IL SIGNORE DIO DELL’UNIVERSO E’ sATANA (secondo i fratelli massoni).

IL SIGNORE DIO DELL’UNIVERSO E’ sATANA (secondo i fratelli massoni).

[Ebbene, ti faccio dono di alcuni della sinagoga di satana – di quelli che si dicono Giudei, ma mentiscono perché non lo sono” – Ap. III,9]

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Dal libro di Domenico Margiotta, ex 33° della franco-massoneria ed esponente italiano insigne di questa ignobile associazione a delinquere, “Le Palladisme”, -culte de satan-lucifer dans les triangles maçonniques- estrapoliamo il passo in cui viene riportato il testo di una lettera dai contenuti deliranti di un allucinato 33:. I. Senigagliese. Proponiamo il testo, anche se ributtante per la comune intelligenza umana, per il solo fatto di far comprendere quali “alte e nobili ideologie” circolavano e circolano tuttora nelle retro logge massoniche, frequentate da finanzieri, politici, affaristi e da tempo da falsi prelati di “alto bordo”. Tra questi il celebre Buan 1365/75, Annibale Bugnini, incaricato con altri sei “fratelli” protestanti, compagni di merenda e di loggia, della stesura del testo della blasfema “messa” del “novus ordo”. Così è chiara l’intenzione del nostro insigne liturgista, il massone Buan, per l’appunto, quando ha deciso, con l’approvazione del sommo marrano G.B. Montini, prossimo “santo/dannato” della sinagoga di satana, di imperniare il rito sul “dio, signore dell’universo”, che ancora oggi, tanti poveri ingannati (ma colpevolmente ignoranti), osannano nelle chiese nelle quali un tempo si celebrava la Messa Cattolica, Sacrificio di Cristo, Agnello senza macchia, offerto alla “Sancta Trinitas”. Oggi il Sacrificio viene offerto al “dio, signore dell’universo”, al quale si tributano pure gloria ed onori al “Sanctus”, o meglio al “santo, santo, santo, il Signore dio dell’universo”.

Bugnini

Ecco come il grande prestigiatore Buan 1365/75, d’intesa con il “Patriarca della Massoneria universale”, capo degli “Illuminati di Baviera” del tempo, ha trasformato l’opera divina del Santo Sacrificio della Messa, in un rito abominevole, “l’abominio della desolazione”, durante il quale si omaggia il baphomet-lucifero, al quale si offre il Sacrificio redentivo del Cristo, … per fortuna quasi sempre invalidamente, perché gli officianti, tranne qualche residuo ottuagenario, sono oramai tutti falsamente consacrati. Capisco che la lettura del testo proposto sia raccapricciante, nauseante, ma turiamoci il naso per vedere fino a che punto i nemici di Cristo hanno lavorato nell’ombra per portare anime al loro padre-padrone, che, nella sua “misericordia” infinita [come da satanico giubileo], li attende tutti con sé negli inferi!

“Le PALLADISME, culte de satan-lucifer dans les triangles Maçonniques”- Grenoble. 1895 – Pag. 43-46.

“Il reame della menzogna e dell’orgoglio esiste anche ai nostri giorni come esisteva quando il Figlio dell’uomo venne sulla terra sprofondata nell’errore, per predicare la fraternità universale, stabilire il reame della giustizia e della verità, abolire la schiavitù e spandere dappertutto la luce della libertà.

L’angelo decaduto che odiava l’umanità rigenerata, non potendo più ricevere il suo culto infame in pieno giorno, si è retratto oggi nelle retro-logge. Il culto che si rende a satana, rappresentato dal Baphomet, nelle retro logge, è vergognoso. I profani non possono formarsi un’idea ben netta del ruolo satanico giocato nella società dalla franco-massoneria, la quale era conosciuta nell’antichità pagana sotto il nome di Gnosi. Simon mago, che viveva a Sebaste ai tempi degli Apostoli, è il fondatore di questa religione occulta, divinizzante il principe delle tenebre, religione che è praticata, in pieno XIX secolo nei grandi triangoli luciferini, da una falange di forsennati, presieduti oggi dal celebre ladro Adriano Lemmi. [in precedenza da A. Pike coadiuvato dall’eroe del risorgimento italiano, G. Mazzini ndr.-]. – La stella fiammante che si vede nei templi massonici, porta al centro la lettera “G”.

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Si fa credere agli iniziati che essa sia la prima lettera della parola inglese Good (Dio); ma ai veri eletti, ai Kadoschs (30°) si spiega che la vera parola è “Gnosi”. La franco-massoneria è dunque la discendente diretta della “Gnosi”; ed Albert Pike, il primo pontefice luciferino, predecessore del giudaizzato che troneggia vergognosamente nel palazzo di Paolo V, non ha fatto mistero nell’affermare che lo gnosticismo è l’anima ed il midollo della franco-massoneria. La gnosi era la religione di satana; la franco-massoneria è dunque il culto di satana.

E infine, affinché nessuno possa credere che io abbia un partito preso contro la setta infernale nella quale disgraziatamente ho trascorso, come un cieco, molto tempo, cederò la parola al F:. Ignazio Sinigagliesi 33°:., antico presidente della prima federazione massonica di Palermo, che in uno dei suoi discorsi in seno al Triangolo satanico della valle dell’Oreto, si esprimeva così:

“Satana è il vero Dio! Satana, che i preti hanno vinto con l’astuzia, con la calunnia e l’inganno, è il creatore dell’opera dell’eguaglianza, della civilizzazione e del progresso! Ora, che cos’è Satana per voi, signori della terra? Che cos’è Satana per il Signore dei Cieli, che la vostra immaginazione ha inventato a vostra immagine e somiglianza! A vostra somiglianza! Cos’è il Signore dei Cieli? Un dualista che ha creato dei privilegi e delle preferenze, mentre l’unica sorgente produceva evidentemente l’eguaglianza dell’essere. Cos’è Satana? Un monolista che, ricercando tutto nella materia come opera della creazione, e ritrovando l’essenza nella materia, si dichiara per la materia e non trova né distinzione di gradi, né differenza di origine … Satana è il vero dio! Gloria dunque a Satana, sovrano della materia! … Cos’è dunque il Signore dei Cieli, se non il Dio dei pigri, dei fannulloni e dei vagabondi che immaginano lo spirito e si saziano di materia; che vivono di idee e consumano la realtà? Non c’è spirito senza materia, essi sono identificati l’uno con l’altro, ebbene, il Signore dei Cieli è il Dio del niente, mentre Satana, al contrario, è il Dio dell’Universo!

Il Dio dell’Universo, perché egli comprende in un solo essere spirito e materia, l’uno non potendo sussistere senza l’altro solo questi, per noi, deve essere il Dio che governa entrambi, e questi è Satana! … il Signore dei Cieli è colui che non da nulla e prende tutto! Colui che dice che tutto gli appartiene, perché è lui che ha creato tutto, e che tutto deve tornare a lui. Ma quello che il Signore dei Cieli afferma con tanto orgoglio è vero? Se il concorso di Satana non lo avesse aiutato in questa occorrenza, avrebbe mai potuto creare tutte le cose? Se la materia non era congiunta allo spirito, su cosa avrebbe fondato il diritto di proprietà? Se la luce non fosse sposata alle tenebre, e viceversa, da dove sarebbe venuto il giorno e la notte? Se l’architetto non avesse avuto l’artigiano per aiutarlo nella costruzione, si sarebbe edificato l’edificio? – E perché Abele sarebbe morto e Caino sarebbe vissuto, se entrambi avevano contribuito all’opera della creazione? È Abele che morì, perché egli offriva in olocausto al Signore ciò che la natura produceva da se stessa, ed in cui l’arte del fabbro non aveva nulla a che fare. Caino, al contrario, conservava la vita, perché era capace di popolare la terra e di stupire per la sagacia del suo spirito e del suo braccio. Ma Caino si maritò e creò, aiutato dalla sua compagna, e fu nel contempo architetto ed operaio. È l’intelligenza ed il lavoro che formeranno l’opera della creazione! … – Satana e Caino non rappresentano dunque che lo stesso simbolo. E se essi sono gli artigiani che da soli potevano creare senza il soccorso del Dio dei Cieli, qual è il maestro del Signore dei Cieli o di Satana e Caino? Il Signore dei Cieli diverrebbe un accessorio. Egli non avrebbe fatto altro che migliorare l’opera della creazione; perché questa esisteva da se stessa, e non avrebbe avuto altro diritto se non quello di reclamare un salario o una ricompensa, e non di usurpare l’impero assoluto. Per questo motivo, due dovrebbero essere gli dei degni di venerazione e di rispetto: il Signore dei Cieli che, per la sua intelligenza, ha contribuito al perfezionamento dell’opera di Satana, ma Satana restava l’inventore dell’opera. Perché se un solo Dio deve avere tutti gli onori per se stesso, il Dio più autentico è Satana, la cui opera può sussistere senza il soccorso detto Signore dei Cieli. Gloria dunque a Satana, l’artigiano, il Dio. Il Signore dei Cieli è un usurpatore! – Lui che viveva nell’ozio dell’estasi dello spirito e dell’intelligenza, non avendo nulla da fare, complottò per la rovina e la distruzione del compagno”.

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Albert Pike, insieme all’infame Mazzini, fondatore del culto luciferino del Palladismo, massoneria di grado superiore.

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È questa una delle questioni più importati ancora oggi dibattute con gravità nelle retro logge, ove si abbeverano di illuminata “saggezza” tanti governanti, presidenti, monarchi, finanzieri, imprenditori, generali, scienziati, artisti, letterati, giornalisti, opinions leaders, premi Nobel, etc. etc. … ah dimenticavo, … tanti prelati, patriarchi, “finti” cardinali “et ultra”, mufti, etc. etc. Ecco in quali mani siamo finiti dal momento che … non vogliamo che Costui regni su di noi”, e … non Questi, ma Barabba”. Che Iddio Onnipotente, … quello vero, naturalmente, ci salvi da questa generazione perversa, e la Vergine Maria, quanto prima, trionfi con il suo Cuore Immacolato …

“Et tu, Domine, deridebis eos; ad nihilum deduces omnes gentes” [Ps. LVIII-9]

 

E. Barbier: i tesori di Cornelio Alapide: PROVE

[Da: E. Barbier – “I tesori di Cornelio Alapide”, vol. III, 3° ed. SEI, Torino 1930]

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PROVE

  1. Che cosa sono le prove e loro necessità. — 2. Le prove ci vengono da Dio. — 3. In qual modo Dio ci provi, e perché. — 4. Buon indizio è per un cristiano l’essere messo alla prova. — 5. Dio non abbandona l’uomo soggetto alle prove. — 6. Le prove fanno conoscere quello che siamo. — 7. Le prove sono spesso grandi e sempre molteplici. — 8. Vantaggi delle prove. — 9. Gesù Cristo e i Santi, modelli nelle prove. — 10. Le prove sono un eccellente rimedio. — 11. Le prove sono la porta del cielo. — 12. Disgraziati quelli che non hanno prove.

.1. Che cosa sono le prove e loro necessità. — Il vocabolo prova si presta a molti significati. Mettere alla prova, vuol dire 1° riguardare; 2° indagare, scrutinare; 3° discernere; 4° appurare e sceverare quello che è puro da quello che non lo è; 5° giudicare; 6° scegliere e ricompensare, rigettare e punire. – « I giorni sono cattivi » dice il grande Apostolo (Eph. V, 16). I giorni di questa vita sono miserabili, pieni di prove penose, di tentazioni, di pericoli. Perciò Gesù Cristo dice in S. Matteo: « Basta a ciascun giorno il suo male » (VI, 34), che vuol dire: basta a ciascun giorno la propria afflizione e miseria. I giorni sono cattivi, cioè incerti, mobili, brevi, pieni di cure, di distrazioni, d’insidie, di nemici. Senza prove e senza tentazioni, dice il Crisostomo, non vi è corona; senza combattimento non si dà vittoria; senza patimento non si ottiene perdono. Non c’è inverno senza estate. Il grano seminato su la terra ha bisogno della pioggia, del freddo, del caldo per macerarsi e per cambiarsi in spiga alla primavera (Homil. IV, de divit. et paup.). La cera deve provare l’azione del fuoco per ricevere l’impronta del sigillo, e così pure, l’uomo, perché sia segnato con l’impronta della grazia celeste e della divinità, ha bisogno delle prove, del lavoro, delle infermità, delle tentazioni, ecc… Quello che è lordo di terra, di ruggine, di scoria, d’immondizie, richiede il fuoco per essere purificato, nettato, brunito…

  1. Le prove ci vengono da Dio. — S. Agostino insegna che le prove le quali ci affliggono, non vengono né dagli uomini né dal demonio, ma da Dio che si serve degli uomini o dei demoni per castigarci o purificarci, come adoperò Satana per provare Giobbe. Dio flagella i suoi figli per disciplinarli e correggerli; flagella i riprovati affinché siano puniti ad esempio degli altri (In Psalm. XXI). « Io vi porrò un freno, dice il Signore per bocca di Isaia, affinché non andiate perduti » (XLVIII, 9). Questo freno sono le prove; esse sono dunque un regalo di Dio, e partono dalla sua benevolenza per noi, sono un frutto della sua beneficenza che vuole domare, arrestare e sterpare le malvagie e pericolose nostre tendenze. È al contrario segno evidente della collera di Dio se nessun freno Egli mette alle perverse inclinazioni dell’uomo, se lo lascia scapricciare e scapestrare a talento, come cavallo indomito, non frenato da morso, non guidato da briglia. – Le avversità sono spesso, per parte di Dio, dono assai più prezioso che le prosperità, e riescono molto più salutari; inoltre, l’amore che si porta a Dio molto più puro si mostra in mezzo alle strettezze che non fra l’abbondanza. Dio è assai più perfettamente amato su la croce e nelle afflizioni, che tra le consolazioni e le delizie. Nelle prove l’amore carnale e sensuale non trova da amare nulla di quello che ama nelle delizie. Perciò quando si ama Dio su la croce, lo si ama di un amore spirituale e puro, perché non si ama altro che Dio solo. Dalla croce e dal puro amor di Dio su la croce, noi impariamo ad estendere questo medesimo amore tutto puro e celeste alle cose terrene, alle ricchezze, ai piaceri; alle prosperità di ogni sorta, affinché non amiamo in esse che Dio solo. Perciò S. Gregorio Nazianzeno diceva: Io do lode e ringraziamento a Dio non meno nelle ambasce che nelle allegrezze, perché tengo per fermo che Dio, suprema ragione, opera per noi a nostro vantaggio.
  2. In qual modo Dio ci provi, e perché. — « Voi ci avete provati, o Signore, esclama il Profeta, ci avete saggiati col fuoco come si saggia l’argento » (Psalm. LXV, 10); e altra volta: « Signore, io porto il peso della vostra collera, il mio cuore è nell’affanno. I flutti dell’ira vostra mi passarono sopra, i vostri terrori mi accasciarono; si riversarono su di me come torrente straripato, e m’investirono » (Psalm. LXXXVII, 16-18). E il Savio dice: «Li ha provati come oro nel crogiuolo, li ha ricevuti come vittime in olocausto; risplenderanno nel giorno in cui li visiterà; brilleranno come fiamma appresasi ad arido canneto » (Sap. IlI, 6-7). Ci narra il Genesi che Iddio volendo far prova di Abramo, gli disse: « Prendi l’unico tuo figlio che tanto ami, Isacco, e va nella terra della visione, e là l’offrirai in olocausto sopra uno dei monti che t’indicherò » (Gen. XXII, 1-2). « Come il fornello prova l’argento e il crogiuolo saggia l’oro, così il Signore prova i cuori », leggiamo nei Proverbi (XVII, 3). –  Il Signore prova i cuori degli uomini esaminandoli… 1° per mezzo della sua legge e dei suoi precetti, per mezzo dei dottori e dei predicatori…; 2° per mezzo delle tribolazioni; 3° con le tentazioni. Ma perché provarci in tante maniere? Perché ci ama, risponde egli medesimo nell’Apocalisse: (Apoc. IIII, 19): « Quelli che io amo, questi riprendo e castigo»; perché correggendoli e castigandoli li affina e purifica in modo che in loro non resta più nessuna macchia di peccato. Questo vuole indicare il Salmista con quel verso: « Avete provato il mio cuore, o Signore, e visitato durante la notte; mi avete fatto passare per il fuoco della tribolazione, e non fu più trovato in me peccato » (Psalm. XVI, 3). «Indugiando Iddio a mostrarcisi, osserva S. Agostino, dilata e ingrandisce il nostro desiderio, crescendo il desiderio ingrandisce e dilata l’animo, e lo rende maggiormente capace a riceverlo ». – Gesù Cristo mette alla prova i suoi: 1° per aumentare i loro meriti…; 2° per mantenerli bassi…; 3° per dare loro un mezzo da espiare i peccati…; 4° per fare luogo ad una più solenne manifestazione dell’azione di Dio; come chiaramente si scorge in Lazzaro, nei Martiri, negli Apostoli, nella Chiesa, ecc. “Io mi alzai frettolosa per aprire al mio diletto, diceva la Sposa dei Cantici; ma quando ebbi aperta la porta, egli era già passato e avviato per altro sentiero; corsi al luogo donde aveva udito partire la sua voce, ma più non c’era; l’ho chiamato, ma non rispose; l’ho cercato, ma non l’ho trovato” (Cant. V, 5-6). Così fa Iddio con i suoi servi ed amici per eccitarli a desiderarlo e cercarlo. Inoltre egli li cimenta con prove e persecuzioni diverse, per innalzarli all’onore della virtù e della gloria… Egli mortifica e vivifica (1 Reg. II, 6); percuote per emendare. « Tutta la severità di Dio, scrive Sant’Ambrogio, ha per iscopo di punire le colpe de’ suoi con le tribolazioni, di conservare la loro anima, di distruggere i loro vizi, di fomentare nel loro cuore le virtù più elette ». La prova è per il cristiano come la tempesta per il pilota, la lotta per l’atleta, il combattimento per il soldato. – Nulla accade al fedele senza che Dio lo permetta o voglia; e la sua volontà consiste nel correggerlo de’ suoi difetti, nel rinvigorirlo nella virtù e nella pazienza, per accrescerne la corona in cielo. È questa la ragione per cui permise che il giusto Abele fosse ucciso dall’empio fratello; provò Abramo ordinandogli di sacrificare il figlio Isacco; provò Giuseppe, permettendo che fosse venduto dai fratelli; provò Mosè ed il popolo d’Israele, lasciandoli opprimere dalla tirannia di Faraone; provò Davide abbandonandolo all’odio di Sanile; provò la casta Susanna, permettendo che fosse esposta alle nere calunnie dei due vecchioni; che Geremia fosse imprigionato; che Daniele fosse gettato nella fossa dei leoni. Assennatissime sono pertanto le parole rivolte da Giuditta ai seniori di Betulia, per incoraggiarli a continuare la resistenza contro l’assedio degli Assiri: I padri nostri, disse ella, furono soggettati alla tentazione come ad una prova, affinché si vedesse se era sincero il culto loro verso Dio. Si rammenti il popolo del modo con cui il padre nostro Abramo fu provato con molte tribolazioni e divenne l’amico di Dio; così Isacco, Giacobbe, Mosè e quanti furono cari a Dio, si mostrarono fedeli in mezzo a molte tribolazioni: al contrario, tutti quelli che non hanno ricevuto le prove nel timor di Dio e si mostrarono impazienti e mormoratori contro il Signore, caddero sotto la spada dell’Angelo sterminatore e perirono morsi dai serpenti. Non c’impazientiamo dunque per i mali che soffriamo; ma considerando che questi tormenti sono da meno dei nostri misfatti, e che siamo puniti come servi, crediamo che Dio vuol emendarci, non perderci (Iudith. VIII, 21-27). Ah sì. Dio ci manda delle prove, 1° per ammollire la nostra volontà ribelle, abbattere il nostro orgoglio, e sforzarci a sottometterci a Lui; 2° per punirci delle nostre trasgressioni; 3° per distruggere in noi il vecchio Adamo; 4° per condurci alla pazienza; 5° per renderci simili a Gesù Crocifisso. –  «In mezzo alla tribolazione, dice il Signore per bocca di Osea, si affretteranno di venire a me. Venite e ritorniamo al Signore; Egli ci ha feriti ed Egli ci guarirà, ci ha percossi ma ci curerà, ci renderà alla vita, ci risusciterà, e noi vivremo nella sua presenza » (Osea. VI, 1-3). S. Agostino commentando queste parole di Osea, dice: « Ecco la voce del Signore: Io percuoterò e sanerò: recide la purulenta enfiagione dei nostri misfatti e guarisce il bruciore della ferita. Così fanno i medici: aprono, tagliano, bruciano e sanano; si armano per ferire, portano il ferro e vengono per guarire ». Le prove sono come frecce lanciate dalla mano divina, per richiamare a Dio ed alla loro salvezza gli uomini che fuggono e corrono alla loro rovina. Agitati, trapassati, umiliati, atterrati da queste frecce salutari, essi depongono il loro orgoglio, riconoscono le loro colpe e dimandano col cuore pentito perdono al Signore; e il Signore li risparmia; loro perdona a cagione delle loro suppliche, e se li stringe al cuore con la tenerezza di una madre: come appunto dice il Salmista in quel versetto : « Le tue saette, o Signore, mi si piantarono nelle carni per ogni lato, la tua mano si è aggravata sopra di me » (Psalm. XXXVII, 3). Perciò S. Agostino vede in Dio un utile e caritatevole medico il quale si serve delle prove, come di prezioso ed efficace rimedio, a guarirci dei nostri vizi. « Posto sotto l’azione del rimedio, tu sei bruciato e tagliato, dice questo santo Dottore, tu mandi lamenti e grida, ma il medico non si conforma al tuo volere, e fa quello che la tua sanità richiede. Bevi quell’amaro calice, che tu medesimo ti sei manipolato; bevilo affinché tu viva ». – Le prove c’insegnano a distaccarci dal nulla del mondo e ad attaccarci ai soli veri beni; ci aprono, secondo la frase di S. Gregorio, le orecchie del cuore che la prosperità di questa terra bene spesso introna e assorda. S. Gerolamo osserva che Dio toglie non di rado ai peccati il loro diletto e ne priva i peccatori, affinché non avendo voluto conoscere Iddio nella prosperità, lo conoscano nell’infortunio, e avendo fatto cattivo uso delle ricchezze, ritornino alla virtù per mezzo della povertà, cioè siano in certo modo costretti, a ritornarvi. S. Agostino poi vede un gran tratto della misericordia divina, quando Dio permette che noi siamo provati dalla tribolazione; esercitando la fede col differire il soccorso, non si rifiuta dal venirci in aiuto, ma pone in movimento il desiderio (Serra. XXXVII, de Verb Doni.).
  3. Buon indizio è per un cristiano l’essere messo alla prova. — Le prove non abbattono e non opprimono se non coloro che non sanno sostenerle. I più valenti soldati vengono scelti per le congiunture in cui vi è più bisogno di energia, di coraggio, d’eroismo; vengono designati per le imprese importanti e decisive; e cosi pure Iddio elegge, per inviarli alle più gagliarde prove, quelli che più ama; esempio ne sono: Mosè, Giobbe, Tobia, gli Apostoli, i Martiri, i Santi più celebri in ogni stato e professione. 1° Sappiano i cristiani, e siano intimamente convinti che le prove sono un segnale non della collera di Dio, ma del suo amore, perché mostrano l’elezione e la figliazione divina. Questo c’insegna Iddio per bocca di Zaccaria: « Io li farò passare per il fuoco e li porrò al cimento come si pone l’argento e l’oro; e allora essi invocheranno il mio nome, ed Io esaudirò la loro preghiera. Io dirò: questo è il mio popolo; ed essi esclameranno: il Signore è nostro Dio» (Zach. XIII, 9), e per bocca di S. Giovanni con quelle parole: « Io riprendo e castigo quelli che amo » (Apoc. III, 19). Questo disse l’Angelo a Tobia divenuto cieco: « Perché tu eri accetto a Dio, bisognò che fossi provato con la tentazione » (Tob. XII, 13). Questo ripete S. Paolo scrivendo agli Ebrei : « Il Signore castiga coloro che ama, e percuote tutti quelli che riceve per suoi figli. Nei castighi tenetevi fermi e di buon animo. Dio vi tratta da figli: e dov’è il figlio che non sia corretto dal padre? Che se voi siete fuori del castigo cui tutti i figli vanno soggetti, mostrate di essere frutti di adulterio, non figli legittimi. E poi, non abbiamo noi forse avuto per educatori i padri nostri secondo la carne, e non li abbiamo noi avuti in riverenza? a ben più forte ragione dunque dobbiamo obbedire e riverire il Padre degli spiriti, se vogliamo vivere. Quei primi ci castigarono per qualche tempo, come loro talentava, ma questo ci castiga secondo che è utile, affinché partecipiamo alla sua santità. Ogni castigo pare, al presente, un motivo di tristezza e non di gioia; ma in seguito, produce a quelli che lo sopportano, frutto di giustizia pieno di pace » (Hebr. XII, 6-11). – 2° Intendano e si persuadano i cristiani, che le prove per se stesse, non che ferire e nuocere, purificano e perfezionano coloro ai quali avvengono. « La fornace cuoce e indura le stoviglie, dice l’Ecclesiastico, e la prova della tribolazione tempra e raffina l’uomo giusto » (Eccli. XXVII, 6). Le prove sono, dice S. Agostino, un rimedio che porta salute, non una sentenza che porta condanna (Sent. CCIV). S. Giovanni Crisostomo, parlando di Giuseppe il quale sopportò generosamente e vittoriosamente ogni genere di prove, fa rilevare che quaggiù Iddio non suole liberare dalle prove e dai pericoli le persone più virtuose, ma dimostra in esse la sua potenza, perciocchè le prove riescono per loro un’occasione di alta gioia e di grande merito, secondo quel detto del Salmista: «Signore, nelle tribolazioni voi mi avete fatto grandeggiare » (Psalm IV, 2 — Homil. de Cince). Questo ci apre il senso di quelle parole di S. Gregorio Papa: « Non appena la luce divina batte sul cuore umano, tosto il demonio vi solleva tempeste, non mai provate per l’innanzi da quel cuore, finché giaceva nelle tenebre ». Tanto meno dobbiamo mormorare contro le prove, quanto più siamo assicurati che esse sono un pegno dell’amore paterno di Dio. L’avversità è un segno certo, è una caparra immancabile della divina elezione, e per essa l’anima è fidanzata a Gesù Cristo, per unirsi a Lui in divino connubio. Bisogna dunque conchiudere che le prove sono piuttosto da invidiare e da desiderare, anziché da fuggire. I vasi dello stovigliaio, ricevuto che hanno la forma voluta e designata, non direbbero essi, se fossero capaci di pensiero, di desiderio, e di parola, che il padrone li metta nella fornace a cuocere e diventare solidi? Così i giusti, corretti dalla grazia di Dio, desiderano che il fuoco delle prove bruci e consumi quello che vi è in loro di impuro, che li consolidi e perfezioni nella virtù.
  4. Dio non abbandona l’uomo soggetto alle prove. — « Iddio, leggiamo nella Sapienza, non abbandona il giusto; lo scampa alle insidie dei peccatori, e discende con lui nel pozzo delle tribolazioni; lo toglie dalle mani di quelli che l’opprimono, non gli si leva dal fianco quando è in catene; entra nell’anima del suo servo; gli paga il prezzo dei suoi lavori, lo guida per una via miracolosa, gli fornisce immancabilmente tetto e lume » (Sap. X, 13-17). Quando il popolo di Dio, schiavo in Egitto, fu oppresso di lavoro da Faraone, Dio inviò Mosè a liberarlo. Il soccorso di Dio allora più si mostra, quando più abbondano le traversie. « Il Signore, dice S. Pietro, sa liberare i giusti dalle prove » (lI Petr. II, 9). E infatti, ecco Noè, scampato dalle acque del diluvio; Lot, dal fuoco di Sodoma; Abramo, dai mali esempi dei Cananei; Giacobbe, dall’ira di Esaù; Giuseppe, dalle mani dei suoi fratelli e dal carcere; Mosè e gli Ebrei, dal furore di Faraone, dalle onde del Mar Rosso, dalla fame e dalla sete; Davide, dalla lancia di Saulle; Susanna, dalle calunnie dei vecchioni; Daniele, dai denti dei leoni; i tre giovani, dalle fiamme della fornace; Mardocheo, dal capestro di Amano; Giuditta, dal potere di Oloferne; il giovine Tobia, dall’assalto del demonio; Giuda Maccabeo, dalle armi di Antioco; Elia, dalla rabbia di Gezabele; S. Pietro, dal carcere e dalle catene. Più le prove sono terribili, e più Dio ci sta vicino. Questa verità già proclamava il Salmista in quel versetto : « Gravi tribolazioni stanno riservate per i giusti, ma il Signore li libererà da tutte » (Psalm. XXXIII, 20). Perciò il Signore ci dice: « Invocatemi, nel giorno della tribolazione ed io vi libererò, e voi mi onorerete » (Psalm. LXIX, 15). « Chi griderà a me Io l’ascolterò; sarò con lui nelle sue tribolazioni, lo salverò e lo rivestirò di gloria » (Psalm. XC, 15).
  5. Le prove, fanno conoscere quello che siamo. — Vi sono due occasioni nella vita, nelle quali ogni uomo vede chiaramente che cosa vi è nel cuore umano; e queste sono l’occasione di operare in segreto ed il momento delle prove. Molti sono cattivi interiormente, e buoni all’esterno; ora fate che venga il caso in cui possano peccare, senza timore di essere scoperti, e allora la corruzione e la malizia loro dà fuori e si palesa all’aperto. Così pure nel tempo della prosperità riesce difficile discernere i cattivi dai buoni, ma, posti al fuoco delle prove, l’oro splende e la paglia fuma. Allora i cattivi s’istizziscono, si ribellano, mormorano, bestemmiano; i buoni, all’opposto, si sottomettono, si rassegnano, pregano, praticano la pazienza e la dolcezza. Al primo genere di prove accenna il Salmista con la frase: Mi avete visitato durante la notte, cioè quando aveva l’occasione di peccare in segreto; al secondo con quell’altra: Mi avete fatto passare per il fuoco della tribolazione, per una prova scottante. Ed avendo egli saputo vincere nell’uno e nell’altro caso, aggiunge (Psalm. XVI, 3). Chiunque nei sopraddetti due casi sa conservare, come il re Profeta, l’anima e la virtù sua, può dire con lui: « Nessuna iniquità si trova in me ». Nel crogiuolo, dice S. Agostino, l’oro si purifica, la paglia è bruciata (In Psalm. LXI). Il pilota, dice Seneca, si fa conoscere nella tempesta, ed il soldato nella zuffa (Lib. de Provv.).
  6. Le prove sono spesso grandi e sempre molteplici. — Il santo e famoso patriarca Abramo dieci volte, e sempre fortemente, fu provato da Dio: 1° Dio gli intima che abbandoni patria, parenti e amici, e vada come straniero in terra sconosciuta. 2° Al tempo di una carestia, gli ordina di andare in Egitto. 3° Faraone gli toglie la moglie, la quale è esposta a perdere la castità, mentr’esso corre rischio di perdere la vita. 4° È costretto a separarsi da Loth, suo nipote carissimo, a cagione delle risse scoppiate fra i loro servi. 5° È obbligato ad ingaggiare una zuffa ostinata e pericolosa per liberare Loth caduto prigioniero. 6° Stimolato da Sara, si vede spinto a dover cacciare di casa sua Agar ch’egli aveva sposato, e che già stava in procinto di renderlo padre di un figlio. 7° Già avanzato negli anni, è costretto a sottoporsi alla circoncisione. 8° Il re Abimelec gli ruba Sara sua moglie. 9° È obbligato una seconda volta da Sara, per ordine del Signore, di bandire Agar con suo figlio, Ismaele. 10° Dio gli comanda d’immolare il figlio suo Isacco. E siccome quest’ultima prova fu la più tremenda, solamente questa Mosè chiama col nome di tentazione, “Udite quest’ordine doloroso, ciascuna delle cui parole è al cuore di Abramo un colpo di spada, una crudele prova. Prendi, Abramo, l’unigenito tuo, l’amore del tuo cuore, e va ad immolarlo su quel monte che sarò per indicarti” (Gen. XXII, 2). 1° Prendi non uno sconosciuto, uno straniero, ma tuo figlio; 2° tuo figlio unico; 3° tuo figlio che tanto teneramente ami, e tanto devi amare; 4° il tuo figlio Isacco, cioè la tua gioia; 5° tu l’offrirai; il Signore non gli dice: tu lo farai immolare per mano straniera, ma l’immolerai tu medesimo con le tue proprie mani. E a tale ingiunzione, Abramo poteva pure rispondere: dove sono, o Signore, le vostre promesse? ma egli non muove labbro; 6° l’offrirai in olocausto, affinché nessuna parte del suo corpo rimanga presso di te, suo padre; ma il tuo Isacco tutt’intero sia ridotto in cenere e scompaia; 7° prendilo subito, senza indugio; non ti si concede ritardo nell’esecuzione. – La madre dei Maccabei imita Abramo. E quanti altri santi uomini ed eroiche donne non furono sottoposti a uguali prove! Quando mai noi fummo posti a così crudeli strette? Eppure osiamo lamentarci!
  7. Vantaggi delle prove. — « Noi non siamo passati per il fuoco e per l’acqua, dice il Profeta, e voi, o Signore, ci avete condotti in luogo di refrigerio » (Psalm. LXV, 12). « Io ho trovato dappertutto tribolazioni e dolori; perciò ho invocato il nome del Signore » (Psalm. CXIV, 3). « Signore, voi mi avete provato e conosciuto » (Psalm. CXXXVIII, 1). Le tribolazioni, le prove, le croci, fanno a pro delle anime fedeli quello che il fuoco fa all’oro, la lima al ferro, il vaglio al grano. – Sottoposto S. Paolo a dure prove e a terribili tentazioni, scongiura il Signore che lo liberi. Ma avendogli il Signore risposto: Ti basta, o Paolo, la mia grazia; perché la forza nella debolezza si perfeziona, l’Apostolo soggiunge : « Volentieri mi glorierò adunque delle mie infermità, affinché in me dimori la forza di Cristo. Perciò mi compiaccio e gioisco nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle ambasce per Cristo; perché quando appaio debole, allora sono forte » (II Cor. XII, 9-10). – Chi meglio di Gesù conosceva quello che tornava più vantaggioso all’uomo? Or bene, sapete voi in che cosa egli posò i più grandi beni e vantaggi dell’uomo? Andate a meditare il sublime suo sermone del monte, e vedrete che Egli li fa consistere in otto prove le quali chiamò beatitudini, appunto per le grandi utilità che da esse derivano… Le prove sono avvertimenti che hanno lo scopo di conservarci nella grazia e nella virtù, di preservarci dal peccato e dall’inferno, di assicurarci l’eterna salute.  « L’oro e l’argento sono saggiati al fuoco, dice il Savio, e le anime  care a Dio passano per la fornace dell’umiliazione » (Eccli. II, 5). Come il fuoco non nuoce all’oro, ma gli è vantaggioso, perché lo prova, lo purifica, lo forbisce e lo rende più lucente, così il crogiuolo delle prove, delle umiliazioni, delle afflizioni, mette al cimento colui che le sopporta, lo purifica, lo perfeziona, lo illustra, lo rende accetto a Dio e degno di lui… S. Bernardo mette in rilievo che tre cose propone Gesù Cristo, l’Angelo del gran consiglio, all’anima ragionevole fatta ad imagine della Trinità Santissima: e sono la servitù, l’annientamento, le spine. La servitù, nell’abnegazione di se stesso; l’annientamento, nel portare la croce; le spine, nell’imitazione di Gesù Cristo; e gliele propone affinché l’anima, dallo stato di una triplice felicità decaduta, si rialzi dalla sua triplice miseria per mezzo dell’obbedienza e dell’umiltà nell’afflizione. Poiché essa era caduta di per se stessa dalla società degli Angeli e dalla visione di Dio, cioè dalla libertà, dalla dignità, dalla beatitudine. Ascolti dunque il consiglio che le è dato, affinché rinunziando a se stessa, cioè alla propria volontà, ricuperi la sua libertà; portando la sua croce, cioè crocifiggendo la propria carne con le concupiscenze sue, ritorni, per il bene della continenza, nella società degli Angeli; seguendo Gesù Cristo, cioè imitando la sua passione, ritrovi la visione della sua chiarezza; poiché se noi patiamo con Lui, regneremo anche con Lui (Serm, in Cant.). Non si poteva meglio che con queste parole mostrare l’intima ragione e la molteplice utilità delle prove. – Le prove sono la verga di Dio; esse fanno di noi un frumento degno dell’aia del Signore, sceverandoci dalla paglia… Dice S. Agostino: « Nella fornace la paglia brucia, l’oro si purga; quella si converte in cenere, questo si spoglia della scoria. La fornace figura il mondo; l’oro, i giusti; il fuoco, le prove, le tribolazioni, le avversità; il fornaciaio, Iddio. Io faccio quello che vuole il fornaciaio, e dov’egli mi colloca, io rimango. È mio dovere il sopportare tutto pazientemente, Egli sa come purgarmi. Bruci pure la paglia per incendiarmi e consumarmi, io mi adatto; essa viene ridotta in cenere, ed io resto purgato di ogni bruttura. Nessun servo di Gesù Cristo va esente da prove; se tu t’immagini di poterne fare senza, non hai ancora cominciato ad essere cristiano. Le prove interiori ed esteriori preparano la glorificazione del peccatore; sforzano il riluttante, istruiscono l’ignorante, proteggono il debole, stimolano il tiepido, custodiscono quello che corre e iniziano a quella morte che è il cominciamento della vita eterna ». – Beato l’uomo che è provato da Dio! Non rigettiamo dunque le prove alle quali ci sottopone, perché egli ferisce e risana, percuote e salva… Questo ci assicurano i suoi inspirati; Dio ha moltiplicato sopra di loro le prove, le infermità, le croci, diceva già il Salmista, e dopo queste essi avanzano a grandi passi per il buon cammino (Psalm, XV, 4). Le acque, dice Giona, mi assalirono così impetuose ed alte, che mi cacciarono fino alle porte della morte; l’abisso mi ha ingoiato, l’oceano mi seppellì ne’ suoi gorghi. Quando l’anima mia fu tutta concentrata in me, io mi ricordai di Voi, o Signore, e la mia preghiera fu esaudita; voi avete parlato al pesce, ed esso mi ha rigettato sul lido (Ion. II, 6, 8-11). « I sapienti del popolo, dice Daniele, cadranno sotto il fendente delle spade, tra le fiamme ed in prigione. E cadranno, affinché siano rinnovati e scelti e purificati » (Dan. XI, 33, 35). Il profeta Malachia raffigura Iddio al fuoco che divora, all’erba dei gualchierai; e lo presenta come seduto al fornello dove purga i figli di Levi, come si purifica l’oro e l’argento nel crogiuolo (III, 2). – In mezzo alle prove, bisogna mantenere sempre l’anima tranquilla, essendo certo che il soccorso divino arriva quando manca ogni aiuto umano… Inoltre la virtù messa al cimento ingigantisce, dice S. Leone (Serm.). Perciò quel detto del Dottore di Chiaravalle: « Più siete provati, e più vi arricchite » (In Sentent.). Il medesimo Santo poi osserva ancora, che dalle tribolazioni ricaviamo tre principali beni: l’esercizio, affinché la virtù non si intiepidisca per l’accidia e la noncuranza; il patimento, affinché la forza della nostra costanza sia esempio ed incoraggiamento degli altri; la ricompensa, affinché il peso della gloria aumenti in ragione della gravità delle prove (Sentent.). Assennatissime pertanto e sempre da ricordare sono quelle parole di Giuditta : « Non inquietiamoci per i mali che soffriamo, ma considerando che questi mali sono molto più lievi di quelli che meriterebbonsi i nostri peccati, e che noi siamo castigati come servi, teniamo per certo che Dio vuole correggerci, non perderci » (Iudith. VIII, 26-27). – « Per quelli che amano Dio, tutto riesce a bene », dice il grande Apostolo (Rom. VIII, 28). Il cristiano non deve mai dimenticare un istante queste parole. Nella povertà, nelle malattie, nelle persecuzioni, nelle calunnie, nei naufragi, negli incendi, negli smarrimenti, nell’esilio, nella morte, ricordi che ogni cosa torna a vantaggio di chi ama Dio. In ogni genere di prove, il vero cristiano deve dire a se stesso: Io sono certo che nulla può succedermi di penoso, di disgustoso, di amaro, di crudo, che non sia anticipatamente regolato secondo l’ordine paterno della Provvidenza. Io sono sicuro che né gli uomini, né i demoni, né le creature tutte potranno giammai provarmi oltre quello che Dio vuole, che ha preveduto, ed oltre il potere ch’Egli ha loro concesso, perché tutto volga a mio vantaggio. Qualunque prova dunque piaccia a Dio mandarmi, io l’accetto, non mi vi rifiuto, non indietreggio; perché altra cosa io non voglio fuori della santa volontà di Dio; deh! si compia essa pienamente in me ed in tutte le creature. Non cade infatti un capello dalla nostra testa senza il volere di Dio. Sottomettermi ad esso in tutte le prove, le avversità, le afflizioni, i dolori, le croci, è mio sommo vantaggio; è il vero mezzo di tesoreggiare per l’eternità e di essere felice in questa vita…
  8. Gesù Cristo e i Santi, modelli nelle prove. — Ogni vero cristiano deve bere il calice delle prove; gli è necessario tracannarlo, se vuole guarire e vivere. E perché nessuno dica: Non posso bere, non mi regge l’animo d’appressarvi le labbra, non lo berrò, Gesù Cristo, pieno di sanità, Gesù Cristo, l’innocenza e la santità in persona, l’ha sorbito egli il primo, fino alla feccia; sì, l’ha bevuto, affinché noi, miseri infermi, coperti di ferite e di piaghe, carichi di peccati, oppressi dai debiti, lo beviamo per guarire, cancellare i peccati, ricuperare l’innocenza, pagare i debiti, assicurarci il cielo, dove nulla di macchiato può entrare. Quale amarezza vi è in questo calice delle prove, che Gesù prima di noi non l’abbia assaggiata? Si tratta torse di disprezzi e d’ingiustizie? Egli ne fu abbeverato quando, cacciati i demoni dagli ossessi, sentì dirsi da’ suoi nemici: Nel nome di Belzebù costui mette in fuga i diavoli: sono amari i patimenti, i dolori? Egli fu legato, flagellato, incoronato di spine, inchiodato su la croce. È amara la morte? Ci mette ribrezzo il genere di morte che ci minaccia? Eccolo rendere l’ultimo flato in mezzo a due ladroni, sopra una croce, il supplizio più ignominioso che fosse in uso a quei tempi… Sia dunque Gesù Cristo nostro modello in tutti i generi di prove. – Anche i Santi ci offrono modelli da imitare nelle prove; e senza fare parola di altri, Tobia e Giobbe furono, sono e saranno in ogni tempo due esempi chiarissimi e due lucidissimi specchi di pazienza per tutti i ciechi, gli afflitti, i disgraziati, i poveri, i perseguitati. Di Tobia la Sacra Scrittura dice che si mantenne saldo nel timore di Dio, rendendo grazie al Signore tutti i giorni della sua vita (Tob. II, 14). Vi è qui un atto eroico di pazienza: è questo lo stato di un uomo santo e perfetto che nulla curandosi di tutte le cose terrene, aiuti od ostacoli, tiene lo spirito in cielo, e gusta anticipatamente la felicità celeste… Così pure Giobbe, oppresso da afflizioni di ogni genere e di ogni lato, esclamava: « Dio mi ha dato dei beni, Dio me li ha tolti; accadde come piacque al Signore; sia benedetto il suo nome »  (Iob. I, 21)… In mezzo alle più dure prove, che ammirabili modelli non ci presentano i patriarchi, i profeti, gli apostoli, i martiri, i confessori, le vergini, i missionari, i santi di tutte le età, di tutti i sessi, di tutti i tempi, di tutti i luoghi, di tutte le condizioni! – Singolari e meravigliose sono certamente le vie, le maniere, e le ragioni secondo le quali Dio conduce i suoi eletti per il deserto di questa vita. A traverso le prove, le insidie, i pericoli, i nemici, le angustie, i travagli, le tentazioni, le persecuzioni, le croci, il martirio egli li guida alla terra promessa, li introduce nella terra dei viventi.
  9. Le prove sono un eccellente rimedio. — Vi sono delle ferite che invece di nuocere alla sanità, ne sono anzi efficacissimo rimedio: questo fanno nell’ordine spirituale le prove. Da S. Giovanni Crisostomo vengono paragonate al ferro dell’aratro; perché con esse noi apriamo e solchiamo il terreno del nostro cuore, affinché se vi si tengono abbarbicate erbe cattive, rovi e spine, siano interamente schiantate, e noi diventiamo terreno diligentemente coltivato, atto a ricevere il seme della grazia e della virtù (Homil. de Cruce). – Ma che cosa dobbiamo fare per profittare delle prove? Bisogna imitare la pazienza di Giobbe e con lui ripetere: Il Signore mi ha dato ogni mio avere, il Signore è padrone di ritoglierselo; è avvenuto come piacque al Signore; sia benedetto il nome di Dio! (Iob. I, 21). Bisogna imitare Tobia il quale diceva: « Io vi benedico, o Signore Dio d’Israele, perché mi avete castigato e salvato » (Tob. XI, 17). Figlio mio, dice il Signore per bocca del Savio, quando tu ti consacri al servizio di Dio, sta nella giustizia e nel timore, e prepara l’anima tua alla prova. Umilia il tuo spirito e attendi con pazienza. Sopporta gli indugi di Dio. Accetta tutto quello che ti succede e rimani in pace nel tuo dolore. Affidati a Dio ed egli ti libererà; conserva il suo timore e in esso invecchia (Eccli. II, 1-4, 6). – Chi desidera di piacere a Dio e diventare suo erede per la fede, per essere chiamato figlio di Dio, deve anzitutto, dice S. Efrem, armarsi di longanime pazienza per prevenire le tribolazioni, le angustie, le strettezze, le malattie, i patimenti, gli affronti, le ingiurie, le tentazioni, i demoni, e poter sopportare tutte queste prove (Tract. de Patientia). « Quando l’anima si attacca fortemente a Dio, nota S. Gregorio Papa, cosicché altro non vegga fuori che Lui in tutte le cose, ogni amarezza si cambia per lei in dolcezza; ogni afflizione le è riposo ». Il più cospicuo vantaggio che, a parere del Crisostomo, uno può ricavare dalle prove, quello che ne aumenta infinitamente il merito e la ricompensa, è di rendere grazie a Dio (Homil. de Cruce).
  10. Le prove sono la porta del cielo. — Le prove pazientemente sopportate sono la porta del paradiso, e vi ci introducono. Questo ci insegna la Sacra Scrittura con quel testo : « Non bisognava forse che il Cristo patisse tutte queste pene (la sua passione), e così entrasse nella sua gloria? » (Luc. XXIV, 26), e con quell’altro chiarissimo che si legge negli Atti Apostolici: « Bisogna che per mezzo a molte tribolazioni noi entriamo nel regno di Dio » (XIV, 21). Ora se bisognò che Gesù Cristo soffrisse, sostenesse ogni genere di prove, e entrasse alla gloria per la via dei patimenti e della croce, non ci ha Egli, con questo, chiaramente indicato che se non si dà altra strada che metta al cielo, questa però vi mette sicuramente, e che chiunque la calca è certo di entrarvi? Le prosperità e la felicità di questa vita sono, al contrario, la porta dell’inferno. Perciò vediamo Dio concederle bene spesso ai tristi ed agli empi, e negarle ai buoni… – « Chiunque adora voi, o Signore, diceva Tobia, è sicuro che se sostiene prove in vita sua, sarà coronato; se è afflitto, sarà liberato; se percosso, otterrà misericordia » (Tob. III, 21). « Coloro che hanno seminato nel pianto, mieteranno nella gioia, dice il Salmista. Essi andavano e piangevano spargendo la loro semenza; ritorneranno lieti e giubilanti portando in mano i loro covoni » (Psalm, CXXV, 5-6).
  11. Disgraziati quelli che non hanno prove. — Vivere senza prove, è un vivere per l’inferno… Sappiano quelli i quali rifiutano le prove loro mandate da Dio, che in essi non è l’impronta di Dio, ma quella del demonio, e che saranno infelici e in questa e nell’altra vita. Infatti è chiara la parola dello Spirito Santo: « Coloro che non hanno ricevuto le prove nel timor del Signore, ma dimostrarono la loro impazienza e mormorarono contro Dio, furono abbandonati alla spada dell’Angelo sterminatore » (Iudith. VIII, 24-25)… Non accettare le prove con cui Dio ci cimenta, è un resistere a Dio; ora non è questo colpa gravissima e terribile disgrazia?- Forse che le prove bussano meno alla porta di chi si rifiuta di accoglierle? Oibò: molte volte anzi vi si affollano in maggior numero e più gravi… Si perde il merito che dovrebbero procurare… Si cambiano in peccato… Invece di essere principio di ricompensa, diventano principio di castighi… Il mondo tutto è un vasto fornello in cui sono gettati gli uomini. Là il giusto rassomiglia all’oro, l’empio alla paglia. Per mezzo del medesimo fuoco, il giusto è purificato, santificato; l’empio è divorato, consumato, condannato. E Dio, osserva S. Agostino, è nell’uno e nell’altro caso lodato; in quello per la ricompensa, in questo per il castigo; nel primo per la sua misericordia, nel secondo per la sua giustizia (De civit. Dei).

