Omelia della Domenica XVII dopo Pentecoste

Omelia della Domenica XVII dopo Pentecoste

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. II -1851-]

(Vangelo sec. S. Matteo XXII, 34-46)

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Amore di Dio.

“Maestro, quale di tutti i comandamenti della legge è il più grande?!” Fu questa la maliziosa interrogazione che fece a Gesù Cristo un dottor della legge, come ci narra S. Matteo nel sacrosanto Evangelo della corrente Domenica. – La mira di quel dottor Fariseo, al dir di un interprete, era di costringere Gesù ad una dichiarazione della maggioranza di alcun dei precetti riguardanti l’esercizio del divin culto o di altro spettante alle leggi scritte da Mose, per aprirsi strada a questioni. Troncò il maligno suo disegno il Redentore col rispondere: “Ecco il massimo di tutti quanti i precetti: Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuor tuo, con tutta l’anima tua, con tutta la mente tua: “Diliges Dominum Deum tuum ex loto corde tuo, et in tota anima tua, et in tota mente tua”. È questo il primo e massimo comandamento. Egli è il massimo per la sovrana autorità di un Dio che l’ha imposto, è il massimo per quel commercio che passa tra i più nobili movimenti del nostro cuore e il suo principio che è Dio, e il massimo pel suo fine; è ricompensa d’eterna vita per quei che l’osservano. Se desiderate conoscere i modi coi quali deve da noi osservarsi questo grande e massimo comandamento, due sono necessariamente richiesti. Fissateli bene, cristiani amatissimi. Siamo obbligati ad amare Dio con amore di “preferenza”, lo vedremo da prima: siamo obbligali ad amare Dio con amor di “operazione”, lo vedremo dappoi, se mi favorite di benigna attenzione.

I. – La prima indispensabile qualità del nostro amore verso Dio è la “preferenza”. Non siamo già tenuti ad amare Dio con un amor tenero e sensibile. La tenerezza e la sensibilità, onde talvolta cert’anime si sentono dilatare il cuore, e spargono dolci lacrime, non é da Dio comandata. Possono essere naturali effetti di un temperamento sensibile e facile al pianto. – Né pur ci vien imposto di amare Dio con un amore sforzato; ma con amor libero e volontario; onde riflette l’angelico dottor S. Tommaso che Iddio nell’intimarci questo suo precetto non si servì del verbo “Amabis”, ma del verbo “Diliges” per significarci che vuol essere amato con un amore, che seco porta una scelta ultronea, una spontanea elezione. – Non ci vien finalmente comandato con rigor di precetto un amore intenso, fervido e di sfera sublime. Il Signore ebbe riguardo alla nostra fiacchezza e non ci prescrisse il grado di questo amore, ma la sostanza soltanto. E qual è di quest’amor la sostanza? Ecco, la “preferenza”: vale a dire un amore di stima, di prelazione, di apprezzamento. Questi termini che hanno una sola significazione vogliono essere spiegati a favor de’ men colti. Iddio comanda d’esser amato da noi. Ora, siccome Dio è superiore a tutte le creature presenti e possibili, così dev’essere amato da noi sopra le creature tutte, presenti e possibili. E siccome da Dio portano e a Dio sono inferite tutte le cose create, così il nostro amore per le cose create deve da Dio discendere e riferirsi allo stesso Dio. Un cuore, un’anima che abbia questo amore, preferisce Iddio a sé stessa e ad ogni altra creatura: prepondera nel suo affetto più Dio, che qualunque altro bene creato: stima più Dio, che il mondo tutto: apprezza tanto Dio che non soffre che altr’oggetto venga con esso a paragone e competenza; e se l’umana, o diabolica tentazione forma un tal paragone e competenza, il cuore l’abbomina, l’odia, la distrugge e fa che in sé trionfi la stima e l’adesione, al suo Dio. – Dall’esempio e dalle parole dell’Apostolo Paolo meglio comprenderemo la qualità dell’amor di Dio a noi prescritto. Sfidava egli le creature tutte a separarlo, se era ad esse possibile, dalla carità dell’Uomo-Dio, dall’amor di Gesù Cristo. “Quis me separabit a charitate Christi(Ad Rom. VIII, 35)? “Forse la tribolazione, l’angustia, la fame, la nudità, la persecuzione, la spada? Eh no, che né la morte, né la vita, né l’altezza degli onori, né il profondo dell’avvilimento, né creatura alcuna potrà separarmi dalla carità di Dio, dall’amore di Gesù Cristo.” – Non crediate già, uditori, che qui S. Paolo abbia parlato con enfasi di fervore, come Apostolo disceso dal terzo cielo. No, egli qui parla da semplice cristiano, e dice il puro, il preciso a cui è obbligato qualunque privato fedele. Da ciò ne viene che ciascuno di noi è strettamente tenuto ad essere nelle medesime disposizioni di animo e di volontà, nelle quali protestava di essere il gran Dottor delle genti, onde ognun di noi è obbligato a dire in tutta osservanza e realtà: mediante l’aiuto di Dio, che mai non manca, non vi sarà creatura alcuna, che mi entri nel cuore fino ad escluderne Iddio. “Non altitudo”, non le cariche onorevoli e lucrose, se a quelle debbo ascendere per una via d’ingiustizia, o di simonia, o per altra strada obliqua. “Necque profundum”, non l’abbassamento e la depressione; e se da questa potesse togliermi la calunnia, o l’impostura, o la vendetta, io tutto sacrificherò all’Altissimo, e morrò nel profondo dell’abiezione piuttosto che trarmene con mezzi illeciti: non la fame coi suoi malvagi consigli, non la tribolazione coi suoi tentativi, non la persecuzione coi suoi pericoli, non finalmente la spada del tiranno, né qualunque altra creatura avrà forza in me di staccarmi da Dio, di farmi oltrepassare i suoi ordini e trasgredire i suoi comandi. Ecco l’amore solo, fermo, sostanziale di “preferenza”, di stima, che Dio rigorosamente c’impone nel primo precetto; perciocché Dio non sarebbe più Dio, se più di esso Lui, o al par di Lui, si potesse da noi amare lecitamente qualche altra cosa. Ma quest’amore di preferenza sarebbe un amor di semplice disposizione, se fosse disgiunto dall’opere: vi dissi perciò in secondo luogo, che deve essere amor di “operazione”.

II. – Dio, che si appella dall’Evangelista S. Giovanni, carità per essenza, “Deus charitas est” (Joan. IV, 16), si chiama altresì dall’Apostolo, fuoco consumatore, “Deus noster ignis consumens est” (Hebr. XII, 21). – Questo mistico fuoco, di cui Dio arde per noi, soggiunge il nostro divin Salvatore, “son venuto dal cielo a portarlo su questa terra; e qual altro è il mio desiderio, se non che si accenda in tutti i cuori?” “Ignem veni mittere in terram, et quid volo, nisi ut accendatur” (Luc. XII, 49)? – Osservate ora il fuoco, egli è il più attivo di tutti gli elementi. La terra quando produce e quando riposa: l’aria talora è agitata e talora tranquilla: l’acqua ora scorre, ora è stagnante. Solo il fuoco è sempre in moto, sempre agisce; e se cessa di agire, di accendere, di consumare, cessa altresì dall’esistere. Tal è appunto l’amore verso Dio, dice il Magno Gregorio, “operatur magna, si est, si autem renuit operari, amor non est” (Hom. 30 in Evan.). Vi son opere per Dio, per la sua gloria, pel suo servizio? Dunque vi è amore; non vi son opere? … non vi è amore. L’opera, prosegue lo stesso S. Pontefice, è la prova più autentica dell’amore. “Probatio dilectionis exhibitio est operis” (Ibid.). Infatti perché l’Eterno Padre amò il mondo ci diede il Figlio suo Unigenito per Salvatore. “Sic Deus dilexit mundum, ut filium suum Unigenitum daret” (Joan. III, 16). E suo Figlio stesso per dare la maggior prova al mondo di quanto amava il celeste suo Genitore, andiamo, disse ai suoi discepoli, a compiere quel sacrificio, che placherà la sua giustizia, che comproverà la sua gloria, “ut cognoscat mundus quia diligo Patrem … surgite, eamus” (Joan. XIV, 31). Persuasi ora che le opere sono i veridici contrassegni dell’amore, se mi chiedete quali debbano da noi praticarsi, vi risponderà Gesù Cristo nel Vangelo di S. Giovanni: “Se voi amate, dice Egli, fatemelo conoscere coll’osservanza dei miei comandamenti, “si diligitis me, mandata mea servate” (Joan, XIV, 15). Invano vi lusingate di amarmi, se non mi ubbidite. Così è: i comandamenti della natura, del Decalogo, del Vangelo, della Chiesa, de’ legittimi superiori, son tutti comandamenti di Dio. Se da noi sono osservati, possiamo avere una morale certezza, che regna in noi l’amor di Dio, un solo però che venga trasgredito basta ad estinguere questo amore e dar morte all’anima nostra. “Qui non diligit, manet in morte” (Jo. III, 14). – Ad agevolare poi l’osservanza de’ divini precetti è espediente mettere in pratica i mezzi opportuni all’intento. Scelgo fra tanti, quei che ci suggerisce S. Lorenzo Giustiniani, e sono “Libenter de Deo cogitare, libenter Deo dare, libenter pro Deo pati” (Lib. De L. vitae c. 11). Riandiamo i sensi di questo gran Santo, che forse avremo da confonderci. “Libenter de Deo cogitare”. Un cuore che ama ha sempre presente al pensiero l’oggetto amato. Corre questo costume riguardo agli oggetti terreni, non corre per nostra sventura rapporto a Dio. Ditemi in grazia, fedeli amatissimi: il vostro primo pensiero nello svegliarvi lo date a Dio? Fra giorno vi occupate mai della memoria di Dio? Pensate mai che Iddio vi è presente, che è testimonio di ogni vostra azione? Vi tornano a mente i benefizi da Lui ricevuti, le grazie, che ogni dì vi comparte? Oh Dio! Si pensa al negozio, al lucro, alla lite, al divertimento, alla campagna, al lavoro, alla famiglia, insomma a tutto, ma non a Dio. Io già non vi condanno se pensate alla casa, ai figli, ai campi, alle officine, agli affari, e a tanti altri vostri giusti interessi. Possono essere questi pensieri una parte delle obbligazioni del vostro stato. Ma di grazia fra tanti e tanti pensieri non vi potrebbe aver luogo un pensiero per Dio? Possibile che Egli debba essere escluso dalla vostra mente per modo, che in tutto il dì non si trovino in essa neppur alcune reliquie di pensieri per Dio, “reliquiae cogitationum”, giusta la frase del re Profeta! O sconoscenza della creatura dimenticata di quel Dio, in cui vive, in cui si muove, per cui esiste! – In secondo luogo , “libenter Deo dare”. L’amore è liberale. Chi ama Dio dà a Lui volentieri il suo tempo per onorarLo, per supplicarLo. Gli fa di buon grado parte di sue sostanze nella persona dei poveri. Dava più volte al giorno il suo tempo a Dio il Profeta Daniele; dava di sue sostanze ai bisognosi il buon Tobia. I cristiani moderni san fare miglior uso del tempo e delle sostanze? Le ore della notte alla veglia e al riposo: le ore del giorno se le dividono il pranzo, la cena, la conversazione, le visite, il giuoco, il passeggio; e a Dio che resta? … e a Dio che si dà? Una Messa alle Domeniche, chissà come sentita, qualche volta un rosario detto tra il sonno e l’accidia, una predica per curiosità, una confessione all’anno, una comunione alla Pasqua. Caino non è più solo, che a Dio offriva le spighe più smunte del proprio campo. – Ora chi nega a Dio il tempo al suo culto, come gli sarà liberale in sovvenire i suoi poverelli? Il ricco Epulone neghittoso verso Dio, crudele verso Lazzaro ha i suoi successori. Altro che amor di Dio! Finalmente, “libenter pro Deo pati”. Ella è questa una gran prova di amore, patir volentieri per l’oggetto amato. Voi avete in casa quella suocera incontentabile, quella nuora arrogante, quel marito collerico, quella moglie fastidiosa, quel figliuolo che v’inquieta il giorno, che vi disturba la notte, quell’infermo che vi cruccia, quel vicino che vi molesta, e per che non farvi merito colla pazienza, perché non dare a Dio un segno del vostro amore col patir qualche poco per Chi ha tanto patito per voi? – Tanto si soffre per le creature, tanto si stenta pel mondo, e nulla si vuol soffrire per Dio! Deh! non sia più così. Il nostro amore verso Dio sia da qui innanzi amor di “preferenza”, di prelazione, di stima; ed acciò non resti sterile nella pura immaginativa si porti alla pratica, si dimostri colle opere, “non diligamus verbo, neque lingua, sed in opere et veritate” (I Jo. IV). Allora sì che il nostro amore sarà come l’oro fra i metalli, come il sole tra i pianeti, come il fuoco fra gli elementi. Questo mistico fuoco non si estinguerà per morte, passerà anzi ad accrescere la sua fiamma nella celeste sfera, ove si vive di puro amore, e ove Iddio ci conduca.

I FRUTTI DELLO SPIRITO

I FRUTTI DELLO SPIRITO

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[J.-J. Gaume; “Il trattato dello Spirito Santo”: Capp. XXXVII, XXXVIII, XXXIX, Firenze 1887].

