario ad una persona che vuole ricevere degnamente la Confermazione, è l’essere nello stato di grazia. Laddove, come ai vecchi tempi, il Sacramento è stato ricevuto dai neonati, lo stato di grazia è garantito loro dal sacramento del Battesimo ricevuto; ma ora, la conferma viene ricevuta solo da persone che sono giunte all’uso della ragione. Ora, queste persone sono capaci di commettere peccato mortale, e potrebbero quindi ricevere questo Sacramento in modo sacrilego, come ogni altro Sacramento nella loro vita. È, dunque, necessario loro prepararsi alla degna ricezione di questo Sacramento. Questa preparazione consiste principalmente nell’essere libero dal peccato mortale e nel conoscere le principali verità di fede, in particolare quelle riguardanti questo Sacramento: –

1. Le persone da confermare devono essere esenti da peccato mortale. Il Sacramento della Confermazione è un Sacramento dei vivi. Si richiede, quindi, la vita spirituale della grazia nella persona che lo riceve. L’effetto della Confermazione è quello di aumentare e rafforzare la vita spirituale nell’anima. Ma questa vita di grazia non può essere rafforzata in un’anima in cui non la si trovi già. Per ricevere, poi, la Confermazione degnamente, è necessario essere in stato di grazia. La Sacra Scrittura ci assicura che “lo Spirito Santo di saggezza non entrerà in un’anima peccaminosa, né abiterà in un corpo schiavo del peccato.” (Sap. I, 4) Sarebbe, quindi, un grave peccato di sacrilegio il ricevere questo Sacramento in stato di peccato mortale. Per questo motivo, tutti coloro che sanno di essere in stato di peccato mortale, e sono in procinto di essere confermati, dovrebbero recuperare la grazia di Dio facendo una buona Confessione. La Contrizione perfetta, è vero, unita ad un sincero desiderio di ricevere il Sacramento della Penitenza, riconcilia il peccatore con Dio; eppure, chi può essere certo di avere una contrizione perfetta? Poiché è così facile essere ingannati in questa materia, colui che è venuto all’uso della ragione dovrebbe fare una buona Confessione prima di ricevere la Confermazione, in modo da essere sicuro di riceverla degnamente.

  1. Le persone da confermare dovrebbero anche essere ben istruite nelle principali verità di fede, specialmente in quelle concernenti la natura, l’efficacia, e la dignità di questo Sacramento. In passato la Confermazione veniva conferita ai neonati prima che giungessero all’età della ragione e così, la preparazione ora richiesta non era necessaria. Questa pratica, tuttavia, è stato da tempo abbandonata, e quasi ogni persona che si avvicina a questo Sacramento ha l’età per istruirsi. Per questo motivo, è necessario una conoscenza delle principali verità della nostra religione; vale a dire: una conoscenza per quanto riguarda il Credo degli Apostoli, i Comandamenti, i Sacramenti, in particolare il Sacramento che si sta per ricevere, la preghiera del Signore, e l’Ave Maria. Una persona che non conosce queste cose non deve essere ammesso alla Confermazione. Una persona che sta per ricevere un Sacramento non può non essere ben istruita. Colui che, per sua colpa, ha una conoscenza insufficiente della dottrina cristiana, si espone ad un grande pericolo. – All’istruzione approfondita nella dottrina cristiana e ad una buona Confessione, deve essere aggiunta una fervente preghiera come preparazione speciale alla Confermazione. Gli Apostoli hanno trascorso nove giorni in fervente preghiera per prepararsi alla venuta dello Spirito Santo: dall’Ascensione alla Pentecoste … “erano perseveranti e concordi nella preghiera, con Maria, la madre di Gesù.” (Atti I, 14) Coloro che stanno per essere confermati, dovrebbero quindi imitare questo esempio degli Apostoli: dovrebbero essere nel raccoglimento e nel ritiro; dovrebbero poi spesso invitare lo Spirito Santo a venire nelle loro anime per la comunicazione delle sue grazie. A tal fine sarebbe bene ripetere spesso una preghiera o un inno allo Spirito Santo, come il “Veni creator Spiritus”, o la seguente:

SPIRITO SANTO.

Santo Spirito, benedetto e puro,

nei nostri cuori vieni e riposa!

Fiamma d’amore brucia dall’alto!

Triste è la vita, porta la gioia,

porta la pace, la vita è sì dura;

I nostri cuori dolenti guarisci.

Purifica tutti ogn’ora di più!

Pura colomba vieni a protegger!

Luce ed amore metti nei cuor!

Dall’ima valle di vita allontanaci,

e sulla strada celeste deh guidaci!

Rischiara noi col lume di fede

fin’al dì che di morte siam preda.

Di dolore e tristezza in quell’or,

all’alma nostra da’ pace e letar.

Ai nostri cuori insegna a pregare,

Sii pio ospite nostro sì grato.

Donaci fede, speranza ed amore,

onde regnare per sempre con Te!

I confermandi dovrebbero quindi ardentemente desiderare ed implorare la pienezza di quelle grazie fortificanti che la Confermazione conferisce: “Il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono” (Luca XI, 18). – Infine, è di uso comune ricevere questo Sacramento digiuni. Questo, tuttavia, non è d’obbligo, e non può essere programmato quando il Sacramento viene conferito nel pomeriggio. – Essendo quindi adeguatamente preparati per questo Sacramento, i destinatari riceveranno da esso abbondanza di luce e forza divina, che li renderà, per così dire, leoni più formidabili di tutti i nemici della loro salvezza. Quelli, invece che, per mancanza di preparazione adeguata, si avvicinano alla Confermazione indegnamente, lungi dal ricevere alcun beneficio da esso, diventano ancora più peccaminosi di quanto non fossero prima, aggiungendo ai loro primitivi, il senso di colpa per l’orribile crimine di sacrilegio. Invece di essere riempiti di Spirito Santo e dei suoi sette doni, essi saranno riempiti dallo spirito delle tenebre che prende possesso di loro ed opera in loro un dominio tirannico. E’ vero: il carattere del Sacramento sarà impresso nelle loro anime; ma, siccome lo hanno ricevuto in stato di peccato mortale, questo stesso marchio costituirà per loro in segno di vergogna, un segno come ribelli e disertori del campo di Gesù Cristo, e se non si pentono del loro sacrilegio e non si confessano prima della morte, il marchio indelebile impresso sulle loro anime dalla Confermazione, sarà per loro un rimprovero perenne tra i dannati, ed un’ulteriore tortura tra le pene dell’inferno. – La grazia di questo Sacramento, tuttavia, è loro conferita, non appena l’ostacolo venga rimosso, vale a dire, non appena veramente ci si pente dei loro peccati e si confessano correttamente.

  1. Perché ci si accompagna nella Confermazione ai padrini e alle madrine?

Perché possano presentare al Vescovo coloro che sono da confermare, e poi li assistano nel condurre una vita cristiana.

La Chiesa richiede che ci dovrebbe essere un garante ad accompagnare colui che è da confermare. E’ suo dovere presentare al Vescovo la persona da confermare, e poi, per quanto possibile, assisterlo nel condurre una vita cristiana. Mentre il Sacramento viene conferito, il garante tiene la mano destra sulla spalla destra della persona che riceve il Sacramento. Questo garante contrae un rapporto spirituale similmente al garante del Battesimo. Occorre ricordare che ai monaci e alle monache è fatto divieto di diventare garanti.

  1. Chi può essere garante di coloro che devono essere confermati?

Solo i buoni cattolici, che sono stati essi stessi confermati; ma il garante del Battesimo non dovrebbe essere il garante della Confermazione.