 

J.-J. GAUME: IL SEGNO DELLA CROCE [lett. 5-8]

J.-J. Gaume: IL SEGNO DELLA CROCE [lett. 5-8]

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LETTERA QUINTA.

30 novembre.

Ho detto, mio caro Federico, che il segno della croce è un segno che nobilita, perché quanto è divino, nobilita. Questa sola ragione basterebbe; ma nondimeno continuandomi dico, che questo segno ci nobilita comecchè desso è il segno del fiorе della umanità. V’hanno mai pensato i compagni tuoi? Chi non si segna, ed ancor più, chi ha onta di questo segno, resta misto e confuso con i pagani, i musulmani, i giudei, gli eretici, i cattivi cattolici, infine con le bestie; è quanto dire, con la feccia della creazione. Che ne pensi tu? Non dobbiamo andare superbi di un segno che ci distingue sì nobilmente da tutti quelli che non lo hanno? – Il figlio ascrive a gran ventura essere membro di una famiglia veneranda per l’antichità sua, illustre per le gesta, rispettabile per le virtù, potente per le ricchezze. Egli pensa parimente del suo blasone. Lo fa scolpire in pietra, in marmo, in argento, in oro, in agata, ed in rubini; lo pone sulla sua abitazione, lo fa modellare su la mobilia, designare sul vasellame, e su i pannolini, lo fa incidere sul suo suggello, dipingere sulla sua carrozza, orna di esso i fornimenti de’ suoi cavalli, vorrebbe scolpirlo sulla propria fronte. Se tu ne togli la vanità, egli ha ragione. La sua condotta proclama altamente la legge per eminenza sociale, la solidarietà. La gloria degli avi, è gloria de’ figli, è un patrimonio di famiglia. – Come cattolico, il segno della croce è mio stemma. Esso dice a me ed a tutti la nobiltà della mia schiatta, la sua antichità, le sue gesta, le glorie e le virtù sue. Come non andarne superbo? Io rinunzierei al sangue illustre, che mi corre per le vene! Indegno di avere un gran nome, rigetterei vigliaccamente la legge della solidarietà gettando nel fango le mie insegne gentilizie, ed al vento la ricca eredità degli avi miei. – Gli uomini sono lieti di appartenere ad una grande nazione aristocratica. Lo Spagnuolo d’essere Spagnuolo, l’Inglese d’essere Inglese, ed il Francese d’essere Francese, l’Italiano di essere Italiano, come tutte le altre grandi nazioni. Dimmi, amico mio, qual è la nazione più grande, e la più aristocratica del globo? V’ha una nazione che tutte vinca in antichità, che conti fra i suoi membri un numero, che avanzi quello delle nazioni testé nominate? Una nazione che per i suoi lumi brilli come il sole nel firmamento; che essenzialmente espansiva, a prezzo di proprio sangue abbia sottratto il genere umano alla barbarie, e gli dia modo da non ricadérvi, e che la storia ed il mappamondo ne facciano fede? Una nazione che veda e sola, nel mezzo de’ suoi figli, quanto l’uomo ha conosciuto di meglio in fatto di genio e di virtù, di scienza e di coraggio, legioni intere di dottori, di vergini, di martiri, di oratori, filosofi, artisti, i grandi legislatori, i buoni re, i guerrieri illustri di tutte le parti del mondo; una nazione altrettanto più aristocratica, che tutte le altre da essa debbono ripetere la loro superiorità? Checché si dica, e checché si faccia, la storia ha nominato la grande NAZIONE CATTOLICA. IO le appartengo: il segno della croce è il suo stemma: potrei averne onta? – Dio stesso ha voluto mostrare con strepitosi miracoli, quanto sia in onore agli occhi suoi la persona ed il membro che fa il segno della croce. Santa Èdita figlia di Edgaro re d’Inghilterra sin dalla infanzia fu tenerissima del segno della croce. Questa giovane principessa, uno de’ più belli fiori olezzanti verginità, che abbia ornato l’antica isola dei santi, nulla operava senza che innanzi segnasse In fronte ed il petto dello stemma de’ cattolici. A sfogo di sua devozione fece edificare una chiesa in onore di S. Dionisio, e pregò S. Dunstan arcivescovo di Canterbury per la solenne dedicazione. Il santo consenti volentieri, e nelle diverse conversazioni che tenne seco lei, ammirò che la giovane principessa, come i primi cristiani si segnava frequentemente col pollice la fronte. Tale divozione tornò si cara al santo, ch’egli fe’ voti a Dio perché benedicesse questo pollice, e Io preservasse dalla corruzione della tomba. La preghiera fu esaudita. Quinci a poco tempo la vergine moriva al 23° anno dell’età sua ed apparsa al santo gli disse: disumate il mio corpo, desso è incorrotto, eccetto le parti di che feci mal uso nella leggerezza della mia infanzia. Queste parti erano gli occhi, i piedi e le mani, eccetto il pollice con che faceva in vita il segno della croce. – Al punto di vista dell’onore gli avi nostri avevano eglino torto di fare si soventemente il segno della croce? E noi; abbiamo noi ragione di non più farlo? Ah! ch’eglino avevano ben altrimenti da noi la coscienza di loro nobiltà, ed il sentimento della dignità loro. Così ripetendosi di continuo nobiltà obbliga, non mi meraviglio che abbiano formato una società unica negli annali del mondo per l’eroismo di sue virtù: fra poco l’intenderai. – II primo sentimento, che il segno della croce sviluppa in noi nobilitandoci agli occhi nostri istessi, è il rispetto di noi medesimi. Il rispetto di noi medesimi! io dico, caro amico, una grande parola. Volgo Io sguardo all’intorno, e vedo un secolo, un mondo, una gioventù che non rifinisce di parlare di dignità umana, di emancipazione, di libertà. Queste parole vuote di senso, o che uno ne raccolgono cattivo, rende il secolo, il mondo, la gioventù insofferente d’ogni maniera di governo ed impaziente del giogo d’ogni autorità divina, civile e paterna, corre all’impazzata dicendo a quanti incontra: Rispettami! – Benissimo; ma se vuoi essere rispettato, comincia tu a rispettar te stesso. Il rispetto degli altri a nostro riguardo, è in ragione di quello che noi stessi abbiamo per noi. La crudeltà, l’ipocrisia, il sensualismo, il vizio orpellato, nascosto, ricco, coronato, possono inspirare timore, ma ottenere rispetto giammai. Ora l’uomo attuale giovane o vecchio che sia, che non si segna dello stemma cattolico si rispetta? Facciamo un saggio di autopsia. – La parte più nobile dell’uomo è l’anima, e di questa la facoltà, che vince in dignità le altre, è l’intelligenza. Vaso prezioso, formato dalla mano di Dio a raccogliere la verità, e solo la verità, di modo, che quanto non è verità la rende immonda e profana. L’uomo attuale rispetta la intelligenza, le lascia libero il cammino alla verità? Egli non ha che disgusto per le sorgenti pure, dond’essa deriva; oracoli divini, sermoni, libri ascetici o di filosofia cristiana lo appenano ed annoiano. – Se tu discendi al fondo di queste intelligenze battezzate, ti crederai in un bazar. Tu vi ritroverai un rimescolio d’ignoranze, di baje, di frivolezze, pregiudizii, menzogne, errori, dubbi, obbiezioni, negazioni, empietà, inezie. Tristo spettacolo che mi ricorda lo struzzo morto ultimamente a Lione. Tu sai che l’autopsia del suo stomaco rivelò l’esistenza di un vero arsenale di pezzi di ferro, di legno, di corde ecc. Ecco di che nutre la sua intelligenza l’uomo, che non fa più il segno della croce: ecco com’egl la rispetta! Ed il suo cuore? Dispensami, caro Federico, dal rivelartene le ignominie. I moti suoi in vece d’essere ascendenti, sono discendenti, non si eleva spaziandosi a volo di aquila, ma si striscia sulla terra; non si nutre, come l’ape, del profumo dei fiori, ma, qual mosca schifosa, fa suo pasto ogni maniera di lordura. Non v’ ha violazione di legge che lo spaventi, né immondizia che eviti. Tu puoi bene convincertene, che la bocca parlando per la pienezza del cuore, la sua gola è spiraglio di sepolcro in putrefazione. Ed il suo corpo? Giovane che trovi indegno di te fare il segno della croce, tu credi essere un grande spirito, ma tu fai pietà! Ti credi indipendente, e sei schiavo; tu non vuoi onorarti facendo quanto fa il fiore della umanità, e per giusto castigo, tu fai quanto esegue il rifiuto della umana famiglia. La tua mano non segna la fronte del segno divino, ed essa toccherà quanto non dovrebbe mai toccare. Tu non vuoi ornare del segno protettore i tuoi occhi, le labbra ed il petto, ed i tuoi occhi s’insozzeranno guardando quanto non dovrebbero guardare, le tue labbra mute ciarliere, loquace» muti, come dice un gran genio [S. Aug. Medit. XXXV, 2], diranno quanto non dovrebbero dire, e diranno quello che dovrebbero tacere; il tuo petto, profano altare, brucerà di un fuoco, il cui solo nome fa onta. È questa la tua storia intima; potrai negarla, ma cancellarla giammai. Dessa è scritta su questa carta con inchiostro, ma è letta in tutte le parti del tuo essere, scrittavi con sanguigni caratteri di colpa, in sanguine peccati. – E la sua vita! L’uomo che non fa più il segno della croce, perde la stima della sua vita. Egli la vilipende, ne fa spreco, e mai la prende sul serio. Fare della notte giorno, e del giorno notte; poco lavoro e molto sonno, cibi delicati, senza nulla negare al gusto; consumarsi pel tempo, senza alcuna considerazione per l’eternità, ciò è a dire, tessere della tela di ragno, fare de’ castelli di carta, prender mosche, in usa parola: usar della vita come padrone, non è prenderla al serio. Prender la vita al serio è fare di essa l’uso voluto da Colui che ce l’ha confidata, e che ce ne domanderà conto non in confuso, ma dettagliatamente; non ad anni, ma per minuto. – Quando il disprezzatore del segno divino, che doveva nobilitarlo inspirandogli sentimenti di rispetto per l’anima ed il corpo suo, è stanco della iniquità e delle inezie, che cosa farà egli? Soventemente egli rigetta la vita come un peso insopportabile. Considerandosi qual bestia priva di timore e di speranza oltre la tomba, si uccide. – Qui, mio caro, come potrò io tutta esprimerti la pena dell’animo mio? Quanto diceva l’Apostolo delle meraviglie del cielo, che l’occhio non ha visto, né l’orecchio sentito, né lo spirito concepito nulla di simile, è mestieri dirlo al presente gemendo, arrossendo e tremando. No, in nessuna epoca, sotto nessun clima, nel mezzo di nessun popolo, ancorché pagano ed antropofago, l’occhio non ha visto, l’orecchio non ha sentito, lo spirito non ha concepito quello che noi vediamo, intendiamo e tocchiamo con mano; qual cosa? Il suicidio. Il suicidio è su di una scala senza paragone nell’istoria. In Francia solamente cento mila suicidi nel corso degli ultimi trentanni. Cento mila! ed il numero va sempre più crescendo – Ora, io son sicuro, benché senza prova, che di questi cento mila, novanta nove mila avevano perduto l’uso di fare il segno della croce seriamente, sovente, e con ogni religione. Credi ciò come tredicesimo articolo del simbolo. A domani.

 

LETTERA SESTA.

Il 1 dicembre.

