Omelia della Domenica IV dopo l’Epifania
[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. I -1851-]
(Vangelo sec. S. Matteo VIII, 23-27)
Sonno del peccatore.
Ascende il divin Redentore, accompagnato dai suoi discepoli, su la navicella di Pietro, e si abbandona a un dolce sonno. Intanto si scatenano i venti, si turba il mare, s’alzano i flutti, e stan per sommergere il combattuto naviglio, e Gesù dorme, “ipse vero dormiebat”. Che sonno, è questo, uditori? Che mistero in ciò si nasconde? Egli è, s’io ben mi avviso, un’immagine dell’uomo giusto, che in mezzo alle agitazioni di questo mar tempestoso, qual è il mondo, riposa in pace. Tutto l’opposto dell’uomo peccatore, che dorme in seno al peccato, ma nel peccato non trova riposo. Il suo sonno è piuttosto un letargo, che annunzia la vicina sua morte. Gesù fu svegliato dalla preghiera degli spaventati discepoli, e tosto fe’ sentire il suo comando e il suo potere al mare e ai venti: cessarono questi, e l’agitato mare si cangiò sull’istante in perfettissima calma. Se le preghiere fossero valevoli a destare il peccatore addormentato nella sua colpa, vorrei gettarmi a’ suoi piedi e dirgli; fratel mio, “miserere animae tuae”, abbiate pietà dell’anima vostra: non aspettate a svegliarvi sulle porte dell’eternità. Aprite gli occhi sul vostro pericolo; “Surge qui dormis, et exurge a mortuis” (Ad Ephes. V,4): sorgete da questo sonno mortifero, foriero d’eterna morte. Le preghiere non bastano? Volete che per agevolare il vostro risorgimento ve ne adduca i più efficaci motivi? Lo farò senza più. Vi mostrerò da prima quanto Iddio ha fatto per risvegliarvi dal sonno di morte, e poscia quanto dovete far voi per corrispondere alle amorose premure ch’Egli ha di salvarvi. –
.I. Per rendere più sensibile e fruttuosa la presente spiegazione, dal sonno del divino Maestro passiamo al sonno d’un suo discepolo: avremo in ciò una luminosa scorta, onde conoscere i tratti della divina bontà, e l’obbligo della nostra corrispondenza. Là nel fondo di oscura prigione in Gerosolima, condannato a morte da Erode Agrippa, giaceva l’apostolo Pietro, e in mezzo ai custodi e alle catene tranquillamente dormiva. Quand’ecco un Angelo da Dio spedito sgombra con improvvisa luce le tenebre della carcere, e data una scossa al fianco di Pietro lo sveglia, e “sorgi” gli dice, “surge”! Mirate se non è questa una viva figura e dello stato dell’uomo peccatore, e della condotta di Dio pietoso per ricondurlo a ravvedimento e a salvezza. Peccatore fratello, io parlo con voi, io parlo di voi. Il grave peccato v’à oscurato l’intelletto, voi siete in tenebre ed ombre di morte, la sentenza di vostra eterna condanna è scritta in cielo, i demòni vi stanno a fianco, e voi stretto da tante catene, quante sono le vostre colpe, in mezzo a tanti pericoli profondamente dormite. Che ha fatto Iddio per sottrarvi da tanto rischio, per svegliarvi dal fatale letargo? Ha fatto le tante volte balenare alla vostra mente una luce superna, che vi faceva vedere la bruttezza del vizio, la bellezza della virtù, la vanità del mondo, l’importanza della salute, la miseria del vostro stato, la brevità della vita, l’orrore della morte, l’eternità delle pene. La fede dell’eterne verità si è fatta sentire vostro malgrado. Ai lampi di tanta luce più che sufficiente a farvi aprir gli occhi ha aggiunto Iddio sempre pietoso colpi e percosse: colpi d’ostinata siccità, di storilezza di campagne, di spaventosi tremoti questi pubblici flagelli ha fatto succedere particolari percosse: quella lite, peste della vostra pace, rovina della vostra famiglia, quella perdita sul mare, quella sventura nel traffico, quella lunga malattia, la morte in fine di quel vostro congiunto, tanto per voi necessario. Colpi son questi della mano di Dio diretti a scuotervi dal sonno mortifero. Pure seguitaste a dormire, come Giona al fragor de’ tuoni e della tempesta; e il misericordioso Signore per risanarvi non cessò di ferirvi. Vi ferì nel più vivo del cuore con acerbi