Il nostro caro Signore ci dice, nel Vangelo, che nessuno si aspetta di “raccogliere uva dalle spine, o fichi dai rovi … frutti buoni da un albero cattivo.” (Matteo, VII, 16, 17.). Allo stesso modo, non possiamo aspettarci che un cattivo cattolico possa aiutare un suo collega cristiano nel condurre una vita buona. Un cattivo cattolico, quindi, non è in grado di diventare un garante per colui che deve essere battezzato o confermato. Nessuno vorrebbe affidare il proprio danaro ad un uomo disonesto! E saranno i genitori così sciocchi dal procurare cattolici infedeli come garanti per i loro figli? E’ infatti loro dovere nominare come buoni garanti per i loro figli solo cattolici praticanti i quali, con le loro esortazioni e i buoni esempi, siano in grado di condurre i loro figliocci alla vera pietà e alla devozione. – E’ da osservare che, alla Confermazione, non ci può essere che un solo garante, a sua volta già confermato, dello stesso sesso della persona da confermare, e che non siano stati garanti anche per il Battesimo della persona che deve essere confermata. – Rendiamo grazie a Dio Onnipotente per la grazia di essere membri della Chiesa Santa Cattolica Romana. Ella sola è la grande dimora che lo Spirito Santo illumina e infiamma con il fuoco del suo amore. Ella sola è l’unica nave le cui vele sono piene di verità divine dello Spirito Santo. Ella sola è l’unica sposa al quale Gesù Cristo ha inviato il Paraclito. Ella sola è l’unica Chiesa riunita nel suo nome ed assistita dalla presenza del suo Santo Spirito. Su di Ella, come sull’umanità del Salvatore, i cieli si squarciano, e la colomba celeste, lo Spirito Santo, apre le sue ali. Ella sola è il corpo di cui lo Spirito Santo è l’anima. Tutti le membra sane di quel corpo, anche se impiegate in modo diverso, ricevono la vita da quest’anima. L’anima dà vita a tutte le membra: vede con gli occhi, sente con le orecchie, parla con la lingua, lavora con le mani, passeggia con i piedi, e consente ad ogni membro di adempiere al proprio ufficio. Così è per la Chiesa di Dio: i loro uffici sono diversi, ma la loro vita comune. Alcuni dei suoi membri operano miracoli, altri predicano il Vangelo, altri conservano una vita verginale, altri la castità coniugale. Ciascuno compie le sue proprie funzioni. Tutti hanno una vita comune, la vita e la grazia dello Spirito Santo. Nel seno della Chiesa soltanto diventiamo i templi dello Spirito Santo, i santuari dei suoi doni, santuari degni della massima venerazione finché il peccato non respinga la sua carità. Come sacri, dunque, sono quei templi del nostro corpo, se il peccato mortale – quel mostro orrendo! – non li riempie di abominio e desolazione! I nostri corpi sono, infatti, dei veri santuari, e l’anima è il tabernacolo e l’altare dello stesso. E tutto è stato impresso con il sigillo dello Spirito Santo, tutto è stato santificato dalla Chiesa. Qui c’è tutto quello che dovrebbe essere di più casto, puro, santo e sacro come l’altare, come il tabernacolo delle nostre chiese, come il santo calice in cui riposa il Dio di ogni santità. “Siate santi … siate perfetti, come il Padre vostro celeste è perfetto.” – Ora, se il Sacramento della Confermazione è una così fertile fonte di tante benedizioni e nello stesso tempo una primavera nell’anima, ci può mai essere qualcuno che non lo stimi e non lo ami, o che non abbia a desiderarlo, incantato dalla grandezza e dalla dignità di questo Sacramento divino, e che non riguarderà la grazia della presenza dello Spirito Santo come l’unico oggetto che meriti l’attenzione e la ricerca più ardente del proprio cuore? Che cosa sono tutte le altre cose senza questa grazia? Troni, corone, scettri, tutto si annichila nei loro “nulla” originali, ma con questa grazia acquistano tutti dignità eccelsa, e diventano tutti grandi. Considerate un povero abbandonato, coperto di stracci, che agli occhi degli uomini è oggetto di disprezzo o, nella migliore delle ipotesi, di compassione. Come può tuttavia, sembrare disprezzabile, se egli è tempio dello Spirito Santo, anzi agli occhi di Dio è più grande di tutti i sovrani di questo mondo, se privi della presenza di questo Ospite divino? – Vogliamo allora vedere una prova convincente ed un esempio veramente sorprendente di questa verità? Dove ne possiamo trovare uno? Al presente non lo troviamo certo nei palazzi dei grandi, né sui troni dei re, né alla testa degli eserciti tra i conquistatori, ma sulla graticola di un martire, al capezzale di un confessore santo o in una santa vergine. “Hai tu mai considerato che il martire, che il confessore, che la vergine consacrata sono al mio servizio?” … dice il Signore, con una speciale compiacenza. “Sì, Signore, li abbiamo visti. Ma in quali condizioni … fatti a pezzi, bruciati vivi, ricoperti di ulcere sporche, divorate vivi dai parassiti”! “Ah! Ah! dice il Signore, quelle vittime tuttavia, apparentemente colpite dal cielo, sono i favoriti del mio cuore, gli oggetti della mia compiacenza, i soggetti dei miei trionfi. Ma in mezzo alle nuvole che li avvolgono, vedo sprigionare i raggi della luce dello Spirito Santo che abita in loro. La vista di questa luce di grazia nel luogo stesso in cui tale martire o confessore o vergine soffre, diventa una sorta di altare eretto in mio onore. Il fuoco che li tormenta, i vermi che strisciano su di loro, sono i ministri della mia misericordia piuttosto che della mia ira. Sono le vittime preziose offerte a me come olocausti. Io le ricevo dalle mani dello Spirito Santo. Va’ poi, a contemplare i grandi nei loro palazzi, i ricchi circondati dalle loro glorie terrene e dagli splendori: se non sono i templi dello Spirito Santo, io non li conosco; o, se li conosco, è solo per dire loro un giorno : “via da me, voi maledetti, nel fuoco eterno!” – Dovremmo, quindi, porre la massima attenzione a preservare la grazia della presenza dello Spirito Santo, dal momento che questa grazia è per noi la più necessaria di tutte le cose. Che cosa sono tutte le altre cose di cui usufruiamo senza questa grazia, e se noi le possediamo, possono esse forse procurare la nostra felicità? Che cosa non hanno i santi fatto e sofferto per recuperare o conservare questa grazia? Che cosa ha attirato gli eremiti e gli anacoreti nel deserto, e sepolti vivi in tane e caverne? Ah! Ah! Essi rispondono: abbiamo avuto affidato un tesoro che abbiamo tenuto in vasi di creta. Ci siamo convinti che un ritiro più vicino non poteva essere sufficiente a garantirci un rifugio. Che cosa ha prevalso in questi pallidi ed emaciati penitenti per usare tale gravità con se stessi? L’aria echeggiava con i loro sospiri, la terra era bagnata dalle loro lacrime. Ah! Ah! Essi gridano a noi, dal rifugio dei loro ritiri: “Conoscevamo il prezzo della grazia della santa presenza di Dio, ed avevamo paura della nostra stessa fragilità”. Soprattutto, cos’è ciò che animava quei campioni invincibili della nostra santa fede, i gloriosi martiri, per salire con allegria il patibolo ed appressarsi al rogo fiammeggiante? Le loro membra sono state fatte a pezzi, e la terra è stata intrisa del loro sangue. La stessa voce del loro sangue risponde: “ … noi moriamo, moriamo, di gioia, anzi, avremmo volentieri dato mille vite, per preservare la vita della grazia”. Vivere per essa è possedere Dio quaggiù, e morire è goderLo per tutta l’eternità.

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Attualmente la Cresima è un Sacramento … fantasma, del quale esiste un pallido ricordo, perché praticamente i Vescovi, ministri del Sacramento stesso, non esistono più: quelli pseudo-consacrati con la formula (18 giugno 1968) del trio di satana: Botte-Bugnini-Montini, formula blasfema che nega la Santissima Trinità ed il “Filioque” e forma un “eletto manicheo”, sono assolutamente invalidi e sacrileghi, ed il loro falso sacramento è un arruolamento nell’esercito infernale; ma già quelli che erano stati “consacrati” con la formula di sempre, avevano giurisdizione o mandati da false autorità, gli antipapi succedutisi dal 26 ottobre 1958 in poi, usurpanti il Papato “impedito” di Gregorio XVII, Cardinal Siri, canonicamente eletto in ben quattro Conclavi. Sui ridicoli ed altrettanto blasfemi scismatico-eretici fanta-vescovi delle fraternità non-sacerdotali, o dei sedevantisti Thuchiani o degli auto consacrati senza giurisdizione, stendiamo un nero velo pietoso, anche perché puzzano di solfo … In pratica, i confermati, o cresimati che dir si voglia, al di sotto dei 60 anni, praticamente non ce ne sono più, se non quei pochi aderenti alla Chiesa eclissata. Ed alla luce delle considerazioni del testo di M. Muller sopra riportato, se ne vedono i risultati in tutti i campi, ed in prospettiva la situazione si prefigura sempre più fosca! Che fare …? Appare sempre più impellente la necessità inderogabile di mettersi alla ricerca di quei pochissimi Vescovi o Sacerdoti autorizzati della Chiesa Cattolica, quella “vera” eclissata, “una cum” Gregorio XVIII, successore canonico di Gregorio XVII, Cardinal Siri. In primis, si chiede la rimozione delle censure, poi si passa alla Confessione Sacramentale fatta “foglia per foglia” e quindi, in una vera Messa cattolica “di sempre” [di rito romano, ambrosiano, bizantino …], “una cum” Gregorio, si accede, avendo la preparazione minima richiesta, alla Cresima. Così si ridiventa cattolici a pieno titolo, e “soldati di Cristo”, impavidi difensori della sua unica “vera” Chiesa, pronti al sacrificio ed alla morte, se necessario, nella concreta speranza dell’eterna corona promessa dal Salvatore Nostro Gesù-Cristo. All’erta ragazzi, non perdiamo tempo prezioso!

J.-J. GAUME: IL SEGNO DELLA CROCE [lett. 20-21]

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LETTERA VENTESIMA.

16 dicembre.

Nobilitato l’uomo, arricchito e protetto dal segno della croce, qual cosa mai gli manca per raggiungere felicemente lo scopo del suo pellegrinaggio? È mestieri che egli trovi una guida, che lo meni. – Come l’Arcangelo Raffaele, inviato per accompagnare il giovane Tobia nel lungo suo viaggio, così il segno della croce presenta ed offre a tutti noi, come ad amico, Io stesso ministero. Tal’è l’ultimo punto di vista, sotto il quale noi considereremo il segno della croce.

Viaggiatori pel Cielo, il segno della croce è una guida che ci accompagna.

