11 ottobre: la maternità della BEATA VERGINE MARIA.

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“Beati gli occhi che vedono le cose che voi vedete” (Lc X-23). Queste parole sono state pronunciate dal Maestro Divino ai suoi discepoli, perché essi potessero capire come fossero privilegiati nel credere che Lui fosse il Messia promesso ai Patriarchi e Profeti, e ad accettare i Suoi insegnamenti, cioè, come ha spiegato loro, i segreti di suo Padre e le celesti verità eterne. – In verità possiamo utilizzare queste stesse parole: “Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete,” per i figli della famiglia della fede, che riconoscono Santa Maria essere la Madre di Dio, visto che con l’occhio della fede, comprendono la verità di questo sublime mistero. Un giorno Nostro Signore, interrogando i suoi Apostoli, chiese loro: “Chi dice la gente che sia il Figlio dell’uomo?” – Essi risposero: “Alcuni Giovanni il Battista, degli altri, alcuni Elia e altri Geremia o qualcuno dei profeti”. Gesù disse loro: “Ma chi voi dite che io sia?” Simon Pietro, rispondendo, disse: “Tu sei Cristo, il Figlio del Dio vivente”. E Gesù, rispondendo, gli disse: «Beato sei tu, Simone figlio di Jona, perché non la carne o il sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli” (Mt. XVI-13-18.). –  La domanda che lo riguardava, proposta agli Apostoli da Cristo, può altresì essere rivolta al mondo di oggi, nei confronti di Santa Maria:  “Chi dice la gente che Lei sia?” – E arrivano le risposte: per alcuni, una donna comune, e per altri, un po’ una buona donna, e altri: “vanto della natura umana contaminata”.  Ma voi, chi dite che Lei sia? – E il figlio della fede risponde: “Lei è la Santa Madre di Dio.” – Non glielo hanno rivelato carne e sangue, ma il nostro Padre che è nei cieli.  “Beati gli occhi che vedono le cose che voi vedete.” – È con l’occhio infallibile della fede che noi crediamo che Maria sia la santa Madre di Dio. – Nessun uomo rinnegò mai sua madre.  Per lui, ella è la migliore, la più grande, la più bella delle donne. E tuttavia, anche se lei è la madre del suo corpo, tuttavia non è la madre della sua anima, perché è Dio stesso che spira l’anima in ogni uomo nato nel mondo. -L’anima dell’uomo è come indipendente da sua madre come sua creazione. Tuttavia, noi giustamente la chiamiamo madre, come in realtà è: ella che ci ha portato nel suo grembo, è la madre nostra. – Maria, anche se è una creatura di Dio come noi, è la sua santa Madre. Anche se Ella non è la madre della divinità, lei è la Madre del Verbo fatto carne, che è Dio, uguale al Padre da tutta l’eternità;  quindi Ella è in verità la Madre di Dio! – Confessare la fede nell’Incarnazione significa, nello stesso tempo, affermare che Maria è la Madre di Dio. – Nell’Incarnazione, Dio assume in sé la natura umana, rimanendo sempre Dio, e perciò Egli è l’uomo perfetto, così come è vero Dio. Ma nella sua natura umana, Egli è in verità il Figlio della Vergine Maria, dal cui seno castissimo prese per Sé carne e sangue, per cui Egli si è fatto uomo. Il rapporto, quindi, tra Dio, per la sua natura umana, e Maria è lo stesso di quello che passa tra una madre e suo figlio. – Pertanto, nel proclamare questa intima unione tra Dio e la Vergine, noi, solennemente dichiariamo che Ella non è la Madre di Dio nella sua natura divina, perché in questo Egli è il suo Creatore, come Egli lo è di tutte le altre creature, e non è suo Figlio. Ella è tuttavia la sua santa Madre, anche se solo nella sua natura umana, la natura umana di Dio, di cui Ella è Madre. Maria è, quindi, in atto, la santa Madre di Dio, in quanto da Lei il Figlio eterno di Dio ha preso in prestito la sua carne e il suo sangue e si è fatto uomo. –  Questa Persona divina, che, per la potenza dello Spirito Santo, è stata concepita nel suo seno verginale ed è nata da Lei. Per questo, nel mistero affabile dell’Incarnazione del Figlio di Dio, Maria occupa un posto unico nel piano di redenzione e salvezza dell’uomo.Infatti Dio ci ha redenti nella sua natura umana, e non nella sua natura divina, natura che prese dalla sua santa Madre, Maria. – In questo, Dio L’ha onorata ed elevata al di sopra di tutte le altre creature, dopo averla dotata di tutta la bellezza e di tutte le grazie che una creatura sia in grado di ricevere. –  Il nostro grande amore e la devozione per Maria, la santa Madre di Dio, scaturisce dalla sua relazione con Dio, e questo mantiene viva nei nostri petti il grande mistero di un Dio che si fa uomo, per mezzo del Quale ci viene ogni benedizione del cielo. – Onoriamo Maria come la santa Madre di Dio, perché Dio stesso La onora, con L’averla scelta fin dall’eternità per essere sua Madre. Nessuna dignità più grande il Creatore potrebbe conferire ad una sua creatura, di quella che ha conferito a Maria, l’umile serva del Signore. È mancare al nostro dovere verso Dio il trascurare il rispetto e rendere l’omaggio alla sua santa Madre che da noi merita. –  Chi è che non ama sua madre sopra di ogni altro? Chi non verserebbe fino all’ultima goccia di sangue del suo cuore per il suo bene?? Potrebbe Dio veder cancellata dalle Sue creature la venerazione che una madre pretende dal figlio?  L’amore di Dio per Maria ci dice di no. Egli L’ha favorita al di sopra di tutte le donne quando Le ha elargito, fin dal primo istante della sua concezione, una bellezza incomparabile di corpo e di anima, quella della sua immacolatezza. – Dio si compiace di coloro che di Lei hanno ogni riguardo, e con l’amore di un figlio e la devozione verso la Madre, La onorano in ogni momento come la sua santa Madre. – Mary is also our Mother, and every true child of the Church considers himself favored in being able to invoke her as his holy Mother. Maria è anche Madre nostra, ed ogni vero figlio della Chiesa si considera privilegiato nel poterLa invocare come sua santa Madre. Non è la nostra vera madre naturale, ma Ella è la nostra Madre spirituale, dal momento che ha dato volontariamente la sua sostanza al Figlio di Dio, Gesù Cristo, per mezzo del Quale siamo stati redenti e generati, per così dire, ad una maggiore e migliore vita, la vita spirituale in Cristo Gesù. – Tutti coloro che accettano il mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio, non possono, con ragione e per giustizia, non riconoscere questo rapporto spirituale tra Maria, la Madre della Persona divina Gesù Cristo, e coloro che sono stati riscattati mediante il suo sangue prezioso, versato per loro sul Calvario. – Come l’amata dai figli, onoriamo sua Madre come Dio La onora; dobbiamo amarLa come Lui la ama; cerchiamo di magnificare il suo nome sulla terra, come i beati fanno in cielo. Dalle profondità della nostra anima, invochiamoLa come la nostra dolcissima, amorevolissima Madre Maria, affinché possiamo essere privilegiati nel corso dei secoli dei secoli dell’eternità, nel mescolare le nostre lodi a quelle di tutti gli Angeli e dei Santi in Paradiso, nell’onorarLa come Dio stesso La onora, come sua santa e nostra Madre, per mezzo di Gesù Cristo.

Fonte: La vita della Beata Vergine Maria nelle sue Litanie, Capitolo II:  “Santa madre di Dio”.

Imprimatur. Imprimatur. J. CARD. Gibbons, Arcivescovo di Baltimora. 16 Feb, 1914.

 

DIVINA MATERNITÀ’ DI MARIA SS.

11 OTTOBRE.

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Questa festa fu istituita dal Sommo Pontefice Pio X I nel 1931, in occasione del XV Centenario del Concilio Efesino, coll’Enciclica « Lux Veritatis». Nostro Signore Gesù Cristo, generato dal Padre, discese dal Cielo con un procedimento nuovo e con una nuova natività, per salvare gli uomini e condurli alla eterna felicità. – Nacque da una Vergine senza concorso di padre terreno, senza perdita della verginità della madre, perché tale nascita conveniva al futuro Salvatore degli uomini, il Quale, benché avesse in sé vera natura umana ne ignorasse però le sozzure. Ciò che crediamo è fuori dell’uso e consuetudine umana, ma è sostenuto dalla potenza divina, che una Vergine è diventata Madre, Vergine ha dato alla luce, Vergine è rimasta. – Questa Vergine è Maria SS., scelta dalla stirpe regale di Davide come fu predetto nelle Sacre Scritture: « Ecco che una Vergine concepirà nel suo seno e partorirà un Figlio a cui sarà posto il nome di Emanuele, che significa: Dio con noi ». La fede della Chiesa nel dogma della Divina Maternità di Maria SS., cominciando dal giorno stesso in cui S. Elisabetta, illuminata dallo Spirito Santo, La salutò per prima «Madre del mio Signore», si conservò interrotta attraverso tutti i secoli. – Infatti fin dai primi tempi, allorché Nestorio osò opporsi a coloro che davano a Maria il titolo di Madre di Dio, il popolo ne fu così scandalizzato ed indignato, che s’alzò nella chiesa stessa a protestare contro la sua falsa dottrina. E quando, tre anni dopo, il Concilio radunato in Efeso, condannò l’eresiarca, la folla immensa che attendeva ansiosa di vedere solennemente riconosciuto il proprio amore e la propria fede nella Beatissima Madre di Dio, acclamò con la gioia più viva alle decisioni dei Padri del Concilio, e li accompagnò trionfalmente alle loro dimore. E noi crediamo fermamente in questo dogma, non solo perché così ci insegna la Santa Chiesa che è infallibile, ma anche per la testimonianza della S. Scrittura e di tutta la storia. – Il titolo di Madre di Dio è per Maria SS. il fondamento, la ragione e la sorgente di tutte le sue grandezze. « È Madre di Dio, dice Cornelio a Lapide: dunque essa è immensamente più eccelsa di tutti gli Angeli, anche dei Cherubini e dei Serafini; è Madre di Dio, e perciò è la più pura, la più santa, così che, dopo Dio, non si può immaginare purezza maggiore; è Madre di Dio, e perciò possiede in grado molto più elevato tutti i privilegi concessi a qualsiasi altro santo ». – Ma, mentre è Madre di Dio, Maria è pure benignissima Madre nostra, sia perché Gesù ci ha comandato di esserLe figli docili ed amorosi, sia perché ce la diede realmente per Madre quando, pendendo dalla Croce, disse a Giovanni ed in lui a ciascuno di noi: « Ecco tua Madre »; e sia perché Maria esercitò veramente gli uffici di Madre, dapprima verso gli Apostoli e poi verso tutta la Chiesa e verso ciascuno dei fedeli. E chi mai non sente di amare e non confida in una Madre così buona e così potente? In Lei trovano la difesa più sicura le anime innocenti, in Lei trovano il conforto gli afflitti, in Lei riposano tutte le speranze di chi, caduto in peccato, vuole risorgere e ritornare al Signore: per le sue mani passano tutte le grazie.

FRUTTO. — Maria SS. meritò di diventare Madre di Dio per la sua purezza e per la sua umiltà. PreghiamoLa a volerci concedere la grazia di queste due virtù così preziose.

PREGHIERA. — O Dio, il quale volesti che il Tuo Verbo, all’annunzio dell’Angelo, prendesse l’Umanità nel seno della Beata Vergine Maria, concedi a noi suoi supplicanti, che, come crediamo ch’Ella è veramente la Madre di Dio, così veniamo aiutati dalla sua intercessione presso di Te. Così sia.

[Un santo per tutti i giorni dell’anno. Roma- Alba, 1930]

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II OTTOBRE

MATERNITÀ” DELLA B. V. MARIA

[Dom Gueranger: “l’anno liturgico”, vol. II.]

Il titolo di Madre di Dio.

Il titolo di Madre di Dio, fra tutti quelli che vengono attribuiti alla Madonna, è il più glorioso. Essere la Madre di Dio è per Maria la sua ragion d’essere, il motivo di tutti i suoi privilegi e delle sue grazie. Per noi il titolo racchiude tutto il mistero della Incarnazione e non ne vediamo altro che più di questo sia sorgente per Maria di lodi e per noi di gioia. Sant’Efrem pensava giustamente che credere e affermare che la Santissima Vergine Maria è Madre di Dio è dare una prova sicura della nostra fede. – La Chiesa quindi non celebra alcuna festa della Vergine Maria senza lodarla per questo privilegio. E così saluta la beata Madre di Dio nell’Immacolato Concepimento, nella Natività, nell’Assunzione e noi nella recita frequentissima dell’Ave Maria facciamo altrettanto.

L’eresia nestoriana.

« Theotókos », Madre di Dio, è il nome con cui nei secoli è stata designata Maria Santissima. Fare la storia del dogma della maternità divina sarebbe fare la storia di tutto il cristianesimo, perché il nome era entrato così profondamente nel cuore dei fedeli che quando, davanti al Vescovo di Costantinopoli, Nestorio, un prete che era il suo portavoce, osò affermare che Maria era soltanto madre di un uomo, perché era impossibile che Dio nascesse da una donna, il popolo protestò scandalizzato. – Era allora vescovo di Alessandria san Cirillo, l’uomo suscitato da Dio per difendere l’onore della Madre del suo Figlio. Egli tosto manifestava il suo stupore: « Mi meraviglia che vi siano persone, che pensano che la Santa Vergine non debba essere chiamata Madre di Dio. Se nostro Signore è Dio, Maria, che lo mise al mondo, non è la Madre di Dio? Ma questa è la fede che ci hanno trasmessa gli Apostoli, anche se non si sono serviti di questo termine, ed è la dottrina che abbiamo appresa dai Santi Padri ».

Il Concilio di Efeso.

Nestorio non cambiò pensiero e l’imperatore convocò un concilio, che si aprì ad Efeso il 22 giugno del 431 sotto la presidenza di san Cirillo, legato del Papa Celestino. Erano presenti 200 vescovi i quali proclamarono che « la persona di Cristo è una e divina e che la Santissima Vergine deve essere riconosciuta e venerata da tutti quale vera Madre di Dio ». I cristiani di Efeso intonarono canti di trionfo, illuminarono la città e ricondussero alle loro dimore con fiaccole accese i vescovi « venuti – gridavano essi – per restituirci la Madre di Dio e ratificare con la loro santa autorità ciò che era scritto in tutti i cuori ». – Gli sforzi di satana avevano raggiunto, come sempre, un risultato solo, cioè quello di preparare un magnifico trionfo alla Madonna e, se vogliamo credere alla tradizione, i Padri del Concilio, per perpetuare il ricordo dell’avvenimento, aggiunsero all’Ave Maria le parole: « Santa Maria, Madre di Dio, pregate per noi peccatori, adesso e nell’ora della nostra morte ». Milioni di persone recitano ogni giorno quella preghiera e riconoscono a Maria la gloria di Madre di Dio, che un eretico aveva preteso negare.

La festa dell’undici ottobre.

Il 1931 ricorreva il XV centenario del Concilio di Efeso e Pio XI pensò che sarebbe stata « cosa utile e gradita per i fedeli meditare e riflettere sopra un dogma così importante » come quello della maternità divina e, per lasciare una testimonianza perpetua della sua devozione alla Madonna, scrisse l’Enciclica “Lux veritatis”, restaurò la basilica di Santa Maria Maggiore in Roma e istituì una festa liturgica, che « avrebbe contribuito a sviluppare nel clero e nei fedeli la devozione verso la grande Madre di Dio, presentando alle famiglie come modelli. Maria e la sacra Famiglia di Nazareth », affinché siano sempre più rispettati la santità del matrimonio e l’educazione della gioventù. – Che cosa implichi per Maria la dignità di Madre di Dio lo abbiamo già notato nelle feste del primo gennaio e del 25 marzo, ma l’argomento è inesauribile e possiamo fermarci su di esso ancora un poco.

« Godi, o Vergine, perché da sola hai sterminato nel mondo intero le eresie ». L’antifona della Liturgia insegna che il dogma della maternità divina è sostegno e difesa di tutto il cristianesimo. Confessare la maternità divina è confessare la natura divina e l’umana nel Verbo Incarnato in unità di Persona ed è altresì affermare la distinzione delle Persone in Dio nell’unità di natura ed è ancora riconoscere tutto l’ordine soprannaturale della grazia e della gloria.

Maria vera Madre di Dio.

Riconoscere che Maria è vera Madre di Dio è cosa facile. « Se il Figlio della Santa Vergine è Dio, scrive Pio XI nell’Enciclica Lux veritatis, Colei che l’ha generato merita di essere chiamata Madre di Dio; se la Persona di Gesù Cristo è una e divina, tutti, senza dubbio, devono chiamare Maria Madre di Dio e non solamente di Cristo uomo. Come le altre donne sono chiamate e sono realmente madri, perché hanno formato nel loro seno la nostra sostanza mortale, e non perché abbiano creata l’anima umana, così Maria ha acquistato la maternità divina per aver generato l’unica Persona del Figlio suo ».

Conseguenze della maternità divina.

« Derivano di qui, come da sorgente misteriosa e viva, la speciale grazia di Maria e la sua suprema dignità davanti a Dio. La beata Vergine ha una dignità quasi infinita, che proviene dal bene infinito, che è Dio, dice san Tommaso. E Cornelio a Lapide spiega le parole di san Tommaso così: Maria è la Madre di Dio, supera in eccellenza tutti gli Angeli, i Serafini, i Cherubini. È la Madre di Dio ed è dunque la più pura e più santa di tutte le creature e, dopo quella di Dio, non è possibile pensare purezza più grande. È Madre di Dio, sicché, se i Santi ottennero qualche privilegio (nell’ordine della grazia santificante) Maria ebbe il suo prima di tutti ».

Dignità di Maria.

Il privilegio della maternità divina pone Maria in una relazione troppo speciale ed intima con Dio, perché possano esserle paragonate dignità create di qualsiasi genere, la pone in un rapporto immediato con l’unione ipostatica e la introduce in relazioni intime e personali con le tre Persone della Santissima Trinità.

Maria e Gesù.

La maternità divina unisce Maria con il Figlio con un legame più forte di quello delle altre madri con i loro figli. Queste non operano da sole la generazione e la Santa Vergine invece ha generato il Figlio, l’Uomo-Dio, con la sua stessa sostanza e Gesù è premio della sua verginità e appartiene a Maria per la generazione e per la nascita nel tempo, per l’allattamento col quale Lo nutrì, per l’educazione che Gli diede, per l’autorità materna esercitata su di Lui.

Maria e il Padre.

La maternità divina unisce in modo ineffabile Maria al Padre. Maria infatti ha per Figlio il Figlio stesso di Dio, imita e riproduce nel tempo la generazione misteriosa con la quale il Padre generò il Figlio nell’eternità, restando così associata al Padre nella sua paternità. – « Se il Padre ci manifestò un’affezione così sincera, dandoci suo Figlio come Maestro e Redentore, diceva Bossuet, l’amore che aveva per Te, o Maria, gli fece concepire ben altri disegni a tuo riguardo e ha stabilito che Gesù fosse tuo come è suo e, per realizzare con Te una società eterna, volle che tu fossi la Madre del suo unico Figlio e volle essere il Padre del tuo Figlio » (Discorso sopra la devozione alla Santa Vergine).

Maria e lo Spirito Santo.

La maternità divina unisce Maria allo Spirito Santo, perché per opera dello Spirito Santo ha concepito il Verbo nel suo seno. In questo senso Leone XIII chiama Maria Sposa dello Spirito Santo (Encicl. Divinum munus, 9 maggio 1897) e Maria è dello Spirito Santo il santuario privilegiato, per le inaudite meraviglie che ha operate in lei, « Se Dio è con tutti i Santi, afferma san Bernardo, è con Maria in modo tutto speciale, perché tra Dio e Maria l’accordo è così totale che Dio non solo si è unita la sua volontà, ma la sua carne e con la sua sostanza e quella della Vergine ha fatto un solo Cristo, e Cristo se non deriva come egli è, né tutto intero da Dio, né tutto intero da Maria, è tuttavia tutto intero di Dio e tutto intero di Maria, perché non ci sono due figli, ma c’è un solo Figlio, che è Figlio di Dio e della Vergine. L’Angelo dice: Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con Te. È con Te non solo il Signore Figlio, che rivestisti della tua carne, ma il Signore Spirito Santo dal Quale concepisti e il Signore Padre, che ha generato Colui che Tu concepisti. È con Te il Padre che fa sì che suo Figlio sia tuo Figlio; è con Te il Figlio, che, per realizzare l’adorabile mistero, apre il tuo seno miracolosamente e rispetta il sigillo della tua verginità; è con te lo Spirito Santo, che, con il Padre e con il Figlio santifica il tuo seno. Sì, il Signore è con te » (3.a Omelia super Missus est)

L’amore di Gesù per la Madre.

« Se fosse permesso spingere tanto innanzi l’analisi del suo sviluppo umano, si direbbe che in Gesù, come in altri, vi fu qualcosa dell’influenza della Madre sua. La grazia, la finezza squisita, la dolcezza indulgente appartengono solo a Lui, ma proprio per tali cose si distinguono coloro, che spesso hanno sentito il cuore come addolcito dalla tenerezza materna e lo spirito ingentilito, per la conversazione con la donna venerata e amata teneramente, che si compiaceva iniziarli alle sfumature più delicate della vita. Gesù fu davvero, come Lo chiamavano i concittadini, il « Figlio di Maria».  Egli tanto ha ricevuto da Maria, perché l’amò infinitamente. Come Dio, La scelse e le donò prerogative uniche di verginità, di purezza immacolata, e nello stesso tempo la grazia della maternità divina; come uomo, l’amò tanto fedelmente che sulla croce, in mezzo alle spaventevoli sofferenze, l’ultimo pensiero fu per lei: Donna, ecco tuo figlio. Ecco tua Madre.» Ma il doppio amore gli fece scegliere per la Madre una parte degnissima di Lei. Il profeta aveva preannunziato lui come il Servo di Jahvè e la Madre fu la Serva del Signore nell’oblio di sé, nella devozione e nel perfetto distacco: « vi è più gioia nel dare che nel ricevere ». Cristo, che aveva presa per sé questa gioia, la diede alla Madre e Maria comprese così bene questo dono che nei ricordi d’infanzia segnò con attenzione particolare i rapporti che a un lettore superficiale sembrano duri: « Perché mi cercavate? Non sapevate che debbo occuparmi delle cose che riguardano il Padre mio? » E più tardi: « Chi è mia madre, chi sono i miei fratelli?… » Gesù vuole insegnarci il distacco che da noi esige e darcene l’esempio » (Lebreton. La Vie et Venseignement de J. C. N. S., p. 62).

Maria nostra Madre.

Salutandoti oggi col bel titolo di Madre di Dio, non dimentichiamo che «avendo dato la vita al Redentore del genere umano, sei per questo fatto stesso divenuta Madre nostra tenerissima e che Cristo ci ha voluti per fratelli. Scegliendoti per Madre del Figlio suo, Dio Ti ha inculcato sentimenti del tutto materni, che respirano solo amore e perdono » (Pio XI Enc. Lux veritatis). – « O Vergine tutta santa, è per i tuoi figli cosa dolce dire di Te tutto ciò che è glorioso, tutto ciò che è grande, ma ciò facendo dicono solo il vero e non riescono a dire tutto quello che tu meriti (Basilio di Seleucia, Omelia 39, n. 6. P. G. 85, c. 452). Tu sei infatti la meraviglia delle meraviglie e di quanto esiste o potrà esistere, Dio eccettuato, niente è più bello di Te » (Isidoro da Tessalonica. Discorso per la Presentazione di Maria P. G. 189, c. 69). – Dalla gloria del cielo ove sei, ricordati di noi, che Ti preghiamo con tanta gioia e confidenza. «L’Onnipotente è con Te e Tu sei onnipotente con Lui, onnipotente per Lui, onnipotente dopo di Lui », come dice san Bonaventura. Tu puoi presentarti a Dio non tanto per pregare quanto per comandare, Tu sai che Dio esaudisce infallibilmente i tuoi desideri. Noi siamo, senza dubbio, peccatori, ma Tu sei divenuta Madre di Dio per causa nostra e « non si è mai inteso dire che alcuno di quelli che sono ricorsi a Te sia stato abbandonato. Animati da questa confidenza, o Vergine delle vergini, o nostra Madre, veniamo a Te gemendo sotto il peso dei nostri falli e ci prostriamo ai tuoi piedi. Madre del Verbo incarnato, non disprezzare le nostre preghiere, degnati esaudirle » (San Bernardo).

Infine chiudiamo in bellezza con il santo Magistero, che è parola di Dio, rileggendo l’enciclica, già citata sopra, di S.S. Pio XI, nella quale tra l’altro c’è un passaggio significativo sul ruolo primario del Santo Padre, oggi misconosciuto dai modernisti apostati, dagli eretici-scismatici sedevacantisti dichiarati o criptici, e i sedicenti sede-privazionisti!

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LETTERA ENCICLICA

LUX VERITATIS

DEL SOMMO PONTEFICE

PIO XI

AI VENERABILI FRATELLI PATRIARCHI,

PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI

E AGLI ALTRI ORDINARI LOCALI

CHE HANNO PACE E COMUNIONE

CON LA SEDE APOSTOLICA,

NEL XV CENTENARIO

DEL CONCILIO DI EFESO CHE PROCLAMÒ

LA MATERNITÀ DIVINA DI MARIA

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Concilio di Efeso

Venerabili Fratelli, salute e Apostolica Benedizione.

La storia, luce di verità e testimonio dei tempi, se rettamente consultata e diligentemente esaminata, insegna che la promessa fatta da Gesù Cristo: « Io sono con voi … fino alla consumazione dei secoli » [1], non è mai venuta meno alla sua Chiesa e non verrà quindi mai a mancare in avvenire. Anzi quanto più furiosi sono i flutti dai quali è sbattuta la nave di Pietro, tanto più pronto e vigoroso essa sperimenta l’aiuto della grazia divina. E ciò in modo singolarissimo avvenne nei primi tempi della Chiesa, non solo quando il nome cristiano era ritenuto delitto esecrabile da punirsi con la morte, ma anche quando la vera fede di Cristo, sconvolta dalla perfidia degli eretici che imperversavano soprattutto in Oriente, fu messa in gravissima prova. Infatti, come i persecutori dei cristiani, l’uno dopo l’altro, miseramente scomparvero, e lo stesso Impero romano cadde in rovina, così tutti gli eretici, quasi tralci inariditi [2] perché recisi dalla vite divina, più non poterono succhiare la linfa vitale né fruttificare. – La Chiesa di Dio invece, fra tante procelle e vicissitudini di cose caduche, unicamente confidando in Dio, proseguì in ogni tempo il suo cammino con passo fermo e sicuro, né mai cessò di difendere vigorosamente l’integrità del sacro deposito della verità evangelica affidatole dal divino Fondatore. – Questi pensieri si riaffacciano alla Nostra mente, Venerabili Fratelli, nell’accingerCi a parlarvi in questa Lettera di quel veramente faustissimo avvenimento che fu il Concilio celebrato ad Efeso quindici secoli fa, nel quale, come fu smascherata l’astuta protervia degli erranti, così rifulse la inconcussa fede della Chiesa, sorretta dall’aiuto divino. – Sappiamo che per Nostro consiglio furono costituiti due Comitati di uomini insigni [3], incaricati di promuovere nel modo più solenne commemorazioni di questo centenario, non solo qui in Roma, capitale dell’orbe cattolico, ma in ogni parte del mondo. Né ignoriamo che le persone alle quali affidammo tale incarico speciale si adoperarono alacremente di promuovere la salutare iniziativa, senza risparmio di fatiche o di sollecitudini. Di questa alacrità dunque — assecondata, si può dire, dappertutto dal volenteroso e veramente mirabile consenso dei Vescovi e dei migliori fra i laici — non possiamo che grandemente congratularCi, perché confidiamo che ne abbiano a derivare, anche per l’avvenire, grandi vantaggi per la causa cattolica. – Ma considerando Noi attentamente questo avvenimento storico e i fatti e le circostanze ad esso connessi, stimiamo conveniente all’ufficio apostolico affidatoCi da Dio, rivolgerCi personalmente a voi con un’Enciclica in quest’ultimo scorcio del centenario e nella ricorrenza del tempo sacro in cui la B. V. Maria per noi « diede alla luce il Salvatore », e intrattenerCi con voi intorno a questo argomento che certo è della massima importanza. Nel fare ciò nutriamo ferma speranza che non solo le Nostre parole torneranno gradite ed utili a voi e ai vostri fedeli, ma, se esse verranno attentamente meditate con animo desideroso di verità da quanti Nostri fratelli e figli dilettissimi sono separati dalla Sede Apostolica, confidiamo che essi, convinti dalla storia maestra della vita, non potranno non provare almeno la nostalgia dell’unico ovile sotto l’unico Pastore, e del ritorno a quella vera fede, che gelosamente si conserva sempre sicura e inviolata nella Chiesa Romana. Infatti, nel metodo seguito dai Padri e in tutto lo svolgimento del Concilio di Efeso nell’opporsi all’eresia di Nestorio, tre dogmi della fede cattolica specialmente brillarono agli occhi del mondo nella piena loro luce, e di essi Noi tratteremo in modo speciale. Essi sono: che in Gesù Cristo unica è la Persona, e questa divina; che tutti devono riconoscere e venerare la B. V. Maria come vera Madre di Dio; e infine, che nel Romano Pontefice risiede, per divina istituzione, l’autorità suprema, somma e indipendente, su tutti e singoli i cristiani, nelle questioni concernenti la fede e la morale.