Segno divino, distintivo del fiore della umanità, stemma del cattolico: tal è, mio caro Federico, il segno della croce considerato sotto il primo punto di vista. Se è vero che nobiltà obbliga, io non conosco, per inspirare all’uomo il sentimento della sua dignità ed il rispetto di se stesso, un mezzo più semplice, più facile, e più efficace del segno della croce, fatto soventemente, attentamente e religiosamente. Questa è una delle ragioni di sua esistenza. Questo segno, dice un Padre [“Magna haecest custodia, quae propter pauperes gratis datur sine labore propter infirmos, cum a Deo sit haec gratia, Signum fidelium et timor daemonum. Neque propterea quod est gratuitum, contemnas hoc signaculum; sed ideo magis venerare benefactorem”. S. Cyril. Hier. Catech. XIII], è custodia potentissima, gratuita pe’ poveri, facile pei deboli. Benefizio divino e spavento di satana, a vece di disprezzarlo perché gratuito, aumenti in te la riconoscenza. Io aggiungo, che l’eloquenza della croce eguaglia la sua potenza. Qual cosa insegna dessa all’uomo? Vediamolo. Ignoranti, il segno della croce è un libro, che e istruisce. Creazione, Redenzione, Glorificazione! Tutta la scienza teologica, filosofica, sociale, politica, isterica, divina ed umana, è raccolta in queste tre parole. Scienza del passato, scienza del presente e dell’avvenire, tutta è in esse e per esse, lume del mondo, base dell’intelligenza umana! Supponi un istante che il genere u-mano dimentichi queste tre parole, o che ne sconosca il vero senso: qual cosa mai diverrebbe? Agglomerazione di atomi che si muovono nel vuoto senza direzione e senza scopo; cieco nato senza guida e senza bastone; mistero inesplicabile a se stesso; infelice senza consolazione; un forzato senza speranza. Ecco l’uomo e la società! – Creazione, Redenzione, Glorificazione: queste tre parole sono più necessarie alla umanità che il pane che lo vive, e l’aria che desso respira. Sono necessarie a tutti, a ciascuno ora, e sempre. Esse sole allietano la vita e tutte le vite, l’azione e tutte le azioni, la parola e tutte le parole, il pensiero ed ogni pensiero, la gioia e tutte le gioie, la tristezza e tutte le tristezze, il sentimento ed ogni sentimento. – Ciò posto, la semplice ragione insegna che Dio doveva per se stesso stabilire un mezzo facile, universale, permanente, per dare a tutti questa conoscenza fondamentale, e darla non una sola volta, ma rinnovarla di continuo come rinnova l’aria, che respiriamo. – A qual dottore sarà commesso siffatto insegnamento? A S. Paolo, Santo Agostino, e S. Tommaso ? Forse ai geni d’Oriente, e d’Occidente? No. Questi dottori parlano un linguaggio, che tutti non comprendono, è mestieri di un dottore che parli una lingua intelligibile a tutti, al selvaggio dell’Oriente, ed al civilizzato della vecchia Europa. – Chi sarà dunque il mio dottore? Tu l’hai nominato, è il segno della croce. Esso, e lui solo raccoglie in se le condizioni esatte. Esso non muore, è da per tutto, la sua lingua è universale. Un solo instante richiede per insegnare la lezione, ed un momento solo basta a tutti per apprenderla. In prova di quanto dico, permetti ch’io ti disveli un mistero. Il Verbo incarnato, che Isaia chiama a ragione il Precettore del genere umano, aveva risoluto di morire per noi. V’erano molti generi di morte: la lapidazione, la decapitazione, precipitato da luogo eminente, l’acqua, il fuoco, e che so io? Fra tutte queste specie di morti perché ha egli scelto la croce? – Un profondo teologo ha risposto da molti secoli. Una delle ragioni perché la divina ed infinita saggezza scelse la croce, è per fermo, che un leggero movimento di mano basta a segnar su di noi lo strumento del divino supplizio; segno luminoso e potente, che c’insegna quanto è da sapere, e in che troviamo valida difesa contro i nostri avversari (1). il) [“Noluit Dominus lapidari, aut gladio truncari, quod videlicet nos semper nobiscum lapides aut ferrum forre non possumus, quibus defendamur. Elegit vero crucem, quae levi manus motu exprimitur, et contra inimici versutias munimur”. (Aicuin, De divin. off. c. XVIII)]. – Ecco il segno della croce stabilito catechista del genere umano. Ma è egli vero che desso soddisfi, com’è dovere, a tale uffizio, tu mi domandi, e ch’esso ripeta a segno le tre grandi parole: Creazione, Redenzione, Glorificazione? Non solo le ripete, ma le esplica con tale autorità, profondità e chiarezza da essere tutto cosa sua. – Con autorità, divina nella sua origine, è organo di Dio stesso. Con profondità e chiarezza: siine tu stesso giudice. Quando tu porti la mano dalla tua fronte al petto dicendo “in nome”, il segno della croce t’insegna l’indivisibile unità dell’essenza divina. Per solo questa parola, sii tu un fanciullo, od una semplice femmina, tu sei più sapiente che tutti i filosofi del Paganesimo. Qual progresso in un solo istante! – Dicendo “del Padre” un nuovo ed immenso raggio di luce è immerso nell’intelligenza tua. Il segno della croce ti apprende la esistenza di un Essere, Padre di tutti i padri, Principio eterno dell’essere da cui traggono la loro origine tutte le creature celesti e terrestri, visibili ed invisibili. A questa parola si dissipano per te le nebbie, che lungo venti secoli nascosero agli occhi del mondo pagano l’origine delle cose. – Tu continui dicendo: “e del figlio”, ed il segno della croce continua ad ammaestrarti. Ti dice che il Padre de’ padri ha un Figlio simile a sé. E facendoti portar la mano sul petto quando tu pronunzi il suo nome t’insegna che questo Figlio eterno del Padre s’è reso Figlio dell’uomo nel seno di una Vergine, per riscattare il mondo. L’uomo è dunque scaduto dall’altezza di uno stato migliore. Una novella luce questa parola apporta alla tua intelligenza! La coesistenza del bene e del male, il terribile dualismo che sperimenti in te stesso, questa riunione di nobili istinti e d’inclinazioni abbiette, d’azioni sublimi e di atti ignobili, la necessità della lotta, la possibilità ed i mezzi della riabilitazione: tutti questi misteri la cui profondità straziava la filosofia pagana, non sono più ravvolti fra tenebre per te. – Tu finisci dicendo: “e dello Spirito Santo”. Questa parola compie l’insegnamento della croce. Per essa tu sai che v’ha un Dio, Unità di essenza e Trinità di Persone: tu formi un’idea giusta dell’Essere per eccellenza, dell’Essere completo che non sarebbe tale se non fosse uno e trino. Se la prima Persona è necessariamente potenza, la seconda dev’essere sapienza e la terza amore. Questo amore essenzialmente benefico compisce l’opera del Padre che crea, e quella del Figlio che riscatta; Esso santifica l’uomo e lo conduce alla gloria. – Per la direzione della vita delle nazioni e dell’individuo, per i re come per i sudditi, qual luminoso insegnamento! Se Aristotele, Platone, Cicerone, tutti gli antichi pensatori, filosofi, legislatori e moralisti, fatigati dallo studio e stanchi di dubbi insolubili avessero risaputo la esistenza di un Maestro, che insegnasse con la profondità e chiarezza della Croce, avrebbero corso l’intero mondo per vederlo, stimandosi felici di passare la vita ad intenderne l’insegnamento. – Pronunziando il nome dello Spirito Santo tu compisci la Croce, e con ciò tu non solo conosci il Redentore, ma ancora lo strumento della redenzione. Di siffatto modo, nel mentre che desso inonda lo spirito di vivida luce, apre nel cuore una inesauribile fonte di amore, di che parleremo altrove. Ma attendendo, dimmi se torna possibile insegnare con minor numero di voci, e con simile eloquenza, e con lingua sì accessibile i tre grandi dogmi, Creazione, Redenzione, Glorificazione, ippomoclio del mondo morale, e principio generatore della umana intelligenza? Essere creato, essere riscattato, essere destinato alla gloria , ecco quello che sei, o uomo ! – Che cosa ne pensi tu, caro amico, è far della teologia questo? Ma se la teologia è la scienza di Dio, dell’uomo e del mondo; se la filosofia, conoscenza ragionata di Dio, dell’uomo, del mondo è figlia della teologia; se dalla teologia e dalla filosofia derivano tutte le scienze, la politica, la morale, l’istoria, ne segue, che il segno della Croce è il dottore più sapiente e meno verboso che abbia mai insegnato. – Vuoi tu sapere quale sia il posto, che questo segno venerando ha nel mondo? Te lo dirò domani.

 

SETTIMA LETTERA.

3 dicembre.

Caro Amico

Quelli che fanno del segno della croce un oggetto di disdegno e disprezzo, non sospettano neppure il ministero che da esso si esercita nel mondo. Eglino appartengono alla categoria degli esseri, sì numerosa di presente, che non sospetta nulla, perché non conosce nulla. Liscia per un istante il tuo seggio da giudice, dammi la tua mano, ed uniti facciamo un piccolo viaggio nel mondo antico e moderno. – Visitiamo innanzi la brillante antichità, prima che l’umanità sapesse segnarsi, e pellegrini dalla verità percorriamo l’Oriente e l’Occidente. Menfi, Atene, Roma queste tre grandi centri di lume ci chiamano alla scuola de’ saggi. Quali cose dicono questi illustri maestri sui punti che più è imposto conoscere? Il mondo è eterno, o è creato? se è stato creato, è perché? l’autore della natura è corporeo, o spirituale? è desso eterno, libero, indipendente? È uno solo, o sono molti? Risposta: espressioni imperfette, incertezze, contraddizioni. – Che cosa è il bene, e che cosa è il male? Donde vengono essi? come si trova nel mondo e nell’uomo? V’ha un rimedio pel male, o è irreparabile? Qual n’è il rimedio? chi lo possiede? come ottenerlo? come applicarlo? – Risposta: vane parole, incertezze, contraddizioni manifeste. Che cosa ò l’uomo? ha egli un’anima, e qual n’è la natura? È fuoco, è un soffio, è uno spirito, una materia aeriforme? Quest’anima è destinata a perire col corpo, o gli sopravvive? Se gli sopravvive, qual n’è la destinazione? Qual è lo scopo della sua esistenza? A tutte queste questioni ed a mille altre, qual’è la profonda, e filosofica risposta? vane parole, incertezze, contraddizioni manifeste! Ahi! Pretesi grandi uomini, e grandi popoli impotenti a dire la prima parola di risposta a queste grandi questioni, voi non siete che de’ grandi ignoranti! Che c’importa che voi sappiate formar de’ sistemi, sottilizzar sofismi, inondare di vostra facondia le scuole, i senati e gli areopaghi: condurre de’ carri nel Circo, fabbricare città, dare delle battaglie, conquistare delle Provincie, rendere la terra ed il mare tributari alle vostre concupiscenze? Quando voi ignorate chi voi siate, donde venite, e dove andate, voi non siete, per parlarvi come uno de’ vostri, che un’essere più o meno grasso dell’armento di Epicuro, Epicuri de grege porci.– Ecco il mondo avanti il segno della croce! questo eloquente segno apparso, queste vergognose tenebre si son dissipate. Il genere umano, letterato ed ignorante che fosse, ha appreso la scienza di se stesso, del mondo, di Dio, e ripetendola di continuo l’ha impressa nel fondo dell’ anima di modo, da non più dimenticarla. – Checché se ne dica, [mercé l’uso di questo segno della croce in tutte le classi della società, sia nelle città che nelle campagne, il mondo cattolico de’ primi secoli e del medio evo, conservò in un grado sconosciuto innanzi e dopo lui la scienza divina, madre di tutte le altre, e lume della vita. Né poteva essere altrimenti; che se nel corso di quarant’anni, un uomo si ripete seriamente dieci volte al giorno un errore qualunque, egli finirà coll’esserne completamente imbevuto, e si identificherà con esso. Perché non sarà Io stesso per la verità? – Desideri tu la contro prova di quanto dico? Continuiamo il nostro viaggio e passiamo nel mondo moderno. Desso ha abbandonato il segno della croce. Di poi quel fatale momento, esso non ha a’ suoi fianchi l’ammonitore, che gli ripeta a ciascun momento i tre dogmi necessari alla sua vita morale; esso li dimentica, o per lui è un come non fossero. Or vedi qual sia divenuta la sua scienza. Come del mondo di altri tempi tu ascolti le vergognose sue vane parole sui principi i più elementari della religione, sul diritto, sulla famiglia e sulle proprietà. Qual fondo di vanità alimenta le sue conversazioni! Di che mai sono pieni i suoi libri di politica e filosofia? alla luce di quali fiaccole cammina la sua vita pubblica e privata? I giornali! di questi nuovi padri della Chiesa, qual’ è il tuo pensiero? In quel torrente di parole, con che inondano ogni giorno la società, qual sana idea potrai tu ritrovare sul conto di Dio, dell’uomo e del mondo? – Qual cosa mai conosce questo mondo moderno, questo secolo di lumi, che ignora come si faccia il segno della croce? Esso conosce, né più né meno di quello, che i pagani suoi maestri e modelli conoscevano. Desso conosce ed adora il dio “Me”, il dio Commercio, il dio Cotone, il dio Scudo, il dio Ventre, Deus venter. Esso conosce ed adora la Dea Industria, la Dea Vapore, la Dea Elettricità. Per soddisfare alle sue cupidigie, conosce ed adora la scienza della materia, la chimica, la fisica, la meccanica, la dinamica, i sali, le essenze, le quintessenze, i solfati, i nitrati, i carbonati. Ecco i suoi dei, il suo culto, la sua teologia, la filosofia, la politica, la morale, la sua vita! Un altro passo nel progresso e sarà scienziato alla maniera de’ contemporanei di Noè, destinati a morire pel diluvio. [Matth. XXIV, 37, 38, 39. – Luc. XVII, 38. – Gen. VI.12]. – Per quelli tutta la scienza era riposta nel conoscere ed adorare gli dei moderni; a bere, a mangiare, a fabbricare, vendere e comprare, maritare e maritarsi. L’uomo aveva concentrato la sua vita nella materia, egli stesso era divenuto carne; e com’essa ignorante e lordo. – Quale di tutte queste tendenze manca al mondo moderno? La sua scienza benché meno avanzata di quella de’ giganti non ne ha forse la natura? Non sapendo, né facendo più il segno della croce si materializza; ed in virtù della legge di gravitazione morale, cade necessariamente nello stesso stato in che trovavasi il genere umano innanzi che apprendesse saper fare il segno della croce! – “Ignoranti, il segno della croce è un libro, che c’istruisce”. A questo nuovo punto di vista, tu puoi giudicare se i nostri padri avevano torto facendolo continuamente. Che l’ignoranza contemporanea, grandemente da deplorare, debba essere attribuita, in gran parte, all’abbandono di questo segno, tu ne sarai fra poco senza manco convinto. – Che cosa è l’ignoranza? L’ignoranza è l’indigenza dello spirito. In fatto di religione, dessa importa soventemente l’indigenza del cuore, per difetto di forza a praticare la virtù, ed evitare il male. Perché questa debolezza? l’uomo trascura i mezzi capaci di ottenergli la grazia, o di renderla efficace, fra i quali primeggia, come più ‘comune, più pronto e facile, la preghiera. E fra tutte le preghiere la più facile, la più pronta e la più comune, ed altresì, può essere la più efficace, è il segno della Croce. Ecco un nuovo studio per te, e per i primi cristiani, una nuova giustificazione. – “Poveri, il segno della Croce è un tesoro, che ci arrichisce”. Povero è colui che ciascun giorno passando di porta in porta accatta il suo pane: Creso era un povero, Cesare un povero, Alessandro un povero, gl’imperatori ed i re, le imperatrici e le regine sono de’ poveri mendicanti, e mendicanti coronati, ma sempre mendicanti e non altro. Chi è l’uomo, per quanto ricco si supponga, che non debba ciascun giorno alla porta del gran Padre di famiglia dire: Dateci il nostro pane quotidiano? Il più possente de’ monarchi può formare un granello di frumento? – Vita fisica e morale, mezzi di conservazione per l’una e per l’altra, l’uomo ha tutto ricevuto, quid habes quod non accepisti? – Nulla egli possiede di proprio, neppure un capello del suo capo, e quanto egli ha ricevuto, non l’ha ricevuto una sola volta per sempre. La sua indigenza è continua in tutti i giorni, in tutte le ore, in tutti i minuti secondi. Se Dio cessasse di tutto donargli egli perirebbe all’istante. Di che segue, mio caro Federico, una legge del mondo morale, a che per fermo, i tuoi compagni non hanno giammai riflettuto: dico la legge della preghiera. – I popoli pagani d’altri tempi, gli idolatri ed i selvaggi dei nostri, hanno, più o meno, perduto il patrimonio delle verità tradizionali, ma nessuno ha perduto la conoscenza della legge della preghiera. Sotto di una, od altra forma, il genere umano di poi ch’egli è apparso sul globo, l’ha invariabilmente osservato. L’istinto della conservazione, più forte che tutte le passioni, e più eloquente che i sofismi, gli ha appreso che da questa invariabile fedeltà dipenderebbe la sua esistenza. Non s’è-ingannato! Il giorno in cui una preghiera umana o angelica non si elevasse verso Dio, ogni rapporto tra la creatura ed il Creatore, tra il ricco e il povero, cesserebbe il corso della vita, sarebbe all’istante medesimo sospeso. – Non è questo il profondo mistero che il verbo incarnato ha rivelato al mondo, dicendo: È mestiere sempre pregare, e non desistere dalla preghiera: “Opportet semper orare et nunquam deficere?” – Osserva quanto v’ha d’imperativo in queste parole. Il legislatore non invita, ma comanda, e siffatto comando è necessità, assoluto, “oportet”, nè ammette intermittenza alcuna né di giorno né di notte, per l’osservanza della legge oportet semper. Fino a che innanzi a Dio il genere umano è un povero, la legge della preghiera non sarà modificata, nè sospesa, e come ché il genere umano sarà sempre un povero, la legge della preghiera conserverà il suo impero fino agli ultimi giorni del mondo: et nunquam deficere. Il mondo fisico stesso è stato organizzato in vista dell’osservanza continua di questa legge conservatrice del mondo morale, che il passaggio successivo del sole d’un emisfero all’altro tiene la metà del genere umano svegliato per pregare. – Ora una delle preghiere la più potente è il segno della Croce, per comune sentir dell’intero genere umano. Egli lo ha creduto, perché lo ha appreso, e non ha potuto apprenderlo che da Dio, da cui tutto ha appreso. Ho detto il genere umano tutto intiero a disegno. I tuoi compagni può essere che credano che il segno della Croce cominciato col cristianesimo, o per lo meno, che l’uso ne sia stato circoscritto presso il popolo ebreo ed il popolo cattolico. La mia prima lettera ti farà avvisato della confidenza, che la loro opinione merita.

 

LETTERA OTTAVA.

3 dicembre.

Mio caro Federico

Il tuo orecchio, come quello di ben molti altri, farà lo zufolo alla prima frase di questa mia lettera. “Il segno della croce rimonta all’origine del mondo”. Esso è stato eseguito da tutti i popoli, ancorché pagani, nelle solenni preghiere, e nelle contingenze, in che era da ottenere una qualche grazia decisiva. Innanzi tratto è da osservare, che questa proposizione non contraddice a quanto abbiamo detto nella precedente lettera; avvegnacché ieri fu parola del segno della croce nella sua forma completa, e perfettamente compresa, com’ è in uso da poi il Cristianesimo; oggi 1’è della forma elementare, benché reale, e più o meno misteriosa per quelli, che ne usavano avanti la predicazione del Vangelo. Uno schiarimento ti sembra necessario; ed eccolo. – Il segno della croce è si naturale all’uomo, che presso tutti i popoli, in tutte le religioni, ed in tutte le epoche, non s’è messo egli in rapporto con Dio per lo mezzo della preghiera senza eseguirlo. Hai tu conoscenza di un qualche popolo che pregasse con le braccia pendenti? Per me, lo ignoro; solo conosco che i pagani, gli ebrei, ed i cattolici, hanno pregato facendo questo segno della croce. V’hanno sette modi di fare questo segno. Le braccia distese: l’intero nomo diviene segno di croce. Le mani congiunte, e le dita commesse insieme; ecco cinque segni di croce. – Le mani applicate l’una contro l’altra, ed un pollice sovrapposto all’altro, nuovo segno di croce. Le mani congiunte innanzi al petto, formano un altro segno di croce. Le braccia al petto conserte ti presentano di nuovo la croce. Il dito pollice della mano destra passando sotto l’indice e posandosi sul medio forma un altro segno di croce, limitatissimo, come fra poco vedremo. – In fine, la mano destra passando dal mezzo della fronte al petto e da questo alle spalle, lo rappresenta più esplicitamente, come tu a pezza conosci. – Sotto l’una o l’altra di queste forme, il segno della croce è stato conosciuto e praticato dappertutto e sempre, nelle circostanze solenni con una conoscenza più o meno chiara della sua efficacia. – Giacobbe è sul punto di morire. Dodici figli, futuri patriarchi di dodici grandi tribù, lo circondano. Il santo patriarca, per divina inspirazione predice a ciascun di loro quanto ad essi accadrebbe nel seguito de’ secoli. Alla vista di Efraim e di Manasse, i due figli di Giuseppe, il vecchio è commosso ed implora sopra di loro tutte le divine benedizioni (Genes. XLVII, 13. seq.]. – Ad ottenerle qual cosa mai fa egli? Incrocia le braccia, dice la scrittura, e poggia la mano sinistra sul capo del figlio che aveva a destra, e la mano destra su quello, che aveva a sinistra. Ecco il segno della croce, sorgente eterna di benedizioni! – La tradizione non s’è ingannata; Giacobbe era la figura del Messia. In questo momento solenne, parole ed azioni, tutto nel patriarca doveva essere profetico. Giacobbe, dice san Giovanni Damasceno, incrocia le mani per benedire i figli di Giuseppe, forma il segno della croce, nulla v’ha di più evidente. [“Jacob, alternates cancellatisque manibus, filios Joseph benedicens, signum Crucis manifestissime scripsit”. (De fide orthod. lib. I, c. 18)]. – Fin da’ tempi apostolici, Tertulliano constata lo stesso fatto, e dalla stessa interpretazione. «L’antico Testamento, dic’egli, ci mostra Giacobbe che benedice i figli di Giuseppe con la mano sinistra sul capo di quello che aveva a destra, e la destra sulla testa di chi era a sinistra. In questa posizione, esse formavano la croce ed annunziavano le benedizioni di che il Crocifisso sarebbe inesauribile fonte » [“Sed est hoc quoque de veteri Sacramento, quo nepotes suos ex Joseph, Ephraim et Manasse, Jacob, impositis capitibus et intermutatis manibus, benedixerit; et quidem ita transversim obliquatis in se, ut Christum deformantes, jam tunc protenderet benedictionem in Cristum futuram” (De Baptism)].Sormontiamo i tempi della cattività in Egitto ed arriviamo a Mose. Nel mezzo del deserto gli Ebrei si trovano di rincontro ad Achimalec, che alla testa di fortissima oste sbarra loro la via, ed una battaglia decisiva è inevitabile. Che farà Mose? A vece di restare nel piano e dar coraggio ai combattenti d’Israele col gesto e con la voce, egli ascende il monte, che resta a cavaliere del campo di battaglia, e durante la zuffa che fa egli il legislatore inspirato da Dio? Il segno della croce; non altro che questo segno, lungo tutto il tempo dell’azione, non leggendosi che abbia pronunziato parola alcuna. Egli tiene le mani aperte e le braccia distese verso il cielo, facendo di se un segno di croce, Dio lo vede in tale atteggiamento e la vittoria è riportata (1). (Exod. XVII, 10]. – Non credere che vana supposizione sia questa. Ascolta quanto ne dicono i Padri. “Amalec, esclama san Giovanni Damasceno, sono queste mani distese in croce, che ti hanno vinto!” [“Manus Crucis extensae Amalech repulerunt”. (De Fide Ortodox. lib. IV, c. 12.)]. – Ed il gran Tertulliano: «Perchè… Mosè, quando Giosuè combatte Amalec, fa quanto mai ha fatto, cioè, pregare in piedi e con le braccia distese? In circostanza sì decisiva era da pregare, per rendere più efficace la sua preghiera, in ginocchio, battendosi il petto, e con la fronte prostrata nella polvere. Niente di tutto questo: e perchè? La battaglia, contro Amalec prefigurava la guerra del Verbo incarnato contro Satana, ed il segno della croce, col quale questi riporterebbe la vittoria » [“Jam vero Moyses quid utique nunc tantum, cum Jesus adversus Amalech praeliabatur, expansis manibus orat residens, quando in rebus tam altonitis, magia utique genibus depositis, et manibus caedentibus pectus, et facie numi volutami, orationem commendare debuisset; nisi quia illic, ubi nomen Domini dimicabat, dimicaturae quandoque adversus diabolum crucis quoque erat habitus necessarius, per quam Jesus victoriam esset relaturus?” (Contra Marcion. lib. III]. Ed il filosofo martire san Giustino, che arriva fino agli apostoli: « Mosè sul monte fino al tramonto del sole, con le braccia distese sostenute da Ur e da Aronne, che cosa è mai, se non il segno della croce » [“Moyses expansis manibus in colle ad vesperam usque permansi!, cum manus ejus susteiitarentur, quod sane ìiullam nisi crucis figuram exhibebat”. (Dialog, cum Tryph. n. III.). – Insensibili ai miracoli di paterno amore, di che erano oggetto gli Ebrei pronunziavano male voci contro Mosè, e contro Dio. Dalle parole passano ai fatti, ed irrompono a rivolta ostinata. Ma la pena è pronta, e con i medesimi caratteri della colpa. De’serpenti, rettili spaventevoli, il cui veleno brucia qual fuoco, si gettano sui colpevoli facendone strazio con i loro morsi, e coprono il campo di morti e di morenti. Alla preghiera di Mosè Dio si placa; per mettere in fuga i serpenti, e guarire gl’innumerevoli infermi, qual mezzo indica Egli? Delle preghiere? no. Dei digiuni? nemmeno. Un altare, o una colonna di espiazione? nulla di tutto questo. Comanda si faccia un segno di croce permanente e visibile a tutti, segno che ciascun infermo farà col desiderio guardandola, e tale sarà la potenza di questo segno, che un solo sguardo restituirà la perduta sanità. Il significato di questo segno divinamente comandato non è oscuro, poiché il vero segno della Croce, il segno della Croce vivente per tutta l’eternità, N. Signore stesso ha rivelato al genere umano che il segno del deserto era sua immagine. « Come Mose elevò nel mezzo del deserto il serpente, così è mestieri che il Figlio dell’uomo sia elevato, affinché chiunque crede in lui non perisca, ed abbia vita eterna” [Joan. III, 15]. – Se i limiti di una lettera lo permettessero, noi percorreremmo insieme gli annali del popolo figurativo, e vedresti, mio caro, che in tutte le importanti occasioni, che sono pervenute a nostra notizia, esso fece ricorso al segno della croce. Lascia che io ten citi qualcuna. Nei sacrifizii il sacerdote, secondo il rito prescritto, elevava l’ostia, e la trasportava dall’oriente all’occidente, come ci dicono gli stessi Ebrei, e con ciò formava una figura della croce, e con un movimento simile il gran sacerdote ed i semplici sacerdoti benedicevano il popolo dopo i sacrifizii [Duguet. Traitt. de la croix de N. S. c. VIII]. – Dalla chiesa giudaica, questo segno è passato nella chiesa cristiana. I primi fedeli ammiratori dell’antico modo di benedire con la figura della croce, ed ammaestrati dagli apostoli del misterioso significato di questo segno lo hanno continuato accompagnandolo con le parole che lo spiegano. – Le abominazioni di Gerusalemme erano giunte al loro colmo, quando Dio mostrò al profeta Ezechiele il personaggio misterioso, che doveva attraversare la città e segnare del T la fronte de’ gementi sulla iniquità della colpevole capitale [Ezecb. IX, 4]. – Ai fianchi di esso camminavano sei individui muniti di armi micidiali con ordine di massacrare quanti non trovassero marcati del segno salutare. Come non vedervi una figura del segno della croce, ch’è fatto sulla nostra fronte? I Padri della Chiesa l’intendono a questa maniera, e fra gli altri, Tertulliano e S. Girolamo. Come, questi dicono, il segno del T impresso sulla fronte di quelli che gemevano sulla iniquità di questa città, li protesse contro gli angeli sterminatori; così il segno della croce, di che l’uomo segna la sua fronte, è certo argomento ch’egli non sarà la vittima di satana, né degli altri nemici del suo bene, s’egli geme sinceramente sulle abominazioni che questo segno combatte [Tertull. adv. Marc. 1, III , c. 22 – Hier, in Exech. c. X]. – I Filistei hanno ridotto Israele alla più umiliante delle servitù. Sansone comincia a liberarla, ma sventuratamente il forte d’Israele è sorpreso, incatenato, privato della vista degli occhi, ed i Filistei si servono di lui come di trastullo nelle loro feste. Sansone medita la vendetta, e con un sol colpo vuole schiacciare migliaia di nemici, e la Provvidenza ha siffattamente disposto, che il suo disegno col segno della croce venga eseguito. Posto fra due colonne, sostegno dell’edilizio, dice S.Agostino, il forte d’Israele distende le sue braccia in forma di croce, ed in tale atteggiamento fortissimo, scuote le colonne, le abbatte, e schiaccia i nemici suoi, e come il Crocifisso, di che era figura, muore sepolto nel suo trionfo [“Jam hic imaginem crucis attendite: expansas enim manas ad duas columnas, quasi ad duo signa crucis extendit; sed adversarios suos interemptos oppressit, et illius passio interferito facta est persequentium” (Serm. 107. de lemp).] – David pieno di amarezze è ridotto agli estremi, che possa patire un re! Un figlio parricida, i sudditi in rivolta, un trono vacillante, la vecchia età che si avanza, lo appenano tanto, ch’egli n’è prostrato. Qual cosa fa il monarca inspirato per lenire la forza del dolor suo? Prega. Ma come? Facendo il segno della croce (2). (2) [“Expandi manus meas ad te”. (Ps. LXXXIII, CXLII, etc. etc.]. – Salomone compisce il tempio di Gesusalemme, ed il magnifico edilizio è consacrato con pompa degna di un tale sovrano; resta solo attirare le benedizioni divine sulla nuova casa del Dio d’Israele, ed ottenerne i favori per quelli, che vi pregheranno, Salomone all’uopo prega il Signore ed in atteggiamento di croce. “In piedi, dinanzi l’altare del Signore, dice il sacro testo, al cospetto di tutto il popolo d’Israele, distende le mani verso il cielo, e dice: Signore, Dio d’Israele, non v’ha un Dio simile a voi ne’ cieli e sulla terra. Guardate la preghiera del vostro servo. I vostri occhi guardino questa casa notte e dì, onde le preci del vostro servo, e del vostro popolo sieno esaudite” [“Stetit autem Salomon ante altare Domini in conspectu ecclesiae Israel, et expandit manus suas in eoelum, et ait: Domine Deus Israel, non est similis tui, Deus in ccelo desuper,et super terram deorsum réspice ad orationem servi tui, et ad preces ejus ut sint oculi aperti super domum hanc nocte et die, ut exaudías deprecationem servi tui, et populi tui Israel” III Reg. VIII, 22, 23, 28, 2», 30). – Credere che i soli patriarchi, i giudici, i veggenti d’Israele conoscessero il segno della croce, e lo praticassero sarebbe un ingannarsi; tutto il popolo lo conosceva e ne’ pubblici pericoli religiosamente ne usava. Sennacherib marcia di vittoria in vittoria, la maggior parte della Palestina è soggiogata, Gerusalemme è minacciata. Vedi tu quel che questo popolo, uomini, femmine e fanciulli, operano per respingere l’inimico? Come Mosè si rendono immagine della croce; eglino invocano il Signore delle misericordie, e distese le mani, le innalzano verso il cielo, ed il Signore li esaudì [“Et invocaverunt Dominum misericordem , et expandentes manus suas, extulerunt ad Coelum et sanctus Dominus Deus audivit cito vocem ipsorum”. [Eccli. XLVIII, 22].- Ma un altro pericolo li minaccia. Eliodoro s’avanza seguito dall’esercito per saccheggiare il tesoro del tempio, di già ha passato la soglia, un’istante ed il sacrilegio sarà compiuto. I Sacerdoti prostesi sul suolo innanzi all’altare del Signore pregavano; ma nulla arresta il sacrilego spogliatore: il popolo invoca a suo soccorso l’arma tradizionale, prega facendo il segno della croce : tu sai il resto. (II Macab. III, 20]. – Se non è da porre in dubbio che pregare con le braccia distese è un formare la figura dalla croce, tu vedi chiaro ed aperto, che, da’ tempi i più remoti, i giudei hanno conosciuto e praticato il segno della croce, per un istinto più o meno misterioso della sua onnipotenza. – Domani noi vedremo se i pagani erano meno istruiti.