rimorsi, con pungenti stimoli, con nere malinconie, che v’han fatto conoscere e toccar con mano che il peccato è una spina che vi trafigge, un tossico che vi avvelena, un cancro che vi rode le viscere. Fra tante punture mal soffrendo voi stesso vi siete alquanto commosso, ma, come uomo sonnacchioso, rivolto sull’altro fianco, avete prolungato la rea vostra sonnolenza. E il vostro buon Dio, mai stanco d’adoperarsi intorno a voi, vi ha fatto sentir la sua voce, voce interna di vive ispirazioni, di forti chiamate, d’amorevoli inviti, voce esterna de’ suoi ministri sul pergamo, de’ suoi sacerdoti nel sacro tribunale, voce di quell’amico fedele, di quel congiunto zelante del vostro bene, voce di quel libro devoto, che a caso vi capitò alle mani, voce partita da quel cadavere, che vi venne sott’occhio. In queste occasioni la misericordia di Dio vi ripeteva le parole dell’Angelo a Pietro dormiente , “surge!”, “sorgi”, o figlio, dal tuo sonno dannevole, sorgi dalle tue tenebre, sorgi dalle tue catene, sorgi dal miserando tuo stato, “surge”! A queste voci amorevoli avete chiuse le orecchie, e serrato il cuore. Or via, non si parli più del passato. Si tiri un velo su i vostri rifiuti. Vediamo ora quel che far dovete per corrispondere alle divine chiamate, e ritorniamo a S. Pietro.
.II. Tre comandi gli fece l’Angelo liberatore, di sorgere immantinente “surge velociter”, di adattarsi la veste “circumda tibi vestimentum tuum”, e di seguirlo, “et sequere me” (Act. XIX, 7,8) . La stessa voce fa sentire a voi in questo giorno quel Dio, che vi vuol salvo. Sorgete, e presto senza indugio sorgete dalla cattività del peccalo, “surge velociter”. Il ritardo può essere per voi fatale. Non dite: “risorgerò”, l’avete detto tante altre volte che lascerete il peccato, che verrà la quaresima, che in quel tempo più opportuno vi convertirete davvero. Venne la quaresima, e differiste la vostra conversione alla Pasqua, dalla Pasqua alla Pentecoste e dalla Pentecoste all’altra quaresima. Rimettere ad altro tempo un affare dì tanta conseguenza è manifesto indizio di poco buona volontà. So che per questa dilazione non mancano pretesti. Io sono, voi dite, assediato da tanti affari, che mi tolgono la necessaria quiete dell’animo e il tempo materiale per pensare a me stesso,- campagne da coltivare, frutti da raccogliere, negozi da spedire, liti da sostenere, conti da aggiustare, viaggi da intraprendere. Finiti questi disturbi, cessati quest’impedimenti… Non più per carità. Che affari, che travagli, che conti! L’affare più importante è quello dell’eterna salute, la lite più seria è quella da vincersi col demonio al divin tribunale, il viaggio più premuroso è quello che conduce all’eternità. Adesso è il tempo accettevole, adesso è l’ora propizia per sorgere ornai dal pigro sonno fatale, “Hora est iam de somno surgere” (Ad Rom. XIII, 11); se voi differite, la dilazione sarà la vostra rovina. Una conversione futura quanto più vi lusinga, tanto é più ingannevole. Il tempo sta in man di Dio. Verrà tempo che non avrete più tempo, e vi pentirete senza rimedio di non aver profittato del tempo. Avverrà a voi, che Dio vi guardi, come ai generi di Lot: “surgite”, disse loro il giusto Lot con somma premura, “surgite”, uscite presto da Sodoma, è imminente il suo sterminio, sta per piovere su di essa il fuoco dal cielo; ma quegli scioperati, non curando l’avviso, restarono avvolti nell’incendio dell’infame città. La seconda cosa, che l’Angelo impose a S. Pietro, fu che prese le proprie vesti se le cingesse attorno, “Circunda tibi vestimentum tuum”. Voi al sacro fonte col carattere battesimale avete vestiti gli abiti delle teologali virtù: fede, speranza e carità. Di questi abiti per il peccato mortale vi siete in certo modo spogliati. Povera fede! Le ree vostre passioni han fatto illanguidire; anzi dopo la lettura di quell’empio libro, dopo il discorso di quel miscredente è morta in voi la fede, e come una veste logora l’avete abbandonata. Ah! per pietà ripigliatela, “circumda