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S. Cirillo di Alessandria

I

Per procedere dunque con ordine nella trattazione, facciamo Nostra quella sentenziosa esortazione dell’Apostolo delle genti agli Efesini: « Riuniamoci finché arriviamo tutti all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo. Questo affinché non siamo più come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l’inganno degli uomini, con quella loro astuzia che tende a trarre nell’errore. Al contrario, vivendo secondo la verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo, dal quale tutto il corpo, ben compaginato e connesso, mediante la collaborazione di ogni giuntura, secondo l’energia propria di ogni membro, riceve forza per crescere in modo da edificare se stesso nella carità » [4]. Le quali esortazioni dell’Apostolo, come furono seguite con sì mirabile unione d’animo dai Padri del Concilio di Efeso, così vorremmo che tutti, senza distinzione, facendo tacere ogni pregiudizio, le ritenessero come a sé rivolte e le mettessero felicemente in pratica. – Come è universalmente risaputo, autore di tutta la controversia fu Nestorio; non però nel senso che la nuova dottrina sia sbocciata tutta dal suo ingegno e dal suo studio, avendola egli certamente derivata da Teodoro, vescovo di Mopsuestia; ma egli, svolgendola poscia con maggiore ampiezza, e rimessala a nuovo con una certa apparenza di originalità, si diede a predicarla e a divulgarla con ogni mezzo con grande apparato di parole e di sentenze, dotato com’era di facondia singolare. Nato a Germanicia, città della Siria, si recò da giovane ad Antiochia per istruirsi nelle scienze sacre e profane. In questa città, allora celeberrima, professò dapprima la vita monastica; ma poi, volubile com’era, abbandonato questo genere di vita e ordinato sacerdote, si dedicò totalmente alla predicazione, cercandovi, più che la gloria di Dio, il plauso umano. La fama della sua eloquenza destò tanto favore nel pubblico e talmente si diffuse che, chiamato a Costantinopoli, allora priva del suo Pastore, fu elevato alla dignità episcopale, fra la più grande aspettazione comune. In questa così illustre sede, anziché astenersi dalle massime perverse della sua dottrina, continuò anzi a insegnarle e a divulgarle con maggiore autorità e baldanza. – Per bene intendere la questione, giova qui accennare brevemente ai principali capi dell’eresia nestoriana. Quell’uomo arrogante, giudicando che due ipostasi perfette, vale a dire la umana di Gesù e la divina del Verbo, si fossero riunite in una comune persona, o « prosopo » (com’egli si esprimeva), negò quell’ammirabile unione sostanziale delle due nature, che chiamiamo ipostatica; pertanto insegnò che l’Unigenito Verbo di Dio non s’era fatto uomo, ma si trovava presente nell’umana carne per la sua inabitazione, per il suo beneplacito e per la virtù della sua operazione. Di qui, non doversi Gesù chiamare Dio, ma « Theophoros » ossia Deifero; in modo non molto dissimile da quello per cui i profeti e gli altri santi possono chiamarsi Deiferi, cioè per la grazia divina loro concessa. – Da queste perverse massime di Nestorio seguiva doversi riconoscere in Cristo due persone, l’una divina e l’altra umana; e così ne scendeva necessariamente che la B. V. Maria non era veramente Madre di Dio, ossia « Theotócos », ma piuttosto Madre di Cristo uomo, ossia « Christotócos », o al più Accoglitrice di Dio, ossia « Theodócos » [5]. – Questi empi dogmi, predicati non più nell’oscurità del segreto da un uomo privato, ma apertamente in pubblico dallo stesso Vescovo di Costantinopoli, produssero negli animi, massime nella Chiesa orientale, una gravissima perturbazione. E fra gli oppositori dell’eresia nestoriana, che non mancarono nemmeno nella capitale dell’Impero di Oriente, tiene certamente il primo posto quell’uomo santo e vindice della cattolica integrità che fu Cirillo, Patriarca di Alessandria. Questi, non appena conosciuta l’empia dottrina del Vescovo di Costantinopoli, zelantissimo com’era non soltanto dei figli suoi, ma altresì dei fratelli erranti, difese validamente presso i suoi la fede ortodossa, e si adoperò con animo fraterno di ricondurre Nestorio alla norma della verità, indirizzandogli una lettera. – Riuscito vano questo caritatevole tentativo a motivo della pervicace ostinazione di Nestorio, Cirillo, non meno buon conoscitore che fortissimo assertore dell’autorità della Chiesa Romana, non volle spingere più oltre la discussione né sentenziare di sua autorità in una causa tanto grave, senza prima domandare e udire il giudizio della Sede Apostolica. Scrisse perciò « al Beatissimo e a Dio dilettissimo Padre Celestino », una lettera piena di deferenza, dicendogli fra l’altro: « L’antica consuetudine delle Chiese ci induce a comunicare alla Tua Santità simili cause … » [6]. « Né vogliamo abbandonare pubblicamente la comunione di lui (Nestorio), prima di farne cenno alla Tua pietà. Degnati pertanto di significarci la Tua sentenza, onde chiaramente ci possa constare se convenga che noi comunichiamo con uno che favorisce e predica una siffatta erronea dottrina. Quindi l’integrità della Tua mente e il Tuo parere su questo argomento deve venire esposto chiaramente per iscritto ai vescovi piissimi e a Dio devotissimi della Macedonia e ai Pastori di tutto l’Oriente » [7]. – Nestorio stesso non ignorava la suprema autorità del Vescovo di Roma su tutta la Chiesa; e di fatto ripetutamente scrisse a Celestino, sforzandosi di provare la sua dottrina e di guadagnarsi e accattivarsi l’animo del santo Pontefice. Ma indarno; perché gli stessi scritti incomposti dell’eresiarca contenevano errori non lievi; e il Capo della Sede Apostolica non appena li scorse, mettendo subito mano al rimedio perché la peste dell’eresia non divenisse, temporeggiando, più pericolosa, li esaminò giuridicamente in un Sinodo, e solennemente li riprovò e ordinò che parimenti da tutti fossero riprovati. – E qui desideriamo, Venerabili Fratelli, che riflettiate attentamente quanto, in questa causa, il modo di procedere del Romano Pontefice differisca da quello seguito dal Vescovo di Alessandria. Questi infatti, pur occupando una sede stimata la prima della Chiesa Orientale, non volle, come abbiamo detto, dirimere da sé una gravissima controversia concernente la fede cattolica, prima di aver ben conosciuto il pensiero della Sede Apostolica. Celestino invece, riunito a Roma un Sinodo, esaminata ponderatamente la causa, in forza della suprema e assoluta sua autorità su tutto il gregge del Signore, pronunziò solennemente questa decisione sul Vescovo di Costantinopoli e sulla dottrina di lui: « Sappi dunque chiaramente », così scrisse a Nestorio, « che questa è la nostra sentenza: se di Cristo, Dio nostro, non predichi ciò che affermano la Chiesa Romana e Alessandrina e tutta la Chiesa cattolica, come anche ottimamente sostenne la sacrosanta Chiesa di Costantinopoli fino a te, e se entro dieci giorni da computarsi da quello in cui avrai avuto notizia di questa intimazione, non ripudierai, con una confessione chiara e per iscritto, quella perfida novità che tenta di separare ciò che la Sacra Scrittura unisce, sei cacciato dalla comunione di tutta la Chiesa cattolica. Il testo del nostro giudizio su di te abbiamo inviato, per mezzo del ricordato figlio mio il diacono Possidonio, con tutti i documenti, al santo mio consacerdote Vescovo della predetta città di Alessandria, che di tutto questo affare con maggior pienezza C’informò, perché, in nostra vece, faccia in modo che questa nostra decisione venga conosciuta da te e da tutti i fratelli; perché tutti debbono sapere quanto si fa, quando si tratta della causa di tutti » [8]. – L’esecuzione di questa sentenza fu poi demandata dal Romano Pontefice al Patriarca di Alessandria con queste gravi parole: « Pertanto, forte dell’autorità della nostra Sede, tenendo le nostre veci, eseguirai, con forte vigore questa sentenza: o entro dieci giorni, da computarsi dal giorno di questa intimazione, egli condannerà con una professione scritta le sue perverse dottrine e confermerà di ritenere intorno alla natività di Cristo, Dio nostro, la fede professata dalla Chiesa Romana, da quella della tua santità e dall’universale sentimento; oppure, se ciò non farà, subito la tua santità, provvedendo a quella Chiesa, sappia ch’egli dev’essere in tutti i modi rimosso dal nostro corpo » [9]. – Alcuni scrittori antichi e moderni, quasi per eludere la chiara autorità dei documenti riferiti, vollero su tutta questa controversia proferire giudizio, spesso con un’orgogliosa iattanza. Anche ammesso, così vanno sconsideratamente dicendo, che il Pontefice Romano abbia pronunciato una sentenza perentoria ed assoluta, provocata dal Vescovo di Alessandria emulo di Nestorio, e quindi da lui ben volentieri fatta sua, resta però il fatto che il Concilio, riunitosi più tardi ad Efeso, tornò a giudicare da capo tutta la causa, già giudicata e assolutamente condannata dalla Sede Apostolica, e con la suprema sua autorità stabili ciò che da tutti doveva ritenersi in tale questione. Quindi credono di poter concludere che il Concilio Ecumenico gode di diritti assai maggiori e più forti che non l’autorità del Vescovo di Roma. – Ma chi con lealtà di storico e con animo spoglio di pregiudizi riguardi diligentemente ai fatti e ai documenti scritti, non può non riconoscere che tale obiezione posa sul falso ed è solo una simulazione di verità. Anzitutto conviene avvertire che quando l’imperatore Teodosio, anche in nome del suo collega Valentiniano, indisse il Concilio Ecumenico, la sentenza di Celestino non era ancora giunta a Costantinopoli, e quindi non vi era per nulla conosciuta. In secondo luogo avendo Celestino appreso della convocazione del Concilio di Efeso da parte degli Imperatori, non si mostrò affatto contrario; anzi scrisse a Teodosio [10] e al Vescovo di Alessandria [11] lodando il provvedimento e annunziando la scelta del Patriarca Cirillo, dei Vescovi Arcadio e Proietto e del prete Filippo, quali suoi legati, perché presiedessero al Concilio. Nel fare ciò il Romano Pontefice non rilasciò tuttavia all’arbitrio del Concilio la causa come non ancora giudicata, ma fermo restando, come si espresse, « quanto da Noi già si è stabilito » [12], affidò l’esecuzione della sentenza da lui pronunciata ai Padri del Concilio, in modo che essi, se fosse stato possibile, dopo essersi insieme consultati e aver pregato Iddio, si adoperassero per ricondurre all’unità della fede il Vescovo di Costantinopoli. Infatti, avendo Cirillo domandato al Pontefice come regolarsi in quell’affare, se cioè « il Sacro Sinodo dovesse riceverlo (Nestorio) nel caso che condannasse quanto aveva predicato; oppure valesse la sentenza già da tempo pronunziata, per essere ormai spirato il tempo dell’indugio », Celestino gli rispose: « Sia questo l’ufficio della tua santità insieme col venerando Concilio dei fratelli, di reprimere cioè gli strepiti sorti nella Chiesa, e di far sapere che, con l’aiuto divino, il negozio si è concluso con la desiderata correzione. Né diciamo già di non essere presenti al Concilio, non potendo non essere presenti a coloro con i quali, ovunque essi si trovino, Noi siamo congiunti per l’unità della fede … Costì Noi ci troviamo, perché pensiamo a ciò che costì si tratta per il bene di tutti; trattiamo presenti in ispirito ciò che non possiamo trattare presenti di corpo. Penso alla pace cattolica, penso alla salute di chi perisce, purché questi voglia confessare la sua malattia. E ciò diciamo perché non sembri che veniamo meno a chi forse vuole correggersi … Provi egli che Noi non abbiamo i piedi veloci ad effondere il sangue, conoscendo che anche per lui è offerto il rimedio » [13]. – Queste parole di Celestino ne dimostrano l’animo paterno e attestano chiaramente ch’egli non bramava di meglio se non che rifulgesse alle menti accecate il lume della fede, e che la Chiesa fosse rallegrata dal ritorno degli erranti; tuttavia le prescrizioni da lui fatte ai legati in partenza per Efeso, sono certamente tali da manifestare la cura sollecita con cui il Pontefice ordinò che fossero mantenuti intatti i divini diritti della Sede Romana. Si legge infatti, tra l’altro: « Comandiamo che si debba custodire l’autorità della Sede Apostolica; poiché così parlano le istruzioni che vi sono state date, che cioè dobbiate esser presenti al Concilio e che se si venga alla discussione, voi dobbiate giudicare delle loro opinioni, non già entrare nella lotta » [14]. – Né diversamente si comportarono i legati, col pieno consenso dei Padri del Concilio. Infatti, ubbidendo con fermezza e fedeltà ai predetti ordini del Pontefice, giunti ad Efeso, quando già era finita la prima tornata, chiesero che fossero loro consegnati tutti i decreti della precedente riunione, perché potessero venire ratificati in nome della Sede Apostolica: «Domandiamo che vogliate esporci quanto fu trattato in questo santo Sinodo prima del nostro arrivo, affinché, secondo la mente del beato nostro Papa e di questo santo Concilio, anche noi lo confermiamo …» [15]. – E il prete Filippo pronunciò dinanzi a tutto il Concilio quella famosa sentenza sul primato della Chiesa Romana, che viene riferita nella Costituzione dogmatica « Pastor Aeternus » del Concilio Vaticano [16]. Essa dice: «Nessuno dubita, anzi tutti i secoli conoscono, che il santo e beatissimo Pietro, principe e capo degli Apostoli, colonna della fede e fondamento della Chiesa cattolica, ricevette le chiavi del regno dal Signor Nostro Gesù Cristo, Salvatore e Redentore del genere umano, e che a lui fu data la potestà di sciogliere e legare i peccati; ed egli fino a questo tempo e sempre vive nei suoi successori ed esercita il giudizio » [17]. – Che più? Forse che i Padri del Concilio Ecumenico si opposero a questo procedere di Celestino e dei suoi legati? Assolutamente no. Anzi rimangono documenti scritti che ne manifestano chiarissimamente la riverenza e l’ossequio. Quando infatti i legati pontifici, nella seconda tornata del Concilio, leggendo la lettera di Celestino, dissero fra l’altro: «Abbiamo inviato, nella nostra sollecitudine, i santi fratelli e consacerdoti, Arcadio e Proietto, Vescovi, e il nostro prete Filippo, uomini specchiatissimi e concordi con Noi, perché intervengano alle vostre discussioni ed eseguano ciò che già da noi è stato stabilito; e ad essi non dubitiamo che la vostra santità debba dare l’assenso …»[18], i Padri, lungi dal ricusare questa sentenza come di giudice supremo, l’applaudirono anzi unanimemente e salutarono il Romano Pontefice con queste onorifiche acclamazioni: «Questo è il giusto giudizio! A Celestino, nuovo Paolo, a Cirillo nuovo Paolo, a Celestino custode della fede, a Celestino concorde col Sinodo, a Celestino tutto il Concilio rende grazie: un solo Celestino, un solo Cirillo, una sola la fede del Sinodo, una sola la fede del mondo » [19]. – Come poi si venne alla condanna e alla riprovazione di Nestorio, i medesimi Padri del Concilio non credettero di poter liberamente giudicare da capo la causa, ma apertamente professarono di essere stati prevenuti e « costretti » dal responso del Romano Pontefice: « Conoscendo … che egli (Nestorio) sente e predica empiamente, costretti dai canoni e dalla lettera del Santissimo Padre nostro e consacerdote Celestino, Vescovo della Chiesa Romana, versando lacrime, veniamo necessariamente a questa lugubre sentenza contro di lui. Pertanto Gesù Cristo, nostro Signore, assalito dalle blasfeme voci di lui, per mezzo di questo santo Sinodo ha definito il medesimo Nestorio privato della dignità episcopale e separato da ogni consorzio e riunione sacerdotale »[20]. – Questa fu altresì la professione fatta da Fermo, Vescovo di Cesarea, nella seconda sessione del Concilio, con le seguenti chiare parole: « L’Apostolica e Santa Sede del santissimo Vescovo Celestino, con la lettera indirizzata ai religiosissimi Vescovi, prescrisse anche in precedenza la sentenza e la regola intorno a questo caso; conformemente ad esse … giacché Nestorio, da noi citato, non è comparso, mandammo ad effetto quella condanna, proferendo contro di lui il giudizio canonico ed apostolico »[21]. – Orbene, i documenti finora da noi ricordati provano in modo così ovvio e significativo la fede già allora comunemente in vigore in tutta la Chiesa intorno all’autorità indipendente ed infallibile del Romano Pontefice su tutto il gregge di Cristo, che Ci richiamano alla mente quella nitida e splendida espressione di Agostino sul giudizio pochi anni prima pronunziato dal papa Zosimo contro i Pelagiani nella sua Epistola Tractoria: « In queste parole la fede della Sede Apostolica è tanto antica e fondata, tanto certa e chiara è la fede cattolica, che non è lecito a un cristiano dubitare di essa » [22]. – È così avesse potuto intervenire al Concilio di Efeso il santo Vescovo di Ippona! come vi avrebbe illustrato i dogmi della verità cattolica con quell’ammirabile sua acutezza d’ingegno, vedendo il pericolo delle discussioni, e come li avrebbe difesi con la sua forza d’animo! Ma quando i legati degli Imperatori giunsero ad Ippona per consegnargli la lettera di invito, non poterono far altro che piangere estinto quel chiarissimo luminare della sapienza cristiana e la sua sede devastata dai Vandali. – Non ignoriamo, Venerabili Fratelli, che alcuni di coloro che, specialmente ai nostri giorni, si dedicano alle ricerche storiche, si affannano non solo ad assolvere Nestorio di ogni taccia di eresia, ma ad accusare il santo Vescovo di Alessandria Cirillo quasi che questi, mosso da iniqua rivalità, calunniasse Nestorio e si adoperasse con tutte le sue forze a provocarne la condanna per dottrine non mai da lui insegnate. E i medesimi difensori del Vescovo di Costantinopoli non si peritano di lanciare la medesima gravissima accusa al beato Nostro antecessore Celestino, della cui imperizia Cirillo avrebbe abusato, e allo stesso sacrosanto Concilio di Efeso. – Ma contro un siffatto attentato, non meno vano che temerario, proclama unanime la sua riprovazione la Chiesa tutta, la quale in ogni tempo riconobbe come meritamente pronunziata la condanna di Nestorio, ritenne ortodossa la dottrina di Cirillo, annoverò sempre e venerò il Concilio Efesino tra i Concili Ecumenici celebrati sotto la guida dello Spirito Santo. – Ed infatti, pur tralasciando molte altre eloquentissime testimonianze, valga quella di moltissimi seguaci dello stesso Nestorio. Essi videro svolgersi gli eventi sotto i propri occhi, né erano legati a Cirillo da vincolo alcuno; eppure, benché spinti alla parte contraria dall’amicizia con Nestorio, dalla grande attrattiva dei suoi scritti e dall’acceso ardore delle dispute, nondimeno, dopo il Sinodo Efesino, come colpiti dalla luce della verità, a poco a poco abbandonarono l’eretico Vescovo di Costantinopoli, che appunto secondo la legge ecclesiastica era da evitare. Ed alcuni di essi certamente sopravvivevano ancora, allorché il Nostro predecessore di f. m. Leone Magno, così scriveva al Vescovo di Marsala Pascasino, suo legato al Concilio di Calcedonia: «Tu ben sai che tutta la Chiesa Costantinopolitana, con tutti i suoi monasteri e molti Vescovi, prestò il suo consenso e sottoscrisse alla condanna di Nestorio e di Eutiche, e dei loro errori » [23]. – Nella lettera dogmatica, poi, all’imperatore Leone, egli accusa apertissimamente Nestorio come eretico e maestro di eresia, senza che alcuno gli contraddica. Egli scrive: « Si condanni dunque Nestorio, che opinò la Beata Vergine Maria essere madre soltanto dell’uomo e non di Dio, stimando altra essere la persona umana ed altra la divina, e non ritenendo un solo Cristo nel Verbo di Dio e nella carne, ma separando e proclamando altro essere il figlio di Dio, altro il figlio dell’uomo » [24]. Né alcuno può ignorare che questo stesso fu solennemente sancito dal Concilio di Calcedonia, il quale riprovò nuovamente Nestorio e lodò la dottrina di Cirillo. Così pure il santissimo Nostro predecessore Gregorio Magno, non appena fu innalzato alla cattedra del beato Pietro, dopo avere ricordato — nella sua Lettera sinodica alle Chiese orientali — i quattro Concili Ecumenici, cioè il Niceno, il Costantinopolitano, l’Efesino e il Calcedonese, si esprime intorno ad essi con questa, nobilissima ed importantissima sentenza: «… Su di essi si innalza, come su pietra quadrata, l’edificio della santa fede; su di essi poggia ogni vita ed azione; chi non si appoggia ad essi, anche se sembri essere pietra, giace tuttavia fuori dell’edificio » [25]. – Tutti dunque ritengano come certo e manifesto che veramente Nestorio propalò errori ereticali, che il Patriarca Alessandrino fu invitto difensore della fede cattolica, e che il Pontefice Celestino, col Concilio di Efeso, difese l’avita dottrina e la suprema autorità della Sede Apostolica.

II

Ma è tempo ormai, Venerabili Fratelli, che passiamo a considerare più profondamente quei punti di dottrina, i quali, mediante la condanna stessa di  Nestorio, furono apertamente professati e autorevolmente sanciti dal Concilio Ecumenico di Efeso. Orbene, oltre la condanna dell’eresia Pelagiana e dei suoi fautori, tra i quali senza dubbio era Nestorio, l’argomento principale che vi fu trattato, e che fu solennemente e unanimemente confermato da quei Padri, riguardava la sentenza del tutto empia e contraria alle Sacre Scritture, propugnata da questo eresiarca; ond’è che fu proclamato come assolutamente certo ciò che egli negava, e cioè in Cristo essere una sola persona, la persona divina. Nestorio infatti, come dicemmo, ostinatamente sosteneva che il Divin Verbo si unisce all’umana natura in Cristo, non già sostanzialmente e ipostaticamente, bensì mediante un vincolo meramente accidentale e morale; e i Padri di Efeso, condannando appunto il Vescovo di Costantinopoli, proclamarono apertamente la vera dottrina dell’Incarnazione, che deve essere da tutti fermamente ritenuta. Ed invero Cirillo, nelle sue epistole e nei suoi capitoli, già in precedenza indirizzati a Nestorio e poi inseriti negli Atti di quel Concilio, accordandosi mirabilmente con la Chiesa di Roma, con chiare e ripetute parole ne difende la dottrina: « Pertanto in nessun modo è lecito scindere l’unico Signor nostro Gesù Cristo in due figli … La Scrittura infatti non dice che il Verbo ha associato a sé la persona umana, ma che si è fatto carne. Il dire che il Verbo si è fatto carne, significa che egli, come noi, si è unito con la carne e col sangue; egli dunque fece suo il nostro corpo e nacque uomo dalla donna, senza nondimeno abbandonare la divinità e la filiazione dal Padre: restò quindi, nella stessa assunzione della carne, quello che era » [26]. – Infatti, come sappiamo dalle Sacre Scritture e dalla tradizione divina, il Verbo di Dio Padre non si congiunse con un uomo, già in sé sussistente, ma uno stesso e medesimo Cristo è il Verbo di Dio esistente ab aeterno nel seno del Padre e l’uomo fatto nel tempo. Poiché la mirabile unione della divinità e dell’umanità in Cristo Gesù, Redentore del genere umano, la quale a ragione vien detta ipostatica, è appunto quella che è inconfutabilmente espressa nelle Sacre Lettere, allorché lo stesso unico Cristo, non solo è appellato Dio ed uomo, ma viene anche descritto in atto di operare e come Dio e come uomo, ed infine, di morire in quanto uomo e di risorgere glorioso dalla morte in quanto Dio. In altri termini, quello stesso che è concepito per virtù dello Spirito Santo nel seno della Vergine, nasce, giace nel presepe, si dice figlio dell’uomo, soffre, e muore confitto in croce, è quello stesso appunto che dall’Eterno Padre, in modo miracoloso e solenne è proclamato « mio Figlio diletto » [27], dà con potere divino il perdono dei peccati [28], restituisce per virtù propria la sanità agli infermi [29] e richiama i morti alla vita [30]. Ora tutto ciò, mentre dimostra ad evidenza essere in Cristo due nature, dalle quali procedono operazioni umane e divine, non meno evidentemente attesta uno essere Cristo, Dio e Uomo nello stesso tempo, per quella unità della persona divina, per la quale è detto « Theànthropos ». – Inoltre, non vi è chi non veda come questa dottrina, costantemente insegnata dalla Chiesa, sia comprovata e confermata dal dogma della Redenzione umana. Infatti, come avrebbe potuto Cristo essere chiamato « primogenito fra molti fratelli » [31], essere ferito a causa della nostra iniquità [32], redimerci dalla schiavitù del peccato, se non fosse stato dotato di natura umana, come noi? E parimenti come avrebbe Egli potuto del tutto placare la giustizia del Padre celeste, offesa dal genere umano, se non fosse stato insignito, per la sua persona divina, di una dignità immensa e infinita? – Né è lecito negare questo punto della verità cattolica per la ragione che, se si dicesse che il Redentore nostro è privo della persona umana, per ciò stesso potrebbe sembrare che alla sua natura umana mancasse qualche perfezione, e quindi diventerebbe, come uomo, inferiore a noi. Poiché, come sottilmente e sagacemente osserva l’Aquinate, « la personalità in tanto appartiene alla dignità e alla perfezione di qualche cosa, in quanto appartiene alla dignità e alla perfezione di quella cosa l’esistere per se stessa, il che si intende col nome di persona. Però è più degno, per qualcuno, esistere in un altro di sé più elevato, che esistere per sé; quindi la natura umana è in maggiore dignità in Cristo, che non lo sia in noi, perché in noi, esistendo quasi per sé, ha la propria personalità; in Cristo, invece, esiste nella persona del Verbo. Così pure l’essere completivo della specie appartiene alla dignità della forma; tuttavia la parte sensitiva è più nobile nell’uomo per la congiunzione ad una più nobile forma completiva, che non lo sia nel bruto animale, nel quale essa stessa è forma completiva »[33]. – Inoltre è bene qui notare che, come Ario, quell’astutissimo sovvertitore dell’unità cattolica, impugnò la natura divina del Verbo, e la sua consostanzialità con l’Eterno Padre, così Nestorio, procedendo per una via del tutta diversa, rigettando cioè l’unione ipostatica del Redentore, negò a Cristo, sebbene non al Verbo, la piena ed integra divinità. Infatti, se in Cristo la natura divina fosse stata unita con quella umana solamente con vincolo morale (come egli stoltamente vaneggiava) — ciò che, come abbiamo detto, hanno in certo qual modo conseguito anche i profeti e gli altri eroi della santità cristiana, per la propria intima unione con Dio — il Salvatore del genere umano poco o nulla differirebbe da coloro che egli ha redenti con la sua grazia e col suo sangue. Rinnegata dunque la dottrina dell’unione ipostatica, sulla quale si fondano ed hanno solidità i dogmi dell’Incarnazione e della redenzione umana, cade e rovina ogni fondamento della religione cattolica. – Però non Ci meravigliamo se, alla prima minaccia del pericolo dell’eresia Nestoriana, tutto l’orbe cattolico ha tremato; non Ci meravigliamo se il Concilio Efesino vivamente si è opposto al Vescovo di Costantinopoli che combatteva con tanta temerità ed astuzia la fede avita, ed eseguendo la sentenza del Romano Pontefice lo ha colpito col tremendo anatema. – Noi pertanto, facendo eco, in armonia di animo, a tutte le età dell’era cristiana, veneriamo il Redentore del genere umano non come « Elia… o uno dei profeti » nei quali abita la divinità per mezzo della grazia, ma ad una voce col Principe degli Apostoli, che ha conosciuto tale mistero per rivelazione divina, confessiamo: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente » [34]. – Posta al sicuro questa verità dogmatica, se ne può facilmente dedurre che l’universale famiglia degli uomini e delle cose create è stata elevata dal mistero dell’Incarnazione a tale dignità, da non potersene certamente immaginare una maggiore, certo più sublime di quella alla quale fu innalzata con l’opera della creazione. Poiché in tal maniera nella discendenza di Adamo vi è uno, cioè Cristo, il quale perviene proprio alla sempiterna e infinita divinità, e con la stessa è congiunto in modo arcano e strettissimo; Cristo, diciamo, fratello nostro, dotato della natura umana, ma anche Dio con noi, ossia Emmanuele, che con la sua grazia e i suoi meriti, riconduce tutti noi al divino Autore, e ci richiama a quella beatitudine, dalla quale eravamo miseramente decaduti a causa del peccato originale. Nutriamo dunque per lui sensi di gratitudine, seguiamo i suoi precetti, imitiamone gli esempi. Così saremo consorti della divinità di colui « che si è degnato farsi partecipe della nostra umanità »[35]. – Se però, come abbiamo detto, in ogni tempo, nel corso dei secoli la vera Chiesa di Gesù Cristo ha con somma diligenza difeso pura e incorrotta tale dottrina dell’unità di persona e della divinità del suo Fondatore, non così, purtroppo, avviene presso coloro che miseramente vagano fuori dell’unico ovile di Cristo. Infatti, ogni volta che qualcuno con pertinacia si sottrae al magistero infallibile della Chiesa, abbiamo da lamentare in lui anche una graduale perdita della sicura e vera dottrina intorno a Gesù Cristo. In realtà, se alle tante e così diverse sette religiose, a quelle in modo speciale sorte dal secolo XVI e XVII in poi, le quali si gloriano ancora del nome cristiano e al principio della loro separazione confessavano fermamente Cristo Dio e uomo, domandassimo che cosa ora ne pensano, ne avremmo risposte del tutto dissimili e fra loro contraddittorie; perché, sebbene pochi di essi abbiano conservato una fede piena e retta riguardo alla persona del nostro Redentore, quanto agli altri però, se in qualche maniera affermano qualcosa di simile, questo sembra piuttosto un residuo di quel prezioso aroma di antica fede, di cui ormai hanno perduto la sostanza. – Infatti essi presentano Gesù come un uomo dotato di divini carismi, congiunto in un certo modo misterioso, più degli altri, con la divinità, e a Dio vicinissimo; ma sono molto lontani dalla intera e genuina professione della fede cattolica. Altri infine, non riconoscendo nulla di divino in Cristo, lo dichiarano semplice uomo, adorno sì di esimie doti di corpo e di animo, ma soggetto anche ad errori e alla fragilità umana. Da ciò appare manifesto che tutti costoro, allo stesso modo di Nestorio, vogliono con ardire temerario « separare Cristo » e pertanto, secondo la testimonianza dell’Apostolo Giovanni, « non sono da Dio » [36]. – Noi dunque, dal supremo fastigio di questa Sede Apostolica, esortiamo con cuore paterno tutti coloro che si gloriano di essere seguaci di Cristo, e che in Lui ripongono la speranza e la salute sia dei singoli sia dell’umano consorzio, ad aderire ogni giorno più fermamente e strettamente alla Chiesa Romana, nella quale si crede Cristo con fede unica, integra e perfetta, lo si onora con sincero culto di adorazione, lo si ama con perenne e vivida fiamma di carità. Si ricordino costoro, in modo speciale coloro che governano il gregge da Noi separato, che quella fede dai loro antenati solennemente professata in Efeso, è conservata immutata, e viene strenuamente difesa, come nell’età passata così al presente, da questa suprema Cattedra di verità; si ricordino che una tale purezza e unità di fede è fondata ed ha fermezza nella sola pietra posta da Cristo, e parimenti che solo per mezzo della suprema autorità del Beato Pietro e dei suoi Successori si può conservare incorrotta. – E quantunque di questa unità della religione cattolica abbiamo trattato più diffusamente pochi anni addietro nell’Enciclica Mortalium animos, gioverà tuttavia richiamarla qui brevemente in memoria, poiché l’unione ipostatica di Cristo, confermata in modo solenne nel Concilio Efesino, propone e rappresenta il tipo di quella unità di cui il nostro Redentore volle ornato il suo corpo mistico, cioè la Chiesa, « un solo corpo » [37], « ben compaginato e connesso » [38]. E veramente, se la personale unità di Cristo è l’arcano esemplare al quale Egli stesso volle conformare l’unica compagine della società cristiana, ogni uomo di senno comprende che questa non può affatto sorgere da una certa vana unione di molti discordanti fra loro, ma unicamente da una gerarchia, da un unico e sommo magistero, da un’unica regola del credere, da un’unica fede dei cristiani [39]. – Questa unità della Chiesa, che consiste nella comunione con la Sede Apostolica, fu nel Concilio di Efeso splendidamente affermata da Filippo, legato del Vescovo Romano, il quale, parlando ai Padri Conciliari che ad una voce plaudivano alla lettera inviata da Celestino, proferì queste memorande parole: « Rendiamo grazie al santo e venerabile Sinodo, perché letta a voi la lettera del santo e beato Papa nostro, voi, membra sante, vi siete congiunti al capo santo con le vostre sante voci e con le vostre sante acclamazioni. Infatti la vostra beatitudine non ignora che il beato Apostolo Pietro è capo di tutta la fede ed anche degli Apostoli » [40]. – Più che in passato, ora maggiormente, Venerabili Fratelli, è necessario che tutti i buoni siano stretti in Gesù Cristo e nella sua mistica sposa, la Chiesa, da un’unica, medesima e sincera professione di fede, poiché dappertutto tanti uomini cercano di scuotere il soave giogo di Cristo, respingono la luce della sua dottrina, calpestano le fonti della grazia, e infine ripudiano la divina autorità di Colui, che è diventato, secondo il detto evangelico, « il segno di contraddizione » [41]. – Siccome da tale lacrimevole defezione da Cristo provengono innumerevoli mali che vanno ogni giorno crescendo, tutti cerchino l’opportuno rimedio da Lui, che « è stato dato agli uomini sulla terra e nel quale solamente possiamo avere salvezza » [42]. – Così soltanto con l’aiuto del Sacro Cuore di Gesù, potranno spuntare tempi più felici per gli animi dei mortali, tanto per i singoli uomini, quanto per la società domestica e per la stessa società civile, al presente così profondamente sconvolta.