 

 

18 GIUGNO 1968 -7-

–18 giugno 1968

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     Riprendiamo con una certa tensione il nostro esame circa la totalmente invalida e blasfema consacrazione vescovile la cui “forma” è contenuta nel pontificalis romani del 1968, forma progettata, redatta e confezionata ad arte dai trio massonico-modernista BBM [Botte, Buan 1365/75, Montini], esame che ci ha messo a conoscenza di cose sconvolgenti e scrupolosamente celate da chi “sa”, cose che descrivono una realtà totalmente artefatta ed ingannevole. A riguardo degli attuali falsi-vescovi vaticano-secondisti (compreso quello “sedicente” di Roma), è bene rileggere le parole, oggi tragicamente attuali, contenute in una lettera famosa che reca le firme delle più belle ed appropriate penne del Cattolicesimo, ossia di trentatre vescovi, tra i più insigni dell’epoca della peste giudaico-ariana abbattutasi sulla Cristianità, tra i quali Melezio di Antiochia, primo presidente del Concilio Ecumenico di Costantinopoli, di S. Gregorio Nazianzeno, grande Padre della Chiesa, che presiedette il suddetto Concilio Ecumenico alla morte di Melezio, San Basilio, anch’esso Padre della Chiesa, S. Giovanni Crisostomo, ed altre personalità insigni per fama e santità. La lettera famosa riporta quanto segue: “… si getta lo scompiglio nei dogmi della religione, si confondono le leggi della Chiesa. L’ambizione di coloro che non temono il Signore li spinge a scavalcare le autorità e ad attribuirsi l’Episcopato quale premio alla più sfacciata empietà, di modo ché colui che proferisce le più gravi bestemmie viene ritenuto il più adatto per reggere il popolo come Vescovo. È scomparsa la serietà episcopale. Mancano pastori che pascolino con coscienza il gregge del Signore. I beni dei poveri sono costantemente impiegati dagli ambiziosi per proprio tornaconto e regalati senza riguardo. Il fedele compimento dei canoni si è oscurato (….) Per tutto questo gli increduli ridono, i deboli vacillano nella fede, la fede stessa è dubbiosa, l’ignoranza si distende sulle anime, quindi assumono aspetto credibile coloro che insozzano la divina parola con loro malizia, visto anche che la bocca dei più osserva il silenzio” [opere di S. Giovanni Crisostomo. Bibliot. di Autori Cristiani. La Editorial Catolica S. A., introd. Pag. 7 -grassetto e sottolineatura redaz.-]. Nulla è cambiato oggi rispetto alla quella tragica situazione, anzi oggi è ancora peggio, perché abbiamo da un lato 1°- finti vescovi non-consacrati dell’ecumenico-modernismo, setta oggi padrona illegittima nella Chiesa; dall’altro altrettanto 2° – finti non-vescovi mai consacrati, a cominciare dal cavaliere kadosh A. Lienart, massone 30° già quattro anni prima della sua sacrilega ed invalida consacrazione, invalida poiché un Sacramento non può operare in uno scomunicato “latae sententiae” od imprimere il sigillo del sacerdozio pieno in uno che grida alzando un pugnale al cielo: “Adonay nokem” [Adonai vendetta], nei brindisi inneggianti a lucifero delle agapi massoniche. (Inutile e falso dire che anche Giuda fosse stato costituito Vescovo da Gesù-Cristo, malgrado le sue intenzioni nefaste, ma il Salvatore ha lasciato fare, perché sapeva già a quale fine il reprobo traditore andasse incontro … da li a poco). Invalida quindi la sua consacrazione, invalide tutte quelle da lui operate e quelle operate dai suoi falsi consacrati, a cominciare dal “santo” “Marcello” Giuda-Lefebvre, ben consapevole della cosa, e che oltretutto poi, senza alcun mandato, contravvenendo a tutte le regole ed ai Canoni della Chiesa, ed in dispregio a qualunque autorità, anche alle false, ha sacrilegamente ed invalidamente “fatto finta” di consacrare, con cognizione di causa, altri poveri disgraziati peggiori di lui, destinati anch’essi alla fine di Giuda, che continuano il turpe ed infame costume di perdizione delle anime incaute. Delle pittoresche balorde consacrazioni di mons. Thuc, ai limiti della patologia psichiatrica, che in preda ad enfasi misticheggianti, ha consacrato cani e p…., senza mandato apostolico e giurisdizione, avallando scismatici ed eretici movimenti sedevacantisti pseudo-tradizionalisti, non è neppure il caso di accennare. E qui non abbiamo Santi come il Crisostomo, Basilio, Gregorio Nazianzeno. Ci resta solo la Santissima Vergine e la potentissima arma del Rosario… Ella ce l’ha promesso … “Ma alla fine il mio Cuore Immacolato trionferà!!!” [Messaggio di Fatima]. Ricordiamo pure come il grande autore cattolico francese Dom Guéranger (quando in Francia c’erano ancora sacerdoti cattolici! … bei tempi …) nelle “Instituzioni Liturgiche”, presenta in 12 punti fondamentali la «Marcia dei pretesi riformatori del cristianesimo» : – Egli dimostra che l’eresiarca antiliturgista odia la Tradizione, rimpiazza le formule liturgiche con i testi della Scrittura Santa per interpretarli a suo modo, introduce delle formule «perfide», rivendica i diritti dell’antichità di cui si fa beffe cambiandone il rito, sopprime tutto ciò che esprime i misteri della fede cattolica, rivendica l’uso della lingua volgare, sopprime le génuflessioni ed altri atti di pietà della liturgia cattolica, odia la Potenza papale, organizza la distruzione dell’episcopato, rigetta l’autorità di Roma per gettarsi nelle braccia del principe temporale. Alla luce delle considerazioni di dom Guéranger, della cui retta dottrina c’è da essere assolutamente certi, siamo quindi alla presenza di eresie antiliturgiste, e del maggiore eresiarca antiliturgista mai comparso sulla faccia della terra: G. B. Montini, il marrano sedicente Paolo VI, “giustamente” in procinto di canonizzazione, “santo” della attuale “sinagoga di satana” [si legga: “dannato” della chiesa Cattolica] che oggi domina la Sede di Pietro ed i Sacri palazzi dell’urbe e dell’orbe così come da visione “purtroppo” profetica del Santo Padre S. S. Leone XIII ! – Ma torniamo al nostro argomento, facendo un po’ di riepilogo. Ci pare di aver capito, nella nostra grossolana ignoranza, che il rito Romano, soppresso il 18 giugno del 1968, è un rito antico, invariabile nella sua forma essenziale da più di 17 secoli, ed infatti tutti i Vescovi cattolici di rito latino (tra i quali Santi straordinari, tipo S. Francesco di Sales o S. Alfonso Maria de’ Liguori, tanto per citarne qualcuno), sono stati consacrati con questo rito. Che cosa ha questo nuovo Rito che non va? Ecco la risposta pronta: “ Il rito di Pontificalis Romani è stato creato nel 1968 e non è MAI stato utilizzato nella Chiesa. Nessun Vescovo cattolico è mai stato consacrato in questo rito. Questo rito non possiede gli «elementi necessari», secondo la teologia sacramentale. (v. San Tommaso): Esso è INTRINSECAMENTE invalido. Questo non è un rito cattolico!!! A tal proposito cerchiamo, prima di un riepilogo dettagliato sulla questione, di comprendere meglio cosa si intendesse, nel numero precedente, accennando all’“eletto manicheo”, che sarebbe in realtà l’unico titolo che il rito, o meglio questa “pantomima”, spacciata per consacrazione vescovile, conferirebbe! Gli “eletti” manichei, o “perfetti”, costituivano, nell’ambito del Manicheismo, una “religione” di carattere gnostico che annoverava influssi disparati derivanti da tradizioni giudaiche, iraniane, ed afro-orientali, in un “minestrone” ecumenico comprendente elementi di buddismo, cristianesimo, zoroastrismo, tradizioni iraniche, giudaismo talmudico e paganesimo variegato, il tutto ben cementato dalla cosmogonia e teogonia gnostica, in un sistema codificato secondo presunte “rivelazioni” spirituali di un “paracleto”, il presunto “spirito gemello” di Mani (da cui Manicheismo, definire compiutamente il quale richiederebbe tempo e spazio), nobile personaggio vissuto nel III secolo d.C. in Persia: gli “eletti”, erano un gruppo ristretto di religiosi osservanti rigorose norme morali e comportamentali, che libererebbero le “fiammelle” divine imprigionate nei corpi materiali creati da un “demiurgo” malefico, il Dio dei Cristiani [sempre la stessa “solfa” gnostica]: agli eletti si contrapponevano gli “auditores” che erano i collaboratori degli eletti, verso i quali avevano doveri servili (elemosine), che non li avrebbero però liberati dalla materia, continuando così essi, poverini, ad essere obbligati a trasmigrare in corpi diversi (metempsicosi gnostica!). L’obiettivo inconfessato della sceneggiata della “falsa” consacrazione cattolica vescovile, non è altro quindi che la blasfema “istituzione” di eletti manichei (vescovi della chiesa gnostica) nell’ambito della dottrina gnostica, “gnosticismo” del quale è infarcito il talmudismo “spurio” giudaico, al quale si “abbeverava”, per tradizione familiare, l’apostata Montini. – Proseguiamo allora con il riepilogo succinto di quanto abbiamo cercato di esporre in questa serie di scritti dedicati alle “false consacrazioni vescovili” iniziate il 18 giugno del 1968. I fatti e gli argomenti precedentemente riportati hanno dimostrato quanto segue, per il rito di consacrazione episcopale promulgato dal falso Papa, l’antipapa Giovan Battista Montini, sedicente Paolo VI, il 18 giugno 1968 a Roma, nel Pontificalis Romani: 1) Questo rito non è antico, ma è stato creato nel maggio 1968 da diversi materiali. 2) Questo rito rivendica una origine oggi contestata dagli specialisti (veri) della questione 3) Questo rito non riproduce affatto quello della pretesa (*) “Tradizione apostolica” attribuita ad Ippolito. 4) Questo rito non è, e non lo è mai stato, praticato in Oriente, presso i copti ed i siriaci occidentali. 5) Questo rito si rivela, dall’inchiesta, non essere null’altro che una “costruzione” puramente umana di Dom Botte. 6) Questo rito possiede una “forma” essenziale insufficiente. 7) Questo rito non esprime l’intenzione di conferire il potere di ordinare dei sacerdoti cattolici. 8) Questo rito subisce le condanne che Leone XIII infallibilmente indirizzò (in “Apostolicae curae”) ai riti anglicani simili in tutto al rito montiniano. 9) Questo rito nega la Santa Trinità. 10) Questo rito nega l’unione ipostatica delle due nature nella Persona di N.S. Gesù Cristo. 11) Questo rito nega la “spirazione” dello Spirito dal Figlio, nega cioè il “Filioque”. 12) Questo rito veicola una concezione kabbalista e gnostica dello Spirito-Santo. 13) Questo rito rilancia, nel 1968, l’attacco contro lo Spirito-Santo sviluppato mezzo secolo prima dal rabbino di Livorno, Elia Benamozegh (1828-1900). 14) Questo rito serve a creare, in modo sacrilego e blasfemo, gli “eletti” Manichei, e quindi vescovi gnostici!

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Un falso Papa, l’antipapa Montini

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Un Papa vero, S.S. Leone XIII

   Ne risulta da ciò che precede, così come dai testi infallibili di Leone XIII, di Pio XII e del Magistero tutto della Chiesa di sempre, che è assolutamente IMPOSSIBILE considerare un rito tale come INTRINSECAMENTE VALIDO e capace di consacrare dei veri Vescovi cattolici, veri successori degli Apostoli di Nostro Signore Gesù-Cristo. In tal modo quindi, come da copione scritto nelle retro logge giudaico-massoniche, e recitato dai pupazzi della “quinta colonna” ecclesiastica infiltrata, si è cercato di distruggere l’Apostolicità della Chiesa Cattolica Romana, almeno spiritualmente, lasciando poi che si distruggesse materialmente, con opportune guerre inventate per i più futili motivi, anche l’Apostolicità delle chiese orientali greco-Cattoliche, ad esempio in Ucraina, Libano, Siria, Egitto, etc., che non hanno modificato il loro rito antichissimo, così come la Messa di S. Basilio e S. Giovanni Crisostomo. L’Apostolicità è unicamente solo conservata nella Chiesa d’occidente, la Cattolica Romana, dalla Gerarchia in esilio, che da Gregorio XVII, Cardinal Siri, Papa “impedito”, in poi è rimasta l’unico filo conduttore che da San Pietro in poi giunge ai nostri giorni e continuerà la serie ininterrotta dei Papi, come da Magistero cattolico, e da promessa del divin Salvatore Gesù-Cristo. A Lui sia onore e gloria, a Lui che vive e regna, con il Padre e lo Spirito Santo, per tutti secoli dei secoli. Cristo regni!

Le conseguenze dell’introduzione del rito invalido della consacrazione episcopale sulla Chiesa conciliare!

Chiesa conciliare               Chiesa conciliare                      Chiesa conciliare

         1968                                          1988                                                 1999          ●  ● ● ● ●                                 ●●●●                                               ●●●●    ● ● ● ● ●                                       ●●                                                  ●●

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1968                 →                             1999

Dal 1968 al 1999 è avvenuta la sparizione del sacerdozio ed episcopato cattolico romano. (… in apparenza nella falsa chiesa modernista dell’uomo, ma il Signore non è stato inoperoso, la gerarchia continua nbella Chiesa cattolica eclissata e portata dall’aquila nel deserto – Apoc. XII. )

  • = vescovi

= preti

= pseudo vescovi

= pseudo preti

Quale che sia il rito utilizzato per l’ordinazione sacerdotale da uno pseudo-vescovo, anche con tonsura clericale, esso non può ordinare un vero prete.

18 GIUGNO 1968 -1-

Domande e risposte sulla salvezza

Domande e risposte sulla salvezza

di Padre Michael Muller, C.SS.R.

[Nota di redazione: Padre Michael Muller è stato uno dei teologi più letti del 19° secolo. Padre Muller ha presentato sempre le sue opere a due teologi redentoristi ed ai suoi superiori religiosi prima della pubblicazione, quindi siamo sicuri della solidità dottrinale dei suoi insegnamenti. In questo articolo, pubblicato nel 1875, c’è uno delle migliori trattazioni della verità dottrinale secondo la quale il Signore ha fondato una sola vera Chiesa, la cattolica, al di fuori della quale non c’è salvezza!]

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.1. – Tutti ammettono che la Chiesa cattolica sia la prima e la più antica chiesa, e, di conseguenza, che essa sia la Chiesa fondata da Gesù Cristo?

R.- Che la Chiesa cattolica sia la prima e la più antica, e di conseguenza sia la Chiesa fondata da Gesù Cristo, è e deve essere ammesso da tutti, perché è un fatto chiaramente dimostrato dalla Scrittura e dalla storia.

.2 – Chi sono coloro che testimoniano questo dato?

R – Lo testimoniano li Ebrei ed i Gentili, ed anche i protestanti lo riconoscono, perché, se infatti chiediamo loro perché essi stessi si chiamano protestanti, rispondono: “Perché noi protestiamo contro la Chiesa cattolica.”

.3 – Qual è la conseguenza di questa risposta?

R.- Che la Chiesa cattolica è più antica del Protestantesimo, altrimenti non avrebbero potuto protestare contro di Essa.

.4 – Se andiamo ancora più indietro e chiediamo alla Chiesa greca come e perché essa esista, quale sarà la risposta? –

– La Chiesa greca deve rispondere: “Abbiamo iniziato a separarci dalla Chiesa cattolica nel IX secolo.

.5 Qual ne è allora la conseguenza? –

R.- Che la Chiesa Cattolica esisteva già ottocento anni prima che nascesse la Chiesa greca, e di conseguenza, Essa è più antica della Chiesa greca.

.6 Risalendo ai giorni degli stessi Apostoli, che cosa riscontriamo nel modo in cui sono sorte le sette religiose? –

R- Se andiamo indietro ai giorni degli stessi Apostoli, troviamo che ogni setta si è separata sempre dalla Chiesa Cattolica, e quindi vediamo calvinisti, metodisti Kilhamiti, quaccheri, metodisti, riformati metodisti, metodisti tedeschi, metodisti Wesleyani, Battisti, Battisti riformati, Battisti Hardshell, Battisti Softshell, battisti Gallon, Anabattisti, Mennoniti, Milleriti, Universalisti, congregazionalisti, presbiteriani, mormoni, epicopali, cristiani perfezionisti, ecc, ecc, ecc.

.7 Dio non è  sempre lo stesso, qualunque religione professi una persona?

R- Se fosse sempre lo stesso Dio per qualunque religione professi una persona, Dio non avrebbe proibito, nel primo comandamento, di adorarLo in modo diverso dalla vera religione. E Cristo ha solennemente dichiarato: “Colui che non vuole ascoltare la Chiesa, sia per te come un pagano ed un pubblicano.” (Matteo XVIII:17).

.8 Chi, poi, sarà salvato? –

R. – Gesù-Cristo ha solennemente dichiarato che saranno salvati solo quelli che hanno fatto la volontà di Dio sulla terra, come spiegato, non mediante l’interpretazione privata, ma secondo l’insegnamento infallibile della Chiesa Cattolica Romana; “Non colui, afferma Cristo, che dice, Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli; ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli: questi entrerà nel regno dei cieli “. (S. Matt. VII:21) La volontà del Padre celeste è che tutti gli uomini ascoltino e credano in suo Figlio, Gesù Cristo. “Questi è il mio Figlio diletto. Ascoltatelo!”(S. Luca IX,35). – Ora Gesù Cristo ha detto ai suoi Apostoli e per essi a tutti i loro legittimi successori: “Chi ascolta voi ascolta me, e chi disprezza voi, disprezza me, e chi disprezza me, disprezza il Padre celeste, che mi ha mandato”. (S. Luca X: 16) Quindi tutti coloro che non ascoltano Gesù Cristo che parla loro attraverso San Pietro e gli Apostoli nei loro Successori legittimi, disprezzano Dio Padre. Non facendo la sua volontà, il cielo non sarà mai loro parte.

.9  Tutti coloro che desiderano essere salvati, devono quindi morire uniti alla Chiesa cattolica? –

R. – Tutti coloro che desiderano essere salvati, devono morire uniti alla Chiesa Cattolica. Fuori di Essa non c’è salvezza, perché solo Essa insegna ciò che Gesù Cristo richiede a tutti per essere salvati, e perché solo ad Essa Cristo ha lasciato i mezzi per ottenere tutte le grazie necessarie alla salvezza. Ecco perché Gesù disse ai Suoi apostoli e a tutti i loro legittimi successori: “Andate e ammaestrate tutte le nazioni: insegnando loro ad osservare tutte le cose che vi ho comandato. Chi non crede a tutte queste cose sarà condannato. “(S. Matteo XXVIII: 20, S. Marco XVI:16). Il nostro Divino Salvatore dice: “Nessuno può venire al Padre se non per mezzo di me.” (S. Giovanni XIV: 6) Se poi vogliamo entrare in Paradiso, dobbiamo essere uniti a Cristo, al suo [mistico] Corpo, che è la Chiesa, come dice san Paolo. Pertanto, al di fuori della Chiesa non c’è salvezza. Ancora una volta, Gesù Cristo dice: “Chi non ascolta la Chiesa, sia considerato come un pagano e un pubblicano” (S. Mt XVIII:17), cioè un grande peccatore.  Pertanto, al di fuori della Chiesa non c’è salvezza. – La Sacra Scrittura dice: “Il Signore ogni giorno aggiungeva alla Chiesa coloro che dovevano essere salvati.” (Atti II:47) Perciò gli Apostoli hanno creduto e le Sacre Scritture insegnano che “non c’è salvezza fuori dalla Chiesa”.

.10 Cosa dicevano Sant’Agostino e gli altri vescovi dell’Africa, al Concilio di Zirta, nel 412, della salvezza di coloro che muoiono al di fuori della Chiesa cattolica romana?

R. Essi hanno detto che “chiunque è separato dalla Chiesa cattolica, quantunque la sua vita possa essere giudicata lodevole, per il solo motivo che è separato dalla unione con Cristo, non la vita, bensì l’ira di Dio dimora su di lui. “(S. Giovanni III:36).

.11 Che cosa dice san Cipriano circa la salvezza di coloro che muoiono al di fuori della Chiesa cattolica romana? –

R. – San Cipriano dice: “Chi non ha la Chiesa per sua madre non può avere Dio per Padre”. E con lui i Padri della Chiesa in generale dicono che: “come tutti quelli che non erano nell’arca di Noè perirono nelle acque del diluvio, così periranno tutti coloro che sono fuori della vera Chiesa “.

.12. Chi sono coloro che si trovano fuori dall’ambito della Chiesa cattolica romana?

R. – Fuori dal limite della Chiesa Cattolica romana, sono tutti i non battezzati e tutte le persone scomunicate, tutti gli apostati, i non credenti, e gli eretici.

Infedeli ed apostati

.13 Come facciamo a sapere che le persone non battezzate non vengono salvate?

R. – Che le persone non battezzate non vengano salvate, lo sappiamo da Cristo che ha detto: “Se uno non nasce da acqua e Spirito Santo, non può entrare nel regno di Dio” (S. Giovanni III: 5). Dio non può unire Se stesso a tali anime in cielo a causa del peccato originale da cui sono contaminati.

.14 Come facciamo a sapere che le persone giustamente scomunicate, che non sono disposte a fare ciò che è loro richiesto prima di essere assolte, non vengono salvate?

R. – Le persone giustamente scomunicate, che non sono disposte a fare ciò che è richiesto loro per essere assolte, non vengono salvate, perché il peccato di grande scandalo, per il quale erano come delle membra morte, le ha espulse dalla comunione della Chiesa, e le esclude dal Regno del Paradiso.

.15 Quali cattolici sono scomunicati? –

R. – Sono scomunicati tutti quei cattolici membri di società segrete che sono state scomunicate [condannate] dalla Chiesa, come la Massoneria ed altre società affiliate ad essa sotto vari nomi.

.16 Perché diversi Papi hanno solennemente scomunicato tutti gli aderenti alla massoneria? –

R. – Tutti i massoni sono stati solennemente scomunicati da vari Papi a causa dell’oggetto principale e dello spirito della Massoneria, che vuole ristabilire il Paganesimo o la Chiesa di satana in tutto il mondo: a) Con sconvolgimento dei governi per avocare a sé il potere di governare e di fare leggi empie per i sudditi; b) Cercando di rovesciare la Chiesa cattolica che insegna e mantiene i diritti e le leggi di Dio e della società civile; c) Diffondendo i principi immorali ed empi attraverso la stampa infedele ed altri mezzi satanici; d) Stabilendo scuole pubbliche per l’educazione dei giovani all’infedeltà.

.17 È noto a tutti i massoni questo oggetto principale e lo spirito che li anima?

R. – Questo oggetto satanico e lo spirito della massoneria è noto solo ai membri dei più alti gradi della stessa. Ma sono sufficientemente noti a tutti le opere ed gli argomenti dei massoni, e quindi tutti i membri, anche dei gradi più bassi, sono colpevoli delle nefandezze di questa società satanica.

.18 Come facciamo a sapere che gli apostati non vengono salvati? –

R.- Gli apostati dalla fede cattolica non vengono salvati, perché allontanarsi dalla fede è un gran peccato che fa perdere il regno dei cieli.

.19 Ci sono molti tipi di infedeli o di non credenti? –

R.- Ci sono tre tipi di infedeli o non credenti: (a) Coloro che sono colpevoli del peccato di infedeltà; (b) coloro che non sono colpevoli del peccato di infedeltà, ma commettere altri grandi peccati; (c) coloro che non sono colpevoli del peccato di infedeltà, ma vivono in base ai dettami della loro coscienza.

20. Quali tipi di infedeli sono colpevoli del peccato di infedeltà?

R. – 1) Sono colpevoli tutte quelle persone che, non battezzate, non abbracciano la vera religione, anche se le verità di essa siano stata fatte loro sufficientemente conoscere, così come per molti dei Giudei dei quali Nostro Signore ha detto che non avevano alcuna scusa per i loro peccati, perché Egli stesso aveva parlato loro. – 2) Sono colpevoli tutte quelle persone che, non battezzate, e che hanno ricevuto la luce sufficiente per conoscere la verità, o almeno per capire il pericolo della loro posizione e che avevano l’obbligo di svolgere indagini diligenti per accertarsene e abbracciare la verità, hanno trascurato di farlo. – 3) Sono colpevoli del peccato di infedeltà tutti coloro che volontariamente negano la verità e ostinatamente vi resistono. – “Dobbiamo ricordare e condannare ancora una volta che l’errore più pernicioso che sia stato fatto proprio da molti cattolici è quello di essere del parere che: le persone che vivono in errore e non hanno la vera fede e sono quindi separate dall’unità cattolica, possano ottenere ugualmente la vita eterna. Ora questa opinione è la più contraria alla fede cattolica, come è evidente dalle semplici parole di Nostro Signore, (S. Mt XVIII:17; S. Mc XVI,16; S. Lc X:16; S. Giovanni III:18), come anche dalle parole di San Paolo (2 Tim II:11) e di San Pietro (2 Pietro II: 1) per cui “intrattenere opinioni contrarie a quelle della fede cattolica significa essere empio”. –

pio IX

S. S. Papa Pio IX

.21 Perché gli infedeli “positivi” non vengono salvati?

R. – Gli infedeli positivi non vengono salvati perché, “l’infedeltà positiva, essendo un’ostinazione volontaria, è una palese contraddizione, in quanto il disprezzo pubblico della rivelazione divina e dei precetti del Vangelo, costituisce uno dei peccati più gravi al cospetto di Dio e della Sua Santa Chiesa, come dice san Tommaso d’Aquino.

.22 Perché è enorme la gravità del peccato di infedeltà?

R. – Il peccato mortale è una deviazione dalla virtù e dalla legge divina. Il peccato più grave, quindi, è quello che separa l’uomo da Dio più di ogni altro. Ora, il peccato come l’infedeltà positiva provoca una grande separazione da Dio. Quando l’intelletto è in errore e abbandona la conoscenza di Dio, la volontà lo segue ed aumenta la malizia nella misura in cui l’intelletto si allontana dal sentiero della verità, della giustizia e della carità. Ogni passo che un uomo fa nel buio dell’infedeltà, aumenta la distanza che lo separa da Dio. Un ritorno da quel percorso pericoloso è molto difficile, perché quando l’intelletto è in errore e la volontà è piena di malizia e depravazione, tutti i legami in grado di unire l’uomo a Dio sono distrutti. – Se tali uomini muoiono con questa disposizione di spirito, sono infallibilmente perduti, dice san Tommaso. “Senza la fede è impossibile piacere a Dio.” (Eb. XI: 6).

.23 Chi sono gli infedeli non colpevoli del peccato di infedeltà, ma che commetteno altri gravi peccati?

R. – Coloro che non sono colpevoli del peccato di infedeltà, ma commettono altri peccati gravi, sono tutte quelle persone non battezzate che non hanno mai avuto l’occasione di conoscere la vera religione, o di prendere coscienza dell’obbligo di cercarla ed abbracciarla, e vivono secondo i dettami della loro coscienza.

.24 Questa classe di infedeli andrà persa?

R. – Questa classe di infedeli sarà persa, non a causa della loro infedeltà, che non era il loro peccato, ma a causa di altri gravi peccati che hanno commesso contro la loro coscienza. “Perché coloro che hanno peccato senza la legge”, dice san Paolo, “periranno senza la legge.” (Romani II:12).

.25 Saranno persi quegli infedeli che non sono colpevoli del peccato di infedeltà e vivono secondo la loro coscienza?

R. – Di questi infedeli che non sono colpevoli del peccato di infedeltà e sono fedeli nell’obbedire alla voce della loro coscienza, San Tommaso d’Aquino dice: “Se qualcuno è stato portato nel deserto o tra i bruti, e se ha seguito la legge della natura nel desiderare ciò che è buono, e nell’evitare ciò che è malvagio, dobbiamo certamente credere che Dio, con un’ispirazione interiore, gli abbia rivelato quello che deve credere, o abbia mandato qualcuno a predicargli la fede, così come mandò Pietro a Cornelio. ”

 L’eresia

.26 Qual è il significato della parola “eretico”?

R. – La parola “eretico” deriva dal greco e significa “un selettore”, “colui che sceglie”

.27 Che cos’è un eretico?

R. – Un eretico è un qualsiasi battezzato, che professa il cristianesimo, e che sceglie da sé cosa credere e cosa non credere a suo piacimento, in opposizione ostinata ad alcuna particolare verità che egli sa essere insegnata dalla Chiesa Cattolica come verità rivelata da Dio.

.28. Quali sono le cose che ci fanno ritenere che una persona si sia resa colpevole del peccato di eresia?

R. -Per ritenere una persona colpevole del peccato di eresia, sono necessarie tre cose: a) Egli deve essere battezzato e professare il cristianesimo; Questo lo distingue da un Ebreo e da un idolatra; – b) Deve rifiutare di credere una verità rivelata da Dio ed insegnata dalla Chiesa come rivelata. – c) Deve ostinatamente aderire all’errore, preferendo il proprio giudizio privato, in materia di fede e di morale, all’insegnamento infallibile della Chiesa Cattolica.

.29. Quanti tipi di eretici (o protestanti) ci sono?

R. – Ci sono essenzialmente tre tipi di eretici: – a) Coloro che sono colpevoli del peccato di eresia; – b) Coloro che non sono colpevoli del peccato di eresia, ma commettono altri gravi peccati; – c) Coloro che non sono colpevoli del peccato di eresia e che vivono secondo i dettami della loro coscienza.

.30. Chi sono quindi i colpevoli del peccato di eresia?

R. – Del peccato di eresia sono colpevoli: -a) Tutte quelle persone battezzate, che professano il Cristianesimo ed ostinatamente rifiutano una verità rivelata da Dio ed insegnata dalla Chiesa come così rivelata; – .b) Coloro che abbracciano un parere contrario alla fede, mantenendola ostinatamente, e rifiutano di sottomettersi all’autorità della Chiesa cattolica; -c) coloro che dubitano volontariamente della verità di un articolo di fede, e con tale dubbio intenzionale mettono in dubbio la conoscenza e la verità di Dio: questo è l’essere colpevole di eresia- .d) Chi riconosce la Chiesa Cattolica essere l’unica vera Chiesa, ma non abbraccia la sua fede; – e) Coloro che potevano conoscere la Chiesa, se l’avessero candidamente ricercata, ma che, attraverso l’indifferenza ed altri motivi colpevoli, hanno omesso di farlo; – f) Chi, come gli anglicani, pensano che si avvicinano molto alla Chiesa cattolica, perché le loro preghiere e le cerimonie sono simili a molte preghiere e cerimonie della Chiesa cattolica, e perché il loro credo è il Credo apostolico. Questi sono eretici in linea di principio, perché: “La vera personalità che professa eresie”, dice san Tommaso d’Aquino, “consiste nella mancanza di sottomissione all’autorità dell’insegnamento divino che è il Capo della Chiesa.”

.32. Perché si perdono i veri eretici?

R. I veri eretici si perdono perché rifiutando il divino Maestro – la Chiesa Cattolica – essi rifiutano tutti gli insegnamenti divini, commettendo così uno dei più grandi peccati. Ecco perché il Papa Pio IX ha parlato del protestantesimo in tutte le sue forme come “della grande rivolta contro Dio”, essendo esso un tentativo di sostituire un essere umano all’autorità divina, ed una dichiarazione di indipendenza della creatura dal Creatore. Per questo motivo la Sacra Scrittura condanna l’eresia con la massima fermezza. “Dopo una o due ammonizioni sta’ lontano da chi è fazioso, ben sapendo che è gente ormai fuori strada e che continua a peccare condannandosi da se stessa. E ancora dice: “Orbene, se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anàtema! L’abbiamo già detto e ora lo ripeto: se qualcuno vi predica un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anàtema “. (Gal I: 8,9). – “Rifiutare, anche un solo articolo di fede insegnato dalla Chiesa”, dice san Tommaso d’Aquino, “è sufficiente a distruggere la fede, come un solo peccato mortale è sufficiente a distruggere la Carità”.La virtù della fede non consiste semplicemente nell’adesione alla Sacra Scrittura e riverirla come Parola di Dio; essa consiste principalmente nel sottoporre il nostro intelletto e la volontà all’autorità divina della vera Chiesa incaricata da Gesù Cristo di esporla.”Non crederei alle Sacre Scritture”, dice S. Agostino, “se non fosse per l’autorità divina della Chiesa”. Colui, pertanto, che disprezza e respinge questa autorità, non può avere la vera fede. Se ammette qualche verità soprannaturale, queste sono delle semplici opinioni, delle verità che dipendono dal suo giudizio privato. – E poiché la fede divina è l’inizio della salvezza, il fondamento e la fonte della giustificazione che si trova solo nella vera Chiesa, è chiaro che non c’è salvezza per tutto il tempo che si è eretici.