La notte è al mezzo del suo corso, il tuono rimbomba da per tutto, la pioggia vien giù a torrenti, le bestie feroci spaventate sortono dal fondo delle loro tane, e corrono incerte in tutte le direzioni, e non le si vedono che nel lume del baleno. Solo, tu sei nel mezzo della tua Foresta Nera, tale com’essa era ai tempi di Cesare, immensa, orribile, senza vie e sentieri, deserta di abitazioni, vasto ricetto de’ grandi orsi della Germania, che impaurivano i Romani fin sopra gl’inaccessibili gradini del Colosseo. Senti tu il bisogno di una guida caritatevole, che, postasi a te dal lato, ti rassicuri con la sua presenza, e, datati la mano, ti conduca sano e salvo nel mezzo della tua cara famiglia? – Debole immagine è questa della realtà! La Foresta Nera è il mondo; la tempesta con le sue tenebre, con i suoi fulmini, i pericoli, e gli spaventi che produce, è la vita. Ove sono? dove vado io? qual cammino è da prendere ? Questa è la prima questione, che l’uomo a sé stesso muove nel mezzo di questa notte piena di agonie. La risposta non si fa attendere; dessa è tutta intera nel segno della croce. Ecco ragione perché la Chiesa, piena di sollecitudine per l’uomo, glielo insegna fin dalla culla, e questo segno, interpretato dalla parola materna, dissipa tutte le tenebre, illumina il cammino, orienta la vita. – « Venuto da Dio, dice questo segno all’uomo, tu tornerai a Dio: immagine come sei di Dio, ch’è amore, tu devi tornare a Lui per l’amore. L’amore contiene il ricordo, e l’imitazione. Ricordarti di Dio, ed imitarLo: ecco la tua via, la verità, e la vita. Comprendimi, e tu eseguirai le due grandi leggi fondamentali della tua esistenza ». Nulla v’ha di più vero di questo discorrere della divina guida, e poche parole basteranno a mettere io chiaro sì sublime insegnamento. La memoria.— In Francia ed in Alemagna, ed ogni dove, come oggi, così quattro mila anni fa, dicevasi: la memoria è il polso dell’amicizia. Come fino a che il polso batte, la vita esiste, e si estingue quando questo cessa dal battere; così è, non altrimenti e per l’amicizia. Finché la memoria dell’oggetto amato sussiste, l’affezione continua; ma languisce quando la memoria si dissipa, e muore del tutto se quella finisce. Questo, tu il sai, è cosa elementare. L’uomo è si convinto che la memoria è segno, causa e condizione delle affezioni umane, che gli amici non mancano di dirsi, lasciandosi: Non mi dimenticate; non vi dimenticherò giammai; e si scambiano degli oggetti, perché, malgrado la lontananza, la memoria si conservi sempre viva. Fra l’amor di Dio e le amicizie umane v’ha ciò di simile, che la memoria né segno, anima e vita. Il ricordarci di Dio essendo la prima legge del nostro essere, era proprio della divina saggezza darci un mezzo ad osservarla, e perché la legge era universale, il mezzo doveva esserlo parimente. Questa legge era per tutti, ricchi e poveri, dotti ed ignoranti, per gli uomini di piaceri e di pene; questo mezzo però doveva essere accessibile a tutti. Questa legge essendo fondamentale, questo segno doveva essere di grande efficacia. – Ho detto, mio caro Federico, che la legge del ricordarsi dell’amico è una legge fondamentale. La esposizione di questa parola ti mostrerà sotto nuova luce l’importanza del segno della croce. Quello ch’è il sole nel mondo fisico, l’è Dio, per ogni riguardo, ed ancora più nel mondo morale. Se il sole, invece di spargere sul globo i suoi torrenti di lume e di calore, ad un tratto si estinguesse, pensa tu stesso, quello che avrebbe luogo nella natura. All’istante medesimo la vegetazione si arresterebbe, i fiumi ed i mari si muterebbero in pianure di gelo, la terra diverrebbe dura come le rocce. Le bestie feroci, che la luce caccia nel fondo delle foreste, con spaventevoli urli si chiamerebbero a far strage dell’uomo, e la confusione e lo spavento padroneggerebbero quest’ultimo. Da per tutto regnerebbe la confusione e la disperazione, pochi giorni condurrebbero di nuovo il mondo al caos. Cosi, se il sole delle intelligenze dispare, tosto la vita morale si estingue; poiché tutte le nozioni del bene e del male si cancellerebbero, la verità e l’errore andrebbero confuse nel diritto del più forte ; avverrebbe un caos morale. Nel mezzo di queste fitte tenebre, tutte le orride cupidigie, ed i sanguinari istinti, assopiti nel cuore umano, si risvegliano, si comunicano, si sbrigliano, e, senza paura e senza rimorso, si disputano i mutilati lembi delle fortune, delle città e degli imperi. La guerra è in ogni dove: la guerra di tutti contro tutti, rende il mondo un vasto recinto di ladri ed assassini. – Questo spettacolo non si è mai presentalo allo sguardo umano, come mai gli si è mostrato l’universo senza l’astro che lo vivifica; ma quello che ha veduto è un mondo, in cui, simile al sole coperto di spesse nubi, l’idea di Dio non dà che un barlume incerto. Allora un brancolare continuo degli uomini fra la verità e l’errore; una moltitudine di sistemi fantastici ed immorali; le superstizioni crudeli e le passioni prendere il luogo delle leggi, i delitti quello delle virtù; il materialismo essere alla base, il dispotismo al sommo, l’egoismo da per tutto, ed ai combattimenti de’ gladiatori unirsi i festini di umana carne. – Tuttavolta la dimenticanza di Dio fosse minore presso gli Ebrei di quello che l’era presso i gentili, pure, presso di loro gli effetti erano analoghi. Per lo mezzo de’ Profeti ben venti volte il Signore attribuisce a questo delitto le iniquità ed i castighi di Gerusalemme, che era, come sai, il tipo de’ popoli. Ecco quel che dice il Signore: « Chi mai ha udito orrori simili a quelli che ha commessi la vergine d’Israele…. poiché essa m’ha dimentico. Tu ormi la tua sorella Samaria, ed io porrò nelle tue mani la sua coppa. Tu berrai la coppa di tua sorella, coppa grande e profonda: i popoli si befferanno di te. Tu sarai ebra di dolori, e del calice dell’amarezza, e della tristezza, del calice di tua sorella Samaria. Tu lo berrai, e lo sorbirai sino alla feccia, e ne divorerai i frammenti, e lacererai le tue viscere. Poiché tu mi hai dimenticato, e fatto da meno del tuo corpo, tu sentirai il tuo delitto e la pena di esso » [Gerem., XVIII, 13,15. — Ezech., XXIII. 31,35.— Is. VII, etc.]. Si può con maggiore energia caratterizzare i funesti effetti dell’abbandono di Dio! Ora l’enormità del delitto si misura dalla santità della legge, di che è violazione; il ricordarsi di Dio è dunque legge vitale della umanità. Dal che, argomenta tu stesso, l’importanza del segno della croce, destinato specialmente a tener vivo nella mente umana sì salutare ricordo. – Dissi specialmente, a disegno; poiché, questo segno è un vaso tutto pieno di divine rimembranze, che, eseguendolo, come vivificante liquore, penetrano sino al fondo dell’ essere umano. Ricordandomi necessariamente del Padre, sollevando il mio pensiero al Figlio, ed allo Spirito Santo, desse mi ricordano il Padre Creatore, il Figlio Redentore, lo Spirito Santo Santificatore. – II Padre, ricorda a te, a me, a quanti hanno uno spirito per comprendere, ed un cuore per amare, tutti i benefizi divini nell’ordine della creazione. Io esisto, ma a voi devo, o Padre, la vita base di tutti i beni naturali; vita, che voi mi avete data, preferendomi a tanti milioni di esseri possibili! A voi devo la conservazione di essa, e ciascun battito del mio cuore è un vostro benefizio; voi la rinnovellate ad ogni istante del dì e della notte. Voi la continuate da poi molti anni, non ostante le mie ingratitudini, ed il mal uso da me fatto di essa. Voi siete meco largo di un tal benefizio, preferendomi a tanti altri, che, nati con me, o dopo di me, sono già morti. Vostro benefizio è altresì quanto conserva, consola ed abbellisce la vita. Il sole che m’illumina, l’aria che respiro, la terra che mi sostiene, gli alimenti che mi nutriscono, gli animali che mi servono, le vestimenti da coprirmi, i farmaci per guarirmi, i mici parenti, gli amici, il mio corpo con i suoi sensi, l’anima con le sue facoltà, tutte le creature visibili ed invisibili, poste con tanta magnificenza a mio servizio, Padre Creatore, queste, son tutte dono vostro. – Il Figlio ricorda tutti i benefizii nell’ordine della Redenzione. Quando profferisco il vostro Nome, o Figlio adorabile, desso mi rapisce negli splendori dell’eternità, dove voi, eguale al Padre, assiso sullo stesso trono, siete felice d’una infinita beatitudine. Ma ad un tratto, mi trovo in una misera stalla, dove vi vedo povero fanciullo, mancante di tutto, tremante di freddo, disteso su dura paglia, riscaldato a pena dalle carezze materne, e dal fiato di due animali! Dalla stalla passo al Calvario. Quale spettacolo! Voi, o mio Dio, il Re de’ mondi, il Re degli Angeli e degli uomini, sospeso al patibolo fra il cielo e la terra, nel mezzo di due ladri, dilacerato nelle membra, coronato di spine, bruttato nel volto da sputi, e da grommi di sangue: e questo per amor mio. La croce mi conduce al tabernacolo. Innanzi al mio Dio annientato, al mio Dio divenuto mio pane, al cospetto del mio Dio divenuto mio prigioniero, e mio servo, che ubbidisce alla voce d’un fanciullo; avanti questo compendio di tutti i miracoli dell’amore la mia bocca diviene muta! Le lingue tutte degli Angeli e degli uomini tornano impotenti a profferire parola su di un mistero, che il solo amore infinito ha potuto concepire! – Lo Spirito Santo ricorda tutti i benefizii in ordine alla Santificazione. Il mondo tutto vi deve, o Amore consustanziale al Padre ed al Figlio! Desso vi deve il suo Redentore; qui conceptus est de Spiritu Sancto: desso vi deve Maria sua madre ; Spirìtus Sanctus superveniet in te: desso vi deve la santa madre Chiesa Cattolica, ch’è per me quello che Maria era per Gesù; credo in Spiritum Sanctum, Sanctam Ecclesiam. Le sue viscere mi hanno portato, il suo latte m’ha nutrito, e con i suoi Sacramenti mi fortifica, e guarisce. Ad essa io devo la comunione dei Santi, gloriosa società, che mette me povera creatura in stretto ed intimo rapporto con le gerarchie angeliche, e con tutti i Santi, da Abele sino all’ultimo degli eletti: ad essa devo la conservazione dell’Evangelio, luminosa fiaccola, e benefizio inestimabile, che ha tratto il genere umano dalla barbarie, e che gl’impedisce il ricadérvi! – Conosci tu un ricordo cosi fecondo e cosi eloquente come il segno della croce? Il filosofo, il politico, il cristiano dimandano, qualche volta, un libro per meditare; ecco quello, che può tutti rimpiazzare. Questo libro, intelligibile per tutti, da potersi leggere da tutti, gratuitamente dato, è fra le mani di tutti. Iddio così l’ha fatto: quel ch’è tatto da Dio è ben fatto. – L’imitazione. — Ricordarci di Dio è la prima legge del nostro essere. Tu vedi, mio caro Federico, l’importanza di questa legge, e come il segno della croce ci sia aiuto per osservarla. Imitar Dio è un’altra legge non meno fondamentale, che nessuno spirito assennato ha messo in dubbio. Ogni essere non è in dovere di sé stesso perfezionare? non è per questo, e solo per questo che la vita gli è data? La perfezione di un essere non è lo assomigliarsi al tipo su cui è stato modellato? La perfezione del quadro non è in ragione della espressione con che rende i tratti del modello? L’uomo è fatto alla immagine di Dio. Esporre in sé stesso tutti i tratti di questa divina immagine, senza assegnare altri limiti alla propria perfezione, che la perfezione del suo sublime modello, tal’è la legge del suo essere, ed il lavoro di tutta la sua vita. – « Io v’ho dato l’esempio, diceva Cristo, perché voi facciate come me ». Ed il suo grande Apostolo: « Siate miei imitatori come io lo sono del Verbo incarnato: guai a chi non sarà trovato simile al tipo divino ». Ora nulla v’ha che possa meglio guidarci in questa via d’imitazione come la croce. Che cosa fa l’uomo formandola? Egli pronunzia il nome di Dio; perché il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, tre persone distinte in una sola e medesima divinità, sono Dio. Dicendo il nome di Dio, all’uomo il segno della croce gli presenta il suo eterno modello, l’essere per eccellenza, in cui sono le perfezioni tutte in grado eccellente. E del pari, ripetendo i nomi di ciascuna persona dell’augusta Trinità, propone alla nostra imitazione le perfezioni proprie di esse. – Nel Padre la potenza divina; e mi dice: Tu devi imitare la potenza del Padre Creatore, e moderatore di ogni cosa, nel governo di te stesso, e del mondo, con l’impero sulle tue passioni, su le massime, gli usi, gl’interessi, i modi, le minacce, le promesse contrarie alla libertà ed alla dignità di un figlio di Dio, Re come suo Padre. – Nel Figlio la saggezza infinita; e mi dice: Tu devi imitare la saggezza del Figlio con la giustezza de’ tuoi giudizi e delle tue appreziazioni, col preferire invariabilmente l’anima al corpo, l’eternità al tempo, il dovere ai piaceri, la ricchezza che non vien meno, alla passeggera e transitoria. – Nello Spirito Santo l’amore infinito; e mi dice: Tu devi imitare la carità dello Spirito Santo col disciplinare, nobilitare le tue affezioni; strappando dal tuo cuore fin dalle fibre le più profonde l’egoismo, la gelosia, l’odio, e tutti i vizii, che producono internamente la degradazione, ed il disturbo all’esterno. – Che ne pensi tu? Non è il segno una guida eccellente? Qual professore di filosofia può gloriarsi di mostrare con modo più chiaro, a ciascuna facoltà dell’anima, la maniera di sé stessa perfezionare? Nondimeno, noi non conosciamo che una parte de’ suoi insegnamenti: domani tu vedrai gli altri.