III

Dal punto della dottrina cattolica fin qui toccato, necessariamente deriva quel dogma della divina Maternità, che predichiamo, della B. Vergine Maria: «non già come ammonisce Cirillo, che la natura del Verbo o la sua divinità abbia tratto il principio della sua origine dalla Vergine Santissima, ma nel senso che da Lei trasse quel sacro corpo informato dall’anima razionale, dal quale il Verbo di Dio, unito secondo la ipostasi, si dice sia nato secondo la carne » [43]. Invero se il figlio della B. Vergine Maria è Dio, per certo Colei che Lo generò deve chiamarsi con ogni diritto Madre di Dio; se una è la persona di Gesù Cristo, e questa divina, senza alcun dubbio Maria deve da tutti essere chiamata non solamente Genitrice di Cristo uomo, ma Deipara, « Theotòcos ». Colei dunque che da Elisabetta sua cugina è salutata «Madre del mio Signore » [44], della quale Ignazio Martire dice che ha partorito Iddio [45], e dalla quale Tertulliano dichiara che è nato Iddio [46], quella stessa noi veneriamo come alma Genitrice di Dio, cui l’eterno Iddio conferì la pienezza della grazia e che elevò a tanta dignità. – Nessuno poi potrebbe rigettare questa verità, tramandataci fin dall’inizio della Chiesa, per il fatto che la B. Vergine abbia fornito sì il corpo a Gesù Cristo, senza però generare il Verbo del Padre celeste; infatti, come a ragione e chiaramente già fin dal suo tempo risponde Cirillo [47], a quel modo che tutte le altre donne nel cui seno si genera il nostro terreno composto ma non l’anima, si dicono e sono veramente madri, così Ella ha similmente conseguito la divina maternità dalla sola persona del Figlio suo. – Giustamente quindi il Concilio Efesino ancora una volta riprovò solennemente l’empia sentenza di Nestorio, che il Romano Pontefice, mosso dallo Spirito divino, aveva condannato un anno prima. – E il popolo di Efeso era compreso da tanta devozione e ardeva di tanto amore per la Vergine Madre di Dio, che appena apprese la sentenza pronunziata dai Padri del Concilio, li acclamò con lieta effusione di animo e, provvedutosi di fiaccole accese, a folla compatta li accompagnò fino alla loro dimora. E certo, la stessa gran Madre di Dio, sorridendo soavemente dal cielo ad un così meraviglioso spettacolo, ricambiò con cuore materno e col suo benignissimo aiuto i suoi figli di Efeso e tutti i fedeli del mondo cattolico, perturbati dalle insidie dell’eresia nestoriana. – Da questo dogma della divina Maternità, come dal getto d’un’arcana sorgente, proviene a Maria una grazia singolare: la sua dignità, che è la più grande dopo Dio. Anzi, come scrive egregiamente l’Aquinate: « La Beata Vergine, per il fatto che è Madre di Dio, ha una dignità in certo qual modo infinita, per l’infinito bene che è Dio » [48]. Il che più diffusamente espone Cornelio a Lapide con queste parole: « La Beata Vergine è Madre di Dio; Ella dunque è di gran lunga più eccelsa di tutti gli Angeli, anche dei Serafini e dei Cherubini. È Madre di Dio; Ella perciò è la più pura e la più santa, così che dopo Dio non si può immaginare una purezza maggiore. È Madre di Dio; perciò qualsiasi privilegio concesso a qualunque Santo, nell’ordine della grazia santificante, Ella lo ha al di sopra di tutti » [49]. – E allora perché i Novatori e non pochi acattolici riprovano così acerbamente la nostra devozione alla Vergine Madre di Dio, quasi riducessimo quel culto che solo a Dio è dovuto? Ignorano forse costoro, o non attentamente riflettono come nulla possa riuscire più accetto a Gesù Cristo, che certamente arde di un amore grande per la Madre sua, quanto il venerarla noi secondo il merito, premurosamente riamarla e studiarci, con l’imitazione dei suoi esempi santissimi, di guadagnarcene il valido patrocinio? – Non vogliamo però passare sotto silenzio un fatto che Ci riesce di non lieve conforto, come cioè ai nostri tempi, anche alcuni tra i Novatori siano tratti a conoscere meglio la dignità della Vergine Madre di Dio, e mossi a venerarla ed onorarla con amore. E questo certamente, quando nasca da una profonda sincerità della loro coscienza e non già da un larvato artificio di conciliarsi gli animi dei cattolici, come sappiamo che avviene in qualche luogo, Ci fa del tutto sperare che, con l’aiuto della preghiera, la cooperazione di tutti e con l’intercessione della B. Vergine che ama di amore materno i figli erranti, questi siano finalmente un giorno ricondotti in seno all’unico gregge di Gesù Cristo e, per conseguenza, a Noi che, sebbene indegnamente, ne sosteniamo in terra le veci e l’autorità. – Ma nella missione della maternità di Maria, ancora un’altra cosa, Venerabili Fratelli, crediamo doveroso ricordare: una cosa che torna certamente più dolce e più soave. Avendo Ella dato alla luce il Redentore del genere umano, divenne in certo modo madre benignissima, anche di noi tutti, che Cristo Signore volle avere per fratelli [50]. Scrive il Nostro Predecessore Leone XIII di f.m.: «Tale ce la diede Iddio: nell’atto stesso in cui la elesse a Madre del suo Unigenito, le ispirò sentimenti del tutto materni, che nient’altro effondessero se non misericordia ed amore; tale da parte sua ce l’additò Gesù Cristo, quando volle spontaneamente sottomettersi a Maria e prestarle obbedienza come un figlio alla madre; tale Egli dalla croce la dichiarò allorché, nel discepolo Giovanni, le affidò la custodia e il patrocinio su tutto il genere umano; tale infine si dimostrò Ella stessa, quando, raccolta con animo grande quella eredità d’un immenso travaglio lasciatale dal Figlio moribondo, si diede subito a compiere ogni ufficio di madre » [51]. – Per questo avviene che a Lei veniamo attratti come da un impulso irresistibile, e a Lei confidiamo con filiale abbandono ogni cosa nostra — le gioie cioè, se siamo lieti; le pene se siamo addolorati; le speranze se finalmente ci sforziamo di risollevarci a cose migliori —; per questo avviene che se alla Chiesa si preparano giorni più difficili, se la fede viene scossa perché la carità si è raffreddata, se volgono in peggio i privati e pubblici costumi, se qualche sciagura minaccia la famiglia cattolica e il civile consorzio, a Lei ci rifugiamo con suppliche, per chiedere con insistenza l’aiuto celeste; per questo, infine, quando nel supremo pericolo della morte, non troviamo più da nessuna parte speranza ed aiuto, a Lei innalziamo gli occhi lacrimosi e le mani tremanti, chiedendo fervidamente, per mezzo di Lei al Figlio suo, il perdono e l’eterna felicità nei cieli. – A Lei, dunque, ricorrano tutti con più acceso amore nelle presenti necessità dalle quali siamo travagliati; a Lei domandino con suppliche pressanti « di impetrare che le fuorviate generazioni tornino all’osservanza delle leggi, nelle quali è riposto il fondamento d’ogni pubblico benessere, e donde promanano i benefìci della pace e della vera prosperità. A Lei chiedano molto intensamente ciò che tutti i buoni devono avere in cima ai loro pensieri: che la Madre Chiesa ottenga il tranquillo godimento della sua libertà, la quale non indirizza ad altro che alla tutela dei supremi interessi dell’uomo, e dalla quale, come gli individui, così la società, anziché danno, trasse in ogni tempo i più grandi e inestimabili benefìci » [52]. – Ma sopra ogni altra cosa, un particolare e certamente importantissimo beneficio desideriamo che da tutti venga implorato, mediante la intercessione della celeste Regina. Ella cioè, che è tanto amata e tanto devotamente onorata dagli Orientali dissidenti, non permetta che questi miseramente fuorviino e che sempre più si allontanino dall’unità della Chiesa e quindi dal Figlio suo, del quale Noi facciamo le veci sulla terra. Tornino a quel Padre comune, la cui sentenza accolsero tutti i Padri del Concilio Efesino e salutarono con plauso unanime quale « custode della Fede »; facciano ritorno a Noi, che per tutti loro portiamo un cuore assolutamente paterno, e volentieri facciamo Nostre quelle tenerissime parole con le quali Cirillo si sforzò di esortare Nestorio, affinché « si conservasse la pace delle Chiese e rimanesse indissolubile tra i sacerdoti di Dio il vincolo della concordia e dell’amore » [53]. – Voglia il Cielo che spunti quanto prima quel lietissimo giorno in cui la Vergine Madre di Dio, fatta ritrarre in mosaico dal Nostro antecessore Sisto III nella Basilica Liberiana (opera che Noi stessi abbiamo voluto restituire al primitivo splendore), possa vedere il ritorno dei figli da Noi separati, per venerarLa insieme con Noi, con un solo animo e una fede sola. Cosa che certamente Ci riuscirà oltre ogni dire gioconda. – Riteniamo inoltre di buon augurio l’essere toccato a Noi di celebrare questo quindicesimo centenario; a Noi, vogliamo dire, che abbiamo difeso la dignità e la santità del casto connubio contro i cavillosi assalti d’ogni genere [54]; a Noi che abbiamo solennemente rivendicato alla Chiesa i sacrosanti diritti dell’educazione della gioventù, affermando ed esponendo con quali metodi dovesse impartirsi, a quali princìpi conformarsi [55]. – Infatti questi due Nostri insegnamenti trovano sia nelle mansioni della divina maternità, sia nella famiglia di Nazaret un esimio modello da proporsi all’imitazione di tutti. Effettivamente, per servirci delle parole del Nostro Predecessore Leone XIII di f. m., « i padri di famiglia hanno in Giuseppe una guida eccellentissima di paterna e vigile provvidenza; nella Santissima Vergine Madre di Dio, le madri hanno un insigne modello di amore, di verecondia, di spontanea sottomissione e di fedeltà perfetta; in Gesù poi, che era a quelli sottomesso, i figli trovano un modello di ubbidienza tale da essere ammirato, venerato ed imitato » [56]. – Ma è particolarmente giovevole soprattutto che quelle madri dei tempi moderni, le quali, infastidite della prole e del vincolo coniugale, hanno avvilito e violato i doveri che si erano imposti, sollevino lo sguardo a Maria, e seriamente considerino a quanto grande dignità il compito di madre sia stato da Lei innalzato. Così si può allora sperare che, con la grazia della celeste Regina, siano indotte ad arrossire dell’ignominia inflitta al grande sacramento del matrimonio, e che siano salutarmente animate a conseguire con ogni sforzo i pregi ammirabili delle virtù di Lei. – E qualora tutto ciò avvenga secondo i Nostri desideri, se cioè la società domestica — principio fondamentale di tutto l’umano consorzio — verrà ricondotta a così degnissima norma di probità, senza dubbio potremo affrontare e porre finalmente un riparo a quello spaventoso cumulo di mali da cui siamo travagliati. In tal modo avverrà « che la pace di Dio, la quale supera ogni intendimento, custodirà i cuori e le intelligenze di tutti » [57], e che l’auspicatissimo regno di Cristo venga dovunque e felicemente ristabilito, mediante la mutua unione delle forze e delle volontà. Né vogliamo por fine a questa nostra Enciclica senza manifestarvi, Venerabili Fratelli, una cosa che certamente riuscirà a tutti gradita. Desideriamo cioè che non manchi un ricordo liturgico di questa secolare commemorazione: un ricordo che giovi a rinfervorare nel Clero e nel popolo la più grande devozione verso la Madre di Dio. Perciò abbiamo ordinato alla Sacra Congregazione dei Riti che vengano pubblicati l’Ufficio e la Messa della Divina Maternità, da celebrarsi in tutta la Chiesa universale. – Intanto a ciascuno di voi, Venerabili Fratelli, al clero e al popolo vostro, come auspicio dei celesti favori e quale pegno del Nostro cuore paterno, impartiamo di cuore l’Apostolica Benedizione.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 25 dicembre, nella festa della Natività di N. S. Gesù Cristo, dell’anno 1931, decimo del Nostro Pontificato.

PIUS PP. XI

[1] Matth., XXVIII, 20.

[2] Ioann., XV, 6.

[3] Epist. ad Emos Card. B. Pompilj et A. Sincero, d. XXV Dec. MDCCCCXXX.

[4] Ephes. IV, 13-16.

[5] Mansi, Conciliorum Amplissima Collectio, IV, c. 1007; Schwartz, Acta Conciliorum Oecumenicorum, I, 5, p. 408.

[6] Mansi, l.c., IV, 1011.

[7] Mansi, l.c., IV, 1015.

[8] Mansi, l.c., IV, 1034 sq.

[9] Migne, P. L., 50, 463; Mansi, l.c., IV, 1019 sq.

[10] Mansi, l.c., IV, 1291.

[11] Mansi, l.c., IV, 1292.

[12] Mansi, l.c., IV, 1287.

[13] Mansi. l.c., IV, 1292.

[14] Mansi, l.c., IV, 556.

[15] Mansi, l.c., IV, 1290.

[16] Conc. Vatic., sess. IV, cap. 2.

[17] Mansi, l.c., IV, 1295.

[18] Mansi, l.c., IV, 1287.

[19] Mansi, l.c. IV, 1287.

[20] Mansi, l.c., IV, 1294 sq.

[21] Mansi, l.c., IV, 1287 sq.

[22] Epist. 190; Corpus Scriptorum ecclesiasticorum latinorum, 57, p. 159 sq.

[23] Mansi, l.c., VI, 124.

[24] Mansi, l.c., VI, 351-354.

[25] Migne, P. L., 77, 478; Mansi, l.c., IX, 1048.

[26] Mansi, l.c., IV, 891.

[27] Matth., III, 17; XVII, 5; II Petr., 17.

[28] Matth., IX, 2-6; Luc., V, 20-24; VII, 48 et alibi.

[29] Matth., VIII, 3; Marc, I, 41; Luc., V, 13; Ioann., IX et alibi.

[30] Ioann., XI, 43; Luc., VII, 14 et alibi.

[31] Rom., VIII, 29.

[32] Isai., LIII, 5; Matth., VIII, 17.

[33] Summ. Theol., III, q. II, a. 2.

[34] Matth., XVI, 14.

[35] Ordo Missae.

[36] I Ioann., IV, 3.

[37] I Cor., XII, 12.

[38] Ephes., IV, 16.

[39] Litt. Encycl. Mortalium animos.

[40] Mansi, l.c., 1290.

[41] Luc., II, 34.

[42] Act., IV, 13.

[43] Mansi, l.c., IV, 891.

[44] Luc., I, 43.

[45] Ephes., VII, 18-20.

[46] De carne Chr., 17, P. L., II, 781.

[47] Mansi, l.c., IV, 599.

[48] Summ Theol., I, q. XXV, a. 6.

[49] In Matth., I, 6.

[50] Rom., VIII, 29.

[51] Epist. Encyl. Octobri mense adventante, die XXII Sept. MDCCCXCI.

[52] Epist. Encycl. s. c.

[53] Mansi, l.c., IV, 891.

[54] Litt. Encycl. Casti connubii, die XXI Decemb. MDCCCCXXX.

[55] Litt. Encycl: Divini illius Magistri, die XXI Decemb. MDCCCCXXIX;

[56] Litt. Apost. Neminem fugit, die XIV Ian. MDCCCXXXXII.

[57] Phil., IV, 7.

Omelia della Domenica XXI dopo Pentecoste

Omelia della Domenica XXI dopo Pentecoste

[Del canonico G. B. Musso – Seconda ed. napoletana, Vol. III -1851- imprim.]

(Vangelo sec. S. Matteo XVIII, 23-35)

servo-spietato

Amore ai nemici.

Servo malvagio (così un Re sdegnato contro un suo iniquo vassallo, secondo la parabola dell’odierno sacrosanto Vangelo) “servo malvagio, io mosso a pietà del tuo pianto ti ho rimesso il debito, che avevi con me, di dieci mila talenti. E tu ancor bagnato dalle tue lacrime, ancor commosso dall’amore con cui ti perdonai, appena metti il pie’ fuor della mia soglia, che incontrato un tuo conservo a te debitore di cento danari, lo tieni per la gola, minacci di soffocarlo se non ti rende quanto deve. Quegli si getta ai tuoi piedi, e usando di quelle stesse parole, colle quali tu hai destata la mia commiserazione, ti prega, ti scongiura a dargli un respiro di tempo, onde poter soddisfarti; e tu inflessibile e duro al, par d’un macigno, lo strascini al tribunale, lo fai chiudere in oscura prigione. Servo indegno, perché da me non apprendesti la compassione per un tuo simile? Olà, miei ministri; sia legato costui, sia dato in mano de’manigoldi, sia posto alla tortura, finché abbia interamente soddisfatto tutto il suo debito”. Cosi, conchiude la parabola il divin Salvatore, così farà con voi, miei discepoli, il Padre mio, se non perdonerete di cuore ai vostri offensori. Già in altro luogo del suo Evangelio, Gesù Cristo nei termini più precisi ha promulgato l’espresso suo comandamento d’amare i nostri nemici, “ego autem dico vobìs: diligite inimicos vestros” (Matt. V, 44). Convien dire che molto preme al nostro divin Legislatore l’osservanza di questo suo comando. Così è: e pure quanto vien trasgredito! Per opporre qualche argine a un tanto disordine, io passo a dimostrarvi l’eccellenza di questo precetto, la gravezza della sua trasgressione, la stoltezza de’suoi trasgressori. Piacciavi d’ascoltarci:

I. Il precetto d’amar i nostri nemici mostra la propria eccellenza, o si riguardi il Legislatore che comanda, o il suddito che ubbidisce. Il Legislatore è l’Uomo-Dio, che a farci conoscere il pregio di questo suo comandamento ci mette in vista l’esempio del suo Padre celeste, che fa sorgere il sole da Lui creato, acciò della sua luce e del suo calore godan del pari i buoni ed i malvagi, e comanda alle nubi di spargere la pioggia fecondatrice tanto sul terreno del giusto, quanto su quel dell’ingiusto: “Qui solem suum oriri facit super bonos et malos; et pluit super iustos et iniustus” (Ibid. 45). Amate, dice Egli; i vostri nemici. Segni del vostro amore saranno se al loro odio contrapporrete i vostri benefizi e alle calunnie le vostre preghiere. Questa è la via per essere costituiti figliuoli di Dio, e per arrivare colla debita proporzione ad esser perfetti, come è perfetto il Padre vostro che sta in cielo: “ut sitis filii Pater vestri … perfecti, sicut et Pater vester coelestis perfectus est” (Ibid. 48). L’altezza del grado a cui mira un tal precetto è chiara prova dell’eccellente sua prerogativa. – Cresce questa a dismisura quando il Legislatore col proprio esempio, dato nelle più difficili circostanze, muove i suoi sudditi all’adempimento della sua legge. Uno sguardo a Gesù sulla Croce sazio d’obbrobri, che provocato da’ suoi nemici con amare ironie e con pungenti sarcasmi, prega l’eterno suo Padre a graziarli di perdono, e per più facilmente ottenerlo espone la scusa della loro ignoranza: “Pater dimitte illis; non enim sciunt quod fàciunt” (Luc. XXIII, 34). Tratto così generoso manifesta del pari la grandezza del cuor d’un Uomo-Dio, l’eccellenza del suo precetto, la gloria de’ suoi imitatori. – Dio ha creato l’uomo a sua immagine e similitudine; risplende questa nelle facoltà del suo spirito. Gran dignità all’uomo concessa; ma la bellezza e nobiltà di quest’immagine non si perfeziona, se non quando l’uomo stesso regola le sue azioni giusta il volere e l’esempio del suo prototipo che è Dio. Chi dunque perdona al suo nemico, si rende a Dio somigliante, si solleva ad un grado superiore alla natura, e merito e gloria glie ne ridonda appresso Dio e appresso gli uomini. A chiarirvene seguitemi col pensiero. – Vedete voi quei pastori innanzi al viceré dell’Egitto? Sono i suoi fratelli, egli è Giuseppe da essi non conosciuto. Son eglino quei che l’hanno avuto in tant’odio, fin a volersi lavar le mani nel suo sangue innocente, quei, che spogliatolo e messo in fondo di secca cisterna l’han poi venduto in ischiavo a mercanti Ismaeliti. Sono ora in sua mano: non gli manca né potere, né ragione per vendicasi. Ma no, “io son Giuseppe vostro fratello, dice loro, venite al mio seno”, e cosi dicendo strettamente gli abbraccia, li bagna di dolci lacrime, li colma di benefizi. Qual senso, uditori, desta in voi quest’avvenimento? Quale in voi è maggiore l’ammirazione o la tenerezza? Fingete ora che Giuseppe si fosse vendicato de’ suoi snaturati fratelli, un alto senso d’indignazione e di disprezzo avrebbe svegliato in voi la bassa sua azione. Quanto, avreste detto, ha mai avvilito la sua dignità, quanto disonorato il suo nome! Col grado di viceré non ha cangiato il rozzo costume di vigliacco pastore. Così è, render male per male è proprio dei bruti, è segno d’anima vile. Per l’opposto, perdonar le offese, beneficare gli offensori è singolare virtù d’uomo grande, di cuor generoso vincitor di sé stesso, virtù col solo lume di natura conosciuta e praticata da tanti, anche nelle tenebre del Paganesimo, virtù, che nella legge di grazia innalza il cristiano al grado di somiglianza con Dio. Grande adunque e magnifica è l’eccellenza di queste precetto; ma ancor più grande e ontosa è la gravezza della sua trasgressione.

II. Ditemi in grazia o voi, ai quali sembra tanto dura, e difficile l’osservanza di questo divino comando. V’impone forse Iddio d’amare nel vostro nemico i suoi misfatti, i modi indegni coi quali oltraggiò la vostra persona? No certamente, vi comanda d’amarlo come sua immagine e come vostro fratello in Gesù Cristo. Ora siccome sarebbe enormissimo sacrilegio calpestare l’immagine del S. Crocifisso sul pretesto che fosse mal impressa in carta, o male scolpita in legno; così sarà sempre un gran delitto l’odiare, l’offendere il nostro fratello, tuttocché malvagio, offensore e nemico; poiché in ogni modo porta sempre l’impronta di quel Dio, che lo creò a sua immagine e somiglianza. – Se poi l’odio contro quel vostro nemico vi trasportasse ad ucciderlo, sfogato il crudele piacer della vendetta, placato il sangue, avreste in orrore voi stesso. Il reato d’un omicidio, il nome d’omicida vi coprirebbe di confusione e di infamia, e la memoria del vostro delitto sarebbe il vostro carnefice. Or sappiate, che se nutrite in cuore un odio grave verso il vostro fratello, siete reo d’omicidio, siete un omicida. In termini espressi vel dice l’Evangelista s. Giovanni Omnis qui odit fratrem suum homicida est.- Homicida est” (Gio. III, 15), perché nel cuor di chi odia muore il fratello odiato. E come? Vi muore la buona opinione dello stesso, vi muore la carità comandata, vi muore la stessa natura portata ad amar i suoi simili. Volete conoscere se nel vostro cuore è morto qualche vostro fratello? Osservate se si eccitano in voi quei movimenti, che naturalmente sogliono in voi destarsi alla vista di qualche cadavere più o meno schifoso. L’occhio primieramente prova ribrezzo a vederlo, ne resta offeso, si volta altrove. Avviene a voi altrettanto all’imbattervi con quel tal prossimo? Di quel cadavere non potete soffrire la fetida esalazione. E la presenza e il parlare e il trattare con quella persona vi si rende del pari intollerabile? Non vedete l’ora che quel cadavere vi si tolga davanti e si metta sotterra. Avreste mai la stessa voglia riguardo al vostro nemico? Se è così, son tutti segni che nel cuor vostro è morto il vostro fratello, che odiandolo gli avete dato morte, che siete reo di formale omicidio, che siete omicida: Omnis qui odit fratrem suum homicida est.” – Andate ora con questo nome in fronte a produrre scuse per sottrarvi dal perdonare le ricevute ingiurie, ed a chiamar troppo dura la legge d’amare i nemici. Se bramate ch’io vi dica perché tale vi sembra, io vel dirò con quella sincerità ch’esige il mio ministero, e da quel che son dirvi vedrete quanto s’aumenta la gravezza della vostra trasgressione. Vi par duro, vi pare anche impossibile il precetto d’amare i vostri nemici perché fatto e promulgato da Gesù Cristo. Oh che orrenda cosa ci fate sentire! Vi sorprende, miei cari, e pur è così, uditemi con pazienza. Se un personaggio autorevole, un uomo di merito, come più volte è avvenuto, con confidenza ed impegno, orsù, vi dicesse: io voglio estinto il vostro odio, quest’inimicizia disonora voi, disgusta me, non voglio che più sussista: vi chiedo la pace e pace sincera e pace stabile: non mi negate tal grazia, che l’attribuirò fatta a me stesso e ve ne professo fin d’ora obbligazione e riconoscenza perpetua; a questo dolce parlare non sapreste resistere, vincerebbe ogni ritrosia l’acquisto d’un amico potente. Meno: quella donna da voi coltivata s’interpone tra voi e il vostro avversario, e “per amor mio, vi dice, deponete ogni rancore, non mi tornate dinanzi se non fate amistà”. E voi alle parole uscite da quella bocca chinate la testa, vi chiamate fortunato in ubbidirle. Meno ancora: l’interesse vi suggerisce che tronchiate quei dispendiosi puntigli, che rendiate il saluto, che mostriate buon viso a chi può farvi un prestito, a chi può procurarvi una carica, a chi può nominarvi o escludervi nel suo testamento, e voi date ascolto alle voci dell’interesse e vi attenete ai suoi consigli. Ora, io ripiglio, parla una persona di qualità e vi arrendete; parla una femminetta e vi piegate, parla l’interesse ed ubbidite, parla Gesù Cristo e non s’ascolta e non si vuol ubbidire. Il fatto dunque dimostra esser in pratica pur troppo vero quel che vi faceva sorpresa come una cosa orrenda.

III. Ma via non vi muove la gravezza e l’enormità della colpa, date almeno luogo alla ragione. In tante altre vostre azioni vi piccate di senno e di prudenza, ma se voi state fissi a non perdonare, non ischivate la taccia d’una grande stoltezza. So quanto l’indole vostra sia aliena dal fare una sanguinosa vendetta. Supponete però, che alcun, fra voi da forte tentazione vi fosse incitato: “fratel mio, gli direste, tirate i vostri conti. Mettete in una parte di bilancia il barbaro piacer della vendetta: ponete dall’altra la perdita della vostra libertà, la fuga dalla patria e dallo stato, l’infamia del vostro nome, il disgusto dei congiunti, la rovina della famiglia, lo spavento di cader nelle mani della giustizia, il patibolo in fine, a cui potesse esser condotto”. Che cosa prepondererà nel vostro giudizio? L’amor di vendicarvi? Perdonatemi, quando è così, se vi chiamo un insensato, un matto da catena, non uomo ragionevole, ma una fiera del bosco. Così direste umanamente parlando. – E che dovrò io soggiungere parlando dell’ anima e dell’eterna salute? O Dio! Voi non volete sparger sangue, lo so, ma il vostro cuore è tutto sparso di malavoglia e pieno di rancore. Intanto voi recitate l’orazione domenicale, il Pater noster, e non avete tanto lume a conoscere, che collo odio in cuore pronunziando quelle parole, dimitte nobis debita nostra, sicut et nos dimittimus debitoribus nostris”, pronunziate la vostra sentenza. – Badate a quel che dite, v’avvisa S. Giovanni Crisostomo, acciò come un pazzo furibondo non volgiate contro voi stessi la vostra spada a trafiggervi: “Vide quid dicis, ne contra te ensem, tanquam insanus et furiosus stringas(Hom. 38 in Ioan.). Voi in sostanza dite così: Signore, perdonate a me, come perdono agli altri, io non perdono e non mi perdonate, non voglio più mirare in faccia quel prossimo, non voglio più trattarlo, non più parlargli, e voi fate altrettanto con me, misuratemi colla stessa misura, pagatemi della stessa moneta, battetemi collo stesso bastone. Così pregando, voi impugnate la penna e scrivete la vostra condanna. E qual sarà se non è questa la più solenne pazzia? – Cristiani amatissimi, siam tutti peccatori, abbiamo tutti chi più, chi meno dei debiti con Dio. Se non perdoniamo di cuore non v’è per noi perdono. Un Dio lo comanda, un Dio ne dà l’esempio, un Dio promette premio, un Dio minaccia castigo; e noi saremo inflessibili? Non voglio crederlo d’alcuno di questa mia cara udienza.

FESTA DEL SANTO ROSARIO

Per le festa del SS. Rosario, vogliamo ricordare, tra i tanti, due documenti del Magistero della Chiesa particolarmente importanti. Sono due lettere encicliche di S. S. LEONE XIII, un Papa particolarmente devoto alla Vergine Santissima. Per queste parole non servono commenti, sono voce del Vicario di Cristo in terra … voce di Dio!, oggi più attuali che mai, vista la situazione della Chiesa in mano agli apostati ecumenisti. ma anche questa volta il Rosario sarà l’arma vincente …

“… e il mio Cuore Immacolato alla fine trionferà! 

 rosario

“SUPREMI APOSTOLATUS”

DEL SOMMO PONTEFICE LEONE XIII

“SULLA RECITA DEL SANTO ROSARIO

NEL MESE DI OTTOBRE”