L’eresia nega ogni fede

.33. Gli eretici hanno fede in Gesù Cristo?

R. – Tommaso d’Aquino dice: “E ‘assurdo per un eretico dire di credere in Gesù Cristo. Credere in una persona significa dare il nostro pieno consenso alla sua parola e a tutto ciò che insegna. Vera fede, dunque, è la fede assoluta in Gesù Cristo e in tutto ciò che Egli ha insegnato. Quindi, chi non aderisce a tutto ciò che Gesù Cristo ha prescritto per la nostra salvezza, non possiede la dottrina di Gesù Cristo e della sua Chiesa, così come fanno i pagani, gli ebrei e i turchi” – “Egli è “, dice Gesù Cristo “, un pagano e un pubblicano”; e quindi sarà condannato all’inferno.

.34. Si dimostri come i protestanti non abbiano fede assoluta in Cristo.

– Gesù Cristo dice: “Ascoltate la Chiesa”. – “No”, dicono Lutero e tutti i protestanti, “non ascoltate la Chiesa; protestate contro di Essa con tutte le forze.” (S. Matteo XVIII:17) – Gesù Cristo dice: “Se qualcuno non ascolta la Chiesa, si consideri come un pagano e un pubblicano.” – “No”, dice il protestantesimo, “se qualcuno non ascolta la Chiesa, si consideri un apostolo, un ambasciatore di Dio. “(S. Matteo XVIII:17) ; Cristo dice: “Le porte dell’inferno non prevarranno contro la mia Chiesa”.- “No”, dice il protestantesimo.-  ‘Questo è falso, le porte dell’inferno hanno prevalso contro la Chiesa per più di mille anni ed oltre.” (S. Matteo XVI:18). – Gesù Cristo ha dichiarato San Pietro e ogni successore di San Pietro – il Papa – essere suo Vicario in terra. “No”, dice il protestantesimo, “il Papa è anti-Cristo”. (S. Matteo 16:18) – Gesù Cristo dice: “Il mio giogo è dolce e il mio carico leggero”. (S. Matt XI:30). “No”, hanno detto Lutero e Calvino, “è impossibile osservare i comandamenti.” Gesù Cristo dice: “Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti”. (S. Matt XIX:17). – “No”, hanno detto Lutero e Calvino, “la sola fede, senza le buone opere, è sufficiente per entrare nella vita eterna.” -Gesù Cristo dice: “Se non fate penitenza, tutti similmente perirete” (S. Luca XIII: 3) – “No”, hanno detto Lutero e Calvino, “il digiuno e le altre opere di penitenza non sono necessarie in soddisfazione del peccato.” – Gesù Cristo dice: “Questo è il mio corpo”. – “No”, ha detto Calvino, “questa è solo la figura del corpo di Cristo; diventerà il suo Corpo non appena si riceve “(1 Cor XI, 23-26) – Gesù Cristo dice: “Io vi dico che chiunque manda via sua moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio; e colui che sposerà la donna ripudiata, commette adulterio “(Mt XIX: 9)”. – No, “dicono Lutero e tutti i protestanti ad un uomo sposato,” puoi ripudiare tua moglie, ottenere il divorzio, e sposarne un’altra.” – Gesù Cristo dice ad ogni uomo:. “Non rubare” – “No”, ha detto Lutero ai principi secolari, “Vi do il diritto di appropriarvi delle proprietà della Chiesa cattolica romana” (Mt XIX,18).

.35. Gli eretici parlano anche di Spirito Santo e degli Apostoli?

R. – Sì, loro lo fanno. Lo Spirito Santo dice nella Sacra Scrittura: ” L’uomo non conosce né l’amore né l’odio; davanti a lui tutto è vanità. ” (Eccles. IX: 1) “Chi può dire: Il mio cuore è pulito, io sono puro dal peccato?” (Pr XX, 9) e: ” attendete alla vostra salvezza con timore e tremore (Filip II:12) “No”, hanno detto Lutero e Calvino, “ma chi crede in Gesù Cristo, è in stato di grazia.” – San Paolo dice: “se avessi tutta la fede, in modo da poter trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla.” (1 Cor. XIII: 2) – “No”, hanno detto Lutero e Calvino, “la sola fede è sufficienti per salvarci.” – San Pietro dice che nelle Lettere di san Paolo ci sono molte cose “difficili da capire, che ignoranti e instabili le travisano, come anche le altre Scritture, per loro propria perdizione.” (2 Pt. III,16) – “No, hanno detto Lutero e Calvino, “le Scritture sono molto semplici e facili da essere capite “. – San Giacomo dice: “C’è qualcuno malato fra voi? – Lasciate che vengano i sacerdoti della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore.” (S. Giac. V, versetto 14) – ” No “, hanno detto Lutero e Calvino,” questa è un cerimonia vana e inutile. ”

.36. Ora, pensi che Dio Padre farà entrare in cielo coloro che contraddicono in tal modo suo Figlio Gesù Cristo, lo Spirito Santo, e gli Apostoli?

R. – No, Egli lascerà che loro abbiano la loro parte con Lucifero all’inferno, che per primo si ribellò contro Cristo, e che è il padre dei bugiardi.

.37. Può un cristiano essere salvato, dopo aver lasciato la vera Chiesa di Cristo, la Santa Chiesa Cattolica?

R. No, perché la Chiesa di Cristo è il regno di Dio sulla terra, e chi lascia quel regno, si esclude dal regno di Cristo in cielo. (1 Tim 3:15; Matt 18:17) (1 Tm III,15; Mt XVIII:17).

38. I protestanti lasciarono la vera Chiesa di Cristo?

R. – I protestanti hanno lasciato la vera Chiesa di Cristo nei loro fondatori, che hanno lasciato la Chiesa cattolica sia per orgoglio, sia per la passione della lussuria e della cupidigia.

39. What will be the punishment of those who willfully rebel against the Holy Catholic Church38. Quale sarà la punizione di coloro che volontariamente si ribellano alla Santa Chiesa Cattolica?

R. Coloro che si ribellano volontariamente alla Santa Chiesa Cattolica, finiranno come Lucifero e gli altri angeli ribelli, saranno cioè gettati nelle fiamme eterne dell’inferno. “Chi non ascolta la Chiesa”, dice Cristo, “sia per te come un pagano e un pubblicano”. (S. Matt. XVIII:17).

.40. Ma se un protestante dovesse dire: “Non ho nulla a che fare con Lutero o Calvino o Enrico VIII o John Knox, io attingo dalla Bibbia,” cosa gli risponderesti?

R. In questo caso, si adottano e passano i principi e lo spirito degli autori delle eresie, e si cambia la Parola scritta da Dio nella parola dell’uomo, perché si interpreta la Sacra Scrittura alla nostra privata maniera, dandole quel significato che si sceglie di dare, e quindi, invece di credere alla parola di Dio, si crede piuttosto alla propria interpretazione personale di essa, che non diventa pertanto altro che la parola dell’uomo. Quindi, Sant’Agostino dice: “Voi che credete quel vi piace, e rifiutate quel che volete, credete a voi stessi ed alla vostra fantasia, piuttosto che al Vangelo”.

L’ignoranza non-colpevole

.41. Quali protestanti non sono colpevoli del peccato di eresia, ma commettono altri grandi peccati?

R. – Coloro che sono protestanti, senza colpa loro e che non hanno mai avuto l’opportunità di miglior conoscenza, non sono colpevoli del peccato di eresia; ma se vivono secondo i dettami della loro coscienza, essi saranno persi, non a causa della loro eresia, che per loro non era peccato, ma a causa di altri gravi peccati commessi.

42. Saranno salvati quegli eretici che non sono colpevoli del peccato di eresia, ma sono fedeli nel vivere secondo i dettami della loro coscienza? L’ignoranza non-colpevole della vera religione, scusa un pagano dal peccato di infedeltà, e un protestante dal peccato di eresia.Ma tale ignoranza non è mai stata un mezzo di salvezza.Dal fatto che una persona che vive secondo i dettami della sua coscienza, e che non può peccare contro la vera religione a causa della ignorante di essa, molti hanno tratto la falsa conclusione che tale persona è salvata, o, in altre parole, è in stato di grazia santificante, rendendo così inutile ogni mezzo di salvezza o di giustificazione. Se non vogliamo sinceramente fare grandi errori nello spiegare la grande verità rivelata, “Fuori della Chiesa non c’è salvezza”, dobbiamo ricordare:a) che per ottenere la salvezza ci sono quattro grandi verità, che tutti devono conoscere e credere per essere salvati; b)che non si può andare in Paradiso a meno che non ci si trovi in uno stato di grazia santificante; c) che, al fine di ricevere la grazia santificante, l’anima deve essere preparata dalla fede divina, dalla Speranza e Carità, da un vero dolore per il peccato con il fermo proposito di fare tutto ciò che Dio chiede all’anima di credere e di fare, al fine di essere salvati; d) che questa preparazione dell’anima non può essere operata dall’ignoranza non– E se tale ignoranza non può disporre l’anima a ricevere la grazia della giustificazione, tanto meno essa può dare questa grazia all’anima. L’ignoranza non-colpevole non è mai stata un mezzo di grazia o di salvezza, nemmeno per le persone che ignorando la colpa, vivono secondo la loro coscienza. Ma per questa classe di persone ignoranti diciamo, con San Tommaso d’Aquino, che Dio nella sua misericordia porterà queste anime alla conoscenza delle verità necessarie alla salvezza, anche inviando loro un Angelo, se necessario, per istruirli, piuttosto che lasciare che essi muoiano senza colpa loro. Se accettano questa grazia, verranno salvati come cattolici.

 Altre domande

43. Ma non è una dottrina molto caritatevole il dire che nessuno possa essere salvato fuori della Chiesa?

R. Al contrario, si tratta di un atto di carità molto grande l’affermare a gran forza, che fuori della Chiesa Cattolica non c’è salvezza possibile;  Gesù Cristo ed i suoi Apostoli hanno insegnato questa dottrina con un linguaggio molto semplice: chi cerca sinceramente la verità è felice di sentirla e abbracciarla, al fine di essere salvato.

.44. Ma non è detto nella Sacra Scrittura: “Chi teme Dio, ed opera la giustizia, è accettabile a Lui?”

R. – Ma chi non crede a tutte le verità che Dio ha rivelato, ma crede o rifiuta ciò che vuole, non teme Dio e non può abbracciare la giustizia. “Chi crede nel Figlio di Dio, ha questa testimonianza in sé. Chi non crede a Dio, fa di Lui un bugiardo, perché non crede alla testimonianza che Dio ha reso a suo Figlio”, dice san Giovanni (1 S. Giovanni V, 10); e per questo motivo, viene condannato all’inferno.

.45. Ma non ci sono molti che perderebbero l’affetto dei loro amici, le loro case confortevoli, i loro beni temporali, le prospettive nel mondo degli affari, qualora diventino cattolici? Non li scuserebbe Gesù Cristo, in tali circostanze, per non voler diventare cattolici?

R. Per quanto riguarda l’affetto di amici, Gesù Cristo ha solennemente dichiarato: “Chi ama il padre o la madre più di me, non è degno di me; e chi ama il figlio o la figlia più di me, non è degno di me “(S. Matteo X, 37). E per quanto riguarda la perdita di guadagno temporale, Egli ha così risposto: “Che giova all’uomo se guadagna tutto il mondo e poi perde la sua anima? “(S. Mc VIII,36).

.46. Ma non sarebbe sufficiente essere cattolico solo di cuore, senza professare pubblicamente la propria religione?

R. No, perché Gesù Cristo ha solennemente dichiarato che, “Chi si vergognerà di me e delle mie parole, il Figlio dell’uomo si vergognerà di lui quando Egli verrà nella sua maestà, e quella di suo Padre, e degli Angeli santi . “(S. Luca IX,26). 46. But might not such a one safely put off being received into the Church till the hour of deat

.47. Ma potrebbe un tale così tranquillamente rimandare all’ora della morte l’essere ricevuto nella Chiesa?

R.- Rimandare l’entrata nella Chiesa Cattolica fino all’ora della morte è abusare della misericordia di Dio, ed esporsi al pericolo di perdere la luce e la grazia della fede, e morire da reprobo.

.48. Che altro trattiene molti dal diventare cattolici?

R. -Molti sanno bene che, se diventano cattolici, devono condurre una vita onesta ed essere sobri, puri, controllare le loro passioni peccaminose, e questo non hanno proprio voglia di farlo. “Gli uomini preferiscono le tenebre alla luce”, dice Gesù-Cristo, “perché le loro opere sono il male.” Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire!

.49. Cosa comporta il fatto che la salvezza possa essere trovata solo nella Chiesa cattolica romana?

R. – Ne consegue che è cosa molto empia per chiunque, il pensare ed il dire che poco importa ciò che un uomo crede, a condizione che sia un uomo onesto.

.50. Che risposta si può dare ad un uomo che parla così?

R. – Ad un uomo che dice: “poco importa quello che un uomo crede, a condizione che egli sia un uomo onesto”, vorrei chiedere se crede o non che la sua onestà e la giustizia siano così grandi, al di sopra di quella degli scribi e dei farisei nel Vangelo. Essi erano perseveranti nella preghiera, pagavano le decime secondo la legge, davano generose elemosine, digiunavano due volte alla settimana, e facevano il giro del mare e della terra per ottenere un convertito e portarlo alla conoscenza del vero Dio.

.51. Cosa dice Gesù Cristo di questa giustizia dei farisei?

R. Egli dice: “se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli”. (S. Matt 5,20).

.52. Era, quindi, la giustizia dei farisei molto difettosa agli occhi di Dio?

R. – La loro giustizia era tutta nel mostrarsi e nell’ostentare esternamente. Facevano opere buone solo per essere lodati ed ammirati dagli uomii. Erano ipocriti, volgari, nascondevano i loro grandi vizi sotto la bella apparenza dell’amore per Dio, la carità ai poveri, e la severità per se stessi. La loro devozione consisteva in atti esteriori, e disprezzavano tutti quelli che non vivevano come facevano loro. Erano rigorosi nelle osservanze religiose delle tradizioni umane, ma non si facevano scrupolo nel violare i Comandamenti di Dio.

53. Che cosa dobbiamo dunque pensare di quelli che dicono: «Poco importa ciò che un uomo crede, purché egli sia onesto?”

R. – Di quelli che dicono questo, pensiamo che la loro onestà esteriore, come quella dei Farisei, possa essere sufficiente a tenerli fuori dal carcere, ma non dall’inferno.

18 GIUGNO 1968 -6-

18 giugno 1968-

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-6-

   Eccoci ancora a parlare di una cosa gravissima, della quale pochi sono a conoscenza, e chi sa si guarda ovviamente bene dal farne parola, e cioè della INVALIDITA’ formale e materiale della consacrazione vescovile del “Pontificalis Romani”, che sta producendo nei fatti l’estinzione dell’ Ordine sacerdotale cattolico e di conseguenza di tutti i Sacramenti: quella che oggi appare essere la Chiesa Cattolica, è costituita in realtà da un esercito di “zombi” spirituali, da “finti” e presunti sacerdoti e vescovi che stanno lentamente ma inesorabilmente soppiantando i pochi veri “residui” vescovi e sacerdoti, oramai solo ultraottantenni, e cioè i Vescovi ordinati con il “rito Cattolico” di sempre contenuto nel Magistero irreformabile ed eterno, o i sacerdoti ordinati da “veri” Vescovi a loro volta ordinati prima del fatidico 18 giugno 1968. Questa volta discorreremo addirittura delle ERESIE contenute nella formula del rito del “Pontificalis Romani”!! Effettivamente costateremo nella “forma” essenziale: 1) un‘eresia monofisita, 2) un’eresia anti-filioque, 3) un’eresia anti-Trinitaria, tali da configurare una forma essenziale “kabbalista e gnostica” (la Gnosi in generale, e quella talmudica-cabbalista in particolare, è propriamente la “teologia” di lucifero), e creare quindi un “eletto manicheo”. Una forma quindi, che non solo rende invalida ed illecita ogni presunta consacrazione, ma ne inverte i valori spirituali, consacrando cioè un “servo di lucifero”. E allora ci chiediamo: ma se è così come sembra, e come ci accingiamo a dimostrare, cosa pensare del prossimo “santo” G.B. Montini, Paolo VI? Possiamo affermare, con piglio categorico, sicuro e senza … peli sulla lingua: “il prossimo “dannato” sodomita della “sinagoga di satana”, infiltrata fraudolentemente nella Chiesa Cattolica, è da ritenersi come il più grande eresiarca della storia di tutti i tempi, al cui confronto Lutero, Calvino, Fozio, Ario, Krenmer, Soncino e compagnia cantando, sono dilettanti di serie Z, di ultima categoria!”.

PORTRAIT DE CALVINlutero

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gli eretici dilettanti e…

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… Il più grande eresiarca di tutti i tempi!

C’è chi ha attaccato la Chiesa dal tetto, chi dalle mura esterne, chi dal portone e dalle finestre, ma Montini “la ruspa” L’ha praticamente rasa al suolo (si fieri potest), scardinandone i pilastri portanti: la Santa Messa, la Consacrazione vescovile, la tonsura abolita e quindi sacerdozio cattolico abolito, con la conseguente invalidità di tutti i Sacramenti! Ma torniamo alla invalida ed illecita consacrazione, alla blasfema formula di ispirazione copto-etiopica, come dimostrato in precedenza: «Et nunc effunde super hunc electum eam virtutem, quæ a te est, Spiritum principalem, quem dedisti dilecto Filio Tuo Jesu Christo» [Pontificalis Romani, 1968 (forma essenziale)]. Qui è palese l’affermazione dell’eresia monofisita, l’eresia dei monofisiti etiopici [che negano cioè la natura divina di Cristo]. Questi due righi citati infatti si ritrovano tal quali nel loro rito abissino di consacrazione episcopale. Questa eresia consiste nel considerare che il Cristo abbia bisogno di ricevere dal Padre lo Spirito-Santo per divenire ’Figlio di Dio’, e per poter comunicare a sua volta, lo Spirito-Santo ai suoi Apostoli. Il Figlio riceve lo Spirito ad un dato momento (al battesimo secondo gli Etiopi), cosa quindi che nega la natura del “Fiat” della Santissima Vergine Maria, “Fiat” che permette nello stesso momento la sua verginale Concezione, realizzando così il Mistero centrale della Fede Cattolica: l’Incarnazione di Nostro Signore Gesù-Cristo, vero uomo e vero Dio per mezzo dello Spirito-Santo). Quindi: negazione totale della verità cattolica dell’Incarnazione del Verbo! Ma nella “forma essenziale” c’è anche spazio per l’eresia anti-Filioque [l’eresia di Fozio e dei sedicenti “Ortodossi”, che negano il procedere dello Spirito-Santo dal Padre “e” dal Figlio]. In questa forma infatti si afferma l’eresia anti-Filioque etiopica, secondo la quale “Non è più il Figlio che spira, con il Padre, lo Spirito-Santo (cf. il “Filioque” del Simbolo di Nicea), ma è il Figlio che riceve dal Padre lo Spirito-Santo. Si tratta di una inversione (secondo un tipico costume satanico), delle relazioni nella Santa Trinità tra il Figlio e lo Spirito-Santo. Incredibile! Pensare che al Credo della Messa “di sempre” la Chiesa ci faceva cantare a proposito dello Spirito-Santo «qui ex Patre Filioque procedit»! Questa formula esprime la fede della Chiesa nello Spirito Santo come terza Persona della Santa Trinità. Lo Spirito-Santo procede dal Padre e dal Figlio come da un solo Principio e possiede, con il Padre ed il Figlio, gli stessi attributi di onnipotenza, di eternità, di santità; Esso è uguale al Padre ed al Figlio a causa della divinità che è Loro propria. L’utilizzazione del termine Puer Jesus Christus nella “forma”, in Ippolito, «modello» del rito della consacrazione dei vescovi riformato da Montini (il sedicente marrano Paolo VI), è rimpiazzato da: “dilectus Filius” = tuo Figlio diletto, Gesù Cristo. Malgrado tutto, questa correzione indica ancora e sempre una inferiorità del Figlio poiché il Cristo è designato anche, come nei Greci scismatici, come canale transitorio dello Spirito-Santo. Manca dunque allo Spirito-Santo la relazione essenziale in seno alla Santa Trinità come Persona emanante dal Padre e dal Figlio dall’eternità. Un errore grossolano, fondamentale, che rende, una volta di più, la forma dell’ordinazione intrinsecamente inoperante e dunque invalida! Ed anche se la rettitudine della fede del Vescovo consacrante fosse certa, questa non potrebbe “sopperire” né correggerebbe la forma e l’intenzione che è normalmente veicolata dal rito. Ma non è ancora finita: la “forma” inventata da B. Botte per Bugnini, su richiesta di Montini, proclama anche una eresia anti-Trinitaria! Ed infatti il «Signore» che è: Dio, il Padre; il Figlio Gesù-Cristo, consustanziale al Padre; e «lo Spirito che fa i capi (!?!) e che Tu hai dato al tuo Figlio diletto, Gesù-Cristo» non costituiscono affatto una designazione teologicamente corretta delle tre Persone divine nell’unità della sostanza e distinte per le loro Relazioni proprie! Qui il discorso è sottile e non alla portata di ogni mente non abituata (e dove sono più oramai?) al “tomismo” (la teologia di S. Tommaso), ma è palese il voler rinnegare la formulazione di San Tommaso quando dice: Pater et Filius et Spiritus Sanctus dicuntur “unum” et non unus. (Quodl. 6,1+2) [si dicono un “unico” e non uno]. Di conseguenza la nuova formula di consacrazione episcopale è egualmente invalida a causa di questa eresia antitrinitaria. Ma c’è ancora dell’altro: questa “forma” sembra a ragione, provenire addirittura da un sistema gnostico e kabbalista! Riportiamo ancora la formula: «Et nunc effunde super hunc electum eam virtutem, quæ a te est, Spiritum principalem, quem dedisti dilecto Filio Tuo Jesu Christo » Con la modifica di “Spiritus principalis” in “Spiritum principalem”: cioè un genitivo che diviene un accusativo, l’essere dello Spirito è assimilato ad una qualità (forza), lo Spirito diviene cioè una sorta d’ “energia”, e non più una “Persona”. Questo concetto eretico deriva da un sistema “gnostico” (il discorso sui concetti della “gnosi spuria” e kabbalista, richiederebbe un’opera monumentale). La messa in equivalenza mediante un accusativo, proprio della “fabbricazione” di Dom Botte (“originalità” luciferina che non si ritrova né presso gli etiopi, né nella sinossi della ’Tradizione apostolica’ e neppure nelle Costituzioni apostoliche), tra la “forza” (virtus) che viene dal Padre e lo Spiritus principalis, fa nuovamente assimilare la Persona dello Spirito-Santo ad una semplice “qualità” proveniente da Dio, ma senza essere Dio. Questo è nuovamente un negare lo Spirito-Santo come Persona divina e quindi la sua consustanzialità divina. Ma addirittura in certe traduzioni “diocesane” lo Spirito vi appare con una minuscola, ed egualmente il ’Figlio’ vi appare con una minuscola: “Signore, spandi su Colui che tu hai scelto la tua forza, lo spirito sovrano che tu hai dato a tuo figlio”. Facendo il legame di questi elementi con la concezione kabbalista di Elia Benamozegh, si arriva alla riduzione dello Spirito e del Figlio a due “eoni” inviati da Dio, ma che non sono Dio, bensì degli “éoni” [coppia di entità che Dio manderebbe ogni tanto per illuminare gli uomini], come nel sistema dell’eretico gnostico Valentino, o delle forze semplici, “virtù” o energie spirituali. Questo riduce la Santa Trinità ad un concetto puramente simbolico, espressione di un sistema gnostico sotto le apparenze monoteiste (monoteismo appunto del “signore dell’universo”: lucifero, cosa di cui ci ha informato il sig. Margiotta, massone ex 33° del palladismo di Pike e Mazzini). Questo lascia trasparire la profonda conoscenza che il “marrano” Patriarca della massoneria universale dell’epoca, Montini [la cui famiglia materna era giudaica] aveva della kabbala e della gnosi spuria che egli ha travasato nel Cattolicesimo facendola apparire “cristiana” agli “ignari” fiduciosi della sua (finta) infallibilità! A chi ne volesse sapere di più, si consiglia : “Dell’Origine dei Dogmi Cristiani”, di Elia Bénamozegh. Cap. III. Caratteri dello Spirito-Santo, pag. 271, e, sempre dello stesso rabbino, gli: Atti del convegno di Livorno (settembre 2000) Alessandro Guetta (ed.), Edizioni Thalassa de Paz, Milano, coop srl. – Dicembre 2001 Via Maddalena, 1 – 20122 Milano. Quindi la SS. Trinità è intesa seconda la “gnosi spuria”: « Non è più la Trinità di persone nell’unità della sostanza, ma è l’Infinito, l’Assoluto, l’Eternità, l’Immensità incomprensibile, inintelligibile, vuota e senza alcuna forma, l’“ensof” in cui le tre persone non sono più che delle emanazioni temporali (…). Secondo il paganesimo, l’Essere primordiale, che è nello stesso tempo il Non-essere, si differenzia e si rivela solamente dopo un certo tempo, facendo emanare dal suo vuoto interiore le tre divinità che i pagani hanno adorato. Così si elimina la S.S. Trinità in vista della religione noachide. E qui il discorso si allargherebbe a dismisura esulando dalle intenzioni di questo scritto. Ricordiamo solo che la negazione dell’eternità della Trinità divina è la negazione della creazione “ex nihilo”, è la negazione della differenza essenziale tra Dio e l’universo; è l’abbassamento del Creatore al livello della sua creatura o la deificazione della creatura, in particolare dell’uomo.» In verità questa è stata sempre la costante del “falso” pontificato di Montini: sostituire l’uomo a Dio, sostituire alla Redenzione di Gesù-Cristo, la redenzione gnostico-cabalista della triplice e blasfema trinità massonica. Oltre a queste chiare eresie e l’intento noachide, la “forma” montiniana, nasconde un’ulteriore intenzione “occulta”, quella di designare un « Eletto » manicheo, aggiungendo l’espressione: “super hunc Electum”. “Electus” ha due sensi (cristiani) secondo il Gaffiot (termine electus) • scelto da Dio per la salvezza: VULG. Luc. XVIII,7 • scelto per ricevere il battesimo: AMBR. Hel. 10, 34. Poi il Gaffiot aggiunge un ultimo senso: • membro d’élite della setta dei manichei, [eretici gnostici, seguaci di Mani]: MINUC. 11,6. Ora, essendo gnostica la natura del sistema dal quale deriva questa formula, questo è il vero senso, e cioè l’intenzione del rito d’ordinazione episcopale di Paolo VI è un rito che conferisce dei poteri ad un eletto manicheo! A questo punto abbiamo bisogno di respirare aria pura, non ne possiamo più di tutti questi inganni! Certo, non vorremmo ritrovarci nei panni “infuocati” di un vescovo (falsamente) consacrato dopo il 1968, cioè un “eletto manicheo” anti-Cristo! Alla prossima per ricapitolare il tutto!

Omelia della Domenica XXII dopo Pentecoste

Omelia della Domenica XXII dopo Pentecoste

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. III -1851-]

(Vangelo sec. S. Matteo XXII, 15-21)

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Restituzione.

“Rendete a Cesare ciò ch’è di Cesare, ed a Dio ciò che è di Dio”. E’ questa la saggia, la divina risposta colla quale Cristo Signore confuse la malizia de’ Farisei. Si presentarono questi innanzi a Lui con meditata idea di perderLo in forza delle sue stesse parole, e così si fecero ad interrogarLo: “Maestro, noi sappiamo quanto siete veritiero, Voi non avete umani rispetti, non siete accettator di persone: diteci dunque: è lecito pagare a Cesare il tributo?” Se Gesù rispondeva di no, urtava gravemente con Cesare; se di sì, tiravasi addosso l’odio dei più zelanti della Sinagoga che, come popolo sotto l’immediato dominio di Dio, pretendevano non esser soggetti a tributo verso la secolare potestà. Gesù Cristo, che scopre la trama, “Mostratemi, dice, la moneta destinata a tributo”. “Al vederla: “di chi è quest’impronta?” soggiunge. Rispondono: “di Cesare”. “Rendete, adunque, conchiude, quel che è di Cesare a Cesare, e a Dio quel che è di Dio”. – “Reddite ergo quae sunt Caesaris Caesari, et quae sunt Dei Deo”. Un’opportuna riflessione è da farsi su queste parole del divin Redentore: perché nel suo rispondere antepone Cesare a Dio? Perché non disse piuttosto; rendete a Dio quel che è di Dio, e a Cesare quel che è di Cesare? Ecco, se mal non mi avviso il perché: Iddio non accetterà giammai l’omaggio che a Lui dobbiamo, se da noi non vengano prima adempiuti i nostri doveri col prossimo. Fra questi doveri i principali sono quel di giustizia, ed un fra questi de’ più essenziali è la restituzione dell’altrui roba. Di questa restituzione sono a tenervi ragionamento, e passo senza più a dimostrarvi due impossibilità in questo genere. Impossibilità di salvarsi per chi non restituisce, sarà la prima; impossibilità ordinariamente parlando di restituire, sarà la seconda. La prima è assoluta, la seconda è morale. Uditemi attentamente.