Abbiamo spiegato la grazia, le virtù, i doni e le beatitudini. Sotto i nostri occhi è passato tutto il magnifico sistema di elementi deificatori i quali, concatenandosi gli uni con gli altri, conducono l’uomo alla somiglianza col Verbo incarnato. La miniera con tutto ciò non è esaurita. A tante ricchezze si aggiungono altre ricchezze. « Delle buone fatiche, dice la Scrittura, glorioso è il frutto. »  [“Bonorum enim laborum gloriosus est fructus”. Sap., III, 15]. – Quali fatiche più nobili di quelle della nostra deificazione! Quali frutti più deliziosi dei frutti coi quali sono ricompensati! Ciascuna beatitudine o atto beatifico ci avvicina a Dio. Ora, Dio è tutto insieme, perfezione assoluta e felicità suprema. Ne risulta che ad ogni passo che noi facciamo verso Dio, va unito un godimento, cioè che i frutti escono dalle beatitudini, come il frutto esce dall’albero. Completando l’opera della nostra creazione divina, questi nuovi favori dello. Spirito Santo fanno del cristiano il Dio di quaggiù, “terrenus Deus”, e della sua vita terrena un cielo anticipato, conversatio in coelis. Per comprenderlo, basta conoscere la risposta alle tesi seguenti: Che cosa s’intende per frutti dello Spirito Santo? Come sono eglino prodotti? Perché sono essi cosi chiamati? In che cosa differiscono dalle beatitudini? Quale ne è il numero? A che cosa sono opposti? 1° Che s’intende egli per i frutti dello Spirito Santo? Nell’ordine naturale, si chiama frutto il prodotto delle piante e degli alberi. La mela è il frutto del melo; il limone del limone; la fravola del fravolo, così degli altri. – Varii come le piante, più i frutti hanno questo di comune, che racchiudono qualcosa di grato secondo la loro specie, e sono come l’ultimo sforzo della pianta. [“Fruitio et fructus ad idem pertinere videntur, et unum ex altero derivari… Unde a sensibilibus fructibus nomen fruitioms derivatum videtur. Fructus autem sensibilis est id quod ultimimi ex arbore espectatur, et cum quadam sua vitate percipitur”. S. Th., l a, 2ae, q. xi, art. 1, corp. — “Ad nozione fructus sufficit quod sit aliquid babens rationem ultimo et delectabilis”. Id., id., q. 70, art. 2, corp.] – La condizione necessaria per costituire il frutto propriamente detto, è il sapore: per questa ragione le foglie e i fiori non sono chiamati frutti. Il frutto stesso, avanti che sia maturo, non porta il nome di frutto. Per nominarlo vi si aggiunge un epiteto che qualifica la sua imperfezione. Dicesi: frutto acèrbo, frutto verde. La ragione è che esso non ha le qualità essenziali del frutto: il colore, il sapore, la dolcezza, la cui riunione, costituendo la bellezza e la bontà, forma un perfetto prodotto. Allorché l’albero ha dato il suo frutto è finito il suo compito. Ei si riposa e si prepara a produrre nuovi frutti al loro tempo. – Donde quella definizione dell’angelo della scuola: « Si chiama frutto il prodotto della pianta, giunto alla sua perfezione e che contiene una certa dolcezza. » [“Dicitur fructus id quod ex pianta producitur cum ad perfectionem pervenerit et quamdam in se suavitatem habet”. S. Th., l a, 2“ , q. 70, art. 1, corp,]. – Secondo un paragone famigliare al Vangelo, l’uomo è un albero. Le sue azioni sono i suoi frutti. Da ciò quell’altra definizione di san Tommaso: « I frutti sono tutti gli atti virtuosi, nei quali l’uomo si diletta. » [“Sunt enim fructus quaeoumque virtuosa opera in quibus homo delectatur.” Ibid., art. 2, corp.]. – Come quelli delle piante, così i frutti dell’uomo differiscono qualità secondo la natura dell’umore che circola nelle vene di quest’albero vivente. Belli e buoni di una bellezza e di una bontà puramente naturali, se essi sono il prodotto della ragione e delle virtù puramente umane. Belli e buoni di una bellezza e bontà soprannaturale, se sono il prodotto della grazia e delle virtù soprannaturali. – Per meritare il nome di frutto, abbiamo visto che il prodotto delle piante deve essere l’ultimo sforzo della pianta, e racchiudere una certa dolcezza. Queste due condizioni non sono meno necessarie per costituire il frutto spirituale. Prima di tutto, per essere chiamato frutto ogni atto virtuoso, deve essere perfetto nel suo genere, vale a dire l’ultimo sforzo del principio che lo produce. L’atto imperfetto è indegno di questo nome. Cosi, la velleità del bene, gli atti di qualsiasi virtù, debolmente adempiuti o viziati da intenzioni malvagie, non sono più frutti spirituali, ma aborti; i fiori e le foglie non sono frutti naturali. [“…. Fructus hominis id quod homo adipiscitur, non autem omne id quod adipiscitur homo, habet rationem fructus; sed id quod est ultimum et delectationem habens”. S. Th., ut supra]. – Occorre inoltre che l’atto virtuoso racchiuda una certa dolcezza. Qual’è questa dolcezza? È la testimonianza della coscienza, e il contento intimo che provoca il dovere completamente e nobilmente adempito. Senza essere sempre sensibile, non è per questo meno reale. Qui possiamo applicare la parola dell’Apostolo : « Ogni correzione sembra alla verità, nel momento presente, un soggetto non di gioia, ma di tristezza; ma in seguito essa si trasforma per quelli che esercita in frutto delizioso di giustizia. » [Ebrei, XII, 12]. – Divenuta abituale nell’anima, questa dolcezza costituisce il banchetto delizioso del quale parla lo Spirito Santo, che si sostituisce a tutte le gioie e che nessuna gioia può sostituirlo. 2 2 [“Secura mens quasi juge convivium”. Prov., XV , 15]. Donde viene che il dovere, degnamente adempito, procura la gioia? Dall’essere un passo di più verso Dio, nostro ultimo fine e la soavità infinita. – Secondo queste spiegazioni, vediamo che i frutti dello Spirito Santo sono tutte le buone opere degne di questo nome, fatte sotto l’ispirazione dello Spirito Santo, e nelle quali l’uomo trova la sua gioia . [“Si operatio borniuis procedat ab homine secundum facilitatela suae rationis, sic dicitur esse fructus rationis; si vero procedat ab bornine secundum altiorem virtutem, quae est virtus Spiritus sancti sic dicitur operatio hominis fructus Spiritus sancti, quasi cujusdam divini seminis”. S. T h.,a, 2ae, q. 70, art. 1, corp]. – Questa definizione distingue i frutti dello Spirito Santo dagli atti virtuosi in generale. Infatti, vi sono nell’uomo due principi d’azione: uno naturale, la ragione; l’altro soprannaturale, la grazia. Le buone opere adempite, secondo i lumi della ragione, sono i frutti della ragione. Le buone opere fatte sotto l’impulso della grazia sono i frutti dello Spirito Santo, autore della grazia. Fra gli uni e gli altri, grande è la differenza. I primi sono le opere naturalmente buone, atti di virtù puramente umani, per conseguenza inutili per il cielo, e non procurano che un piacere imperfetto. I secondi posseggono, con tutta la bontà naturale dei primi, una bontà soprannaturale che li rende degni del cielo; imperocché la grazia non distrugge la natura, ma la perfeziona: “Gratia non tollit naturami sed perficit”.2 ° Come si producono i frutti dello Spirito Santo? Questa è una questione puramente teologica. Domandare come lo Spirito Santo produca i suoi frutti nell’uomo, é domandare come l’albero produca i suoi. L’albero produce i suoi frutti con l’innesto, con la. potatura, e secondo la sua specie. Con mezzi analoghi l’uomo, albero miserabile, viziato, rachitinoso, produce dei frutti di una bellezza imperitura e di un sapore delizioso. – Lo Spirito Santo forma il nuovo Adamo, vero albero della vita piantato in mezzo al vero Eden, la santa Chiesa Cattolica. Sopra quest’albero divino sono innestati, mediante il battesimo, i rami del piantone che chiamasi il vecchio Adamo. [Rom., XI, 17-24]. – Nutriti, come di un umore soprannaturale, della grazia dello Spirito Santo che abita nel nostro Signore in tutta la sua pienezza, quegli innesti partecipano della vita dell’albero divino, e producono frutti della stessa natura dei suoi. Così, propriamente parlando, non è l’uomo che gli produce, ma lo stesso Spirito Santo, principio necessario ed eternamente attivo ed eternamente fecondo della vita soprannaturale. Da ciò deriva che sono chiamati, non frutti dell’uomo, ma i frutti dello Spirito Santo. – Ora che abbiamo conosciuto l’innesto, passiamo alla potatura. Nell’ordine materiale, la potatura degli alberi è uno dei mezzi migliori d’ottenere abbondanza e qualità. Cosi è altrettanto nell’ordine morale. « Ogni ramo d’albero fruttifero, il padre mio lo taglierà, diceva Nostro Signore, affinché porti più frutti. » [Joan. XV, 2]. – La vita intera è il tempo della potatura divina. Non l’abbiamo trovata in nessun luogo rappresentata in un modo più vivo come nella celebre visione di santa Perpetua. « Un giorno, scrive questa giovine e inimitabile eroina, mio fratello mi disse: “O sorella mia, chiedi al Signore che ti faccia conoscere in una visione se tu devi soffrire la morte”. – Io risposi piena di fiducia al mio fratello: “Domani tu saprai quel che sarà”. Io chiesi dunque al mio Dio di mandarmi una visione, ed ecco quella che ebbi. « Io vidi una scala tutta d’oro che toccava dalla terra al cielo, ma cosi stretta, che non vi si poteva salire che uno alla volta. I due lati della scala erano tutti bardati di spade taglienti, di spine, di giavellotti, di falci, di pugnali, di larghi ferri di lancia, di modo che chi vi fosse salito con trascuratezza e senza aver sempre la vista volta in alto, non poteva evitare d’essere divorato da tutti questi strumenti lasciandovi una gran parte della sua carne. A piè della scala era uno spaventoso drago che pareva sempre pronto a lanciarsi addosso a quelli che si presentavano per salire. Satura pur nonostante cominciò a salirla: giunto felicemente in cima alla scala, si volse verso di me e disse: Perpetua, io vi aspetto, ma guardatevi dal drago. Io le risposi: non lo temo, e voglio salire in nome del Signore nostro Gesù Cristo. – « Allora il drago, come temendo egli medesimo, voltò dolcemente il capo, ed io avendo alzato il piede per salire, esso mi servì di primo scalino. Essendo giunta alla sommità, mi trovai in un giardino spazioso, in mezzo al quale vidi un uomo di una sorprendente bellezza. Vestito da pastore, i suoi capelli erano bianchi come la neve. Eravi là una mandria di pecore dalle quali traeva latte, ed era circondato da una moltitudine innumerevole di persone vestite di bianco. Egli mi scorse, e, chiamatami per nome, mi disse: “O figlia mia, siate la benvenuta; ed egli mi diè del latte munto d’allora e che era una panna. Io lo ricevetti a mani giunte e lo presi. Tutti quelli che erano ivi presenti risposero: Amen. Mi risvegliai a quel rumore e trovai infatti, che io aveva in bocca un non so che di molto dolce che masticava. Allorché vidi mio fratello, gli raccontai il mio sogno, e concludemmo tutti che noi dovevamo ben presto sopportare il martirio. » Ad. sincer., apud Ruinart, t . I , p . 212, ediz. in -8,1818]. – Una scala d’oro che va dalla terra al cielo, angusta e tutta contornata di strumenti taglienti; quest’è appunto la vita, via del cielo, con le prove più o meno dolorose ma continue, che compiono, rispetto all’uomo, la salutare operazione della potatura, levandogli tutto quel che vi è di esuberante e di cattivo nei suoi pensieri, nei suoi affetti e nelle sue azioni. Gli alberi, quando sono innestati e potati, producono i frutti, e buoni frutti ciascuno secondo la sua specie. – Fermiamoci per un istante a contemplare l’immenso giardino dello Spirito Santo, a contare gli alberi umanamente divini di cui è ricolmo, e a godere della stupenda bellezza dei loro frutti. [“Et flores mei, fructus honoris et gratiae”. Eccl , XXVI, 28]. – Per non parlare che dei tempi posteriori al Messia, noi vediamo l’albero della vita, le cui radici sono profonde nella grotta di Betelem, coprire la terra con la sua ombra. Che cosa sono i suoi innumerevoli rami? Innesti e propaggini divinamente attaccati al suo tronco indistruttibile. Che sono i milioni d’apostoli dei tempi antichi e dei tempi attuali? Tante propaggini divine, cariche di frutta, di grazia e di onore. E le legioni di martiri, i solitari, vergini, santi di ogni età, di ogni condizione e d’ogni paese? propaggini divine, cariche di frutti, di grazia e di onore. – Ciascuna produce dei frutti, secondo la sua specie, frutto di fede, di speranza, di carità, di pietà, di umiltà, di verginità. Tutte insieme li producono, mille e mille volte, sotto tutti i climi, in tutte le stagioni, ad ogni ora, di giorno e di notte, in modo che il giardino dello Spirito Santo non cessa di presentare all’occhio della fede, lo spettacolo di una magnifica campagna nei bei giorni di primavera e d’estate. – Che dico io? Nel giardino divino, cosa sono i prati, i campi, le verzure con la loro infinita varietà di fiori .e di frutti? un’ombra vana. Che cosa è il mondo pagano, antico e moderno con le sue pretese virtù? Una vasta siepe, indegna del nome di giardino. Paragonati ai frutti dello Spirito Santo, che sono i frutti della ragione, i frutti dei sapienti più famosi, i frutti di Aristide, di Socrate, di Platone, di Scipione, di Seneca, i frutti dei sacerdoti dell’Egitto, dei brama dell’India, dei bonzi della China, dei lama del Thibet e dei razionalisti d’Europa? Come prodotti dell’orgoglio, dell’ambizione, del capriccio, questi frutti non sono la maggior parte ché tanti aborti, simili a quelle escrescenze parasite che nascono sulla scorza degli alberi vecchi, tutt’al più produzioni senza sapore e senza utilità reale. – Non sarebbe forse questo il luogo, per voi che leggete questo libro, e per me che lo scrivo, di domandarci: Innesto divino, per grazia del battesimo, quali frutti ho io portati? quali sono quelli che io porto? Grave questione, imperocché è scritto: « Ogni albero che non reca buoni frutti sarà tagliato e gettato sul fuoco.  » [Matth., VII, 19]. – Le mie preghiere vocali, le mie orazioni, le mie confessioni, le mie comunioni, le mie azioni giornaliere che cosa sono? Se fin qui sono stato un albero press’a poco sterile, tanto più lo sarei se avessi avuto la disgrazia d’essere un cattivo albero, uno spineto, un rovo, un cardo; deh fate che io sia da qui innanzi un buon albero, una buona propaggine feconda in frutti di vita, degni dell’amore divino che mi disseta, del sole divino che mi riscalda, del tronco divino su cui io sono innestato, del giardino divino che mi coltiva con le sue mani e che mi annaffia del suo sangue. – Studiando le relazioni profondissime tra 1’uomo e l’albero, abbiamo visto in qual maniera si producono i frutti dello Spirito Santo. Fra questi rapporti, ve ne ha uno di più, che dobbiamo segnalare. L’innesto materiale non produce frutti se non che di una specie sola, mentre quello divino, ha la proprietà, e di più il dovere di produrne simultaneamente di molte specie differenti; imperocché l’umore che lo nutrisce è multiforme. A questo modo l’hanno inteso e praticato tutti i veri cristiani di tutti i tempi. L’esempio del grande sant’Antonio serva loro di regola. Come i figli discoli che introducendosi negli orti spogliano tutti gli alberi dei migliori frutti, cosi il patriarca del deserto si dava alla devota scorreria, cercando in ciascuno dei solitari, la cui numerosa falange popolava le due Tebaidi, le più belle virtù, a fine di imitarle. Nell’uno coglieva il frutto della dolcezza, nell’altro il frutto della pazienza, in questo il frutto dell’orazione, e in quello, il frutto della mortificazione. Cosi dobbiamo far noi, affinché l’arrivo del divino Ortolano ci riconosca per buoni alberi, e come tali, ci trasporti nel giardino eterno dello Spirito Santo. – Perché i frutti dello Spirito Santo sono cosi nominati? La ragione principale è che ciascuna opera completamente buona, procura all’anima un godimento simile a quello che procura al palato il mangiare un frutto squisito. Qual è questo mistero? Rassomigliare a Dio è la fine dell’uomo. Tutti gli atti veramente virtuosi sono tanti scalini che servono ad avvicinarsegli. – Questo approssimarsi continuo lo costituisce in rapporti sempre più intimi con Dio ; e questi stessi rapporti accrescono, perfezionandosi, una soavità maggiore, risultato della vicinanza sempre più prossima a Dio, la soavità per essenza. Tale è la ragione per la quale ad ogni progresso corrisponde una soavità, e per la quale ancora i migliori di tutti portano a giusto titolo il nome di frutti; e di frutti dello Spirito Santo, il quale solo ci aiuta a produrli. – Cosi Dio ci rivela in modo sensibile la nostra rassomiglianza con Lui; Egli ci tratta come si è in qualche modo trattato Lui stesso. Egli vuole che il dio della terra crei le sue opere, come egli stesso crea le sue, e che provi, creando la sua felicità, ciò che Egli medesimo ha provato creando l’universo. Dopo ciascuna delle sue opere, Iddio dice, che era cosa buona: “Et vidit quod esset bonum”. Sette volte Ei ripete la stessa parola. In questa approvazione misteriosa è, in complesso, la testimonianza resa alla perfezione relativa della nuova creatura, e l’espressione della gioia che ha cagionata al suo autore. – Solamente all’ultimo giorno della creazione, e dopo l’ultima mano posta a tutte le sue opere, Iddio modifica le sue espressioni, e pronunzia la parola di soddisfazione suprema e universale. Egli vide che tutte le cose che aveva fatte erano eminentemente buone, dopo di che si riposò. “Vidit Deus cuncta quae fecerat, et erant valde bona et requievit”. Come supremamente buone in se stesse, esse erano l’ultima parola della potenza, della sapienza e della bontà creatrice. Essendo buone nel loro complesso, erano in stato di cantare sino alla fine dei secoli, senza fare mai una stonatura, le glorie del Creatore. – Siccome buone rispetto a Dio, così la loro stessa perfezione Gli procurava un indicibile contento. – Così l’uomo. Dopo ogni buona opera, degnamente compiuta, egli può dire, senza nulla attribuire a se medesimo: Questo è buono: Vidit quod esset bonum; e gusta la soavità particolare del frutto che ha prodotto. Sette volte ei ripete la stessa parola, perché i sette doni dello Spirito Santo sono i principi di tutte le sue opere buone. Come il Creatore, ei non potrà pronunziare la parola di soddisfazione suprema, se non dopo aver colto il suo ultimo frutto, compiendo l’opera della sua deificazione. Allora solamente potrà dire, gettando uno sguardo sull’insieme della sua vita: Io ho compiuto la mia opera, grazie a Dio, ed è buonissima: non mi resta altro che entrare nel riposo dell’eternità: “Vidit cuncta quae fecerat, et erant valde bona, et requievit”. – Il rivelarci uno dei più nobili tratti della nostra rassomiglianza con Dio non è che la prima ragione della soavità, congiunta a ciascuna opera buona. Ve n’è un’altra. Per impedire che Israele rimpianga il grossolano cibo dell’Egitto, per addolcirgli le fatiche del viaggio attraverso le sabbie del deserto, per fortificarlo contro i suoi nemici e dargli un’anticipazione delle delizie della terra promessa, il Signore nella sua bontà paterna gli mandò la manna. Questo cibo celeste aveva tutti i gusti, e soddisfaceva a tutti i bisogni. Israele é 1’immagine del cristiano. Avendo una soavità ad ogni opera buona, Dio ne fa una manna, e che vuole Egli con ciò? – Oggi, come in antico, Egli vuole disgustare l’uomo delle perfide soavità del frutto proibito. Vuole addolcire le profonde amarezze della sua esistenza, e facendogli trovare il piacere nel dovere, incoraggiarlo ai combattimenti della virtù. – Senza queste diverse soavità, chi non verrebbe meno in mezzo al deserto della vita ? Ohi non abbandonerebbe il servizio di un padrone, la cui mano, come dice la Scrittura, non dà a suoi servi che un pane di lacrime e arenoso? Ma con queste soavità, vedete quel che accade. – Ad esse si debbono il coraggio eroico dei penitenti e dei martiri, la santa ebbrezza in mezzo ai tormenti, la rassegnazione nel dolore; l’insensibilità alle attrattive del vizio e il disprezzo costante di tutte le gioie, che possono promettere il demonio, la carne e il mondo. Essendo esse necessarie a tutti, ai peccatori penitenti, non meno che ai giusti affamati, sono attaccate in certe proporzioni, non solamente alle beatitudini o atti beatifici per eccellenza, ma a tutti gli atti virtuosi, degnamente adempiuti. – Adesso noi comprendiamo la ragione per la quale il nome del frutto è dato nel linguaggio divino, alle opere eseguite sotto l’impulso dello Spirito Santifìcatore, e il luogo necessario di queste soavità celesti nel lavoro della nostra deificazione. – 4° In che differiscono i frutti dalle beatitudini? Che questi ne differiscono, la prova sta nella differenza dei nomi, dati alle une e alle altre, e nella enumerazione che ne è fatta. Tutte le cose che sono chiamate con nomi differenti, differiscono tra di loro. Ora, i nomi dei frutti non sono i nomi delle beatitudini. Inoltre il vangelo nomina sette beatitudini, e l’apostolo conta dodici frutti: la differenza diviene sensibile, se si studiano nella loro natura intima. I frutti differiscono dalle beatitudini, come il meno differisce dal più. Per meritare il nome di frutto, basta che un atto virtuoso sia finale e dilettevole; in altri termini, che sia l’ultimo sforzo del principio naturale o soprannaturale da cui emana, e che cagioni all’uomo la soddisfazione risultante dal dovere adempiuto. – Ma per meritare il nome di beatitudine bisogna, che quest’atto sia qualche cosa di perfetto e di eccellente. [“Plus requiritur ad rationem beatitudinis quam ad rationem fructus. Nam ad rationem fructus sufficit quod sit aliquid habens rationem ultimi et delectabilis, Sed ad rationem beatitudinis, ulterius requiritur quod sit aliquid perfectum et excellens”. S. Th., l a, 2ae, q. 70, art. 2, cor.]. – Così, atto virtuoso e soavità neill’atto, è supposta dalla beatitudine. Ella suppone inoltre, come principio dell’ atto, una grazia superiore; come oggetto, una cosa eccellente; come risultato, una soavità più grande. Da queste nozioni risulta: 1° Che tutte le beatitudini, cioè dire come l’abbiamo spiegate, tutti gli atti beatifici compiuti sotto l’influenza dei doni dello Spirito Santo, possono essere appellati frutti: ma non tutti i frutti possono essere chiamati beatitudini. « Difatti, dice san Tommaso, i frutti sono tutte le opere virtuose nelle quali l’uomo si compiace; ma il nome delle beatitudini è riserbato a certe opere perfette che, in ragione stessa della loro perfezione, sono piuttosto attribuite ai doni dello Spirito Santo che alle semplici virtù. » [“Unde omnes beatitudines possunt dici fructus, sed non convertitur. Sunt enim fructus quaecumque virtuosa opera in quibus homo delectatur; sed beatitudines dicuntur solum perfecta opera, quae etiam ratione suae perfectionis magis attribuuntur donis quam virtutibus”. Ibid.]. – 2° Resulta: Che nell’ordine gerarchico le beatitudini sono superiori ai frutti, e il termine più elevato della perfezione del cristiano. Infatti, si possono gustare i frutti all’infuori delle beatitudini, poiché essi entrano nella natura di ogni atto virtuoso; ma non si gustano pienamente se non che nella pratica delle beatitudini che sono gli atti virtuosi per eccellenza. Cosi in un giardino, gli alberi di specie differenti producono dei frutti, ognuno dei quali ha la sua bontà particolare che gli merita il nome di frutto; ma come gli alberi che gli producono, così questi frutti sono tra loro di qualità ineguali. – 3° Resulta: che ricordandosi la definizione delle beatitudini e dei frutti, si coglie perfettamente la differenza che gli distingue. Le beatitudini, o atti beatifici, sono le buone opere prodotte dai doni dello Spirito Santo: Beatitudo est operatio doni. I frutti sono quelle stesse opere compiute con l’ultima perfezione, e che producono la soddisfazione intima dell’anima. “Fructus est aliquid habens rationem ultimi et delectabilis”. – Il seguente capitolo ci farà conoscere il numero di questi frutti divinamente dolci, e il luogo che occupano nel parallelismo, tante volte notato tra l’opera del Verbo incarnato e la contraffazione di satana. – Qual é il numero dei frutti dello Spirito Santo? Questi sono così numerosi e vari quanto i frutti materiali, che affascinano i nostri occhi, e che solleticano tanto graziosamente il nostro gusto. Perché questa immensa varietà di frutti nella natura? Perché la stessa varietà nel giardino spirituale del Verbo incarnato? La ragione è la stessa. Dio ha scritto due grandi libri: il libro della natura e il libro della grazia, o per continuare il paragone, egli ha piantato due magnifici giardini: il giardino della natura e quello della grazia. Il primo per i bisogni e per gli occhi del corpo; il secondo pei bisogni e per gli occhi dell’anima. Se voi domandate perché questi due giardini, l’Apostolo risponde: per far rilucere la sapienza moltiforme di Dio: [“Ut innotescat multiformis sapìentia Dei”. Eph., III 10]. Perché il firmamento con le sue miriadi di stelle, così magnifiche nel loro insieme, così prodigiose per il loro numero, cosi differenti nella loro lucentezza, così regolari nel loro moto? per far risplendere la sapienza multiforme di Dio. Perché la terra con le sue produzioni di una ricchezza che basta a tutto, di una bellezza che esaurisce l’ammirazione, e di una varietà che sfugge a tutti i calcoli? per far brillare la sapienza multiforme di Dio. Perché il mare coi suoi innumerevoli abitanti, i suoi abissi inscandagliabili, le sue leggi tanto invariabili quanto sono misteriose? per far brillare la sapienza multiforme di Dio. Perché infine, questo vasto universo, composto di tanti milioni di creature, nessuna delle quali rassomiglia l’altra? per fare rifulgere agli occhi corporei dell’uomo la sapienza multiforme di Dio: “Ut innotescat multiformis sapientia Dei”. – Tutti gli atti, tutti i movimenti, tutte le produzioni di queste creature del firmamento, della terra e dei mari, sono nell’ordine naturale i frutti dello Spirito Santo; atteso che, come dice san Basilio, tutto ciò che le creature posseggono, esse lo debbono allo Spirito divino. [Liber de Spirit. sanct., p. 65, ediz. nuovis.]. – Ma per quanto sia eloquente per raccontare la multiforme sapienza del Creatore, il mondo materiale non è che un eco, un’ombra, un riflesso. Per ridire questa sapienza in tutta la sua gloria, bisognava un altro mondo, mille volte più regale, più magnifico e più vario: cioè il mondo della grazia. Questo mondo si compone degli Angeli e degli uomini, creature superiori a tutte quelle che noi vediamo, innalzate alla partecipazione della stessa natura di Dio, destinate a partecipare della sua gloria e producente ciascuna, secondo la sua specie, dei frutti di una bellezza incomparabile e di una varietà infinita. Se noi domandiamo perché tanti alberi da frutto in questo nuovo giardino dello Spirito santificante, l’apostolo ci risponde pure: È per far risplendere la sapienza multiforme di Dio: “Ut innotescat multiformis sapientia Dei”. Egli è specialmente, per rivelare l’inesauribile fecondità dell’albero divino sul quale tutti questi alberi sono innestati. Egli è per distinguere da tutti gli alberi avvelenati la vigna sana, piantata dallo stesso Verbo, innaffiata dal suo sangue e vivificata dal suo spirito. Egli è per preparare a tutte le generazioni che si succedono, un cibo sufficiente, imperocché i frutti dell’albero non sono solamente la gloria dell’albero, ma sono l’alimento dei viandanti. Ogni ramo del grande Albero porta i suoi, e ogni viaggiatore può scegliere. Come abbiamo indicato, la storia cita una moltitudine di questi golosi spirituali che se ne andavano, cogliendo su tutti gli alberi, i frutti di loro gusto, dei quali essi si componevano un cibo squisito. Oh la bella preda da fare percorrendo la vita dei santi: “Ut innotescat multiformis sapientia Dei” – Veniamo ora agli atti particolari che la stessa Scrittura designa sotto il nome di frutti dello Spirito Santo. Essi sono in numero di dodici. Perché questo numero e non un altro? Non sono troppi o troppo pochi? Troppi, se è vero che i frutti nascono dalle beatitudini; troppo pochi, se tutti gli atti veramente virtuosi sono frutti dello Spirito Santo; spieghiamo questi misteri. Il numero dodici è un numero sacro, il quale, come abbiamo visto, esprime l’universalità. In questa cifra si trovano dunque compresi tutti i frutti dello Spirito Santo, che si confondono con i dodici nominati dall’Apostolo. Dodici non sono troppi, poiché secondo le anteriori spiegazioni, la stessa beatitudine può produrre parecchi frutti: non sono troppo pochi, poiché il numero dodici esprime l’universalità completa. – Ricordate queste nozioni, quattro cose ci restano a fare: dare l’enumerazione apostolica dei frutti dello Spirito Santo; render ragione di questa enumerazione; spiegare ciascun frutto in particolare; mostrare l’opposizione dei frutti dello Spirito Santo con le opere dello spirito maligno; imperocché sino alla fine si continua la contraffazione satanica del concetto divino. – Enumerazione dei frutti dello Spirito Santo: « Ecco, dice san Paolo nella sua lettera ai Galati, i frutti dello Spirito Santo: la Carità, la Gioia, la Pace, la Pazienza, la Benignità, la Bontà, la Longanimità, la Dolcezza, la Fede, la Modestia, la Continenza, la Castità. » [V, 22, 23]. – Come conciliare questi nomi apostolici, che sono nomi di virtù, con i frutti dello Spirito Santo, che non sono virtù ma atti di virtù? « Per questo, risponde sant’Antonino, basta ricordarsi che è uso prendere il nome delle virtù per gli stessi loro atti. » [“Non obstat quod Apostolus ponit inter fructus nomina virtutum quae sunt habitus, ut patientia et charitas et hujusmodi, cum tamen fructus sint actus”. IV p., tit. V, c. XXI]. – Così di qualcuno che ha reso al suo prossimo un segnalato servizio, diciamo che egli ha fatto una gran carità, oppure la carità. Ne segue da ciò, che la carità e la fede, nominati tra i frutti dello Spirito Santo, non sono le virtù teologali dello stesso nome, ma solamente i loro atti, o la loro applicazione particolare, accompagnati dalla dolcezza che ne é la ricompensa. 33 [“Primus itaque fructus ventris Mariae mentalis dicitur charitas quae hic non importat virtutem, sed actum ejus”. S. Anton., IV p., tit. XV, c. XXVI]. – Ragione di questa numerazione. Ogni frutto viene da una pianta, ogni pianta viene da un seme o da una radice. Lo Spirito Santo è il seme dei frutti che portano il suo nome: e lo Spirito Santo è la stessa carità. Che v’è da meravigliarsi se il suo primo frutto sia la carità? [“Fructus Spiritus sancti, quasi cujusdam divini seminis.” S. Th., l a, 2ae, q. 70, art. 1, corp.]. – « Vedete, dice san Giovanni Crisostomo, quale attenzione nelle parole dell’Apostolo, quale convenienza nella dottrina! Prima di tutto, ei pone la carità, in conseguenza di tutti gli atti che ne derivano; egli fissa la radice, poi ne mostra i frutti; egli stabilisce il fondamento, e istruisce l’edilìzio; comincia dalla sorgente, ed arriva ai ruscelli. 2 »* [De sanct. Pentecoste, homiL 11, n. 8, opp. t. II, p. 560]. – Trattando la stessa questione, san Tommaso aggiunge, che l’ordine e la distinzione dei frutti dello Spirito Santo, si ricava dal modo con cui lo Spirito Santo procede riguardo all’ uomo.  [1a, 2ae, q. 70, art. 3, corp.]. – Ora, lo Spirito Santo procede riguardo a questo, in modo da condurlo a poco a poco alla perfezione ed a fargliene gustare la felicità. Questa felicità, superiore a tutte le altre, l’uomo la gusta, quando è pienamente nell’ordine. Esso è pienamente nell’ ordine allorché vi è: rispetto a ciò che è superiore a sé; riguardo a ciò che è in sé, intorno a sé, e al di sotto di sé. In queste condizioni, l’uomo possiede la pace internamente; la pace al di fuori, la pace confermata da tutte le parti; e la vita, malgrado le sue inevitabili amarezze, è all’anima ciò che il frutto è alla bocca. – I tre primi frutti ordinano il cristiano riguardo a ciò che è al di sopra di sè. [“Ex his dirigitur a Spiritu sancto tota conversatio hominis ut sit virtuosa. Et per prima tria dirigitur quoad eum, qui est supra se. Per seconda tria dirigitur quo ad animum suum, qui est intra se. Per tertia tria dirigitur quoad proximora, qui est juxta se. Per ultima tria quoad corpus suum, quod est infra se”. S. Anton., IV p., tit. V, c. XXI]. – Questi frutti sono: la Carità, la Gioia e la Pace. – La Carità, “Charitas”. È con lei, in lei e per lei che lo Spirito Santo si comunica in noi, poiché egli stesso è carità. Siccome la fiamma tende all’alto, cosi la carità tende a Dio, all’unione con Dio, alla trasformazione in Dio. Dove è il nostro tesoro, ivi é pure il nostro cuore. [“Dicitur autem charitas quasi charitas seu chara unitas, quia facit unionem animae cum Deo”]. Ibid. . La carità non é inerte, come non lo è la fiamma, nulla al contrario di più attivo. Mille esempi lo provano. Uno solo basterà per mostrare in atto, questo primo frutto dello Spirito Santo, e la soavità di cui riempie il cristiano, che ha la felicità di gustarla. – Nella Cina nel 1848 parecchi cristiani arrestati per la fede erano riuniti dinanzi al tribunale: « II mandarino domanda a uno di essi a che cosa serviva la cotta trovata tra gli oggetti confiscati. — Se la indossano per pregare, risponde arditamente il confessore. — Vediamo come fanno. Prendila e prega come se tu fossi nella tua chiesa. Fu presto detto e presto fatto: Ecco che il mio uomo in pieno tribunale si pone a cantare il Pater e il Credo ec. e i mandarini l’ascoltano. — Benissimo, dicono essi — ma sai tu come finora si è trattato quelli che hanno adorato il tuo Dio? — Lo so. — Se tu lo sai, perché sei tu venuto da Su-tchuen per predicare qui questa religione ? — Egli è perché non temo di morire per lei. — Ah tu non hai paura? ebbene calpesta quella croce. — Io non posso. — Se tu non la calpesti ti farò crocifiggere come il tuo Gesù. — Oh ! no, mandarino, sarebbe troppo onore, soggiunse sorridendo il generoso atleta; val meglio farmi morire in altro modo. – « E tosto egli fu sottoposto ad una orribile bastonatura. — Ebbene, ti trovi meglio con questa ? — Non è abbastanza; né la bastonatura, né la crocifissione impediranno che la religione si predichi a Kouciyang. — Che bisogna egli dunque fare perché in avvenire non si venga più dal Su-tchuen a fare qui dei cristiani? — Bisogna che mi si tagli il capo e sia sospeso alle porte della città. I predicatori che lo vedranno non oseranno forse entrarvi né predicare la nostra santa religione. — Impertinente, tu osi così affrontare la mia collera? e la bastonatura ricominciò subito. Quest’uomo ha circa 60 anni! » [Annali, ec., n. 132, p. 360, an. 1850]. – Conservare la tranquillità del suo spirito in faccia ai carnefici, e la giocondità del suo cuore in mezzo alle torture, non è egli questo l’ultimo sforzo della carità, e per conseguenza un frutto delizioso dello Spirito Santo? – La Gioia, “Gaudium”. Ogni cuore si rallegra di essere unito all’oggetto amato. La carità è sempre unita al suo oggetto, che è Dio, secondo il detto di san Giovanni: « Colui che dimora nella carità, dimora in Dio, e Dio in lui. » [I Joan IV, 16]. – La gioia è dunque la prima conseguenza della carità. Come ricompensa della vittoria riportata sulle passioni, essa non è solamente nel fondo dell’anima, come un continuo banchetto; ma brilla ancora sul volto, abbellendone i tratti. Il primo fatto religioso basta per farla risplendere in dimostrazioni tanto più dolci, quanto esse sono più spontanee e più ingenue. – Questo nuovo frutto ci apparisce nel seguente fatto. Nel descrivere un’Ordinazione in mezzo ai negri dell’Africa occidentale, un missionario si esprime in tal modo: « Sino dalla sera che precedé l’ordinazione, si videro arrivare da tutte le parti delle barche di selvaggi. Alle otto si aprì la chiesa e in un istante si empì. Il sig. Warlop ed io, stavamo prostrati dinanzi all’altare, con le nostre tonacelle sul braccio, e con in mano le nostre candele accese. Il sig. Warlop richiamava in modo singolare l’attenzione dei nostri negri. La sua statura piuttosto alta, la sua lunga barba nera che gli ricadeva sul petto, il suo bianco camice, il suo contegno modesto e devoto, ogni cosa gli gettava in una prodigiosa meraviglia. – « Ma fu ben altra cosa quando videro Monsignore vestito de’ suoi paramenti pontificali. Allora, avreste posto sotto i loro occhi l’Africa intera e tutte le meraviglie del mondo, e non sareste riusciti a distrarli. – Il suo paramento d’oro, la sua croce d’oro, la sua mitra d’argento e il suo pastorale tutto d’oro, e soprattutto l’aria angelica che brillava sul suo volto, gli sprofondavano in una ammirazione estatica, dalla quale non sapevano riaversi. Il silenzio il più profondo regnava in tutta l’assemblea; ma appena fu terminata la cerimonia, prorompono in trasporti indescrivibili: Jalla, Jallaì Dio, Dio, Dio solo è Dio, Dio solo è grande, potente, misericordioso, Dio solo è Dio, o prodigio! Iddio è qui. « Si vide soprattutto una donna che era come fuor di sè. Essa gridava; Jalla, Jalla, Jalla! e non finiva più. Essa diceva, di non aver mai contemplato nulla di più bello, e comandava imperiosamente che la si conducesse in cielo e sull’istante. Il giovane Soleymano era in fondo di chiesa, versando calde lacrime. — Io piangeva alquanto, diceva, dipoi la mia testa cominciava a ritornare, e il mio cuore balzava nel mio petto. » [Annali, ec., n. 120, p. 333, an. 1848]. – Poiché la gioia è un frutto dello Spirito Santo, ne risulta che dove lo Spirito Santo non è, non vi è punto gaudio. La gioia dei popoli e degli uomini, separati dallo Spirito Santo, è una tale svenevolezza che fa paura o pietà. [“Illud est verum gaudium quod non de creatura, sed de Creatore concipitur, cujus comparatione omne pulchrum, foedum ; omne dulce, amarum; omne quod delectari potest, molestimi”.S, Anton,, ubi supra]. – La Pace, “Pax”. La perfezione della gioia è la pace. -Perciò la pace è il terzo frutto dello Spirito Santo. Perché è la perfezione della gioia? Perché suppone e garantisce il tranquillo godimento dell’oggetto amato. – Nessuno è felice, se è turbato nella sua felicità, o se l’oggetto delle sue affezioni non basta ai suoi desideri. « O pace, esclama sant’Agostino, dolce nome, ma più dolce cosa! Tutte le creature gridano: La pace, e più forte di tutte le altre, la creatura ragionevole. Ma o quanto la pace si è allontanata da te, o mondo! tu lo vedi, da ogni parte fremono le guerre. Perché? Perché tu non vuoi avere la pace con Dio, ma la guerra pei tuoi peccati. » [De Civ. Dei, lib. XIX]. – La pace dello Spirito Santo sorpassa ogni sentimento noto: “Superat omnem sensum; essa sfavilla nella serenità della fronte, nella limpidezza dello sguardo, nel sangue freddo del coraggio, nella modestia dei movimenti e nella dolcezza e la calma delle parole. Per ben conoscerlo, consideriamo questo nuovo frutto sopra una delle propaggini dell’albero della vita. – « Il Venerdì Santo un gran numero di cristiani cocincinesi si recavano alla chiesa. Un mandarino gli scorse, e si pose a loro seguito con parecchie centinaia di soldati. Giunto al luogo del convegno, egli forma con la sua truppa una siepe irta di picche intorno al popolo fedele. Un soldato, con la spada in mano, si precipita sulla chiesa, si pone sul primo scalino della predella dell’altare, e mettendo la punta della sua spada sul collo del sacerdote celebrante, gli grida: Se tu fiati ti taglio la testa. Senza muoversi, il celebrante volta leggermente il capo dal lato del temerario, lo guarda con un’aria indifferente, e continua il suo uffizio con un sangue freddo, che penetra tutti gli astanti di meraviglia e di devozione. – « Il soldato rimane nello stesso luogo, tenendo sempre la sua spada alzata nella stessa posizione, e il sacerdote legge la passione e le orazioni che seguono senza emozione e senza turbamento. Egli discende per adorare e per fare adorare la croce: il soldato lo segue sempre, con la spada in alto e non lo abbandona un istante. Finita l’adorazione, il mandarino, che durante tutto quel tempo se n’era stato zitto in fondo di chiesa, alza la voce e ordina alla truppa di fare uscire il popolo, e di avvinghiarlo. Quanto ai due preti comanda di tenerli presso l’altare e di recare due canghe. Ma il sacerdote che aveva celebrato, gli disse. — Io non porterò la canga, e tu non hai il diritto di mettermela. — E perchè? — Il re non perseguita. Mostrami l’editto, e non solamente io mi lascerò mettere la canga, ma ancora tagliare il capo, se ciò piace al mandarino. Costui vinto dal sangue freddo e dall’ intrepidezza meravigliosa del sacerdote, prese il partito di ritirarsi. » [Annali, ec., n. 34, p. 413, an, 1833]. La Pazienza, “Patientia”. Quando la pace regnasse nel mondo intero, e che voi aveste dei beni temporali a seconda de’ vostri desideri, se non possedete Dio, mediante la grazia, non avreste né pace né riposo. Ecco perché lo Spirito Santo con i suoi tre principali frutti, stabilisce l’uomo nell’ordine, rapporto a Dio; con i tre secondi lo costituisce nell’ordine riguardo a se stesso; ed il suo quarto frutto è lai pazienza. – Amare Dio, e in esso ciò che bisogna amare: amarlo come deve essere amato, godere pienamente di questo amore, la cui fortezza è la volontà personale; che cosa di più dolce? Ma la vita di quaggiù è un combattimento. Chi impedirà al nemico di penetrare nella nostra anima, di portarvi il turbamento e togliergli la felicità cagionata dal tranquillo possesso del bene? La pazienza. Essa è la sovrana dell’anima: nessun frutto più delizioso. L’anima che se ne ciba, vede cadere a terra contro di lei le tribolazioni, di qualunque natura esse siano, come noi vediamo le onde del mare rompersi contro gli scogli della spiaggia. Ammiriamola nel seguente tratto. – « Io ho battezzato qualche tempo fa, scrive un missionario del Tong-kin, un uomo come ne ho visti pochi, dacché sono qua. Avanti da sua conversione era il terrore del suo villaggio. Avendo egli inteso parlare della nostra santa religione, volle conoscerla a fondo. Egli mi segui qualche tempo, per studiare con più agio. Ebbene, egli lo faceva con un tale ardore che perdeva dei sonni, e spesso non pensava neppure a mangiare. Non tardò ad esser posto a delle prove tali, che io credeva che non avrebbe resistito: imperocché appena si seppe che voleva convertirsi, che tutte le sue conoscenze si rivolsero contro lui con furore. Egli, poco fa cosi fiero, cosi vendicativo, e che sapeva farsi temere da tutti, soffriva ogni cosa con la più grande pazienza. – « Cadde infermo; i suoi figli l’abbandonarono, la sua moglie lo ingiuriava a morte. Approfittando dell’occasione, portò essa via tutto quel che aveva a casa sua, e lo lasciò solo in quella estremità. Io mandai i nostri cristiani a consolarlo e ad aver cura di lui. Temeva pure che il suo fervore non si raffreddasse; ma tenne fermo, né mai mormorò. Edificato da tanto coraggio, io non indugiai ad amministrargli il Battesimo. Modello di tutte le virtù cristiane, egli è divenuto l’apostolo del suo villaggio, dove ha convertito da quindici persone, tra queste, sua moglie, tanto accanita contro la religione, e che io battezzerò probabilmente domani. » [Annali, ec., n. 34, p. 396, an. 1833]. – La Benignità, “Benignitas”. Come il suo nome l’indica, la benignità (bonus ignis) è un suono dolce e benefico, che, mercé dello Spirito Santo, circola nelle vene del cristiano, e che coltiva in lui una disposizione costante all’indulgenza ed all’affabilità. Si può essere paziente senza essere grazioso. Contro le asprezze di carattere, contro le villanie dei modi, o l’aridità di linguaggio, tutte cose che sono di natura da turbare la pace interna, combatte la benignità. Essa arrotonda gli angoli sino al punto da non lasciare nel cristiano che la gentilezza e la grazia, che sono l’incanto della virtù. Di questo nuovo frutto, un saggio fra mille. – « Una vecchia donna aveva gravemente ingiuriato il figlio di un gran capo di Tonga, cattolico come tutta la sua famiglia. Era deciso che la rea riceverebbe in punizione quarantacinque colpi di bastone. Si era contato senza la benignità. La moglie del capo, che è la nostra più fervente neofita, intercedé presso suo marito. — Tu vuoi, disse a lui, castigare questa donna come se tu fossi un infedele; ma prima d’essere battezzato, tu non dicevi cinque o sei volte al giorno: “Perdonateci le nostre offese come noi perdoniamo quelli che ci offendono? « Non mi dire che bisogna pure infliggere una pena proporzionata all’ingiuria. Se Dio ci trattasse come noi meritiamo, che cosa sarebbe di noi? Poiché Egli è così buono da perdonarci le nostre enormi e innumerevoli colpe, non è egli giusto che noi perdoniamo del pari le offese che abbiamo ricevute? Quest’è ciò che ci predicavano i due vecchi domenica passata. Falli venire e tu vedrai ciò che ti diranno. — Fummo infatti chiamati, e ci pronunciammo in favore del perdono. Questa donna che era infedele, tosto si converti.  » [Annali, ec., n. 104, p. 88,- an. 1816]. – La Bontà, “Bonitas”. Quel che il colorito dà al quadro, lo zucchero alla bevanda, il carnato alla mela appiola, tale è la benignità alla bontà. Ma se il colore abbellisce la mela, non è la stessa mela. Qui la mela è la bontà. Effetto dell’unione dell’anima con Dio, bontà infinita, questo nuovo frutto riempie l’anima di soavità, e le fa provare il bisogno di comunicarsi, non solo dando ciò che ha, ma ancora ciò che è. Bisognerebbe raccontare tutta la storia della Chiesa, se si volessero citare minutamente i tratti di bontà, i quali perpetuando gli esempi del Verbo incarnato, mostrano con splendore la potenza dello Spirito Santo nella Chiesa. Secondo la regola che ci siamo prescritti, consulteremo solamente i nostri annali contemporanei. – « Il mandarino Benedetto, morto ultimamente nel regno di Siam, è stato di una grande edificazione per tutta la cristianità. Era cosi buono, che non poteva risolversi a far del male a nessuno, sì che di continuo era occupato a fare del bene a tutti. Un giorno che il re aveva fatto attaccare dei prigionieri laocesi alla bocca di uu cannone, ordinò a Benedetto di dar fuoco alla miccia. Ma egli, da degno cristiano che ha orrore di servire d’istrumento a un atto di barbarie, si teneva in ginocchio dinanzi al suo principe, senza aprir bocca, benché sapesse ch’egli si esponeva alla morte per una tale disubbidienza. Il monarca irritato, lo fece prendere da’ suoi satelliti, ed un altro dette fuoco in sua vece. Quando la collera del re fu passata: — Miserabile, disse egli, io ti perdono; ma perché non hai tu fatto fuoco quando te l’ho ordinato? — Io temeva il peccato. — Voi altri cristiani osservate una regola ben severa. – « Qualche tempo dopo il re innalzò Benedetto al grado di gran mandarino. Gli onori non gli fecero perdere punto la sua bontà. Aveva cosi buon cuore, che avrebbe voluto render servizi a tutti. Cristiani e pagani si rivolgevano a lui da tutte le parti; e quando si trattava di ottener loro qualche favore, a malgrado di un’ernia che lo tormentava di continuo, era di un’attività sorprendente. Più d’una volta vedendo che egli comprava sovente degli schiavi pagani, troppo giovani o troppo vecchi per essergli di nessun soccorso, io gli domandava di quale utilità gli fosse quella gente. — Io li compro, rispondeva, per avere la loro anima; e infatti il maggior numero de! suoi schiavi è stato battezzato. 1 » [Annali, n. 99, p. 120, an. 1845]. – La Longanimità, “Longanimitàs”. In pace nel suo fòro interno per la pazienza, la benignità, la bontà, frutti senza amarezze né acrità, resta al cristiano il godere della stessa pace con ciò che lo circonda, vale a dire col prossimo. Questa felicità gli è recata dai tre frutti dei quali spiegheremo adesso la natura. Se il bene corporale o spirituale che noi facciamo producesse il suo effetto sull’istante e sempre, la bontà basterebbe per tenerci in una pace costante col prossimo: ma non è cosi. Il più delle volte l’esito si fa desiderare. Questa aspettativa, qualche volta ben lunga, può stancare la nostra carità e scoraggiare la nostra speranza. Contro questo pericolo troviamo una difesa nella longanimità. Questo lungo coraggio, “longus animus”, ci fa supporre le dilazioni volute o permesse dalla Provvidenza, e come l’operaio, attendere senza inquietudine la mésse che devono produrre al loro tempo, i benefìzi versati nell’anima altrui. In mille tratti luminosi brilla questo nuovo frutto, nelle mani dei cristiani di tutti i secoli. Vediamolo presentato ai nostri desideri per mezzo di una delle nostre giovani sorelle dell’impero cinese. – « Due cristiani, padre e figlio, avevano apostatato durante l’ultima persecuzione. Divenuti, dopo la loro caduta, oggetto d’orrore per sè medesimi, caddero ben tosto nella disperazione. D’allora in poi non conoscendo più freno, cercarono essi di dimenticare, negli eccessi di ogni genere, la fede che avevano tradita. Il figlio sposò una donna pagana, che aveva per i cristiani un odio dichiarato. – Mirabile consiglio della divina sapienza! Questa donna doveva, per lunghi sforzi, divenire l’istrumento della conversione di suo marito. Questi non aveva potuto cancellare dalla sua memoria tutte le verità della nostra santa religione. I nostri dommi ed i nostri precetti ritornavano sovente nei suoi convegni, e senza che se ne dubitasse, ne ispirava l’amore alla sua compagna. – A poco a poco questo sentimento, aiutato dalla grazia, trionfò cosi bene delle sue antiche prevenzioni, ch’essa stimolò suo marito ad iniziarla senza più indugio, al culto che le aveva fatto conoscere. – « Allora il giovine uomo cominciò a singhiozzare, e confessò per quale debolezza aveva egli rinnegato il Dio dei cristiani. Questa confessione, invece d’indebolire il coraggio della sua sposa, la confermò nella sua pia risoluzione. Essa non cessò di domandare, come colmo di felicità, d’essere annoverata tra i figli del Padrone del cielo. Quantunque questo desiderio fosse la condanna della sua propria condotta, il marito non vi si oppose. – Al contrario per facilitare a sua moglie i mezzi d’istruirsi, l’affidò per qualche tempo a delle vergini cristiane. « Queste l’accolsero come una sorella. Dopo alcuni giorni di pii esercizi, ricevette il battesimo. Essa uscì dal sacro fonte piena di un tal fervore, che elevandosi al di sopra del suo sesso, si fece l’apostolo del suo sposo e di suo suocero. Né opposizioni, né dilazioni, nulla potè scoraggiare il suo eroico apostolato. Al contrario, gli ostacoli non servirono che a mostrare la longanimità del suo coraggio e rendere il suo trionfo più splendido. Ella ebbe la fortuna di ricondurre le due pecore erranti in seno dell’ ovile. Ho visto parecchie volte dipoi, questi tre neofiti, e ho trovato in essi tanto fervore e semplicità, che non si potrebbe troppo esaltare la misericordia di Colui che fa sovrabbondare la grazia dove abbondò il peccato. » [ Annali, ec., n. 105, p. 141, an. 1846]. – La Dolcezza, “Mansuetudo”. Se la longanimità ci ha fatto sopportare per tanto lungo tempo quanto piace a Dio, e alla resistenza del prossimo, le pene e le fatiche che ci vengono dagli altri, la dolcezza ci impedisce di lamentarcene. Colomba senza fiele, agnello senza difesa; ecco ciò che fa del cristiano il frutto di cui parliamo. Come il divino Maestro, così il figlio della dolcezza non rompe la canna mezza rotta; non estingue la miccia che fuma ancora: egli non fa udire la sua voce con rumorosi scoppi; mai rende male per male. Oggi non meno che in antico, lo Spirito Santo non cessa di produrre questo frutto amato da tutti. – « Io arrivo, scrive un missionario di America, e benedico il cielo di ricondurmi in mezzo ai miei cari selvaggi. Ecco la risposta che mi è stata fatta. — Padre, il cambiamento di questa tribù è divenuto il soggetto di tutte le conversazioni del paese. Fino all’inverno passato era una banda d’ubriachi e di ladri, lo scandalo e il terrore di tutto il vicinato. Dopo il loro Battesimo, non sono più gli stessi uomini. Tutti ammirano la loro sobrietà, la onestà, la dolcezza, e soprattutto la loro assiduità alla preghiera, le loro capanne risuonano quasi di continuo di pii cantici. – « È per me un mistero, mi diceva poco fa un vecchio cacciatore canadese, lo spettacolo di questi Indiani, quali sono oggi. Credereste voi che ho visto co’miei propri occhi questi stessi selvaggi nel 1813 e 14, abbandonando al saccheggio ed alle fiamme le abitazioni dei bianchi, prendere i piccoli fanciulli per il piede e romperli il capo contro il muro, o gettarli sulle caldaie bollenti? E ora, alla vista di una nera veste, cadono in ginocchio, baciano la sua mano come quella di un padre: essi fanno arrossire noi medesimi. » [Annali, ec., n. 103, p. 498, an. 1845]. Non meno bello e non meno soave si manifesta il frutto della dolcezza nelle isole dell’Oceania. « Io non credo, scrive uno dei loro apostoli, che vi sia sulla terra una parrocchia la quale, meglio che Futuna, ritragga i costumi della chiesa primitiva. Invece di eccitare i neofiti alle pietà, i nostri confratelli durano-fatica piuttosto a contenerli e a moderare il loro zelo. Come è bello il vedere quei vecchi mangiatori d’uomini, divenuti adesso più mansueti degli agnelli, dedicarsi da se medesimi a pubbliche penitenze, e scongiurare i missionari di non metter limiti alle loro austerità! Chi avrebbe creduto che questi feroci guerrieri, che bevevano nei crani umani, fossero disposti oggi a versare mille volte il loro sangue per Iddio e per i missionari! » [Annali, ec., n. 120, p. 351, an. 1848]. La Fede, “Fides”. La mancanza di dolcezza può turbare la pace col prossimo. Irritarlo è una maniera di ferirlo e anche di nuocergli, essa non é la sola. La mala tede nei contratti, l’infedeltà nelle relazioni sociali n’è una seconda. Mercé il nuovo frutto dello Spirito Santo, il cristiano è lontano da questi atti odiosi. La frode, la menzogna, la doppiezza, il tradimento, gli fanno orrore. – Come espressione adeguata alla verità, la sua parola è santa: ci si può contare. Che nell’adempierla vi abbia per lui vantaggio o svantaggio, tale non è mai la questione; ei l’ha data, e la mantiene. Come questa nobile franchezza è diventata il fondamento del suo carattere, così il suo proprio moto è di supporla negli altri; credere all’inganno gli ripugna. Nonostante in questa bell’anima, la semplicità della colomba lascia intatta la prudenza evangelica del serpente. Eccone una prova. – « Il popolo di Wallis era anticamente furbo, ladro di professione, pirata e antropofago; oggi, la grazia è stata cosi potente da cangiare i loro cuori! La dolcezza forma il suo carattere, la franchezza gli sembra naturale, ed esso ha in orrore il furto. Qui non v’è più bisogno di serrature. Il missionario può lasciare frutti, vino, argento, effetti, sotto la mano degli indigeni, senza tema che essi li tocchino. Popolo felice d’avere cosi ben gustato il dono di Dio! » [Ibid., ec., n. 98, p. 44, an. 1845]. – Quanto alla prudenza, il serpente, secondo l’osservazione di san Giovanni Crisostomo, cerca innanzi tutto di salvare il suo capo; cosi il cristiano sacrifica tutto per salvare la sua fede, cioè dire la parola che egli ha data, a Dio. Due sacerdoti tonchinesi furono arrestati dai persecutori. Il mandarino teneva a provar loro quanto gli rincrescesse d’adempiere verso di loro una missione di rigore. Se la coscienza dei suoi prigionieri avesse potuto prestarsi a qualche accordo, egli gli avrebbe resi con gioia air affezione delle loro greggi. Ei non temeva di parlarne col P. Lac. – « Maestro, gli disse, voi siete ancor giovine; perché volete cosi presto morire? Credetemi, chiudete gli occhi, e passate sul crocifisso, o almeno camminate rasente: o piuttosto, la mia gente vi trascinerà sopra: lasciateli fare e io porterò una sentenza di perdono. Il Padre rispose: — Io non vi acconsentirò giammai; condannatemi piuttosto a essere tagliato a pezzi. Questa coraggiosa e leale risposta gli meritò la palma del martirio.» [Annali, ec., n. 85, p. 414, an. 1842]. – Per conoscere con esperienza tutti i frutti divini, la cui dolcezza e bellezza formano le delizie del cristiano, ne rimangono tre da cogliere. Di quésti parleremo qui di seguito. – Non perdiamo di vista che il frutto è l’atto beatifico il più eminente, e che per questo fa gustare all’anima una soavità, un riposo delizioso che il mondo non conosce, e che è una primizia dell’eterne soavità. Mercé i nove primi frutti, abbiamo visto il cristiano vivente in una dolce pace con Dio, con se stesso e col prossimo. – Per godere d’un assoluto riposo, non gli resta che ordinarsi, riguardo a ciò che è inferiore a sé. Agli ultimi tre frutti, egli dovrà il compimento della sua felicità. La Modestia, “Modestia”. Questo frutto divino è l’ordine in tutto il nostro esteriore. Come raggio di calma interiore, la modestia mantiene i nostri occhi, le nostre labbra, il nostro riso, i nostri movimenti, il nostro abito, tutta la nostra persona, nei giusti limiti tracciati dalla fede. Il Verbo incarnato, che conversa tra gli uomini, che parla, ascolta, opera, diventa lo specchio nel quale si guarda di continuo il discepolo dello Spirito Santo, e il modello infinitamente perfetto di cui si sforza di riprodurre i tratti in se medesimo. Nulla di più amabile di questa divina modestia e nulla di più eloquente. Perciò, l’Apostolo voleva che la modestia dei cristiani fosse evidente come la luce, e conosciuta dal mondo intero. 1 1 [“Modestia vostra nota sit omnibus ho minibus”. Philip., IV, 5]. – Per lui, era uno dei migliori mezzi di invitare gli infedeli alla fede, e i malvagi alla virtù. Mille esempi provano che l’Apostolo aveva ragione. – Tutti conoscono quella di san Francesco d’Assisi. Giunto in una città, il Serafino della terra dice al suo compagno: « O Fratello mio, andiamo a predicare. » Ed essi uscirono insieme, fecero in silenzio il giro della città e rientrarono in convento. « Ma frate Francesco, non mi avete detto che andavamo a predicare? Eccoci tornati senza aver detto una sola parola; dove è il sermone? — È stato fatto, rispose il santo. » Aveva egli ragione, poiché la vista di quei due religiosi così modesti era una predicazione tanto persuasiva, quanto i più bei discorsi. Dopo il .medio evo, la modestia non ha perduto nulla del suo impero. « Le nostre vergini cinesi, scrive un missionario, non hanno altra clausura che la prudenza, né altro velo che la modestia; non ne sono però meno la consolazione della Chiesa, e soggetto d’ammirazione pei pagani. Esse sanno cosi bene ispirare l’amore della santa virtù, che sovente pervengono a suscitare degli emuli e dei modelli nelle file stesse dell’infedeltà. – Eccone un bell’ esempio. Una pagana aveva fatto conoscenza con una di queste vergini cristiane; costei le dipinse la sua felicità con colori cosi vivi, che essa fece nascere nel cuore di quella giovine cinese i sentimenti di una santa invidia. Iddio esaudì i suoi desideri e ben tosto ella fu in grado di ricevere il battesimo. « Essa prese il nome di Maddalena. Era troppa allegrezza per la fortunata neofita; tanto che ne volle far parte a tutta la sua famiglia. Da prima si burlarono di lei: poi si fini per ascoltarla e per arrendersi a tutto ciò che ella desiderò, tanto è potente la grazia secondata dallo zelo il più puro. Padre, madre, fratelli, sorelle e tanti altri ancora, divennero bentosto cristiani. Si contano adesso venti figli di Dio, dove poco fa non v’erano che schiavi del demonio, e questo numero sarà forse raddoppiato di qui a un anno. » [Annali, ec., n. 116, p. 45, an. 1818]. – La Continenza, “Continentia”. Se l’ uomo esteriore è mantenuto nell’ordine mediante la modestia, l’uomo interiore trova un freno nella continenza. Come lo indica il suo nome, questo frutto dello Spirito Santo padroneggia la concupiscenza, sia che essa abbia per oggetto il bere, il mangiare, o il piacere sensuale. Egli lo rende mansueto, combatte contro le sue ribellioni; e malgrado le sue invasioni nel dominio dell’immaginazione e dei sensi, gli impedisce di portare il disordine e la bruttura nel santuario della volontà. Quest’impero sulle inclinazioni grossolane dell’uomo animale, è la gloria esclusiva del cristiano, e il segno manifesto della presenza dello Spirito Santo. Ciò si ammira ad ogni pagina della storia dei popoli, come nella biografia degli uomini cristiani. Apriamo i nostri annali contemporanei, ed ascoltiamo uno dei nostri missionari, perduto nei ghiacci del polo, in mezzo ai più vigorosi antropofagi della terra. – « Fra i selvaggi che io trovai riuniti nel forte d’Albany, uno di quelli che la grazia ha tocchi in un modo quanto efficace altrettanto pronto, era un giovine poligamo. I suoi amici e soprattutto sua madre, che è un modello di virtù, avevano fatti tutti i loro sforzi per impegnarlo a non avere che una sposa, senza potervi riuscire. Erano due giorni che io era ad Albany, quando egli vi arrivò con la sua numerosa famiglia. Appena seppe della mia presenza nel forte, ei ne fu spaventato e volle ripartire. Sua madre durò molta fatica a trattenerlo ma egli evitava il mio incontro, e quando io mi presentai nella sua capanna .per vederlo ei si era nascosto. – Mi fu fatto conoscere dove si era ritirato e andai a trovarlo; .e siccome aveva molto più a cuore la rigenerazione dei suoi figli che il suo divorzio, io cercai di fargli comprendere l’importanza del Battesimo. « Da principio, temendo certamente i miei rimproveri cominciò a tremare. Ma si rassicurò ben tosto, e lo stesso giorno mi portò tutti i suoi figli perché io ne facessi tanti cristiani. Dopo il battesimo mi chiese in un modo commovente dello stesso favore per sé: era qui che io lo attendeva. — Tu non potrai esser battezzato, gli dissi, finché tu avrai due mogli, poiché lo Spirito Santo non lo permette. Se tu continui a violare la sua proibizione, invece di metterti con Lui nella sua grande luce, Egli ti getterà col maligno Monitou nel fuoco dell’abisso. – « Queste parole fecero sull’animo del selvaggio tutto quell’effetto che io poteva attendermi. Con la testa appoggiata sul suo petto, non rispose nulla, e per alcuni minuti parve immerso in uria meditazione profonda. Poi, alzandosi tutto ad un tratto: — Padre, mi disse, quello che tu mi prescrivi è giusto. Poiché il grande Spirito non ha dato che una compagna al primo uomo, io non debbo ritenerne due. Quale vuoi tu che licenzi? — Tu devi ritenere la prima; ma i figli della seconda essendo tuoi, bisogna che tu li educhi e che ti prenda cura della loro madre, come della tua propria sorella. — Grazie, mi disse, e usci subito per andare ad annunziare alla più giovane la sua risoluzione. Questa mostrò una risoluzione pari alla sua, e d’allora in poi non li vidi più insieme fuorché alla cappella, dove gareggiavano di zelo per farsi istruire. » [Annali, ec., n. 141, p. 101, an. 1852]. – La Castità, “Castitas”. Coronamento di tutti gli altri, questo duodecimo frutto fa dell’uomo un angelo in un corpo mortale. La castità è di fronte alla continenza, ciò che è la vittoria dinanzi alla lotta: è come il vincitore dopo il combattimento. Padrona dei suoi sensi interni ed esterni, l’anima casta, l’anima vergine, regna come Salomone, nella pienezza della pace. Presso di lei tutto l’oro del mondo perde il suo splendore. Essa incute rispetto sulla terra, forma la gioia del cielo, e provoca la rabbia dell’inferno. Se per strappare all’umanità questa corona di gloria, non vi sono sforzi che il demonio non adopri, non vi è neppure resistenza eroica ch’egli non incontri. A difendere questo bene più prezioso della vita, brilla il coraggio dei cristiani e soprattutto delle cristiane. Chi non conosce la condotta di tante eroine dei primi secoli? Nobile lignaggio di Vergini martiri, voi vi siete perpetuate fino a noi, e vi perpetuerete sino alla fine dei secoli, dovunque regnerà lo Spirito di santità. – Apriamo per l’ultima volta i nostri Annali contemporanei. « Il soggetto, del quale vi voglio parlare, è molto semplice, poiché non si tratta che di una bambinetta: ma in questa ha rifulso il trionfo della grazia. Sulla fine del 1841, una famiglia cattolica composta di tre persone, lasciava Aleppo per recarsi in Egitto. Dopo aver visitato i luoghi santi e attraversato la Giudea, essa s’internò nel deserto per la stessa strada che aveva anticamente percorsa la Sacra Famiglia, fuggendo dinanzi alla collera d’Erode. Già essa scorgeva da lungi le mura di El-Arich, l’antica Gerara, allorché comparve una banda di soldati albanesi. A questa vista, lo spavento colse i nostri devoti viaggiatori; essi corrono a caso e si sperdono nella solitudine, che non può nasconderli. – La bambinetta fu trovata dai suoi rapitori pallida, tremante, chiamare sua madre che essa non doveva più rivedere; e fu condotta schiava al Cairo, dove la rinchiusero nella casa di un Arnaute. – «L’infelice vi passò i suoi giorni in lacrime; e aveva ragione di spargerne sulla libertà perduta e sulla sua famiglia scannata! Un bene solo le rimaneva: era la sua ingenua fede al Dio degli orfani, e questo tesoro minacciato, lo difendeva con un amore eroico. — Sappi bene, diceva ella spesso al suo padrone, sappi che la tua schiava è cristiana. — Ahimè! egli non lo dimenticava. Ogni giorno, egli fremeva di non avere ancora potuto rompere questa debole canna, che si raddrizzava sempre sotto lo sforzo della sua mano; ricorreva a nuovi inganni, lusingava con le più luccicanti promesse, si abbassava alle supplicazioni per rialzarsi vinto, ma furibondo, e nel suo dispetto tentava nuovi tormenti, altrettanto impotenti quanto le sue preghiere disprezzate, e le sue vane minacce. – « Lacrime e singulti era tutto quello che egli strappava alla povera fanciullina. Invano il turco le diceva: — Come schiava di un mussulmano, tu abbraccerai la religione del tuo padrone, ovvero tu andrai a perire per le sue mani. — Prendi la mia vita, rispose l’eroina, ma lasciami il mio Dio; la giovinetta che ha tutto perduto in questo mondo non acconsentirà a chiudersi il cielo. E la grazia contava un. trionfo di più, ogni volta che l’oppressore assaliva la sua vittima. Come quelle vergini timide dei primi secoli, alle quali fu così spesso dato di domare nell’ arena dei leoni ruggenti, e di vederli incatenati ai loro piedi per incanto divino di una virtù angelica, la cristiana di Aleppo imponeva al turco nella sua propria casa divenuta per lei un anfiteatro. – « Un giorno, che fu il 18 gennaio 1843, la porta della casa, dove la nostra schiava gemeva da due anni, era rimasta socchiusa. Non dubitando che il momento della sua liberazione fosse venuto, essa varcò, senza essere veduta, la soglia della sua prigione e corse a rifugiarsi per caso nell’abitazione vicina. Per fortuna era quella di un armeno cattolico. Alla vista di questa bambinetta che entrava in sua casa tutta spaventata, la ricevette nelle sue braccia, le chiese chi era, donde veniva; e ciò che ella volesse. Ma, tremante e come inseguita da nemici invisibili, non seppe rispondere che con grida strazianti: Salvatemi, compratemi! ” Il buon armeno credé che bisognasse ritirarla per il momento; ed essendo giunto a tranquillizzarla l’interrogò di nuovo e con più successo. Essa gli raccontò tutte le sue disgrazie minutissimamente, poi aggiunse: — Voi non mi restituirete all’assassino della mia famiglia, imperocché questa volta egli eseguirebbe la sua minaccia, e per prezzo della mia fedeltà al nostro Dio, io sarei scannata nella sua casa o venduta ai negri del Sennaar.” – « Non ci volle altro per interessare l’armeno alla sorte dell’ orfanella. Da prima la tenne nascosta per parecchi giorni. Ma temendo di esporsi a qualche affronto, se altri, fuori di lui svelassero il suo segreto, giudicò prudente informare egli stesso l’autorità mussulmana di tutto quel che era avvenuto. – ” Dietro la sua deposizione, il governatore egiziano fece condurre al suo tribunale la fuggitiva e il soldato albanese. Interrogò la giovinetta intorno al suo paese, sui suoi parenti e la sua religione. Essa rispose con molta arditezza ch’era cristiana, nativa d’Aleppo, che era stata rapita con forza nel deserto da soldati albanesi, che in mancanza de’ suoi genitori, essa riconosceva il curato armeno per suo padre. — Fatti mussulmana, gli dissero i turchi, seduti per giudicarla, e tu dividerai la nostra fortuna e i nostri piaceri. — Io sono regina con la mia fede, rispose: tutti i vostri beni non valgono la mia corona. Io soffrirò la morte, piuttosto che rinunziarvi “. – « Tanto coraggio confuse in una stessa ammirazione il tribunale e l’uditorio, i mussulmani come i cristiani. – Fra gli spettatori si trovava un giovine caldeo cattolico che aveva seguitato quel dibattimento col più vivo interesse. Incantato delle virtù di quella giovinetta, rapito dalle sue risposte, e stimandosi fortunato se ponesse farle dimenticare i suoi lunghi patimenti, la chiese per isposa. La sua offerta fu accolta, e il curato di Terra Santa ha benedetto, or sono pochi giorni, quelle nozze fortunate. Tutta la popolazione cattolica del Cairo ha preso parte alla cerimonia, e il mio cuore di padre, troppo spesso abbeverato d’amarezza, si è riposato con una indicibile consolazione su questi due figli cosi degni l’uno dell’altro, per la generosità della loro fede e l’innocenza della loro vita.  » [“Annali, ec., n. 99, p. 89, an. 1845]. – 6° A che cosa si oppongono i frutti dello Spirito Santo? Preso isolatamente, ciascun frutto dello Spirito Santo è un principio di felicità, tutti insieme costituiscono la felicità completa, per quanto è compatibile con la nostra condizione terrena. Così, essi formano l’opposizione adeguata alla disgrazia, qualunque sia il suo nome. Riguardata sotto questo punto di vista, la Chiesa cattolica ci appare come un immenso giardino, i cui alberi, coperti di frutti rendono giocondi tutti i sensi del corpo, riposano tutte le facoltà dell’anima e perpetuano attraverso i secoli, il paradiso terrestre.Tutto ciò è più che bastante per eccitare il furore di satana. Devastare il magnifico giardino dello sposo, sradicare gli alberi, renderli sterili, trasformarli in alberi fruttiferi di morte, fare così l’infelicità temporale ed eterna dell’uomo, è la sua costante occupazione. Fedele alla sua legge di contraffazione universale, egli crea un giardino avvelenato, accanto al divino parterre; in quella stessa guisa che aveva creato la Città del male, accanto alla Città del bene Egli vi pianta gli alberi che ha rapiti, li coltiva, e fa ad essi produrre i suoi frutti. Mostriamone adesso il numero e la qualità. – L’ apostolo san Paolo ne dà la nomenclatura seguente : « Le opere della carne, dice, manifeste a tutti gli occhi, sono: la Fornicazione, l’Impurità, l’Impudicizia, la Lussuria, l’Idolatria, gli Avvelenamenti, le Contese, l’Inimicizie, le Gelosie, le Animosità, le Liti, le Divisioni, le Eresie, l’Invidia, le Uccisioni, l’Ubriachezza, le Gozzoviglie della tavola, e altri delitti simili. » [Gal., V, 19-21]. – Qui si presentano due questioni: che cosa bisogna intendere per la carne, e perché diconsi le opere e non i frutti della carne, mentre noi diciamo i frutti dello Spirito Santo? – La carne significa la concupiscenza, vale a dire l’inclinazione al male che è in noi. Quest’è il veleno o il virus che il serpente infernale ci ha inoculato, allorché morse i nostri primi padri, e che di generazione in generazione passa a tutta la loro posterità. Così la carne, o la concupiscenza è il demonio stesso presente in noi col suo veleno. 2 2 [“Concupiscentia, puta voltintas mala, est daemon nos irapugnatis”. Abbas Pimenius, in vit. Patr., lib. VII, c. XXII. – Si dice la carne per due ragioni; la prima, perché è nella carne o nel sangue che risiede, e per mezzo di essa si trasmette l’amore satanico; la seconda, perché è proprio principalmente delle dissolutezze carnali, il bere, il mangiare, il piacere, il benessere del corpo che ci porta la concupiscenza. Nondimeno essa si comunica pure all’anima in cui produce l’orgoglio, l’ambizione, la curiosità, la scienza vana e altre disposizioni puramente spirituali. – Benché a rigore si possano dire frutti della carne o del demonio, tuttavia san Tommaso spiegando la parola dell’apostolo opera carnis si esprime cosi: « Ciò che esce dall’albero contro la natura dell’albero, non è chiamato frutto, ma corruzione. Ora gli atti virtuosi sono come naturali alla ragione. Di qui viene che le opere delle virtù sono chiamate frutti, non così però le opere dei vizi. » [“Id quod procedit ab arbore contra naturam arboris, non dicitur esse fructus ejus, sed magis corruptio quaedam. Et quia virtutum opera sunt connaturalia rationi, opera vero vitiorum sunt contra rationem, ideo opera virtutum fructus dicuntur, non autem opera vitiorum”. l a, 2ae, q. 70, art. 4, ad 1]. – Comunque sia, le opere della carne, considerate nel loro principio, nel loro insieme e nei loro particolari, sono il contrario dei frutti dello Spirito Santo. – Due potestà combattano nella società, come nell’interno dell’uomo. Tra di .esse esiste una opposizione completa immutabile. [Gal., v, 17]. Lo Spirito Santo disceso dal cielo, suo glorioso soggiorno, attrae l’uomo in alto. satana fa il contrario. Risalendo dall’abisso, sua oscura dimora, attrae 1’uomo in basso. In altri termini lo Spirito Santo prosciogliendo l’uomo dall’amore delle cose terrene, l’eccita ad agire secondo la ragione e la fede. Trascinando l’uomo alla ricerca appassionata dei beni sensibili, satana lo spinge ad agire contro la ragione e contro la fede. Di questi due agenti, l’uno nobilita, l’altro degrada; l’uno santifica, l’altro deturpa e corrompe. – Se nell’ordine fisico il moto in alto é contrario al moto in basso, si vede che le opere della carne sono diametralmente opposte ai frutti dello Spirito Santo. – Tale è l’opposizione generale; ma non è la sola. Tra ciascuna opera della carne e ciascuno dei frutti dello Spirito Santo, vi è una opposizione particolare. – La prima opera della carne, segnalata dall’apostolo, è la fornicazione, “fornicatio”. Quest’atto colpevole è distruttore della carità, che unisce l’uomo a Dio e al prossimo. — Le tre seguenti sono : l’immodestia, l’impudicizia, la lussuria, Immunditia, impudicitia, luxuria. – Questi disordini essendo inseparabili dalla fornicazione, turbano l’essere umano fino nelle sue profondità, e fanno sparire la gioia dal cuore, la serenità dalla fronte e la modestia dai sensi. – La quinta è l’idolatria, idolorum servitus. Ora, l’idolatria è la guerra aperta contro Dio, la guerra sacrilega in ciò che ha di più colpevole. Che cosa vi è di più contrario alla pace, non solamente dell’uomo con Dio, ma altresì degli uomini tra di essi? L’idolatria non è la causa delle lotte più accanite, delle quali la storia abbia conservato memoria? – La sesta, settima, ottava, e nona sono gli avvelenamenti, le inimicizie, le contese, le gelosie, veneficia, inimicitiae, contentiones aemulationes. Vedete quale spaventoso corteggio satana trascina dietro di sè! qual famiglia di vipere getta egli nell’anima della quale s’impadronisce. Tutte queste opere di tenebre sono direttamente opposte ai frutti di pazienza, di benignità, di bontà, di longanimità. Le tre opere della carne che vengono insegnate sono : le collere, le risse, le dissensioni; irae, rixae, dissentiones. È facile il vedere che esse sono opposte alla dolcezza. – Restano le cinque ultime; le sette, le gelosie, gli assassini, le ubriachezze, le gozzoviglie della tavola, sectae, invidae, homicidia, ebrietates, commessationes. – Estinguendo la rettitudine, la buona fede, la lealtà, la fede in tutti i sentimenti, le sette o le eresie uccidono la carità, e scavano un abisso tra gli abitanti di uno stesso luogo, tra i membri di una stessa famiglia. Non è senza ragione che l’Apostolo nomina, dopo 1’eresia, la gelosia e gli omicidi. Questi delitti sono in diretta opposizione con la fede religiosa e sociale, il cui particolare effetto è di unire le intelligenze ed i cuori : “Cor unum et anima una”. Ora, quando la fede s’indebolisce o si estingue, la ragione decade. L’anima perde il suo impero che è infallibilmente sostituito da quello dei sensi. L’uomo cade nella crapula raffinata o grossolana, incivilita o barbara, secondo il centro in cui vive: “Ebrietates, comessationes. Questa é la rovina della continenza. [Vedi S . Th. la, 2ae, q. 70, art. 4, corp.]. – Così si trova completamente devastato il giardino dello Spirito Santo. Del resto, che le opere di morte enumerate dall’Apostolo siano in maggior numero dei frutti di vita, non bisogna meravigliarsene. Da una parte questa superiorità numerica non contraddice in nulla l’opposizione che abbiamo segnalata; essa mostra soltanto che parecchie opere della carne sono opposte a un solo frutto dello Spirito Santo. D’altra parte san Paolo non ha preteso indicare in particolare tutte le opere della carne, molto meno tutti i frutti dello Spirito Santo. « Egli ha solamente voluto, dice sant’Agostino, mostrare la loro opposizione generale, e di qual genere sono le cose che dobbiamo evitare e quelle che dobbiamo fare. 1 »1 [“Apostolus non hoc ita suscìpit ut doceret quot sunt vel opera carnis, vel fructus Spiritus; sed ut ostenderet, in quo genere illa vitanda, illa vero sectanda sint”. S. Aug., in epist. ad Gal., c. VIII]. – Ecco dunque due giardini piantati, uno dallo spirito del bene, l’altro dallo spirito del male. È un nuovo tratto del parallelismo tante volte segnalato tra l’opera divina e l’opera satanica. Qui per conseguenza ritorna, per l’uomo come per la società, l’alternativa inesorabile di. vivere nell’uno o nell’altro di questi due giardini, di mangiare dei loro frutti, e mangiandone di trovare la vita o la morte. Posto tra due padroni, il mondo va forzatamente verso l’uno o verso l’altro. Non potrebbe essere mai troppo insistere su questa legge per la quale non vi è, né vi è stato mai, né mai vi sarà deroga. Agli occhi nostri è il mezzo di rendere palpabile la necessità di tutte le operazioni dello Spirito Santo. – Intendiamolo dunque bene, tutte queste operazioni niuna eccettuata, sono necessarie alla società per il solo fatto ch’esse sono necessarie all’uomo. La fede, la speranza, la carità, prime figlie dello Spirito Santo, sono necessarie alla società, perché senza di esse la società è inevitabilmente abbandonata all’incredulità, alla disperazione, all’odio. La prudenza, la giustizia, la forza, la temperanza, seconde figlie dello Spirito Santo, sono necessarie alla società, perché senza di esse la società è inevitabilmente data in preda all’imprudenza, all’ingiustizia, alla viltà, e all’intemperanza. I sette doni dello Spirito Santo sono necessari alla società, perché senza di essi la società cade sotto l’impero dei sette peccati capitali, il cui insieme forma il dissolvente più energico di tutto 1’ordine sociale. – Le sette beatitudini divine sono necessarie alla società, perché se la società non le pratica, essa pratica inevitabilmente le sette beatitudini sataniche, che realizzano il male sotto tutte le forme. I frutti dello Spirito Santo sono necessari alla società, perché se questa non se ne ciba, si ciba per forza dèi frutti avvelenati di satana, principi di rivoluzioni e di catastrofi. – Il regno dello Spirito Santo, con tutto quel che lo costituisce, è necessario alla felicità del mondo, perché Egli solo lo preserva dal regno dello spirito maligno. Ora il regno di Satana, è il mondo pagano con Nerone per padrone; mentre il regno dello Spirito Santo, è il mondo cattolico diretto dal vicario infallibile del Verbo incarnato. Sotto il primo, il genere umano è un gregge di lupi; sotto il secondo è un ovile. Inesorabile essendo sulla terra l’alternativa, essa non lo è meno al di là della tomba: lo vedremo nel capitolo seguente.