AI VENERABILI FRATELLI, PATRIARCHI,

PRIMATI, ARCIVESCOVI, VESCOVI

DEL MONDO CATTOLICO

AVENTI GRAZIA E COMUNIONE

CON L’APOSTOLICA SEDE

LEONE PP. XIII

SERVO DEI SERVI DI DIO

VENERABILI FRATELLI, SALUTE E APOSTOLICA BENEDIZIONE

Dall’ufficio del Supremo Apostolato che esercitiamo, e dalla condizione durissima di questi tempi siamo ogni giorno più stimolati e quasi sospinti a provvedere con tanta maggiore sollecitudine alla tutela e all’incolumità della Chiesa quanto più essa è travagliata da gravi calamità. Perciò, mentre Ci sforziamo, per quanto Ci è possibile, di difendere in tutti i modi i diritti della Chiesa, e di prevenire e respingere i pericoli che sovrastano o ci circondano, non desistiamo dall’implorare i celesti soccorsi, dai quali unicamente Ci possiamo attendere che le Nostre cure e le Nostre fatiche raggiungano il desiderato scopo. – Per ottenere questo, nulla stimiamo più valido ed efficace che di renderci degni, con devozione e pietà, del favore della Gran Madre di Dio Maria Vergine, la quale, come mediatrice della nostra pace presso Dio e dispensatrice delle grazie celesti, è collocata in cielo nel più eccelso trono di potere e di gloria, perché conceda il suo patrocinio agli uomini, che fra tante pene e pericoli si sforzano di giungere alla patria sempiterna. – Per la qual cosa, essendo ormai prossima la solennità annuale in cui si celebrano i moltissimi e sommi benefici concessi al popolo cristiano attraverso le preghiere del Santissimo Rosario di Maria, vogliamo che, quest’anno, tutto il mondo cattolico, con particolare devozione, rivolga la stessa pia preghiera alla Grande Vergine, affinché, per la sua intercessione, possiamo avere la gioia di vedere il suo Figlio placato e mosso a compassione dalle nostre miserie. – Per tale motivo abbiamo creduto bene, Venerabili Fratelli, indirizzarVi questa Lettera, perché, conosciute le Nostre intenzioni, Voi possiate, con la Vostra autorità e con il Vostro zelo, spronare la pietà dei fedeli a corrispondere pienamente ad esse. – Fu in ogni tempo lodevolissimo ed inviolabile costume del popolo cattolico ricorrere nei trepidi e dubbiosi eventi a Maria e rifugiarsi nella sua materna bontà. Ciò dimostra la fermissima speranza, anzi la piena fiducia, che la Chiesa cattolica ha sempre a buon diritto riposto nella Madre di Dio. Infatti la Vergine Immacolata, prescelta ad essere Madre di Dio, e per ciò stesso fatta corredentrice del genere umano, gode presso il Figlio di una potenza e di una grazia così grande che nessuna creatura né umana né angelica ha mai potuto né mai potrà raggiungerne una maggiore. E poiché la gioia per Lei più gradita è quella di aiutare e consolare ogni singolo fedele che invochi il suo soccorso, non vi può essere dubbio che Ella voglia molto più volentieri accogliere, anzi esulti nel soddisfare i voti di tutta la Chiesa. – Ma questa così ardente e fiduciosa devozione verso l’augusta Regina del cielo più chiaramente apparve quando la violenza degli errori largamente diffusi, o la corruzione strabocchevole dei costumi, o l’impeto di potenti nemici, parve mettere in pericolo la Chiesa militante di Dio. – Le memorie antiche e moderne, e i sacri fasti della Chiesa ricordano le pubbliche e private preghiere e i voti innalzati alla Gran Madre di Dio, nonché i soccorsi, la pace e la tranquillità concessi da Dio per sua intercessione. Da qui ebbero origine quei titoli insigni con i quali i popoli cattolici la salutarono Ausiliatrice dei cristiani, Soccorritrice, Consolatrice, Arbitra delle guerre, Trionfatrice, Apportatrice di pace. Fra tali titoli si vuole in primo luogo ricordare quello così solenne del Rosario, con cui furono consacrati all’immortalità i sommi suoi benefici verso l’intera cristianità. Nessuno di Voi ignora, Venerabili Fratelli, quanto travaglio e lutto apportassero alla santa Chiesa di Dio, sullo scorcio del secolo XII, gli eretici Albigesi, i quali, generati dalla setta degli ultimi Manichei, riempirono di perniciosi errori le contrade meridionali della Francia ed altre regioni del mondo latino. – Spargendo in tutti i luoghi il terrore delle armi, contavano di poter dominare incontrastati con stragi e rovine. Contro siffatti nemici crudelissimi, il misericordioso Iddio, come è noto, suscitò un santissimo uomo, l’inclito padre e fondatore dell’Ordine Domenicano. Egli, grande per la purezza della dottrina, per la santità della vita, per le fatiche dell’Apostolato, prese a combattere intrepidamente per la Chiesa cattolica, confidando non nella forza né nelle armi, ma più di tutto in quella preghiera che egli per primo introdusse col nome del santo Rosario e che, o direttamente o per mezzo dei suoi discepoli, diffuse ovunque. Per ispirazione e per impulso divino, egli ben sapeva che con l’aiuto di questa preghiera, potente strumento di guerra, i fedeli avrebbero potuto vincere e sconfiggere i nemici, e costringerli a cessare la loro empia e stolta audacia. Ed è noto che gli avvenimenti diedero ragione alla previsione. Infatti, da quando tale forma di preghiera insegnata da San Domenico fu abbracciata e debitamente praticata dal popolo cristiano, cominciarono a rinvigorire la pietà, la fede e la concordia, e furono dappertutto infrante le manovre e le insidie degli eretici. Inoltre moltissimi erranti furono ricondotti sulla via della salvezza, e la follia degli empi fu schiacciata da quelle armi che i cattolici avevano impugnate per rintuzzare la violenza. – L’efficacia e la potenza della stessa preghiera furono poi mirabilmente sperimentate anche nel secolo XVI, allorché le imponenti forze dei Turchi minacciavano di imporre a quasi tutta l’Europa il giogo della superstizione e della barbarie. In quella circostanza il Pontefice San Pio V, dopo aver esortato i Principi cristiani alla difesa di una causa che era la causa di tutti, rivolse innanzi tutto ogni suo zelo ad ottenere che la potentissima Madre di Dio, invocata con le preghiere del Rosario, venisse in aiuto del popolo cristiano. E la risposta fu il meraviglioso spettacolo, allora offerto al cielo e alla terra, spettacolo che incatenò le menti e i cuori di tutti. Da una parte, infatti, i fedeli pronti a dare la vita e a versare il sangue per la salvezza della religione e della patria, aspettavano intrepidi il nemico non lontano dal golfo di Corinto; dall’altra, uomini inermi in pia e supplichevole schiera invocavano Maria, e con la formula del Rosario ripetutamente salutavano Maria, affinché assistesse i combattenti fino alla vittoria. – E la Madonna, mossa da quelle preghiere, li assistette. Infatti, avendo la flotta dei cristiani attaccato battaglia presso le isole Curzolari, senza gravi perdite sbaragliò ed uccise i nemici [a Lepanto] e riportò una splendida vittoria. Per questo motivo il santissimo Pontefice, ad eternare il ricordo della grazia ottenuta, decretò che il giorno anniversario di quella grande battaglia fosse considerato festivo in onore di Maria Vincitrice, e tale festa Gregorio XIII consacrò poi col titolo del Rosario. – Parimenti sono note le vittorie riportate sulle forze dei Turchi, durante il secolo scorso, una volta presso Timisoara in Romania, e l’altra presso l’isola di Corfù, in due giorni dedicati alla grande Vergine e dopo molte preghiere a Lei offerte secondo il pio rito del Rosario. Questa fu la ragione che mosse il Nostro Predecessore Clemente XI a stabilire che, in attestato di riconoscenza, tutta la Chiesa celebrasse ogni anno la solennità del Rosario. – Pertanto, poiché risulta che questa preghiera è tanto cara alla Vergine, e tanto efficace per la difesa della Chiesa e del popolo cristiano, nonché per impetrare da Dio pubblici e privati benefici, non stupisce che anche altri Pontefici Nostri Predecessori si siano adoperati con parole di altissimo encomio per diffonderla. Così Urbano IV affermò che “per mezzo del Rosario pervengono nuove grazie al popolo cristiano”. Sisto IV proclamò che questa forma di preghiera “torna opportuna, non solo a promuovere l’onore di Dio e della Vergine, ma anche ad allontanare i pericoli del mondo”; Leone X la disse “istituita contro gli eresiarchi e contro il serpeggiare delle eresie”; e Giulio III la chiamò “ornamento della Chiesa di Roma”. Parimenti Pio V, parlando di questa preghiera, disse che “al suo diffondersi, i fedeli, infiammati da quelle meditazioni e infervorati da quelle preghiere, cominciarono d’un tratto a trasformarsi in altri uomini; le tenebre delle eresie cominciarono a dileguarsi, ed a manifestarsi più chiara la luce della fede cattolica”. Infine, Gregorio XIII dichiarò che il “Rosario fu istituito da San Domenico per placare l’ira di Dio e per ottenere l’intercessione della Beata Vergine”. – Mossi da queste considerazioni e dagli esempi dei Nostri Predecessori, riteniamo assai opportuno, nelle presenti circostanze, ordinare solenni preghiere affinché la Vergine augusta, invocata col santo Rosario, ci impetri da Gesù Cristo, Suo Figlio, aiuti pari ai bisogni. – Voi vedete, Venerabili Fratelli, le incessanti e gravi lotte che travagliano la Chiesa. La pietà cristiana, la pubblica moralità e la stessa fede – il più grande dei beni, e fondamento di tutte le altre virtù – sono esposte a pericoli sempre più gravi. Così pure Voi non solo conoscete la Nostra difficile situazione e le Vostre molteplici angustie, ma per la carità che a Noi sì strettamente Vi unisce, Voi le soffrite insieme con Noi. Ma il fatto più doloroso e più triste di tutti è che tante anime, redente dal sangue di Gesù Cristo, come afferrate dal turbine di questa età aberrante, vanno precipitando in un comportamento sempre peggiore, e piombano nell’eterna rovina. – Il bisogno dunque del divino aiuto non è certamente minore oggi di quando il glorioso San Domenico introdusse la pratica del Rosario Mariano per guarire le piaghe della società. Egli, illuminato dall’alto, vide chiaramente che contro i mali del suo tempo non esisteva rimedio più efficace che ricondurre gli uomini a Cristo, che è “via, verità e vita”, mediante la frequente meditazione della Redenzione, ed interporre presso Dio l’intercessione di quella Vergine a cui fu concesso di “annientare tutte le eresie”. – Per questo motivo egli compose la formula del sacro Rosario in modo che fossero successivamente ricordati i misteri della nostra salvezza, e a questo dovere della meditazione s’intrecciasse un mistico serto di salutazioni angeliche, intercalate dalla preghiera a Dio, Padre del Nostro Signore Gesù Cristo. – Noi dunque, che andiamo ricercando un uguale rimedio a simili mali, non dubitiamo che la stessa preghiera, introdotta dal santo Patriarca con così notevole vantaggio per il mondo cattolico, tornerà efficacissima nell’alleviare anche le calamità dei nostri tempi. – Per la qual cosa non solo esortiamo caldamente tutti i fedeli affinché, o in pubblico o in privato, ciascuno nella propria casa e famiglia, si studino di praticare la devozione del Rosario, senza mai tralasciarne l’uso, ma vogliamo altresì che l’intero mese d’ottobre del corrente anno sia dedicato e consacrato alla celeste Regina del Rosario.

Decretiamo pertanto e comandiamo che in questo stesso anno la solennità della Madonna del Rosario sia celebrata con speciale devozione e splendore di culto in tutto il mondo cattolico, e che dal primo giorno del prossimo ottobre sino al due del successivo novembre in tutte le Chiese parrocchiali del mondo e, se gli Ordinari dei luoghi lo riterranno utile ed opportuno, anche in altre Chiese ed Oratori dedicati alla Madre di Dio, si recitino devotamente almeno cinque decine del Rosario, con l’aggiunta delle Litanie Lauretane. Desideriamo poi che quando il popolo si raccoglie per tali preghiere, o si offra il santo Sacrificio della Messa, oppure si esponga solennemente il Santissimo Sacramento, e alla fine s’impartisca ai presenti la Benedizione con l’Ostia sacrosanta. – Vivamente approviamo che le Confraternite del Rosario, seguendo un’antica tradizione, facciano solenni processioni per le vie delle città, a pubblica dimostrazione della loro fede. Ma dove, per l’avversità dei tempi, ciò non sia possibile, Noi non dubitiamo che quanto sarà tolto da questa parte al culto pubblico sarà compensato con una più numerosa frequenza ai sacri templi, e che il fervore della pietà si manifesterà con una più diligente pratica delle cristiane virtù. – A favore poi di coloro che faranno quanto sopra abbiamo ordinato, apriamo volentieri i celesti tesori della Chiesa, nei quali essi possano trovare al tempo stesso stimoli e premi alla loro pietà. Pertanto a coloro che, entro il tempo stabilito, parteciperanno alla pubblica recita del Rosario con le Litanie, e pregheranno secondo la Nostra intenzione, concediamo per ogni volta l’Indulgenza di sette anni e di sette quarantene. Vogliamo parimenti che di tale beneficio possano godere coloro che, impediti per legittima causa dal compiere il pio esercizio in pubblico, lo praticheranno in privato, e pregheranno anch’essi Iddio secondo la Nostra intenzione. – A coloro poi che, entro il suddetto tempo, per almeno dieci volte, compiranno la medesima pratica o in pubblico nelle Chiese, o, per giusti motivi, nelle loro case, concediamo l’Indulgenza plenaria, purché alla pia pratica congiungano la Confessione e la Comunione. – Questa Indulgenza plenaria delle loro colpe concediamo anche a quanti, nella stessa solennità della Beata Vergine del Rosario o in uno degli otto giorni successivi, si saranno parimenti accostati al tribunale della Penitenza ed alla mensa del Signore, ed in qualche Chiesa avranno pregato Dio e la Madonna seco la Nostra intenzione, per le necessità della santa Chiesa. Orsù dunque, Venerabili Fratelli, per quanto avete a cuore l’onore di Maria e il benessere della società, studiatevi di alimentare la devozione e di accrescere la fiducia dei popoli verso la Grande Vergine. Noi pensiamo che sia da attribuire a divino favore il fatto che, anche in momenti tanto burrascosi per la Chiesa come questi, si siano mantenute salde e fiorenti nella maggior parte del popolo cristiano l’antica venerazione e la pietà verso la Vergine augusta. Ma ora Noi speriamo che, incitati da queste Nostre esortazioni ed infiammati dalle Vostre parole, i fedeli si metteranno con sempre più ardente entusiasmo sotto la protezione e l’assistenza di Maria, e continueranno ad amare con crescente fervore la pratica del Rosario, che i nostri padri solevano considerare non solo come un potente aiuto nelle calamità, ma anche come un nobile distintivo della cristiana pietà. La celeste Patrona del genere umano accoglierà benigna le umili e concordi preghiere, e agevolmente otterrà che i buoni si rinvigoriscano nella pratica della virtù; che gli erranti ritornino in sé e si ravvedano; e che Dio, vindice delle colpe, piegato a misericordiosa clemenza, allontani i pericoli e restituisca al popolo cristiano e alla società la tanto desiderata tranquillità. – Confortati da questa speranza, con i più accesi voti del Nostro cuore preghiamo vivamente Iddio, per l’intercessione di Colei in cui ha riposto la pienezza di ogni bene, affinché elargisca a Voi, Venerabili Fratelli, le più abbondanti grazie celesti, delle quali è auspicio e pegno l’Apostolica Benedizione che impartiamo di cuore a Voi, al Vostro Clero ed ai popoli affidati alle Vostre cure.

Dato a Roma, presso San Pietro, l’1 settembre 1883, anno sesto del Nostro Pontificato.

LEONE PP. XIII

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Leone XIII

Octobri mense

Lettera Enciclica

 

Con l’approssimarsi del mese di ottobre, sacro alla beatissima Vergine del Rosario, Ci ritornano gradite alla memoria le calorose esortazioni a voi rivolte negli anni scorsi, Venerabili fratelli, affinché tutti i fedeli, senza eccezione, incitati dalla vostra autorità e dal vostro zelo si applicassero con rinnovata devozione al culto della gran Madre di Dio, potente ausiliatrice della cristianità, ed a Lei si rivolgessero supplichevoli per tutto il mese, invocandola con la santissima pratica del Rosario, che la Chiesa non ha mai mancato di esercitare e di diffondere, specialmente in situazioni d’incertezza e in tempi di grandi difficoltà, ottenendo sempre l’esito desiderato. – È Nostra intenzione, anche quest’anno, rivolgerci a voi per ribadire e raddoppiare le stesse esortazioni, come Ci consiglia e Ci spinge a fare l’amore verso la Chiesa, le cui tribolazioni, invece di affievolirsi aumentano ogni giorno di numero e di gravità. I mali che deploriamo sono noti a tutti: i sacrosanti dogmi che la Chiesa custodisce e tramanda sono sistematicamente attaccati; la purezza della morale cristiana che essa difende è derisa; in molti modi si calunnia e si offende l’ordine dei Vescovi e soprattutto il romano Pontefice; si arriva al punto di attaccare lo stesso Gesù Cristo con spudorata audacia e infame empietà, allo scopo di abbattere e cancellare ciò che nessuna forza riuscirà mai a distruggere, ossia la divina opera della Redenzione. In verità, la Chiesa militante è avvezza a tali prove; come Gesù aveva predetto agli Apostoli, deve quotidianamente affrontare la battaglia per insegnare agli uomini la verità e condurli alla salvezza eterna. Infatti combatte impavida attraverso i secoli fino al martirio, soprattutto lieta e onorata di offrire il proprio sangue insieme a quello del suo Fondatore, in cui è riposta la certissima speranza della vittoria promessa. – Tuttavia è pur vero che questa continua guerra riempie di profonda mestizia i buoni. Sicuramente è causa di grande tristezza vedere come la malvagità degli errori e la protervia contro Dio allontanino molti dalla retta via e li spingano verso il precipizio. Così pure vedere tanti altri, ai quali è indifferente qualsiasi forma di religione, abbandonare da un momento all’altro la vera fede; ancora, non sono pochi i cattolici che si considerano tali solo di nome e che non curano affatto le pratiche religiose. Inoltre, avvilisce e addolora ancor più il constatare che questa luttuosa situazione è nata soprattutto dal fatto che nelle istituzioni sociali o non si dà alcuna importanza alla Chiesa o se ne contrasta volutamente il benefico influsso. In questo stato di cose si ravvisa la grande e giusta punizione di Dio, che permette l’ottundimento delle nazioni, le quali, con miserevole cecità mentale, si allontanano da Lui. – Per tutto questo, la situazione afferma di giorno in giorno, con maggior forza, l’assoluta necessità che i cattolici si rivolgano a Dio con assidue, fervorose preghiere e suppliche “incessantemente”) (1Ts 5,17) Facciano ciò non soltanto in privato, ma soprattutto riuniti nei luoghi sacri, e implorino con tutte le loro forze che Dio misericordioso liberi la Chiesa “dagli indesiderabili e dai malvagi” (2Ts 3,2) e riporti alla ragione le genti traviate, mediante la luce e la carità di Cristo. – Cosa meravigliosa, straordinaria, in verità! Se gli uomini, pur sorretti dal lavoro, dalla forza, dalle armi, dall’ingegno riescono a fatica a percorrere la loro strada, la Chiesa, per contro, procede nei secoli con passo fermo e sicuro confidando unicamente in Dio, al quale innalza gli occhi e le mani con incessante preghiera. Infatti, pur non trascurando prudentemente tutti gli strumenti umani che, con l’aiuto divino, il tempo le offre, non in questi ripone la sola speranza, bensì nella preghiera, nella supplica, nella fervida invocazione a Dio. Ne deriva che alimenta e rinvigorisce il suo spirito vitale, perché, con l’assidua preghiera, può felicemente staccarsi dalle miserie umane. In perpetua unione con Dio, può godere della stessa vita di Cristo e continuare a vivere in piena tranquillità, quasi come Cristo stesso, al quale la crudeltà dei tormenti, che egli sopportò per il bene di tutti, non tolse né diminuì la gioia e la visione beatifica. – Queste grandi testimonianze della saggezza cristiana furono sempre tenute in considerazione e religiosamente seguite da tutti i buoni cristiani. Le loro preghiere al Signore solevano essere più frequenti e più intense ogni volta che la santa Chiesa o la sua più alta guida venivano colpite dal violento attacco degli inganni o dalla sciagurata azione di uomini iniqui. Resta come straordinario esempio quello dei fedeli della Chiesa nascente, degno, senza dubbio, di essere proposto all’imitazione dei posteri, affinché lo seguano. Pietro, vicario di Cristo Signore, capo supremo della Chiesa, era stato tradotto in carcere per ordine dell’empio Erode e destinato a morte certa. Non c’era alcun mezzo né aiuto esterno che potessero favorire la sua evasione. Non gli mancava, però, quell’aiuto che una fervida preghiera ottiene da Dio; la Chiesa, infatti, come riporta la storia sacra, pregava intensamente per la sua salvezza. “Da parte della Chiesa si rivolgeva a Dio una incessante supplica per lui” (At 13,5), e tutti pregavano con tanto maggior impegno quanto più acuta era la pena per così grave sciagura. È risaputo che le preghiere dei supplicanti ebbero successo: il popolo cristiano celebra sempre con grande gioia il ricordo della miracolosa liberazione di Pietro. – Inoltre, un esempio divino ancora più fulgido fu fornito da Gesù Cristo quando non solo con i precetti, ma impegnando tutto se stesso, volle preparare e indirizzare la sua Chiesa verso la piena santità. Infatti, nel tempo della sua vita terrena, si dedicò spesso e diffusamente alla preghiera. Anzi, nell’ora estrema, quando nell’orto di Getsemani, con l’animo invaso da profonda amarezza, si sentiva venir meno al pensiero della morte imminente, non solo pregava, ma “pregava con maggior fervore” (Lc XXII, 43). Non fece questo per il proprio bene, perché, come Dio, non aveva nulla da temere né da desiderare, ma lo fece per noi e per la sua Chiesa, le cui preghiere e sofferenze future rendeva feconde di grazia, facendole generosamente sue. – Non appena ottenuta la salvezza del genere umano col sacrificio della Croce, la Chiesa, dopo la resurrezione di Cristo, fu fondata in terra e solennemente consolidata; da quel momento ebbe inizio, per il nuovo popolo, un ordine di Provvidenza Divina prima sconosciuto. Conviene tener conto, con grande rispetto, dei consigli divini. – L’eterno Figlio di Dio volle assumere la natura umana per la redenzione e l’onore dell’uomo, e con ciò avviare un mistico connubio con il genere umano. Non lo volle fare senza aver prima ottenuto il pieno, libero consenso della Madre predestinata, che in certo qual modo rappresentava l’intera umanità, secondo la giustissima e nobile definizione dell’Aquinate: “Per l’annunciazione si aspettava il consenso della Vergine, per conto dell’umanità intera” . Per questo, è lecito affermare, a piena ragione, che dell’immenso tesoro di ogni grazia che il Signore ci ha procacciato, poiché “la grazia e la verità provengono da Cristo” (Gv 1,17), nulla ci viene dato direttamente se non attraverso Maria, per volere di Dio. Dato che nessuno può andare al Sommo Padre se non per mezzo del Figlio, così, di regola, nessuno può avvicinarsi a Cristo se non attraverso la Madre. – Quanta luce di sapienza e di misericordia risplende in questo disegno divino! Quanta insipienza, invece, e fragilità nell’uomo! Come noi lodiamo l’infinita misericordia di Dio e crediamo in essa, così ne riconosciamo e temiamo l’infinita giustizia; come ricambiamo l’amore del nostro Salvatore, che per noi diede anima e sangue, così lo temiamo come inflessibile giudice. Perciò, trepidanti perché consapevoli delle nostre azioni, necessariamente ci occorre un protettore e patrocinatore che goda di tutta la grazia di Dio e che sia di tanta generosità da non rifiutare la difesa di nessuno e da ridare agli avviliti e agli afflitti la speranza nella misericordia divina. Con estrema chiarezza, è proprio il caso di Maria: certamente potente perché madre dell’Onnipotente, ma, ed è ciò che risulta più gradevole perché compiacente, benigna, indulgente al massimo grado. Tale ce la offrì Dio stesso quando la elesse madre del suo Unigenito, instillandole veri sentimenti materni, di null’altro animati se non di amore e perdono. Così ce la mostrò Gesù Cristo nei fatti, quando volle spontaneamente viverle accanto, in sottomissione e obbedienza, come un figlio con la madre. Così la consacrò dalla Croce, quando le affidò, nel discepolo Giovanni, la cura e il sostegno dell’umanità intera; come tale, infine, si offerse ella stessa quando, accettando con grande forza d’animo l’eredità dell’immenso impegno affidatole dal figlio morente, cominciò subito a riversare su tutti le sue cure di madre. – Fin dall’inizio, i Santi Apostoli e i primi cristiani accolsero con immensa gioia l’iniziativa di tanta benevola misericordia, presa per volontà divina e confermata dalle ultime parole di Cristo. La capirono e l’insegnarono anche i Venerabili Padri della Chiesa e, in ogni tempo, ebbe il consenso di tutte le popolazioni cristiane. Pur se ogni ricordo, ogni documento tacesse, una voce erompente dal petto dei cristiani parlerebbe alta e chiara. Da nessun’altra parte, se non certamente da una fede divina, può provenire quel prepotente impulso che dolcemente ci attrae e che ci spinge verso Maria, tanto non c’è nulla di più importante e di più gradito che affidarci alla sua protezione e assistenza. Riporre in Lei progetti e opere, purezza e pentimento, gioie e dolori, preghiere e voti, insomma, ogni cosa di noi, con serena, fiduciosa speranza che tutto ciò che sarebbe meno gradito da Dio se presentato da noi, indegni, risulterebbe graditissimo e ben accetto se presentato da Maria santissima. Come grande è la consolazione dell’animo per la verità e la dolcezza di queste cose, altrettanta è la mestizia pensando a coloro che, privi di fede, non riveriscono né considerano Maria come madre. Maggiormente ci addolora la miseria di quelli che, pur essendo partecipi della fede, osano rimproverare i buoni di rivolgere a Maria eccessivi ed esagerati onori: perciò tradiscono profondamente quel sentimento d’amore che dovrebbero avere come figli. – Pertanto ora, nella tempesta delle avversità da cui la Chiesa è afflitta, tutti i figli a lei fedeli capiscono facilmente quanto siano obbligati da un sacro dovere a pregare Dio sempre più fervorosamente e quale sia la miglior strada da seguire affinché queste preghiere possano ottenere il massimo effetto. Seguendo l’esempio dei devotissimi padri e antenati nostri, rifugiamoci in Maria Santissima, Signora nostra; rivolgiamoci a Maria, madre di Cristo e nostra, e tutti insieme supplichiamo: “Dimostra di essere madre; fa che per merito tuo accolga le nostre preghiere Colui che, nato per noi, accettò di essere tuo figlio” . – Ora però, se fra le tante forme e maniere di onorare la divina Madre sono da preferire quelle considerate più degne di lei e a lei più gradite, piace qui indicare espressamente e vivamente raccomandare il Rosario. Questo modo di pregare è comunemente chiamato “corona”, anche perché esso rappresenta un felice intreccio dei grandi misteri di Gesù e di Maria, dei gaudi, dei dolori, dei trionfi. È incredibile quanto giovamento possano trarre i fedeli dalla devota meditazione di questi sublimi misteri, ripassati e contemplati uno per uno, sia per alimentare la fede e proteggerla dall’ignoranza o da errori funesti, sia per risollevare e rafforzare i valori morali. In questo modo, il pensiero e la memoria di colui che prega, illuminati dalla fede, si dedicano a questi misteri con gioioso trasporto e, compenetrandoli e discutendoli, possono considerare con ammirazione la meravigliosa opera dell’umano riscatto ottenuto a sì gran prezzo e attraverso una lunga serie di avvenimenti. In verità, l’animo, di fronte a queste manifestazioni di carità divina, si infiamma di amore e di riconoscenza, rafforza e aumenta la speranza e, ansioso, tende ad ottenere il premio celeste predisposto da Cristo per coloro che si uniranno a lui, seguendone l’esempio e condividendone i dolori. Qui trovano posto le preghiere insegnate dal Signore stesso, dall’Arcangelo Gabriele e dalla Chiesa: preghiere che, ricche di lodi e di salutari voti, riscoperte ripetute seguendo un ordine ben preciso e vario, daranno sempre nuovi e graditi frutti di pietà. – È da credere, tra l’altro, che la stessa Regina celeste valorizzi in special modo, col suo appoggio, l’efficacia della preghiera del Rosario, proprio perché, per sua iniziativa e suggerimento, fu istituita e divulgata dal famoso Patriarca Domenico, in un periodo tristissimo per il Cattolicesimo, non molto diverso dall’attuale, quasi come un’arma da guerra validissima per sconfiggere i nemici della fede. La setta degli eretici Albigesi, infatti, aveva invaso molte regioni, sia in forma clandestina, sia manifesta; orribile emanazione dei Manichei, ne rinnovava gli spaventosi errori e ne ripeteva le violenze, le ipocrisie e il più accanito odio verso la Chiesa. Contro questa arrogante e pericolosissima moltitudine ben poco si poteva sperare dalle forze degli uomini, quando giunse l’aiuto direttamente da Dio per merito del Rosario. E così, col favore della Vergine, gloriosa vincitrice di tutte le eresie, furono annullate e distrutte le forze degli empi e salvata la fede di tanti. Molti altri fatti simili a questo, accaduti presso diverse popolazioni, come pericoli allontanati o benefìci ottenuti, sono sufficientemente noti e la storia li ricorda, sia in passato, sia in tempi recenti, con splendide testimonianze. – A ciò si aggiunge, inoltre, un’altra valida, convincente argomentazione: da quando fu istituita, la pratica del Rosario fu subito accettata e resa operante ovunque, presso ogni classe sociale. In verità, con nobili appellativi e in molti modi la devozione dei cristiani rende onore alla Madre di Dio, che unica fra tutte le creature rifulge per tanti meriti. Tuttavia, la recita del Rosario, questa particolare preghiera nella quale sembrano concentrarsi la testimonianza della fede e il culto dovuto alla Madonna, è sempre stata singolarmente amata. Al Rosario, sia in privato, sia in pubblico, nelle case e nelle famiglie, è stata dedicata una speciale attenzione, costituendo associazioni, consacrando altari, promuovendo processioni, nella convinzione che non esista una preghiera che possa meglio onorare la Vergine nelle sue solennità e ottenerne la protezione e i favori. – A questo proposito, non si può passare sotto silenzio un fatto che evidenzia il sorprendente, provvidenziale intervento della nostra Protettrice. Quando, col passare degli anni, ci si accorse che presso certe popolazioni si andava spegnendo il sentimento religioso e si trascurava la stessa consuetudine di questa preghiera, nel momento in cui gli eventi pubblici si stavano avviando verso una situazione pericolosa e incombevano bisogni urgenti, con generale consenso venne ripristinata, a preferenza di altre pratiche religiose, la preghiera del Rosario, che recuperò il suo posto d’onore e riacquistò ovunque il suo valore salvifico. Non occorre cercare testimonianze di ciò in tempi lontani: abbiamo luminosi esempi al presente. In questa nostra età che, come abbiamo ricordato all’inizio è veramente ostile alla Chiesa, a Noi, che per volere divino siamo incaricati di governarla, è dato però di osservare e ammirare con compiacimento che in ogni luogo, fra le popolazioni cattoliche, si onora e si tiene in grande considerazione la pratica del Rosario. Ciò è da attribuire esclusivamente a Dio, che guida e regge le sorti degli uomini, e non alla saggezza e allo zelo di questi ultimi. Di conseguenza il Nostro animo, mentre si rallegra e si riconforta, nutre un’incrollabile fiducia in ulteriori e più grandi trionfi della Chiesa, auspice Maria. – Tuttavia ci sono alcuni che, pur convinti di tutto ciò che noi abbiamo giustamente ricordato, non vedendo fino ad ora realizzato nulla di quanto avevano sperato, specialmente riguardo alla pace e alla tranquillità della Chiesa, anzi, constatando che forse i tempi tendono al peggio, abbandonano, stanchi e sfiduciati, la buona abitudine di pregare con convinzione. Stando così le cose, gli uomini dovrebbero prima controllare se le preghiere che rivolgono a Dio possiedono, secondo il precetto di Cristo Signore, le giuste virtù: se così fosse, considerino che è indegno e illecito voler imporre a Dio il modo e il tempo di venirci in aiuto. Egli nulla ci deve, e quando esaudisce le nostre preghiere e “corona i meriti nostri, non corona altro che i suoi doni” . Quando non asseconda del tutto le nostre richieste, si comporta saggiamente come un buon padre con i figli, perdonando la loro stoltezza e avendo cura del loro benessere. – In realtà, le nostre preghiere, tese ad ottenere, con il sostegno di tutti i Santi del Paradiso, il favore di Dio per la sua Chiesa, sono sempre ben accette e ascoltate da lui, sia che riguardino l’aspetto spirituale, cioè il bene massimo ed eterno, sia che si riferiscano all’aspetto temporale, meno importante, ma sempre a lei necessario. Sicuramente a queste invocazioni aggiunge grande importanza e sicura efficacia, sia per le preghiere, sia per i suoi meriti, Cristo Signore, che “amò la Chiesa e sacrificò se stesso per lei, al fine di santificarla… per mostrarla a se stesso vestita di gloria” (Ef 5,25-27); egli, sommo Pontefice di questa Chiesa, santo e innocente, “vive sempre per intercedere in nostro favore”: noi sappiamo per fede che il suo intervento e la sua preghiera ottengono immancabilmente buon esito. – Per ciò che riguarda poi i beni temporali della Chiesa e la sua vita, è palese che essa si trova di fronte nemici formidabili per avversione e potenza. Da questi è spogliata purtroppo dei suoi averi, ostacolata ed oppressa nella sua libertà, perseguitata e disprezzata nella sua autorità e, infine, esposta a danni e fatta segno ad atti ostili di ogni genere. Se ci si chiede perché la malvagità di questi avversari non arrivi alla violenza, non raggiunga, cioè, lo scopo degli sforzi profusi e perché, invece, la Chiesa, in tante vicissitudini, continui ad emergere, seppur in modi diversi, e a crescere in magnificenza e gloria, sia nell’uno come nell’altro caso, è giusto ritenere che il motivo principale consista nella lodevole consuetudine della Chiesa di pregare Dio. La ragione umana, infatti, non può sufficientemente rendersi conto di come mai un odio così potente non riesca a superare confini, che pur sono ristretti, e la Chiesa, al contrario, senza libertà di movimento, riesca ugualmente ad ottenere magnifiche vittorie. La stessa cosa diventa più evidente se si tratta dei beni con i quali la Chiesa indirizza gli uomini al conseguimento dell’ultimo fine. Dal momento che essa è nata proprio con questo compito, deve avere molto peso con le sue preghiere affinché la provvidenza e la misericordia divina abbiano un perfetto risultato. Tale che gli uomini, pregando con la Chiesa e per la Chiesa, possano ottenere ciò che “Dio onnipotente, fin dall’eternità, stabilì di donare” . – La mente umana non può capire, per ora, i superiori disegni della Provvidenza divina, ma al momento opportuno, quando le ragioni e le concatenazioni delle cose saranno benignamente palesate da Dio stesso, risulterà chiaro quanto grandi, in proposito, siano state l’efficacia e l’utilità della preghiera. Sarà per merito suo se molti, nella corruzione di un’epoca depravata, si conservarono immuni e incontaminati “da ogni lordura della carne e dello spirito, portando a compimento la santificazione nel timore di Dio” (2Cor VII,1); se altri, già in procinto di abbandonarsi al disonore, seppero fermarsi in tempo e da quella stessa pericolosa prova ottennero doni di maggiore virtù; se altri, già caduti, trovarono la forza interiore di rialzarsi e di riabbracciare Dio misericordioso. Facciamo voti che tutti, consapevoli di ciò, non cedano agl’inganni dell’antico nemico, né abbandonino per nessun motivo la pratica della preghiera, ma si mantengano costanti nell’orazione, “incessantemente”. La loro prima preoccupazione sia per il sommo bene, ossia l’eterna salvezza di tutti, e per l’incolumità della Chiesa; dopo si possono chiedere a Dio gli altri beni relativi alle necessità della vita, purché ci si adegui alla sua sempre giusta volontà, e parimenti si ringrazi il munifico Padre, sia che conceda o neghi le cose richieste. Infine ci si rivolga a Dio con amore e devozione, come è giusto e doveroso che sia, così come erano soliti fare i Santi e come si comportò lo stesso nostro Redentore e Maestro, “con alte grida e lacrime” (Eb V,7). – Ora, il dovere e l’amore paterno ci spingono ad implorare Dio, dispensatore di ogni bene, affinché infonda in tutti i figli della Chiesa non solo il desiderio della preghiera, ma anche quello di una sincera penitenza. Al tempo stesso, dal profondo del cuore esortiamo tutti e ciascuno a praticare, con lo stesso impegno, questa virtù, strettamente connessa all’altra. È evidente, infatti, che se la preghiera dà conforto allo spirito, lo agguerrisce e lo avvicina a Dio, la penitenza ci rende padroni di noi stessi, specialmente del corpo che, per colpa del peccato originale, è l’acerrimo nemico della ragione e della legge evangelica. Non c’è dubbio che queste virtù si collegano perfettamente tra loro, si sostengono a vicenda e tendono insieme al medesimo scopo: distogliere l’uomo, nato per il cielo, dalle cose terrene, quasi ad innalzarlo ad una celeste intimità con Dio. Al contrario, se lo spirito si abbandona alle passioni e non resiste alle lusinghe, così debilitato rifiuterà le dolcezze delle cose celesti, e la preghiera non sarà altro che una voce debole e fredda, certamente indegna di essere ascoltata da Dio. – Tutti conosciamo gli esempi di penitenza dei Santi, le cui preghiere e suppliche, proprio per queste mortificazioni, non solo risultavano estremamente gradite a Dio, ma addirittura operavano miracoli, come apprendiamo dai sacri scritti. Essi sapevano guidare la mente e l’animo; sapevano dominare, senza cedimenti, le passioni; non mancavano di ubbidire, con pieno consenso e sottomissione, alla dottrina di Cristo e agli insegnamenti e ai precetti della Sua Chiesa. Nulla desideravano e nulla respingevano se prima non si erano resi conto della volontà di Dio, e non miravano ad altro, con le loro azioni, se non ad aumentare la Sua gloria, a reprimere energicamente e a vincere le voglie insane, a trattare duramente e senza riguardi il proprio corpo, ad astenersi, per amore della virtù, anche da cose piacevoli, di per se stesse lecite. Per tutto questo, potevano, a buon diritto, ripetere ciò che l’Apostolo Paolo diceva di sé: “Dopo tutto, la nostra cittadinanza è in cielo” (Fil 3,20). È per questo motivo che le loro preghiere risultavano tanto efficaci nel propiziare la benevolenza e il favore di Dio. – Naturalmente è chiaro che non tutti possono né debbono fare altrettanto, tuttavia, che ognuno debba controllare la sua condotta di vita, compatibilmente col proprio sentire, lo esigono le ragioni della giustizia divina, a cui, per i nostri peccati, ci si deve rigorosamente attenere. È auspicabile, mentre si è in vita, imporsi volontarie mortificazioni le quali, così, acquistano il merito della virtù. – Inoltre, dal momento che tutti facciamo parte del corpo mistico di Cristo, cioè la Chiesa, ne deriva, secondo San Paolo, che quando un membro si allieta per una qualsiasi ragione anche gli altri si rallegrano con lui; parimenti, se è addolorato, tutti partecipano al suo dolore e allora, se i fratelli cristiani sono ammalati nell’animo o nel corpo, gli altri debbono spontaneamente intervenire in loro aiuto e, a seconda delle possibilità, prendersene cura. “Abbiano le membra una vicendevole sollecitudine… Se un membro soffre, tutte le membra soffrono con lui; se un membro esulta, tutte le membra godono della sua esultanza. Ecco, voi siete il corpo di Cristo e membri di uno stesso membro” (1Cor XII,25-27). Ora, in questa prova di carità, che ci indica il dovere di espiare le colpe del prossimo, sull’esempio di Cristo, che diede la vita con immenso amore per la redenzione dei peccati di tutti noi, sta proprio il grande vincolo di perfezione col quale i fedeli sono legati fra di loro, coi Santi e intimamente con Dio. In conclusione, la pratica di una santa penitenza è tanto varia, operosa e si estende talmente in largo che ognuno, solo con un po’ di coscienza e di buona volontà, può esercitarla di frequente senza troppa fatica. – È scontato, Venerabili Fratelli, che, data la vostra straordinaria e ammirevole devozione verso la Santissima Madre di Dio, la solerzia e la carità verso il gregge dei cristiani, dall’opera vostra, dopo i Nostri richiami e le Nostre esortazioni, Noi Ci aspettiamo un esito sicuramente ottimo. Esulta il Nostro cuore nel prevedere gli stessi frutti, già ora copiosi e fecondi, che più volte ottenne la manifesta devozione dei cattolici per Maria. Dunque, per le chiamate, le sollecitazioni, i suggerimenti vostri, i fedeli convengano numerosi, specialmente nel prossimo mese, agli altari rituali dell’augusta Regina e amorevolissima Madre e, secondo l’usanza filiale, intreccino e le offrano mistiche ghirlande, recitando il Rosario sicuramente gradito. Ferme restando le norme da Noi stessi precedentemente fissate al riguardo, e le sacre indulgenze concesse). – Come sarà grande ed esaltante vedere nelle città, nei villaggi, nelle campagne, in terra, in mare e in ogni angolo del mondo cattolico molte centinaia di migliaia di fedeli, accomunati nelle preghiere e nelle lodi, con una sola voce e un solo intento, in tutte le ore del giorno acclamare Maria, implorare Maria e sperare di ottenere ogni bene per merito di Maria! A lei, fiduciosi, chiedano con forza, dopo aver supplicato il Figlio, che le popolazioni allontanatesi dalla giusta via ritornino ai principii e ai precetti cristiani, sui quali poggia il benessere pubblico e da cui sgorgano copiosi i frutti della invocata pace e della vera beatitudine. A lei chiedano con insistenza ciò che deve essere intensamente ambìto da tutti i buoni, cioè che Madre Chiesa possa ottenere la sua libertà e ne possa godere tranquillamente. Essa non chiede altro che poter realizzare i maggiori benefìci per l’umanità; da lei, sia i singoli individui, sia le comunità, non ricevettero mai alcun danno, bensì sempre numerosi e grandissimi vantaggi. – Ora, Venerabili Fratelli, con l’intercessione della Regina del Santissimo Rosario, Iddio sia prodigo con voi di grazie celesti affinché abbiate, il più a lungo possibile, forze e protezione per attendere santamente ai doveri del vostro ufficio pastorale. Ne sia auspicio e pegno l’Apostolica Benedizione che a voi, al clero e ai fedeli affidati alle vostre cure affettuosamente impartiamo.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 22 settembre 1891, quattordicesimo anno del Nostro Pontificato