I . Che sia assolutamente impossibile il salvarsi per chi non restituisce la roba altrui è cosa definita nelle divine Scritture. Annovera l’apostolo quei che non entreranno al possesso del Regno dei Cieli, e fra questi i ladri, “neque fures Regnum Dei possidebunt” (1 Cor. VI, 10). Ora un ingiusto ritentore dell’altrui roba è un vero ladro, e per conseguenza è escluso dal Regno dei cieli. – In un sol caso ha eccezione questa saldissima regola; allora quando l’iniquo usurpatore dell’altrui sostanze si trovi in istato di stretta impotenza. Se costui abbia animo disposto e volontà decisa di restituire potendo, e in questa disposizione lo colga la morte, egli si salverà, come appunto si salvò il buon ladro, che nella fiducia in Gesù Crocifisso, e nella contrizione del suo cuore ebbe o espressa, o implicita volontà di risarcire, se avesse potuto, i danni delle sue ruberie. Fuor di questo unico caso, per chi non restituisce non v’è salvezza:Non remittitur peccatum, nisi restituatur ablatum” (S. Agost.). – Ragioniamo per maggior chiarezza su questo proposito. Il suo voler restituire è lo stesso che chiudersi la porta del cielo. Quali sono i mezzi più validi ad entrar in cielo? Scegliamone alcuni de’ principali, vale a dire, la preghiera, la limosina, la confessione sacramentale. Or tutti questi mezzi per se stessi efficacissimi son resi inutili da chi far non vuole la debita restituzione. Inutile la preghiera. Servi del Signore, alzate pure le vostre mani in mezzo al Santuario, dice il Re Salmista (Ps. CXXXIII), e sarete benedetti dal Fattore del cielo e della terra. Tutto l’opposto a chi tiene fra le mani la roba d’altri. Con che coraggio, dice a costoro Iddìo sdegnato, stendete a me le vostre mani supplichevoli, e al tempo stesso grondanti di umano sangue? Toglietevi dinanzi al mio cospetto, Io non vi ascolto: “manus enim vestrae sanguine plenae sunt” (Is. I, 15), sangue di vedove spogliate, sangue di assassinati pupilli, sangue di poveri oppressi, sangue d’operai non soddisfatti, sangue di creditori traditi. Se seguiterete a pregarmi con queste mani piene di sangue, ben lontano dall’esaudirvi, non vi degnerò neppure d’uno sguardo: “avertam oculos meos a vobis, non exaudiam”. – Inutile la limosina. Ha tanta virtù e tanta forza la limosina, che giunge a liberarci dalla morte, non dalla temporal morte, ma dalla morte spirituale ed eterna: “elemosyna a morte liberat” (Tob. XII, 9); poiché da questa doppia morte ci preserva, se siam vivi alla grazia, e se siamo morti pel grave peccato è efficace a muovere il cuor di Dio ad accordarci quelle grazie che ci faccian rivivere, che ci conducano a vera penitenza, che ci portino all’eterna vita. Tutto ciò corre assai bene per tutta sorta di peccatori, ma non per quelli che ingiustamente ritengono la roba altrui. “A questi, dice il Signore, onora Iddio con dar in limosina quel che è tuo, ma non già quello che ad altri appartiene”: “Honora Dominum de tua substantia(Prov. III, 9). Quel tanto che dai in limosina non è tuo; dallo a chi tu devi per titolo di rigorosa giustizia. Mi piace la limosina, ma più mi piace l’adempimento del mio dovere. La limosina alcuna volta è atto spontaneo di liberale elezione: la restituzione è sempre atto indispensabile di rigorosa giustizia. – Inutile infine la confessione. O voi, accostandovi al tribunale di Penitenza, manifestate l’obbligo che vi corre di restituire, o no. Se lo tacete, vi aggravate di un enorme sacrilegio; se lo confessate, il sacro ministro non può astenervi, se voi potendo non restituite. Il confessore in questo Sacramento ha la potestà o immediata o delegata d’assolvervi da ogni peccato, da ogni eresia, da ogni scomunica: ha la facoltà di sciogliervi da qualunque voto; così che se aveste a Dio promessa qualunque somma di denaro da distribuirsi ai poveri, o da applicarsi alla Chiesa, egli del tutto può dispensarvi da questo voto, o commutarlo in altra obbligazione; ma trattandosi d’obbligo di restituire, egli ha le mani legate, non può sciogliervi, non può disobbligarvi per alcun modo dalla medesima somma, bisogna restituire. – Dirò di più: Dio, Dio stesso, sebbene abbia di tutte le cose il supremo universale dominio, e possa trasferire da uno in altro il dominio d’ogni cosa, come già usò cogli Ebrei nell’uscir dall’ Egitto; pure di legge ordinaria e secondo la presente provvidenza non può dispensarvi da quella obbligazione, ch’Egli stesso v’impose; perché all’uso della sua padronanza si oppone la sua fedeltà e la veracità delle sue divine parole; onde convien conchiudere: o restituire, o dannarsi.

II. Dall’assoluta impossibilità di’ salvarsi senza la restituzione, passiamo a vedere l’impossibilità morale di restituire. Per morale impossibilità s’intende una somma difficoltà. A dimostrarvela notiamo una viva espressione del real Salmista. “Alcuni, dice egli (come sono i ladri, gli usurai, i prepotenti) si mangiano viva la povera gente, in guisa che divorano il pane: “Devorant plebem meam sicut escam panis” (Ps. XIII, 4). Il pane, o altro qualunque cibo, dalla mano portato alla bocca, e dalla bocca allo stomaco in forza del natural calore, si cangia in sangue, che si dirama in tutte le parti del corpo. Andate ora a cavar dalle vene quel cibo tramutato in sangue. Non altrimenti la roba tolta per furto o per usura, o posseduta di mala fede, si consuma in uso proprio, si confonde colle proprie sostanze, e passata così come in sangue e sostanza della persona e della famiglia, difficilmente si può estrarre, acciò ritorni alle mani del suo padrone. – Vediamolo in pratica. “So che devo restituire, dice colui, ma non già se restituendo io venga a decader dal mio stato”. Vi rispondono i Teologi: “se al vostro stato presente siete asceso per vie torte, per scale false, per frodi, per ingiustizie, voi siete tenuto a restituire anche col vostro decadimento. Come! siete innalzato sulle altrui rovine, e pretendete star sempre in alto calpestando le stesse rovine? No, no, dovete discender giù, la vostra altezza non è legittima, il vostro stato è affatto simile a quello di un assassino arricchito dell’altrui spoglie, ed è eguale in quello e in voi la necessità di restituire. – Se poi prima dei vostri latrocini eravate in possesso d’uno stato giustamente acquistato, consultate gli stessi Teologi, e vi diranno concordemente che se volete salvarvi conviene restringervi, bisogna con prudente risparmio e con studiosa economia troncare le spese superflue, giuochi, pompe, mode, cacce, conviti, splendidi trattamenti non sono più per voi finché con questa doverosa parsimonia non abbiate saldato i conti, e i debiti che avete col prossimo; poiché i vostri creditori, e tutti i da voi danneggi hanno diritto a tutto ciò che non è necessario al vostro onesto e discreto sostentamento. Ma qui sta appunto la difficoltà in adattarsi ad un restringimento economico per mettere da parte il superfluo al proprio stato, e restituire così il mal tolto, e riparare i cagionati danni. Eppure è indispensabile questa misura per chi si vuol salvare. Fingete che nei giorni del diluvio, quando Noè assegnava nell’arca il suo posto ad ogni specie d’animali, il leone, avvezzo ad aggirarsi per selve e per foreste, avesse rifiutato restringersi in una buca, e l’aquila, solita a spaziare nei vasti seni dell’aria, avesse ricusato racchiudersi in una gabbia, l’uno e l’altra sarebbero periti in quell’acque mortifere. È questa una figura di quel che a voi accadrà non restringendovi nel vostro trattamento, onde il superfluo vi porga un mezzo alla tanto necessaria restituzione. – “Io poi, dice un altro, voglio restituire, ma al presente non posso, restituirò alla prima raccolta”. Viene la raccolta, si toccan danari; ma questi abbisognano per farsi un abito, questi altri per coltivare quel terreno, per far un acquisto vantaggioso, e per cento altri bisogni in famiglia, e si ripete: per ora non posso. E così di tempo in tempo, di anno in anno si differisce, si prolunga or con uno, or con altro pretesto, e col dire restituirò, si palpa la coscienza, si fa tacere il rimorso, o si addormenta per modo che riduce tante anime al punto di morte col carico d’una restituzione non fatta, e per lo più impossibile a farsi. Di due obbligati alla restituzione fanno menzione le divine Scritture. Uno è Zaccheo, l’altro Antioco. Zaccheo pubblicano, visitato dal Salvatore e convertito davvero, dice a Gesù Cristo: “se qualcuno è stato da me defraudato, io restituisco sul momento”, – “si quid aliquem defraudati, reddo quadruplum(Luc. XIX, 8). Non dice, renderò, darò, restituirò, dice “reddo, restituisco subito, quel che dice lo manda ad effetto. Antioco per l’opposto, che aveva rubati i sacri vasi al tempio, promette che li renderà moltiplicati, ma queste promesse se le porta il vento (Macc. IX). Non si legge che desse alcun ordine o in voce o in iscritto, che si riparasse quel sacrilego spogliamento: si contentò abbondare di parole e di promesse, ma questa restituzione di lingua non bastò a salvarlo dalle mani dell’Onnipotente, non poté lo scellerato ottenere misericordia dal Signore. L’ottenne Zaccheo usuraio, e l’ottenne in tanta ampiezza, che egli e l’intera sua casa furono da Dio benedetti e salvati. Il perché già l’abbiamo veduto, perché pronto restituì sull’istante: “reddo quadruplum”. Si potrebbe qui domandare: “E perché Zaccheo restituì quattro volte tanto della roba tolta?” Ecco: Zaccheo da molti anni esercitava l’usura. In tanto tempo chi poteva calcolare i danni da lui cagionati a tante persone, a tante famiglie? Il danno primo della roba tolta, e l’ingiusta ritenzione della medesima, porta per l’ordinario dannosissime conseguenze, e perciò Zaccheo ravveduto volle restituire il quadruplo, “reddo guadruplum”. A queste conseguenze pochi fanno riflessione. Riflettete voi, se mai foste nel caso. Nel tempo che ingiustamente tenete roba o danaro del vostro prossimo, egli non può far uso del fatto suo: quel danaro, che sta in vostre mani, si potrebbe metterlo à traffico, potrebbe con quello coltivare la sua terra, ristorare la sua fabbrica, pagar i suoi debiti, comperare il necessario a prezzo più mite; e voi con restituire il puro capitale credete avere pienamente soddisfatto? Inganno, miei cari, inganno! Ma che dico, restituire il puro capitale? Con tanti danni cagionati per vostra colpa vi lusingate appagare la vostra sinderesi, soddisfare il prossimo, placar Dio, con dire e tornare a dire: restituirò. Oh “restituirò” infelice e seduttore, oh restituzione immaginaria, quant’anima porti all’impenitenza finale, all’eterna dannazione! – Deh per carità, fedeli amatissimi, rendete possibile almen per voi questa restituzione, che per gli altri è moralmente impossibile, attese le fallaci scuse, e i mendicati pretesti, coi quali l’uomo tenace studia ingannarsi, e perdersi per un fatale attacco alla roba, e per un più fatale accecamento differire la restituzione ad un incerto futuro. ”Reddite, dunque, se v’è cara la vostra salute, ve ne scongiuro colle parole dell’Apostolo, rendete a ciascuno, e senza dilazione, quel che di giustizia gli dovete”: “Reddite ergo omnibus debita” (Ad Tim. 1, IV,8). “Reddite”, vi ripeto colle parole di Gesù Cristo nell’odierno Vangelo, “Reddite ergo quae sunt Caesaris Caesari, et quae sunt Dei Deo”.

 

J.-J. GAUME: IL SEGNO DELLA CROCE [introd.; lett. 1-4]

PREFAZIONE DELL’AUTORE

Nel mese di novembre di questo anno (1862) un giovane cattolico di alto lignaggio veniva dalla cattolica Alemagna a Parigi, per compiere i suoi studi nel collegio di Francia. Tenerissimo delle pie tradizioni della patria sua, usava segnarsi del segno della croce prima e dopo il pranzo. Siffatta usanza, sulle prime meravigliò i suoi compagni, ed in seguito, per essa fu fatto segno alle beffe di loro. In una delle nostre visite ci domandava qual fosse il pender nostro sul conio del segno della croce in generale e della sua pratica di segnarsi prima e dopo il pranzo. Le seguenti lettere rispondono alle due questioni proposteci.

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LETTERA PRIMA.

Parigi, 25 novembre 1863.

Mio Caro Federico

Quindici giorni soltanto sono scorsi da che i giornali, ci annunziavano il naufragio del capitano Walker. Siffatta nuova, che leggevamo insieme, ci attristò grandemente, che per essa conoscemmo la morte di alquanti viaggiatori nostri amici. La nave aveva dato in uno scoglio, ed una larga vena di acqua si era aperta in essa, e tutti gli sforzi dell’equipaggio tornando inutili a chiuderla, la nave s’immergeva oltre la sua linea di flottazione. Si cercò scemarne il peso col getto delle mercanzie al mare; dopo queste, delle provvigioni da guerra, che furono seguite da una parte dei mobili e degli attrezzi, serbando solo due o tre botti di acqua, e qualche sacco di biscotti. Tutto fu inutile. La nave affondava, il naufragio diveniva imminente. Come, estremo mezzo di salute, Walker comandò che le scialuppe si mettessero in mare; ciascuno vi si precipitò. Sventura! La maggior parte dei viaggiatori a vece di trovarvi la vita, vi trovò la morte. – Questo racconto, trattane qualche circostanza, è la storia di lutti i grandi naufragi. Gl’infelici comandanti e la ciurma in questi estremi sono da scusare se gettano al mare tutto quello che si può. — La vita è da salvare innanzi tutto! – Il mondo attuale, questo mondo che dicesi ancora cristiano, cui per fermo appartengono i tuoi compagni, presenta più di un tratto di somiglianza con una nave che ha sofferto avarie, ed é sul punto di naufragare. Le furiose tempeste, che da poi lungo tempo battono il legno della Chiesa, vi hanno aperte delle grandi vene di acqua, e per lo mezzo di esse vi si sono introdotti de’ grandi fiotti di dottrine, di costumi, di usi, di tendenze anticristiane. Guai, non per la nave, che non può perire, ma pei viaggiatori! Qual cosa mai è stata fatta? Io non parlo del mondo disvelatamente pagano; il suo naufragio è compiuto: ma di quello che pretende ancora di essere cristiano. Che ha egli fatto, e fa continuamente delle provvigioni da guerra e da bocca, delle mercanzie, dei mobili e degli attrezzi, di che la Chiesa aveva provveduta la nave, per assicurare il successo della navigazione fino al porto della eternità a schermo degli scogli e delle bufere? Desso ha tutto, o quasi tutto, gettato al mare! – Dov’ è la domestica preghiera nelle famiglie? al mare. Le pie letture? al mare. La benedizione della mensa? al mare. L’assistenza frequente al santo sacrifizio, lo scapolare, la corona? al mare. La santificazione della domenica, assistendo alle sacre istruzioni ed agli uffizi divini, con le visite de’poveri, degli afflitti e de’malati? al mare. L’uso regolare de’ sacramenti, la osservanza delle leggi del digiuno e dell’ astinenza? al mare. Lo spirito di semplicità e di mortificazione nei panni, nella mobilia, nel cibo e nell’abitazione? Il Crocifisso, le sante immagini, l’acqua benedetta negli appartamenti? al mare, al mare! – La nave frattanto continua ad affondarsi. Lo spirito cristiano si scema, e Io spirito opposto cresce a vista. Si cerca riparare in qualche battello, voglio dire, in certe forme di religione che ciascuno stabilisce a seconda della propria età, condizione, temperamento e gusto, ed in esse si vive. – L’assistenza alla Messa bassa la domenica: e come? Alla Messa solenne un tre, quattro fiate nell’anno; a vespro, giammai. Usare frequentemente a spettacoli e balli; la lettura di quanto si presenta; nulla negarsi, eccetto quello che non può aversi: ecco i battelli ne’ quali si cerca la salvezza. — È mestieri meravigliarsi di tanti naufragi? Poveri viaggiatori, separati dalla nave, voi movete a compianto! Ma più ancora è da compiangere la generazione che cresce! – Fra le usanze del cattolicismo, imprudentemente abbandonate dal mondo moderno, ve n’ ha una più che altra mai rispettabile, che ad ogni costo vorrei salvare dal naufragare, ed è quella che i compagni tuoi disprezzano, senza sapere quello, che facciano; vo’ dire il segno della croce. — È tempo ormai di provvedere alla conservazione di esso; che altrimenti fra poco esso avrà la sorte di tante altre pratiche tradizionali, che noi dobbiamo alle materne cure della Chiesa, ed alla pietà de’ secoli cristiani trascorsi. – Vuoi tu sapere, mio caro Federico, quel che sia divenuto il segno della croce nel mezzo del mondo che si pretende cristiano? Un dì di domenica ti ferma alla porta di una delle grandi chiese, ed osserva la folla che entra nella casa di Dio. Un gran numero si avanza scioperatamente, o con fasto, il che è tutt’uno, nel luogo santo, senza neppure guardare il vaso dell’acqua benedetta, e senza fare il segno della croce. Altri, in numero ad un dipresso uguale, prendono o ricevono, o fanno mostra di prendere o di ricevere l’acqua benedetta e di segnarsi. Tu vedrai cacciar nell’acqua benedetta la punta di un dito ricoperto di guanto, il che non è liturgico, come non 1’è confessarsi e comunicarsi con i guanti. – Della maniera poi con che siffatto segno è eseguito, meglio sarebbe non far parola; poiché è tale, che il più abile geroglifichiere incontrerebbe della pena a spiegarla. Un movimento di mano senza riflessione, in fretta, a metà, macchinale, di che torna impossibile assegnare una forma, o darne un significato ; oltre che gli autori di esso credono di nessuna importanza quello, che fanno: ecco il loro segno di croce della domenica. – Nel mezzo di questa folla di battezzati ti sarà difficile trovare qualcuno che faccia seriamente, regolarmente e religiosamente il segno venerabile di nostra salute. Or se in pubblico ed in circostanze solenni, la maggior parte non fa, o fa male il segno della croce, stento a persuadermi che lo facciano bene nelle altre, in cui, secondo l’apparenza, v’hanno minori ragioni da farlo, e ben farlo. È dunque un fatto: i cristiani di oggidì non fanno il segno della croce, o lo fanno raramente, o male. Su questo punto, come su molti altri, noi siamo agli antipodi de’ nostri antenati, i cristiani della Chiesa primitiva. Quelli si segnavano, e si segnavano bene, e soventemente. – Nell’Oriente come nell’Occidente, a Gerusalemme, ad Atene, a Roma, gli uomini e le donne, i vecchi ed i giovani, i ricchi ed i poveri, i preti ed i semplici fedeli, tutte le classi della società osservavano religiosamente siffatto uso tradizionale. — La storia nulla ha di più certo; i padri testimoni oculari ne fanno fede; tutti gli storici Io accertano. Nulla mi sarebbe più facile del ripeterti le loro parole, ma tu le troverai presso il dotto tuo compatriota nella sua opera : De Cruce, Gretzer. Ma invece di tutti ascolta il solo Tertulliano: “A ciascun movimento e ad ogni passo, entrando e sortendo, prendendo gli abiti ed i calzari, al bagno, alla mensa, nel mettersi a letto, nei consigli, checché da noi si faccia, noi segniamo la nostra fronte del segno della croce .[“Ad omnem progressum atque promotum, ad omnem aditum et exitum, ad vestitum et calceatum, ad lavacra, ad mensas, ad lumina, ad cubilia, ad sedilia, quaecumque nos conversatio everret. frontera crucis signáculo ferimus”. (Tertull. De eoron. milit. e. 111) – “In frontibus, et in oculis, et in ore, et in pectore, et in ómnibus membris nostris”. (S. Ephrem, Serm. In pret. et vivif. Crucem.)]. – È chiaro: a ciascun momento i nostri antenati, odi un modo, o di un altro si segnavano, e non solamente sulla fronte, ma su gli occhi, sulla bocca e sul petto. Di che seguita, che se i cristiani primitivi comparissero sulle nostre piazze, o nelle nostre abitazioni, facendovi quanto eglino eseguivano, or sono diciannove secoli, noi saremmo sul punto da reputarli maniaci; tanto è vero che noi siamo a loro antipodi sul conto del segno della croce. Eglino aveano torto, e noi abbiamo ragione; o eglino ragione, e noi torto? È una delle due; non v’ha mezzo. Quale delle due? – Ecco la questione. l’essa è grave, gravissima, più che per fermo il pensino i tuoi compagni, e quelli, che ad essi si assomigliano. Spero rendertene convinto colle mie segnenti lettere.

LETTERA SECONDA.

27 novembre.

Mio Caro Amico

Ne’ giudizi ordinari le circostanze esteriori producono grande effetto. Soventi volte desse contribuiscono alla formazione della opinione de’ giudici, come le testimonianze dirette. Tu il sai, sono cosi detti gli antecedenti, la posizione, il carattere morale degl’interessati nella causa. Perché eliminarle noi dal processo che ci occupa? Innanzi però di apportare le ragioni de’ primi cristiani dedotte dalla natura stessa del segno della croce, esaminiamo insieme le presunzioni, che militano in favore della loro condotta. – Prima presunzione in favore de’ cristiani è la loro vicinanza agli Apostoli. Gli apostoli avevano conversato col Verbo incarnato, con la “Verità” stessa, e vistala con i propri occhi, toccata di loro mani. Eglino erano i depositari e gli organi infallibili della sua dottrina, con ordine d’insegnarla per intero e senza mutamento alcuno. I cristiani parimenti avevano visto gli Apostoli e gli uomini apostolici, li avevano intesi ed usato con loro frequentemente ricevendo la fede ed il Battesimo dalla bocca e dalla mano di essi. Bevvero la verità alla fonte istessa! – Di questa verità, cui tutto dovevano, si nutrivano, ne facevano la norma del loro operare, conservandola con inviolabile fedeltà, “perseverante in doctrìna apostolo rum”. E chiaro che nessuno mai trovossi in condizioni migliori per conoscere il pensiero degli Apostoli, e di Nostro Signore stesso. E mestieri però affermare che, se i cristiani primitivi facevano il segno della croce a ciascun instante, ubbidivano ciò facendo ad una raccomandazione apostolica; altrimenti gli Apostoli ed i loro primi successori, custodi infallibili del triplice deposito della fede, della morale e della disciplina si sarebbero ben dato la pena d’interdire un uso inutile, superstizioso e tale, da esporre i neofiti allo scherno del paganesimo ignorante. Sicché, lo ripeto, i cristiani della Chiesa primitiva, facendo soventemente il segno della croce, agivano’ con piena conoscenza di causa. — Prima presunzione in favore di loro condotta. – Seconda presunzione in favore de’ primi cristiani; la loro santità. I primi cristiani erano, non solo peritissimi della dottrina degli Apostoli, ma altresì fedelissimi nella pratica di essa. N’è prova la loro santità, e che questo fosse il carattere generale de’ primi cristiani, è facilissima cosa il vedere come sia evidentemente dimostrato.

1°- Eglino amavano piuttosto perdere tutto e la vita stessa nel mezzo di crudeli supplizi, anziché offendere il loro Dio. L’eroismo dell’animo loro durò quanto la persecuzione, tre secoli.

2°- Ferventissima n’era la carità. Il cielo e la terra di unita hanno fatto del loro fraterno amore un elogio unico negli annali del mondo. Eglino avevano un sol cuore ed un’anima sola, “cor unum et anima una”, ha detto di loro Dio stesso. Vedete come si amino, ed in qual maniera siano solleciti di morire gli uni per gli altri, “vide ut invicem ne diligant et ut prò alterutro morì sint parati”, esclamavano i pagani.

3°- Il cuore nutriva tale un rispetto, e tanta tenerezza per gli Apostoli da esser loro ubbidienti con filiale sommissione. San Paolo, che non era largo di elogi, scrive a’ cristiani di Roma, che la loro fede è in gran fama nel mondo intero; e a quelli dell’Asia: che l’amavano siffattamente, che gli occhi stessi gli avrebbero donato. Alla preghiera dell’apostolo tutte le Chiese gareggiano per correre al soccorso de’ fratelli di Gerusalemme, e Filemone riceve Onesimo.

4° I Padri della Chiesa testimoni oculari continuano siffatta testimonianza in favore della santità de’ primi cristiani. Tertulliano diceva a’ giudici, ai pretori, ai proconsoli dell’impero, sfidandoli: Ne appello alle vostre procedure, o magistrati, cui è commesso il ministero della giustizia. In tutta quella moltitudine di accusati che ciascun giorno è tradotta innanzi ai vostri tribunali, v’ha qualche avvelenatore, un sacrilego, un assassino, che sia cristiano? De’ vostri rigurgitano le prigioni, i vostri popolano le mine, i vostri ingrassano le belve dell’anfiteatro; de’ vostri è composto l’armento de’ gladiatori. Fra essi non v’ha un solo cristiano, e se v’ha, vi è pel solo delitto di essere cristiano [Apolog. c. 44]. – Gli storici pagani riconoscono la loro innocenza ed i persecutori stessi rendono omaggio alla loro virtù. Tacito, qnesto scrittore pur troppo prevenuto ed ingiusto contro i nostri padri, narra gli orrendi massacri di cristiani de’ tempi di Nerone. Una moltitudine enorme, “multitudo in gens”, moriva nel mezzo de’ più barbari supplizi. Dessa era innocente di quanto veniva accusata; ma dessa era colpevole dell’odio del genere umano “odio generis Humani”. Cosi egli. — E chi era mai questo genere umano? Tacito stesso lo dice: Il fango del popolo, la crudeltà vivente. — Perché tant’odio? Perché il male è un nemico irreconciliabile del bene. La santità de’ nostri padri era la condanna severa de’ mostruosi delitti commessi dai pagani; epperò le carneficine di Nerone, e le sue fiaccole viventi. Quaranta anni dopo Nerone, Plinio il giovane, governatore della Bitinia, riceve ordine da Traiano di procedere contro de’ cristiani. Cortigiano fedele esegue gli ordini del suo signore per filo ed a segno da dar la caccia dapertutto ai nostri padri e di persona interrogava i torturati. Ma da tutte le sanguinose inchieste qual fu il delitto scoperto? « Tutto il delitto de’ cristiani, scrive egli a Traiano, è di assembrarsi in alcuni giorni innanzi l’aurora per cantare ad onore di Cristo degli inni, come ad un Dio; obbligarsi con sacramento di non commettere alcun delitto, di guardarsi dal commettere furti, adulterio, spergiuro. Ne ho torturato ben molti, ma non li trovo colpevoli, che di una falsa ed eccessiva superstizione » [Epist. lib. x, ep. 97]. – Discorrendo della santità de’ nostri antenati mi son dilungato alquanto, perché dessa, a mio modo di credere, è la presunzione la più forte in favore del segno della croce. Quando uomini di questa tempra si mostrano al cospetto della morte tenerissimi di qualche uso, è mestieri affermarlo più importante di quello, che i tuoi nuovi compagni lo reputano. – Terza presunzione in favore dei cristiani primitivi, è la pratica de veri cristiani ne’ secoli successivi. — L’Oriente e l’Occidente hanno visto formarsi tosto delle comunità religiose di uomini e di femmine. In questi asili separati dal mondo lo spirito evangelico e le apostoliche tradizioni sono conservate, se non immobilmente, per lo meno con la maggior fedeltà e verità. Fra gli antichi usi conservati con particolare cura è il segno della croce. I nostri padri, scrive uno de’ loro storiografi, praticavano il segno della croce con grandissima frequenza e religione. Eglino si segnavano levandosi da letto ed avanti di collocarvisi, avanti il lavoro, sortendo di monastero e dalle celle, e quando vi entravano. A mensa segnavano di croce il pane, il vino, ciascuna vivanda [Marlene De antiq. monach. ritib. lib. 1, c. I, n. 35 etc.]. -Nel mondo, fuori di questi asili, il segno redentore cammina su di una linea parallela. Tutti quei grandi nomi che nel corso di cinque secoli si sono succeduti in Oriente ed Occidente, quei geni impareggiabili, che sono detti Padri della Chiesa: Tertulliano, Cipriano, Atanasio, Gregorio, Basilio, Agostino, Crisostomo, Girolamo, Ambrogio, e tutti gli altri, il cui catalogo spaventa l’orgoglio, e lo schiaccia col suo peso; tutte queste sublimi intelligenze facevano assiduamente il segno della croce, ed inculcavano a tutti i cristiani di eseguirlo in ogni occasione. – Ho detto i Padri della Chiesa essere grandi geni e grandi uomini. Se come tali li presenterai a’ tuoi compagni, attenditi un sorriso di compassione. Non voler loro portarne astio; i poveri giovani conoscono i Padri della Chiesa, come gli antipodi. Invece domanda loro quello ch’eglino intendano per grande uomo, ed in mancanza di loro risposta ecco la mia, di che potrai al bisogno far uso. – Chiama “grandi uomini” coloro, che con genio elevato, profondo, esteso abbracciano l’orizzonte del mondo della verità; che conoscono le scienze, gli uomini e le cose non superficialmente, ma ne’ loro principii, nel loro scopo ed intima natura; non la sola materia, ma anche lo spirito; non l’uomo solo, ma pur l’angelo; non la sola creatura, ma ancora il suo Creatore; non sol quanto è al di qua della tomba, ma eziandio quanto è oltr’essa. Di tutto non solo le singole parti, ma l’insieme, di che sanno far scaturire delle luminose ed inattese applicazioni al perfezionamento della umanità. – Ecco il genio, ed ecco il padre della Chiesa! Tu puoi ben sfidare i tuoi compagni di trovare fra gli antichi ed i moderni qualcuno, che abbia meglio, o così bene in sé attuata la definizione del grand’uomo. Per quanto siano salite in fama le specialità attuali in chimica, in fisica, in meccanica, in industria, non sono, né geni, né grandi uomini. L’uomo, il cui sguardo abbraccia una sola legge dell’armonia universale, non merita il nome di genio; come non si chiama gran musico chi non sa far sortire dal suo strumento che un suono solo, ma quello che fa vibrare armonicamente tutte le corde. – Il tempo non mi consente compiere la lettera questa sera, il seguito a domani.

LETTERA TERZA.

28 novembre.