NATIVITÀ’ DELLA BEATA VERGINE MARIA

NATIVITÀ’ DELLA BEATA VERGINE MARIA

[da : Dom. Guéranger, “L’anno liturgico” – vol. II]

Giorno di gioia.

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Esultante di gioia, oggi la Chiesa ci fa dire con ragione: « La tua nascita, o Vergine Madre di Dio, fu per il mondo intero messaggio di consolazione e di gioia, perché da te è sorto il sole di giustizia, Cristo nostro Dio, che ci ha liberati dalla maledizione per darci la benedizione e, vincitore della morte, ci ha assicurato la vita eterna”. (Antif. dei secondi Vespri). La nascita di un bambino porta gioia nella casa ai genitori, che pure ne ignorano l’avvenire e, se la Chiesa il 24 giugno ci dice che quel giorno è un giorno di gioia, perché la nascita del Battista ci fa sperare la nascita di Colui del quale egli viene a preparare la strada, la nascita di Colei che sarà la Madre del Redentore non porterà gioia a tutti coloro che attendono la salvezza e la vita? – Sappiamo dal Vangelo che la nascita del Battista fu motivo di gioia per i suoi genitori, per il villaggio di Ain Karim e per le borgate vicine. Nulla invece sappiamo della nascita di Maria; ma, se tale nascita passò inosservata per molti, se Gerusalemme restò davanti ad essa esteriormente indifferente, sappiamo tuttavia che il giorno di tale nascita resterà un giorno di incomparabile gioia non solo per una città o per un popolo, ma per tutto il mondo e per tutti i secoli.

Gioia del cielo.

È gioia in cielo per la Santissima Trinità; gioia del Padre, che si rallegra per la nascita della sua prediletta, che egli farà partecipe della sua paternità; gioia del Figlio, che contempla la soprannaturale bellezza di Colei che diventerà sua Madre, alla quale egli chiederà in prestito la carne per riscattare il mondo; gioia dello Spirito Santo di cui Maria è il santuario immacolato e la cooperatrice nell’opera della concezione e dell’incarnazione del Verbo. È gioia per gli Angeli: Essi vedono che questa fanciulla è la meraviglia delle meraviglie dell’Onnipotente; in Lei Dio ha spiegato la sua sapienza, la sua potenza, il suo amore più che in tutte le altre creature; Egli ha fatto di Maria lo specchio purissimo in cui si riflettono tutte le sue perfezioni; essi comprendono che Maria, da sola, dà al suo Creatore più onore e più gloria che tutte le loro gerarchie insieme e già la salutano come Regina, gloria dei cieli, ornamento del mondo celeste e del mondo terrestre (Gv. il Geometra, Annunciazione, 37, P. G., 106, c. 845).

Gioia nel limbo.

San Giovanni Damasceno pensa che anche le anime trattenute nel limbo abbiano conosciuto questa nascita felicissima e che Adamo ed Eva, con una gioia mai più provata dopo la loro caduta nel paradiso terrestre, abbiano gridato: « Sii benedetta, o figlia, che il Signore ci promise il giorno della nostra caduta: da noi hai ricevuto un corpo mortale e ci restituisci la veste dell’immortalità. Tu ci richiami alla nostra prima dimora; noi abbiamo chiusa la porta del paradiso e tu restituisci libero il sentiero che porta all’albero della vita » (Dormitio Virginis: P. G. 96, c. 733). Altri scrittori antichi ci presentano i patriarchi e i profeti, che da lontano avevano annunziata e benedetta la venuta di Maria, intenti a salutare il compimento dei loro oracoli divini (Giacomo il Monaco, Natività di Maria: P. G. 1270. 573).

Gioia sulla terra.

Fu anche gioia sulla terra. Senza temerità, possiamo con i santi pensare che Dio diede alle anime « che attendevano allora la redenzione d’Israele (Lc. II, 38) una allegrezza straordinaria, una gioia grave e religiosa, che si insinuò nei loro cuori, e intimamente le convinse, senza spiegare come, che l’ora della salvezza del mondo era ormai prossima. – Ma gioia particolare in questo senso ebbero i felici genitori, i Santi Gioacchino e Anna. Essi contemplarono rapiti la radiosa, piccola bambina, loro donata nella vecchiaia, contro tutte le speranze. Forse essi si chiesero se non era uno degli anelli della linea benedetta dalla quale doveva uscire il Re, che avrebbe ristabilito il trono di Davide e salvato Israele e il loro ringraziamento salì fervido al Signore, che essi sentivano presente nella loro umile casa. « O coppia felice, esclama san Giovanni Damasceno, tutta la creazione ha un debito verso di voi, perché per mezzo vostro ha offerto a Dio il più prezioso dei doni, la Madre ammirabile, che, sola, di Lui era degna. Benedetto il tuo seno, o Anna, perché ha portato Colei che nel suo seno porterà il Verbo eterno, Colui che nulla può contenere e che porterà agli uomini la rigenerazione. O terra da principio infeconda e sterile, dalla quale è sorta una terra dotata di fecondità meravigliosa, che sta per produrre la spiga, che nutrirà tutti gli uomini! Beate le vostre mammelle, perché hanno allattato Colei, che allatterà il Verbo di Dio, nutrice di Colui che nutre il mondo… » (Sulla Natività, P. G. 96, c. 664-668).

Maria causa della nostra gioia.

La nascita di Maria è dunque causa di gioia e la gioia è sentimento che oggi tutto assorbe e tutto penetra. La Chiesa desidera che noi entriamo in questa gioia che straripa e trionfa. Ci invita a questa gioia in tutto l’Ufficio e ci fa cantare, fino dall’invitatorio di Mattutino: « È la nascita di Maria, facciamole festa, adoriamo Cristo, suo figlio, nostro Signore ». E poco dopo ci fa aggiungere: « Celebriamo con tenera devozione la nascita della beata Vergine Maria, perché interceda presso Gesù Cristo. Con allegrezza e tenera devozione, celebriamo la nascita di Maria » (Responsorio del Mattutino). – La Chiesa ci invita alla gioia perché Maria è la Madre della divina grazia e, nel pensiero divino, già la Madre del Verbo incarnato. – Le parole grazia e gioia hanno in greco una stessa radice, vanno sempre a fianco e si richiamano a vicenda: Maria, essendo piena di grazia, è anche piena di gioia per sé e per noi. La Liturgia ci mostra in questa graziosa bambina appena nata la Madre di Gesù, tanto Maria è inseparabile dal Figlio, che è nata solo per Lui, per essere sua Madre e per divenire madre nostra, dandoci la vera vita, la vita della grazia. Tutte le preghiere della Messa acclamano la maternità della Vergine Maria quasi per dire che la Chiesa non può separare la sua nascita da quella dell’Emmanuele.

Il luogo di nascita di Maria.

Dove nacque la Santissima Vergine? Un’antica e costante tradizione indica come luogo di nascita Gerusalemme, là ove è la chiesa di sant’Anna, presso la piscina Probatica. Là « nell’ovile paterno, dice san Giovanni Damasceno, è nata Colei, da cui ha voluto nascere l’Agnello di Dio ». Là più tardi furono sepolti i santi Gioacchino e Anna e le loro tombe furono scoperte dai Padri Bianchi il 18 marzo 1889, presso la grotta della Natività. Là fu costruita nel secolo IX una chiesa e le monache benedettine vi si stabilirono dopo l’arrivo in Palestina dei Crociati e vi restarono fino al secolo XV. Poi una scuola mussulmana sostituì il monastero e, solo in seguito alla guerra di Crimea, il sultano Abd-ul-Medjid donò la chiesa e la piscina probatica alla Francia, che era entrata vittoriosa a Sebastopoli il giorno 8 settembre 1855.

Origine della festa.

La festa della Natività sorse in Oriente. La Vita di Papa Sergio (687-701) la elenca fra le quattro feste della Santa Vergine esistenti a quel tempo e sappiamo inoltre che l’imperatore Maurizio (582-602) ne aveva prescritta la celebrazione con le altre tre dell’Annunciazione, della Purificazione e dell’Assunta. San Bonifacio introdusse la festa in Germania. Una graziosa leggenda attribuisce al vescovo di Angers, Maurilio, l’istituzione della festa e forse veramente egli introdusse nella sua diocesi una festa, per realizzare il desiderio della Vergine, che gli era apparsa nelle praterie del Marillais verso l’anno 430, e di qui il nome di Nostra Signora Angevina o festa dell’Angevina, che ancora le dà, nella regione occidentale, il popolo cristiano. – Chartres da parte sua rivendica al vescovo Fulberto (1028) una parte preponderante nella diffusione della festa in tutta la Francia. Il re Roberto il Pio (o il suo seguito) diede le note ai tre bei Responsori Solem justitiae, Stirps Jesse, Ad nutum Domini, nei quali Fulberto celebra il sorgere della stella misteriosa, che doveva generare il sole, il virgulto sorto dal ceppo di Jesse che doveva portare il fiore divino sul quale riposerà lo Spirito Santo, la onnipotenza che dalla Giudea produce Maria, come una rosa dalle spine. – Nel 1245, durante la terza sessione del primo Concilio di Lione, Innocenzo IV stabilì per tutta la Chiesa l’Ottava della Natività della Beata Vergine Maria, (oggi soppressa) compiendo il voto emesso da lui e dai Cardinali durante la vacanza di diciannove mesi, causata dagli intrighi dell’imperatore Federico II alla morte di Celestino IV e terminata con l’elezione di Sinibaldo Fieschi col nome di Innocenzo. – Nel 1377, il grande Gregorio XI, il Papa, che aveva spezzate le catene di Avignone, completò gli onori resi alla Vergine nascente con l’aggiunta della vigilia alla solennità, ma o perché non espresse al riguardo che un desiderio o per altre cause, le intenzioni del Pontefice non ebbero seguito che per qualche tempo negli anni torbidi, che seguirono la sua morte.

La pace.

Quale frutto di questa festa, imploriamo con la Chiesa (Colletta del giorno) la pace, che nei nostri tempi sventurati pare allontanarsi sempre di più. La Madonna nacque nel secondo dei tre periodi di pace universale segnalati sotto Augusto, il terzo dei quali segnò l’avvento del Principe stesso della pace. – Mentre si chiudeva il tempio di Giano, l’olio misterioso sgorgava dal suolo a Roma nel luogo dove doveva sorgere il primo santuario della Madre di Dio, si moltiplicavano i presagi per il mondo in attesa e il poeta cantava: « Finalmente giunge l’ultima era preannunziata dalla Sibilla, si apre la serie dei secoli nuovi, ecco la Vergine » (Virgilio, Egloga IV). – In Giudea, lo scettro era stato tolto a Giuda, (Gen. 49, 10) ma anche colui, che se ne era impadronito, proseguì la splendida restaurazione, che doveva permettere al secondo Tempio di ricevere fra le sue mura l’Arca santa del nuovo Testamento. – È il mese sabbatico, primo mese dell’anno civile e settimo del ciclo sacro Tisri, in cui comincia il riposo stabilito ad ogni settennio, cioè l’anno santo giubilare (Levit. XXV, 9), il mese più ricco di gioia con la Neomenia solenne, annunziata da suoni di tromba e da canti (ibid. 23; Num. XXIX; Psal. LXXX), la festa dei Tabernacoli e il ricordo della dedicazione del primo Tempio sotto Salomone. – In cielo il sole è uscito dal segno del Leone ed entra in quello della Vergine. Sulla terra due oscuri discendenti di Davide, Gioacchino e Anna, ringraziano Dio, che ha benedetto la loro unione, per molto tempo infeconda.

Il Mistero di Maria.

Maria, dalla quale è nato Gesù: qui è tutto il mistero della Madonna, il titolo costitutivo, come abbiamo veduto, del suo essere di natura e di grazia; come Gesù dovendo nascere da Maria figlia della donna (Gal. IV, 4) e figlia di Dio (Rom. VII, 3-4), era dal principio ragione nascosta della creazione il cui mistero si sarebbe rivelato solo alla pienezza dei tempi (Efes. III, 9). Opera unica questa della quale il profeta, nella sua estasi diceva: Farai conoscere, o Dio, nella pienezza degli anni l’opera tua; verrà il Santo dalla montagna oscura; i poli del mondo si curvano sotto il passo della sua eternità (Abacuc III, 2-6). – La montagna donde deve venire il Santo, l’Eterno, il Dominatore del mondo, quando sarà il tempo, è la Beata Vergine, che l’Altissimo coprirà della sua ombra (Lc. I, 35), e l’altezza della Quale, già alla nascita, sorpassò tutte le altezze del cielo e della terra. I tempi sono dunque compiuti. Dal momento in cui l’eterna Trinità uscì dal suo riposo per creare cielo e terra (Gen. I, 1) tutte le generazioni del cielo e della terra, come dice la scrittura (ibid. II, 4) erano in travaglio dal giorno che dona al Figlio di Dio la Madre attesa. Parallelamente alla linea, che scende da Abramo e da Davide al Messia, tutte le genealogie umane preparavano a Maria la generazione dei figli adottivi che Gesù, figlio di Maria, si sceglierà per fratelli.

Preghiera a Maria Bambina.

Finalmente, o Maria, il mondo ti possiede! La tua nascita gli rivela il segreto del suo destino, il segreto d’amore che lo chiamò dal nulla, perché diventasse l’abitazione di Dio al di sotto dei cieli. Ma qual è dunque il mistero di questa debole umanità, che, inferiore agli Angeli per natura, è tuttavia chiamata a dare loro un Re e una Regina? Il Re l’adorano neonato fra le vostre braccia, la Regina la riveriscono oggi nella culla insieme con gli angeli. Astri del mattino, questi nobili spiriti davano inizio alle manifestazioni dell’Onnipotenza e lodavano l’Altissimo (Giob. 38, 7), ma il loro sguardo non scoprì mai meraviglia pari a quella che li fa ora esultare: Dio, riflesso in modo più puro sotto i veli del corpo fragile di una bambina di un giorno che nella forza e nello splendore dei nove cori; Dio, conquistato egli stesso da tanta debolezza, unita per grazia sua a tanto amore che egli ne fa il suo capolavoro, manifestando in essa suo Figlio. – Regina degli Angeli, tu sei anche nostra Regina, ricevici per manifestare fede e omaggio. In questo giorno in cui il primo slancio della tua anima santissima fu per il Signore, il primo sorriso degli occhi per i genitori che ti misero al mondo; si degni la beata Anna ammetterci a baciare in ginocchio le tue mani benedette, già pronte alle divine larghezze delle quali sono predestinate dispensatrici. E intanto cresci, dolcissima bambina, si irrobustiscano i tuoi piedi, per schiacciare il capo al serpente, prendano forza le tue braccia, per portare il tesoro del mondo; l’angelo e l’uomo, tutta la natura; Dio Padre, Figlio, Spirito Santo, sono in attesa del momento solenne in cui Gabriele potrà spiccare il volo dal cielo per salutarti piena di grazia e portarti il messaggio d’amore.

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s. Agostino

Sermone di sant’Agostino Vescovo

Sermone 18 sui Santi, ch’è il 2 dell’Annunciazione del Signore

Eccoci, dilettissimi, al giorno desiderato della beata e venerabile Maria sempre Vergine; perciò si rallegri e gioisca sommamente la nostra terra illustrata dalla nascita di tale Vergine. Ella infatti è il fiore del campo, da cui è uscito il prezioso giglio delle valli, per la cui maternità si è cambiata la sorte dei nostri progenitori e cancellata la loro colpa. Ella non ha punto subita la maledizione pronunziata contro di Eva, cioè: «Nel dolore darai alla luce i tuoi figli» (Gen. III,16); avendo ella dato alla luce il Signore nella gioia. – Eva pianse, Maria esultò: Eva portò nel seno un frutto di lacrime, Maria di gioia, avendo dato alla luce quella un peccatore e questa un innocente. La madre del genere umano introdusse il castigo nel mondo, la Madre di nostro Signore ha portato la salvezza al mondo. Eva è la sorgente del peccato, Maria la sorgente del merito. Eva ci fu funesta dandoci la morte, Maria ci ha fatto del bene rendendoci la vita. Quella ci ha feriti, questa ci ha guariti. La disobbedienza è stata riparata dall’obbedienza, l’incredulità compensata colla fede. – Maria ora applauda co’ strumenti d’armonia, e le agili dita della vergine madre suonino i cembali. Rispondano i cori festanti, e il doppio concerto della nostra voce s’alterni co’ suoi cantici melodiosi. Udite dunque come cantò la nostra musicista ispirata; ella disse: «Magnifica l’anima mia il Signore: ed esulta il mio spirito in Dio, mia salvezza. Perché ha riguardato alla bassezza della sua ancella: ond’ecco da questo momento mi chiameranno beata tutte le generazioni. Perché grandi cose ha fatto in me colui ch’è potente» (Luc. 1,46). Così dunque il prodigio d’una nuova maternità, ha rimediato alla colpa che ci ha rovinati; e il canto di Maria, ha messo fine ai lamenti di Eva.

Per la NATIVITA’

[G. Riva: Manuale di Filotea, Milano 1888]

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La cui festa fu ordinata da Sergio I nel 688 per ottenere, come ottenne, con l’intercessione di Maria, – 1) di essere liberato dalle inique vessazioni dell’imperatore Giustiniano II, il quale voleva sostenere come ecumenico l Concilio Truliano o Quinisesto, tenuto dai Greci a Costantinopoli, malgrado la costante disapprovazione del Papa, il quale perciò non vi spedì i propri legati, né volle mai approvarne i canoni, – 2) di riconciliare con la Chiesa Romana il Patriarcato di Aquileja in Istria, che si ostinava a non riconoscere come legittimo il V Concilio ecumenico, in cui si erano condannati i tre eretici libri di Teodoreto, di Teodoro e Mopsuesta ed Iba, denominati i Tre Capitoli.

I – Vergine singolarissima, che nascendo a questa vita, la pace annunciaste agli afflitti mortali, ottenete la vera pace ai nostri cuori, alla Chiesa e a tuttp il mondo. Ave.

II – Vergine invitta, che sin dal vostro nascimento cominciaste ad abbattere il regno del demonio, impetrate anche a noi tutti di distruggere in noi le opere sue e di resistergli sempre con viva fede, affinché possa in noi e con noi regnare Gesù Cristo. Ave.

III – Vergine intatta, che nasceste e viveste sempre più pura de’ cieli e degli Angeli, fate che anche noi da qui in avanti conduciamo sempre una vita tutta illibata e propria del cristiano. Ave.

IV – Vergine celestiale, che veniste al mondo, non per essere del mondo, ma per trionfarne compitamente impetrate anche a noi di viverne affatto staccati, conformandoci sempre alle massime del sacrosanto Vangelo. Ave.

V – Vergine gloriosa, che nasceste per essere trionfatrice di tutte le eresie che fossero insorte nel mondo, dissipate con il vostro potere tutti gli errori contrari alla nostra SS. Religione, e viva in noi conservate quella fede che opera per mezzo della carità. Ave.

VI – Vergine Santissima, che non per altro appariste al mondo che per essere speccio tesissimo d’ogni virtù, fate che a voi teniamo sempre rivolti gli occhi nostri per poter imitare le virtuose nostre operazioni, e divenire ancora santi ancora noi. Ave.

VII – Vergine felicissima, cui Dio fece nascere al solo fine di diventare la nostra corredentrice, dando alla luce il comune Riparatore fate che per Esso siamo salvati da ogni male e conseguiamo con sicurezza la nostra eterna salute. Ave, Gloria.

Oremus

Adjuvet nos quaesumus, Domine, sancta Mariae intercessio veneranda; ejus etiam diem quo mundo exorta est annua festivitate celebremus. Per Dominum nostrum, etc.

 

LA QUINTA COLONNA

LA QUINTA COLONNA

[Dalla prefazione a: “Complotto contro la Chiesa” di M. Pinay – EFFEDIEFFE ed.]

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La “quinta colonna” infiltratasi nel clero

Uno dei motivi della momentanea vittoria della congiura della Sovversione e della contro-Chiesa sulle forze del bene è che queste combattono solo contro i tentacoli della piovra e non contro il suo capo. Per tentacoli intendo il Comunismo e la Massoneria, per capo il Giudaismo anticristiano e l’Occultismo esoterista di matrice cabalistica. – È sorprendente come la “quinta colonna” sia riuscita ad infiltrarsi nella Chiesa sotto o.Giovanni XXIII [si pensi ai de Lubac, Congar, Kùng condannati da Pio XII negli anni Cinquanta e chiamati da Roncalli sin dal 1959/1960 come “periti” al Concilio], – (il falso papa Roncalli, sedicente Giovanni XXIII, usurpante la Cattedra di Pietro “impedita” dell’eletto all’unanimità Cardinal Siri, GREGORIO XVII – n.d.r -) ed a prendere saldamente in mano le redini del Concilio per dirigerlo a proprio piacimento, facendogli proclamare (il tutto invalidamente, perché condannato dalla bolla “Execrabilis” di Pio II e da tutto il Magistero – n.d.r. -) pastoralmente e non dogmaticamente il panteismo, l’unità trascendente di tutte le religioni e il diritto, per l’errore, alla libertà.