Invito alla confessione.

Invito alla confessione.

confessione

[Manuale di Filotea, del  sac. G. Riva, Milano 1888 – imprim. -]

Un povero carcerato il quale col laccio al collo aspettasse d’ora in ora di andare al supplizio, non aspirerebbe a fortuna maggiore che di campare la vita. E se gli venisse recata la nuova che il principe gli perdona, e di più lo adotta e lo fa erede del suo regno appena lo crederebbe, e credendolo correrebbe rischio che l’allegrezza gli togliesse la vita che non gli tolse il carnefice. Ora se si possono paragonare le cose piccole alle grandi e le temporali alle eterne, questa è la mutazione che in un peccatore si opera con la santa Confessione. Dallo stato di reo, di schiavo, di condannato ad essere in eterno ludibrio di satanasso, egli è sublimato alla dignità di figliuolo adottivo di Dio. Miglior sorte è questa che non fu quella di Giuseppe cavato dal fondo di una torre è posto la nell’Egitto a sedere sul trono. Qui è che si può dire: “meraviglia! il re mandò a liberarlo nella prigione e non contento di ciò, lo costituì padrone per la sua casa e sovrintendente a tutto i suoi poderi. Voi forse non sarete finora mai giunto a capire quanto male sia vivere in peccato mortale; e per questo io non mancherò in farlo vedere delle susseguenti meditazioni. Frattanto vi basti sapere che il peccato mortale è sommo male, la somma disgrazia e la somma disavventura che possa accadere all’anima nostra. È più miserabile un uomo con un solo peccato mortale sulla coscienza che non sarebbe se egli avesse addosso per suo tormento tutti i demoni che bruciano nell’inferno e ne fosse per tutta la vita invasato. Poco male sarebbe rispetto a questo l’essere cambiato in un mostro. Voi vi stupite tanto quando sentite un Nabunodonosor, re di Babilonia, trasfigurato in un bue, un Tridate re dell’Armenia tramutato in un porco. Eppure questo è un nulla rispetto a ciò che è nell’anima di un peccatore. Egli è proprio come un demonio, onda di uno di questi disse il Signor: “uno di voi è un demonio perché, come dice San Tommaso, il demonio non è altro che una creatura intelligente in stato di peccato mortale. Se si potesse mai offrire ad questa elezione, o di precipitare senza colpa all’inferno, o di salire al cielo con la colpa, non sarà ammesso il modo non avrebbe affrettarsi a dire animosamente: piuttosto all’inferno con l’innocenza, che nel cielo con l’iniquità! Ma che dissi con S. Anselmo? l’Ecclesiastico quando parlò della colpa non disse forse chiaro: “meglio di lei è l’inferno? Né è meraviglia, perché il male della pena si oppone alla volontà della creatura, il male della colpa alla volontà del Creatore; ora guardate voi se vi può essere paragone. D’altra parte chi può misurare l’altezza della grazia per mezzo della quale noi siamo costituiti figliuoli adottivi di Dio? È la grazia divina un bene tanto grande che più vale un minimo grado di essa, che non vale tutta la nobiltà, tutta la sapienza, tutta la bellezza, tutto il potere, tutta la Santità, tutte le ricchezze, e quanto mai hanno posseduto di bene tutti gli uomini, anzi quanto è dovuto alla natura stessa degli Angeli. – E così se per acquistar un grado di questa grazia fosse necessario subissare la terra, sprofondar cieli e tutto in un momento distruggere la natura tutta, questa rovina sarebbe bene impiegata per tanto acquisto. Più, la giustificazione, che è quella per la quale si infonde la grazia nell’anima nostra, supera tutto quello che è nell’ordine della natura si fa dall’onnipotenza divina, e più fra Dio quando converte un solo peccatore che non fece quando diede il moto alle stelle, quando creò l’universo e quando ne creasse uno di nuovo ad ogni secolo. “Non est digna ponderatio continentis animae (dice il Signore nella Sapienza), non v’è prezzo che eguagli un’anima giusta. Che vi pare dunque della felicità di chi da tanta miseria passa ad un tale stato? Pigliate questo termine PECCATO, ponderatelo attentamente e poi mettetelo a paragone della GRAZIA, e consideratene la differenza. Inteso questo, voi subito capirete quanto bene a noi venga dalla Confessione sacramentale per mezzo della quale si effettua questa grande mistificazione e stupirete, anzi stordirete in vedere che tuttavia pur si trovino i peccatori i quali si confessino tanto di rado, contenti di riposare la loro somma miseria come animali che molto più volentieri stanno a giacere nelle proprie lordure di quello che mai farebbero in letti d’oro. Oh quanta ragione ebbe Dio in gridare contro costoro con Sofonia: “anderò a cercare gli uomini fitti nelle loro immondezze!” Che se poi questa giustificazione è già effettuata, non è perciò che la santa Confessione rimanga senza il suo frutto imperocché quella grazia della quale un minimo grado, come avete già sentito, vale tanto, sempre viene ad avvalorarsi, ad aumentarsi, a moltiplicarsi. “Chi è giusto si giustifichi di più” come si fa nell’Apocalisse. Per animarvi dunque a confessarvi frequentemente e superare quel poco di vergogna che si prova nell’esporre candidamente le proprie debolezze, considerate che cosa opera in noi la Confessione ben fatta.

Effetti della confessione ben fatta.

1) Ci libera dalla colpa, dalla schiavitù del demonio, dalla pena eterna.

2) Ci restituisce l’amicizia di Dio, la pace dell’anima, e meriti moltiplicati.

3) Ci fortifica per estirpare ogni abito cattivo, per superare ogni tentazione, per praticare ogni virtù.

Cose necessarie a ben confessarsi

I. – ORAZIONE per impetrare: 1° – I lumi onde conoscere, 2° la contrizione onde detestar .- 3° l’umiltà onde confessare sinceramente i propri peccati. – 4° Una volontà risoluta di farne la debita penitenza, e di non commettere peccato veruno in avvenire.

II. – ESAME diligente, universale, imparziale.

III. – DOLORE interno, sovrannaturale, sommo, universale, animato dalla speranza del perdono.

IV. – PROPONIMENTO fermo, universale, efficace.

V. – CONFESSIONE intera, umile, sincera.

VI. – SODDISFAZIONE pronta, intera, devota.

Orazioni prima dell’esame

confessione-2

A Gesù Cristo

Gesù dolcissimo che mettete la vostra gloria nel far sovrabbondare la grazia là dove ha abbondato l’iniquità, gettate uno sguardo di compassione sopra quest’anima peccatrice che, umiliata ai vostri piedi, da voi implora soccorso. Pastore amantissimo delle anime nostre, che sollecito hanno andate in cerca delle pecorelle smarrite, non rigettate per pietà quest’anima infelice che, stanca dei suoi deviamenti desidera ritornare al vostro seno per non abbandonarvi mai più. La mia naturale cecità, raddoppiata dalle passioni che ho finora assecondate m’impedisce adesso di comprendere il numero e la grandezza delle commesse iniquità. Voi adunque che illuminate ogni uomo che viene al mondo, illuminate adesso la mia mente con un raggio della vostra luce, affinché riconosca tutte le mie colpe in quell’aspetto in cui me le farete conoscere nel giorno del Giudizio; non permettete che il mio amor proprio mi seduca nascondendomi sotto falsi pretesti i miei difetti. Io resterò confuso, lo preveggo, nel riconoscere l’orrendo abuso delle vostre grazie e le infinite violazioni della vostra legge; ma la mia confusione sarà salutare perché alla vista di tanti eccessi più facilmente sarà mosso il mio cuore ha detestar con l’amarezza della contrizione. Tuttavia come posso io permettermi di detestare i miei peccati se da me solo non posso nemmeno né richiamarli né riconoscerli? Voi dunque siete il solo da cui procede il volere e l’operare, compite adesso la grande opera della mia conversione, da cui per pura vostra misericordia mi avete ispirato il desiderio; io mi getto ai vostri piedi come un reo davanti al suo giudice, come un suddito ribelle davanti al suo Re. Voi comunicate all’anima mia parte di quella contrizione che per me avesse nell’orto, allorché piangeste le mie colpe con lacrime di sangue in tutto il corpo. Deh! Con quella voce onnipotente che chiamò a vita i defunti comandate adesso all’anima mia di uscire dal sepolcro dei miei peccati e tosto si romperanno quei lacci che la tengono schiava dei suoi nemici, e rinnovata e santificata comincerà a vivere una vita tutta nuova per non morire mai più. Voi prestatemi dunque un’assistenza speciale affinché questo Sacramento a cui solo per accostarmi sia da me ricevuto con tutte quelle disposizioni che sono indispensabili a partecipare agli infiniti vantaggi pei quali voi l’avete istituito.

A Maria

Vergine Santissima, Madre di misericordia, arbitra di ogni grazia, che godete di essere chiamata il soccorso dei cristiani ed il rifugio dei poveri peccatori, impetratemi adesso dal vostro Figlio divino lume alla mente e contrizione al cuore acciocché mediante il suo aiuto io possa riconciliarmi in questo Sacramento con la sua offesa bontà e cominciar poi una vita tutta conforme alla sua legge, modellata sui vostri esempi, che furono sempre frutti preziosi di grazia e di virtù, di onore e di onestà.

All’angelo custode

Angelo Santo, amorosissimo custode dell’anima mia, voi che, specchiandovi di continuo nel beatifico volto del vostro Dio, vedete con chiarezza tutte le azioni degli uomini, ma specialmente di me che la divina pietà si è compiaciuto di affidare alla paterna vostra premura, leggete adesso in questo specchio divino ed infallibile tutta la serie dei miei disordini per suggerirmeli fedelmente alla memoria. E siccome foste vostro malgrado il testimone delle mie cadute, così aiutatemi adesso a rialzarmi e ad ottenere per mezzo di questo Sacramento la grazia di non più ricadere.

Ai santi protettori.

E voi tutti, o santi del cielo, e specialmente miei avvocati e protettori che con tanta rettitudine camminaste nelle vie del Signore e con asprissima penitenza cancellaste i minimi vostri falli, aiutatemi adesso con la vostra potente intercessione a risorgere dallo stato di colpa in cui miseramente mi trovo, affinché santificata l’anima mia in questo Sacramento di riconciliazione e di pace, diventi poi imitatrice fedele della vostra virtù sulla terra per partecipare al premio eterno che, in unione con voi, mi ha la divina misericordia già preparato nel cielo.

confessione-3

ESAME DI COSCIENZA

[Per ogni sorta di persone, massime in occasione di confessione generale o straordinaria].

Dei precetti del decalogo

I° adorare un Dio solo

Se volontariamente avete dubitato delle cose di fede o le avete impugnate o poste in burla o trascurato di impararle; se letti libri proibiti senza licenza; se avete peccato sulla fiducia del perdono o disperato della divina misericordia o presunto di salvarvi senza pentirvi; se avete criticato la divina Provvidenza o vi siete di essa rammaricati per travagli della vita; si avete dato fede a sogni, a sortilegi, o avete osservato qualche superstizione con invocazione, o tacita od espressa del demonio o adoperate cose sacre a questo effetto; se trascurato il bene per rispetto umano; se avete mancato di adorare Dio in tutti giorni e attribuirGli ogni vostro bene, spirituale e temporale; si avete profanate le chiese, la cose sante, oltraggiato le persone consacrate a Dio; si avete abusato delle parole della Sacra Scrittura o delle cerimonie della Chiesa in cose ridicole o in ischerzi profani; se avete tralasciato di fare gli atti di fede, ecc., nei templi nelle circostanze in cui ne correva l’obbligazione.

2°: Non usare il nome di Dio invano.

Se avete giurato in nome di Dio o dei Santi colla bugie o senza bisogno<, giurato di fare qualche male cosa indifferente o santa con l’intenzione di mancare alla parola; si avete bestemmiato Dio o la Vergine o i Santi, se avete nominato il Nome del Signore con irriverenza; se avete detto delle imprecazioni contro voi stessi o contro il prossimo desiderandone la morte, dannazione o altro male; se avete indotto a giurare il falso o dato occasione di bestemmiare; se non avete osservato i voti o siete è stato negligente dell’adempirli.

3°: Santificare le feste.

Se avete tralasciato di ascoltare la Santa Messa nel giorno di festa o se l’avete ascoltata discorrendo, o volontariamente distratto; se avete lavorato o fatto lavorare per tempo notabile senza necessità e licenza; se vi siete portato con irriverenza in chiesa ridendo facendo altre cose illecite; se avete consumato il tempo in giuochi o in viziose intemperanti ricreazioni; se avete profanato i giorni di festa col far dei contratti o trascurato di santificarli con esercizi di Pietà; se avete lasciato di far osservare questo precetto ai vostri subalterni o impedito ad altre persone in modo che non potessero osservarlo.

4° Onora il padre e la madre.

Se avete portato odio ai vostri genitori, ai parenti e superiori, con il rattristarvi del loro bene o compiacervi del loro male; si avete giudicato di loro temerariamente e mancato di rispetto con parole ingiuriose, con minacce con gesti o fatti; se avete ad essi disubbidito, se avete disprezzato nel loro correzione, rubato robe di casa o se non li avete soccorsi nel loro bisogni; se essendo voi padri o madri di famiglie avete odiato qualcuno dei vostri figli o scagliato contro di loro delle imprecazioni, se avete trascurato di istruire o di far istruire quelli che erano sotto la vostra direzione, se li avete amati con ingiusta parzialità, corretti con troppo violenza o per rabbia; o non dato loro il necessario mantenimento, se avete trascurato di applicarvi a qualche vile esercizio o di far loro frequentare i SS. Sacramenti, o si avete dato loro mal esempio con parole o con patenti omissioni dei vostri doveri; se, essendo padrone, avete mancato in qualcuna delle cose suddette verso i vostri servi o lavoranti.

5°: Non fare omicidio.

Se avete battuto o ferito alcuno, se avete eccitato risse o protetto gente perversa; si vi siede esposto a qualche pericolo di morte senza necessità, per soddisfare le passioni di vendetta, di incontinenza, di intemperanza; se avete portato odio, invidia o mostrato disprezzo al prossimo, procurandogli, desiderandogli del male o compiacendovi di esso o rattristandovi del bene avvenutogli; se avete ricusato di perdonare e di riconciliarvi con chi vi ha fatto qualche torto; se avete litigato con animosità lasciandovi trasportare dalla collera con segni esterni mandando anche imprecazioni e maledizione con desiderio che si avverassero o anche senza questo desiderio; si avete procurato o fomentato dissezioni; se avete indotto qualcuno al peccato con cattivi esempi, malvagi consigli o in altro modo qualunque; se avete mancato di riprendere con carità il vostro prossimo quando ve ne correva la obbligazione, o se l’avete adulato nelle sue passioni, o burlato nelle sue opere buone.

6° Non fornicare.

Se vi siete volontariamente trattenuto con pensieri disonesti, con compiacenza amorosa o con desiderio di compierne l’opera; se avete amoreggiato o discorso di cose impudiche; letti o dati a leggere libri osceni, tenute pitture o immagini scandalose e qui riflettete che si può peccare disonestamente con tutti il sensi del corpo, con sguardi, con baci, parole dette od ascoltate, scritti, cenni, ambasciate ecc. Se avete indossato vestiti immodesti, se frequentate le chiese con fini disonesti. Si deve spiegare la qualità della persona che fa e di quella cosa con cui si fa o si desidera di fare tali brutture; se siete persona coniugata pensate se avete fatto qualche cosa contro i doveri del vostro stato.

7° Non rubare.

Se avete danneggiato il prossimo nella roba con frode o violenza, rubando, vendendo o comprando imprestando, litigando per ripicca o vendetta, o non congnizione manifesta del torto, o cooperando all’altrui danno, ecc.; se avete praticate usura o altre ingiustizie, si avete desiderato l’altrui danno e l’altrui roba con pregiudizio del prossimo; se avete negato, ritardato o diminuito ingiustamente il salario agli operai; se potendo non avete restituito o pagato giusto il dovere i creditori, i legati, le decime, ecc.; se avete mandato a male la roba altrui affidata alla vostra cura; se avete trascurato di fare l’elemosina secondo il vostro stato e il bisogno dei poveri; se avete ingannato nel giuoco o fatti giochi proibiti; se siete stato avaro, rammaricandovi delle spese necessarie a voi e alla vostra famiglia, o trascurandole totalmente; se avete differito senza giusto motivo il pagamento dei debiti o trascurato i mezzi opportuni per abilitarvi a compiere questo dovere.

8° Non fare testimonio falso.

Si avete giurato il falso in giudizio o indotto altri allo spergiura, o prodotto scritture false; si avete dette bugie, e se da esse derivò danno al prossimo; si avete calunniato, mormorato, specialmente di persone distinte, o giudicato temerariamente, se avete sospettato male senza motivo o ingiuriato o deriso il prossimo; si avete ascoltato volentieri chi mormorava, oppure potendo o dovendo non l’avete impedito; se avete violato il segreto, si avete composto, venduto o dato a leggere libri proibiti, fogli infamatorii; se avete mancato di riparare il danno fatto all’onore, alla vita, alla roba del prossimo con le calunnie e con le mormorazioni.

9° Non desiderare la donna d’altri

10º Non desiderare la roba di altri degli altri.

I peccati contro questi due precetti si sono già annotati nel sesto e settimo precetto ove si parla non solo delle parole e delle opere, ma ancora dei pensieri che si oppongono alla castità e alla modestia compresi nel “non fornicare”, oppure alla giustizia e alla carità comprese nel “non rubare”.

Avvertenza

Inoltre esaminatevi se avete mangiato senza licenza cibi proibiti o trascurando i digiuni comandati o ecceduto nel mangiare e nel bere, se avete trascurato il precetto pasquale, se si avete taciuto qualche peccato mortale delle confessioni passate o cercato confessori da voi giudicati troppo indulgenti o fatte confessioni sacrileghe per mancanza di esame, di dolore o di proposito, oppure tacendo qualche peccato mortale: se ricevuti indegnamente la SS. Comunione o altri Sacramenti; se avete trascurato le penitenze imposte delle confessioni o se avete tralasciato di mettere in pratica gli avvisi del confessore. In più deve ciascuno esaminarsi sopra gli obblighi del proprio stato. – Ricordatevi finalmente che dei peccati mortali si deve cercare per quanto è possibile, anche il numero alfin di evitare l’inconveniente di coloro che credono di aver fatto tutto, quanto hanno detto: “alle volte certe”, “in certe occasioni”, “quando sono in compagnia”, “quando sono in collera”, ecc. ed altre simili formule, le quali non bastano per dare al confessore una giusta idea dello Stato del penitente.

Altro esame di coscienza

[per chi si confessa frequentemente]

Verso Dio

Se non avete adempito con prontezza e devozione la imposta; penitenza se non vi siete dato premura di emendarvi dei soliti mancamenti; o di mettere in pratica i suggerimenti del confessore; se per umano rispetto o per accidia o per altri vani motivi avete omesso o fatto senza spirito di devozione le solite pratiche di pietà, ecc. Come vi siete riportato nella chiesa, se avete per mera curiosità girato intorno gli occhi o ciarlato senza bisogno, o dato agli altri a volte occasione di divagarsi, di ridere, di scherzare; se nelle vostre occupazioni non avete mai procurato di innalzare la mente a Dio, oppure lo faceste più pel vostra soddisfazione che per sua gloria; se ascoltato con poco raccoglimento o senza intenzione di approfittare o forse anche trascurato senza legittimo motivo, la divina parola nelle prediche, nella dottrina, ecc.; se nominato con poco rispetto Iddio, Maria Vergine e i Santi. Se trascurate le ispirazione che vi insinuavano la fuga del male e la pratica della virtù necessarie al vostro stato; se perduto il tempo in ozio o in occupazioni affatto inutili, se mancato di rassegnazione o di confidenza nelle disgrazie, nelle malattie, nelle tentazioni, ecc.

Verso il prossimo.

Con pensieri – Se avete giudicato temerariamente del prossimo; se fomentati i sentimenti di avversione, di disprezzo o di invidia; se invece di perdonare prontamente avete nella vostra mente ruminate le offese ricevute pensando al modo di risentirvi, o vi siete compiaciuto delle vendette già fatte<, se avete desiderato disordinatamente o con altrui pregiudizio la roba non vostra. – Con parole – Di poco rispetto ai maggiori, di poca carità con gli uguali o coi minori, se vi siete ostinati nell’opinione in cose anche di poca importanza, se sparlaste del prossimo, manifestando i suoi difetti nascosti, se ascoltaste con piacere le altrui maldicenze; se avete violato il segreto promesso; s’è detto bugie anche per semplice passatempo o con qualche danno degli altri, se preferiste parole un po’ libere o poco edificanti. – Con opere – Se avete fatto tra qualche vendetta qualche scherzo spiacevole al vostro prossimo, se avete preso o ritenuto ingiustamente la roba altrui; se avete fatta con dispetto o con negligenza le opere comandate. – Con omissione – Se per puro capriccio o per altro storto motivo avete ricusato di prestare al prossimo il servizio a voi richieste; se siete stato negligente nell’istruire, correggere, edificare i vostri dipendenti come figli, servi, lavoranti, scolari ecc.; Se non avete con la dovuta prontezza, precisione e ilarità obbedito ai vostri superiori, se avete ritardato senza giusto motivo la mercede agli operai o il salario ai domestici; si avete trascurato il pagamento dei debiti.

Verso se stesso:

Superbia. – se vi siete internamente compiaciuto oppure con altri vantati dei talenti della fortuna o delle opere vostre cose corporali come spie di suo si avete desiderato o cercate o ascoltate compara compiacenza le vostre lodi.

Avarizia. – se pensate molto l’interesse desiderando con anzianità uno stato poco mediante spesso sui mezzi meditando spesso sui mezzi di accrescere la vostra sostanza se provaste dispiacere nel far quello che l’elemosina e le spese necessarie se mi inquieta aste per ogni perdita anche minima di ciò che ci aperti ciò che vi appartiene.

Lussuria. – Se avete avvertitamente fermati i pensieri o gli sguardi sopra oggetti pericolosi; si avete usata soverchia familiarità anche con persone di sesso uguale; se avete fomentato attacchi troppo sensibili ad altre creature; se non avete usato la debita modestia nello spogliarvi e nel vestirvi; se avete tenuto in propria stanza, pitture, carte, statue, libri poco decenti.

Ira. – Se vi siete facilmente spazientito o se avete esternato la vostra impazienza con un volto oscuro, con parlar risoluto, con tratto dispettoso; se avete secondato il malumore.

Gola. – Se avvertitamente avete mangiato o bevuto più del bisogno o se da ciò provenne qualche disordine o scandalo; se siete stato poco mortificato nel vostro gusto assecondando sempre i suoi desideri oppure lagnandovi dei cibi non troppo bene preparati.

Invidia. – Si avete riguardato di mal occhio o disprezzare le persone che vi avanzarono in merito o in dignità; se avete avuto volontariamente rammarico dall’altrui fortuna o gusto dell’altrui male.

Sull’esame dei peccati veniali.

Non trascurate all’esame dei peccati veniali perché vi assicura l’ecclesiastico che chi sarà infedele poco diverrà presto infedele nel motto come gli incendi terribili hanno d’ordinario origina da una scintilla così i più gravi disordini hanno sempre il loro principio nelle genialità trascurato chiuso arrivò al segno di vendere e di tradire il proprio maestro perché non studio di reprimere nei suoi principi la passione dell’interesse. Ma non c’è nemmeno di coloro che si mettono in un mare di angustie per trovare il numero preciso e tutte le circostanze del minimo a loro con. Questo non è assolutamente necessario né sempre possibile non è necessario perché lo della confessione riguarda che i peccati mortali non è sempre possibile perché le tenebre attuali del nostro intelletto non ci permettono di vedere con la bramata chiarezza il fondo della nostra coscienza. Cercate adunque senza inquietudine i peccati veniali dei quali sentite vero rimorso poi contentatevi di esclamare col cuore che con la lingua signore perdonatemi nella vostra misericordia tutti i peccati che io non conosco e datemi grazie di accusare un umile sincerità tutti quelli che a voi è piaciuto di farmi conoscere. Non impiegate adunque un tempo eccessivo per questo esame mentre San Francesco di Sales us vi assicuro che perché si confessa ogni otto giorni basta un semplice quarto d’ora. Mettete piuttosto ogni vostro studio dell’eccitare un vero dolore tanto indispensabile anche per i soli peccati veniali che senza di esso quando non sia sacrilega è perlomeno non ad assicurare la validità ed il frutto delle vostre confessioni non abbiate sulla coscienza e peccati veniali portate il vostro dolore su qualche peccato mortale della vostra vita passata ancorché perdonato.

Doveri del penitente dopo l’esame di coscienza.

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Prima della confessione.