Ora, mio caro amico, senza eccezione alcuna tutti questi grandi geni facevano il segno della Croce, come devote giovanette. Questi lo facevano continuamente e non rifinivano dall’inculcare i cristiani di eseguirlo in tutte le occasioni. Fare il segno della croce sopra di quelli che mettono in Gesù Cristo ogni loro speranza, dice uno di loro, è cosa fra noi notissima, e studiosamente eseguita, “Primum est et notissimum” [S. Basil. De S. S. c. xxvii]. – Un altro: La croce è dappertutto: presso i re ed i sudditi, gli uomini e le femmine, le vergini e le spose, gli schiavi ed i liberi, tutti segnano di esso il membro più nobile, la fronte…. Non vogliate sortire dalla vostra abitazione senza dire: “Rinunzio a satana, e sono seguace fedele di Cristo”, e senza accompagnare queste parole col segno della croce: “cum hoc verbo et crucem in fronte imprimas” [Grysost. Hom. xxi, ad pop. Antioch.]. – Ed un altro: Noi dobbiamo segnarci ad ogni operazione che ci occorre compiere nel corso del giorno; “omne diei opus in signo facere Salvatori” [S. Ambr. Serm. XLIII]. – E Gaudenzio, il gran vescovo: « Il segno della croce sia fatto constantemente sul cuore, sulle labbra, e sulla fronte, al pranzo, al bagno, al letto, entrando o sortendo da casa, nella gioia e nella tristezza, stando seduto ed in piedi, parlando, camminando, a dir corto, in ogni operazione: “verbo dicam, in omni negotio”. Facciamolo sul nostro petto e sopra tutte le membra, onde l’intero nostro corpo sia difeso da questa invincibile arma de’ cristiani : “armemur hac insuperabili christianorum armatura” [S. Gaud. Ep. Brix Traet. de leet. evang., S. Ciril. Hier. Cateen, iv, n. 14. – S. Ephrem. de Panoplia]. – Fino agli estremi di loro vita, confermando le parole coi loro esempi, noi vediamo questi geni morire, come l’illustre Crisostomo, questo re della eloquenza, segnandosi del santo segno redentore. Il fiore de’ cristiani formato a questa scuola ne imitava gli esempi. Girolamo parlando di Paola, di questa discendènte degli Scipioni, ci dice: Dessa, sul punto di rendere la. sua bell’anima, quando ci era già impossibile più intendere le sue parole, aveva il dito sulla bocca, e, fedele al pio uso, ella disegnava la croce sulle sue labbra [Ad Eustoch. De Epiph. Paulae. -; Vita cap. XV]. – Attraversiamo i secoli ed accenniamo qualche anello della catena tradizionale. Senza far parola degl’immortali imperatori, legislatori e guerrieri ad un tempo, Costantino, Teodosio, Carlomagno, fedeli al pio uso di segnarsi del santo segno della croce, arriviamo al migliore de’ re, che abbia avuto la Francia, S. Luigi. Il suo amico ed istoriografo “de Joinville” scrive di lui: « Il re cominciava dal segno della croce la tavola, il consiglio, la guerra, tutte le sue azioni »(Vita cap. XV). Del cavaliere senza paura e senza rimprovero, Baiardo, ferito a morte, ultimo gesto fu il segno della croce, ch’egli fece con la spada. – La potenza cattolica e la potenza musulmana si trovano di rincontro nel golfo di Lepanto, rappresentate da due flotte che sorpassavano il numero di quattrocento vele. Da questa guerra dipende il trionfo della civiltà, o quello della barbarie, i destini dell’Europa sono nelle mani di Don Giovanni d’Austria. L’eroe cristiano innanzi di dare il segno della battaglia si segna, ed i capitani lo imitano. L’islamismo non ancora può rifarsi della completa rotta, che ne riportò. Ma non pertanto un secolo più tardi voleva riparare le sue perdite. Le sue orde innumerevoli si avanzavano fin sotto le mura di Vienna. Sobieski accorre con forze che sono un nulla al confronto di quelle dell’inimico. Ma Sobieski è cristiano. Innanzi di discendere nel campo della battaglia fa segnare di croce la sua armata, e se stesso segua di una croce vivente, ascoltando la Messa con le braccia distese in forma di croce. “Per questo segno, dice un guerriero cristiano, il visir fu battuto”. – Non la finirei, mio caro, se volessi narrare tutti i fatti storici che confermano la frequenza e la perpetuità di questo segno, presso i veri cristiani di tutti i secoli e di tutte le condizioni, sì nel mondo, che ne’ chiostri dell’Oriente e dell’Occidente. Questa gloriosa tradizione non è una presunzione rispettabile in favore de’ nostri maggiori della Chiesa primitiva? Che cosa mai ne pensano i tuoi compagni? – Quarta presunzione in favore de’ primi cristiani è l’uso della Chiesa. I secoli, e con essi gli uomini cangiano leggi, abitudini, mode, linguaggio, maniera di vedere e di giudicare: tutto si modifica. Solo la Chiesa non cambia mai, immutabile come la verità di che è maestra, quanto essa insegnava e faceva ieri, insegna ed opera quest’oggi, insegnerà ed opererà domani e sempre [alcuni pagliacci, impostori bastardi della sinagoga di satana, introdottisi oggi nella Chiesa, sostengono senza vergognarsi, che la Chiesa deve cambiare … “dai loro frutti li giudichiamo” – ndr. -]. Qual è il suo pensiero e la sua condotta sul conto del segno della croce? Nulla v’ha, su di che meglio si mostri la sua divina immutabililà. Da più di 18 secoli si può dire, che la Chiesa vive del segno della croce: un istante solo non lascia di praticarlo. Comincia, continua, compie ogni operazione con questo segno. Di tutte le sue pratiche il segno della croce è la principale, la più comune e familiare, desso è l’anima de’ suoi esorcismi , delle sue preghiere e benedizioni. Quanto essa opera al presente nelle nostre basiliche sotto i nostri occhi, essa operava nelle catacombe al cospetto de’ nostri padri. Senza il segno della croce, dicono essi, nulla si fa tra noi legittimamente, niente è santo e perfetto [“Sine quo signo nihil est sanctum, neque alia consecratio meretur effectum”. S. Cypr. de bapt. chr. “Quod signum nisi adhibeatur, nihil recte perficitur”. S. Aug Tract. 188 in Joan. n. 5]. – Il potere della Chiesa, come quello del suo Fondatore, si esercita sulle persone e sulle cose, si estende sino al cielo e per tutta la terra : “Data est mini omnis potestas”. Come la esercita essa? Per lo mezzo del segno della croce. Quanto essa destina a’ suoi usi, l’acqua, il sale, il pane, il vino, il fuoco, le pietre, il legno, l’olio, il balsamo, il lino, la seta, il bronzo, i metalli preziosi, tutto segna di croce. Quanto appartiene ai suoi figli, le loro dimore, i campi, gli armenti, i loro strumenti da lavoro, le invenzioni di loro industria, di tutto prende possesso col segno della croce. Vuole dessa preparare al Signore del cielo un’abitazione sulla terra? Innanzi tutto la croce deve conservare lo spazio che occuperà l’edilizio. Niuno, dicono i Concili, si permetta innalzare una Chiesa, innanzi venga il Vescovo e vi faccia il segno della croce per scacciare satana [“Nemo Ecclesiam aedificet, antequam Episropus civitatis veniat et ibidem crucem figat: addit glossa, ad abigendas inde daemonum phantasias”. (Novella T, paragraph. I. Cap. Nem. consecrat. dist. 1]. – Il segno della croce è il primo mezzo, di che usa per benedire i materiali del tempio, e per ben venti volte lo esegue sul pavimento, sui pilastri, e l’altare, e per renderlo immobile fa sormontare il tempio da una croce di ferro. Quando i suoi figli verranno nella casa di Dio, che faranno eglino avanti che ne passino la soglia? Il segno della croce. Da qual cosa i capi della preghiera, i vescovi ed i preti cominceranno a celebrare le lodi dell’ Altissimo? Dal segno della croce. Quando al principio de’ santi uffizi noi facciamo il segno della croce accompagnandolo con le parole: “Signore venite in mio soccorso”; è come se dicessimo, scrive un’antico liturgista: “Signore, la vostra croce è il nostro aiuto”: la mano ve ne rappresenta il segno, e la lingua vi prega. satana è il condottiere di tutti i nostri nemici; egli governa il mondo, e solletica la nostra carne. Ma se voi, o Signore, verrete in nostro soccorso con la vostra croce, esso e tutti i nostri nemici verranno messi in fuga. – Ecco la sua condotta per 1’uomo tempio vivo della Trinità. Quello, che opera sopra di lui quando sorte dal seno materno, è il segno della croce; e quando l’uomo entra nel seno della terra, la Chiesa dello stesso segno l’adorna. Questo è il primo saluto e l’ultimo addio, ch’ella usa col figlio della sua tenerezza. E quanti segni di croce lungo il tempo interposto fra la tomba e la culla? Al Battesimo, quando egli diviene figlio di Dio, lo segna di croce; nella Confermazione, sul punto di divenire soldato della virtù, lo segna di questa croce; nella Eucaristia, quando riceve il pane degli angeli, lo segna parimente; alla Penitenza, dove l’uomo riacquista la vita divina, il segno redentore è eseguito sopra di lui; nella estrema Unzione, dalla quale trae forza per l’ultima battaglia, la croce lo segna; nell’Ordine e nel Matrimonio, in questa associazione alla paternità divinar la Chiesa onora l’uomo con questo segno. [“Si regenerari oportet, crux adest; si mystico cibo nutriri, si ordinari, et si quidvis aliud faciendum, ubique nobis adest hòc victoriae symbolum”. (S. loan. Chrysot. in Matth, homil. 54, n. 4). “Quod Signum nisi adbibeatur frontihus crederitium, sive ipsi aquae in qua regenerantur, sive oleo quo chrismate unguntur, sire sacrificio quo aluntur, nihil eorum recte perficitur. S. August, in Joan, iract. 128, n. 5]. – Ma v’ha di più. Quando la Chiesa nella persona del Sacerdote ascende l’altare armato della onnipotenza con che comanda, non più alla creatura ma al Creatore, non all’uomo ma a Dio, il cielo si apre alla sua voce, ed il Cristo rinnova tutti i misteri della sua vita, della sua morte, e della gloriosa risurrezione; v’ha alto alcuno da eseguire con maggiore solenne gravità, e da cui è da eliminare accuratamente quanto potrebbe essere straniero e superfluo? Ora nel corso di questa azione per eccellenza, che cosa fa la Chiesa? In essa più che in ogn’altra moltiplica il segno della croce; dessa si ravvolge nel segno della croce; cammina attraverso questo segno, lo ripete sì soventemente, che il numero di questo potrebbe sembrare esagerato, se non fosse profondamente misterioso. Sai tu quante volte il prete esegue il segno della croce lungo il tempo della Messa? Egli lo fa quarantotto volte. Dico male: per quanto dura il Sacrificio, il prete è un segno di croce vivente. – E la Chiesa Cattolica, la grave istitutrice delle nazioni, la grande maestra della verità, si compiacerebbe di ripetere in sì solenne azione, un segno inutile, superstizioso, o di nessuna importanza! Se i tuoi compagni lo credono, a torto sono increduli; non mancano di credulità. La condotta della Chiesa e de’ veri cristiani di tutti i secoli, è una presunzione vittoriosa in favore de’ nostri antenati. – La quinta presunzione in favore de’ primi cristiani sono “quelli che non fanno il segno della croce”. Sulla terra v’hanno sei categorie di esseri che non fanno il segno della croce. I pagani: Cinesi, Indiani, Tibetani, Ottentotti, i selvaggi dell’Oceania, gli adoratori d’idoli mostruosi, i popoli profondamente degradati, e non meno infelici; questi non fanno il segno della croce. I maomettani: simili agli immondi animali pel sensualismo, ed alle tigri per la ferocia, sono automi del fatalismo; questi, non si segnano. I giudei: incrostati di falde di profonda superstizione, sono una pietrificazione vivente di una razza scaduta; questi neanco si segnano. Gli eretici: settari orgogliosi a segno da voler riformare l’opera di Dio, e cui toccò in sorte perdere fin l’ultimo lembo di verità, “io posso, scriveva non ha guari uno de’ ministri prussiani, scrivere sull’unghia del mio pollice quanto v’ha di comune credenza fra i protestanti”: i protestanti non hanno il segno della croce. I cattivi cattolici: rinnegati del loro Battesimo, schiavi del rispetto umano, superbi ignoranti, che parlano di tutto del tutto, ignoranti, adoratori del dio ventre, del dio carne, del dio materia, e la cui vita è sozza al pari d’immondo limo: questi del pari non si segnano. Le bestie: bipedi e quadrupedi di tutte le specie; cani, gatti, asini, muli, cammelli, i barbagianni, i coccodrilli, le ostriche, gl’ippopotami, questi non si segnano. – Tali sono le sei categorie di esseri che non fanno il segno della croce. Se nei tribunali il carattere morale degli accusatori e dei difensori contribuisce grandemente, innanzi lo stesso esame della causa, a formare l’opinione de’ giudici; lascio a te stesso pensare se il carattere di quelli che non fanno il segno della croce sia una presunzione favorevolissima pei primi cristiani! – A dir breve, relativamente al segno della croce frequentemente eseguito, il mondo è diviso in due campi opposti. A favore: gli ammirevoli cristiani della primitiva Chiesa, gli uomini di gran santità, i più grandi geni dell’ Oriente e dell’ Occidente, i veri cristiani di tutti i secoli, la Chiesa cattolica istessa, maestra di verità. – Contro: i pagani, i maomettani, i giudei, gli eretici, i cattivi cattolici e le bestie. – Mi pare che tu possa di già pronunziarti. Ma meglio lo potrai quando saprai le ragioni, che condannano gli uni e giustificano gli altri. Te le dirò nelle seguenti lettere.

LETTERA QUARTA.

29 novembre.

« Per me, tu mi dici, mio caro Federico, la questione è giudicata. Giammai potrei credere che Iddio avesse dato la verità ed il buon senso a’ suoi nemici, condannando all’errore, ed alla superstizione i migliori amici suoi ». – Questa confessione mi consola, e non mi sorprende. Il tuo spirito cerca la verità, ed il tuo cuore non la rigetta. Se tutti fossero nella stessa disposizione, il compito d’apologista sarebbe facile, ma sventuratamente l’è tutto altrimenti! Nella maggior parte delle controversie, e principalmente nelle controversie religiose l’uomo discute non con la sua ragione, ma con le proprie passioni. Non per la verità, ma per la vittoria egli combatte. Triste vittoria, che conferma la sua schiavitù all’errore, ed al vizio. – Quello, che so de’ tuoi compagni e di altri pretesi cattolici del nostro tempo, mi fa temere ch’eglino agognino a siffatta vittoria. Io li amo, devo loro disputarla: e, per squarciare tutte le bende, in che si ravvolgono, e per illuminare la tua convinzione, voglio esporti le ragioni intrinseche, che giustificano l’inviolabile fedeltà de’ veri cristiani al frequente uso del segno della croce. Ma facciamo innanzi giustizia alla grande obiezione de’ moderni disprezzatori del segno adorabile. “Altri tempi, altri costumi”, eglino dicono. Quanto era utile ed ancora necessario ne’ primi secoli della Chiesa, non l’è più di presente. I tempi si cambiano: è da vivere col proprio secolo. – San Pietro risponde loro, che: “Gesù era ieri, egli è oggi, egli sarà lo stesso ne’ secoli de secoli”. Tertulliano aggiunge : “il Verbo incarnato si chiama verità, e non consuetudine”. Ora la verità non cambia. Quello, che gli Apostoli e i cristiani della primitiva Chiesa, i veri cristiani di tutti i secoli hanno creduto utile, e fino ad un certo punto necessario, non ha finito di esserlo. Io oso affermare, che di presente è più necessario che in altri tempi. Il che è reso manifesto da’ caratteri di somiglianza che esistono fra le posizioni de’ cristiani de’ primi secoli, e quella de’ cristiani del secolo decimonono. – Qual era la posizione de’ nostri padri della Chiesa primitiva? Dessi erano al cospetto di un mondo non cristiano, che non voleva divenirlo, che non voleva che altri lo fosse, che perseguitava a morte quanti si ostinavano ad esserlo. E noi, non siamo noi in faccia di un mondo, che cessa di essere cristiano, che non vuole divenirlo di nuovo, che non vuole che altri lo sia, che perseguita, or con scaltrite arti, ed or con la forza quelli che coraggiosi professano il Cristianesimo? Se, in una eguale posizione i primi cristiani, disciplinati alla scuola apostolica, hanno riconosciuto necessario l’uso frequente del segno della croce, quali ragioni avremmo di abbandonarlo? Siam noi forse più abili, o più forti? I pericoli sono meno grandi, i nemici in minor numero, o meno perfidi ? Il proporre simili questioni, è un averle risolute. Passiamo innanzi! – Fino al presente, mio caro Federico, ho fatto valere le circostanze esteriori della causa; ora è mestieri difenderla a fondo, deducendo le ragioni dalla natura del segno stesso della croce. Queste per te, per me, per tutti gli uomini siffattamente si riassumono: “Figli della polvere, il segno della croce è un segno divino che ci nobilita”; – “Ignoranti, il segno della croce è un libro che ci istruisce”; “Poveri, il segno della croce è un tesoro, che ci arricchisce”; “Soldati, il segno della croce è un’arma, che dissipa l’inimico; “Viaggiatori verso il cielo, il segno della croce è una guida che ci conduce. – Prendi la tua toga, siedi da giudice, ed ascolta!: “Figli della polvere, il segno della croce è un segno divino che ci nobilita”. Chi è, dimmi, questo essere che viene al mondo piangendo, soggetto come il più piccolo degli animali a tutte le infermità, incapace più di lui, e per maggior spazio di tempo, di soddisfare a’ suoi bisogni? Che l’uomo si chiami principe, re, imperatore; che la donna abbia titolo di contessa, duchessa, imperatrice, non ne vadano gonfi; poiché uno sguardo retrospettivo insegnerà loro, ch’eglino sono questo essere. Questo essere è 1’uomo, verme nel suo principio, e cibo de vermi nella tomba. [“Primam vocem similem omnibus emisi plorans. In involumentis sum, et curis magnis. Nemo enim ex regibus aliud habuit nativitatis initium”. (Sap. VII. 11)]. – Questo essere tanto infermo, sì nullo, e sì vergognosamente confuso con i deboli e vili animali lungo i primi anni di sua esistenza, è spinto d’altronde a rassomigliarlo pe’ suoi instinti. Nonpertanto, questo essere é l’immagine di Dio, il re della creazione, egli non deve degradarsi. Dio lo tocca alla fronte, v’imprime un segno divino, che la nobilita, e la nobiltà obbliga. Rispettato dagli altri, egli rispetterà se stesso. Queste lettere di nobiltà, questo segno divino, è il segno della croce. – È divino, che viene dal cielo e non dalla terra: l’è divino, ché il padrone può solo marcare i suoi prodotti. Desso viene dal cielo, perché la terra confessa di non essere suo trovato. Percorri tutti i paesi, e tutti i secoli, in nessun luogo tu troverai l’uomo che abbia immaginato il segno della croce, il santo che l’abbia insegnato, come proprio insegnamento; il Concilio, che l’abbia imposto come suo precetto. La tradizione lo insegna, la consuetudine lo conferma, la fede lo pratica » [“Harum et aliarum hujusmodi disciplinarum si legem expostules, scripturarum nullam invenies. Traditio te praetenditur autrix, consuetudo confirmatrix, et fides observatrix”. Ter. de Coron. c. III]. – Così Tertulliano: e per esso tu ascolti la voce della seconda metà del secondo secolo. S. Giustino [“Dextera manu in nomine Cbristi quos cruci« signo obsignandi sunt, obsignamus”. Quaest. 118] parla per la prima, e ti apprende non solo la esistenza, ma il modo con che tale segno era fatto, è con ciò noi siamo a’ tempi primitivi, tempi di memoria eterna, che gli eretici stessi chiamano l’età d’oro del Cristianesimo, sì per la purezza della dottrina, che per la santità de’ costumi. Ora, noi vi troviamo il segno della croce in piena pratica in Oriente, come in Occidente. – Diamo qualche passo, e daremo la mano a S. Giovanni, quello, che sopravvisse a tutti gli Apostoli. Vedi il venerabile vecchio, che fa il segno della croce su di una coppa avvelenata, e beve il micidiale liquore impavidamente [S. Simeon: Metaph. in Joan.]. Un po’ più lontano, ed ecco i suoi più illustri colleghi, Pietro e Paolo. Come Giovanni il discepolo amato dal divino Maestro, Pietro e Paolo, principi dell’apostolato, fanno religiosamente il segno della croce, e l’insegnano dall’oriente fino all’ occidente, a Gerusalemme, in Antiochia, ad Atene, a Roma, ai Greci ed ai barbari. Ascoltiamo un irrecusabile testimone della tradizione, « Paolo, dice santo Agostino, posto dappertutto il reale stendardo della croce, pescagli uomini, e Pietro segna le nazioni col segno della croce » [“Circumfert Paulus Dominicum in cruce vexillum. Et iste piscator hominum, et ille titulat signo crucis gentiles”. S. Joan Chrys. Ser. XXVIII]. – Né solamente eglino lo eseguono sugli uomini, ma sulle creature inanimate, e vogliono che altri ancora il facesse. Ogni creatura di Dio è buona, scrive il grande Apostolo, non è da rigettare alcuna cosa, che possa riceversi con rendimento di grazie; poiché dessa è santificata dalla parola di Dio, e dalla preghiera. Questa è la regola: quale n’é il senso? Nel diritto se v’ha un testo oscuro, come si chiarisce? Per chiarirlo, si consulta l’interprete il più autorizzato, ed il più vicino al legislatore: la sua parola è legge. Ascolta la parola la più autorizzata dall’Apostolo S. Paolo, S. Grisostomo « Paolo, egli scrive, ha stabilito qui due cose: la prima che nessuna creatura è immonda: la seconda, che se lo fosse, facile cosa sarebbe purificarla. Segnala del segno della croce, rendi grazia e gloria al Signore, e detto fatto, l’immondizia partirà » [“Duo capita ponit, unum quidem quod creatura nulla communis est. Secundo, quod etsi communis sit, medicamentum in promptu est. Signum Uli crucis imprime, gratias age, Deo gloriam refer, et protinus immunditia omnis abscessit”. In Tim. Bom. XII]. – Ecco l’insegnamento apostolico. I principi degli Apostoli non solamente facevano questo segno adorabile sulle cose inanimate, e sopra i popoli che accorrevano alla fede, ma sopra se stessi. Questo segno adunque esisteva prima di loro. Paolo il persecutore è rovesciato lungo il cammino di Damasco, perché divenga l’apostolo del Dio, ch’egli perseguita. Quale sarà il primo atto del Dio vincitore sul nobile vinto? Sarà segnarlo del segno della croce. “Va, dice Egli ad Anania, e segnalo del mio segno”. [“Vade ad eum, et signa eum charactere meo”. S. Aug. Ser. l et Ser. XXV, De Sanctis]. – Chi è dunque l’autore e institutore del segno della croce? Per trovarlo è da sormontare tutti i secoli, tutte le cose visibili, tutte le gerarchie angeliche, per venire fino al Verbo eterno, alla verità stessa. Ascolta un altro testimone, perfettamente in grado di saperlo, e che ha confermato la testimonianza col suo sangue. Ho nominato l’immortale vescovo di Cartagine, S. Cipriano. « Signore, egli esclama, sacerdote santo, voi ci avete legato tre cose che non periranno giammai : il calice del vostro sangue, il segno della croce e l’esempio de’ vostri dolori. » [“Tu Domine, sacerdos sáncte, constituisti nobis inconsumptibiliter potum vivificum, crucis Signum, et mortificationis exemplum”. Serm. de Pass. Christi.]. Santo Agostino aggiunge: Siete voi, o Signore, che avete voluto questo segno impresso sulla nostra fronte. [“Signum suum Christus in fronte nobis fligi voluit”. In psal. 130]. – Sarebbe facile citare venti altri testimoni; ma perché scrivo delle lettere, e non un libro, mi arresto. Il segno della croce è un segno divino: ecco un fatto constatato per la discussione. Ve n’ha un altro, di che sarà parola domani.

J.-J. GAUME: IL SEGNO DELLA CROCE -introduzione del traduttore-

 

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J.-J. Gaume:

IL SEGNO DELLA CROCE

Carte Postal Religieuse Italienne de De Chirico"Il segno della croce " Anderson Credit: Rue des Archives/DS/18 rue le Bua 75020 Paris France

Introduzione del traduttore

Mille fiori olezzanti profumo di puro cattolicismo, nascono nel seno della famiglia cristiana, e smaltano qua e là il terreno sociale: nobilissimi esempi d’individuale abnegazione, mostra l’individuo nel combattere le battaglie del Signore; ma fra questi smalti e sacrifici, un fatto doloroso si attua, di che il solo pensiero dovrebbe far tremare i polsi. Questo fatto comincia ed agogna alla sua attuazione completa, e solo, chi ha interesse a nasconderlo, può dissimularlo: ma, se v’ ha intelligenza che milita per la verità, ed un cuore tenero degl’interessi della umana famiglia, non può tenersi dal disvelarlo, e gridare ai contemporanei: La società torna al paganesimo! – I contemporanei a questo grido restano attoniti; ma ripensando poi si domandano: Possibile! A mezzo il secolo XIX tornare al paganesimo? Se lo si affermasse di altri tempi, lo si potrebbe ben credere: ma ai tempi nostri è incredibile. Gl’idoli ingombrano i nostri musei a ricordarci i tempi che furono, e ci eccitano a commiserazione per la umana intelligenza orba per manco di evangelico lume. Noi tornare agli idoli? l’è grossa esagerazione questa! – Ciascuno dissimula a sua posta il male che gli angoscia l’animo, e cerca con gl’impossibili immaginari, ritardare l’arrivo di quanto dispiacevolmente si avanza a furia. Così la società moderna, perché l’idolo di Moloc e di Baal, e le sfingi di Babilonia la muovono a riso per le sproporzionate ed orride forme, credesi sì ferma da non poter tornar con l’animo all’ossequio dell’idea e del principio, che rendeva tali mostri oggetto di profonda venerazione. La società è in inganno! Non è mestieri d’idoli manufatti per paganizzare la coscienza sociale. La società era pagana innanzi la mano dell’uomo formasse idoli per prestare ad essi divini onori. Il paganesimo è la negazione della incarnazione del Verbo e del sopranaturale; è circoscriversi nelle sole cerchia del naturale, è il predominio dell’errore sulla verità, del male sul bene, della carne sullo spirito, è il regno di satana. É paganesimo l’adorazione di tutto ciò che non è il vero Dio; l’adorare tutto se stesso, o una parte di sé, un principio, una formula, che non è da Dio, e che a Lui non meni, è paganesimo: Omnis forma, vel formula idolum se dici potest. Jdolum tam fieri, quam coli Deus prohibet (1). (1) [“Principale crimen generis humani, summus saeculi realus, tota causa iudicii Idololalria. Idolum aliquandiu retro non erat. Priusquam huiusmodi artifices ebullis-sent, sola tempia et vacuae aedes erant…. Taraen ido-lolatria agebalur, non isto nomine, sed in isto opere. Nam et hodie extra templum et sine idolo agi potest. Inde idololalria omnis circa omne idolum famulatus et ser-vilus dici potest. Igitur omnis forma vel formula idolum se dici potest. Idolum tam fieri quam colere Deus prohibet.” Tertul. De Idol. c. I, II, III. ]. – Se tale è il paganesimo nella sua essenza spogliato delle diverse forme esteriori di che l’uomo 1’ha rivestito lungo il corso de’ secoli, come potrà negarsi che la società contemporanea corra al paganesimo, ed agogni pervenirvi? – Di fatti, la società civile cristiana si distingue dalla cinese, dalla indiana, da qualunque altra pagana, da che nella coscienza pubblica sociale si è introdotto il Dio dei Cristiani come giudice del giusto e dell’ingiusto, introduzione fattavi dal Cristo, e continuata dal suo Vicario, tale essendo l’economia del vero cristianesimo. Il perché se una società politica toglie a suo diritto pubblico principi che non mettono capo al Cristo redentore, e rivelatore della giustizia divina, tale società rigetta il principio cristiano sociale ed è già pagana. Che se vuole ritenerne soli alcuni pel suo tornaconto, rigettandone altri, fuorvia, s’incammina al rifiuto completo del principio cristiano, e per esso al paganesimo; poiché tutto il criterio della giustizia sociale cristiana dev’essere illuminato e santificato dalla dottrina del Cristo. – Ora la società moderna è tutta nel negare il sopranaturale, come si rivela allo sguardo non clericale, ma protestante di chi pose pure la sua mano a farla qual’è. [Guizot l’Eglise e la Société Chrétienne ch. IV; Le ternaturel.]. – La negazione sopranaturale è la eresia contemporanea . [Gaume Traité du S. Esprit chap. I L’Esprit du bien et l’Esprit du mal]. – La società ripudia il sopranaturale, adora se stessa, e questa apostasia l’ha formulata dicendo: La società farà da sé, il sopranaturale è da esserne eliminato; la secolarizzazione assoluta, universale è la sua vita. Bandita la dottrina del Cristo, corre per un lume che la guidi, e lo ritrova nella propria scienza, della quale lasciamo ad altri accennare i caratteri. – « Oltre la guerra diretta e dichiarata al sopranaturale, un altro male attacca il cuore stesso della religione cristiana, il paganesimo. [Guizot: l’Eglise e la société Chret. chap. IV.]. – Ecco frattanto dove siamo, e dove il vento del secolo vuol condurci. Non si tenta punto di ricondurci a questa o quella forma d’idolatria che hanno eretto in divinità gli eroi del genere umano, o le grandi facoltà dell’uomo, o le forze della natura; ma si vuole, che noi lasciamo il Dio della Bibbia e del Vangelo, il Dio primitivo, indipendente, personale, distinto ed autore dell’uomo e del mondo; ci si domanda di accettare per completa religione un Dio astratto, ch’è altresì d’invenzione umana, poiché non è che l’uomo ed il mondo confuso e trasformato in Dio da una scienza che si crede profonda, e che vorrebbe non essere empia. In luogo del cristianesimo vero, della sua storia e de’ suoi dogmi, le sue grandi soluzioni di nostra natura, ci si propone il panteismo, lo scettecismo, gl’imbarazzi della erudizione ». [Idem: ch. V; Le deux Dieux. ]. – Ecco la scienza regolatrice della società: 1′ ateismo scientifico! Epperò non è da maravigliare se studiando 1′ organismo sociale si trovi il predominio della carne sullo spirito, del bene utile sull’onesto; che la finanza n’è la suprema legge di modo, che il sig. Havet, uno de’ panegiristi di Renan, non ha avuto difficoltà di annunziare alla intelligenza contemporanea, che la economia è già tale da divenire la religione della società contemporanea. “La science économique est bien prète d’ètre tonte la réligion d’auojurdhui.” – Che se delle singole parti della società volessimo discorrere, noi non le troveremmo meno pagane. Le divine ragioni nelle famiglie sono distrutte. La più sacra delle unioni è divenuta un contratto, che né lo Dio del Sinai, né quello del Golgota hanno sancito, ma che un capriccio femmineo può sciogliere; quella vergine che qual candida colomba veniva tratta dalla casa paterna, potrà tornarvi cacciata dalla maritale dimora, per cedere ad altra, il rendere, per qualche tempo, felice un cuore! Si vuole rendere libera la donna alla pagana, sottraendola alle catene dell’amore cristiano di un solo uomo, per darle la libertà di essere di tutti. Bella libertà del matrimonio civile e del divorzio! E l’educazione? Non è questa pagana, non è l’emula della Stòa, dell’Accademia e del Peripato, anziché delle scuole di Clemente, Panteno, Cassiodoro? – Queste aspirazioni sociali al paganesimo si rivelano in certe opere che tendono alla riabilitazione di satana, principe del mondo pagano. M. Renan, innanzi negasse la divinità di Cristo, impietositosi della sconfitta riportata da satana, lo chiama sventurato rivoluzionario! Uno de’ suoi maestri, Schelling in Alemagna, è andato più innanzi. Non solo ha fatto di satana una creatura ordinata, ma lo ha elevato alla natura divina, perché Cristo-Dio doveva avere un competitore degno di sè. [N. Moëller. De l’état de la Philosophie en Allemagne, pag. 211, Satanalogie de Scelling]. – Michelet, or sono trent’anni, dall’alto della sua cattedra di filosofìa della storia di Parigi, previde questa ascensione satanica, e nella Sorcière se n’è reso istoriografo, narrandoci i trionfi di satana sul Cristo (2). – Conformemente a questi principii, Quinet trova in satana il principio da riunire tutti i cuori; [De Schamps Le Christ et les Antéchrist, vol. 2, pag. 43] e Prudhon vuole sostituirlo all’inconseguente riformatore, che fu crocifìsso [La Révolution au XIX siècle, pag. 290, 591]. Tralasciamo le bestemmie di altri molti, le quali, se fossero fatto segno alla pubblica riprovazione e, se le opere che le contengono venissero sepolte nella oscurità, accennerebbero solo alla esistenza di matti e blasfemi scrittori; ma il numero de’ lettori e degli encomiatori di esse è tale, da metterci in pensieri, e rivelarci le tendenze della società. Tanto più, che le simpatie per tali principi ricevono puntello e spiegazione da pratiche sì conformi a talune del paganesimo, che ad accennarle è mestieri usare delle voci, con che Tertulliano le nominava, di esse facendo rimprovero a’ pagani de’ tempi suoi. I nostri pretesi mediums, sarebbero designati da lui col nome di genii: “Genii deputantur, quod daemonum nomen est” [Tertull. De anima, cap. XI]; le nostre tavole parlanti e rotanti, multa miracula circulatoriis praestigiis ludunt et caprae et mensae divinare consueverunt”; il nostro sonnambulismo ed ipnotismo, “somnia immittunt”; il nostro spiritismo, “phantasmata edunt, et iam defunctorum infamant animus” [Idem: Apolog. cap. XXIII]. Possiamo noi non affermare che la società contemporanea agogni tornare al paganesimo, e che verso di esso cammina? – Qual forza umana potrà contrapporre una diga a questo torrente che cerca trasportare l’umanità? E come ostare a questo risuscitarsi del paganesimo ? Quando il primitivo paganesimo fu da satana introdotto nel mondo, quanto di più santo era in esso, fu mezzo e simbolo della sua tirannica occupazione, e della sua vittoria. La vergine accolse la tentazione di esser ribelle: il legno venne fatto oggetto de’ suoi desideri, e la morte accorse a coprire di funereo velo l’uomo conquiso alla tirannide satanica. La vergine, il legno, e la morte furono il triplice trofeo del vincitore [S. Gioan. Gris. Homil. de coemeterio et cruce: “Per quae diabolus vicerat, per eadem Christus eumdetn devicit, et acceptis, quibus usus fuerat, armis eum dehellavit. Et quomudo ? Audi, virgo, lignum, et mors cladis nostrae fuerunt symbola. Virgo erat Eva. Lignum erat arbor. Mors erat mulcta Adami. Attende vero, rursus virgo, et lignum et mors simbola extiterunt cladis, et victoriae quidem symbola. Nam loco Evae est Maria: loco ligni scientiae boni et mali, lignum Crucis: loco mortis Adami mors Christi. Vides eum, per quem vicit, per eadem et victum esse.]. – Ma la vergine, il legno e la morte dovevano essere il trofeo della sua sconfitta! Percorriamo la storia della dominazione satanica prolungatosi dall’Eden al Golgota, e quivi di nuovo troveremo la vergine, il legno e la morte. Una nuova Vergine ascende il monte per schiacciare ai piedi dell’albero il capo all’insidiatore della vergine Eva, e cancellare in sé l’onta, che nella prima vergine aveva bruttata la delicata metà della specie umana. Il legno della scienza del male è abbattuto da quello della croce, per fulgore di luminoso insegnamento, non di fallibile umana ragione, ma di divina, rivelatrice e maestra di verità. La morte fu distrutta; il Cristo spirando sul legno, vivificò a novella vita il vecchio Adamo morto a pie dell’albero. – Se la storia de’ trionfi di satana e delle sue sconfitte, e quella de’ mezzi e de’ simboli di esse, dev’essere nostra guida a conoscere la fine delle ovazioni, che satana cerca ottenere nella umanità lungo il corso de’ secoli; noi siamo condotti ad affermare provvidenziale l’opera del Gaume: “segno della croce al secolo XIX!” Questa non solo accenna allo stremarsi della ovazione, a che agogna satana col suscitare novello paganesimo, ma somministra altresì mezzo a portarne trionfo. La vergine difatti, il legno e la morte vedemmo al principio della dominazione satanica, ed allo spirare di essa. Ora in questa passeggera forma del continuo sforzo di satana a riconquistare il perduto dominio, troviamo di nuovo il legno e la morte riunito alla vergine. La vittoria è nostra! La vergine al presente si mostra sfolgorante di luce, ed in tutta l’espressione del suo potere a schiacciare l’antico serpente, perché il piede che lo preme è dommaticamente della vergine Immacolata. Il secolo XIX s’è trasportato nell’Eden ed ha fatto della propria voce eco a quella di Dio, e per la bocca del Sommo Pontefice Pio IX, ha ripetuto l’“inimicitias ponam inter te et mulierem”; e satana sperimenterà l’ “ipsa conteret caput tuum”; e lo stesso agitarsi di lui accenna ad una forza, che lo contrista e combatte, contro cui cerca difendersi con nuovi inganni. Ma questi saranno vinti, che contro ad essi, di unita alla Vergine, si levano di nuovo il legno e la morte. Il chiarissimo scrittore del primo, narra le antiche e sempre nuove glorie, i continui trionfi, spiega il magistero di esso, lo rileva dall’oblio profondo in che l’hanno le menti cristiane, e questo griderà all’individuo, alla famiglia, alla società protestante, pagana che sia: “Figli della polvere, il segno della croce è un segno divino che ci nobilita; vi moriva il figlio di Dio”. [Matth.. XXVII, 54.] – Ignoranti, la croce è un libro che c’istruisce; vi moriva la sapienza di Dio. [Ad Cor. I, c. I, 24]. Poveri, la croce è un tesoro che ci arricchisce; vi moriva il costituito erede dell’universo. [Ad Hebr. I, 2]. – Soldati, la croce è un’arma che dissipa l’inimico; vi moriva il condottiero del popolo di Dio. Matth. II, 6. – Non ti sembra, lettore, sentire l’eco dell’“in hoc signo vinces”? E questo eco si rimuterà in grido di vittoria, poiché il legno abbatterà tutti i mezzi di che satana usa a risuscitare il paganesimo. Questo secolo che ha vergogna di avere la religione della croce nelle sue leggi e nelle sue instituzioni, dovrà apprendere che nella croce è la vera gloria. A questo secolo scienziato ed ammaestrato da’ mediums, i quali insegnano che, Mose ha coltivato, il Cristo ha seminato, e lo spiritismo raccoglierà, e che lo spiritismo viene a stabilire fra gli uomini il segno della carità e della solidarietà annunziata da Cristo [Alan Kardée : Le Spiritisme à sa plus simple expression pag. 24]; a questo secolo sarà ripetuto. « La croce è l’antico libro! » Questo secolo materialista, che tutto proporziona col lucro materiale, e che al peso dell’oro fa sottostare la forza de’ princìpii, dovrà sentire. « La povertà della croce è vera ricchezza! » Questo secolo, che con indifferenza ha intese le bestemmie del Renan, dovrà intendere la parola della croce che afferma: « Io sono un segno divino; dunque Cristo è Dio! » Questa parola scenderà nella coscienza sociale; la muoverà ad avere in onore la croce, produrrà in essa il culto d’invocazione, e la croce invocata è sconfitta di satana. E la Vergine ed il legno continueranno per l’opera del chiarissimo autore, i loro trionfi! – E la morte? La morte dell’Uomo-Dio distrusse i trionfi satanici e li rimutò in schiavitù; le ovazioni di esso devono essere rimutate in sconfitte dalla morte dell’uomo carnale. Queste sono riportate su i figli della diffidenza, che per ignavia e mal volere non seppero conservare la libertà del riscatto, e con le proprie mani raccolsero i lembi del lacerato chirografo e li deposero fra gli artigli di satana, come titoli di volontaria soggezione, amando meglio vivere di senso che di ragione, più di concupiscenza che di grazia. Questa grazia è da suscitare nell’uomo, e la concupiscenza da mortificare. Questa mortificata, satana non avrà più appiglio ed addentellato a continuare le sue passeggere ovazioni, e, quella suscitata, l’uomo per essa fortificato, combatterà a vittoria l’avversario. L’uomo della carne è da mutare in quello dello spirito! Metamorfosi è questa, che solo l’abnegazione può operare, come quella, che sottomette il corruttibile senso alla immortale ragione, ed il giudizio del fallibile intelletto all’autorità della infallibile fede; ed eleva il cuore umano alla vita sopranaturale del giusto, per la speranza e la carità che ingenera. Lo spirito di abnegazione e di sacrificio dell’umano individuo non potrà restar straniero alla famiglia, ma come germe nel seno della terra vi mette radici, ed attecchisce e produce l’abnegazione della famiglia. Questa, avendo l’animo usato alla morale fatica del sacrificio, saprà sostenere tutta la lotta necessaria per immettere nella coscienza dell’individuo sociale l’ “abnega temetipsum” della croce, e questo sorgerà ad opere salutari spogliate di naturalismo e sensismo, ed informate dallo spirito di abnegazione prodotte della convinzione che la materia è da sottoporre allo spirito, la forza al diritto, l’individuo all’universale, la società a Dio. satana è vinto da questa sua morte! Questa morte della società al senso, sarà prodotta dall’opera del Gaume. Dessa inspira all’umano individuo la venerazione per la croce, questa produce l’imitazione, e che v’ha da imitare nella croce se non l’abnegazione di se stesso, e la morte al senso? “Abnega temetipsumè la parola della croce! L’opera di che discorriamo, ingenerando nella società il culto d’invocazione e d’imitazione della croce, dà dunque mezzo alla società da abbandonare il materialismo in che si avvilisce, e sorgere alla vita dello spirito per unirsi al legno ed alla Vergine, per distruggere le ovazioni che satana vuol riportare col moderno paganesimo! – Noi deponiamo la penna. Diremo solo che questo sublime scopo dell’opera ci ha guidati nella traduzione, che raccomandiamo alla umanità del lettore. Delle parti dell’opera non parliamo, che già altrove ne abbiamo detto [Scienza e Fede voi. XLIX, fasc. 203, pag. 367]. Per chi volesse sapere come Roma vegga l’opera che presentiamo al pubblico, trascriviamo una lettera che S. E. il Cardinale Altieri indirizzava all’autore.