MA DA CHI È FORMATA QUESTA COSIDDETTA “QUINTA COLONNA”?

Risponde il Pinay: “Essa è formata anche dai discendenti degli ebrei convertitisi nei secoli al Cristianesimo, che però hanno praticato la Religione di Cristo in forma solo apparente”. Cioè nell’intimo del loro cuore questi falsi convertiti hanno mantenuto la loro fede talmudica ed hanno celebrato i loro riti organizzandosi in sinagoghe e logge segretissime, che hanno funzionato clandestinamente durante i secoli. – Sono interessanti, a questo proposito, le direttive che il Consiglio supremo della diaspora, sito in Gerusalemme, dava agli ebrei di Arles nel 1489: “Carissimi fratelli in Mosè… ci dite che il re di Francia vuole che diventiate cristiani; fatelo… ma mantenete sempre la legge mosaica nel vostro cuore (per mosaica si intenda talmudica, ndr) …fate in modo che i vostri figli divengano chierici e canonici, poiché così rovineranno la Chiesa”. [CECIL ROTH – Storia dei marrani, Serra e Riva, Milano 1991]. – E evidente, quindi, che uno degli sforzi maggiori della contro-chiesa è stato quello di introdurre dei “falsi convertiti” nei seminari, onde, divenuti sacerdoti, potessero scalare tutti i gradini della gerarchia ecclesiastica, fino a salire possibilmente sul Soglio pontificio – come si augurava il famoso personaggio della Carboneria detto Nubius – e far fare così la Rivoluzione agli stessi cattolici attoniti, disorientati, angosciati, impotenti, come di fatto è successo con il Vaticano II. – Il supremo attentato: un “Papa” secondo i bisogni della giudeo-massoneria – «Già nel 1824 il capo “Vendita Suprema” Nubius così scriveva al Volpe: “.. .noi dobbiamo giungere con piccoli mezzi graduati. ..al trionfo dell’idea rivoluzionaria per mezzo di un Papa”… Quello che la setta desiderava non era un Papa frammassone. …Che cosa voleva essa? Lo dicono le Istruzioni: ‘…un Papa secondo i nostri bisogni’» [H. Delassus: il Problema dell’ora presente]. Che cosa significa esattamente l’espressione “un Papa secondo i nostri bisogni”? E semplice: un Papa che non è iscritto alla Massoneria, ma che appartenga alla setta per le idee che ha accolto iniziaticamente nel suo intelletto, e cioè il panteismo, il naturalismo, il razionalismo, il liberalismo, il pluralismo, la tolleranza per principio, il non esclusivismo: in breve il complesso di idee emanate dalla Massoneria. Tale Papa non apparterrebbe per iscrizione al corpo della Massoneria, ma per iniziazione alla sua anima. Infatti, come nella Chiesa di Cristo si distingue il corpo dall’anima, e si sa che uno può appartenere al corpo senza appartenere all’anima e viceversa, così è per la Massoneria: il corpo sono le logge, e vi appartengono coloro che vi sono iscritti, l’anima sono l’iniziazione dottrinale, le idee, il liberalismo e la tolleranza. Tutti coloro che le professano appartengono all’anima della setta. Un Papa siffatto farà sì che il clero cammini sotto la bandiera massonica, credendo di camminare sotto quella del Vicario di Cristo e la setta vedrà così realizzato il suo sogno di fare la Rivoluzione “in cappa e tiara”. – (In realtà le cose andate ben diversamente, perché le sette, sapendo che un vero Papa, Cristo in terra, è guidato dallo Spirito Santo, prima o poi si sarebbe rivoltato contro gli interessi dei mandanti delle sette stesse. Il piano quindi è stato ancor più astutamente modificato, nel senso che si è lasciato eleggere e rieleggere un Papa “vero”, Gregorio XVII, ma esso è stato subito “impedito” nel suo “Ufficio” dai marrani del conclave, cagnolini muti al guinzaglio dei padroni, che hanno così intrufolato al suo posto, invalidamente, una serie di “figli della vedova”, gli ultimi in particolare autentici “marrani”, fantocci, burattini, guidati, senza nulla temere, dai burattinai “che odiano Dio e tutti gli uomini”, cercando di realizzare così indisturbati la demolizione della Chiesa Cattolica (si fieri potest …) – v. in questo blog “Montini, la ruspa nella Chiesa” – n.d.r. -).

Origini della “quinta colonna” e sua azione

Il Giudaismo, che dopo il deicidio (33 d. C), la distruzione di Gerusalemme (70 d. C.) e la dispersione (135 d. C), ha dovuto trasformarsi in setta segreta è quindi antico quasi quanto il Cristianesimo. – “L’ebreo, quando è riuscito ad infiltrarsi nella cittadella del suo nemico, lavora senza posa, ubbidendo agli ordini… delle organizzazioni ebraiche che mirano ad ottenere dal di dentro il dominio sul popolo di cui si prefiggono la conquista”. [H . DELASSUS, Il problema dell’ora presente]. – Il Giudaismo talmudico tenterà quindi, con ogni mezzo di esercitare il controllo sulle organizzazioni religiose nemiche per poi disintegrarle; una volta ottenute le cariche ecclesiastiche, le utilizza per sviluppare i propri piani di dominio universale, come sta accadendo oggi, sotto i nostri occhi, con il nome di Nuovo Ordine Mondiale. – San Paolo stesso ritenne necessario avvisare i vescovi (quelli veri ed oggi anche i falsi, come abbiamo visto più volte, in particolare tra gli scismatici sedevacantisti di nome o di fatto, tutti prodotti velenosi del cavaliere Kadosh Lienart e del suo pupillo e figlioccio spirituale, il non-prete Lefebvre – n.d.r. -) che tra loro sarebbero sorti lupi feroci, che non avrebbero risparmiato il gregge di Cristo, e che tra gli stessi vescovi si sarebbero levati uomini che avrebbero detto cose perverse per fare dei proseliti. – Nostro Signor Gesù Cristo nel Vangelo ci mette in guardia contro i “lupi rapaci vestiti da agnello”, contro i “mercenari” o i ” cattivi pastori” ammonendoci di essere vigilanti e sempre in guardia contro il “pericolo interno” ed avvertendoci che “è necessario che avvengano degli scandali”. – Purtroppo, con il Concilio Vaticano II è stato permesso ai lupi vestiti da agnello di introdursi nell’alto clero e di utilizzare la sua autorità giuridica per schiacciare i difensori della Chiesa, sia chierici che laici. – Non ci si deve meravigliare di questa infiltrazione che Cristo permette nella Chiesa. Il Vangelo, in fondo, ce ne dà un esempio classico, quello di Giuda, uno dei dodici Apostoli, che tradì Cristo per trenta denari. Forse si sbagliò Gesù nello scegliere Giuda? No! Gesù volle darci un esempio ed un ammonimento. Volle farci constatare che il maggior pericolo che corre la Chiesa è quello di essere venduta al nemico per trenta denari dagli alti prelati della Chiesa stessa: infatti altri Giuda sono sorti nel corso bi-millenario della storia della Chiesa ed altri ancora ne sorgeranno. – I fedeli perciò non devono scandalizzarsi se parliamo del complotto contro la Chiesa che ha potuto realizzarsi nel Concilio Vaticano II, negli anni successivi e tuttora in corso, grazie al tradimento dei più alti prelati. La Chiesa, nel passato, è sempre riuscita a vincere il più grave pericolo, quello della “quinta colonna”, grazie ad un clero virtuoso e combattivo e ad un laicato fedelmente sottomesso ad esso. Purtroppo con il Concilio Vaticano II, gli agenti della contro-Chiesa, che San Giovanni chiama la “Sinagoga di satana” (Apoc, II, 9; III, 9) hanno occupato i posti di comando (anche tra i falsi sedicenti “tradizionalisti” – n.d.r. -) ed hanno attuato quella rivoluzione che ha gettato lo scompiglio tra il clero ed il laicato cattolico. È nostro dovere combattere – con l’aiuto di Dio – l’azione dissolutrice della “quinta colonna” che ormai ha invaso la Chiesa di Cristo, e ciò per un misterioso disegno del Redentore il quale, come ha voluto che durante la Passione la sua Umanità soffrisse terribilmente e la sua Divinità fosse completamente nascosta ed eclissata, così ha permesso – dopo duemila anni – che il suo Corpo mistico soffrisse un’analoga e terribile Passione, nella quale il suo elemento divino si eclissasse ed apparisse solo quello umano, totalmente martoriato, quasi irriconoscibile (questo in particolare è quanto accaduto e sta ancora vivendo il Capo della sua Chiesa, S.S. il “Papa in esilio”.

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Di questi marrani della “quinta colonna” il Re-Profeta Davide, in particolare, ci ha dato profeticamente, un’immagine particolarmente nitida e suggestiva: “Die ac nocte circumdabit eam super muros ejus iniquitas; et labor in medio ejus, et injustitia: et non defecit de plateis ejus usura et dolus. Quoniam si inimicus meus maledixisset mihi, sustinuissem utique. Et si is qui oderat me super me magna locutus fuisset, abscondissem me forsitan ab eo. Tu vero homo unanimis, dux meus, et notus meus; qui simul mecum dulces capiebas cibos, in domo Dei ambulavimus cum consensu. Veniat mors super illos, et descendant in infernum viventes: quoniam nequitiae in habitaculis eorum, in medio eorum. Ego autem ad Deum clamavi, et Dominus salvabit me”. [Ps. LIV, 11, 17) – [Giorno e notte si aggirano sulle sue mura, all’interno iniquità, travaglio e insidie e non cessano nelle sue piazze sopruso e inganno. Se mi avesse insultato un nemico, l’avrei sopportato; se fosse insorto contro di me un avversario, da lui mi sarei nascosto. Ma sei tu, mio compagno, mio amico e confidente; ci legava una dolce amicizia, verso la casa di Dio camminavamo in festa. Piombi su di loro la morte, scendano vivi negli inferi; perché il male è nelle loro case, e nel loro cuore. Io invoco Dio e il Signore mi salva.]. – Invochiamo il Signore ed Egli ci salverà, anche perché nel salmo XXXVI ci rassicura ulteriormente col dire: “Observabit peccator justum, et stridebit super eum dentibus suis. Dominus autem irridebit eum, quoniam prospicit quod veniet dies ejus. Gladium evaginaverunt peccatores, intenderunt arcum suum, ut dejiciant pauperem et inopem, ut trucident rectos corde. Gladius eorum intret in corda ipsorum, et arcus eorum confringatur”. – [L’empio trama contro il giusto, contro di lui digrigna i denti. Ma il Signore ride dell’empio, perché vede arrivare il suo giorno. Gli empi sfoderano la spada e tendono l’arco per abbattere il misero e l’indigente, per uccidere chi cammina sulla retta via. La loro spada raggiungerà il loro cuore e i loro archi si spezzeranno. [Ps. XXXVI, 12-15].

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E la Vergine Maria, la Mamma nostra, alla Quale Gesù ci fa affidati dall’alto della Croce, ci consola: “Il mio Cuore Immacolato alla fine trionferà”! Et IPSA conteret caput tuum !

PREGHIERA PER IL SANTO PADRE

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Preghiera per il Santo Padre

Tutti i veri Cattolici sono chiamati ad amare, rispettare ed a pregare per il Santo Padre: questo è un obbligo per il credente, e somma devozione da non trascurare mai nella giornata. Tutte le altre devozioni, per quanto somme ed importanti, sono tali perché garantite dalla persona del Sommo Pontefice, senza il Quale non ci sarebbe neppure Cristianesimo né vera religione, ma solo un vago, amorfo, orgoglioso deismo di stampo gnostico, comunque venga camuffato! Importante è, come sempre, non confondere il Vicario di Cristo dell’attuale “Sede impedita”, scambiandolo magari con il tragico, ridicolo, farsesco servo di lucifero, agente del mondialismo propugnato dai soliti viperidi “nemici di Dio e di tutti gli uomini”. Allora coraggio, la prova non durerà ancora molto: preghiamo con fede, la Vergine ha promesso che “… alla fine il suo Cuore Immacolato trionferà”.

immacolata schiaccia

Et Ipsa conteret capita eorum!

PEL SOMMO PONTEFICE.

[Da manuale di Filotea del Sacerdote milanese Giuseppe Riva, Penitenziere nella Metropolitana di Milano. XXX ediz. Milano 1888].

O Salvatore degli uomini. Autore e Consumatore della nostra fede, Primogenito di tutti gli eletti, Capo e Sposo della Chiesa, Voi che all’Apostolo Pietro e a tutti i suoi Successori avete promessa solennemente l’indefettibile vostra assistenza per guidare gli agnelli e le pecore del vostro ovile ai pascoli deliziosi della salute, e indirizzaste all’ eterno Padre particolare preghiera perché non avesse mai a venir meno la loro fede, riguardate con occhio di parziale benignità l’attuale vostro Vicario, il nostro sommo Pontefice. Vegliate mai sempre alla difesa de’ suoi diritti cosi spirituali come temporali, e umiliate e confondete tutti coloro che tentano in qualunque modo di oscurarne la gloria o menomarne il potere. Sicché tutto il mondo lo riconosca e lo veneri per quel che è realmente, il sommo Vicario di Dio,il Padre dei credenti, il Pastor dei Pastori, il Monarca della Chiesa, il Custode della fede, il Giudice della morale, l’Oracolo infallibile della verità, il Fonte d’ogni giurisdizione, l’Arbitro dei celesti tesori, la Personificazione della Dottrina che sola guida a salute. Accordategli quella copia di grazie che si conviene alla sublimità del suo grado, affinché possa tutto insieme e santificare sé stesso, e reggere secondo le massime della vostra sovrana sapienza tutti i credenti nel vostro nome, con quella pienezza di libertà, con quella assolutezza di indipendenza, con quella interezza di regia territoriale sovranità che la vostra Provvidenza gli ha procurato da tanti secoli, e la vostra onnipotenza gli ha conservato, a dispetto di tutti gli assalti dei più prepotenti nemici, costretti tutti a confessare per propria tristissima esperienza che questa Pietra da Voi piantata è così incrollabile come la Chiesa di cui è fondamento e sostegno, e contro cui non potran mai prevalere tutte le podestà dell’inferno. Pater. Ave. Gloria.

Inno di ringraziamento

detto INNO AMBROSIANO O TE DEUM.

Te Deum laudamus te Dominum confitemur.

Te æternum Patrem omnis terra veneratur.

Tibi omnes Angeli, Tibi coeli et universa potestates.

Tibi Cherubini et Seraphim incessabili voce proclamant:

Sanctus, Sanctus, Sanctus Dominus Deus Sabaoth.

Pieni sunt coeli et terra majestatis Gloria tua.

Te gloriosus Apostolorum chorus.

Te Prophetarum laudabilis numerus.

Te Martyrum candidatus, laudat exercitus.

Te per orbem terrarum sancta confitetur Ecclesia.

Patrem immensa maiestatis,

Venerandum tuum verum et unicum Filium.

Sanctum quoque Paraclitum Spiritum.

Tu Rex gloriæ Christe.

Tu Patris sempiternus es Filius.

Tu ad liberandum suscepturus

hominem, non horruisti Virginis uterum.

Tu devicto mortis aculeo,

aperuisti credentibus regna coelorum.

Tu ad dexteram Dei sedes in gloria Putris.

Judex crederis esse venturus.

Te ergo, quæsumus, tuis famulis

subveni quos pretioso sanguine redimisti.

Aeterna fac cum Sanctis tuis in gloria numerari.

Salvum fac populum tuum,

Domine, et benedic æreditati tuae.

Et rege eos, et extolle illos usque in aeternum.

Per singulos dies benedicimus te.

Et laudamus nomen tuum

in sæculum, et in sæculum sæculi.

Dignare, Domine, die isto,

sine peccato nos custodire.

Miserere nostri Domine, miserere nostri.

Fiat misericordia tua, Domine,

super nos; quemadmodum speravimus in te.

In te, Domine, speravi; non confundar in æternum.

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Traduz. In versi.

te Deum

Te con lodi, te con cantici

Confessiamo, o gran Signore,

E risponde al labbro il core

Nel lodarti elerno Re.

Non v’ha clima, non v’ha popolo

Che la tua possanza ignori,

Che il tuo nome non adori,

Che non tremi innanzi a Te.

Nel lodarti ognor gareggiano,

Le ruotanti immense sfere,

E degli Angioli le schiere

Colle empiree Podestà.

Cherubini e Serafini

Al tuo trono umili e chini,

Santo, Santo, Santo acclamanti

Dio d’immensa maestà,

Da te scende negli Eserciti

La sconfitta e la vittoria;

Tutto pieno è della tua gloria

Terra, cielo e mar ancor.

De’ Profeti, degli Apostoli,

Ti decanta il gran Senato,

E lo stuolo candidato

De’ tormenti sprezzator.

Dall’Idaspe al mar d’Atlante

Ti confessa la tua Chiesa

Sempre santa, sempre illesa

Nel conflitto più crudel.

In Te, sommo Genitore,

Nel tuo vero unico Figlio,

Nel divino eterno Amore,

Sempre adora il Re del ciel.

Re di gloria tu se’, o Cristo,

Di Dio Padre eterna prole:

Tu per far dell’uom acquisto

Che gemeva in servitù,

Vergin seno non sdegnasti,

E di morte vinto il pungolo,

Ai credenti spalancasti

L’aure porte di lassù.

Tu alla destra di Dio Padre

Glorioso assiso or stai,

E tremendo un dì verrai

L’universo a giudicar.

Deh benigno, deh pietoso,

Odi il prego de’ tuoi servi,

Che col sangue tuo prezioso

Ti degnasti riscattar

Dagli assalti de’ nemici

Tu li guarda e benedici:

Son gli eredi del tuo regno,

Son tuo popolo, o Signor.

Fino all’ultimo respiro,

Tu li reggi, e co’ tuoi Santi

Li congiungi nell’Empiro,

Li perpetua nell’amor.

Non v’ha giorno in nostra vita

Che tue lodi non cantiamo:

E il tuo nome confidiamo

Di lodar per ogni età.

Dal peccato, deh ti degna

Preservarne in questo giorno,

E ognor vegli a noi dintorno

La paterna tua pietà.

La pietà che fu mai sempre

Del cor nostro la speranza,

La pietà che sempre avanza

Ogni voto, ogni desir,

In Te solo, o mio Signore,

Spero adesso, e ognor sperai

Né confusa fia giammai

La mia speme in avvenir.

 

I TRE GIORNI DI OSCURITA’

~ I tre giorni di tenebre ~

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“I tempi sono gravi. Il mondo intero è in subbuglio perché è diventato peggiore che al tempo del diluvio! Tutto è sospeso ad un filo; quando si romperà questo filo, la giustizia di Dio si abbatterà come un fulmine e completerà il suo terribile corso di purificazione.” (Visione profetica di suor Elena Aiello, fondatrice delle “Sorelle minime”, 8 dicembre 1958).

I tre giorni di oscurità

Estratti da Yves Dupont (1922-1979)

L’AZIONE DI DIO

     L’aspetto più spettacolare dell’azione di Dio saranno i tre giorni di buio su tutta la terra. I tre giorni sono stati annunciati da molti mistici, come ad esempio: La Beata Anna-Maria Taigi, Padre Pio, Elisabetta Canori-Mora, Rosa-Colomba Asdente, Palma d’Oria, in Italia; Padre Nectou, in Belgio; S. Ildegarda, in Germania; Pere Lamy, Marie Baourdi, Marie Martel. (Questa lista non è esaustiva; molti altri Santi mistici [come Santa Colomba A.D. 597. -ED] hanno annunciato i Tre giorni.).

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La ven. Maria di Agreda ed altri Cattolici eminenti per santità, hanno da secoli profetizzato il terribile prossimo castigo dei Tre giorni di oscurità; nel corso del quale dalla metà ai tre quarti della popolazione mondiale sarà uccisa dall’ira di Dio.

La Chiesa non ci obbliga a credere a qualsiasi profezia particolare, come questione di fede [de fide], ma siamo portati a credere che le profezie possano realizzarsi anche ai nostri tempi, perché nelle Sacre Scritture ed anche nel Vangelo è scritto: “lo Spirito Santo parlerà a molti negli ultimi giorni”. – Inoltre, quando un’identica profezia è stata fatta da persone ampiamente separate nel tempo e nello spazio, quando questa profezia particolare è stata accompagnata da altre predizioni che si sono già avverate nel passato, e quando la santità dei mistici in questione è stata riconosciuta dalla Chiesa, saremmo davvero sciocchi a non credere che la profezia possa realmente avverarsi. Tale è il caso in merito ai Tre giorni di oscurità. Altrimenti come potremmo spiegare che una contadina analfabeta di Bretagna descriva degli avvenimenti così come li descrive un altro mistico, diciamo, in Germania o in Italia?

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La beata A. M. Taigi…

4 - anna-maria-taigi-2

        

… dopo tre giorni di oscurità …

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6 - anna-maria-taigi-4

… San Pietro e San Paolo, dopo essere scesi dal cielo, predicano in tutto il mondo e …

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… designano il nuovo Papa …

8 - anna-maria-taigi-6

… una gran luce che emana dai loro corpi si depositerà su di un cardinale, cioè su colui che diventerà Papa …

9 - anna-maria-taigi-7

… la Russia, l’Inghilterra e la Cina, rientreranno nella Chiesa.

I SEGNI PREMONITORI

   Ecco i segni prossimi nel loro probabile ordine di sequenza. Questo, ad essere sinceri, è solo la mia opinione, e potrei sbagliarmi, io stesso infatti non sono un profeta; ma, dopo aver studiato un gran numero di profezie, sembra essere questo l’ordine più probabile:

1) – Farsi beffe delle leggi della Chiesa, l’irriverenza e l’immodestia nella Chiesa, cadere nel semplice atto di presenza nella Chiesa. (Queste tendenze sono state osservate dal 1950, già prima che la vera Chiesa fosse fraudolentemente usurpata nel Conclave del 26 ottobre 1958. -ED)

2) –La mancanza di carità verso il prossimo, l’insensibilità, l’indifferenza, le divisioni, i conflitti, l’empietà, l’orgoglio della conoscenza umana.

3) –La destabilizzazione della vita familiare: l’immoralità, l’adulterio, la perversione della gioventù attraverso i media (ad es. gli omosessuali che danno lezioni nelle scuole), la moda immodesta, le persone interessate solo a mangiare, bere, a ballare e dedite ad altri piaceri.

4) – Tumulti, disprezzo per le autorità, caduta dei governi, confusione in ambienti elevati, corruzione, colpi di stato, guerre civili, rivoluzioni. (I primi quattro segni precursori si sono già verificati o sono in atto, almeno in parte; per noi c’è ancora da vedere la guerra civile e le rivoluzioni in Occidente. Ma la sequenza degli eventi non è rigorosamente cronologica: c’è spazio per qualche sovrapposizione. Così, il 5° segno, il prossimo, sembra pure essere già iniziato).

5) – Inondazioni e siccità, cattivi raccolti, particolari condizioni climatiche, tornado, terremoti, maremoti, carestie, epidemie, malattie sconosciute (ad es. nuovi ceppi di virus).

 L’AVVISO

… sarà dato tra i “segni prossimi” ed i “segni immediati”, e sarà un avvenimento soprannaturale.

Durante il messaggio dell’avviso, molti saranno così spaventati da essere terrorizzarsi e molti desidereranno morire, ma l’avviso stesso sarà completamente innocuo.

L’avviso deve essere considerato come l’ultimo atto della misericordia da Dio, un ultimo appello all’umanità a fare penitenza prima dei tre giorni di oscurità e la distruzione di tre quarti della razza umana. Nel momento in cui diventeranno accettati e “legalizzati” l’omicidio di bambini non ancora nati (l’aborto) ed il peccato di Sodoma e Lesbo, noi dovremmo comprendere che Dio sta per punire l’umanità. – In quel tempo, la guerra e la rivoluzione avrà già causato un forte squilibrio ed il Comunismo sarà vittorioso, ma tutto questo sarà niente in confronto allo sfascio che si produrrà durante i tre giorni.

* È stata rivelato che ci sarà “un avviso”, un avvenimento che precederà immediatamente i 3 giorni di tenebre:

La profetessa Suor Maria di S. Pietro viene menzionata nelle rivelazioni di Marie-Julie Jahenny di La Fraudais, trattando una delle più importanti questioni. A lei è stato rivelato dal cielo la data esatta di un “avvertimento” che accadrà immediatamente prima del “castigo” dei 3 giorni di buio.

Gesù: “… l’avvertimento avverrà in un giorno, già designato, quando ci sarà poco sole, poche stelle e nessuna luce, tanto che non sarà possibile muovere un passo fuori dalle vostre case, rifugio del mio popolo. Questo avverrà quando i giorni cominciano ad allungarsi (a cominciare dal 22 dic.); non sarà dunque nel corso dell’estate, né durante i giorni più lunghi dell’anno (periodo estivo), ma quando le giornate saranno ancora brevi (orario invernale). Non sarà alla fine dell’anno, ma durante i primi mesi (dell’anno), che darò il mio chiaro avvertimento.

Quel giorno di tenebre e fulmini, sarà il primo che Io manderò per convertire l’empio e per vedere se un gran numero di persone tornerà a Me, prima della grande tempesta (castigo) che dopo poco seguirà. L’oscurità con i fulmini di quei giorni, non coprirà tutta la Francia, perché una parte della Bretagna sarà risparmiata. (Tuttavia) l’angolo in cui si trova la terra della Madre mia, la Madre Immacolata (la terra di S. Anna), non sarà coperta dal buio che giungerà fino alla vostra postazione (casa di Marie-Julie)… Tutto il restante sarà nel più terribile spavento. Da una notte alla successiva — un giorno completo —, il tuono non cesserà di rombare. Il fuoco dai fulmini produrrà numerosi danni, anche nelle case chiuse, dove qualcuno vive nel peccato. Figli miei, il primo giorno (di castigo) non toglierà nulla dagli altri tre (il castigo di 3 giorni) già sottolineato e descritto.

Quel giorno è stato rivelato alla mia serva, Catherine (Labouré), nelle apparizioni della mia Beata Madre sotto il titolo di: “Maria concepita senza peccato”. Quel giorno è (anche) registrato e ben sigillato in cinque rotoli dalla Suora di San Pietro di Tours. Quel rotolo rimarrà un segreto fino al giorno in cui una persona di Dio porrà una mano predestinata su ciò che il mondo avrà ignorato, ed anche tra gli abitanti di quel chiostro. (“Profezie di La Fraudais di Marie-Julie Jahenny”, pp. 50-51) – Rileviamo che il libro della mistica bretone, non ha imprimatur nè autorizzazione ecclesiastica, quindi non ci sono garanzie da parte di alcuna Autorità competente!! [v. Costit. Apostol. “Officiorum ac munerum”, di S. S. Leone XIII]

Nota: Il 5 agosto 1850, per ordine di Mgr. Morlot furono nascosti gli scritti di Suor Maria di S. Pietro del Carmelo di Tours. Ora è chiaro che il giorno di cui parla Nostro Signore è “un avvertimento”. Quel giorno è il “primo giorno (del castigo)” che Egli invierà per convertire i peccatori prima della “grande tempesta” (il grande castigo) che seguirà da vicino.” Gesù ha detto che, in quel giorno, Egli avrebbe dato il suo “avviso selezionante”.

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I tre giorni di oscurità

IL SEGNO IMMEDIATO

     Il vento ululerà e ruggirà. Lampi e fulmini di una potenza senza precedenti colpiranno la terra. Tutta la terra tremerà, ed i corpi celesti saranno disturbati (questo sarà l’inizio dei tre giorni). Ogni demone, ogni spirito maligno sarà rilasciato dall’inferno e avrà il permesso di vagare sulla terra.  –  Avranno luogo terrificanti apparizioni. Molti moriranno di puro spavento. Pioverà fuoco dal cielo, tutte le grandi città saranno distrutte, gas velenosi riempiranno l’aria, grida e lamenti saranno ovunque. I miscredenti bruceranno all’aperto similmente all’erba appassita. Tutta la terra sarà afflitta: essa sarà simile ad un enorme cimitero.  –  Appena si noteranno (questi segni), occorrerà correre al chiuso, bloccare tutte le porte e le finestre, tirare giù gli oscuranti, per non vedere, mettere rotoli di carta adesiva sulle prese d’aria, nei pressi di porte e finestre. Non bisogna rispondere alle chiamate provenienti dall’esterno, né guardare le finestre, o si morirà sul posto: “Tenete gli occhi in basso per assicurarvi che non sia possibile visualizzare le finestre assecondando la curiosità; l’ira di Dio è tanto potente, e nessuno deve tentare di sfuggire. Solo le candele di cera daranno luce; nient’altro brucerà, e le candele non si spegneranno una volta accese. Niente le alimenterà nelle case dei fedeli, ma esse non bruceranno nelle case dei “senza Dio”. Occorrerà spruzzare acqua Santa per la casa e soprattutto in prossimità di porte e finestre: i demoni infatti temono l’acqua Santa. Beneditela voi stessi e con essa ungete i cinque organi di senso: occhi, orecchie, naso, bocca, con mani, piedi e fronte. Tenete a disposizione una sufficiente quantità di acqua potabile e, se possibile, anche di cibo (anche se si può vivere senza cibo per tre giorni). Inginocchiatevi e pregate incessantemente con le braccia tese o prostrati sul pavimento. Fate gli atti di contrizione, di fede, speranza e carità. Soprattutto bisogna recitare il Rosario e meditarne i Misteri Dolorosi.  –  Alcune persone, soprattutto bambini, andranno in cielo in anticipo perché sia risparmiato loro l’orrore di questi giorni. Le persone sorprese all’aperto moriranno all’istante. Tre quarti della razza umana sarà sterminata, più uomini che donne. Nessuno sfuggirà al terrore di questi giorni.