tibi vestimentum tuum”. Esiste un Dio, esiste l’idea d’un Dio a dispetto di tutti gli sforzi dell’empietà, a dispetto di tutte le violenze, che far si possono all’intelletto. L’idea d’un Dio esistente si può cacciar dal cuore per un atto di ribelle volontà, ma non dalla mente per ragionevole convincimento. Esiste un Dio premiatore dei buoni, punitore de’ malvagi. Dopo pochi giorni di vita, la morte manderà il corpo al sepolcro, l’anima all’eternità. Qual sarà la sua sorte? La vita presente deciderà della futura. Vita da peccatore: eternità di rancore. Ecco quel che insegna la fede: ripigliatene l’abito con ben ponderarne le infallibili verità, con applicarle all’attuale vostro bisogno, “circumda tibi vestimentum tuum.” Rivestitevi in seguito dell’abito della speranza. In chi avete fino ad ora fondate le vostre speranze? Nel mondo? Ma il mondo è un traditore, ed una trista speranza ve l’ha fatto chiamar più volte con questo nome. Il mondo è una scena volubile, che oggi vi alletta, domani vi contrista. La sua incostanza non può render sicura la vostra fiducia, “praeterit figura huius mundi (I. Ad Cor. VII, 31 ). Sperereste negli uomini? Ma questi sono o mentitori per malizia, o fallaci per impotenza, “Mendaces filii hominum” (Ps. LXI, 10). Non vi appoggiate dunque ad una canna sdrucita, e ad un muro pendente. Ponete tutta la vostra fiducia in Dio: Egli è l’amico vero; niuno ch’abbia sperato in Lui è mai rimasto confuso. La carità finalmente è quella veste nuziale, che assumer dovete. Di questa vi rivestirà il Padre celeste, se a Lui fareste ritorno sull’orme del figliuol prodigo. Imitate l’umiltà di questo figlio ravveduto, il suo pentimento, il suo dolore. Ai piedi del ministro di Dio deponete l’uomo vecchio con tutti i suoi vizi, spogliatevene affatto colla manifestazione sincera delle vostre colpe, colla contrizione più viva del vostro cuore: vestitevi dell’uomo nuovo con intraprendere una vita nuova, una vita cristiana, che vi dia fonduta speranza d’eterna vita. Forniti così delle vesti della fede, della speranza e della carità, resta il tener diètro all’Angelo, che, come S. Pietro, v’invita a seguitarlo, “sequere me”. Fatevi scelta d’un dotto, pio e prudente confessore. Egli, dice S. Francesco di Sales, è l’Angelo visibile delle nostre anime: egli si farà scorta a’ vostri passi, vi allontanerà dai pericoli, vi guiderà per la strada della salute. E quand’anche al vostro cammino si frapponessero porte di ferro, come a S. Pietro, s’apriranno agevolmente innanzi a voi: vincerete, volli dire, coi suoi consigli ogni difficoltà, supererete ogni ostacolo, finché arrivati in luogo d’eterna sicurezza, possiate dire ancor voi, come l’Apostolo Pietro: “ora conosco in verità che il Signore ha mandato il suo Angelo a liberarmi”: quegli diceva dalle mani d’Erode, io da quelle del demonio. Io dormiva, e il mio sonno profondo era sonno di morte; mi sono svegliato, perché mi ha steso la destra il pietoso Signore: “Ego dormivi, et soporatus sum, et exurrexi quia Dominus suscepit me” (Ps. V, 6). – Ho finito, ma se potessi supporre che fra voi molti ancor dormono, “et dormiunt multi” ( I ad Cor. XI, 50), udite, vorrei dir loro, quel che mi suggerisce il mio ministero, e l’amor che vi porto. Voi volete persistere nel sonno del vostro peccato? Morrete nel vostro peccato, e vi sveglierete sulle porte dell’inferno. Dormiva Sisara assicurato dal cortese accoglimento di Giaele, e in mezzo al sonno trafitto dall’una all’altra tempia da lungo e grosso chiodo, dal luogo del suo riposo cadde nel luogo di tutti i tormenti. Dormiva Oloferne ben lontano dal temere la morte, e in mezzo al sonno, tronco il capo dalla prode Giuditta, dal suo letto piombò nell’abisso. Dormivano le vergini stolte, “dormitaverunt omnes, et dormierunt” (Matt. XXV, 5), e perché sprovviste dell’olio della carità e dell’opere buone, furono escluse per sempre dalle nozze dello sposo celeste. Ah! Mio Dio non permettete mai che avvenga ad alcun di noi somigliante sventura.