Monsignor Illustrissimo,

Colla pubblicazione della vostra ammirabile opera sopra il segno della Croce, voi avete reso un nuovo e segnalato servizio a favore della Chiesa di Gesù Cristo. Infatti voi avete fatto conoscere ai fedeli colla forma la più attraente, tutto ciò che manifestamente contiene, ciò che insegna, ciò che opera di sublime, di santo, di divino, e per conseguenza di grandemente utile alle anime, questa sacra formula tanto antica quanto la Chiesa stessa. – L’augusto capo di questa stessa Chiesa il Sommo Pontefice, non poteva non raccogliere con gioia un’opera sì preziosa e sì utile al popolo cristiano. Così non solamente egli ha esternato la sua viva soddisfazione allorché io ho deposto nelle sue sacrate mani 1’esemplare che voi vi siete fatto premura di offrirgli per mezzo mio; egli ha voluto di più esaudire con bontà il desiderio che avete manifestato di vedere arricchita di un’indulgenza la pratica del segno della croce, affine di eccitare i fedeli a farne uso in difesa delle loro anime, senza rispetto umano, e sovente quanto sia possibile. – Nel Breve qui unito vedrete quanto generoso si è mostrato il S. P. nel concedere una simile grazia e com’egli ne fa apprezzare il valore. Importa grandemente che questo favore del supremo dispensatore dei favori celesti accordato in prò della Chiesa militante, sia universalmente conosciuto nello stesso tempo che si estenderà e si apprezzerà di più in più il vostro eccellente libro. Nella traduzione italiana che ne fa molto a proposito, l’incomparabile Angelo d’Aquila, si troverà il Breve del quale si parla, e bisognerà anche inserirlo selle nuove edizioni che sicuramente non mancheranno di succedersi. Cosi sarà colmato il vuoto che voi avete notato nella Raccolta delle Indulgenze. – Cosi V. E. riceverà la degna ricompensa, e certamente la più stimata dal suo cuore, nel vedere aperto il tesoro «iella Redenzione, per il bene delle anime che ancor vivono su questa terra, o che di già son discese nel purgatorio, per effetto dell’ opera che voi avete composta collo scopo di attirare l’attenzione universale sul primo segno del culto che tutti devono rendere al principale strumento della Redenzione. – Gradite l’espressione della più sincera e della più alta stima colla quale io sono, Monsignor illustrissimo, vostro affettuosissimo servitore.

Cardinale Altieri.

Noi facciamo voti che quest’opera sia sparsa nella società, e che questa cooperi solerte a compierne il voluto altissimo scopo di arginare lo spirito pagano, che cerca diffondersi fra i contemporanei. Facciamo altresì voto che le anime pie si studino lucrare le indulgenze che il regnante S. P. ha annesse al segno della Croce, ed all’uopo ne trascriviamo il Breve.

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PIUS PP. IX

AD PERPETUAM REI MEMORIAM.

Quum salutiferae reparationis mysterium virtutemque divinam in Crucis Domini Nostri Jesu Chmti vacillo contineri perspectum haberent primi Ecclesiac fideles, frequentissimo illo signo eosdem usos fuisse vetustissima et insignia monumenta declarant. Quin ab eodem signo quascumque actiones auspicabantur, et ad отпет progressum atque promotum, ad отпет aditum, et eritum. ad lumina, ad cubilia, ad sedilia, quacumque nos conversatio exercet, frontem Crucis signáculo terimus, inquiebat Tertullianus. Haec nos perpendentes fidelium pietatem erga illud salutiferum redemptionis nostrae signum codesta Indulgentiarum thesauros reserando iterum excitandam censuimus; quo pulchra veterum Christianorum exempla imitantes signo Crucis, quae tamquam tessera est Christianae militiae frequentius et palam etiam ac publice se munire non erubescant. Quare de Omnipotentis Dei misericordia, ac BB. Petri et Pauli App. eins auctoritate confisi, omnibus el singulis uhiusque sexus Christi fidelibus quoties saltem corde contrito, adjectaque Sanctissimae Trinitatis invocatione Crucis forma se signaverint, toties quinquaginta dies de iniunctis eis seu alias quomodolibet debitis poenìtentiis in forma Ecclesiae consueta relaxamus; quas poenitentiarum relaxationes etiam animabas Christi fìdelium, quae Deo in cháritate coniunctae ab hac luce migraverint, per modum suffragii applicare possint, misericorditer in Domino concedimus. In contrarium faciendis non obstantibus quibuscumque, praesentibus perpetua futuris temporibus valiturìs. Volumus autem, ut praesentium litterarum transumptis seu exemplis etiam impressis, manu alicuius Notarii publici subscriptis, et sigillo personae in ecclesiastica dignitate constitutae munitis eadem prorsus fide adhibeatur, quae adhiberetur ipsis praesentibus, si forent exhibitae vel ostensae; utque earumdem exemplar ad Secretariam S. Congrcgationis Indulgentiarum, Sacrisene Reliquiis praepositae deferatur, secus nullas esse cus volumus, iuxta Decretum ab eadem S. Congregatione sub die XIX Januarii MDCCLVI latum, et a. s. m. Benedicto PP. XIV Praedecessore Nostro die XXVIII dicti mensis et anni adprobatum. Datum Romae apud S. Petrum sub annulo Piscatoria die XXVIII iulii MDCCCLXIII, Pontificatus nostri anno decimo octavo.

Praesentes lilterae apostolicae in forma Brevis sub die 28 Julii 1863 exhibitae fuerunt in secretaria S. Congrégations indulgentiarum die 4 Augusti eiusdem anni ad formam decreti ipsius S. Congregationis die 14 Aprilis 1856.

In quorum fidem datum Romae ex eadem secretaria die et anno ut supra.

Archiepiscopus Prinzivalli substitutus. – Per copia conforme: J. Gaume.

pio IX

PIO PAPA IX.

A MEMORIA ETERNA.

Perfettamente certi che il salutare mistero della Redenzione e la virtù divina si contengono nel segno della Croce di nostro Signore Gesù Cristo, i fedeli della primitiva Chiesa facevano il più frequente uso di questo segno, come ce lo dimostrano i più antichi e più insigni monumenti. É anche con questo segno ch’eglino incominciavano ogni loro azione. Ad ogni movimento, (diceva Tertulliano) ed a ciascun passo, entrando e sortendo, accendendo i lumi, nel prendere il cibo, nel mettersi a sedere, qualunque cosa noi facciamo, ovunque noi andiamo, noi segniamo la nostra fronte col segno della croce. – Considerando queste cose, Noi abbiamo creduto a proposito di risvegliare la pietà dei fedeli verso il segno salutare della nostra redenzione aprendo i tesori celesti delle indulgenze, affinché, imitando i belli esempi dei primi cristiani, essi non arrossiscano di munirsi più frequentemente, ed apertamente, e pubblicamente del segno della croce, che è come lo stendardo della milizia cristiana.

È questo il motivo per cui, confidando nella misericordia di Dio onnipotente e nell’autorità dei suoi santi Apostoli Pietro e Paolo, Noi accordiamo nella solita forma della Chiesa a tutti ed a ciascuno dei fedeli dell’uno e dell’altro sesso, ogni volta che almeno contriti di cuore, ed aggiungendovi l’invocazione della SS. Trinità, eglino faranno il segno della croce, cinquanta giorni d’indulgenza per le penitenze che loro saranno state imposte, o ch’eglino debbono fare per un’altra ragione qualunque; Noi accordiamo di più misericordiosamente nel Signore, che queste indulgenze possano essere applicate, per modo di suffragio, alle anime dei fedeli che hanno lasciala questa terra nella grazia di Dio. – Nonostante qualunque cosa contraria le presenti debbono valere in perpetuo. Noi vogliamo inoltre che alle copie manoscritte od esemplari stampati delle presenti lettere, segnate da un pubblico notaio e munite del bollo d’una persona ecclesiastica costituita in dignità si presti assolutamente la stessa fede che si presterebbe a queste stesse presenti se fossero presentate o mostrate; ed anche che una copia di queste medesime lettere sia portata alla Segreteria della Sacra Congregazione delle Indulgenze e delle sante Reliquie, sotto pena di nullità, conforme al decreto della stessa Sacra Congregazione in data del 19 gennaio 1750, ed approvato dal nostro predecessore di santa memoria, il papa Benedetto XIV , il 28 dello stesso mese ed anno.

Dato a Roma, a S. Pietro, sotto l’anello del Pescatore, il 28 luglio 1863, l’anno decimottavo del Pontificato Nostro.

Cardinale Parracciani Clarelli.

Le presenti lettere apostoliche in forma di Breve, in data del 28 luglio 1863, sono state presentate alla Sacra Congregazione delle Indulgenze il 4 agosto dello stesso anno, conforme al decreto della stessa sacra Congregazione in data del 14 aprile 1856.

In fede del che, dato a Roma, alla stessa Secreteria, il giorno ed anno come sopra.

Arciv. Prinzivalli sostituto.

 

18 GIUGNO 1968 -5-

–18 giugno 1968

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   Continuiamo a discutere con le idee un po’ più chiare, circa l’Invalidità intrinseca del rito del “Pontificalis Romani”, per quanto concerne la consacrazione vescovile. Ricordiamo in quali termini San Tommaso d’Aquino pone la questione: “Dio è il solo a realizzare l’effetto interno al Sacramento? Risposta: «Ci sono due modi di realizzare un effetto: in qualità di agente principale o in qualità di strumento. Secondo la prima maniera, è Dio solo che realizza l’effetto del Sacramento. Ecco perché Dio solo penetra nelle anime ove risiede l’effetto del Sacramento, e un essere non può agire direttamente la dove Egli non c’è. Anche perché appartiene solo a Dio il produrre la “grazia”, che è l’effetto interiore del Sacramento ( Sum. Theol. I-II, Q.112, a. 1). Inoltre, il carattere, effetto interiore di certi Sacramenti, è una virtù strumentale derivante dall’agente principale, che è qui Dio. Ma, nella seconda maniera, cioè agendo in qualità di ministro, l’uomo può realizzare l’effetto interiore del Sacramento; perché il ministro e lo strumento hanno la stessa definizione: l’azione dell’uno conduce ad un effetto interiore sotto la mozione dell’Agente principale che è Dio. » (Summa theologiae III, Q.64, 1). In poche parole, l’uomo non è che il ministro, lo strumento dell’azione di Dio in un Sacramento. E qui sorge la domanda: “Chi è che ci assicura in modo assolutamente certo che Dio agisce al meglio in un rito creato nel 1968”? Seguiamo ancora San Tommaso, che si chiede: “L’istituzione dei sacramenti ha solo Dio per autore? – « È a titolo di strumento, lo si è visto, che i Sacramenti realizzano degli effetti spirituali. Ora lo strumento trae la sua virtù dall’Agente principale. Vi sono due agenti, nel caso di un Sacramento: Colui che lo istituisce, e colui che usa del Sacramento già instituito applicandolo quanto a produrre il suo effetto. Ma la virtù del Sacramento non può venire da colui che non fa che usarne, perché non si tratta così se non al modo di un ministro. Rimane dunque che la virtù del Sacramento gli viene da Colui che l’ha instituito. La virtù del Sacramento non venendo che da Dio, ne risulta che Dio solo ha istituito i Sacramenti. » Summa theologiae (III, Q.64, 1). Dio solo ha istituito i sacramenti, e allora: Chi ci assicura in modo assolutamente certo che un rito creato nel 1968 trasmette la “virtù” di un Sacramento che ha solo Dio come autore? – “Gli elementi necessari istituiti dal Cristo secondo San Tommaso d’Aquino: L’istituzione dei sacramenti ha Dio solo per autore? « Obiezione n°1: Non sembra, perché è la Santa Scrittura che ci fa conoscere le istituzioni divine. Ma ci sono alcuni elementi dei riti sacramentali che non si ritrovano menzionati nella Santa Scrittura, come la santa Cresima, con la quale si da’ la confermazione, e l’olio con cui si ungono i sacerdoti, e certe altre parole e gesti che sono in uso nei Sacramenti. Risposta all’obiezione n° 1: Gli elementi del rito sacramentale che sono d’istituzione umana non sono necessari al Sacramento, ma contribuiscono alla solennità di cui lo si circonda per eccitare devozione e rispetto in quelli che lo ricevono. Quanto agli elementi necessari ai Sacramenti, essi sono stati istituiti dal Cristo stesso, che è nello stesso tempo Dio ed uomo; e se essi non ci sono tutti rivelati nelle Scritture, la Chiesa comunque li ha ricevuti dall’insegnamento ordinario degli Apostoli [la tradizione – ndr. – ]; è così che San Paolo scrive (1 Co XI, 34) : «Per gli altri punti, io li regolerò alla mia venuta». Summa theologiae (III, Q.64, 1). Se gli elementi del rito “necessari” al Sacramento sono stati istituiti dal Cristo stesso, chi è che ci assicura in modo assolutamente certo che gli elementi del rito creato  (… nientemeno che da dom B. Botte su commissione di Buan 1365/75!?!) nel 1968 contengano effettivamente gli elementi necessari al Sacramento istituito dallo stesso N.S. Gesù Cristo? Ricordando, al proposito, il giudizio di San Pio X « … allorché si sappia bene che la Chiesa non ha il diritto di innovare nulla che tocchi la sostanza del sacramento » [San Pio X, 26 dicembre 1910, “Ex quo nono”]. Quindi veniamo alle “1+3” condizioni di validità del Sacramento di consacrazione: 1) Perché una consacrazione episcopale sia valida, si richiede innanzitutto che il consacratore abbia egli stesso il potere d’ordine, cioè che egli sia validamente (ed ontologicamente) Vescovo. Successivamente, sono necessarie 3 condizioni all’esistenza del Sacramento della consacrazione episcopale (vale a dire alla sua validità) : • la materia e la forma: « I sacramenti della nuova legge devono significare la grazia che essi producono e produrre la grazia che essi significano. Questo significato deve ritrovarsi … in tutto il rito essenziale, e cioè nella materia e nella forma; ma esso appartiene particolarmente alla “forma”, perché la materia è una forma indeterminata per se stessa, ed è la “forma che la determina” ». [Leone XIII, Apostolicae Curae, 1896]. • l’intenzione del consacratore: «la forma e l’intenzione sono egualmente necessarie all’esistenza del Sacramento », «Il pensiero o l’intenzione, dal momento che è una cosa interiore, non cade sotto il giudizio della Chiesa; ma Essa deve giudicarne la manifestazione esteriore » [Leone XIII, Apostolicae Curae, 1896]. E il Santo Padre Pio XII sottolinea efficacemente la questione alla Conclusione dei lavori del 1° congresso internazionale della liturgia pastorale d’Assisi, il 22 settembre 1956: «Ricordiamo a questo proposito ciò che Noi diciamo nella Nostra Constituzione Apostolica “Episcopalis Consecrationis” del 30 novembre 1944 (Acta Ap. Sedis, a. 37, 1945, p. 131-132). Noi vi determiniamo che nella consacrazione episcopale i due Vescovi che accompagnano il Consacratore, devono avere l’intenzione di consacrare l’Eletto, e che essi devono per conseguenza compiere i gesti esteriori e pronunciare le parole, per mezzo delle quali il potere e la grazia da trasmettere siano significate e trasmesse. Non è dunque sufficiente che essi uniscano la loro volontà a quella del Consacratore principale e dichiarino che essi fanno proprie le sue parole e le sue azioni. Essi stessi devono compiere quelle azioni e pronunziare le parole essenziali. »! E allora, quali sono state le modifiche o le soppressioni “sospette” (per usare un eufemismo) del rito montiniano. Ecco cosa è stato soppresso: – 1) Il giuramento del futuro vescovo che promette a Dio «di promuovere i diritti, gli onori, i privilegi dell’autorità della santa Chiesa romana… d’osservare con tutte le sue forze, e di farle osservare agli altri, le leggi dei santi Padri, i decreti, le ordinanze, le consegne ed i mandati apostolici … di combattere e di perseguire secondo il suo potere gli eretici [una delle principali funzioni del vescovo!!!], gli scismatici ed i ribelli verso il nostro San Pietro: il Papa ed i suoi successori». – 2) L’esame attento del candidato sulla sua fede, comprendente la domanda di confermare ciascuno degli articoli del credo. – 3) L’istruzione del vescovo: « Un vescovo deve giudicare, interpretare, consacrare, ordinare, offrire il sacrificio, battezzare e confermare». In nessuna parte quindi, il nuovo rito menziona che la funzione del vescovo sia quella di ordinare, di confermare e di giudicare (di slegare e legare). -.4) La preghiera che precisa le funzioni del vescovo, dopo la preghiera consacratoria. Nel Pontificalis Romani, si definisce quindi una forma essenziale insufficiente. Per Pio XII, la forma deve significare in modo univoco l’intenzione del rito di fare un Vescovo per ordinare dei preti: «allo stesso modo, la sola forma sono le parole che determinano l’applicazione di questa materia, parole che significano in un modo univoco gli effetti sacramentali, cioè il potere di ordine e la grazia dello Spirito-Santo, parole che la Chiesa accetta ed impiega come tali» [Pio XII, Sacramentum Ordinis, 1947]. –

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[la vera formula consacratoria di sempre in uso nella Chiesa Cattolica]

La forma designata come “essenziale” da Paolo VI non indica il potere d’ordine, né la grazia dello Spirito-Santo come grazia del Sacramento: « La forma consiste nelle parole di questa preghiera consacratoria; tra di esse, ecco quelle che appartengono alla natura “essenziale”, sicché sono quelle esatte perché l’azione sia valida: «Et nunc effunde super hunc electum eam virtutem, quæ a te est, Spiritum principalem, quem dedisti dilecto Filio Tuo Jesu Christo, quem ipse donavit sanctis apostolis, qui constituerunt Ecclesiam per singula loca, ut sanctuarium tuum, in gloriam et laudem indeficientem nominis tui» [ed ora effondi su questo eletto quella virtù che viene da Te, lo Spirito “principale”, che desti al Figlio tuo diletto, e che Egli donò ai suoi Apostoli, perché si costituisse la Chiesa come tuo santuario a gloria e lode del tuo Nome …]. (Inoltre non è specificato di quale spirito si tratti! “Principalem”, in latino, significa pure: “del principe” [si consulti un normale vocabolario della lingua latina]… quindi non è per caso che ci si riferisca, viste le referenze degli autori, allo spirito del “principe … di questo mondo”?) – (Paolo VI, Pontificalis Romani, 1968.]. I termini supposti per definire il Vescovo figurano in un’altra parte del prefazio: «ut distribuát múnera secúndum præcéptum tuum » [Paolo VI, Pontificalis Romani, 1968). Alla maniera degli anglicani, i difensori del rito montiniano devono allora invocare l’“unità morale” del rito. Nel Pontificalis Romani, la forma essenziale è senza dubbio, insufficiente. Il sacramento (ex opere operato) non può operare ciò che esso non significa!!! « La sola forma sono le parole che determinano l’applicazione di questa materia, parole che significano in modo univoco gli effetti sacramentali, cioè il potere d’ordine e la grazia dello Spirito-Santo, parole che la Chiesa accetta ed impiega come tale». [Pio XII, Sacramentum ordinis, 1947]. Le parole del prefazio del Pontificalis romani “non” significano affatto il potere d’ordine: “Ut distribuant munera secundum praeceptum tuum”. [Che essi distribuiscano dei “doni” (!?! forse come santa Claus o la befana !?) secondo il tuo comandamento]. Il termine adottato “distribuant munera” è equivoco, esso esprime dei doni, dei carichi, delle funzioni (vedere il diz. Gaffiot per “munus”), si tratta di un termine profano che non esprime nemmeno lontanamente il potere d’ordine. Dom Botte traduce il greco κλήρους (Klerous) con ‘carichi’ (La Tradition apostolique, Ed. Sources chrétiennes, maggio 1968). Ora un “carico” ecclesiastico non è un ordine. Un anglicano può accettare l’espressione di distribuzione di carichi, un luterano ugualmente. Questa ambiguïtà è voluta … siamo ben lontani dalle parole essenziali del rito latino (comple sacerdote tuo). Queste parole esprimono in modo univoco il potere d’ordine (Episcopum oportet … ordinare – il vescovo deve ordinare!). Il sacramento (ex opere operato) non può operare ciò che esso non significa e quindi la forma è da considerarsi “difettosa A questo punto, a differenza di tutti i riti precedentemente adottati, è patente la “contro-intenzione” del rito, quella di “non” significare il potere di ordinazione dei preti, e quindi la volontà di non ordinare! Si mette dunque in evidenza una contro-intenzione a livello della forma del rito, contro-intenzione che appare in un contesto ecumenico che fornisce la “chiave” per la comprensione della messa in atto di questo rito. Non a caso Jean Guitton, scriveva: «Questa Chiesa ha cessato di chiamarsi cattolica per chiamarsi ecumenica», ed il massone Bugnini (col nome d’arte BUAN, sempre lui, quello della messa del baphomet “signore dell’universo”!) dichiarava sull’Osservatore Romano del 19 marzo del 1965: Noi dobbiamo spogliare le nostre preghiere Cattoliche e la liturgia Cattolica da tutto ciò che potrebbe rappresentare l’ombra di una pietra d’inciampo per i nostri “fratelli” separati (quelli che la “vera” Chiesa ha sempre chiamato “eretici” e “scismatici”, vale a dire i Protestanti.”). Un caso simile, a proposito delle false ordinazioni anglicane, fu inesorabilmente ed infallibilmente stroncato da un Papa “vero”, Leone XIII nella sua famosa lettera Enciclica del 1896(oggi occultata con ogni mezzo dagli apostati modernisti conciliari!), la già più volte citata “Apostolicae curae” nella quale si dimostravano 4 punti: – 1) La forma del sacramento è stata rimpiazzata da una forma ambigua che non significa precisamente la grazia che produce il sacramento [appunto come l’attuale -ndr. -]. –2) Il rito anglicano è stato composto e pubblicato in circostanze di odio del cattolicesimo e in uno spirito settario ed eterodosso (come quello ecumenico e neoterico della setta modernista, ampiamente scomunicato da Papi di felice memoria, uno tra tutti: Pio II –ndr. – ); – 3) Le espressioni del rito anglicano non possono avere un senso cattolico (esattamente come quello esaminato –ndr. – ).– 4) L’intenzione del rito anglicano è contraria a ciò che fa la Chiesa • Una conclusione infallibile e senza appello!!!. Tale conclusione, viste le premesse, può essere tranquillamente e serenamente applicata, con identica fermezza, a quella del rito di Montini e del “trio” dei blasfemi. Si tratta come si vede, di una ulteriore impostura sacrilega a-canonica ed a-cattolica introdotta a devastazione della gerarchia, completata di li a poco (1972) dall’abolizione indebita della tonsura ecclesiastica, e che ha “confezionato”, come vedremo, dei laici mai consacrati, dei prelati-zombi, ridicoli travestiti ed usurpanti ignobilmente titoli e giurisdizione!

18 GIUGNO 1968 -6-