LETTERA VENTESIMAPRIMA.

18 dicembre.

Caro Amico, in grazia del segno della croce, ciascuna delle Persone dell’adorabile Trinità è d’innanzi a noi, e lasciasi copiare. Desse, sotto il gran nome di Dio, offrono alla nostra imitazione tutte le perfezioni insieme raccolte. Io ne scelgo due, che, brillando a gran lustro, è mestieri imitare di presente più che in ogni altro tempo: la santità, e la carità.

La santità. — Santità vuol dire unità, esenzione di tutto ch’è straneo. Dio è santo perchè uno; e l’è tre volte, perché tre volte uno. Uno in potenza, perché essa è infinita; uno in saggezza, perché essa è infinita ; uno in amore, essendo questo infinito. In Dio nulla limita né altera questa triplice unità; epperò santo, perfettamente, completamente santo in sé stesso. – Egli lo è nelle sue opere; in nessuna di esse potendo Egli soffrire la riunione colpevole, il disordine, o, per dirlo col suo nome, il peccato. Gli angeli cacciati dal Cielo e l’uomo dal Paradiso terrestre, il mondo allagato dal diluvio, Sodoma consunta dal fuoco, l’impero romano scrollato da’ colpi de’ Barbari, la vittima del Calvario crocifissa fra due ladri, le calamità pubbliche e private, l’inferno con il suo fuoco eterno, sono tutte testimonianze della santità di Dio nelle sue creature. – Grande lezione, che m’insegna di continuo il segno della croce! Io nol posso eseguire senza ch’esso mi dica: Immagine di un Dio santissimo, ed inesorabilmente santo, tu devi esserlo perfettamente ed inesorabilmente nella tua memoria, nella tua intelligenza, e nella tua volontà. Santo nell’anima e nel mio corpo, in me stesso, e nelle mie opere, solo o in compagnia, giovane o vecchio, forte o debole, santo in tutto, da per tutto, e sempre; poiché è questa la sublime unità che devo in me realizzare. O uomo, esclama Tertulliano, tu sarai grande, se arrivi a comprendere te stesso: O homo, tantum nomen, si intelligas te! – Ciò non è tutto: io devo attuare fuor di me nel mio esteriore questa santità, come Dio esternamente la realizza nel creato; su quanto mi circonda deve splendere la santità, o unità di mia vita. Esempi, parole, preghiere, tutto in me deve esser tale, da poter allontanare il male, il dùellismo dal mio prossimo, immagine di Dio come me, ed al pari di me creato per l’unità. In questo dovere, sì vivamente ricordato dalla croce, prendono loro origine i prodigi dei sacrifizi, che di continuo rinascono nel seno del cattolicismo. Dimanda a’ nostri apostoli dell’uno e l’altro sesso, qual cosa mai li meni al sacrifizio delle intelligenze le più nobili, delle vite le più pure, e del sangue il più generoso. Tutti ti risponderanno, la parola del Maestro: “Noi abbiamo intesa la parola del Verbo redentore, che ordinava si contrassegnassero tutte le membra dell’umana famiglia col segno della Trinità. Questa parola immortale come Lui, risuona nel fondo del nostro cuore, e dove v’ha una fronte da segnare del segno liberatore, noi accorriamo, lavoriamo, moriamo! Ascolta il generalissimo di queste legioni eroiche, il S. Paolo de’ tempi moderni. Tu sai, che per i suoi giganteschi lavori questo uomo straordinario conquista un mondo alla civiltà ed alla fede; ma qual molle potente rafforzava il suo coraggio, e quello de’ suoi successori, sino alla temerità, ed il desiderio sino all’entusiasmo ed alla pazzia? O sanctissima Trinitas. O santissima Trinità! Questo grido di guerra sì frequente sulle sante labbra del Saverio, come la sua respirazione, ti rivela il pensiero comune. — Col suo sguardo illuminato dalla fede l’Apostolo ha considerato i popoli dell’India, della Cina, e del Giappone; e li ha visti assisi nelle ombre della morte, contrassegnati del disonorevole segno della bestia, e mancanti del glorioso carattere della Trinità. A vista di sì immensa degradazione il suo zelo s’infiamma, e dal suo petto scappa fuori il grido di guerra : O sanctissima Ttinitas, o Trinità! è onta per voi, e sventura per l’opera vostra! E perché le sfigurate immagini fossero riparate imprimendo su tutte le fronti il segno divino, Saverio si slancia da gigante, e lo spazio dispare sotto la corsa de’suoi piedi. Egli si beffa de’ pericoli, e non conosce altri limiti per la sua ambizione riparatrice, che quelli del mondo; anzi, il mondo stesso tornava piccolo per lui, e lo corse tanto da farne tre volte il giro (Vita di s. Fr. Sav. t. II, lib. VI, p. 808-813); e, se la morte non gli consente percorrerlo in tutte le direzioni, egli mostra a’ suoi successori le nazioni da conquistare. II suo desiderio è compreso.— Migliaia di apostoli trasportati sulle ali de’ venti, come dice Fenelon, arriveranno in tutte le isole, nel fondo delle foreste, su tutte le spiagge, per quanto lontane ed inospitali si fossero. Prima loro cura sarà il segnare del segno santificante la fronte dell’ uomo degradato sino all’antropofagia, al grido del loro capo: O sanctissima Trinitàs! Che tale sia il motivo che anima i conquistatori dell’evangelio, n’è prova, che il loro ministero è tutto nel segnare le infedeli nazioni del suggello delle adorabili persone, e nel mantenere inviolabile la divina somiglianza. – Il segno della croce fa di più ancora, santifica quanto tocca: gli uomini e le cose. Ora santificando le creature, dopo aver santificalo l’uomo, la guida divina mena tutto al suo fine; cosicché è articolo di fede universale, che i segni religiosi hanno il potere di modificare le creature inanimate, e noi lo abbiamo veduto precedentemente. – La verità di tale credenza è garantita dalla sua universalità, e la grande maestra della verità la reputa come parte del deposito affidato alle sue cure, e ciascun giorno la insegna e la pratica. Da poi diciotto secoli in tutte le parti del globo, la Chiesa Cattolica santifica col segno della croce l’acqua, il sale, l’olio, il pane, la cera, le pietre, il legno, le creature insensibili. – Che cosa vuol dire teologicamente che il segno della croce santifica l’uomo e le creature? In riguardo dell’uomo non pretendo che il segno della croce conferisca la grazia santificante, o che sia strumento atto a conferirla come i sacramenti: ma voglio dire, che comunica una specie di santificazione simile a quella de’ catecumeni, su i quali si fa il segno della croce innanzi ricevano il battesimo; poiché, dice santo Agostino, che v’hanno diverse sorti di santificazione [“Non unius modi est santificatio; nam et cathecumenum secundum quemdam suum modum per signum Christ! et manus impositione puto sanctificari. lib. II. de Peccat. merit, et remiss, c. CXXVI. – Il segno della croce è un atto a cui Dio attacca l’applicazione de’ meriti del suo Figlio come alla elemosina, che, per comune credenza, ò buona, pia, salutare e santificante, tuttavolta non abbia la virtù del battesimo, e della penitenza. – In quanto poi alle creature, santificarle non è dare, od aggiungere ad esse una qualità fisica ed inerente; ma è un ricondurle alla loro purità nativa, e comunicarle una virtù superiore alla naturale. II perché v’hanno due effetti della santificazione. Il primo, le purifica sottraendolo alle influenze del demonio: il secondo, le rende atte a produrre effetti superiori alle forze naturali di esse. Siffattamente purificate, diventano nelle mani dell’uomo strumenti di salute, armi contro il demonio, preservativi contro i pericoli dell’anima e del corpo. Si potrebbero ben apportare molti fatti miracolosi, pubblici e privati,antichi e moderni, dovuti a queste creature insensibili santificate dal segno della croce; ma per amor di brevità li tralasciamo. Solo avvertiamo, che se le giovani generazioni degli studenti a vece di brontolar favole pagane di Roma e della Grecia, studiassero la Storia della Chiesa, ed i fasti de’ Santi, i tuoi compagni conoscerebbero de’ fatti ben più singolari di quelli di Alessandro e di Socrate, per Io mezzo delle cose benedette operate [Gretzer p. 896 et seg.] – Non è per sola imitazione della santità di Dio, ma altresì per quella della carità, che il segno della croce, guida eloquente e sicura, ci mena, ci sorregge, e spinge nella nostra via. La Carità. — Dio di cui siam figli, e che dobbiamo imitare è carità, “Deus charitas est”. Questa parola dice tutto, dice quello che Dio è in sé stesso, e nelle sue opere. Il Padre essendo Dio, è carità; il figlio perché Dio, l’è parimente; lo Spirito Santo comecché Dio, non può non esserlo: la Trinità tutta è carità. Conosci tu un nome più bello di questo? E questo nome è ripetuto al nostro cuore ciascuna volta che eseguiamo il segno della croce. – Carità vuol dire unione ed effusione. Fra le tre Persone-divine tutto è unione ed unità: unità di pensieri, unità di operazione, unità di felicità e di essenza. L’ombra stessa di disaccordo non può turbare questa perfetta, ineffabile armonia; poiché uno ed istesso amore, amore perfetto, eterno ed inalterabile, è il legame delizioso della Trinità. Effusione, essenzialmente comunicativa è la carità; epperò tende a diffondersi esteriormente, e la carità divina con forza ed abbondanza infinita. Ora, le opere di Dio sono la creazione, la conservazione, la redenzione, la santificazione, e la glorificazione. Cosi creare è amare, conservare l’è parimente; riscattare non è altro per fermo; santificare l’è altresì; glorificare è ancora amare. Ogni carità viene dal cuore. Conosci tu un nome più delizioso? E questo c’è detto ogni volta, che facciamo il segno-delia croce. – Dio è carità. Questa parola dice a tutti i membri della umana famiglia di qualsiasi età e condizione, quello che dobbiamo essere: immagine di Dio, noi dobbiamo somigliarGli. SomigliarGli è esser carità in noi stessi, e nelle nostre opere. In noi stessi; per lo mezzo sopranaturale della grazia, che unisce fra loro tutte le nostre facoltà, le nobilita, fortifica le une colle altre, e le fa intendere allo stesso scopo, ed attuare in noi la somiglianza perfetta con Dio. Nelle nostre opere; unendoci a tutti gli uomini, per divina ragione come membra dello stesso corpo, facendo’ battere il nostro cuore all’unisono col loro; spargendosi diffusamente su tutto, che loro appartiene, realizza l’ultimo voto del divino maestro: «Padre, ch’eglino siano uniti, come noi lo siamo. » – Mi arresto a questi brevi cenni, o Federico, tu potrai ben svilupparli. Essi bastano a mostrare l’importanza del segno della croce come guida: ma se i tuoi compagni avessero la sventura di dubitarne, presenta loro le seguenti quistioni: È vero, si, o no, che nulla v’ha di più atto del segno della croce, a ricordarci di Dio, e della Trinità? È vero, sì, o pur no, che l’uomo è fatto ad immagine di Dio? È vero, si o no, che il primo dovere, e la tendenza naturale di qualsiasi essere è di riprodurre in sé il tipo su cui è stato fatto? – È vero, si o no, che l’uomo che non agogna a formare in sé l’immagine di Dio, egli s’informa all’immagine del demonio, e delle sue sregolate passioni; dimodoché, se non diviene di giorno in giorno più santo, più caritatevole, più di Dio, egli diviene, di giorno in giorno, più perverso, più egoista, più del demonio, più bestia, anitnalis homo? – È vero si o pur no, che l’uomo tende di continuo, a sua saputa ed insaputa, a rendere tutto a sua immagine, e che da questa azione permanente procede la santificazione, o la perversione, l’ordine o il disordine, la salute o la rovina degl’individui, delle famiglie, delle società, delle credenze e de’ costumi? – Per poco ch’eglino abbiano di logica, e soprattutto d’imparzialità, la loro risposta, non ne dubito, sarà quella che dev’essere. Eglino diranno con noi, che niente è meglio fondato, o per parlare come oggidì è in uso, niente è più profondamente filosofico dell’uso frequente del segno della croce. Eglino continueranno dicendo, che, non i primi cristiani, né i veri fedeli di tutti i secoli, né la Chiesa Cattolica, né, in fine, il fiore della umanità caddero in errore, conservando invariabilmente l’uso di questo segno misterioso. Eglino conchiuderanno, che l’errore, il torto, e la vergogna stanno per gli sprezzatori di questo segno; poiché col non eseguirlo, col vergognarsi di farlo, e beffandosi di quelli che lo praticano, si cacciano nel fango della umanità, si rendono inferiori a’ pagani, si assomigliano alle bestie. Qual cosa mai resta per essi e per noi? Le mie ultime lettere te lo apprenderanno.