La beata Anna-Maria Taigi ha dichiarato, per quanto riguarda questi terribili tre giorni di buio e di castigo:

“Dio manderà due castighi: uno sarà sotto forma di guerre, rivoluzioni e altri mali; essi quindi devono provenire dalla terra. L’altro sarà inviato dal cielo. Deve venire sopra la terra intera un buio intenso della durata di tre giorni e tre notti. Non si vedrà niente, e l’aria sarà carica di miasmi pestiferi che assaliranno principalmente, ma non solo, i nemici della religione. Sarà impossibile utilizzare qualsiasi illuminazione artificiale durante questa oscurità, ad eccezione delle candele di cera benedette. Chi, per curiosità, aprirà la sua finestra per guardare fuori, o lascerà la sua casa, cadrà morto sul posto. Durante questi tre giorni, la gente dovrebbe rimanere nelle proprie case, pregare il Rosario e implorare la pietà di Dio.”

“Tutti i nemici della Chiesa, conosciuti o sconosciuti, periranno sopra tutta la terra durante quel buio universale, con l’eccezione di alcuni che Dio convertirà presto. L’aria sarà infestata da demoni che appariranno sotto ogni sorta di orribili forme.”

Ma, quando tutto sembrerà perduto e senza speranza, ecco che, in un batter d’occhio, la prova sarà finita: sorgerà il sole e brillerà ancora una volta come in primavera sopra una terra purificata.- Alcune nazioni scompariranno completamente, e cambierà il volto della terra. Ci saranno non più “grandi imprese” ed fabbriche enormi che succhiano le anime degli uomini. Si farà rivivere la lavorazione artigianale, e le catene di montaggio saranno sostituite dal banco di lavoro. – Le persone torneranno alla terra, ma il cibo sarà scarso per circa tre anni. Le donne sposate partoriranno molti bambini, e per esse sarà considerata una vergogna il non avere figli, non ci saranno più “donne in carriera” che faranno uso di contraccettivi. Di donne non sposate, ce ne saranno molte, faranno parte di ordini religiosi formando grandi congregazioni di suore all’interno della Chiesa che rinascerà. Le malattie diminuiranno drasticamente, le malattie mentali saranno rare, perché l’uomo rivivrà nel suo ambiente naturale. Sarà un’epoca di fede, di vera fraternità tra vicini di casa, di civile armonia, pace e prosperità. La terra produrrà colture come mai prima. La polizia avrà poco lavoro da svolgere: la criminalità scomparirà quasi completamente. L’onestà e la fiducia reciproca sarà universale. Ci sarà poco lavoro anche per gli avvocati ed i giudici. Tutte le risorse umane che sono attualmente accaparrate dalla malvagità del mondo moderno, saranno liberate e disponibili per la produzione di materie prime utili. Così la prosperità sarà molto grande. Questo meraviglioso periodo durerà probabilmente 30 anni circa. Non appena si vedrà il sole sorgere nuovamente, alla fine dei tre giorni, ci si inginocchierà e si renderà grazie a Dio!

     Una volta avvertiti, diffondete il messaggio, non abbiate paura: sarebbe un’offesa a Dio mostrare mancanza di fiducia nella sua protezione. Coloro che diffondono il messaggio saranno protetti, ma i beffardi, gli scettici e coloro che nasconderanno il messaggio, perché hanno paura, non sfuggiranno al castigo.  

COSA FARE INTANTO

   DIFFONDERE IL MESSAGGIO; Rimanere nello stato di grazia; andare alla Messa (Nota: questo non è possibile per la maggior parte dei veri cattolici durante questa “Eclissi profetizzata (da Nostra signora di La Salette) della Chiesa”. Leggere le informazioni imperative su come adempiere all’obbligo di Messa e Confessioni valide -ED). Si reciti il Rosario ogni giorno. Procuratevi alcune candele di cera d’api e fatele benedire da un vero prete (approvato) con missione dai successori di Papa Gregorio XVII . Non comprate candele bianche ordinarie; non sono fatte di cera d’api. Si preghi per la libertà e l’esultanza della vera Chiesa. Si reciti la preghiera a S. Michele che sua Santità Papa Leone XIII ha composto dopo aver assistito ad una terrificante visione del potere di Satana. Si indossi lo scapolare marrone e la Medaglia Miracolosa. Si faccia penitenza col negare a se stessi alcuni piaceri ed intrattenimenti anche legittimi; molte delle Sante persone che hanno predetto questo castigo, insistono molto su questo punto. Mangiate con parsimonia, frugalità, giusto per sostenere la vita correttamente – pensate al cibo come ad una medicina. Quando i segni prossimi saranno finiti, vale a dire la guerra e la rivoluzione che si conclude con la vittoria del comunismo [il mondialismo del “nuovo ordine” – ndr. -], e quando si vedrà il segno di allerta, occorrerà ricordarsi di preparare il cibo, l’acqua potabile, le coperte e altri generi di prima necessità.

11 - cardinal-manning

“L’apostasia della città di Roma dal Vicario di Cristo e la sua distruzione da parte Anticristo può essere un pensiero così nuovo per molti cattolici, che credo sia bene citare il testo dei teologi di più grande fama. Primo il Malvenda, che scrive espressamente sul tema, riportando il parere di Ribera, Gaspar Melus, Biegas, Suarrez, Bellarmino e Bosius egli dice che: Roma deve apostasare dalla fede, cacciare il Vicario di Cristo e tornare al suo antico paganesimo. … Poi la Chiesa sarà dispersa, guidata nel deserto e sarà come una volta, alle origini, invisibile, nascosta nelle catacombe, nei sotterranei, nelle grotte, in anfratti; per un periodo di tempo deve essere spazzata quasi dalla faccia della terra. Tale è la testimonianza universale dei padri della Chiesa primitiva.-Henry Edward cardinale Manning, La crisi attuale della Santa Sede, 1861, London: Burns e Lambert, pp. 88-90.

12 - ven-elizabeth-canori-mora-prophecy-3-days-darkness

La venerabile Elisabetta Canori-Mora (d. 1825) “S. Pietro, poi ha scelto il nuovo Papa. La Chiesa è stata riorganizzata…”

“… il cielo, coperto di nuvole dense, era così lugubre che era impossibile guardare senza sgomento… il braccio vendicatore di Dio colpirà i malvagi, e nel suo possente potere Egli punirà il loro orgoglio e presunzione. Dio impiegherà le potenze dell’inferno per lo sterminio di tali persone empie ed eretiche che hanno il desiderio di rovesciare la Chiesa e distruggerne le fondamenta. …. Innumerevoli legioni di demoni invaderanno la terra ed eseguiranno gli ordini della Giustizia divinaNiente sulla terra deve essere risparmiato. Dopo questa spaventosa punizione vidi i cieli aprirsi, e San Pietro scendere nuovamente sulla terra; fu rivestito del suo abito Pontificio e circondato da un gran numero di Angeli che cantavano inni in suo onore, e lo proclamavano sovrano della terra. Ho visto anche S. Paolo discendere sulla terra. Al comando di Dio, ha attraversato la terra ed ha incatenato i demoni, portandoli davanti a San Pietro, ed ha comandato loro di tornare all’inferno, lì da dove erano venuti.

“Poi una grande luce apparve sulla terra: era il segno della riconciliazione di Dio con l’uomo. Gli Angeli hanno condotto davanti al trono del Principe degli Apostoli il piccolo gregge che era rimasto fedele a Gesù Cristo. Questi buoni e zelanti cristiani Gli hanno testimoniato il più profondo rispetto, lodando Dio e ringraziando gli Apostoli per averli risparmiati dalla distruzione comune e per aver protetto la Chiesa di Gesù Cristo, non permettendo di essere infettati dalle false massime del mondo. S. Pietro allora ha scelto il nuovo Papa. La Chiesa è stata riorganizzata…” (Profezia della Venerabile Elisabetta Canori-Mora (d. 1825) come registrato nel libro di p. Culleton: “i profeti e il nostro tempo” 1941 A.D. Imprimatur) .

La venerabile Elisabetta Canori-Mora (d. 1825) “S. Pietro, poi ha scelto il nuovo Papa. La Chiesa è stata riorganizzata…”

“… il cielo, coperto di nuvole dense, era così lugubre che era impossibile guardare senza sgomento… il braccio vendicatore di Dio colpirà i malvagi, e nel suo possente potere Egli punirà il loro orgoglio e presunzione. Dio impiegherà le potenze dell’inferno per lo sterminio di tali persone empie ed eretiche che hanno il desiderio di rovesciare la Chiesa e distruggerne le fondamenta. …. Innumerevoli legioni di demoni invaderanno la terra ed eseguiranno gli ordini della Giustizia divinaNiente sulla terra deve essere risparmiato. Dopo questa spaventosa punizione vidi i cieli aprirsi, e San Pietro scendere nuovamente sulla terra; fu rivestito del suo abito Pontificio e circondato da un gran numero di Angeli che cantavano inni in suo onore, e lo proclamavano sovrano della terra. Ho visto anche S. Paolo discendere sulla terra. Al comando di Dio, ha attraversato la terra ed ha incatenato i demoni, portandoli davanti a San Pietro, ed ha comandato loro di tornare all’inferno, lì da dove erano venuti.  –  “Poi una grande luce apparve sulla terra: era il segno della riconciliazione di Dio con l’uomo. Gli Angeli hanno condotto davanti al trono del Principe degli Apostoli il piccolo gregge che era rimasto fedele a Gesù Cristo. Questi buoni e zelanti cristiani Gli hanno testimoniato il più profondo rispetto, lodando Dio e ringraziando gli Apostoli per averli risparmiati dalla distruzione comune e per aver protetto la Chiesa di Gesù Cristo, non permettendo di essere infettati dalle false massime del mondo. S. Pietro allora ha scelto il nuovo Papa. La Chiesa è stata riorganizzata…” (Profezia della Venerabile Elisabetta Canori-Mora (d. 1825) come registrato nel libro di p. Culleton: “i profeti e il nostro tempo” 1941 A.D. Imprimatur)

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Stupenda “profezia del Degno pastore (data A.D. 2013) “ Lettura del Beato Tomasuccio de Foligno (XIV sec.) sulla famosa Profezia sulla Gerarchia indifesa ora in esilio.

“Uno al di là delle montagne (un ultramontano) è diventato il Vicario di Cristo. Religiosi e chierici prendono parte a questo cambiamento.-  Fuori dalla vera via, ci saranno solo uomini poco raccomandabili; alzo le spalle poiché la barca di Pietro è in pericolo e non c’è nessuno a prestargli aiuto … lo scismatico deve cadere nel disprezzo dei fedeli italiani … “Per circa dodici anni dopo il millennio gli sono stati sottoposti, ma [quindi a partire dal 2013 A.D.] il manto splendente del potere legittimo deve uscire dall’ombra nella quale veniva tenuto dallo scisma. E cessato il danno di colui [l’antipapa usurpatore] che blocca la porta della salvezza, per il suo scisma ingannevole, e giunto così al termine, il numero dei fedeli si unisce al degno Pastore, ciascuno per districarsi dall’errore e restituisce alla Chiesa la sua bellezza rinnovandola. “

(Profezia del Beato Tomasuccio da Foligno, XIV secolo).

CATTOLICESIMO LIBERALE E PSEUDOTRADIZIONALISMO SCISMATICO, NUOVE FORME DI PAGANESIMO

liberalismo

[El liberismo es pecado; Barcellona, 1887]

Il nuovo paganesimo odierno copre un ambito esteso, da quello chiaramente individuabile nell’ateismo e nel marxismo social-politico, a quello delle sette osoterico-magiche, da quello delle diverse obbedienze massoniche a quello apparentemente devoto dei falsi cattolici del “novus ordo” [la contro-Chiesa] e soprattutto a quello degli aderenti alle oramai numerose sette scismatiche senza giurisdizione e missione, le “fantacattoliche” sacrileghe, autoreferenziate tradizionaliste, sedevacantiste di nome o di fatto, ma tutte rigorosamente canonicamente fuori dalla Chiesa Cattolica. Per comprendere meglio la questione, fondamentale per la salvezza dell’anima, proponiamo la lettura illuminante del capitolo VII del celebre libro di Felix Sarda y Salvany: “Il liberismo è un peccato”, volume che andrebbe impresso con caratteri di fuoco nelle menti stravolte degli ingannati ma auto-compiacenti modernisti, dei liberisti vaganti tra sentimentalismo, adattamenti socio-culturali, tolleranza e sostegno degli errori, personalismo benpensante, ma sempre tutti accuratamente ignari, per colpevole volontà, dell’unica guida certa per raggiungere la salvezza, fine ultimo della Religione, che è il Magistero della Chiesa.

CAP.7

IN CHE CONSISTE CON TUTTA PROBABILITA’ L’ESSENZA O LA RAGIONE INTRINSECA DEL CATTOLICESIMO LIBERALE

Se si considera l’intima essenza del liberalismo detto cattolico o, per parlare più volgarmente, del cattolicesimo liberale, si vede che con ogni probabilità essa è dovuta ad una falsa interpretazione dell’ATTO di FEDE. I cattolici liberali, se li si giudica dalle loro spiegazioni, fanno risiedere tutto il motivo della loro fede, non sull’AUTORITA’ DI DIO INFINITAMENTE VERITIERO E INFALLIBILE che si è degnato di rivelarci il solo cammino che ci può condurre alla beatitudine soprannaturale, ma nel libero apprezzamento del giudizio individuale stimando questa credenza la migliore d’ogni altra.

Essi non vogliono riconoscere il Magistero della Chiesa come il solo che sia autorizzato da DIO a proporre ai fedeli la dottrina rivelata e a rivelarne il vero significato. Ma al contrario, facendosi giudici della dottrina, essi accettano di essa ciò che a loro pare buono, riservandosi il diritto di credere il contrario, tutte le volte che apparenti ragioni sembreranno dimostrar loro oggi come falso ciò che ieri era loro sembrato vero. (grassetto e sottolineatura redaz.).

Per rigettare questa pretesa è sufficiente conoscere la dottrina fondamentale sulla FEDE, esposta su questa materia dal santo CONCILIO VATICANO. Dopotutto i cattolici liberali si definiscono cattolici poiché essi credono fermamente che il Cattolicesimo è la vera rivelazione del Figlio di DIO; ma essi si definiscono cattolici-liberali o cattolici-liberi, poiché giudicano che ciò ch’essi credono non possa essere imposto ad alcuno per nessun motivo superiore a quello di una libera scelta dell’interessato. E tutto ciò in tal modo che a loro insaputa il diavolo ha malignamente sostituito in loro il principio naturalista del libero esame al principio soprannaturale della Fede; da qui risulta che immaginandosi di avere la Fede delle Verità cristiane essi non la possiedono affatto, ma solo sono convinti di averla, il che ovviamente non è proprio la stessa cosa.  –   Ne consegue che, secondo loro, ritenendo libera la loro intelligenza di credere o non credere, questo sia lo stesso criterio per le persone di tutto il mondo. Essi non vedono nell’incredulità un vizio, un’infermità o un accecamento volontario dell’intendimento e più ancora del cuore, ma un atto lecito, emanante dal foro interno di ciascuno, che diviene padrone dunque, in tal caso, di credere o di negare. Il loro orrore di qualsiasi pressione esterna fisica o morale, che prevenga o castighi l’eresia, deriva da questa dottrina e produce in loro l’odio verso qualsiasi legislazione genuinamente cattolica. Da qui anche il rispetto profondo con il quale vogliono che si trattino sempre le convinzioni altrui, anche le più nemiche della verità rivelata, poiché per essi, le più erronee sono tanto sacre quanto le più vere, poiché tutte nascono da un medesimo principio altrettanto sacro: “la libertà intellettuale”. E’ così che si erige a dogma ciò che si chiama “tolleranza”, espressione in uso presso i polemisti cattolici, propositori così di un nuovo codice di leggi che mai conobbero, nei tempi passati, i grandi polemisti del Cattolicesimo.  –   Essendo la concezione della Fede essenzialmente naturalista, ne deriva che tutto il suo sviluppo successivo nell’individuo e nella società, deve esserlo allo stesso modo. Sr ne deduce allora che il giudizio principale e spesso esclusivo, che i cattolici-liberali danno della CHIESA, verta sui vantaggi culturali e di civilizzazione ch’essa procura ai popoli. Essi dimenticano e non citano mai, per così dire, il suo fine primario e soprannaturale che è la “glorificazione di DIO e la salvezza delle anime”. Molte apologie cattoliche scritte nella nostra epoca sono intrise di debolezza spirituale a causa di questa falsa concezione. E questo a tal punto che se, per disgrazia, il Cattolicesimo fosse stato causa di qualche ritardo nel progresso materiale dei popoli, esso non sarebbe più con buona logica agli occhi di quegli uomini, né una religione vera né una religione da lodarsi.  –   E notate che se si realizzasse questa ipotesi, ed essa può realizzarsi – dato che la fedeltà a questa stessa religione ha certamente causato la rovina materiale di famiglie e d’individui- la Religione non ne risulterebbe meno eccellente e divina.  –   Questo criterio è quello che dirige la penna della maggior parte dei giornalisti liberali; s’essi lamentano la demolizione d’una chiesa, non mettono in rilievo che la profanazione dell’arte; se si schierano in favore degli ordini religiosi, essi non fanno valere che i servizi resi dagli stessi alle Lettere; essi esaltano una suora di carità, ma solo in considerazione dei servizi umanitari con i quali ella ha addolcito gli orrori della guerra; essi ammirano del culto ciò che rientra nei canoni della sua bellezza esteriore e della sua poesia; se nella letteratura cattolica, essi rispettano le Sante Scritture, è solamente a causa della loro sublime maestà.  –  Da questa modalità di lodare le cose cattoliche semplicemente per la loro grandezza, la loro bellezza, la loro utilità, la loro eccellenza materiale, ne deriva logicamente che l’errore ha diritto alle stesse lodi allorquando esso si presta ai medesimi giudizi, come l’hanno avute in apparenza, in certi momenti, diverse false religioni.

La stessa Pietà non è potuta sfuggire all’azione perniciosa del Principio Naturalista; esso l’ha pervertita in “pietismo” cioè in una falsificazione della vera Pietà, come vediamo in tante persone che non ricercano nelle pratiche di pietà altro che l’emo-zione ch’esse possono originare, e questo è un puro “sensualismo” e niente di più. Così oggi constatiamo che, in molte anime, l’ascetismo cristiano, che è la purificazione del cuore mediante la repressione degli appetiti dei sensi, è interamente fiaccato e che il misticismo cristiano, che non è né l’emozione né la consolazione interiore, né alcun’altra di queste dolcezze umane, ma l’unione con DIO mediante l’assoggettamento alla sua santa volontà e all’amore soprannaturale, è completamente sconosciuto. – Per queste ragioni il cattolicesimo di un gran numero di persone, nella nostra epoca è un cattolicesimo liberale o più esattamente un cattolicesimo FALSO. Questo non è Cattolicesimo, ma un semplice Naturalismo, un naturalismo puro; cioè in una parola, se ci è permesso, Paganesimo con il linguaggio e le forme cattoliche.

 

Omelia della DOMENICA XVI DOPO PENTECOSTE

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. II -1851-]

(Vangelo sec. S. Luca XIV, 1-11)

tre giovani

-Rispetti Umani-

L’odierno Vangelo ci presenta Gesù Cristo Vincitore degli umani rispetti. Vien Egli invitato da un capo e principe dei Farisei ad onorevole convito. Oh! direte voi, questa volta i Farisei han conosciuto il merito di Gesù Nazzareno. V’ingannate. Lo chiamano a mensa per potere più da vicino spiare le sue azioni; ma queste, sono talmente a norma d’ogni eccellente virtù, che non trovano onde intaccarlo. Era innanzi a Lui un uomo gonfio per idropisia, forse dai Farisei introdotto a disegno, per osservare che cosa farebbe quest’uomo operatore di miracoli, pensando fra loro: O Gesù lo guarisce, e così si fa reo di violato precetto, essendo giorno di sabato; o lo rimanda, e mostra temere, le nostre censure. Ma l’incarnata Sapienza che vede le inique loro mire li fa cadere nel laccio che teso gli avevano, e prende ad interrogarli così: “è egli lecito in giorno di sabato curar gli infermi?” Si mirano i Farisei l’un l’altro in volto, e non sanno che rispondere. Se dicono esser lecito, vengono ad approvare quel che più volte hanno in Lui condannato. Se rispondono di no, temono restar convinti della sua dottrina, della quale tanto volte hanno sperimentato la forza onde si appigliano al più sicuro partito di un perfetto silenzio. Il Salvatore allora stesa la mano all’idropico lo risanò sull’istante. Volto indi agli stupefatti Farisei: “Chi di voi, disse, se gli cade in giorno di sabato l’asino o il bue in una fossa, non si adopra per rialzarlo? E se ciò vi credete permesso, perché condannarmi di trasgressore della legge, se sollevo dalla loro miseria i poveri infermi?” Così parlò, così operò Cristo Gesù in faccia ai suoi nemici: così parlò così operò in tante occasioni consimili, qualora lo richiedeva la carità e la gloria del suo divino Padre, senza punto temere la critica e la censura dei suoi avversari, senza far conto di alcun umano riguardo. Esempio così luminoso com’è seguitato da’ cristiani? Oh Dio! La maggior parte si lascia dagli umani rispetti ritirare dal bene, o trascinare al male. Ad impedir disordine tanto notevole, son qui a dimostrarvi quanto son da disprezzarsi i rispetti umani. Diam principio. – Per ragion di chiarezza, per dare qualche ordine all’argomento, io distinguo una gran parte di cristiani in due classi: nella prima coloro che sono fuori del sentiero della salute, e vorrebbero entrarvi, ma dagli umani rispetti, come da tanti lacci, sono ritenuti; nella seconda quei che battono la via della salute, e dagli umani riguardi, come da tante funi, sono tirati ad uscirne. Vediamo quanto gli uni e gli altri debbano disprezzare i rispetti umani, se pur vogliono salvarsi. – Molti dopo aver corsa la strada dell’iniquità, son costretti a confessare d’esserne stanchi: “Lassati sumus in via iniquitatis” (Sap.V, 7). Ammaestrati e convinti dalla propria esperienza, che il peccato non può far il cuore contento, ch’è un dolce veleno, un verme che rode, che rende tristi i giorni ed inquiete le notti, vorrebbero lasciar la mala vita, e darsi a Dio. Ma, … e che dirà il mondo? Se giovani, ci deriderà come pinzocheri; se vecchi, come rimbambiti. Io vedo, dice taluno, e tocco con mano che il giuoco è la mia rovina, rovina dei miei affari e della mia famiglia, conosco la necessità d’abbandonarlo; ma dirà il mondo che non ho più danari, o che la moglie me lo ha proibito. Sono stufo, ripiglia un altro, di più tener corrispondenza con quella lupa, con quell’arpia che mi mangia vivo. Conosco esser necessario per me il non metter più piede in sua casa; ma se me n’allontano, dirà il mondo, che i suoi sospetti erano fondati, o che ne fui via scacciato. E intanto per timor di: “cosa dirà il mondo?” non si lascia il giuoco, non si tronca la rea amicizia, si vive in peccato, e si muore in peccato. Gran forza han queste poche parole: “Che dirà il mondo?” Ma in grazia, di qual mondo parlate? V’è un mondo riprovato, iniquo, maledetto, per il quale Gesù Cristo si protestò di non pregare, “non pro mundo rogo” ( Giov. XVII, 9), mondo maligno, anzi, al dir di S. Giovanni Evangelista, tutto immerso nella malignità, “mundus totus in maligno positus est” (Giov. V, 19). I seguaci di questo che dicono male, son minacciati di funesti guai, “vae qui dicitis malum bonum, et bonum malum” (Is. V, 20). Da costoro la virtù si chiama vizio, e vizio la virtù, la devozione ipocrisia, le pietà superstizione, la sincerità stoltezza, destrezza l’inganno, sagacità la bugia, industria la mala fede. Domando ora a voi, ascoltatori di buon giudizio, se un mondo di questa fatta merita di esser ascoltato? Qual conto si deve far delle sue parole? Meno di quel d’un matto. Evvi un’altra parte di mondo onesto, virtuoso, che Gesù Cristo dice non esser venuto a giudicare, “non veni ut iudicem mundum” (Giov. XII, 17). Gli uomini che lo compongono, son di buon senno, buoni cristiani, gente d’onore e di riputazione, e questi approveranno la mutazione di vostra vita, e loderanno la riforma di vostra condotta. Il mondo dunque che voi temete che parli, che dica di voi, si riduce a un pugno di cicaloni, di scostumati, dai quali esser mal veduto e biasimato è una gloria per l’uomo onesto; siccome gloria è del sole l’esser odiato dai gufi, dalle nottole, dai pipistrelli e da tutti gli altri uccelli notturni. Ecco a che è ridotta l’idea gigantesca di quel mondo, di cui temete le dicerie. Un pugno di screditate persone è quell’esercito che vi spaventa, quel tiranno che vi fa schiavi, quell’idolo a cui sacrificate la vostra pace, l’anima vostra, l’eterna vostra salvezza. – V’è di più. Quegli scipiti, che dal savio cambiamento di vostra condotta piglieranno motivo a deridervi, saranno poi costretti a lodarvi; e ciò perché la virtù ha tanta forza, che fa colpo anche in un animo avverso, e si fa stimare anche dai nemici. Volete vederlo? Ecco là nel campo di Dura una statua d’oro, che, per ordine di Nabucodonosor, tutto l’immenso popolo adunato, al suono di trombe e di mille musicali strumenti, deve adorarla. Al dato segno tutti si prostrano. Tre giovani Ebrei non vogliono piegare né ginocchio, né fronte. Acceso di collera il superbo regnante ad essi intima o l’adorazione prescritta, o l’esser gettati vivi nel seno d’ardente fornace: “e qual Dio, conchiude, potrà liberarvi dalle mie mani?”. “Quel Dio, rispondono, che non conosci, e che noi adoriamo, potrà liberarci se vuole. Che se tale non fosse la sua volontà, la nostra è questa: la tua statua non vogliamo adorare”. Non si contiene il disubbidito monarca, e all’impetuoso suo comando sono precipitati in mezzo a fornace ardentissima. Ma il fuoco di questa rompe al di fuori a vampe immense, divora i ministri esecutori dell’empio comando, e lascia illesi i tre costanti giovani, che in mezzo alle fiamme benedicono il Signore, e cantano le sue lodi. A questa vista confuso e stupefatto Nabucco: “uscite, ad alta voce esclama, uscite, venite fuori, o servi di Dio eccelso”, “egredimini, et venite” (Dan. III, 93), e sia benedetto il vostro Dio. Indi al cospetto de’ Satrapi e de’ Magistrati li loda, li encomia, e li promuove a gradi e a dignità nelle province del suo impero. – E perché, entra qui S. Giovanni Crisostomo, vengono questi così onorevolmente trattati da chi prima li odiava a morte? Perché, risponde, han calpestato il mondo, il mondo li esalta; perché han disprezzato il mondo, il mondo li onora; perché la virtù ha tanta forza da cangiar il cuore e farsi amare anche da’ nemici: “Postquam eos vidit Rex generose tantes, praedicavit, coronavit, quia contempserant”. – Un’altra classe di timorati fedeli cammina nella strada del Signore, e in questa strada tanti incontra pericoli, quanti sono gli umani rispetti. Stolto chi da questi si lascia vincere, ed abbandona il buon sentiero! Mi rivolgo ai tentati su di questo punto e dico: vi credete scansare le critiche del mondo col dare ascolto alle dicerie del mondo? Siete in errore. Fingete di esser chiamati, come lo fu il divin Salvatore, in giorno di sabato a lauto convito e vi siano presentati cibi proibiti. Sarà da compiangere la vostra stoltezza, se per timore di qualche motto schernevole venite a violare l’ecclesiastico precetto. Voi anzi incontrerete di peggio. Che potranno dire di voi se fedeli al vostro dovere spiegherete carattere, e vi darete il vanto d’essere buoni cattolici? Si dirà al più, se siete cosi scrupolosi, se avete ancora questi pregiudizi. Se poi per l’umano riguardo disubbidite a Dio ed alla Chiesa, aspettatevi pure irrisioni, e sarcasmi più ingiuriosi e pungenti. Chi teme la rugiada, dice lo Spirito Santo, sarà oppresso dalla neve: “Qui timent pruinam irruet super eos nix” (Giob. VI, 16) . Mirate, diranno, mirate costui che faceva il divoto: la gola ha smascherata l’ipocrisia, andatevi a fidar di questa gente. Lo stesso vi avverrà, se per non contraddire, o per non parer beghini, terrete mano ai discorsi immodesti, se non ributterete certe familiarità, se darete facile orecchio alle mormorazioni: lo stesso in mille altre occasioni e cimenti, in cui vi troviate al bivio, o di romperla con Dio o col mondo. Volgetevi a qualunque parte, è inevitabile la diceria. Il mondo non si può far tacere, col mondo non si può indovinare: pretendereste sfuggire i suoi morsi, le sue maldicenze, alle quali è stato soggetto un Uomo-Dio? Diviso era il popolo nel concetto di esso Lui; dicevano alcuni che era buono, altri dicevano: no, è un seduttore! (Giov. VII, 12). Se dunque tanto nel bene, quanto nel male schivar non si possono i rimbrotti del mondo insano, miglior partito sarà per noi l’appigliarci al bene, e star costanti nella carriera della cristiana virtù, e non lasciarci smuovere dal soffio delle bocche malefiche, per non correre la mala sorte di quegli uccelletti, dei quali parla S. Agostino nel Salmo novantesimo. Il cacciatore per farne preda stende in giro ai folti veprai, ove sono nascosti, sottilissime ragne; indi con schiamazzi, col forte dibattere delle mani fa tanto strepito, che quegli spaventati si danno a precipitosa fuga, e nel fuggire incappano nelle tese reti. Se quegli stolti si fossero tenuti fermi nel loro nascondiglio, avrebbero deluse le insidie del cacciatore. Tanto accade a chi teme le ciarle, e gli spauracchi del mondo: per un vano timore non contenta il mondo, e perde se stesso. – Or via, conchiudiamo, venite qua tutti voi che dagli umani rispetti vi lasciate tirare al male o rimuovere dal bene, udite su quest’ultimo il mio parlare. Sonerà per voi, suonerà per tutti, l’ultima ora: vi ridurrete al punto estremo: orsù siate coerenti a voi stessi: voi avete temuto le parole e i dileggiamenti del mondo, e perciò vi siete allontanati da’ sacramenti e dalle pratiche di devozione. Siate, ve lo ripeto, siate coerenti a voi stessi, fate altrettanto in questo punto, non vi confessate, non chiamate alla vostra assistenza né sacerdoti, né religiosi, andate incontro alla morte senz’alcun segno di cristiana pietà. Oh Dio! che dite voi mai? Sarebbe questo il massimo disonore delle nostre persone, e delle nostre famiglie: si direbbe di queste, che dappocaggine, che empietà lasciarli morire senza sacramenti, senza spiritual assistenza: si direbbe di noi che siamo morti da eretici, da atei, da bestie. Intendo, intendo: “Ah mondo tristo! Finché siamo in vita, ci biasima il mondo se ci accostiamo ai sacramenti: in punto di morte ci condanna se non riceviamo i sacramenti”. Che contraddizione è questa? Ah mondo falsario, mondo ingannatore! Chi dalle sue insanie prenderà la norma di sua condotta? Ben l’intesero i Santi che veneriamo sugli altari. Essi si son posti sotto de’ piedi gli umani rispetti, han disprezzato il mondo, ed ora il mondo li stima, li loda, li onora. Corriamo su le loro pedate, e vincitori del mondo arriveremo dov’essi pervennero, che Iddio cel conceda.