Come un buon coltivatore di campi non basta scoprire quei malefici insetti che con il velenoso lor dente tolgono la bellezza e la vita alle sue piantagioni, ma gli occorre eziandio di adoperare ogni arte per sterminarli, perché non si rinnovi nelle sue piantagioni successive il guasto avvenuto già nelle prime, così al cristiano che vuole efficacemente rimediare per mezzo della confessione ai guasti avvenuti nella mistica vigna della sua anima, non basta scoprir con l’esame quei peccati che gliela rovinarono da cima a fondo ma deve inoltre darsi premura di sterminarli dal primo all’ultimo col mezzo tanto facile e sicuro, altrettanto indispensabile, di un sincero dolore e ciò deve applicarsi un tanto più di premura, in quanto che nel detto dolore consiste sostanzialmente la bontà della confessione, né vale il desiderio di averlo quando non lo si abbia realmente, né può supplirsi al di lui mancamento con alcun altro mezzo. Finché non odiate il malfatto, non si può far pace con Dio, non si può ottenere il perdono. Questo dolore ottiensi col domandarlo umilmente e replicatamente al Signor per i meriti del suo sangue, e col ponderare la gravezza del peccato, riguardo a Dio e a voi stesso. Procurate poi con ogni studio che questo dolore sia perfetto, cioè procurate di muovervi a pentimento, non solo per timore dell’inferno, per la speranza del Paradiso, per la bruttezza del peccato, ma ancor e principalmente perché il peccato è un’offesa di Dio e di ingiuria alla sua suprema maestà, e contraria a quella bontà infinita che merita l’amore di tutti i cuori. Un’altra condizione deve avere il vostro dolore, senza questa esso non varrebbe: deve essere “efficace”, cioè congiunto con un proposito fermo di non commettere più peccato in nessun tempo in nessuna occasione né per fuggire qualunque male, né per acquistare qualunque bene. Non basta dunque dire: “io vorrei emendarmi”, bisogna dire “io voglio”; poiché di quelli che vorrebbero è pieno l’inferno, e solo di quelli che vogliono si riempie il Paradiso; solamente di questo proposito ha paura il demonio e come egli contro di questo rivolge tutte le sue macchine in disturbarlo, così voi impiegate tutte le vostre diligenze per concepirlo, chiedendone aiuto al Signore, con la cui grazia si può ogni cosa. Soprattutto conviene avvertire che questo proposito sia efficace in quanto a lasciar l’occasione prossima di peccare, che è quel pericolo di cadere nel quale quando voi vi ponete, cadete frequentemente. Se andate in una casa o per passatempo o per i vostri affari, se date da lavorare ad una persona, e molto più se la tenete in casa vostra, quando ella vi sia occasione di peccare, o lasciate di confessarvi. o disponetevi di vero cuore a levare quella comodità che presenta alla vostra concupiscenza l’abitazione, la familiarità, l’amore o qualsiasi altra circostanza già sperimentata fatale. Né dite: basta che io prometto di non peccare più, del resto che m’importa che io lascio questa amicizia? Non dite così, che questo è fare una legge a modo proprio e non osservare la legge fatta da Dio, il Quale per mezzo della Scrittura e per bocca di tutti i Dottori ci dichiara troppo espressamente l’obbligazione di fuggire questo pericolo prossimo di cadere. Piuttosto dite: io non mi curo del Paradiso, non m’importa dell’anima, rinunzio all’amicizia di Dio anziché rinunziare all’affetto portato ad una miserabile creatura che ora è un letamaio coperto, e di qui a poco sarà un ammasso di vermi e putredine, e direte il vero, ma vi accorgerete tra poco del cambio stoltissimo che avete fatto.

Nell’atto della confessione.

L’abito poi del quale deve comparire un peccatore a questo tribunale è l’umiltà e la confusione. Questa umiltà farà che manifestiate sinceramente i vostri falli senza scusarli, senza darne ad altri la colpa, senza fuggire da quei confessori che vi riprendono e vi danno a conoscere il vostro male. Ha pur poca voglia di guarire quell’infermo che va cercando un medico ignorante per essere curato nella sua malattia. Che concetto volete dunque che io faccia di voi se a bello studio vi eleggete un confessore senza lingua, uno di coloro che sono da Gesù ripresi quasi cani muti, perché non rivelando al peccatore la sua iniquità, gli impediscono di ridursi ad una sincera penitenza? Bisogna dire che non vi dispiace il peccato e dell’anima nulla v’importa.

Dopo la confessione.

Tre cose finalmente vi restano a fare dopo la confessione, l’una verso Dio, l’altra verso il prossimo e l’ultima verso voi stesso. – Verso Dio. Poi dovete umilmente ringraziarLo perché si è compiaciuto di rimettervi nella sua amicizia e cancellare quella sentenza di eterna morte e di severissima temporal punizione che aveva scritto il vostro peccato secondo che adesso fu mortale o veniale. Indi tornate a giurarGli di nuovo fedeltà come a vostro supremo Signore implorando il suo aiuto per avvalorare la vostra debolezza contro ogni assalto di tentazione. – Verso il prossimo. Vedete se siete tenuto a qualche restituzione o di fama o di roba, ed eseguitela prontamente, giacché lo stesso differirla, senza sufficiente cagione, anche in coloro che hanno vera volontà di compirlo, è nuova colpa. – Verso voi stesso. Applicatevi seriamente a soddisfare la penitenza con devozione se è tale che si possa soddisfar prontamente. Indi pensate di quali mezzi si potreste prevalere per non tornare al peccato. Questi mezzi che ben usati ottengono la sicurezza, la perseveranza nel bene incominciato, sono tre, cioè 1) l’orazione, 2) la fuga delle occasioni e 3) la frequenza ai Sacramenti. Proponete dunque di nuovo di voler almeno mattina e sera raccomandarvi al Signore e alla sua SS. Madre, perché vi tenga costante nelle vostre risoluzioni di non peccare mai più, né gravemente, né leggermente, proponete di non voler star più solo con quella persona, di voler rompere affatto quell’amicizia, proponete di voler tornare presto alla Confessione, cioè prima che la tentazione vi riconduca a qualche nuova colpa prendendo con questo Sacramento e con l’Eucaristia ogni dì nuova lena contro il demonio. Soprattutto fate, vi prego, per quanto avete cara l’anima vostra, fate il proposito di non servirvi mai della medesima Confessione per facilitare il peccato, come fanno molti, che se una volta cadono: già m’ho da confessare, dicono, posso peccar quanto voglio. Si può trovare discorso più ingiurioso al Signore, più dannoso alla nostra salute? “Più ingiurioso al Signore”, perché per moltiplicare i peccati vi servire di quel sangue medesimo che vi tiene apparecchiato alla Confessione per distruggerli; “più dannoso a voi”, perché non siete mai sicuro di confessarvi bene e quand’anche vi confessaste come si deve, ad ogni modo, anche dopo la Confessione rimangono ordinarie nell’anima molti cattivi effetti del peccato già distrutto in quella maniera che dopo che è partita la febbre restano in un convalescenza molte reliquie della passata malattia, se non rimanesse altro, rimane l’abito cattivo, cioè il maggiore impedimento che abbia un’anima a salvarsi. Intendetela dunque bene, voi che dite: farò questo peccato e poi mi confesserò. Quanto più commettere peccati, tanto più è difficile che vi salviate, ancorché vi confessate bene. La mente più si annebbia, la volontà sempre più s’indura, gli aiuti divini sempre più si demeritano, le forze del demonio sempre più si accrescono, le forze proprie sempre più mancano e quello sforzo che era sovrabbondante per poche colpe, riesce scarso in allora che sono cresciute a dismisura protestando il Signore per Amos: dopo le tre scelleraggini avrò misericordia di Damasco, e dopo le quattro io non lo richiamerò.

Avvertenza sull’atto di pentimento

Siccome il dolore alla parte più essenziale del Sacramento della Penitenza così ho creduto opportuno dargli qualche estensione non perché le molte parole facciano il dolore, ma perché le parole recitate con pause e con devozione passano facilmente al cuore, e quindi non servono solo ad esprimere, ma anche ad eccitare il pentimento. Chi però scarseggiasse di tempo potrà usare piacere qualunque atto più breve, ricordandosi che Davide fu giustificato con un solo “peccavi”, e la Maddalena e Pietro ottennero il perdono senza nemmeno parlare. Tanto è vero che tutto dipende dal cuore, di cui le parole non sono sempre come esser dovrebbero, la espressione la più sincera.

Atto di pentimento

Dal profondo abisso delle mie iniquità io alzo a Voi, Signore, la mia debole voce. Deh! non siate inesorabile alle mie preghiere. Se nel rigore della vostra giustizia pesate le mie colpe, io non ardisco più sperare perdono, perché esse han sorpassato il numero dei miei capelli, e contengono un eccesso di ingratitudine e di malizia che non ha esempio. Ma voi avete promesso di non disprezzare giammai il cuore contrito ed umiliato che Vi domanda pietà. Esaudite dunque le suppliche di un peccatore che unicamente confida nella vostra misericordia. Io ho peccato contro il cielo è contro di Voi. Creatura ingrata e ribelle ho disprezzata in Voi il mio Creatore, il mio Redentore, il mio Santificatore, il mio Dio. Come il prodigo del Vangelo, ho abbandonato in Voi il più sincero degli amici, il più tenero tra i padri, il più liberale tra i benefattori, per farmi schiavo miserabile dei vostri più odiati nemici, i quali altro non cercano se non la mia perdizione. Lungi da Voi amato mio bene, ho dissipato quei tesori di grazia che sono il Prezzo della vostra Passione e della vostra morte, e che voi mi accordaste unicamente per operare la mia salvezza. A somiglianza di Giuda, io Vi ho tradito nell’atto stesso in cui ad un altro non pensavate che a ricolmarmi dei vostri favori ed a stampare sulla mia fronte il bacio dolcissimo della vostra amicizia. Anzi ho abusato dei vostri doni per offenderVi, per oltraggiarVi; ho calpestato quel sangue che fu versato sulla Croce per mia salute: ho profanato quel tempio in cui Vi degnaste di fermare le vostre compiacenze; e quel che è peggio, Vi ho offeso, Vi ho oltraggiato sotto gli occhi santissimi della vostra adorabile Maestà. Sì si alla vostra presenza, o Signore, io non mi sono vergognato di commettere quelle indegnità che arrossirei di commettere innanzi all’uomo più vile di questa terra. Voi mi promettesse il paradiso se Vi rimaneva fedele, mi minacciaste l’inferno si aveva l’ardire di offenderVi; ed io insensato ho rinunciato alle promesse della vostra eredità, ho disprezzato le minacce della vostra collera, per assecondare i pessimi desideri del corrotto mio cuore. Me infelice! che non per altro Vi ho conosciuto se non per offenderVi con più malizia ed oltraggiarVi con più sconoscenza! Ah! La terra doveva aprire il suo seno per ingoiarmi vivo nell’abisso, il cielo doveva scagliare i suoi fulmini per distruggermi ed annientarmi! Ma la vostra bontà che sorpassa tutta la malvagità degli uomini, ha sospeso il braccio della giustizia che stava per calare sopra il mio capo. Sia infinitamente benedetta la vostra misericordia che mi ha risparmiato l’inferno in cui dovevo essere precipitato a spasimare per tutta l’eternità. Deh! Giacché tanto forse liberale verso di me, nonostante tutti i miei demeriti, coronate adesso la vostra pazienza con l’accordarmi un generoso perdono di tutti i commessi delitti. Anzi Voi che, infinito nella vostra potenza, sapete trarre la luce dal mezzo delle tenebre, fate adesso che la vista della moltitudine e dell’enormità dei miei trascorsi, risvegli nel cuore più viva e sincera la contrizione, affinché dolendosi tanto, quanto lo meritano i miei peccati, e tanto amandoVi quanto Vi ho offeso, possa sentirmi da Voi ripetere le consolanti parole dirette già alla penitente Maddalena: “ti sono rimessi molti peccati, perché molto hai amato”. Signore, Vi dirò adunque col pubblicano, “siate propizio a me, il più miserabile tra i peccatori”; e con Davide vero modello dei penitenti, “abbiate pietà di me secondo la grandezza della vostra misericordia”; lavate col vostro sangue tutte le macchie dell’anima mia, affinché, santificata dalla vostra Grazia diventi più candida della neve. Conosco adesso il gran male che ho fatto con i miei peccati, e li detesto e li abomino sopra ogni male, non tanto perché per essi ho perduto il Paradiso e meritato l’inferno, quanto perché con essi ho offeso Voi, sommo bene, che siete un Dio di infinita grandezza e degno dell’amore di tutte le creature. Vorrei poter ora morire per risarcirvi di tanti affronti. Ma giacché Voi gradite più assai il sacrificio del cuore, che quello della vita, ascoltate, Vi prego, i gemiti del mio cuore contrito ed umiliato; rimettetemi di nuovo nella vostra amicizia, ché risolutamente Vi prometto di non abbandonarVi mai più. Non sono degno di essere trattato da figlio vostro, ben lo comprendo; ma non ricusate almeno di ricevermi come l’ultimo dei vostri servi. Sono stanco, Signore di vivere lontano da Voi; ridonatemi il bacio del vostro amore perché Vi eleggo per mia porzione in tutto il tempo avvenire, disposto a soffrire anche la morte piuttosto che offenderVi un’altra volta.

Atto di proponimento

Mio Signore e mio Dio, sin da questo momento io propongo e risolvo, con l’aiuto della vostra santa grazia, con la quale posso ogni cosa, e senza di cui non mi è possibile cosa alcuna, propongo e risolvo di non peccare mai più, ed evitare con egual diligenza le occasione del peccato, di resistere coraggiosamente a tutte le tentazioni dei miei nemici, e finalmente di morire piuttosto mille volte che offendere nuovamente la vostra adorabile Maestà. Unico bene dell’anima mia, se gli uomini Vi conoscessero maggiormente ogni dì, non Vi offenderebbero. Fate dunque, o Signore, che io Vi conosca maggiormente ogni dì, e che io pensi sempre a Voi, affinché Vi ami costantemente fino alla morte. Fate che la ricordanza di Voi sia la delizia della mia memoria, che la cognizione di Voi sia la fiaccola della mia mente, e l’amor vostro sia la vita del mio cuore, affinché possa con verità esclamare con il Profeta: “ho detto e cominciato!”, “ego dixi et coepi”. Oggi, sì oggi mio Dio, ho cominciato davvero ad amarVi, a dichiarare guerra alle mie passioni e a tutto ciò che si oppone alla vostra legge santissima. Ma ohimè! Voi ben conoscete la mia fiacchezza, la mia incostanza e la malizia del mio cuore volubile con una foglia ad ogni leggero soffio di vento. Con tutto ciò i cuori degli uomini sono poi nelle vostre mani e Voi potete ammollire i più duri e piegare i più ostinati. Datemi adunque quello che Voi comandate: poi comandatemi quello che Voi volete. La vostra Grazia, o mio Dio, mi prevenga, mi accompagni mi segua in tutti i miei pensieri, in tutte le mie parole, in tutte le mie azioni, al fine di preservarmi da tutto ciò che può danneggiare la mia coscienza, allontanando da me tutto quello che può da Voi separarmi. Purità del mio Dio purificatemi! Santità del mio Dio, salvatemi. Date per misericordia il perdono a colui che potete condannar per giustizia, poiché sono risoluto di far penitenza, e di dare agli Angeli ed a Voi tanto diletto con la mia conversione, quanto a Voi e ad essi ho cagionato di dispiacere coi miei passati traviamenti.

Preghiera da aggiungersi

Oh mio Dio che avete sì misericordiosamente perdonato al pubblicano le sue frodi, alla Maddalena i suoi scandali, al ladro i suoi misfatti e avete con tanta bontà ricevuto il figlio prodigo, abbiate ancora di me pietà, e in questo Sacramento lavate l’anima mia col sangue di Gesù Cristo da ogni macchia di peccato; e rimettetemi e conservatemi poi sempre nella vostra amicizia, sì ché insieme con essi abbia ad esaltare per sempre le vostre misericordie in Paradiso, come spero dalla vostra bontà infinita e per i meriti del mio Redentore. Con questi sentimenti di confidenza nella vostra misericordia io vado ai piedi del confessore. Siate, o Signore nel mio cuore e nella mia lingua acciò detesti ed accusi sinceramente tutti i miei peccati e siate nella mente e nel cuore del Sacerdote, vostro ministro, affinché diriga l’anima mia secondo la vostra volontà.

Formula per le colpe veniali

Grande Iddio, che per la bontà e maestà vostra infinita, e per l’amore immenso che a noi portate per i grandi benefici che ci compartite tutto giorno, e ci andate ancor preparando a vera ed eterna felicità nel Cielo, meritate da noi ogni corrispondenza ed amore, qual confusione non è per me il riconoscere di averVi in cambio per tante maniere offeso e disgustato? Ah! mio Signore, me ne pento e mi dolgo con tutto il cuore, e vorrei dolermene ancor maggiormente, prima per il gran torto che ho fatto a Voi nel mancarVi di fedeltà ed amore, e poi per il gran danno arrecato all’anima mia, facendo sì poco conto del tempo, della grazia, dell’amor vostro, e dei meriti che potevo impiegare a maggior corona nel cielo, per meritarmi in quella vece le pene atrocissime del Purgatorio, lungi da Voi e dalla vostra gloria, amato mio bene. O la freddezza o la poca fede che è mai stata la mia nell’abbandonarmi con tanta facilità ad una colpa che offende un Dio di tanta grandezza e bontà, e reca l’anima mia mali sì grandi! Or la conosco e detesto; ed in avvenire sono risoluto con la vostra Grazia di schivare ogni cosa che sia di vostra offesa e di volervi amare con tutto il mio cuore, con tutta l’anima mia e con tutte le mie forze, per continuare poi ad amarvi più perfettamente insieme con i Santi in Paradiso, come per Gesù Cristo prego e spero di ottenere dalla vostra misericordia.

 

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–18 giugno 1968

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     Cari lettori, rieccoci a dipanare una “matassa” complicata, ma della quale si iniziano ad scorgere le terminazioni del filo, lasciando intravedere una trama interessante e che suscita curiosità anche per gli “indifferenti”, soprattutto per coloro che amano i thriller spionistici, nei quali appunto gli inganni si intrecciano vorticosamente. Ci siamo lasciati sulla vicenda della “pretesa costituzione apostolica di Ippolito”, che stava per scoppiare come una bolla di sapone vuota e fragile mostrandosi chiaramente come una “bufala” inventata da uno strano benedettino, un certo Dom Bernard Botte, su commissione di un personaggio ormai noto ai nostri lettori: il frammassone Annibale Bugnini, il famigerato BUAN 136575, intimo amico e fratello di loggia, anche se di più basso livello, dell’illuminato G.B. Montini. Ma il “nostro” trio cerca di ricorrere ai ripari con altre invenzioni, ancora peggiori come si vedrà, per giustificare una formula assurda nonché eretica e blasfema, gettando così ancora fumo negli occhi dei poveri Cattolici, ignari del “piattino” che si stava loro preparando. La nuova “trovata” è questa: la nuova formula si ispira ai riti antichi orientali, il siriaco, l’egiziano e l’etiopico, ed addirittura abissino! [si vede che avevano acquistato un nuovo atlante geografico].   Osservando la giustapposizione dei riti succitati, ne esce una grande similitudine, anche se confusa, tra il rito di Montini e “l’ordinanza ecclesiastica” nella sua recensione etiopica ed i riti abissini, e la preghiera consacratoria, la cui formula essenziale era inizialmente considerata essere parte della pretesa’Tradizione apostolica d’Ippolito’, è similare ai riti abissini! Ma questo “archeologismo storico-geografico” è manifestamente essere una eresia monofisita e quindi antitrinitaria! Infatti i riti abissini devono essere letti nel contesto del “monofisismo: Nunc autem effunde desuper virtutem Spiritus principalis, quem dedisti dilecto Filio tuo Jesu Christo [… allora dunque effondi dall’alto la virtù dello Spirito principale, che hai dato al Figlio tuo diletto Gesù Cristo]. Ciò vale ugualmente per la forma dell’Ordinanza ecclesiastica di recensione etiopica: … Et nunc effunde eam quae a te est virtutem principalis spiritus, quem dedisti dilecto puero tuo Iesu Christo … [… ed ora effondi quella che da te è la virtù dello Spirito principale …]. Perché questa formula afro-orientale, è sostanzialmente eretica, anzi blasfema, applicata ad una Consacrazione vescovile. L’enigma che si pone nella formula, riguarda lo “spiritus principalis”, che designerebbe lo Spririto-Santo, il quale viene trasmesso al Figlio, e questo significherebbe quindi, nel contesto etiope-abissino, che Gesu-Cristo diviene Figlio di Dio per mezzo di questa “operazione” che è per essi dunque una unzione divinizzante o meglio una “adozione” seguita da una “unione deificante”, quindi una “sola” natura sussistente, ciò che corrisponde appunto al “monofisismo”, eresia condannata dal Concilio di Calcedonia nel 451, che “riconosceva” al Cristo la sola natura divina, negando che la natura umana di Cristo fosse sostanzialmente la nostra, fatto che quindi impedirebbe la nostra Redenzione attraverso di Lui. [Si tratta della solita teologia gnostico-satanica, quella della “G” massonica, che fa capolino, come un serpente biforcuto, a firmare l’impresa] Esso ancora oggi è praticato dalle chiese orientali copte di Egitto ed Etiopia e dalle maronite della Siria occidentale.  – Queste concezioni alle quali si è accennato, debordano inoltre dal quadro della Cristologia per estendersi alla Teologia trinitaria, poiché secondo questa formula così malamente manipolata, lo Sprito-Santo non sarebbe consustanziale al Figlio. L’affermazione è pertanto “anti-trinitaria” ed “anti-filioque”. In parole povere c’è una aberrante similitudine tra il rito dell’antipapa Montini ed i riti appartenenti agli eretici monofisiti! – Questi riti di consacrazione, ai quali si richiama il Montini, appartengono nei fatti a “chiese” eretiche che adottano principi già condannati abbondantemente dal Magistero cattolico, principi antitrinitari e cristologicamente a-cattolici.

Senza volerci addentrare ulteriormente in questioni molto “specialistiche”, alle quali rimandiamo i più interessati, possiamo concludere che alla fine il rito del trio Botte-Bugnini-Montini, non è né copto, né maronita occidentale, essendo essi confusamente sovrapposti tra loro ma non coincidenti, e quel che più è evidente, è che la preghiera consacratoria (la forma del Sacramento) non riprende nemmeno quella della pretesa “tradizione apostolica” del fantomatico Ippolito; dissimili sono pure il rito nestoriano ed armeno. Un vero pastrocchio al quale però tutti, ancora oggi, ricorrono per rivestirsi sacrilegamente di una carica usurpata ai legittimi pretendenti! (A proposito del trio, ben si confa’ la profezia del re-Profeta: “1 – Ecce parturiit injustitiam; 2- concepit dolorem, et 3 – peperit iniquitatem” … che subito dopo aggiunge: “Lacum aperuit, et effodit eum; et incidit in foveam quam fecit” (Ps. VII, 15-16) e più in là completa: Dominus autem irridebit eum, quoniam prospicit quod veniet dies ejus” – Ps. XXXVI, 13!)

Questi fatti succintamente riferiti, contraddicono quindi la parola del pinocchio-Montini (c.d. Paolo VI, l’antipapa usurpante, rappresentante di satana in carne ed ossa, contrapposto al vero Papa in esilio, Gregorio XVII), secondo la quale: “ … si è ben giudicato di ricorrere, tra le fonti antiche alla preghiera consacratoria che si trova nella tradizione apostolica di Ippolito di Roma, documento dell’inizio del III secolo, e che, per una gran parte è ancora osservata nella liturgia dell’ordinazione presso i Copti e i Siriani occidentali”. No, non è Pinocchio a Bengodi, ma Paolo VI in “Pontificalis Romani”. In realtà sappiamo oggi benissimo, e chiunque può costatarlo, che i riti copto e siriaco occidentale non utilizzino affatto la “prefabbricata” preghiera consacratoria della pretesa “Tradizione apostolica di Ippolito”. Lo stesso Dom Botte, in opere successive, aggiungeva fandonie a menzogne per giustificare il suo strampalato operato chiaramente in malafede. Ad esempio in un’opera del 1957 opponeva la “tradizione apostolica di Ippolito” alla tradizione siriaca autentica. [“La formula di ordinazione – la grazia divina nei riti orientali”; in “l’Oriente siriano”, abst., vol. II, fasc. 3, 3° trim. 1957, Parigi, pag. 285-296]. Si tratta alla fine, di un inaudito abuso, quello perpetrato il 18 giugno 1968 dall’anti-Papa sedicente Paolo VI, [solo un falso papa poteva avallare tali bestialità]: egli ha avuto il “temerario ardimento” di rimpiazzare un rito latino antico invariabile nella sua forma essenziale da oltre 17 secoli, con una creazione artificiale ricavata da una ricostruzione di Dom Botte apparsa negli anni 1950, e poi nel 1990 contestata dagli specialisti (quelli veri!). Il Montini si è giustificato con un sedicente ritorno alle origini, un falso archeologismo, riproducendo il metodo degli anglicani utilizzato in passato e nei confronti del quale Leone XIII scriveva bollandoli severamente: «essi hanno grandemente sfigurato l’insieme della liturgia conformemente alle dottrine erronee dei novatori, con il pretesto di ricondurla alla sua forma primitiva ». (Apostolicae curae, 1896). Si è preteso giustificarsi con delle menzogne [avendo per padre il diavolo, non poteva essere altrimenti! ]; concludendo: 1) la forma citata “non” riproduce affatto la forma della pretesa ’Tradizione apostolica’ attribuita ad Ippolito.2) la forma citata non è stata “mai” in uso nei riti copto e siriano occidentale. 3) Si è commesso un attentato contro lo Spirito-Santo, avendo avuto, come detto, l’audacia inaudita di rimpiazzare con una creazione puramente umana e mal congegnata, un rito invariabile nella sua forma essenziale e quasi bi-millenaria, di cui lo Spirito-Santo è stato garante della costanza, coronata poi dalla decisione infallibile di Pio XII (Sacramentum ordinis) meno di 21 anni prima dell’atto ignobile del marran Montini, (e quindi irreformabile da parte di un vero Papa- [un vero Papa non avrebbe mai apportato, né poteva, una modifica al Magistero definito da un suo predecessore!). Ecco quindi le origini smascherate di un rito aberrante: une creazione puramente umana! Alla prossima e, se la materia non fosse così delicata e decisiva per la salvezza dell’anima … buon divertimento!

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Allen Brent: Hippolytus & the Roman Church in the Third Century, Communities in tension before the Emergence of a Monarch-Bishop, Allen Brent, E.J.Brill, 1995

rore-6 

Stewart-Sykes, Hippolytus: On the Apostolic Tradition:

An English Version with Introduction and Commentary,

(New York: St. Vladimir’s Press 2001.)

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J.A. Cerrato, Hippolytus Between East and West: The Commentaries

and the Provenance of the Corpus, (Oxford: U.P. 2002).

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Bradshaw, M.E. Johnson, and L.E. Phillips, The

Apostolic Tradition; A Commentary, (Minneapolis

MN: Fortress Press 2002).

 

Alcuni volumi di specialisti che contestano con fatti evidenti la “pretesa” costituzione apostolica di Ippolito”! Ma anche questi sono superati dalle nuove menzogne … siriache ed abissine!

http://18 giugno 1968 – 5 –

A TE, O BEATO GIUSEPPE

 

 

san-giuseppe-beatoPer il mese di ottobre, mese dedicato in particolare alla recita del Santo Rosario, S.S. Leone XIII raccomandò, per i bisogni impellenti della Chiesa, di recitare alla fine del Rosario stesso, la preghiera a San Giuseppe che egli medesimo inserì a conclusione della Enciclica sottostante nella quale tra l’altro, si pone come modello del proletariato il santo Patriarca, padre putativo di Gesù Cristo, sposo della Vergine Maria, Madre di Dio, e protettore della Santa Chiesa Cattolica. Oggi i mali della Chiesa sono molto più gravi di quelli del tempo dell’enciclica [1889], e la preghiera a San Giuseppe è sempre più trascurata. I “veri” cattolici devono conservare invece tale consuetudine, anzi imporsela come obbligo nel sovvenire alle necessità della Chiesa oggi eclissata, secondo la profezia mariana de La Salette “ … la Chiesa sarà eclissata …”, e a protezione della Gerarchia vera in “esilio” con il Santo Padre Gregorio XVIII impedito nelle sue legittime funzioni apostoliche. Rileggiamo con attenzione la lettera enciclica di Papa Leone XIII e poniamo in atto quanto raccomandato a sostegno del Santo Padre e della Chiesa Cattolica attuale, chiedendo infine a Dio la rapida soluzione della eclisse e dell’apostasia in atto.

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LEONE XIII

Quamquam pluries

Lettera Enciclica

Roma, 15 agosto 1889

Quantunque abbiamo già ordinato più volte che si facessero in tutto il mondo particolari preghiere e si raccomandassero a Dio nel modo più ampio gl’interessi della cattolicità, tuttavia nessuno si stupirà se riteniamo opportuno anche oggi ribadire nuovamente questo stesso dovere. Nei tempi funesti, soprattutto quando il potere delle tenebre sembra possa osare tutto a danno della cattolicità, la Chiesa è sempre stata solita supplicare Dio, suo autore e garante, con maggiore fervore e perseveranza, invocando pure l’intercessione dei Santi e particolarmente dell’augusta Vergine, madre di Dio, nel patrocinio dei quali vede il massimo della propria sicurezza. Presto o tardi il frutto delle preghiere e della speranza nella bontà divina si evidenzia. – Ora vi è ben noto, Venerabili Fratelli, che il tempo presente non è meno calamitoso di quelli più tristi già subiti dalla cristianità. Vediamo infatti perire in moltissimi la fede, che è il principio di tutte le virtù cristiane; vediamo raffreddarsi la carità, e la gioventù degradarsi nei costumi e nelle idee; dovunque si osteggia con violenza e con perfidia la Chiesa di Gesù Cristo; si combatte atrocemente il Pontificato; e con tracotanza ogni giorno più sfrontata si tenta di scalzare le stesse fondamenta della religione. Dove si sia precipitati e che cosa ancora si vada agitando negli animi è più noto di quanto sia necessario spiegarlo con le parole. – In questa difficile e miserabile situazione, poiché i mali sono più forti dei rimedi umani, non resta che chiedere la guarigione alla potenza divina. Pertanto ritenemmo opportuno spronare la pietà del popolo cristiano perché implori con nuovo fervore e nuova costanza l’aiuto di Dio onnipotente. Quindi, avvicinandosi il mese di ottobre, che in passato abbiamo già decretato sacro alla Vergine Maria del Rosario, vi esortiamo calorosamente a che quest’anno tutto il mese suddetto venga celebrato con la maggior devozione, pietà e partecipazione possibili. Sappiamo bene che nella materna bontà della Vergine è pronto il rifugio, e siamo certi che le Nostre speranze non sono invano riposte in Lei. Se tante volte Ella ci fu propizia nei fortunosi tempi del cristianesimo, perché temere che non voglia ripetere gli esempi del suo potere e della sua grazia, ove sia umilmente costantemente invocata con preghiere comuni? Anzi, tanto più speriamo che in mirabile modo ci assista, quanto più a lungo volle essere pregata. – Se non che un’altra cosa Ci siamo pure proposta, e per essa voi, Venerabili Fratelli, Ci presterete, come al solito, la vostra diligente cooperazione: per meglio rendere Iddio favorevole alle nostre preci e perché Egli, supplicato da più intercessori, porga più rapido e largo soccorso alla sua Chiesa, riteniamo che sia sommamente conveniente che il popolo cristiano si abitui a pregare con singolare devozione e animo fiducioso, insieme alla Vergine Madre di Dio, il suo castissimo sposo San Giuseppe: il che abbiamo particolari motivi di credere che debba tornare accetto e caro alla stessa Vergine. Quanto a questo argomento che per la prima volta trattiamo pubblicamente, ben sappiamo che la pietà popolare, poco favorevole, venne successivamente aumentando da quando i romani Pontefici, fin dai primi secoli, si impegnarono gradualmente a diffondere maggiormente e per ogni dove il culto di Giuseppe: abbiamo visto che esso è venuto aumentando ovunque in questi ultimi tempi, soprattutto da quando Pio IX, Nostro antecessore di felice memoria, su richiesta di moltissimi Vescovi, ebbe dichiarato il santissimo Patriarca patrono della Chiesa cattolica. Nondimeno, poiché è di tanto rilievo che il suo culto metta profonde radici nelle istituzioni e nelle abitudini cattoliche, vogliamo che il popolo cristiano anzitutto riceva nuovo impulso dalla Nostra voce e dalla Nostra autorità. – Le ragioni per cui il beato Giuseppe deve essere patrono speciale della Chiesa, e la Chiesa ripromettersi moltissimo dalla tutela e dal patrocinio di lui, nascono principalmente dal fatto che egli fu sposo di Maria e padre putativo di Gesù Cristo. Da qui derivarono tutta la sua grandezza, la grazia, la santità e la gloria. Certamente la dignità di Madre di Dio è tanto in alto che nulla vi può essere di più sublime. Ma poiché tra Giuseppe e la beatissima Vergine esistette un nodo coniugale, non c’è dubbio che a quell’altissima dignità, per cui la Madre di Dio sovrasta di gran lunga tutte le creature, egli si avvicinò quanto nessun altro mai. Infatti il matrimonio costituisce la società, il vincolo superiore ad ogni altro: per sua natura prevede la comunione dei beni dell’uno con l’altro. Pertanto se Dio ha dato alla Vergine in sposo Giuseppe, glielo ha dato pure a compagno della vita, testimone della verginità, tutore dell’onestà, ma anche perché partecipasse, mercé il patto coniugale, all’eccelsa grandezza di Lei. – Così pure egli emerge tra tutti in augustissima dignità, perché per divina disposizione fu custode e, nell’opinione degli uomini, padre del Figlio di Dio. Donde consegue che il Verbo di Dio modestamente si assoggettasse a Giuseppe, gli obbedisse e gli prestasse quell’onore e quella riverenza che i figli debbono al padre loro. – Ora, da questa doppia dignità scaturivano naturalmente quei doveri che la natura prescrive ai padri di famiglia; per cui Giuseppe fu ad un tempo legittimo e naturale custode, capo e difensore della divina famiglia. E questi compiti e uffici egli infatti esercitò finché ebbe vita. S’impegnò a tutelare con sommo amore e quotidiana vigilanza la sua consorte e la divina prole; procacciò loro di continuo con le sue fatiche il necessario alla vita; allontanò da loro i pericoli minacciati dall’odio di un re, portandoli al sicuro altrove; nei disagi dei viaggi e nelle difficoltà dell’esilio fu compagno inseparabile, aiuto e conforto alla Vergine e a Gesù. – Ora la casa divina, che Giuseppe con quasi patria potestà governava, era la culla della nascente Chiesa. – La Vergine santissima, in quanto Madre di Gesù Cristo, è anche Madre di tutti i cristiani, da Lei generati, in mezzo alle atrocissime pene del Redentore sul Calvario; così pure Gesù Cristo è come il primogenito dei cristiani, che Gli sono fratelli per adozione e redenzione. – Ne consegue che il beatissimo Patriarca si consideri protettore, in modo speciale, della moltitudine dei cristiani di cui è formata la Chiesa, cioè di questa innumerevole famiglia sparsa in tutto il mondo sulla quale Egli, come sposo di Maria e padre di Gesù Cristo, ha un’autorità pressoché paterna. È dunque cosa giusta e sommamente degna del beato Giuseppe che, come Egli un tempo soleva tutelare santamente in ogni evento la famiglia di Nazaret, così ora col suo celeste patrocinio protegga e difenda la Chiesa di Cristo. – Queste cose, Venerabili Fratelli, come sapete, trovano riscontro in ciò che pensarono parecchi Padri della Chiesa, d’accordo con la sacra liturgia, e cioè che l’antico Giuseppe, figlio del patriarca Giacobbe, anticipasse la persona e il ministero del nostro, e col suo splendore simboleggiasse la grandezza del futuro custode della divina famiglia. Per la verità, oltre all’avere entrambi lo stesso nome, non privo di significato, corrono tra loro ben altre chiarissime rassomiglianze a voi ben note: prima di tutte quella che l’antico Giuseppe si guadagnò in modo singolare la benevolenza e la grazia del suo signore, e che, avendo da lui avuto il governo della casa, tutte le prosperità e le benedizioni piovevano, per riguardo a Giuseppe, sul suo padrone. Ma v’è di più: egli, per volontà del monarca, governò con poteri sovrani tutto il regno, e nel tempo di pubblica calamità, per mancati raccolti e per la carestia, sovvenne con così stupenda provvidenza agli Egizi e ai popoli confinanti, che il re decretò si chiamasse salvatore del mondo. – Così in quell’antico Patriarca è possibile ravvisare la figura del nostro. Come quegli fu benefico e salutare per la casa del suo padrone e poi per tutto il regno, così questi, destinato alla custodia della cristianità, si deve reputare difensore e tutore della Chiesa, la quale è veramente la casa del Signore e il regno di Dio in terra.