S. CLEMENTE I PAPA E MARTIRE

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S. CLEMENTE I PAPA E MARTIRE

23 NOVEMBRE

Nacque S. Clemente circa l’anno 30 dell’era volgare in Roma da genitori oriundi della Palestina. Dopo aver trascorso la giovinezza nella più fedele osservanza della religione paterna, quando l’Apostolo Pietro venne in questa città a portare la parola del Vangelo, fu tra i suoi primi discepoli e ben presto si distinse fra tutti per fedeltà e integrità di costumi. Più tardi l’Apostolo lo consacrò Sacerdote per averlo compagno nel sacro ministero. – Dopo la morte del Principe degli Apostoli, i cristiani lo volevano innalzare subito alla dignità di Pietro, ma egli se ne stimò indegno e fece cadere l’elezione prima su Lino, quindi su Cleto. Ma quando la vita di questi venne troncata dai feroci carnefici dell’imperatore Domiziano, Clemente fu costretto ad accettare l’onerosa carica. Fu Papa, Papa zelantissimo, di tempra infrangibile, di oratoria e penna efficacissime: a lui dobbiamo pure i preziosi atti di tanti gloriosi martiri, avendo egli ordinato a sette notari di raccoglierli per iscritto. – La sua grande attività non sfuggì ai persecutori. Traiano lo voleva indurre al silenzio minacciandogli la vita; l’eroe non si spaventò, anzi tenendo sempre davanti il sublime esempio di Pietro e di Paolo, lavorava con tutto lo slancio per guadagnare anime a Cristo, per meritarsi la corona immarcescibile e la palma della vittoria. – E la minacciata condanna venne. Tratto in arresto, fu condannato ai lavori forzati nel Chersoneso. Nelle cave di quel luogo trovò tanti suoi figli che per la comune causa avevano subito la stessa condanna. Duemila e più cristiani, sotto la sferza degli aguzzini, privi di tutto persino di un po’ di acqua con cui bagnare le arse labbra e rinfrescare gli infuocati petti, soggiacevano ai più tormentosi e duri lavori. Il cuore del Padre straziato pel dolore di tanti figli, alzò fidente la sua preghiera a Dio, e un Angelo apparendogli su di un vicino colle, gl’indico che colà sarebbe scaturita l’acqua. Accorsero i minatori al luogo indicato e trovarono la bevanda refrigerante. – Alla novella del prodigioso miracolo avvenuto per intercessione di Clemente, numerosissimi pagani abbracciarono la religione cristiana che aveva un Dio tanto potente e tanto misericordioso. Ma s’indurì invece il cuore di Traiano, e ordinò che il venerando capo dei cristiani fosse gettato nel mare con un’ancora appesa al collo. – Ma ecco un nuovo strepitoso prodigio. Non appena le acque ebbero inghiottito quel corpo ormai sfinito, spinte da forza arcana si ritirarono impetuosamente dalla riva e sul fondo dell’abisso apparve un preziosissimo monumento sepolcrale di bianchissimo marmo. Gli astanti, stupefatti, mirarono il miracoloso sarcofago, ma la loro meraviglia cresce ancor più, quando il cadavere dell’intrepido vegliardo, scivolando dal seno delle acque guidato da mano angelica, va a giacersi nella tomba marmorea. Subito le acque ritornano a ribaciar i lidi e la folla abbandona la spiaggia; ma mentre i cristiani partono lodando e ringraziando il Signore che volle così strepitosamente esaltare l’umile suo servo, tra i pagani nascono vive discussioni e molti si decidono ad entrare nell’ovile di Cristo. – Le reliquie del glorioso Pontefice riposano ora in Roma nella basilica eretta in suo onore, portatevi dai santi fratelli Cirillo e Metodio.

FRUTTO. — Clemente docilissimo e umilissimo discepolo dei ss. Apostoli Pietro e Paolo, di vita verginale, voglia concedere anche a noi questi doni.

ORAZIONE — O Dio, che ci allieti ogni anno con la solennità del tuo beato Martire e Pontefice Clemente: concedi propizio, che mentre ne celebriamo il natalizio, ne imitiamo ancora la fortezza dei martirio.

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Omelia di S. Leone papa

Sermone 2, nell’anniversario della sua ascesa, prima di metà

Come ci riferisce la lettura evangelica. Gesù Lui interrogò i discepoli che cosa pensassero di in mezzo a tanti pareri diversi. E san Pietro rispose: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”. Allora il Signore gli disse: “Beato te, o Simone, figlio di Giona, perché questo non ti è stato rivelato dalla carne o dal sangue, ma dal Padre mio che sta nei cieli. Perciò io ti dico che tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte dell’inferno non prevarranno mai contro di essa. E a te darò le chiavi del regno dei cieli, e qualunque cosa avrai legata sulla terra, sarà legata anche nei cieli, e qualunque cosa avrai sciolta sulla terra, sarà sciolta anche nei cieli”. L”ordine stabilito da Gesù Cristo rimane ancora; e san Pietro, che ha conservato fino ad oggi la solidità della pietra, non abbandonò mai il governo della Chiesa di cui fu incaricato. – Nella Chiesa intera, infatti, ogni giorno Pietro dice: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”; ed ogni lingua che riconosce il Signore viene istruita col magistero di tale voce. Tale fede sconfigge il diavolo e scioglie i legami di coloro che egli tiene prigionieri. Essa fa entrare nel cielo coloro che ha strappato alla terra e le porte dell’inferno non possono prevalere contro di essa. È stata infatti per potenza divina munita di una tale saldezza che mai la potrà corrompere la malvagità degli eretici né la potrà superare la perfidia dei pagani. Con tali disposizioni dunque, dilettissimi, e con razionale ossequio si celebri la festività odierna: affinché nell’umiltà della mia persona venga riconosciuto e onorato Colui, nel quale continua la cura che tutti i pastori hanno nella custodia delle pecore loro affidate e la cui dignità non viene meno per l’indegnità dell’erede.

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Anche oggi la Santa Chiesa Cattolica ci propone la festa di un Papa martire, vissuto in esilio fino alla sua morte, l’ennesimo Papa in esilio, come oggi è per il nostro Sommo Pontefice, Papa Gregorio XVIII, costretto all’esilio da una masnada di apostati e marrani, mossi dalla piovra giudaica. È stato questo il destino pure di Gregorio XVII, cardinal Siri, tenuto in ostaggio per 31 anni, sorvegliato a vista da “finti segretari”, in realtà carcerieri sguinzagliati dagli usurpanti il sacro soglio. Ma … Qui habitat in caelis irridebit eos, et Dominus subsannabit eos. …, e proprio questo ha perpetuato la “vera” successione apostolica e suggellato la sopravvivenza della Chiesa eclissata. Che san Clemente interceda per noi perché possiamo quanto prima assistere, tripudianti, alla Chiesa di Cristo nuovamente trionfante sull’astro informe ed orrido che ancora la costringe nelle catacombe e nei sotterranei.