 

 

“L’esame di coscienza”

“L’esame di coscienza”,

di p. Gian Battista Scaramelli, S.J.

(da: il Directorium Asceticum, vol III. Settima edizione, 1917. R. & T. Washbourne, Ltd., Londra. pp. 334-364)

 

Articolo IX. — ottavo mezzo per conseguire la perfezione cristiana. –

confessione

L’ESAME DI COSCIENZA QUOTIDIANO.

Capitolo I.

Che il quotidiano esame di coscienza sia un importante mezzo di perfezione cristiana è indicato dall’autorità dei Padri della Chiesa.

Ci sono due tipi di confessione per cui una persona devota può cancellare i peccati che macchiano la sua coscienza: la prima è la sacramentale, fatta ai piedi di un confessore; l’altra è totalmente segreta, e si svolge tra Dio e l’anima, con l’esclusione di ogni altra persona; e questa è chiamato “l’esame di coscienza quotidiano”, perché esso viene generalmente praticato ogni giorno onde raggiungere la purezza di cuore ed il progresso nella perfezione. In entrambi i tipi di confessione, sono necessarie, perche siano efficaci, la ricerca del peccato e l’umile dolore, allo scopo di emendarsi. In entrambi i casi, dobbiamo accusarci dei nostri peccati: nel primo caso, attraverso le orecchie del sacerdote, nel secondo, alla presenza di Dio. Se in questa solitaria accusa di noi stessi, il nostro pentimento raggiunge la contrizione perfetta, sia nell’uno che nell’altro tipo di confessione, si ottiene il perdono ed il ripristino della purezza della nostra anima. C’è, tuttavia, questa differenza, che quando uno è colpevole di un peccato grave, è un obbligo grave di renderlo noto nella Confessione sacramentale, altrimenti ricadrebbe nuovamente sotto la giustizia di Dio per la sua negligenza rispetto ad un gravoso comandamento divino. Ma anche quando si è consapevoli solo di colpe più lievi, si è tuttavia ancora tenuti a confessarle nella Confessione sacramentale, cosa persino necessario, come abbiamo visto sopra, se la persona aspira alla perfezione, in modo tale da poter essere in grado di ottenere la purezza della coscienza che, più di qualsiasi altra cosa, ci dispone all’amore perfetto di Dio. Ciò nonostante, la confessione che facciamo a Dio da soli ha alcuni vantaggi rispetto alla Confessione sacramentale: infatti la possiamo fare in qualsiasi luogo, a qualsiasi ora, in qualsiasi momento; infatti, ogni volta che scegliamo che non sia il caso di ricorrere alla Confessione sacramentale, non abbiamo necessità della presenza fisica di un prete come ministro, né di convenire in un determinato luogo ad un’ora fissa. – Avendo poi nel presente articolo già parlato della Confessione sacramentale, che è affidata ai ministri della Santa Chiesa, non sarà fuori luogo trattare ora di questo altro tipo di confessione, che, senza l’intervento di qualsiasi ministro, e fatta davanti a Dio, non è altro che il “quotidiano esame di coscienza”. E si deve trattare di questo argomento più volentieri, poiché esso è un mezzo tanto importante per acquisire la purezza di cuore e di conseguenza per il raggiungimento della perfezione. Questo sarà indicato nel presente capitolo, con l’autorità dei Santi Padri, e in quello seguente, con prove intrinseche. – San Basilio dice: “Alla fine di ogni giorno, quando tutte le nostre fatiche, sia corporali che mentali, sono state portate a conclusione, ognuno, prima di ritirarsi a riposare, dovrebbe indirizzare se stesso verso un attento esame della propria coscienza, al fine di scoprire i peccati che ha commesso durante il giorno appena trascorso. Sant’Efrem, un autore di così grande autorità nella Chiesa primitiva, paragona questo esercizio ad un mercante che, mattina e sera, ordina i suoi conti e poiché è ansioso di veder prosperare i suoi affari, diligentemente esamina quali siano stati i suoi guadagni e quali le sue perdite. E così dovremmo fare anche noi, dice il Santo, se abbiamo il desiderio di progredire nella perfezione cristiana: sia mattina che sera dobbiamo esaminare lo stato dei nostri conti e gestire il traffico spirituale che noi stiamo portando avanti davanti a Dio. Per venire più nei particolari egli scrive: “di notte, ritirandoti nel chiuso del tuo cuore, tu dovresti interrogare te stesso, dicendo: “ho io in questo giorno offeso il mio Dio in qualche punto? Ho proferito parole inutili? Ho, per negligenza o disprezzo, omesso di fare ogni buona azione come avrei dovuto? Ho ferito i sentimenti del mio prossimo in qualche particolare? La mia lingua ha ceduto a qualsivoglia tipo di detrazione? .. e così via. E quando arriva il mattino, si esamina di nuovo come gli affari ed il traffico spirituale abbiano proceduto nel corso della notte passata. “Ho avuto qualche cattivo pensiero, sono stato negligente nell’indugiare su di essi?'”. Si conclude allora decidendo, qualora avessimo scoperto qualsiasi tipo di peccato o mancanza, che questi devono essere cancellati da sincero pentimento e lavati via con le lacrime della contrizione. – Avete mai osservato con quanta esattezza e diligenza il padrone di una casa regola le sue incombenze domestiche? Ogni giorno egli chiama il suo intendente, tiene conto della sua spesa, insistendo su di una accurata relazione del tutto; egli esamina tutto con cura per vedere se le spese fatte siano state superflue o stravaganti, o se, al contrario, siano state troppo limitate ed insufficienti. E fa questo per modo che egli non vada oltre le sue possibilità, né discenderne al di sotto in ciò che è necessario ed opportuno al corretto sostegno della sua famiglia. Allo stesso modo dovremmo agire nel regolare noi stessi. Nel nostro piccolo mondo interiore, la padrona che comanda è le facoltà dell’anima, mentre i sensi del nostro corpo sono i servi dai quali essa deve pretendere obbedienza e sottomissione. Lasciate poi le motivazioni per evocare i poteri dell’anima nel chiedere conto ogni giorno di ciò che hanno fatto. Lasciate che siano chiamati alla comprensione ed al rendiconto dei proprii pensieri per esaminare se questi siano stati vanitosi, orgogliosi, risentiti, impudichi, o al contrario animati da amore fraterno, e se essi si siano intenzionalmente o involontariamente soffermati su tali soggetti. Lasciate che si evochi la volontà di dar conto dei proprii affetti, se siano stati cioè peccaminosi o imperfetti od abbiano trovato consenso volontario. Lasciate rigorosamente esaminare tutti i sensi del corpo: gli occhi devono essere valutati se siano stati intuitivi, immodesti, o troppo liberi e sfrenati; La lingua deve essere esaminata per quanto riguarda le parole pronunziate: sono state esse offensive, impudiche, rabbiose, o al contrario avare di carità? Le orecchie, il tatto, il gusto, le mani, tutti devono essere chiamati a rendere conto esattamente di tutto ciò che hanno fatto. Successivamente, con un profondo pentimento dobbiamo correggere qualunque cosa scopriremo essere stata disordinata e peccaminosa, e tutto deve essere reimpostato con ordine, con il nuovo obiettivo, fermo e risoluto, di un emendamento. Da questa ricerca quotidiana in ogni nostra azione, si trarrà motivo di regolare tutto con giustizia ed esattezza e faremo un facile, rapido e sicuro progresso verso la perfezione alla quale siamo chiamati. Questo confronto è mutuato interamente da San Giovanni Crisostomo, che si prodiga al fine di mostrare l’importanza di questo esame di coscienza quotidiano, e ci esorta alla pratica costante dello stesso. – San Gregorio Magno dice dal suo canto, che chi non riesce a esaminarsi ogni giorno in tutto ciò che ha fatto, ha detto, e ha pensato, sia a casa con se stesso, che alla presenza di astanti, vive solo una vita esteriore con la possibilità conseguente di perdere di vista complessivamente la sua perfezione. San Bernardo ci assicura che se ci sapremo esaminarci, mattina e sera correggendoci prima o poi, facendone la regola della nostra vita, mai cadremo in una qualsiasi colpa grave. E per non stancare il nostro gentile lettore col citare molteplici e lunghi testi, voglio solo aggiungere che S. Doroteo, uno dei primi Padri, pur raccomandando l’esame di coscienza come uno dei mezzi più sicuri per mantenere l’anima pura e senza macchia, dice, che questa lezione era stata tramandata a suo tempo dai suoi antenati e dai loro predecessori. È quindi indiscutibile che da sempre, molto primo della Chiesa, i Santi hanno ritenuto l’esame di coscienza quotidiano come il mezzo più potente per giungere rapidamente alla purezza del cuore e, attraverso questo, alla perfezione cristiana. – Non solo i Santi consigliano questo esame di coscienza nei loro insegnamenti, ma ce ne incoraggiano ulteriormente mediante l’assidua pratica dello stesso con il loro esempio; infatti, sarebbe difficile trovare un solo Santo confessore che non abbia fatto ricorso ad esso a partire da una immaginaria scala che raggiunge la vetta della perfezione in S. Ignazio di Loyola che, non contento di esaminare la sua coscienza due volte al giorno, in accordo con le istruzioni degli antichi padri, non lasciava mai che passasse una sola ora senza ricordare a se stesso la ricerca minuziosa delle imperfezioni in tutti i suoi pensieri, parole ed azioni, intercorse durante quel breve lasso di tempo; pentendosi di ognuna delle più leggere di queste imperfezioni che potevano essere colte dall’occhio puro della sua mente, rinnovando nel suo spirito il proposito di trascorrere la successiva ora in maniera il più possibile impeccabile. Egli riuscì anche a comprendere come non sia possibile aspirare alla santità senza mantenere una vigilanza costante sul proprio cuore con l’esaminare tutti i suoi movimenti. Quindi, chiunque fosse stato un osservatore attento del corso di tutta la sua vita, era in grado di dire che la vita di S. Ignazio era stata un continuo ed ininterrotto esame di coscienza. Non sarà estraneo al soggetto presente il riferire un’espressione di stupore da parte del Santo che lo rende degno di grande meraviglia da parte nostra: avendo avuto un giorno la fortuna di incontrare uno dei padri della sua compagnia, gli chiese, con tono familiare, quante volte si fosse ritirato in sé per l’esame di coscienza fino a quell’ora. “Sette volte,” rispose quest’ultimo. “ahimè, ahimè … così raramente?” rispose il Santo, abbastanza stupito. E non era ancora giunta la sera quando questo accadeva, e dovevano ancora trascorrere parecchie ore del giorno. San Francesco Borgia aveva anch’egli l’abitudine di praticarlo, almeno una volta in ogni ora: e pure S. Doroteo raccomanda la pia pratica a tutte le persone devote, come la più vantaggiosa per l’anima. “Possiamo quindi dedurre, da come i Santi abbiano inculcato con tenacia ed intensità la pratica diligente sì intensa, che questo quotidiano esame di coscienza, debba essere uno dei mezzi più necessari per il raggiungimento della perfezione.

CAPITOLO II.

Motivi per i quali i Santi considerano l’esame di coscienza quotidiano come cosa assolutamente necessaria.

La ragione principale per la quale i santi esortano così ardentemente a vegliare su ogni nostra azione mediante l’esame di coscienza quotidiano, si basa sulla corruzione della nostra natura, conseguenza del peccato dei nostri progenitori, a causa della quale le nostre carenze non tendono mai a regredire in noi, generando sempre gli stessi peccati e facendo sì che le stesse passioni imperversino costantemente nei nostri cuori. Quindi è necessario osservare, almeno una volta al giorno, quali erbe velenose siano spuntate nei nostri cuori, affinché noi possiamo sradicarle con il coltello di una vera contrizione. Così riterremmo poco saggio quel giardiniere che, dopo avere eliminato dalla terra le erbacce, non lo rifacesse mai più, visto che il terreno inizierà nuovamente a germogliare piante inutili e nocive che soffocano la crescita di quelle buone ed utili. Si potrebbe con giustezza sicuramente ritenere insensato e stolto un vignaiuolo se, dopo aver provveduto a rimuovere dagli alberi e dalle viti tutti i rami superflui e i viticci, non tornasse mai più per eseguire una nuova potatura in modo da consentire un eccessivo rigoglio dei rami e delle foglie a discapito dei frutti. Non meno folle sarebbe un cristiano che, avendo con una buona confessione sradicata dal suo cuore la crescita velenosa delle sue colpe e potato il rigoglio e l’eccesso dei suoi sentimenti, dovesse poi trascurare di ripetere la stessa cosa giorno dopo giorno, attraverso un diligente esame di coscienza, essendo pienamente consapevole, com’è giusto che sia, che si ripresenti qualche erbaccia diabolica o altra mollezza quotidiana, che qualche ramo del peccato rimetta fuori i suoi germogli, che si risvegli qualche passione; per cui, senza una costante potatura, la bellezza acquisita del giardino dell’anima ben presto diverrebbe un orribile groviglio di peccati. Ma Fateci ascoltare San Bernardo su questo punto: “Chi c’è,” dice, “in questo mondo, che ha così perfettamente tagliato ed allontanato dal proprio intimo tutte le scorie inutili e superflue, per cui non abbia più bisogno di tagliare o recidere nient’altro. Credetemi, i mali che sono stati abbattuti con volontà hanno prodotto nuovi germogli; dopo essere stati allontanati, sicuramente torneranno; e benché le sterpaglie siano state bruciate, ancora una volta potrebbero provocare fiamme; e le passioni, anche se ora, mentendo, sembrano dormienti, presto si sveglieranno nuovamente. Quindi, serve a ben poco l’avere utilizzato la potatura e la falce una sola volta: dobbiamo usarla spesso e, per quanto ci possa essere possibile, non lasciarla mai fuori della nostra portata; infatti, a meno che non vogliamo ingannarci e renderci ciechi, noi potremo sempre trovare qualcosa in noi stessi che abbia bisogno di essere eliminata.” Il Santo stesso poi aggiunge: “Finché tu abiterai in questo corpo mortale, qualunque siano gli sforzi ed il progresso nella tua vita spirituale, inganneresti te stesso ritenendo che i tuoi vizi e le tue passioni siano morte e non siano piuttosto forzatamente soppresse solo per un certo tempo.” Quindi mai dobbiamo lasciarci cullare da una falsa sicurezza, bensì occorre mantenere una vigilanza quotidiana ed indagare sulle nostre tendenze viziose esaminando frequentemente la nostra coscienza e colpendole maggiormente, quando rifanno la loro comparsa, con ripetute azioni di contrizione. – Se un re dovesse ritenere per certo che entro i confini del suo Regno siano in agguato i suoi nemici nascosti tra i boschi e foreste, egli certamente non mancherebbe di perseguirli con vigore. E quando li avesse trovati, credi che li lascerebbe liberi e latitanti? Senza dubbio no. Dopo averli scovati con la massima diligenza, li passerebbe tutti a fil di spada e ne farebbe una strage non appena completamente esposti. “Ora, ricorda,” continua S. Bernardo, “che avete dentro di voi un nemico che si può superare e sottomettere, ma che non si può sterminare; che tu lo voglia o no, questo nemico vivrà dentro di te e porterà avanti una guerra implacabile contro di te. Chi è, quindi, questo nemico grande, immortale, o meglio: chi sono questi nemici numerosi che possono morire solo quando vengano isolati? Rispondo: sono le passioni, i tuoi vizi e le debolezze che generano la tue passioni e i vizi. “Ecco perché si cercano, quindi, ogni giorno con l’esame di coscienza; e avendoli, attraverso una ricerca diligente, scoperti, si possono uccidere con la spada di un vero dolore; li abbattiamo infatti con la serietà della vostra decisione; finché essi vengono lasciati sul campo, non sono veramente morti, e quantunque feriti e resi inabili, possono essere ancora in grado di ostacolare il nostro progresso verso la perfezione. Ditemi, vi prego, se avete mai sentito di un maestro d’ascia che sia riuscito ad allestire una nave così fortemente strutturata che né il battere delle onde, né la violenza dei venti abbia mai potuto produrre la benché minima lesione? Si risponde che questo sarebbe impossibile, poiché una nave è costituita da così tante travi, tavole, articolazioni fissate insieme, che con il battere incessante della turbolenza del vento e dell’acqua, qualcuna di loro prima o poi finisce per allentarsi. Quindi che cosa deve essere fatto per evitare che la povera nave, che prende costantemente acqua, goccia dopo goccia, venga alla fine ad affondare e ad essere sommersa in mezzo all’oceano? C’è solo un rimedio: quello di attivare le pompe regolarmente, al fine di evitare che l’acqua si accumuli nella stiva. Ora l’uomo, nell’oceano della miseria in cui siamo costretti a navigare, è molto simile ad una nave investita dalla forza della tempesta, ed essendo costituita da, diciamo così, poteri che tendono ad allentarsi, come i sensi deboli, le passioni sempre pronte a tradire, non c’è da aspettarsi che, in mezzo al sopravvenire di così tante tentazioni, all’incontrare così tante occasioni e pericoli diversi, non si aprirà qualche falla a causa di qualche peccato veniale, di banali errori che apriranno la strada nell’anima provocando, con il loro accumulo nel corso del tempo, il naufragio che noi chiamiamo: peccato mortale; e questo, in ogni caso, crea ostacoli nel raggiungere in sicurezza il porto così come è desiderabile fare, cioè con il raggiungere la perfezione. Che cosa c’è allora da fare per ostacolare questa terribile disgrazia che è quella di affondare poco a poco? Che cosa, se non tutti i giorni svuotare la coscienza degli errori che abbiamo commesso, mediante un serio esame di noi stessi, gettarli fuori con la contrizione, chiudere le falle attraverso le quali hanno trovato un’entrata, trovare costantemente delle rinnovate risoluzioni nel modificarle? Questa similitudine è presa in prestito da S. Agostino. “Le acque agitate dei peccati veniali,” dice il santo dottore, “risiedono quotidianamente nella stiva dei nostri cuori; Chi, quindi, desidera non perire, deve svuotare ricacciandoli ogni giorno, proprio come fanno i marinai con la stiva di una nave, con un esame di coscienza attento e contrito “. – Da questo argomento ne può dedursi un altro che porta a dimostrare come sia impossibile il miraggio di raggiungere la perfezione cristiana senza esaminare la nostra coscienza; se ciò che abbiamo finora dimostrato è vero, se, cioè, senza un controllo giornaliero del nostro cuore non saremo in grado di liberarci dei vizi, dei peccati e delle mancanze alle quali siamo così inclini, è altrettanto dimostrabile che senza questo esame, le virtù non possono avere alcuna crescita, qualunque cosa ci sia dentro di noi; ancora meno è possibile che il fiore divino della carità fiorisca nei nostri cuori. In effetti, perché il grano cresca nel campo, il terreno deve essere ripulito prima di tutto da rovi ed ingombri vari: noi dobbiamo innanzitutto portare via le pietre che occupano il terreno, altrimenti, come leggiamo nella parabola evangelica, le spine soffocheranno il seme e le pietre assorbiranno l’umidità necessaria. Così certamente, il seme scelto della virtù non può nascere e fiorire nel terreno dei nostri cuori, se questo non venga ripulito prima delle radici dei vizi e delle cattive passioni; e non venga precedentemente deterso di tali difetti, che quotidianamente, poco a poco, si induriscono e diventano più solidi di una roccia: tutto questo è mirabilmente espresso nel linguaggio dolce di S. Bernardo. “La virtù”, egli scrive, “non può crescere in compagnia del vizio. Se l’uno fiorisce, l’altro necessariamente è destinato a perire. Chiaro, quindi, che ciò che è superfluo e vizioso e ciò che è sano e virtuoso non possono contemporaneamente coesistere. Qualunque cosa trattenga le nostre concupiscenze porterà profitto e vantaggio alla vostra vita spirituale”. “Quindi, conclude il santo dottore, badate bene di tagliare quanto più in basso, con un diligente esame di coscienza, la crescita nociva di difetti, vizi e difetti, se volete assistere alla fioritura di ogni virtù nel giardino delle nostre anime.” – S. Agostino, trattando soprattutto della carità che, come abbiamo spesso detto, è la linfa essenziale della nostra perfezione, afferma positivamente, che essa aumenterà nella misura in cui ci sforzeremo di contenere le voglie delle nostre passioni disordinate, e che la carità sarà perfetta in colui che ha completamente mortificato e spento i suoi desideri egoistici. Un vaso pieno d’acqua diventerà gradualmente pieno d’aria, allorquando il liquido evapora, e quando si sarà svuotato di tutta l’acqua, non conterrà nient’altro che aria; così, e molto di più, dice S. Agostino, i nostri cuori si riempiranno di amore divino in proporzione a come siano stati svuotati dai desideri egoisti, e saranno quindi solo ripieni di amore, quando saranno perfettamente svuotati di ogni inclinazione disordinata. S. Paolo conferma questo concetto con tali parole: “Alla fine di tutti i comandamenti” — e come conseguenza rigorosa, il coronamento dell’edificio della nostra perfezione — “è la carità.” Ma questo fiore di paradiso fiorisce solo in cuori puri, nelle coscienze purificate da tutti i desideri malvagi. Ora, per portare il cuore a questa purezza assoluta, nessun mezzo può essere più efficace dell’uso frequente di un auto-esame; una cura perfetta per purificare l’anima dalle sue impurità è il dolore dei nostri difetti, e contro le macchie future, il buon proposito di non far mai trascorrere un giorno senza coltivare l’anima così da veder crescere le rose rosse della carità, i gigli bianchi della purezza, il violetto dell’umiltà e della penitenza; infatti i fiori di tutte le virtù fioriranno nel nostro cuore, se ci si applica frequentemente a questo santo esercizio per cui l’anima diventerà perfetta, amabile e bella a vedersi, e il Re del cielo scenderà in essa a godere come in un paradiso di delizie. – A nessuno sembrerà una materia straordinaria l’applicarsi per pochi minuti al giorno all’esame che separi e purifichi il nostro cuore, se egli richiama alla mente che anche gli antichi saggi, benché fossero pagani, pensavano che questo esame di coscienza quotidiano fosse necessario per il miglioramento della loro vita e ne facessero uso per quello scopo. Pitagora lo prescrive ai suoi discepoli, molti dei quali avevano l’abitudine di scrutarsi regolarmente ogni sera. Cicerone ci dice di se stesso come sempre, alla fine di ogni giorno, si raccogliesse per rendere conto di tutto ciò che aveva detto, sentito e fatto nel corso intero di quel giorno. Seneca ci dice che ogni notte dava sentenze sulle proprie azioni. “Ogni notte,” egli scrive, “quando la lampada è messa fuori nella mia camera e mia moglie, consapevole della mia consuetudine, tace, esamino in tutto, il corso del giorno passato. Credo che tutto quello che ho detto e fatto, senza nulla nascondere a me stesso, non sia passato per niente. Se scopro qualcosa, mi dico, “io questa volta ti perdono, ma non farlo più.’ ” Ora, se i pagani, che avevano desiderio di saggezza, facevano uso quotidiano di questo esame di coscienza, quanto piuttosto non dovrebbe questo essere praticato dai cristiani che hanno il desiderio di diventare graditi a Dio con una pulizia del cuore, per raggiungere la perfezione soprannaturale e poter giungere al possesso di quei beni che sono in serbo per l’uomo perfetto oltre le stelle.- Io posso addurre un motivo ulteriore che, conosciuto già dai saggi antichi, dovrebbe essere meglio conosciuto anche da noi che siamo dotati della luce della fede. È questo: se frequentemente e minuziosamente guarderemo dentro di noi in modo non superficiale, ma con una compunzione interiore spirituale, noi potremo sfuggire al giudizio severo e rigoroso che altrimenti ci attende davanti al Tribunale di Dio; perché, come dice S. Paolo: “se giudichiamo noi stessi, non saremo giudicati”. Cornelio a Lapide applica queste parole al nostro argomento nel senso e nei termini seguenti: — “Se ci esaminiamo e cerchiamo nella nostra coscienza, con un rigoroso processo e, quando scopriamo eventuali peccati, li laviamo via con le lacrime della contrizione, non saremo giudicati da Dio; in altre parole, scamperemo alla punizione del suo terribile giudizio.”- Tale è la faccenda, ed il lettore farà bene a riflettere sul timore di Dio nel giorno del giudizio, per l’esame che verrà effettuato con la ricerca delle sue colpe; si pensi a come il Giudice si mostrerà inesorabile e a quanto sia grave la punizione che seguirà ad una sentenza irrevocabile: egli può quindi essere abbastanza sicuro di sentirsi felice per il proprio esame di coscienza fatto non solo una volta, ma più volte al giorno, per sfuggire così ad un terribile giudizio. Un religioso di santa vita apparve dopo la sua morte, rivestito con abito dimesso, con volto smunto e malinconico ad uno dei suoi fratelli, un suo ex amico. Il suo amico gli chiese perché apparisse con quell’aspetto così triste. L’uomo morto rispose, “è incredibile! è incredibile!” “Ma che cosa …” rispose l’amico, ” … che cosa è incredibile?” – “Si,” rispose l’uomo morto, ” … il rigore del giudizio di Dio, … e la severità dei suoi castighi”. A queste parole scomparve, lasciando il suo amico più morto che vivo per il forte spavento. Piacque a Dio dare un esempio del rigore delle sentenze divine a S. Maria Maddalena de Pazzi durante la sua vita temporale, in modo tale che il suo esempio ci potesse ispirare un “sano” terrore. Essendosi una sera inginocchiata per il suo consueto esame di coscienza, venne improvvisamente rapita in estasi e si ritrovò alla presenza di Dio. Allora nostro Signore, con un raggio della sua luce più pura, penetrò in lei mostrando un tale senso della malizia messa in ciascuna delle sue colpe, che a quelle che lei aveva già rilevato nel fare il suo esame ad alta voce, nel corso dell’estasi, si aggiunsero le altre con orrore non meno grave di se stessa. La colpa primaria che a lei fu rimproverata, fu l’aver omesso, al risveglio la mattina, di dirigere i suoi primi pensieri a Dio, essendo impegnata nel compito di richiamare le consorelle, in modo da potersi così tenere pronta a lodare Dio, e temendo di giungere in ritardo alle lodi. Questa omissione, che senza dubbio per molti di noi rappresenterebbe un atto di santo zelo, è apparso così atroce alla Santa, che ha ella ha implorato la misericordia di Dio, dichiarando nel frattempo che lei ne era indegna e meritevole di mille inferni. Successivamente ha accusato se stessa che, stando in coro, invece di essere totalmente assorbita nella lode di Dio, aveva avvertito qualche disturbo nell’assumere le prescritte inclinazioni della testa ed omettendo altre pratiche. Qui ancora una volta lei chiedeva misericordia per una cosa che dovremmo considerare lo zelo per l’onore di Dio. Si è poi accusata, come aveva già fatto nella confessione quel giorno, di aver rimproverato una delle sue novizie con un’espressione non molto dolce e gentile. Ha pregato Dio di perdonarla e, al fine di ottenere il perdono, ha supplicato i meriti più amari ottenuti dalla sua Passione. Quello stesso giorno, conversando alla grata con una sua zia, era stata rapita in estasi e portata via con forza dalla potenza di Dio. Sentendo la mozione interiore dello Spirito di Dio, lei aveva pregato le monache consorelle di portarla via, per timore che lei potesse essere vista in quella condizione da un laico. Le monache, tuttavia, non avevano capito quello che ella voleva trasmettere loro con questi segnali, cosicché ella cadde in estasi in pubblico, senza essere in grado di impedirlo. Ora, per questo fatto, per il quale nessuno di noi scoprirebbe neanche l’ombra di una colpa, lei si sentì rea con molta amarezza, definendo il proprio errore una grande ipocrisia, poiché era come se lei volesse apparire migliore delle altre; assetata per questo del perdono di Dio, si sentiva meritevole di essere gettata nell’inferno e di essere per punizione calpestata da Giuda. Continuava poi ad accusare se stessa di difetti lievi come questi, con espressioni di contrizione e concludendo con parole che si potevano applicare ad un pentito adultero o assassino, per l’enormità dei suoi crimini, tanto era spinta alla disperazione della misericordia di Dio, dicendo: “O Dio, siccome Ti ho già così spesso offeso oggi, non vorrei aggiungere agli altri peccati il reato di disperare della tua misericordia. Pertanto io so, o Signore, di essere indegna del tuo perdono, ma il sangue che Tu hai versato per me mi induce a chiedere il tuo perdono.” In un’altra occasione Dio ha mostrato alla Santa in estasi, tutti i peccati che aveva commesso nella sua vita passata. Rivedendoli, Lei singhiozzava amaramente esclamando: “Volentieri andrei all’inferno, se solo in questo modo potessi cancellare le offese che Vi ho fatto!” Eppure è ben noto come questa Santa avesse vissuto in modo irreprensibile, fin dai suoi più teneri anni. Questo perché i guasti dei nostri peccati si mostrano tanto gravi quando Dio stesso si incarica di esaminarli e li mostra all’anima come realmente sono in se stessi. Quale sarà il nostro stato all’esame della sentenza di un Dio che contempla i nostri crimini in una luce molto più nitida e molto più penetrante di quello in cui la Santa Vergine carmelitana vedeva le sue lievi mancanze? Veramente, le anime disincarnate vedono le cose in una luce molto diversa da quella in cui le medesime si contemplano mentre ancora si è legati della carne! Come non temere, e quale sarà un giorno il nostro orrore! Sono sicuro che se la vista delle nostre colpe potesse causarci la morte nell’aldilà, dovremmo noi moriremmo mille volte di puro spavento. Ma quale rimedio c’è per questo? Nientemeno che affidarsi al consiglio dell’Apostolo: “portare ora il nostro giudizio su di noi. “Se giudichiamo noi stessi ora, non saremo giudicati poi. E questo semplicemente richiamando le nostre coscienze a dare conto del proprio operato almeno una volta nel corso della giornata, ricercandone le varie dinamiche; esaminandole tutte con occhio critico e attento; ed una volta scoperto qualcosa decidersi a porvi riparo, impegnandosi in vivi atti di contrizione e con la finalità costante di un vero emendamento; teniamo presente che, come dice S. Agostino: “Dio ama perdonare coloro che confessano a Lui le proprie mancanze con umile pentimento, astenendosi dal giudicare gravemente coloro che con cuore contrito, portano il giudizio su di sé.”