Tutti i cristiani, di qualsivoglia condizione e stato, hanno ben motivo di affidarsi e abbandonarsi all’amorosa tutela di San Giuseppe. In Giuseppe i padri di famiglia hanno il più sublime modello di paterna vigilanza e provvidenza; i coniugi un perfetto esemplare d’amore, di concordia e di fede coniugale; i vergini un esempio e una guida dell’integrità verginale. I nobili, posta dinanzi a sé l’immagine di Giuseppe, imparino a serbare anche nell’avversa fortuna la loro dignità; i ricchi comprendano quali siano i beni che è opportuno desiderare con ardente bramosia e dei quali fare tesoro. – I proletari poi, gli operai e quanti sono meno fortunati, debbono, per un titolo o per diritto loro proprio, ricorrere a San Giuseppe, e da Lui apprendere ciò che devono imitare. Infatti Egli, sebbene di stirpe regia, unito in matrimonio con la più santa ed eccelsa tra le donne, e padre putativo del Figlio di Dio, nondimeno passa la sua vita nel lavoro, e con l’opera e l’arte sua procura il necessario al sostentamento dei suoi. – Se si riflette in modo avveduto, la condizione abietta non è di chi è più in basso: qualsiasi lavoro dell’operaio non solo non è disonorevole, ma associato alla virtù può molto, e nobilitarsi. Giuseppe, contento del poco e del suo, sopportò con animo forte ed elevato le strettezze inseparabili da quel fragilissimo vivere, dando esempio al suo figliuolo, il quale, pur essendo signore di tutte le cose, vestì le sembianze di servo, e volontariamente abbracciò una somma povertà e l’indigenza. – Di fronte a queste considerazioni, i poveri e quanti si guadagnano la vita col lavoro delle mani debbono sollevare l’animo, e rettamente pensare. A coloro ai quali, se è vero che la giustizia consente di potere affrancarsi dalla indigenza e levarsi a migliore condizione, tuttavia né la ragione né la giustizia permettono di sconvolgere l’ordine stabilito dalla provvidenza di Dio. Anzi, il trascendere alla violenza e compiere aggressioni in genere e tumulti è un folle sistema che spesso aggrava i mali stessi che si vorrebbero alleggerire. Quindi i proletari, se hanno buon senso, non confidino nelle promesse di gente sediziosa, ma negli esempi e nel patrocinio del beato Giuseppe, e nella materna carità della Chiesa la quale si prende ogni giorno grande cura del loro stato. – Pertanto, Venerabili Fratelli, ripromettendoci moltissimo dalla vostra autorità e dal vostro zelo episcopale, né dubitando che le pie e buone persone intraprendano molte altre cose, e anche maggiori di quelle comandate da Noi, decretiamo che in tutto il mese di ottobre si aggiunga nella recita del Rosario, da Noi già prescritto altre volte, l’orazione a San Giuseppe, il cui testo riceverete insieme con quell’Enciclica, e così si faccia ogni anno in perpetuo.

A coloro, poi, che devotamente reciteranno la suddetta orazione, concediamo ogni volta l’indulgenza di sette anni e altrettante quarantene. È anche proficuo e sommamente apprezzabile il consacrare, come già avviene in vari luoghi, con giornalieri esercizi di pietà il mese di marzo in onore del Santo Patriarca. Dove poi ciò non si possa fare agevolmente, sarebbe almeno desiderabile che prima della sua festa, nel tempio principale di ciascun luogo, si celebrasse un triduo di preghiere. – Raccomandiamo inoltre a tutti i fedeli dei paesi nei quali il 19 marzo, giorno sacro a San Giuseppe, non è compreso nel novero delle feste di precetto, che non trascurino tuttavia per quanto è possibile, di santificarlo almeno privatamente, ad onore del celeste Patrono, quasi fosse giorno festivo.

Frattanto, auspice dei celesti doni e pegno della Nostra benevolenza verso di voi, Venerabili Fratelli, impartiamo di tutto cuore nel Signore l’Apostolica Benedizione a voi, al Clero e al vostro popolo.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 15 agosto 1889, anno duodecimo del Nostro Pontificato.

 

Orazione a San Giuseppe

A te, o beato Giuseppe, stretti dalla tribolazione ricorriamo, e fiduciosi invochiamo il tuo patrocinio dopo quello della tua Santissima Sposa. – Deh! per quel sacro vincolo di carità che ti strinse all’Immacolata Vergine Madre di Dio, e per l’amore paterno che portasti al fanciullo Gesù, guarda, te ne preghiamo, con occhio benigno la cara eredità che Gesù Cristo acquistò col suo sangue, e col tuo potere ed aiuto sovvieni ai nostri bisogni. – Proteggi, o provvido Custode della divina Famiglia, l’eletta prole di Gesù Cristo; allontana da noi, o Padre amantissimo, la peste di errori e di vizi che ammorba il mondo; assistici propizio dal cielo in questa lotta contro il potere delle tenebre, o nostro fortissimo protettore; e come un tempo salvasti dalla morte la minacciata vita del pargoletto Gesù, così ora difendi la santa Chiesa di Dio dalle ostili insidie e da ogni avversità: e stendi ognora sopra ciascuno di noi il tuo patrocinio, affinché sul tuo esempio, e mercé il tuo soccorso, possiamo vivere virtuosamente, piamente morire, e conseguire l’eterna beatitudine in cielo. Così sia”.

2 OTTOBRE FESTA DEGLI ANGELI

2 OTTOBRE FESTA DEGLI ANGELI CUSTODI

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DIVOZIONE AGLI ANGELI

Istruzione sopra l’Angelo Custode.

[da: Manuale di Filotea, del sac. Giuseppe Riva, Milano 1888 – XXX ed. – imprim. -]

Dopo Dio e Maria, non v’ha né in cielo, né in terra chi più si interessi per la nostra salute; e chi per conseguenza noi dobbiamo riverir maggiormente, dell’Angelo Custode? Datoci come per guida, per nostro compagno, per nostra difesa, fino dal principio della nostra esistenza, non ci abbandona mai finché non abbia ritornata l’anima nostra alle mani del Creatore. Chi può dire la sollecitudine con cui provvede alla nostra sicurezza così temporale come eterna? Dappertutto egli è con noi, di giorno e di notte, nella città o nella campagna, nella solitudine e fra i tumulti, nelle occupazioni e nel riposo: quindi ci consola nelle afflizioni, ci difende nei pericoli, ci illumina nei dubbi, ci soccorre in tutti i bisogni. risovveniamoci per un momento di quanto fece per Tobia l’Arcangelo Raffaele. Gli si esibì per compagno nel viaggio che doveva intraprendere alla capitale della Media, lo liberò dalla morte quando alla sponda del Tigri venne minacciato da un mostro; andò egli stesso da Gabelo per riscuoterne il credito; gli procurò una sposa che fece la sua felicità; gli insegnò la maniera di trionfare di quel demonio che le aveva già uccisi sette mariti: lo riconsegnò sano e salvo alla casa paterna:restituì al vecchio suo padre la vista da tanto tempo perduta, e gli rivelò tutti i disegni di misericordia dall’Altissimo, inseguiti in favore di sua famiglia. – Ora tutto questo non ò che un’immagine di ciò che fa per ciascuno in particolare l’Angelo Custode. Esso ci precede, dice la Scrittura, in tutte le strade, e allontana da noi quello che ci potrebbe essere occasione di inciampo e di caduta. Vero amico, non ci abbandona anche quando noi sprezziamo i suoi consigli e offendiamo la maestà di sua presenza, commettendo qualche peccato: anzi è allora che alza più forte la voce e colle minacce e coi rimorsi non cessa mai di stimolarci a sorgere dalle miserie in cui siamo caduti. Intanto perora presso il Signore la nostra causa, e implora la sospensione di quei flagelli che la giustizia divina potrebbe scaricare sopra di noi. – Basta che noi lo preghiamo di qualche cosa perché egli all’istante ci esaudisca. Anzi, basta professargli devozione sincera per essere da lui sovvenuti, non solamente a norma delle nostre speranze, ma anche al di là di tutti i nostri desideri! Così l’Apostolo San Pietro si vide dall’Angelo Custode rotte le catene, spalancate le porte, e condotto a mano fino al di fuori della prigione di Erode. Noi sappiamo che avviatosi S. Onofrio per il deserto ove dimorò per 60 anni, fu dal suo Angelo accompagnato fino a quella grotta che il Signore gli aveva destinato per domicilio, ed ivi dal medesimo spesse volte comunicato. Santa Susanna, che poi fu martire, venne dall’Angelo difesa contro gli iniqui attentati del lussurioso Diocleziano. – Santa Quinteria era dal suo Angelo avvisata di ciò che doveva fare. – Santa Brigida scozzese, non solo vide tante volte il suo Angelo Custode, ma lo udì cantare in sua presenza inni soavissimi di paradiso. San Raimondo di Pegnafort era quotidianamente svegliato dal suo Angelo al primo segno del mattutino, e Santa Francesca Romana ne godeva continua la compagnia e la conversazione, né le spariva dagli occhi se non quando essa era ricaduta in qualche fallo; il che faceva per avvertirla di ritornare subito col pentimento al primitivo suo stato. Mentre sant’Isidoro si tratteneva in chiesa ad udir Messa, il suo Angelo Custode lavorava per lui alla campagna affinché non avessero i mal devoti padroni a lagnarsi di sua tardanza. Santa Balbina e santa Costanza furono dai propri Angioli assistite nelle loro malattie. San Stanislao Kostka, entrato senza saperlo, in una chiesa di eretici, fu da un Angelo comunicato in presenza di s. Barbara. San Fermo e San Rustico erano dagli Angioli provveduti di cibo nelle loro prigioni, dove per la fede trovavansi condannati a morire di fame. Tante insomma e tali sono le grazie che fanno gli Angioli ai loro clienti, che è cosa impossibile il numerarle dinstintamente. – Quello però che deve farci arrossire si è, che sia così scarsa la nostra corrispondenza, così fredda la nostra devozione verso di loro. Suvvia pertanto, emendiamo il passato con un avvenire migliore. Ringraziamo di cuore la divina bontà che sia giunta a tal segno di degnazione da assegnarci un principe della sua Corte per nostro speciale custode: ma ricordiamoci che esso ci è dato affinché noi lo teniamo come testimonio, lo ascoltiamo come maestro, lo amiamo come amico, lo ringraziamo come benefattore, e lo riveriamo come Angelo. Si avvivi una volta la nostra confidenza nella sua protezione. A lui ricorriamo in qualunque necessità, e saremo certamente esauditi. Salutiamolo senza mai dimenticarcene, specialmente alla mattina, perché ci assista in tutte le occorrenze della successiva giornata; alla sera perché ci difenda contro le insidie notturne. Invochiamolo nell’uscire di casa perciò perché rimuova dai nostri occhi ogni sorta di vanità; al ritornarvi perché ci aiuti in tutte le domestiche faccende; nell’andare in chiesa perché tenga raccolte tutte le potenze dell’anima, non che i sensi del corpo, alla presenza di Dio; al principio delle nostre azioni perche riescano non solamente ben fatte, ma anche meritorie; nelle nostre preghiere perché le offra come un incenso di grato odore al cospetto dell’Altissimo. Guardiamoci però sopra tutto dal mancargli della debita riverenza col commettere sotto i suoi ocelli ciò che arrossiremmo di fare al cospetto dei nostri simili. A caratteri indelebili egli tiene nel suo libro registrate le nostre azioni, ed egli diverrà senza dubbio il nostro più terribile accusatore presso il divin tribunale, se, lungi dal secondare, avremo disprezzate le sue ispirazioni e i suoi consigli, o se, malgrado i suoi rimproveri e le sue minacce, noi avremo voluto camminare dietro le notre passioni. – È stata una pratica di molti Santi l’implorare il soccorso degli angeli Custodi delle persone con cui essi dovevano trattare, e che potevano molto aiutarli per aver un felice successo negli affari che dovevano maneggiare con quelle. Così un Vescovo può utilissimamente implorare il soccorso dell’Angelo della sua diocesi, un Curato quello della sua parrocchia, un Confessore quello del suo penitente, un predicatore quello del suo uditorio, un amico quello del suo amico. L’aver così intelligenza con essi per il bene delle anime è un cooperare con essi alla salute delle persone che sono confidate alla loro cura ed un occuparsi nelle opere di Dio in ispirito di unità ci ministri invisibili che vi impiega egli stesso. Non vi rincresca, Filotea, di consacrare all’invocazione particolare del loro patrocinio qualche momento di ogni settimana, specialmente del Martedì che è il giorno comunemente assegnato a tale scopo. Vi prego di incominciare, e il frutto abbondante che ne ritrarrete vi impegnerà senza dubbio a proseguire. Ogni giorno poi non lasciate mai di salutare il vostro Angelo alla mattina, alla sera, e frequentemente nella giornata colla brevissima e devotissima orazione della Chiesa ”L’Angele Dei”, etc. a cui vanno annesse le seguenti Indulgenze.

INDULGENZE PER “L’ANGELE DEI”

Pio VI: 2 Ott. 1795 accorda ogni volta che si recita con cuore almeno contrito e devotamente 100 giorni d’Indulg. — Indulg. Plenaria nella festa dei SS. Angeli Custodi (2 ott.) a chi alla mattina e sera tutto l’anno, purché in tal giorno confessato e comunicato visiti qualche Chiesa, o pubblico Oratorio pregando pel S. Pont. — Lo stesso Pontefice, 11 giugno 1796, accorda Indulg. Plen. in “articulo mortisa chi in vita l’avrà frequentemente recitata. Finalmente Pio VII, 15 maggio 1821, non solo conferma le sudd. Ind. ma ancora concede Ind. Plen. una volta al mese a chi l’avrà recitata per tutto il mese in un giorno ad arbitrio, purché conf. e comun. Visiti una pubblica Chiesa e preghi secondo la mente di S. S.

ALL’ANGELO CUSTODE (2 Ottobre).

ang. gerarchie

I. – O fidelissimo Esecutore dei consigli di Dio, santissimo Angelo mio Tutelare, che fino dai primi momenti della mia vita vegliate sempre sollecito alla custodia dell’anima mia e del mio corpo, io vi saluto e vi ringrazio, unitamente a tutto il coro degli Angeli dalla divina bontà destinati a custodi degli uomini: e istantemente vi prego di raddoppiare la vostra premura per preservarmi da ogni caduta nel presente pellegrinaggio, affinché l’anima mia si conservi sempre così monda, così pura quale voi stesso procuraste che divenisse per mezzo del santo battesimo. Angele Dei.

II. – Affezionatissimo mio Compagno,unico vero amico, SS. Angelo mio Custode, che in tutti i luoghi o in tutti i tempi mi onorate della vostra adorabile presenza, io vi saluto e vi ringrazio, unitamente a tutto il coro degli Arcangeli da Dio eletti ad annunziare cose grandi e misteriose, e istantemente vi prego di illuminare la mia mente colla cognizione della divina volontà, e di muovere il mio cuore alla sua sempre esatta esecuzione, affinché, operando sempre conformemente alla fede che professo, mi assicuri nell’altra vita il premio promesso ai veri credenti. Angele Dei.

III. – Sapientissimo mio Maestro, SS. Angelo mio Custode, che non cessate mai di insegnare la vera scienza dei Santi, io vi saluto e vi ringrazio, unitamente a tutto il coro dei Principati destinati a presiedere agli spiriti minori per la pronta esecuzione degli ordini divini, e istantemente vi prego di sopraintendere ai miei pensieri, alle mie parole, alle mie opere perché, conformandomi in tutto ai vostri salutevoli insegnamenti, non venga mai a perdere di vista il santo timor di Dio, che è il principio unico ed infallibile della vera sapienza. Angele Dei.

IV.- Amorosissimo mio Correttore, SS. Angelo mio Custode, che con graziosi rimproveri e con continue ammonizioni mi invitate a sorgere dalla colpa ogni qual volta per mia disgrazia vi sono caduto, io vi saluto e vi ringrazio, unitamente al coro delle Potestà destinate a raffrenare gli sforzi del demonio contro di noi, e istantemente vi prego a svegliare l’anima mia dal letargo della tiepidezza in cui vivo tuttora e di concederle tanta forza che valga a resistere ed a trionfare di tutti quanti i nemici. Angele Dei.

V.- Potentissimo mio Difensore, SS. Angelo mio Custode, che, scoprendomi assiduamente le insidie del demonio nelle pompe del mondo e delle lusinghe della carne, me ne facilitate la vittoria ed il trionfo, io vi saluto e vi ringrazio, unitamente a tutto il coro delle Virtù dal sommo Iddio destinate ad operare miracoli e a spingere gli uomini sulla strada della santità, ed istantemente vi prego a soccorrermi in tutti i pericoli, di difendermi in tutti gli assalti, affinché possa camminare sicuro nella via di tutte le virtù, specialmente dell’umiltà, della purità, fdellobbedienza e della carità, che sono le più care a voi, e le più indispensabili alla salute. Angele Dei.

VI. – Infallibile mio Consigliere, SS. Angelo Custode, che colle più vive illustrazioni mi fate sempre conoscere la volontà del mio Dio e i mezzi più opportuni pet adempirla, io vi salato e vi ringrazio unitamente a tutto il coro delle Dominazioni eletto da Dio a comunicarci i suoi decreti, ed a somministrarci la forza di dominar le nostre passioni, e istantemente vi prego di sgombrare dalla mia mente tutte le importune dubbiezze e le perniciose perplessità affinché, libero da ogni timore, secondi sempre i vostri consigli, che sono consigli di pace, di giustizia e di santità. Angele Dei.

VII. – Zelantissimo mio Avvocato, SS. Angelo mio Custode, che con incessanti preghiere perorate nel cielo la causa della mia eterna salute, e allontanate dal mio capo i meritati flagelli, io vi saluto e vi ringrazio unitamente a tutto il coro dei Troni eletti a sostenere il soglio dell’Altissimo e a stabilire gli uomini nel bene incominciato, e istantemente vi prego di coronare la vostra carità coll’ottenermi il dono inestimabile della finale perseveranza, affinché nella morte io passi felicemente dalle miserie di questo esilio ai gaudi eterni della patria celeste. Angele Dei.

VIII. – Binignissimo Consolatore dell’anima mia, Santo Angelo mio Custode, che con soavissime inspiri razioni mi confortate in tutti i travagli della vita presente ed in tutti i timori della futura, io vi saluto e vi ringrazio, unitamente a tutto il coro dei Cherubini che pieni della scienza di Dio, sono eletti ad illuminare la nostra ignoranza, e istantemente vi prego di assistermi specialmente e di consolarmi sì nelle presenti avversità come nelle estreme agonie, affinché allettato dalle vostre dolcezze, io chiuda il cuore a tutte le lusinghe fallaci di questa terra per riposare nelle speranze della futura felicità. Angele Dei.

IX, – Principe nobilissimo della Corte Celeste, infaticabile Coadiutore della mia eterna salute, santo Angelo mio Custode, che contrassegnate tutti i momenti con innumerevoli benefici, io vi saluto e vi ringrazio, unitamente a tutto il coro dei Serafini che, accesi più di tutti della divina carità, sono eletti ad infiammare i nostri cuori, ed istantemente vi prego di accendere nell’anima mia una scintilla di quell’amore di che voi ardete continuamente, affinché, in me distrutto tutto quello che sa di mondo e di carne, mi elevi senza ostacolo alla contemplazione delle cose celesti, e dopo aver sempre fedelmente corrisposto alla vostra amorevole premura su questa terra, venga finalmente con voi nel regno della gloria, a lodarvi, a ringraziarvi ed amarvi per tutti i secoli. Cosi sia. Angele Dei.

V. Ora pro nobis, beate Dei Angele.

R. Ut digni efficiamur etc.

OREMUS.

Deus, qui ineffabili providentia santos Angelos tuos ad nostram custodiam mittere dignaris, largire supplicibus tuis, et eorum sempre protectione defendi , et aeterna societate gaudere. Per Dominum nostrum, etc

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Orazione all’Angelo Custode

Spirito beato, che Dio assegnò per custode del mio corpo e dell’anima mia, per direttore di mia condotta, cooperatore di mia salute, mia scorta e mio sostegno nella strada della virtù, quanti anni sono che mi guidate nel mezzo di tutti i pericoli senza mai ritirarvi per le mie infedeltà, né abbandonarmi pei miei peccati! Eppure io non ho avuto per voi che della ingratitudine, pensando sol raramente alla carità che avete per me, e nulla facendo per riconoscerla! Io potrei ben dire come il giovine Tobia diceva all’Angelo Raffaele, che quand’anche dessi tutto me stesso a voi per divenire vostro schiavo, non potrei riconoscere degnamente i benefici da voi ricevuti, perché tutti i servigi che Tobia ricevette da quella santa guida, non sono che la figura e l’ombra dei buoni offici che mi avete prestati fino adesso, e che mi presterete fino al momento di entrare, come spero, nella casa del mio vero Padre. Se non che la ricompensa che desiderate da me, come l’Arcangelo Raffaele, si è che io benedica il Dio del cielo e che Gli renda gloria innanzi agli uomini perché ha fatto risplendere sopra di me la sua misericordia, e che io Lo benedica e Lo glorifichi, non con semplici parole, ma col camminare la strada dei suoi comandamenti, col consacrare tutto a Lui il mio cuore e le potenze dell’anima mia. Aiutatemi, Angelo di Dio a riconoscere in questa maniera tutto il bene che ho ricevuto da Lui per mezzo del vostro ministero; degnatevi di continuare verso di me le vostre caritatevoli cure. Correggete col vostro lume, che è un raggio di lume eterno, tutti i falsi lumi della mia ragione e tutte le illusioni dello spirito delle tenebre, se accade che esse mi facciano prendere per veri i falsi beni. Rimettete con salutari rimproveri sulla retta strada il mio cuore quando venisse a traviare. Difendetemi nelle tentazioni, e guardatemi da tutte le insidie de’ miei nemici visibili ed invisibili, e da tutte le ingannevoli dolcezze del peccato. Degnatevi anche di offrir me stesso a Dio, e colle vostre preghiere inchinate a mio favore la sua bontà. insegnatemi ad offrirGli delle preghiere che meritino di alzarsi sino al suo trono, e che voi possiate presentarGli con confidenza. Impetratemi quel rispetto e quella devozione che vi tiene così umiliato alla sua presenza e sì penetrato della sua santità; e l’esempio della vostra prontezza e della vostra fedeltà nell’eseguire tutti quanti i suoi voleri mi renda fedele a praticare tutto ciò che riguarda la sua legge ed i suoi disegni sopra di me con un amore ed una obbedienza che mi possa procurare la felicità di contemplarLo un giorno nel cielo, e di essere saziato con voi del pane invisibile della verità, nella pienezza della carità.

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AGLI ANGELI

Angeli beati che circondate il trono dell’Altissimo, San Michele, principe della milizia celeste; S. Gabriele, illustre ambasciatore della consolantissima nuova dell’Incarnazione; san Raffaele, fedel condottiere del giovine Tobia; e Voi tutti, o incomparabili Cori degli Angelici Spiriti, ardenti Serafini, luminosi Cherubini, immutabili Troni, potenti Dominazioni, ammirabili Virtù, formidabili Potestà; supremi Principati, sublimi Arcangeli, caritatevoli Angeli, io vi saluto e vi onoro, e penetrato da un’altissima stima per tutte le rare vostre prerogative, e pei vostri nobilissimi ministeri, io riconosco la mia insufficienza ad onorarvi come Voi meritate. Voi avete premure incredibili per la nostra salute, e v’impiegate a procurarla con illustrazioni divine e con impressioni d’amore che non possono mai essere abbastanza ammirate. Qual cuore sarà dunque così duro che non vi ami? Qual volontà così ostinata che non s’arrenda alle vostre ispirazioni? Quale ingratitudine così vile che non riconosca le vostre ineffabili tenerezze? Io mi abbandono dunque a Voi, o Santi protettori dell’anima mia, poiché voi avete il potere e lo zelo per aiutarmi, e non avendo io l’ardire di presentami al cospetto del Dio vivente, m’indirizzo a voi, o Grandi dell’Empiro, per avere accesso al medesimo col favore vostro. Presentatemi a questa augustissima Onnipotenza, ed ottenetemi qualche partecipazione delle vostre purissime inclinazioni. Sia io tanto distaccato dal mondo, quanto ne siete Voi umilmente separati; tanto disimpegnato dai sensi, quanto Voi siete spirituali, immortali e incorruttibili, tanto indifferente dei beni temporali, quanto Voi siete in una infinita abbondanza di beni celesti; tanto morto a tutte le passioni, quanto Voi siete inalterabili nella contemplazioni della divina bellezza tanto dipendente dalla volontà del mio Creatore, quanto Voi siete infaticabili nell’eseguirne prontamente i comandi; finalmente tanto incapace di alcuna ingiustizia,, o trasgressione della sua legge, quanto Voi siete invariabilmente fissi nel bene, confermati in grazia, e consumati nell’amore il più perfetto.

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ALL’ANGELO CUSTODE.

Ma quanto a voi, santo Angelo mio Custode, che posso io rendervi per tanti favori innumerabili che ho ricevo tuttodì dalla vostra instancabile carità? Non devo io confondermi della mia disattenzione a ringraziarvi e riverirvi? Con un fervore tutto nuovo io ripongo l’anima mia nelle vostre mani. Annunciate ad essa le verità del cielo, affinché le segua, fatele comprendere i suoi errori, affinché li detesti; mostratele i suoi pericoli, affinché li schivi; avvertitela de’ suoi obblighi, affinché li adempia. Ottenete lo spirito dell’orazione, dell’umiltà e della mortificazione; affinché su di queste indispensabili virtù, come sopra di altrettante colonne, fondi mai sempre l’edifizio della sua beata eternità; e finalmente soccorretela sino all’estremità dei suoi giorni, affinché Voi stesso possiate con compiacenza presentarla al trono di quel Dio che senza interruzione adorate; e così le sia assicurata la bella sorte di godere per tutti i secoli la vostra dolcissima compagnia insieme a quella di tutti i Santi che regnano con Cristo su in cielo.

Omelia della Domenica XX dopo Pentecoste

Omelia della Domenica XX dopo Pentecoste

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. III -1851-]

(Vangelo sec. S. Giovanni IV, 46-53)

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Mal esempio dei Genitori.

Quant’è mai grande la forza del buon esempio! Un padre, come ci narra l’odierna evangelica storia, col suo credere a Gesù Cristo, trae coll’ardore del suo esempio alla fede di Gesù Cristo medesimo tutta la sua famiglia. Era questo un piccolo Re, il cui figlio giaceva gravemente infermo a Cafarnao. Vedendo inutili tutti gli umani rimedi, ebbe ricorso al Consolator degli afflitti, partì da Cafarnao, e Lo raggiunse in Cana sui confini della Galilea, e prostèso a Lui dinanzi “Signore, disse, tengo un figliuolo in pericolosa infermità, compiacetevi venirlo a risanare, e a consolare il più addolorato di tutti i padri”.- “Se non vedete miracoli, Gesù rispose, voi non credete”. – “Ah Signore, soggiunse il padre, venite per pietà che ogni momento d’indugio può esser fatale al figlio moribondo”. – “Andate, disse allora il Salvatore, che il figlio vostro è vivo e sano e salvo”. Credette alle sue parole il genitor consolato, e nel tornarsene a casa ecco alla metà del cammino i suoi servitori spediti ad apportargli la lieta notizia, che il figlio aveva ricuperata in un istante la sanità. Interrogati dell’ora, in cui la febbre l’aveva lasciato, e in udir che ieri all’ora settima cessata la febbre era uscito di pericolo, comprese essere precisamente quell’ora stessa, in cui il divin Redentore detto gli aveva che il suo figliuolo era vivo e risanato. In vista di questo prodigio abbracciò la fede di Gesù Cristo, e trasse col suo esempio alla stessa fede tutti di sua famiglia, numerosa di alti e bassi ufficiali, d’ordini diversi di servitori, essendo egli un piccolo Re da Erode Tetrarca costituito Principe e Governatore di tutta la Galilea. “Credidit ipse, et domus eius tota”. – Tant’è la forza del buon esempio. Ma ancor più grande è la forza dell’esempio cattivo. “Un poco d’assenzio, dice S. Gregorio Nisseno, basta a rendere amara una notabile quantità di mele, ma una notabile quantità di mele non può far dolce l’assenzio”. E più facile distruggere che edificare. Quanta rovina adunque recherà ai propri figli l’esempio malvagio de’ genitori! Per impedirlo io prendo a dimostrarvi le perdite inconsolabili, che fanno i genitori col mal esempio. Pérdono l’autorità sopra de’ figli, perdono i figli, e perdono sé stessi. Tre perdite che abbracciano il temporale e l’eterno interesse, tre punti che meritano la vostra più seria applicazione.