LA CRESIMA [di Michael Muller] (1)

DIO il Maestro dell’umanità:

Una chiara ed esauriente spiegazione della Dottrina Cristiana da:

LA GRAZIA ED I SACRAMENTI: BATTESIMO, CRESIMA, ESTREMA UNZIONE, ORDINE SACRO E MATRIMONIO.

MICHAEL MULLER, C. SS. DI MICHAEL MULLER, C. SS. R. R.

NEW YORK, CINCINNATI, AND ST. NEW YORK, Cincinnati e St. LOUIS

BENZIGER BROTHERS, LOUIS Benziger Brothers,

Tipografi DELLA SANTA SEDE APOSTOLICA, 1882.

imprimatur:

THOMAS FOLEY, Vescovo amministratore di Chicago

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CAPITOLO V.

Sulla CRESIMA -1-

Quando un re prepara i soldati a fare la guerra, deve innanzitutto armarli per poter combattere. Sarebbe del tutto insensato mandarli a combattere senza armi. Egli sacrificherebbe semplicemente i suoi uomini inutilmente, e li voterebbe ad inevitabile sconfitta. Dio agisce sicuramente con saggezza almeno pari: “Lui non chiama,” dice S. Bernardino da Siena, “senza dare, allo stesso tempo, a coloro che Egli chiama, tutto ciò che è necessario per raggiungere il fine per cui sono chiamati. ” (Serm. I, di S. Giuseppe). Ora, col Battesimo, sono stati arruolati i soldati dell’esercito di Cristo. Noi siamo stati chiamati da Dio Onnipotente a condurre una vita santa. Siamo stati chiamati a combattere e sconfiggere le nostre cattive inclinazioni, gli esempi malvagi del mondo, e le tentazioni del demonio! In questa santa guerra, abbiamo bisogno di armi, vale a dire, la forza soprannaturale per difenderci contro tutti i nostri nemici e poterli sconfiggere. – Da bambini, i nostri doveri, le nostre tentazioni, le nostre fatiche, erano pochi, e un piccolo grado di grazia ci ha permesso di rispettarle fedelmente. Ma, dal momento che siamo cresciuti, le nostre passioni sono diventate più forti, le nostre lotte più grandi, e le nostre tentazioni più violente. Per rispondere a queste crescenti difficoltà, abbiamo bisogno di una nuova fornitura onde rafforzare la grazia, una nuova benedizione di Dio Onnipotente. E Cristo ha ripetutamente promesso questa benedizione a tutti i suoi seguaci, e per questo vien dato loro lo Spirito Santo: “Io pregherò il Padre “, disse ,« che vi darà un altro Paraclito (Consolatore), perché stia con voi per sempre. ” (S. Giov. XIV, 16). Per questo Cristo benedicente comandò ai suoi discepoli di attendere prima di fare guerra ai loro nemici: “… restate in città, finché non sarete rivestiti di potenza dall’alto” (S. Luca XXIV, 49), come se volesse dire: “miei cari Apostoli, siete battezzati, è vero, avete ricevuto la grazia dello Spirito Santo, ma non siete abbastanza forti per confessare il mio Nome: non siete perfetti ed abbastanza coraggiosi da superare tutte le tentazioni della carne, del mondo, e del diavolo: quindi andate e non combattete prima che vi invii voi dal cielo le armi spirituali, con le quali potete essere in grado di difendervi da tutti i vostri nemici. – Nella festa di Pentecoste il nostro diletto Salvatore ha inviato con abbondanza la benedizione promessa ai suoi Apostoli. Ha mandato su di essi lo Spirito di Verità per illuminarli sulle verità della salvezza, per incoraggiarli ad annunciare queste verità in tutto il mondo, per difenderla ed infine dare la vita per Lui. – Ora era volontà di Gesù Cristo, che questo stesso Spirito divino dovesse pervenire a tutti i suoi veri seguaci, non certo nel modo in cui era venuto sugli Apostoli, ma mediante il sacramento della confermazione.

Che cos’è la confermazione?

La Cresima o Confermazione è il Sacramento attraverso il quale riceviamo lo Spirito Santo, al fine di diventare cristiani forti e perfetti. – Dopo il battesimo, nell’ordine dei Sacramenti, viene subito la confermazione. Questo sacramento era chiamato il sigillo, o firma, o il sigillo spirituale , il sigillo del Signore, perché coloro che vengono confermati ricevono un sigillo o marchio impresso sulle loro anime.“Non rattristate lo Spirito Santo di Dio», dice S. Paolo, “per mezzo del quale siete stati suggellati per il giorno della redenzione.” (Efes. IV, 30.) Questo sacramento è stato chiamato anche: l’imposizione delle mani, perché è così descritto negli Atti (XIX, 6). Esso è stato chiamato anche: l’unzione, l’unzione con il crisma, il crisma di salvezza, o semplicemente il crisma, nome che conserva ancora tra i greci. Ma attualmente questo sacramento è chiamato confermazione. – La parola conferma significa la ricezione di una forza, perché questo Sacramento rafforza e fortifica il ricevitore degno di tutte le grazie che ha ricevuto nel battesimo. For this reason confirmation is considered as the completion of baptism, increasing and confirming, as it does, that work which baptism began in us. Per questo motivo, la conferma è considerato come il completamento del battesimo, accrescendo e confermando, come fa, il lavoro iniziato in noi col Battesimo. Così è considerato dalla Chiesa, come è evidente dalle parole contenute nell’ordine di amministrazione di questo Sacramento: ” … confirma hoc, Deus, quod operatus es in nobis” [Confermate, o Signore ciò che hai operato in noi] Ps. LXVII, 29. Anche se gli Apostoli erano stati battezzati, eppure sono rimasti deboli nella pratica della virtù fino a quando lo Spirito Santo scese su di loro e rese completato il lavoro iniziato in loro per mezzo del Battesimo. – Anche se la confermazione è il completamento del battesimo, essa però è un Sacramento ben distinta da esso; per questo i due Sacramenti differiscono fra loro nella loro materia e forma, nel loro ministro ordinario, e, soprattutto nei loro effetti. Con il Battesimo nasciamo alla vita divina della grazia.. Con la Confermazione siamo fortificati per diventare perfetti cristiani nella vita della grazia. (Efes. IV, 13.) Nel Battesimo siamo arruolati come soldati dell’esercito di Cristo.. Nella Confermazione riceviamo le nostre armi spirituali, per cui siamo mandati in una guerra vera e propria. Lo Spirito Santo è dato nel Battesimo, per purificarci dal peccato e renderci innocenti. La Confermazione ci viene data, per renderci perfetti nella virtù. Tutto questo è evidente dalla Sacra Scrittura: “Quando gli apostoli, che erano a Gerusalemme, avevano sentito che la Samaria aveva accolto la parola di Dio, vi mandarono Pietro e Giovanni che, quando giunsero, pregarono per loro perché ricevessero lo Spirito Santo perché non era ancora venuto su alcuno di essi … ma erano stati soltanto battezzati nel nome del Signore Gesù. Allora imposero loro le mani e ricevettero lo Spirito Santo”. (Atti VIII, 14-17.) In questo passaggio notiamo la distinzione precisa tra il Battesimo e la Confermazione: “Essi non avevano ricevuto lo Spirito Santo, perché erano stati soltanto battezzati:” il segno sacramentale, l’imposizione delle mani ha prodotto la grazia.; “Essi hanno ricevuto lo Spirito Santo, ed il ministro del sacramento non è stato il diacono Filippo, o i discepoli che avevano battezzato i samaritani, ma gli Apostoli. In un passo successivo (Atti XIX), S. Paolo ha trovato a Efeso dei discepoli, cioè, degli uomini fermamente convertiti alla dottrina di Cristo, ed ha chiesto loro: “Avete ricevuto lo Spirito Santo?”. Ed essi hanno risposto di no, perché non erano stati sufficientemente istruiti: “Non abbiamo nemmeno sentito dire che ci sia uno Spirito Santo”. L’apostolo così, completato la loro istruzione, dopo averli battezzati, impose le mani su di loro, ed essi ricevettero lo Spirito Santo, il dono delle lingue e la profezia. Ci sono anche molte testimonianze dei Padri per dimostrare che la confermazione è un Sacramento distinto dal Battesimo. San Cipriano dice: “La nostra usanza è che coloro che sono stati battezzati nella Chiesa debbano essere presentati ai vescovi affinché, con la nostra preghiera e l’imposizione delle mani, possono ricevere lo Spirito Santo.” (Epist. 73 ad Jubaianum.). – Papa San Cornelio, parlando di Novaziano, dice di questo scismatico, che egli, dopo il Battesimo, “non era stato presentato al Vescovo per ricevere da lui il sigillo sacro (confermazione), che sola dà lo Spirito Santo.” (Apud. Euseb., HE, l. vi, c. 43.). Da questi passi della Sacra Scrittura e degli scritti dei Padri della Chiesa, è evidente che la Confermazione è un vero e proprio Sacramento, distinto dal Battesimo, come la Chiesa cattolica ha sempre insegnato e creduto. – Egli quindi ha condannato la falsa asserzione di eretici che la Confermazione sia solo una cerimonia o un corso di istruzione nella dottrina cristiana, che i bambini possono ricevere quando sono giunti all’età della ragione. Questa condanna è espressa con le seguenti parole dal Concilio di Trento: ” Se qualcuno afferma che la confermazione dei battezzati è una vana cerimonia , e non, invece, un vero e proprio sacramento o che un tempo non è stata altro che un tipo di catechesi, per cui quelli che si avvicinavano all’adolescenza rendevano conto della propria fede dinanzi alla Chiesa: sia anatema.” – La Sacra Scrittura, però, non ci informa del momento esatto in cui il nostro Signore ha istituito questo Sacramento, ha nominato la sua materia o segno esteriore, la sua forma, o le parole da utilizzare nella sua amministrazione, e ha promesso le grazie particolari date da esso. – Si ritiene generalmente che è stato dopo la risurrezione, quando ha istruito i suoi Apostoli circa le cose appartenenti al regno di Dio. (Atti I, 3.). – Come nel Battesimo, così troviamo nella Confermazione i tre elementi che sono necessari per realizzare un Sacramento. – Abbiamo nella Confermazione un segno sensibile, un rito esteriore, che esprime esteriormente la particolare grazia che Dio infonde nell’anima del ricevente degno di questo Sacramento. Questo segno sensibile, o la materia della Confermazione, è l’imposizione delle mani, insieme con l’unzione con il crisma.. Quando gli apostoli Pietro e Giovanni, scesero in Samaria per confermare i discepoli, il Sacramento è descritto come realizzato mediante l’imposizione delle mani. (Atti VIII, 17). Il vescovo quindi prima impone le sue mani, in generale, su tutti coloro che sono da confermare, e poi unge ciascuno in particolare con il sacro crisma. – Il crisma è il più sacro dei tre oli santi, che sono solennemente benedetti dal vescovo il Giovedì santo. Esso è fatto di olio di olive, misto a balsamo. – Che il crisma sia cioè parte della materia della Confermazione, lo sappiamo dalla pratica costante della Chiesa nell’amministrare questo Sacramento. – “Anche deve essere necessariamente unto”, dice san Cipriano, “chi è battezzato, in modo che, dopo aver ricevuto il crisma, – vale a dire, l’unzione, – egli possa essere l’unto di Dio, ed avere dentro di sé la grazia di Cristo”. (Epist. 70 ad Januar.) (Epist. 70 ad Januar.). – La forma di questo sacramento deve essere materialmente costituita dalle parole usate dal vescovo mentre opera l’unzione sulla fronte della persona da confermare: “Io ti segno con il segno della croce, e ti confermo con il crisma della salvezza, nel nome del Padre e del Figlio, e dello Spirito Santo.” Tutto questo realizza il segno esteriore o la parte visibile del sacramento della confermazione. – Poi c’è anche la grazia interiore, o quella parte che, invisibile, è operata da Dio, vale a dire che: all’anima è dato in modo particolare lo Spirito Santo con i suoi doni. Pertanto si dice nella Sacra Scrittura: “Gli apostoli (Pietro e Giovanni) hanno pregato per loro (i Samaritani) perché ricevessero lo Spirito Santo, poi imposero loro le mani, ed essi ricevettero lo Spirito Santo”. (Atti, VIII, 15-17). – Come in altri Sacramenti, la materia rappresenta e significa l’effetto del sacramento, quindi è qui. L’imposizione delle mani infatti rappresenta la comunicazione dello Spirito Santo all’anima. La mano è lo strumento ed il segno di forza, e nella Sacra Scrittura la potenza di Dio è chiamata. la mano. (Dt. VII, 8). L’imporre le mani a qualcuno, significa richiamare su di lui la forza e la potenza di Dio. – L’unzione della fronte con il crisma rappresenta la natura e la pienezza della grazia ricevuta dall’unzione interiore dello Spirito Santo. – L’olio di cui il crisma è composto ha alcune qualità peculiari. Esso scorre facilmente, si diffonde e penetra, e quindi rappresenta la grazia della confermazione che entra nell’anima e si diffonde in tutte le sue potenze. L’olio è una sostanza fluida e leggera. – Come tale essa rappresenta lo spirito di mansuetudine, di pazienza in tutte le prove. Il balsamo di cui il crisma è anche composto, emana un odore dolce, e possiede le qualità che gli permettono di preservare le cose che possono deteriorarsi. Esso rappresenta quindi le virtù cristiane che questo Sacramento ci permette di praticare, e che sono indicate nella Scrittura come: “Un odore di dolcezza al cospetto dell’Altissimo”. (Ecclis. XXIV, 23.). Queste virtù, come un balsamo, hanno una forte influenza nel preservare gli uomini dalla corruzione, spargendo inoltre, come fanno, una dolce fragranza su tutti coloro che ne vengono coinvolti. (2 Cor. II, 15.).

Istituzione di Cristo. Che questo sacramento è stato istituito da Cristo è evidente dal fatto che gli Apostoli hanno amministrato, come mezzo di attacco speciale, lo Spirito Santo a coloro che erano stati battezzati. E ‘anche evidente dal fatto che la Chiesa ha escluso dalla sua comunione tutti coloro che rifiutano di credere nella Confermazione come un Sacramento istituito da Gesù Cristo. (Concilio di Trento, Sess. VII.) – Il successivo punto da spiegare è che nella conferma riceviamo lo Spirito Santo. Senza alcun dubbio il primo e più prezioso beneficio della Confermazione è il dono che lo Spirito Santo fa di se stesso. Sì, lo Spirito di Dio, lo Spirito che procede dal Padre e dal Figlio come da Uno e medesimo principio; lo Spirito che parla per mezzo dei profeti, che fa miracoli, rivela il futuro, abbraccia le profondità di Dio, concede doni a suo piacimento; lo Spirito che conosce tutte le cose, può tutto, governa tutte le cose, lavora alla santificazione dell’uomo, per la risurrezione della carne – questo Spirito è dato al ricevente degno di conferma. Egli fissa la sua dimora nell’anima che possiede con la sua presenza. Ma questo Spirito divino non stabilisce la sua dimora in un’anima ben preparata, senza arricchirla di tesori inestimabili. Questi preziosi favori sono virtù, doni, frutti e beatitudini. Egli comunica all’anima le virtù teologali di una fede viva, di una fiduciosa speranza, e di una carità ardente, insieme alle virtù morali della saggezza, della comprensione, conoscenza, prudenza, che liberano la mente alla conoscenza e all’amore per la verità; ed inoltre le virtù della giustizia, fortezza e temperanza, che inducono alla volontà di fare il bene ed evitare il male. I doni che lo Spirito Santo dona sono certe abitudini soprannaturali che dispongono l’anima a praticare le virtù morali in un grado elevato. Poiché tali virtù sono sette, ugualmente contiamo sette doni dello Spirito Santo. I doni della saggezza, l’intelletto, la sapienza ed il consiglio, ci aiutano a praticare in modo eccellente le virtù della saggezza, della comprensione, della conoscenza e della prudenza; e i doni della pietà, della fortezza, e del il timore di Dio, ci danno la forza di praticare, con grande perfezione, le virtù della giustizia, fortezza e temperanza. – Gli atti di queste virtù teologali e morali, e delle abitudini soprannaturali che noi chiamiamo doni, sono chiamati: frutti dello Spirito Santo. Questi atti sono, infatti, prodotti in noi dallo Spirito Santo, così come i buoni frutti provengono da un albero buono. S. Paolo ne enumera dodici: “carità, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, la longanimità, docilità, fede, modestia, continenza, la castità”. (Gal. V, 22) – Quando la produzione di questi frutti è abbondante e splendida, si parla di una beatitudine. Il nostro caro Salvatore ha cominciato la predicazione del suo Vangelo proclamando otto beatitudini: …… “Beati i poveri in spirito, i miti, coloro che piangono, quelli che hanno fame e sete di giustizia, i… misericordiosi,… i puri di cuore,… gli operatori di pace,… quelli che soffrono persecuzione per la giustizia. ” (Matt, V, 3-1,0.). Beati, in breve, sono quelli che vengono animati e guidati dallo Spirito di Dio, … perché, dice l’Apostolo, questi sono i figli di Dio (Rm VIII, 14);” e “Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, egli non Gli appartiene.” Dopo la confermazione poi, lo Spirito Santo è nell’anima come un re che in mezzo al suo regno ne tiene il comando; come un maestro che presiede alla sua famiglia; come un pastore che conduce il suo gregge. Il nostro cuore, allora, è una specie di paradiso ove vivono i numerosi fiori profumati dei tesori spirituali dello Spirito Santo. Tutte le benedizioni celesti, tutte le virtù, risiedono in essa, per così dire, di comune accordo: la fede con la sua fiamma accesa, la speranza con i suoi desideri sconfinati, la carità con il suo fervore incandescente. Anche gli spiriti beati si sentono felici in comunione con un’anima in cui dimora lo Spirito Santo. Tutto il Cielo sembra essere con essa, perché Dio stesso è in essa. – Ora, con la Confermazione, lo Spirito Santo viene a noi con lo scopo di renderci cristiani forti e perfetti. – Con il battesimo siamo rinati spiritualmente, “come bambini appena nati bramate il puro latte spirituale, per crescere con esso verso la salvezza” (1 Pt. II, ). Ma nella Confermazione lo Spirito Santo viene a noi per rafforzarci e renderci in grado di combattere i nostri nemici, di sopportare le prove e le difficoltà come soldati forti e buoni di Gesù Cristo. (2 Tim. II, 3.). Così, nella confermazione, lo Spirito Santo perfeziona quel lavoro che aveva già iniziato nel Battesimo. – Questo, tuttavia, non significa che, con la Confermazione, ci siamo resi così perfetti che nulla possa essere aggiunto alla perfezione; ciò non significa che lo Spirito Santo ci viene dato nella pienezza tale che nulla più ci resti da dare; no, significa solo che, nella Confermazione, ci è data una misura di grazia tale che ci permette di praticare le virtù cristiane e diventare perfetti per la pratica di queste virtù; ciò significa che nella Confermazione riceviamo il possesso di tutti quei doni e quelle grazie che, in qualsiasi momento, ci saranno necessarie onde mantenere e professare la nostra fede. Questi, naturalmente, saranno vari in persone diverse. Il nostro stato di vita, e certe circostanze della nostra vita, possono richiedere per un più particolare esercizio, l’uno o l’altro dei sette doni dello Spirito Santo. Ora, nella Confermazione, li riceviamo in modo tale da avere il loro beneficio ogni qualvolta l’occasione lo richieda per ognuno di essi. Nei primi tempi della Chiesa quelli che erano stati confermati comunemente ricevevano anche alcuni poteri miracolosi, come i doni di guarigione, di parlare o di interpretare le lingue, o di profezia. Questi sono spesso citati negli Atti degli Apostoli e nelle Epistole di S. Paolo (1 Cor. XIV). Questi doni, tuttavia, non sono stati dati per il bene di coloro che li hanno ricevuti, ma per il bene degli altri, per i quali tali manifestazioni miracolose di Dio fossero necessarie nella condizione nascente della Chiesa. Ma, siccome questi doni non sono più necessari, ora non li riceviamo più: «Ma se ora non c’è testimonianza della presenza dello Spirito Santo per mezzo di questi miracoli”, dice S. Agostino, “con cui si è rivelato, come fanno tutti quelli che non sanno, a capire che si è ricevuto lo Spirito Santo? Ma lo chieda a se stesso “, dice questo santo,” nel vedere se ama veramente il suo vicino di casa, se vi è in lui l’amore per la pace e l’unità, se si sviluppa l’amore della Chiesa, sopra tutte cose dell’universo, l’amore e l’osservanza della sua dottrina: se questo amore è nel suo cuore, questo può lasciarlo riposare sicuro che lo Spirito Santo è in lui, perché un tale amore non può esistere in un cuore senza la presenza dello Spirito Santo che lo comunica, verità che il grande apostolo S. Paolo ci assicura scrivendo: ‘la carità di Dio,’ dice, ‘si è riversata nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è dato.’ “(T II,. Tr. VI in Epist. Joan., n. 10.). Quelle grazie o doni, poi, che sono necessari per la nostra santificazione, ci sono concessi nella Confermazione, dallo Spirito Santo così come su coloro che per primi hanno ricevuto questo Sacramento. Se ben preparati, noi riceviamo, come i primi cristiani, lo Spirito Santo, lo Spirito della vita, che ci anima; lo spirito della grazia, per santificarci; lo spirito di amore, per unirci a Lui; lo spirito della prudenza, che ci guida; lo spirito di fortezza, per rafforzarci; lo, spirito di pietà, per confortarci, e renderci; lo spirito di pace, per calmare le nostre passioni; lo spirito di purezza, per farci puri; lo spirito di libertà, per staccarci da tutte le cose terrene;; lo spirito di gioia, per consolarci; lo spirito di umiltà, a ispirarci una minima opinione di noi stessi; lo spirito di obbedienza, per portarci alla perfetta sottomissione alla volontà divina; lo spirito di carità, per accompagnare tutti i nostri pensieri, parole e azioni. – Un altro effetto speciale del Sacramento della Confermazione è che, come il Sacramento del Battesimo, esso imprime un marchio indelebile o un carattere sull’anima. Quindi questo Sacramento non può mai essere ripetuto, anche se fosse stato ricevuto in peccato mortale. La natura di questo carattere della Confermazione, ci impone l’obbligo di professare la nostra fede apertamente, senza negare la nostra religione in nessun caso, e, come buoni soldati di Cristo, di essere fedeli fino alla morte. I soldati di un governo prestano ogni attenzione alle leggi della loro vocazione e agli ordini dei loro ufficiali. Essi si espongono ad ogni tipo di lavoro e al pericolo di marce, di assedi, di battaglie. Sopportano il caldo ed il gelo, e tutta l’inclemenza del tempo e delle stagioni. Essi soffrono la fame e la sete, accettano ogni altra difficoltà, a cui la loro condizione di vita li espone. Essi subiscono privazioni e pericoli, e anche la stessa morte, e fanno tutto questo, anche se la paga è scarsa. Con quanto maggior coraggio e resistenza dovremmo sottostare a prove di tutti i colori, combattere virilmente le battaglie del nostro Signore, e piuttosto morire che cambiare schieramento, andando al nemico con il commettere peccato mortale! – Nel 1648, due ragazzi, uno francese, l’altro inglese, furono catturati dai pirati moreschi e portati a Tunisi. Essi furono venduti come schiavi a due Moamettani, che vivevano tra loro vicini. I ragazzi avevano circa quindici anni. I loro crudeli padroni fecero tutto quanto era in loro potere per costringerli ad apostatare, ma invano. Il ragazzo francese era un buon cattolico, ben istruito nella sua santa fede. Ben presto ebbe avuto la gioia di istruire e convertire il suo compagno inglese. Poco dopo, alcuni inglesi vennero a Tunisi per riscattare il loro connazionale protestante, ma trovarono che il piccolo ragazzo inglese era diventato cattolico deciso a restare tale. Questi rimasero così male che rifiutarono di riscattarlo. I padroni moreschi sembravano ora ancora più crudeli, e facevano a gara nell’essere tra loro più crudeli, desiderosi di forzare il loro giovane prigioniero ad apostatare. Spesso i due ragazzi vennero bastonato fino a giacere a terra mezzo morti. Una volta che il ragazzo inglese trovò il suo compagno in modo disteso in terra, lo chiamò per nome, e gli chiese se fosse ancora in vita.” Il ragazzo francese rispose con voce debole: «Sono cristiano e da cristiano io voglio vivere e morire”. Il ragazzo inglese, sentendo questo, si gettò a terra, e baciò con riverenza i piedi sanguinanti del suo compagno. Alcuni Mori, che erano presenti, chiesero al ragazzo inglese perché agiva in tal modo. “Io, onoro quelle membra benedette”, rispose,”che hanno sofferto per Gesù, mio Salvatore e mio Dio”. – I mori, infuriati a queste parole, spinsero il coraggioso ragazzo fuori di casa. Qualche tempo dopo, quando le ferite del ragazzo francese furono guarite, egli andò a visitare il suo compagno inglese.. Lo trovò steso su di una stuoia, in presenza del suo padrone e degli altri Mori, poiché era stato crudelmente torturato. Il ragazzo coraggioso lanciò uno sguardo indignato ai Mori crudeli, poi, si avvicinò al suo compagno ferito, dicendo: “Dimmi, amico mio, che cosa ti piace di più, Gesù, nostro Signore, o Maometto?”. Il ragazzo inglese rispose con voce chiara: “Io amo Gesù al di sopra di tutto, io sono cristiano, cristiano voglio vivere e morire…” I mori si infuriarono con il ragazzo francese. Uno di loro tirando fuori un coltello, minacciava di tagliare le orecchie. Il ragazzo coraggioso, invece di scappare, balzò verso il Moro, e strappato il coltello dalla cintura, tagliò una delle sue orecchie, e rivolgendosi allo stupito Moro, gli chiedeva se voleva avere aver tagliato anche l’altro orecchio. Il coltello venne ripreso, e i Mori, disperando di pervertire tali giovani coraggiosi, li lasciarono in pace. L’anno successivo, a Tunisi scoppiò la peste, e Dio chiamò questi nobili giovani alla loro eterna ricompensa. (Stolberg.) – Noi che siamo confermati siamo così obbligati a difendere la nostra fede quando sentiamo gli empi assalire i suoi dogmi, ed i libertini opporsi alla sua moralità. Non dobbiamo temere né rappresaglie né minacce e no, nemmeno la morte in sé, ma come buoni soldati di Cristo, dobbiamo sostenere gli interessi del nostro Re al massimo delle nostre capacità.- Questa è la fedeltà che dobbiamo a Lui, in qualità di suoi soldati; questo è l’obbligo che abbiamo contratto quando abbiamo ricevuto il carattere di soldati di Cristo dalla Confermazione. Colui che è diventato un soldato di Cristo non ha più nulla a che fare con il libertinaggio del diavolo – con guadagni illecite, con il denaro rubato dai datori di lavoro, con le tangenti e le frodi contro il governo, con le speculazioni disoneste. Se un soldato di Cristo è disonesto, se si mantiene la refurtiva, se è pronto a rinnegare il suo giuramento, la sua coscienza, la sua anima e Dio stesso per il denaro, e cade nelle trappole del diavolo, egli è un traditore della causa di Gesù Cristo, che non tollera un tale ladro nel suo campo. – Un soldato di Cristo non ha nulla a che fare con le reclute dell’inferno – ad esempio in un malfamato salone o bar, in quella casa di infamia, quel covo di satana ove il diavolo attira tanti seguaci, e dove miseria, disperazione e morte sono distribuite a miserabili padri, a mariti brutali, a infelici donne di malaffare. – Un soldato di Cristo non pronunciare le parole de demonio, maledizioni orribili, parole oscene, parole a doppio senso. – Chi ama pronunciare tali parole dimostra chiaramente che egli appartiene, anima e corpo, al campo di Satana. La sua lingua imprecando lo tradisce; il suo linguaggio è la lingua dell’inferno; la sua presenza tra i soldati fedeli di Cristo è una vergogna e uno scandalo. – Un soldato di Cristo non si mostra sulla “piazza d’armi” del diavolo in un teatro immorale, nelle sale da ballo, dove si praticano danze lascive, nelle baldorie notturne di sconsiderati, uomini e donne ebbri, che, rubicondi per il vino e l’eccitazione, sono immersi nella marea turbinosa delle passioni, finché, per la vergogna e il rimorso, i loro occhi si aprono sulla loro rovina. Queste sono le pompe del diavolo, alle quali abbiamo rinunciato solennemente al Battesimo, e alle quali nella Confermazione ci siamo impegnati ad opporci e combattere per non essere traditori di Cristo e nuovamente schiavi del demonio. – Un soldato di Cristo non prende il cibo del diavolo, le bucce di carrube dei suini, i piaceri ripugnanti della sensualità. Con la legge di Mosè, coloro che erano colpevoli di tali crimini venivano portati fuori dall’accampamento e lapidati a morte. Ma non è il campo, la Chiesa di Gesù Cristo, meno santa di quella di Mosè? Come, allora, si può pensare che nostro Signore Gesù Cristo subirà tali crimini vergognosi lasciandoli impuniti? – Ad un soldato di Cristo è vietato indossare il distintivo del diavolo, le insegne di una società segreta, come la massoneria. Un soldato di Cristo che porta le insegne di un massone è scomunicato: egli ha respinto il nostro Signore Gesù Cristo. Le sue insegne provano che egli appartiene alla guardia propria del corpo del diavolo.