I. L’autorità è in tutto il suo vigore, quando ne hanno il dovuto concetto i subalterni; ma ohimè quando decade, se nei soggetti autorevoli trovano gli inferiori di che adontarsi, e scoprono che riprendere! Veniamo al pratico. Entro col mio pensiero in una casa di questo mondo, e v’entro nell’ora in cui marito e moglie sono tra loro in aspra contesa. Vomita il primo le più infami e contumeliose parole, aguzza l’altra la lingua come un serpente; crescono le ingiurie, crescono gli insulti a vicenda. La tempesta non finisce in tuoni. Alle imprecazioni, alle bestemmie succedono colpi, percosse, duri e villani maltrattamenti. Oh Dio! e tutto ciò in presenza dei figli che piangono, che alzano stridi e clamori. Che casa è questa, ove abita il demonio della più arrabbiata discordia? Che scuola è questa in cui da’ figliuoli s’apprende l’immodesto parlare, lo scostumata procedere, l’ira, la contumelia, lo spirito d’odio e di vendetta? E qual concetto può avere la povera famiglia d’un padre bestiale, d’una madre viperina? Perduta la stima si perde necessariamente l’autorità tanto necessaria per la buona educazione. Lo scandalo che date, o incauti genitori, vi chiude la bocca: non potete più correggere la vostra prole di quei misfatti, de’ quali voi siete più rei. – Allorché Caino stese a terra impiagato e morto Abele suo innocente fratello, Iddio acremente rimproverandolo, “il sangue del tuo germano, gli disse, dalla terra, su cui è sparso, alza voci e clamori che giungono al cielo”. – “Sanguis fratris tui clamat ad me de terra” (Ge. IV, 19). Così abbiamo dal sacro testo; ma il sacro testo non dice che Adamo aprisse bocca a correggere il crudel fratricida. E perché? Risponde Teodoreto, che Adamo, come uomo intelligente, ben prevedeva le amare risposte del figlio uccisore, se l’avesse rimproverato; e perciò il suo delitto, il mal esempio, l’obbligò a rigoroso silenzio. “Come! detto gli avrebbe probabilmente Caino, voi mi riprendete per l’uccisione d’un uomo, mentre voi avete uccisa tutta l’umana generazione! Mi rimproverate per la morte di mio fratello, voi che avete dati a morte più dannevole tutti i vostri figli che sono e che saranno sino alla fine del mondo? Io poi ho peccato per un movimento d’insidia, per un trasporto di collera, e voi solo per il gusto meschino di un vilissimo pomo”. Tutti questi acerbi rimbrotti si aspettava Adamo, perciò si tacque, vedendosi spogliato d’autorità per correggere. – Così avviene tutto dì. Quel padre è un figliuol giocatore che nel giuoco perde il tempo, lo studio, il danaro, il buon nome. Vede la necessità di correggerlo, ma come può, s’egli giorno e notte ha le carte e i dadi alla mano? Con qual animo, dice S. Gregorio Magno, pretenderà medicar l’altrui piaga colui che porta in faccia la stessa medesima piaga? “Qua praesumptione mederi properat, qui in facie vulnus portat?” (Pur. 2 Past. C. 9). Quella madre sa ed osserva che la propria figlia è libera, nemica del ritiro, che tratta, che parla, che ride, che si trattiene con tutti; ma come impedire questi pericolosi disordini se essa tiene un’eguale condotta? Quell’altro padre vorrebbe i suoi figli dediti alla pietà, frequenti alla Chiesa, alla parola di Dio, ai santi Sacramenti; ma come avvisarli o punirli per la loro indevozione, se egli mai non si lascia vedere in Chiesa o in casa a piegar le ginocchia in qualche pubblica o privata preghiera? Ma diamo, che dai genitori si correggono i viziosi figliuoli, che autorità e forza potrà avere la riprensione, se quel che si pronunzia colla parola si distrugge coll’opera?

II. Se non che il perdere col mal esempio l’autorità di correggere è il meno: quello che monta incomparabilmente di più, è la lacrimevole perdizione degli scandalizzati figliuoli. La prima scuola, solete voi dire, è quella dì casa. Gli esempi domestici fanno più d’impressione che gli stranieri. La tenera età è più disposta a copiare l’immagine del vizio che della virtù. La gioventù non ha bisogno di sprone per gettarsi alla strada della dissolutezza, e la corrotta natura pendente al male trova ne’ mali costumi de’ genitori come una specie di guarentigia a impunemente seguirli. Di Abia, figlio di Roboamo, dice la divina Scrittura che camminò in tutti i peccati di suo padre, “ambulavit in omnibus peccatis patris sui” (III Re, XIII, 3). Notate la frase: le scelleratezze del proprio padre furono per lui come tante pedate impresse sulla polvere o sull’arena, sulle quali camminò come l’empio suo genitore, “ambulavit in omnibus peccatis patris sui”. – Se poi al mal esempio tacito s’aggiungesse l’espresso, poveri figli! Così non fosse, come odono sovente di bocca del padre o della madre certe massime affatto opposte a quelle del santo Vangelo. “Non ti far pecora, o figlio, ma come cane mostra e adopera i denti contro chi t’offende”, “ché tanti riguardi! E’ un codardo che non sa vendicarsi e farsi portar rispetto”. – “Bisogna farsi ricchi per essere rispettati e temuti. Chi ha danaro ha tutto, e può far di tutto”. – “La coscienza è per chi la teme, e chi la teme sarà sempre povero”. Oh Dio! oh Dio! che diabolica scuola. Non vi credo capaci, uditori miei cari, di questo linguaggio pestifero, scandaloso, anticristiano, contentatevi invece ch’io vi metta sott’occhi un altro scandalo indiretto, a cui non si bada gran fatto. – Per meglio spiegarmi premetto quel che di Gerosolima diceva piangendo il Profeta Geremia. Paragona egli quell’infelice città ad uno struzzo nel deserto, “Filia populi mei crudelis quasi struthio in deserto” (Theren. IV, 3). Osserva Plinio, e con esso altri indagatori della natura (checché ne dica qualche viaggiatore) che lo struzzo ne’ deserti dell’Africa e dell’America lascia cader le sue uova in sull’arena, e le abbandona. La provvidenza si cura delle medesime, e di giorno col calore del sole, e di notte col calor mantenuto nella sottoposta arena fa che le uova si schiudano e fuori saltellino i piccoli struzzoli che sull’arena stessa trovano l’opportuno alimento. La divina provvidenza non vuol fare altrettanto a riguardo dei figli vostri: a voi, alla vostra cura li ha commessi, or che sarà se voi li abbandonate? E appunto da questo abbandono nascono quegli scandali indiretti non conosciuti, e perciò più pericolosi e dannevoli. Torme di fanciulli si vedono a trastullar tutto il dì in mezzo alle piazze e alle contrade, abbandonati a se stessi, come tanti struzzoli, e vanno intanto imparando sconce parole e maliose azioni, e il padre trascurato e la madre indifferente non badano che a levarsi il fastidio d’averli intorno. Fatti più adulti si lasciano in maggior libertà, vanno, vengono di giorno, di notte, praticano compagni malvagi, contraggono amicizie sospette: l’ozio che insegna ogni malizia, il giuoco che dissipa lo spirito, il libero conversare che corrompe il costume, formano la giornaliera occupazione. Tanti disordini, gli scandali che danno, gli scandali che ricevono, vanno tutti a carico dei genitori, che per una insensata trascuratezza hanno ad essi lasciata la briglia sul collo. Che dirò delle figlie anch’esse abbandonate come struzzoli nel deserto? Col pretesto di divozione si lasciano andare liberamente à certe novene, che cominciano avanti l’aurora, a certe feste di Chiese rurali, a campagne, a passeggi, a festini …. Adagio, è vero, ma sono accompagnate da quel nostro parente uomo onesto, da quel nostro parente uomo dabbene. Peggio, io vi rispondo, e vel ripeto, peggio! Se quel tal uomo avesse nome, fama ed apparènza di libertino, non gli affidereste la vostra figlia, e non fidandovi, voi e la figlia vostra non correreste alcun rischio. Per lo contrario, col fidarvi non siete sicuri, potete esser traditi. Si fidò Giacobbe, e concesse a Dina sua figlia un’innocente curiosità, e Dina fu rapita, fu disonorata, ed egli ferito dal più acèrbo dolore. Il mal esempio dato, il mal esempio non impedito rovina i figliuoli, ed è finalmente causa lacrimevole dell’eterna perdita de’ genitori.

III. Il Faraone, per politica di stato fece gettare nell’acque del Nilo tutti appena nati i maschi degli Ebrei. Erode per gelosia di regno, fece trucidare in Betlemme e ne’ suoi contorni tutti i bambini dai tre anni in giù per assicurarsi nella strage di tutti la morte di uno solo, il nato Re d’Israele. Or questi uccisi bambini furon veduti da S. Giovanni nel divino suo Apocalisse, sotto l’altare di Dio, e uditi alzar al cielo voci e clamori, gridando vendetta: “Usquequo Domine, … non vindicas sanguinem nostrum?” (cap. VI, 10). Fino a quando, o Signore, tarderete a vendicare il sangue innocente?- Ora io dico così: tanto i primi fanciulli sommersi nel Nilo, quanti i secondi trucidati da Erode son salvi: i primi come circoncisi e figli d’Abramo: i secondi non solo sono salvi, ma santi e martiri dalla Chiesa venerati sugli altari; e pure domandano a Dio vendetta. Or che sarà se i figliuoli scandalizzati dai genitori piomberanno all’inferno? Se invece di essere affogati in un fiume, saranno immersi in uno stagno di fuoco inestinguibile? Se invece di aver sofferto il taglio momentaneo della spada di Erode, si troveranno per sempre sotto la spada inesorabile della divina Giustizia? Vendetta, grideranno allora a più alta voce, vendetta contro i nostri padri, contro le nostre madri, che dopo averci data la vita temporale ci hanno tolta con gli esempi malvagi la vita spirituale ed eterna: vendetta contro coloro che non ci hanno dato la vita … se non per darci una doppia morte. – Padri e madri, volete dire che la giustizia di Dio sarà sorda a queste lamentevoli voci? E se le ascolta, come fuor di dubbio le ascolterà, che sarà di voi, che sarà dell’anime vostre? Voi siete perduti. Se foste causa della perdita dell’anima d’uno a voi straniero, dovreste temere la perdita della vostra; quanto più dovrà crescere il vostro timore e se per vostra disavventura foste cagione della perdita de’ figli vostri? Miei dilettissimi, se la coscienza vi rimprovera il mal esempio dato, e le omissioni apportatrici di scandalo alla vostra prole, altro rimedio non trovo per liberarvi da tanto pericolo, che pentimento sincero riguardo al passato, e riparo nell’avvenire ai dati scandali col buon esempio.

PREGHIERE ALLO SPIRITO SANTO

CORONA SPIRITUS SANCTI

286

In nomine Patris, et Filii, et Spiritus Sancti.

Amen.

            Actus contritìonis:

Doleo, mi Deus, me contra te peccasse, quia tam bonus es;

gratia tua adiuvante non amplius peccabo.

Hymnus Veni, Creator Spiritus, etc. cum versiculis et

Oremus

I – MYSTERIUM PRIMUM

De Spiritu Sancto ex Maria Virgine Iesus conceptus est

Meditatio. – Spiritus Sanctus superveniet in te, et virtus Altissimi obumbrabit tibi. Ideoque et quod nascetur ex te Sanctum, vocabitur Filius Dei (Luc, I, 35).

Affectus. – Precare vehementer divini Spiritus auxilium et Mariæ intercessionem ad imitandas virtutes Iesu Christi, qui est exemplar virtutum, ut conformis fias imagini Filii Dei.

Semel Pater et Ave et septies Gloria Patri.

II – MYSTERIUM SECUNDUM

Spiritus Domini requievit super Iesum

Meditatio. – Baptizatus autem Iesus, confestim ascendit de aqua, et ecce aperti sunt ei cœli: et vidit Spiritum Dei descendentem sicut columbam, et venientem super se (Matth., III, 16).

Affectus. – In summo pretio habe inæstimabilem gratiam sanctificantem per Spiritum Sanctum in Baptismo cordi tuo infusam. Tene promissa, ad quæ servanda tunc te obstrinxisti. Continua exercitatione auge fidem, spem, caritatem. Semper vive ut decet filios Dei et veræ Dei Ecclesiæ membra, ut post hanc vitam accipias cœli hereditatem.

Semel Pater et Ave et septies Gloria Patri.

III – MYSTERIUM TERTIUM

A Spiritu ductus est Iesus in desertum

Meditatio. – Iesus autem plenus Spiritu Sancto regressus est a lordane: et agebatur a Spiritu in desertum diebus quadraginta, et tentabatur a diabolo (Luc., IV, 1, 2).

Affectus. – Semper esto gratus prò septiformi munere Spiritus Sancti in Confirmatione tibi dato, prò Spiritu sapientiæ et intellectus, consilii et fortitudinis, scientiæ et pietatis, timoris Domini. Fideliter obsequere divino Duci ut in omnibus periculis huius vitae et tentationibus viriliter agas, sicut decet perfectum christianum et fortem Iesu Christi athletam.

Semel Pater et Ave et septies Gloria Patri.

IV – MYSTERIUM QUARTUM.

Spiritus Sanctus in Ecclesia

Meditatio. – Factus est repente de cælo sonus tamquam advenientis spiritus vehementis, ubi erant sedentes; et repleti sunt omnes Spiritu Sancto loquentes magnalia Dei (Act., II, 2, 4, 11).

Affectus. – Gratias age Deo quod te fecit Ecclesiæ suæ filium, quam divinus Spiritus, Pentecostes die in mundum missus, semper vivificate et regit. Audi et sequere Summum Pontificem, qui per Spiritum Sanctum infallibiliter docet, atque Ecclesiam quæ est columna et firmamentum veritatis. Dogmata eius tuere, eius partes tene, eius iura defende.

Semel Pater et Ave et septies Gloria Patri.

V – MYSTERIUM QUINTUM

Spiritus Sanctus in anima iusti

Meditatio. – An nescitis quoniam membra vestra templum sunt Spiritus Sancti qui in vobis est? (I Cor., VI, 19).

Spiritum nolite exstinguere (I Thess., V, 19).

Et nolite contristare Spiritum Sanctum Dei, in quo signati estis in diem redemptionis (Eph., IV, 30).

Affectus. – Semper recordare de Spiritu Sancto qui est in te, et puritati animæ et corporis omnem da operam. Fideliter obedi divinis eius inspirationibus, ut facias fructus Spiritus: caritatem, gaudium, pacem, patientiam, benignitatem, bonitatem, longanimitatem, mansuetudinem, fidem, modestiam, continentiam, castitatem.

Semel Pater et Ave et septies Gloria Patri.

In fine dicatur Symbolum Apostolorum Credo in Deum, etc. …

Indulgentia septem annorum.

Indulgentia plenaria suetis conditionibus, corona quotidie per integrum mensem devote repetita (Breve Ap., 24 mart. 1902; S. Pæn. Ap., 18 mart. 1932).

PREGHIERE ALLO SPIRITO SANTO

pentecoste3

Veni Creator Spiritus,

Mentes tuorum visita,

Imple superna gratia,

Quæ tu creasti pectora.

Qui diceris Paraclitus,

Altissimi donum Dei,

Fons vivus, ignis, caritas,

Et spiritalis unctio.

Tu septiformis munere,

Digitus paternæ dexteræ,

Tu rite promissum Patris,

Sermone ditans guttura.

Accende lumen sensibus:

Infunde amorem cordibus:

Infirma nostri corporis

Virtute firmans perpeti.

Hostem repellas longius,

Pacemque dones protinus:

Ductore sic te prævio

Vitemus omne noxium.

Per te sciamus da Patrem,

Noscamus atque Filium,

Teque utriusque Spiritum

Credamus omni tempore.

Deo Patri sit gloria,

Et Filio, qui a mortuis

Surrexit, ac Paraclito,

In sæculorum sæcula.

Amen.

V. Emitte Spiritum tuum et creabuntur;
R. Et renovabis faciem terrae.

Oremus.

Deus, qui corda fidelium Sancti Spiritus illustratione
docuisti: da nobis in eodem Spiritu recta sapere;  et de eius semper consolatione
gaudere. Per Christum Dominum nostrum. Amen (ex Brev. Róm.).
Indulgentìa quinque annorum.
Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo
hymni recitatio, cum versiculo et oratione quotidie peracta,
in integrum mensem producta fuerit (Breve Ap.,
26 man 1706; S. Rituum Congr., 20 iun. 1889; S. Paen.
Ap., 9 febr. 1934).

pentecoste2

Sequentia

Veni, Sancte Spíritus,

et emítte cælitus

lucis tuæ rádium.

Veni, pater páuperum;

veni, dator múnerum;

veni, lumen córdium.

Consolátor óptime,

dulcis hospes ánimæ,

dulce refrigérium.

In labóre réquies,

in æstu tempéries,

in fletu solácium.

O lux beatíssima,

reple cordis íntima

tuórum fidélium.

Sine tuo númine

nihil est in hómine,

nihil est innóxium.

Lava quod est sórdidum,

riga quod est áridum,

sana quod est sáucium.

Flecte quod est rígidum,

fove quod est frígidum,

rege quod est dévium.

Da tuis fidélibus,

in te confidéntibus,

sacrum septenárium.

Da virtútis méritum,

da salútis éxitum,

da perénne gáudium.

Amen. Allelúja.

Indulgentia quinque annorum. Indulgentia plenaria s. c. dummodo quotidie per integrum mensem sequentis devote recitata fuerit (Brev Ap. , 26 Maii 1976; Sacr. Pænit. Ap., 15 apr. 1933)

V. Emitte Spiritum tuum, et creabuntur,

R. Et renovabis faciem terræ.

Oremus

Deus, qui caritatis dona per gratiam Sancti Spiritus tuorum cordibus fidelium infudisti, da famulis tuis, pro quibus tuam deprecamur clementiam, salutis mentis et corporis; ut te tota virtute diligent, et quæ tibi placita sunt, tota dilectione perficiant. Per Christum Dominum nostrum. Amen.

pentecoste4

Preghiera allo Spirito Santo

Deus in adjutorium etc. Gloria Patri etc.

Divino Paraclito Spirito, che avete create tutte le cose, deh venite a visitare con la vostra grazia l’anima mia creata per Voi; purgatela da ogni macchia, riempitela de’ vostri Doni, e infiammatela del santo Amore: Ve ne supplico per i meriti di Gesù. I meriti di Gesù suppliscano alle mie mancanze. Così sia.

l- O Divino Spirito di bontà, riempite il mio cuore del santo Timor di Dio, ma di quel filiale timore, che ci allontana per amore dall’offendere il nostro buon Padre, che merita di essere infinitamente amato, e glorificato.

Gloria Patri, etc.

2Spirito Santo consolatore, Padre dei Poveri, e refrigerio dei cuori, accordatemi per amor di Gesù quella vera, e perfetta Pietà, che è fondata sulla stabile Pietra angolare delle dottrine, e degli esempi del mio divino Maestro, e Salvatore.

Gloria Patri etc.

3- O Voi, Divino Spirito, comunicatemi il Dono della Scienza, che m’insegni ad amare Dio sommo Bene sopra ogni cosa, e con tutte le forze dell’anima mia.

Gloria Patri, etc.

4- O Spirito Santo, con la vostra virtù onnipotente spezzate le catene che tengono il povero mio cuore immerso nelle misere vanità del mondo; e datemi per amor di Gesù il Dono di Fortezza, onde rompa una volta tutti i lacci degli affetti terreni, e l’anima mia libera s’innalzi a Dio suo Creatore.

Gloria Patri, etc.

5- Sapientissimo Spirito, luce delle nostre menti, direttore del nostro cammino, datemi il celeste Consiglio, onde la mia vita sia tutta santa, e ordinata alla vostra gloria.

Gloria Patri, etc.

6- O Spirito santificatore delle anime, accordatemi il dono dell’Intelletto, onde obbedisca con perfezione alla sacra Legge, e ai consigli del mio Redentore.

Gloria Patri, etc.

7- O Sapienza del Padre, che disponete tutte le cose con fortezza e soavità, venite a insegnarmi la via del Paradiso. O Dio d’infinita carità, arricchite il mio cuore della Sapienza divina, onde ami solo il Bene eterno, e disprezzi i piaceri, le ricchezze, e le vanità fugaci, e bugiarde del mondo. Cosi sia.

Antiph. Charitas Dei diffusa est in cordibus nostris per inhabitantem Spiritum ejus in nobis.

V.- Emitte Spiritum tuum, et creabuntur.

R.- Et renovabis faciem terræ.

Oremus:

Adsit nobis, quæsumus, Domine, Virtus Spiritus Sancti, quæ et corda nostra clementer expurget, et ab omnibus tueatur adversis. Per Christum Dominum nostrum. Amen.

Fidelibus, qui septies doxologiam Gloria Patri … devote recitaverint ad septem dona a Spiritu Sancto impetrans, conceditur: Indulgentia trium annorum (S. C. de Prop. Fide, 12 mart. 1857; S. Pæn. Ap.,  10 iul. 1941).

Altra preghiera

O soffio divino dello Spirito Santo, fateVi sentire nell’anima mia; risvegliatela dall’assopimento in cui si trova; dissipate la languidezza in cui è immersa; portate via la polvere che si attacca, per così dire, a tutto quello che io fo; operate in me tutti i cambiamenti che Voi sapete esservi necessari. O divino Paraclito, datemi una di quelle lingue di lume, di carità, di perfezione che apparvero sopra gli Apostoli, affinché io possa con esse benedire il vostro Nome, confessare i miei peccati, insegnare con amore, riprendere con dolcezza, tacere quando conviene, ed edificare in ogni cosa. E voi, o santi Apostoli, che nel giorno solennissimo di Pentecoste riceveste nella sua pienezza lo Spirito di unità e santità, ottenete anche a noi un dono così segnalato, affinché credendo tutte le verità che avete insegnate, praticando tutte le opere che Voi avete raccomandate, vivendo e morendo nella Chiesa che Voi avete fondata, io giunga con Voi alla ricompensa beata ed eterna che ci avete insegnato a domandare e pregare. Così sia. [Manuale di Filotea, Milano 1888 – Impr.]

Preghiera

O Santo Spirito, Padre dei poveri e Consolatore degli afflitti, venite e scendete sopra di noi. Rischiarateci con la vostra sapienza, santificateci con il vostro amore; animateci con la vostra grazia; sosteneteci con la vostra fortezza, penetrateci con la vostra unzione; adottateci per figli con la vostra carità; pacificateci con la vostra presenza; salvateci con la vostra infinita misericordia; e sollevateci dalla terra al cielo, affinché Vi lodiamo, Vi benediciamo e Vi amiamo per tutta l’eternità. Amen. [Idem].

spirito-santo-6

Preghiera per domandare i Doni

Deus in adjutórium meum intènde.

Dòmine ad adjuvàndum me festina. (Glòria Patri,…) .

Santissimo Spirito Paràclito, io Vi adoro come vero Dio insieme col Padre e col Figlio divino. Vi benedico con le benedizioni degli Angeli e dei Serafini. Vi offro tutto il mio cuore, e vi ringrazio vivamente dei tanti benefici che avete fatto e Sempre fate al mondo. E poiché Voi siete il datore di tutti i beni soprannaturali, e Voi riempiste di immense grazie l’anima della Madre di Dio Maria, Vi prego di venire in me con la vostra grazia e con il vostro amore.

1. O Spirito Santo, concedetemi il dono del santo Timor di Dio, affinché io non tema che il peccato, ami Dio sopra ogni cosa e diffidando di me e fidando in Voi, spenga nel mio cuore ogni ambizione mondana, ogni senso di superbia: salvi l’anima mia. Gloria Patri con una delle giaculatorie riportate sotto.

2. O Spirito Santo, concedetemi il dono della Pietà, affinché io onori Dio con tutto l’affetto del mio cuore, reprima ogni sentimento di invidia; il cuor mio diventi dolce e mansueto come quello di Gesù. Gloria Patri, ecc.

3. O Spirito Santo, concedetemi il dono della Scienza, affinché io conosca sempre più il mio Dio per amarLo, i miei peccati per detestarli, farne la penitenza e ottenerne il perdono. Gloria Patri, ecc.

4. O Spirito Santo, concedetemi il dono della Fortezza, affinché io non tema alcun nemico dell’anima mia, combatta e vinca ogni difficoltà nel divino servizio e diventi sempre più fedele e fervoroso nell’adempimento dei miei doveri. Gloria Patri, etc.

5. O Spirito Santo, concedetemi il dono del Consiglio, affinché la mia mente da esso illuminata, veda il nulla dei beni di questo mondo, scopra ogni inganno del demonio, scacci ogni soverchio affetto alle cose terrene, ed usando misericordia al prossimo, ottenga io pure la misericordia di Dio. Gloria Patri, ecc.

6. O Spirito Santo, concedetemi il dono dell’Intelletto, affinché io impari sempre più ad amare ed apprezzare le verità della fede, e moderando in me ogni affetto mondano, conservi sempre puro il mio cuore e meriti un giorno di contemplare faccia a faccia il mio Creatore e Padre. Gloria Patri, ecc.

7. O Spirito Santo, concedetemi il dono della Sapienza, affinché l’anima mia, gustando le dolcezze della pietà, fugga gli allettamenti del senso, domi ogni passione, e conservando la pace in me stesso, col mio Creatore e Padre e col mio prossimo, meriti di essere chiamato figlio di Dio, e mi trovi sempre pronto a patire ogni persecuzione per conservare un così prezioso tesoro.

Gloria Patri, ecc.

Veni, Sancte Spiritus

 Veni, Sancte Spiritus, reple tuórum corda fidélium, et tui amóris in eis ignem accènde.

V. Emitte spiritum tuum, et creabùntur.

R. Et renovàbis fàciem terræ.

Oremus

Deus, qui corda fidélium Sancti Spiritus illustratióne docuisti, da nobis in eódem Spiritu recta sapere et de éjus semper consolatióne gaudére. Per Christum Dominum nostrum.

Indulgentìa quinque annorum. Indulgentia plenaria suetis conditionibus, dummodo quotidiana precum recitatio in integrum mensem producta fuerit (S. C. Indul., 8 maii 1907; S. Pæn.
Ap., 22 dec. 1932).

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Supplica allo Spirito Santo

Santissimo Spirito Paràclito, padre dei poveri, consolator degli afflitti, lume de’ cuori, santificatore delle anime, eccomi prostrato alla vostra presenza; Vi adoro con profondissimo ossequio. Vi benedico per mille volte ed insieme con i Serafini che stanno davanti al vostro trono, ripeto anch’io Sanctus, Sanctus, Sanctus. Credo fermamente che Voi siete eterno, consustanziale al Padre ed al Figlio divino. Spero nella vostra bontà che abbiate a salvare e a santificare quest’anima mia. Vi amo, o divino amore, con tutti gli affetti miei sopra tutte le cose di questo mondo, perché Voi siete infinita bontà, unicamente degna di tutti gli amori. E perché io, ingrato e cieco alle vostre ispirazioni tante volte Vi ho offeso con i miei peccati, Ve ne chiedo con le lacrime agli occhi mille volte perdono, dispiacendomi, più di ogni altro male, per aver disgustato Voi, sommo Bene. Vi offro tutto il mio freddissimo cuore, e Vi prego di ferirlo con un raggio della vostra luce e con una scintilla del vostro fuoco, affinché si dilegui il durissimo ghiaccio delle mie iniquità. Voi, che riempiste d’immense grazie l’anima di Maria santissima, ed infiammaste di santo zelo i cuori degli Apostoli, deh infervorate nel vostro amore anche il mio petto. Voi siete Spirito divino, sostenetemi contro tutti gli spiriti maligni. Siete fuoco: accendetemi del vostro amore. Siete luce: rischiaratemi la mente alla cognizione delle cose eterne. Siete colomba, datemi l’innocenza dei costumi. Siete aura soave, dissipate in me i venti delle mie passioni. Siete lingua: insegnatemi il modo di sempre benedirvi. Siete nuvola: proteggetemi con l’ombra del vostro patrocinio. E se finalmente siete il datore di tutti i doni celesti, deh animatemi, Vi prego, con la vostra grazia, santificatemi con la vostra carità, illuminatemi con la vostra sapienza, adottatemi per figlio con la vostra bontà, e salvatemi con l’infinita vostra misericordia; affinché sempre Vi benedica, Vi lodi e Vi ami, prima in terra nel tempo e poi in cielo per tutta l’eternità. Amen.

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LITANIE DELLO SPIRITO SANTO

Signore, abbiate pietà di noi

Cristo, abbiate pietà di noi

Signore, abbiate pietà di noi.

Cristo ascoltateci,

Cristo, esauditeci.

Padre celeste, che siete Dio, abbiate pietà di noi.

Figlio, Redentore del mondo, che siete Dio, abbiate pietà di noi.

Spirito Santo, che siete Dio, abbiate pietà di noi.

Santa Trinità, che siete un solo Dio, abbiate pietà di noi.

Spirito Santo, che procedete dal Padre e dal Figlio, abbiate pietà di noi [ogni volta].

Spirito Santo, che all’inizio del mondo spiravate sulle acque rendendole feconde …

Spirito Santo, per la cui ispirazione parlarono gli uomini di Dio, …

Spirito Santo, che rendeste testimonianza di Gesù Cristo, …

Spirito Santo, che siete disceso su Maria, …

Spirito Santo, che riempite tutta la terra, …

Spirito Santo, che abitate in noi, …

Spirito di verità, la cui unzione ci insegna tutte le cose, …

Spirito di sapienza e di intelletto, …

Spirito di consiglio e di fortezza, …

Spirito di scienza e di pietà, …

Spirito di santo timor di Dio, …

Spirito di grazia e di misericordia, …

Spirito di forza e di sobrietà, …

Spirito di umiltà e di castità, …

Spirito di dolcezza e di bontà, …

Spirito di pazienza e di modestia, …

Spirito di pace e di preghiera, …

Spirito di compunzione, …

Spirito di adozione dei figli di Dio, …

Spirito di ogni sorta di grazie, …

Spirito Santo che penetrate anche i segreti di Dio, …

Spirito Santo che pregate per noi con gemiti ineffabili, …

Spirito Santo disceso su Gesù sotto forma di colomba, …

Spirito Santo disceso sugli Apostoli sotto forma di lingue di fuoco, …

Spirito Santo di cui gli Apostoli furono ripieni, …

Spirito Santo per cui riceviamo una nuova vita, …

Spirito Santo che riempite i nostri cuori di carità, …

Spirito Santo che distribuite i vostri doni a chi Vi piace, …

Siateci propizio, perdonateci o Signore,

Siateci propizio, esauditeci o Signore,

Da ogni male – liberateci o Signore [ogni volta].

Da ogni peccato, …

Dalle tentazioni e dagli inganni del demonio, …

Dalla presunzione e dalla disperazione, …

Dalla resistenza alla verità conosciuta, …

Dall’ostinazione e dall’impenitenza, …

Da ogni sozzura di corpo e di anima, …

Dallo spirito di impurità, …

Da ogni cattivo spirito, …

Per la vostra eterna processione dal Padre e dal Figlio, …

Per la concezione di Gesù Cristo operatasi per opera vostra, …

Per la vostra divina discesa su Gesù Cristo nel Giordano, …

Per la vostra discesa sugli Apostoli nel cenacolo, …

Nel gran giorno del giudizio, …

Noi poveri peccatori, Ascoltateci, Ve ne preghiamo [ogni volta],

Affinché vivendo per lo spirito, per lo spirito pure operiamo, …

Affinché ricordandoci che siamo tempio dello Spirito Santo, giammai Lo profaniamo, …

Affinché, vivendo secondo lo spirito, non assecondiamo i desideri della carne, …

Affinché non abbiamo a contristare Voi che siete lo Spirito di Dio, …

Affinché possiamo conservare l’unità di spirito nel vincolo della pace, …

Affinché non abbiamo a credere troppo facilmente ad ogni spirito, …

Affinché sappiamo provare se gli spiriti vengono da Dio, …

Affinché ci rinnoviate nello spirito di rettitudine, …

Affinché ci fortifichiate col vostro sovrano Spirito, …

Agnello di Dio che togliete i peccati dal mondo, perdonateci o Signore.

Agnello di Dio che togliete i peccati dal mondo, esauditeci o Signore.

Agnello di Dio che togliete i peccati dal mondo, abbiate pietà di noi.

V. – Manda il tuo Spirito, e crea in noi una nuova creatura.

R. – E rinnoverai la faccia della terra.

Preghiamo

O Dio, che ammaestrasti i cuori dei fedeli con la luce dello Spirito Santo, concedici di gustare nel medesimo Spirito, ciò che è bene, e di godere sempre delle sue consolazioni. Per Cristo nostro Signore. Così sia.

Giaculatorie:

Spiritus Sancte Deus, miserere nobis. (500 g. o.v.)

Spiritus Sancti gratia illumina sensus, et corda nostra. Amen. (500 g. o.v.)