2. Chi può dare la conferma?

Solo i Vescovi cattolici, come successori degli Apostoli del, hanno il potere di dare la conferma. Il ministro ordinario della conferma è soltanto un Vescovo. Ciò significa che, di norma, nessun altro ha il potere di amministrare questo Sacramento. Questo è abbastanza chiaro dal passaggio già indicato negli Atti degli Apostoli (VIII, 17), in cui ci viene detto che gli Apostoli San Pietro e San Giovanni, sono stati inviati a confermare i nuovi convertiti di Samaria. Anche l’uso generale della Chiesa e i decreti di diversi Papi e Concili provano la stessa cosa. (Concilio di Trento, Sess. VII). Tuttavia, è pure certo, d’altra parte, che un sacerdote possa amministrare questo Sacramento, se il Papa dovesse delegargli il potere di farlo. Eppure, anche in questo caso, però l’olio deve essere stato benedetto dal Vescovo. Il vescovo, essendo l’unico ministro ordinario della Confermazione, è, per questa stessa incombenza, costretto a visitare di persona tutte le chiese, tutte le parrocchie della sua diocesi, e ripetere queste visite dopo un certo lasso di tempo. Ogni cattolico che non è confermata deve comparire davanti a lui e di rispondere alle sue domande, e, nel senso propriamente letterale delle parole, passare sotto le sue mani. Tale obbligo di dare e ricevere la Confermazione è una delle cause che determinano la suddivisione della Chiesa universale in diocesi, ed è, come ammesso da tutti, uno dei legami più forti di appartenenza diocesana e conseguentemente, di unità Cattolica. [Continua …]