CAPITOLO III.

Spiegazione circa il modo di fare l’esame di coscienza quotidiano.

Secondo il piano previsto da Sant’Ignazio nel libro dei suoi esercizi spirituali, questa devota pratica dovrebbe consistere in cinque parti. 1) – In primo luogo, ci mettiamo in presenza di Dio con un atto di fede e di profonda adorazione con il renderGli grazie per tutti i favori che abbiamo ricevuto dalla bontà divina, soprattutto in quel particolare giorno. San Bernardo ci avverte di essere molto attenti nel non trascurare di offrire il rendimento di grazie a Dio per i benefici che ci concede: “essere ripieni di gratitudine per rendere debitamente grazie al datore di tutti i buoni doni,” per ogni favore, sia esso ordinario, o grande o piccolo. Ora, si scelga l’orario dell’esame di coscienza più adatto a questo scopo, di modo che l’anima sia nel mezzo tra ciò che ha ricevuto da Dio e tra quanto di ritorno ha fatto per Lui. Tanto più così la gratitudine per i favori ricevuti dispone maggiormente l’anima a quel dolore che dovrà seguire il pensiero dell’ingratitudine che abbiamo dimostrato coi nostri peccati. – 2) – In secondo luogo, noi dobbiamo chiedere a Dio di darci luce per conoscere i nostri peccati e le nostre negligenze. Questa preghiera è sommamente necessaria, come S. Gregorio Magno dice: “L’amore di sé ci delude e acceca l’occhio della nostra mente in modo che non riusciamo a percepire le nostre colpe, o che esse ci appaiono molto meno gravi di quanto in realtà esse siano, facendo così una contrizione meno intensa di quanto per esse dovremmo”. Quindi è della massima importanza per noi chiedere a Dio di dissipare le tenebre che l’amor proprio getta sulle nostre menti, e che l’occhio della nostra anima sia ben vigile e purificato per poter essere in grado di scoprire tutti i nostri peccati, penetrare la loro malizia e stimarli adeguatamente nella loro portata. Tanto più poi perché, in mancanza di questa conoscenza di sé, non possiamo avere un vero pentimento per i nostri peccati; e secondo le stesse osservazioni del Papa santo: “Dio non conferisce la grazia della compunzione finché Egli non ci abbia precedentemente reso consapevoli dell’enormità delle nostre colpe.” – 3) – In terzo luogo, dobbiamo fare una ricerca diligente in tutti i peccati o imperfezioni in cui siamo caduti durante il giorno trascorso o durante la notte passata. “Istituire un tribunale all’interno di te stesso”, dice S. Agostino, “e giudicare la causa della vita che tu hai trascorso in questo giorno. Lasciate che i pensieri vadano in cerca dei vostri peccati e fatene accusa davanti a Dio. Lasciate che la vostra coscienza sia testimone contro di voi. Lasciate che la paura e l’amore di Dio siano i carnefici Santi per uccidere i vostri peccati con la spada della penitenza”. Molto diverso dalle sentenze dei tribunali terreni — che di solito finiscono con la condanna degli imputati, — questa auto-sentenza interna sarà la garanzia della vostra assoluzione ed il perdono dei peccati. “Ma per raggiungere questo scopo,” dice S. Giovanni Crisostomo, “tu devi procedere contro te stesso con rigore e precisione. Tu devi esaminare attentamente tutti i pensieri che hanno attraversato la tua mente, tutte le parole proferite dalla tua bocca e tutte le azioni che hai fatto; né per fare questo al meglio ci sarà un momento più adatto del vespro, quando ti metterai disteso sul tuo letto.” “Ma ricordate,” continua il Santo, “che questo esame non deve essere effettuato sulla vita in modo grossolano, passando cioè sopra lievi difetti notati in brevi momenti; perché bisogna tener conto rigoroso anche di questi, così che svuotato da questi, potete fronteggiare difetti ancor più gravi.” Questa quest’ultima attenzione dovrebbe essere ricordata soprattutto da coloro che sono un po’ più avanzati sulla strada della perfezione, e che possono essere considerati come già tra gli abituali, o i perfetti; per tali persone ogni colpa aumenta in grandezza; e, come osserva Sant’Isidoro, ciò che potrebbe essere definito un leggero difetto di un breve momento per un principiante, non può più essere chiamato un piccolo peccato in uno che ha progredito verso la perfezione; in tal caso ogni colpa, per quanto lieve, deve essere contabilizzata e ritenuta come grave. Se un ragazzo a scuola è colpevole di un errore grammaticale, egli è da compiangere; ma se il suo insegnante dovesse incorrere nello stesso errore, egli non merita nessuna compassione perché è tenuto ad essere perfetto o quasi perfetto, nella sua professione. Lo stesso vale per le persone spirituali. Quindi, si dovrebbe procedere nel loro autoesame con occhio particolarmente attento ed osservando ogni cosa, tenendo conto di ogni difetto; e, come dice San Isidoro, considerando che nulla può essere di lieve importanza nella condizione nella quale sono pervenuti. – 4) – In quarto luogo, l’esame deve essere seguito da un atto di dolore e di pentimento per i peccati che abbiamo commesso. “Se tu trovi,” dice San Giovanni Crisostomo, “che nel corso del giorno hai fatto qualche buona azione, devi renderne grazie a Dio; solo per suo dono tu infatti sei stato in grado di farlo. Ma se tu scopri difetti e peccati, li devi asciugare con lacrime di penitenza”. Questo dolore, per quanto possibile, è necessario che sia sincero e pieno di confusione verso l’interno e pieno di umiltà, come abbiamo visto in precedenza, trattando a proposito della confessione. L’autore del reato, a causa dei suoi difetti e della sua infedeltà a Dio, deve presentarsi al cospetto dell’Onnipotente, come un figlio perverso ed ingrato si dovrebbe presentare davanti ad un padre affettuoso, e con sincera confusione dovrebbe dire con le parole di San Bernardo: “come posso essere così sfrontato da alzare gli occhi verso il volto di un padre così gentile, essendo, come io sono, un figlio così irrispettoso? Arrossisco per aver fatto cose indegne della mia condizione, per essermi dimostrato un figlio degenere verso un padre così buono. Deluso, fiumi di lacrime scorrono dai miei occhi; lasciate che la mia faccia sia coperta da confusione, il mio volto arrossisca di vergogna, e la mia anima sia oscurata da profonda umiliazione.” Il lettore può essere sicuro che quanto più questo dolore è umile e sincero, tanto più esso servirà ad eliminare dall’anima ogni contaminazione. – I Santi più grandi consigliano ad una persona devota che scopre nel suo esame qualche difetto degno di nota, di imporsi qualche penitenza in riparazione dell’errore che ha commesso e come misura precauzionale contro le recidive future. S. Giovanni Crisostomo dice: “lascia che la tua mente e tuoi pensieri siedano a giudicare l’anima tua. Guarda le tue azioni, estrapola i tuoi difetti ed a ciascuno di essi assegna un castigo mediante una penitenza proporzionata”. In relazione a questo argomento, Teodoreto riferisce, di tal monaco, di nome Eusebio, che durante la lettura del Santo Vangelo, si distrasse consentendo agli occhi ed alla mente di vagare osservando alcuni contadini che erano al lavoro nei campi vicini. Ricordando questa negligenza nel suo esame di coscienza, egli si impose, per l’errore che aveva commesso, la penitenza non solo di non guardare mai il campo che era stato l’occasione della sua colpevole distrazione, ma di non alzare mai più gli occhi al cielo. Ma dovendo egli percorrere un tragitto rettilineo, appena sufficientemente ampio da consentirgli il passaggio, attraverso il quale raggiungere la cappella e da qui tornare alla sua cella, non metteva mai i piedi fuori da quel vicolo stretto. E temendo che, alzando la testa, egli potesse accidentalmente alzare lo sguardo verso gli oggetti che aveva proibito ai suoi occhi di guardare, cosa ha fatto? Si è posto a mo’ di correzione una cintura di ferro intorno ai suoi lombi ed un collare di ferro al collo, fissati tra loro da una corta filiera, costringendosi così a rimanere sempre con la testa piegata in basso verso il suolo, in modo da essere incapace di vedere i campi o il cielo. Teodoreto di Cirro termina la sua narrazione osservando che in questo curioso castigo per la sua distrazione, il Monaco ha perseverato con grande mortificazione per tutti i quaranta anni che e’ sopravvissuto. – Non ho menzionato questo fatto per sostenere l’opinione che tali penitenze straordinarie siano da imitare, ma solo per mostrare che è stata sempre una usanza dei Santi di Dio l’imporsi qualche mortificazione come punizione per le colpe in cui capitava che cadessero. Naturalmente, nell’uso di tali penitenze, ognuno deve fare i conti con la sua forza fisica e spirituale, in modo da scegliere, su consiglio del suo direttore, la penitenza per lui possibile, senza forzare eccessivamente le proprie potenzialità, ma che lo aiuti a trattenersi e ad essere dissuaso dal ricadere. San Giovanni Crisostomo suggerisce molto tali penitenze discrete; come, per esempio, per le colpe della lingua, il recitare alcune preghiere; per gli sguardi non custoditi, di dare qualche elemosina, o osservare fugacemente cose e persone; per le spese folli, la compensazione mediante una maggiore parsimonia. E altrove, egli consiglia l’uso di bende in castigo delle nostre colpe, assicurandoci che lungi dal morire per queste afflizioni, noi vogliamo essere aiutati a sfuggire alla morte. Tale era la pratica di S. Maria Maddalena de’ Pazzi, che, dopo aver pianto le sue colpe nell’estasi, come già abbiamo accennato, si ritirava poi nella sua cella appartata e sottoponeva il proprio corpo ad una rigorosa disciplina. Se dovesse accadere, tuttavia, che qualcuno si dovesse vedere costretto ad infliggere su di sé dei bendaggi in ogni occasione, a causa della frequenza delle sue cadute, si potrà, almeno, alla sua solita disciplina, sommare alcuni poche pratiche aggiuntive, in proporzione ai peccati commessi. Se si è incapaci di procedere velocemente, si può negare a se stesso qualcosa durante i suoi pasti abituali come punizione delle sue trasgressioni: si può mortificare la lingua sfrenata facendo con essa il segno della Croce così tante volte sul pavimento: si può accompagnare la preghiera con la mortificazione, ponendo ad esempio, durante la recita, le mani sotto le ginocchia, o le braccia allargate a formare una croce; e poi tante altre penitenze secondo quanto la devozione e la compunzione di ognuno può suggerire. – 5) – In quinto luogo, dobbiamo imporsi un fermo proposito di non offendere Dio mai più. Questo scopo, osserva Giovanni Crisostomo, spesso citato da noi, dovrebbe essere raggiunto così efficacemente da infondere nell’anima un santo timore di non ricadere mai più nel peccato; così che, come una persona colpevole che sia stata severamente rimproverata, non possiamo permetterci di alzare la testa per la vergogna, ma tenendola abbassata, sempre teniamo a mente il rimprovero ricevuto. Al fine di essere di qualche utilità reale, questo scopo di emendamento deve penetrare fin nei particolari. Quelle passioni o affetti disordinati che ci hanno sviato, devono essere messi alla tortura, così da procurarci una vera contrizione; con il mezzo che precisamente deve colpirci per ottenere una buona risoluzione per non essere più assaliti o almeno, per subire attaccati di minor violenza. Per questo è di grande importanza procedere ad una eradicazione particolare e poi generale, con la risoluzione che i nostri vizi soliti siano superati, e lavorando a volte su questo e a volte sull’altro dei nostri altri difetti, rafforziamo in generale la volontà nella resistenza costante e generosa, prima verso l’una e poi verso l’altra delle nostre mancanze, e così, a lungo andare, poco a poco, possiamo sbarazzarci di ognuna di tutti loro. – Inoltre dobbiamo guardare alle origine delle nostre colpe; dobbiamo scandagliare le profondità della nostra anima, per scoprire la radice di queste erbacce maligne, in modo da essere in grado di estirparle dal nostro cuore. Quale utilità c’è nello scrollarsi di dosso le foglie o i rami di un albero che non porta frutto senza tagliarlo dalla base lasciandola nel terreno? Se non se ne sia distrutta la radice, tutto questo serve a nulla: l’albero sarà presto coperto da un fogliame di maggiore rigoglio che mai. Così anche le nostre risoluzioni non giungeranno al loro scopo fino a quando non abbiamo tagliato non le occasioni, ma le origini delle nostre colpe, per cui i nostri difetti continuamente torneranno a profanare le nostre anime, senza ottenere la risoluzione di non essere più colpevoli in futuro. Infine, l’esame di coscienza deve terminare con un Padre nostro, un’Ave Maria ed una fervida preghiera a Dio per ottenere la grazia di non offenderLo mai più e di realizzare in pratica tutto ciò che avremmo promesso di fare, ricordando che in ogni caso non possiamo fare nulla senza l’aiuto di Dio.

CAPITOLO IV.

Sull’esame particolare. Suoi vantaggi per il raggiungimento della perfezione. Il metodo per farlo.

È impossibile superare tutte in una volta le passioni che si agitano in noi: sradicare con uno sforzo solo tutto i vizi radicati nella nostra anima e nello stesso tempo giungere ad una modifica completa della nostra condotta. Quindi Cassiano, con tutti gli altri maestri di vita spirituale, insegna che nel correggere le nostre cattive abitudini, dobbiamo procedere metodicamente. Dobbiamo primariamente considerare la nostra passione predominante ed essere determinati a lottare contro di essa con tutta le forze della nostra anima. Contro questo vizio o passione, continua Cassiano, contro il nostro principale nemico, dobbiamo usare tutte le nostre armi; vale a dire tutte le nostre meditazioni, i nostri buoni propositi, le nostre preghiere, i nostri digiuni, le nostre lacrime: tutti i nostri sforzi, in breve, al fine di conquistarla, per batterla e disperderla. Ora, perché tutto questo se non per fare l’esame particolare di cui parleremo ora? Esso infatti consiste in nient’altro che nello scoprire qual sia la nostra passione predominante e quali le colpe di cui siamo maggiormente responsabili per poter impostare un efficace lavoro su di esse, sradicarle con gli esami particolari e gli speciali pii dispositivi, come ci accingiamo ora a mostrare. – Non appena saremo riusciti a superare una passione, o a correggerci di qualche difetto particolare, dovremmo passare successivamente ad un altro e poi un altro ancora, man mano; così, poco a poco, questa “lavorio” spirituale ci aiuterà a salire al culmine della perfezione. La cima di una torre alta non viene raggiunta con un unico balzo, ma per mezzo di passaggi successivi. Quando uno vuole salire in cima, si inizia dal primo gradino della scala, cominciando a lasciare la terra sotto di sé per avvicinarsi al vertice. Si passa quindi al secondo, al terzo, al quarto passo e così via; e più aumenta la sua distanza dal livello del suolo, più ci si avvicina al vertice in alto; e più in alto si monta — continuando a lasciare ulteriormente dietro di sé la base della torre — più ci si avvicina alla cima dell’edificio. Così facendo, potremmo noi, mediante l’esame particolare, liberarci in questo mese di un peccato, nel prossimo sottomettere qualche passione e, dopo sei mesi, sforzandosi, sradicare completamente qualche abitudine viziosa; procedendo ulteriormente lasceremo sempre più lontano lo stato infimo, abietto ed imperfetto, avvicinandoci sempre più al vertice della perfezione. Questa dinamica è presa in prestito da Giovanni Crisostomo, che prende a modello coma figura di questo progresso graduale nella perfezione, per mezzo della correzione di qualche difetto e l’acquisizione di alcune virtù, la ben nota scala del sogno di Giacobbe, scala che dalla terra raggiunge il cielo permettendo di salirne i gradini mediante successivi e progressivi miglioramenti. – E, cosa che è veramente ammirevole, anche i filosofi pagani — se per nostra istruzione o a nostra confusione, non saprei — hanno adottato pratiche simili a quelle che ora sto spiegando, ai fini proprio di un perfetto emendamento. Ascoltate ciò che riferisce Plutarco di se stesso: “essendo un amante della mansuetudine non meno della saggezza, sono determinato in me a trascorrere alcuni giorni senza cedere alla rabbia; proprio come nel caso dovessi decidere di astenermi dall’ubriachezza e dal vino, come è consuetudine in alcune feste, dove è vietato l’uso di questa bevanda. Ho continuato in successione ad esercitare sforzi notevoli per uno o due mesi, facendo brevi prove della mia forza. Così, nel corso del tempo, sono giunto ad imprecare con maggiore difficoltà e fastidio, essendo in grado di mantenere la mia padronanza su me stesso, sì da mantenere la calma, mostrandomi gentile e privo di ogni rabbia. Con questi mezzi mi sono tenuto senza macchiarmi con cattive parole, svilendo le azioni e le cupidigie spudorate che, solo per una gratificazione passeggera, lasciano l’anima trafitta da un profondo rimorso ed uno struggente rimpianto.” – Ora, questi congegni, se riflettiamo un po’ su di essi, sono proprio quelli impliciti nell’esame particolare di cui ora stiamo discorrendo, il cui oggetto è quello di frenare le nostre passioni, sradicare i nostri vizi ed impiantare all’interno dell’anima la perfezione cristiana; cosa che sarà più chiaramente stabilita nel paragrafo seguente. E se un filosofo, con la sola luce della sua ragione naturale, era in grado di scoprire l’efficacia di questo mezzo in relazione all’emendamento della sua vita e lo praticava con tale costanza, quanto più volentieri dovrebbe esso essere abbracciato da un cristiano che ha la luce della fede e l’esempio di tanti Santi e creature spirituali che procedono su questa strada, potendo così raggiungere la perfezione come e più di un pagano che mira ad ottenere una modifica della sua vita. – Veniamo ora alla parte pratica di questo esercizio molto utile. Essa comprende, come possiamo imparare da quel libro d’oro degli esercizi spirituali di Sant’Ignazio, cinque atti distinti. Primo: Al sorgere del mattino, dobbiamo prefiggerci uno scopo costante e forte per evitare l’errore che abbiamo intenzione di correggere mediante l’esame particolare; e questo scopo deve essere rinnovato con serietà nel tempo della meditazione; perché, come dice Thomas a Kempis, “il nostro progresso spirituale è proporzionata al nostro buon proposito”. In secondo luogo: Se ci capita di cadere durante il giorno, noi dobbiamo porre le mani sui nostri cuori e fare un atto di dolore, con la determinazione di essere più vigili per il futuro. Era usanza dei monaci dei tempi antichi annotare le loro colpe non appena le avevano commesse. S. Giovanni Climaco racconta, che dopo aver visitato un monastero della più rigorosa e austera osservanza, vide che il monaco a capo del refettorio, aveva un piccolo libro appeso alla cintura; chiedendogli per cosa venisse utilizzato, il monaco rispose che gli serviva per annotare i pensieri che passavano nella sua mente; e, aggiunge il Santo, da quello che ho potuto osservare tra il resto della fratellanza, ho compreso che questa era l’usanza del maggior numero di loro. Egli conclude con queste lodevoli parole: “Egli è come un buon banchiere spirituale che ogni notte raggiunge l’equilibrio tra le perdite ed i guadagni di ogni giorno. Ma perché questo possa essere fatto con precisione, è necessario prendere nota, ora per ora, dei profitti e delle perdite, del risultato cioè del nostro traffico giornaliero spirituale.” Alcuni, al fine di essere in grado di mantenere più facilmente e regolarmente questo impegno, portano con loro, ben nascosto alla vista altrui, una stringa di perline, su cui registrano i loro difetti come man mano si presentano loro. Con questi mezzi possono tenere un conto esatto dei loro errori senza attirare l’attenzione di altri, o magari fanno ricorso alla propria memoria. In terzo luogo: Di notte, quando facciamo l’esame generale di tutta la giornata, dovremmo prendere nota speciale della colpa che ci proponiamo di sradicare mediante l’esame particolare; questo rende speciale l’atto di contrizione per le nostre mancanze così da rinnovare i nostri buoni propositi con maggiore serietà: dovremmo quindi annotarli su un piccolo pezzo di carta, o in un libricino. S. Ignazio ci offre un modello di queste notazioni. Egli ci suggerisce di disegnare su un foglio di carta alcune linee di lunghezza diversa, la precedente più lunga di quella seguente: su quelle più lunghe annotiamo le colpe commesse nei giorni precedenti della settimana: accorciano le linee che corrispondono alla settimane seguenti gradualmente, supponendo che stiamo migliorando e di conseguenza diminuendo ogni giorno il numero delle nostre colpe. – In quarto luogo: dopo aver trascorso un paio di settimane, dovremmo esaminare il nostro giornale o libro, per vedere il numero di volte nelle quali siamo caduti ogni giorno, confrontando giorno con giorno, settimana con settimana e con attenzione, tenendo conto dei nostri progressi o determinazioni, come insegna S. Giovanni Crisostomo. Se troviamo che c’è stato un miglioramento, dobbiamo rendere grazie a Dio e impegnarci con il cuore a lottare più intensamente anche dopo il nostro emendamento pieno e completo. Dobbiamo tuttavia scoprire anche il caso in cui non ci sia stato alcun emendamento, e che siamo forse persino andati indietro, per determinarci ad impiegare dei mezzi supplementari; così, per esempio, dobbiamo essere più vigili su di noi, fare più frequente ricorso a Dio con la preghiera, fare uso di qualche penitenza corporale, in modo tale da poter muovere il cuore di Dio a concederci una assistenza più potente ed efficace ed aiutarci così a superare la nostra debolezza, … e altre cose di questa genere. –  In quinto luogo: Noi dovremmo inoltre imporre qualche mortificazione a noi stessi, in relazione alla frequenza delle nostre mancanze. È stato già osservato, che questo rimedio deve essere applicato ad ogni importante trasgressione e si può anche aggiungere come mezzo particolarmente adatto a sradicare, mediante la penitenza, quei difetti sui quali è fatto l’esame particolare, e che costituiscono il nostro oggetto principale. In conclusione possiamo sostenere questo, sull’esempio di S. Ignazio, quel grande maestro di vita spirituale: nel venir meno la salute, a causa dell’avanzamento negli anni, essendo stato per lungo tempo arricchito da Dio con tanti doni soprannaturali e volendo, per così dire, consumarsi in tutta la perfezione, egli ha ancora e sempre fatto il suo esame particolare e tenuto presso di lui dei fogli sui quali annotava i suoi fallimenti; neppure in tarda età, e fin’anche al suo ultimo respiro, egli ha omesso mai questa pratica utile e sacrosanta; dopo la sua morte, questo libro è stato ritrovato sotto il suo cuscino, lasciato lì come se fosse il testamento di un morente a tutte le persone devote perché non trascurassero mai una pratica di così grande efficacia per la modifica della loro vita e per il raggiungimento della perfezione.

CAPITOLO V.

Consigli pratici ai direttori sul tema in considerazione.

Primo suggerimento. Riguardo all’uso dell’esame di coscienza quotidiano, ogni direttore verificherà due riflessioni: primo, che questo esercizio possa essere attuato da chiunque, anche da parte di coloro che non ne hanno dimestichezza e sono scarsamente educati nell’uso di altre pratiche religiose, come la meditazione e la lettura di libri spirituali. Ognuno è in grado di andare a confessarsi ed è quindi in grado anche di praticare l’esame di coscienza ogni giorno e piangere sulle proprie colpe. In secondo luogo, che nessuna singola persona dovrebbe mai ritenersi dispensato dal fare questo esame. Non sto parlando solo di coloro che aspirano alla perfezione, ma anche di coloro che professano la semplice fede, poiché si tratta di uno strumento importante non solo per garantire la perfezione, ma la salvezza stessa delle nostre anime. Non sia il direttore superficiale nel credere a questa verità, basta che egli rifletta solo sulla naturale tendenza di tutte le cose umane a deteriorarsi e alla fine a perire e ad annullarsi a meno che non siano costantemente riparate. Un edificio che abbia fuori uso alcune parti, se non viene frequentemente messo in ristrutturazione, non durerà a lungo ed finirà per essere ridotto ad un cumulo di mattoni. Una fattoria tenderà a deteriorarsi se il suolo non venga generosamente arricchito, altrimenti il tutto diventerà alla fine un cumulo di rifiuti. Un indumento che si indossi ogni giorno, subirà delle inevitabili lacerazioni pur minime che, qualora non siano riparate, lo renderanno uno straccio per la raccolta. Ora, sono tante le tipologie delle nostre anime, ma è talmente forte la violenza con cui le nostre passioni ci inclinano al male; così potenti sono gli incitamenti del diavolo che ci spinge a ciò che è sbagliato; tante sono le occasioni pericolose che ci inducono a peccare, che è impossibile per le nostre anime — esposte come sono a così tanti assalti — il non cadere, il non cedere occasionalmente a così tante fascinazioni ed il non scendere gradualmente verso il basso, verso la grande rovina delle nostre anime. Se tali perdite non sono ogni giorno riparate da un esame di coscienza ben fatto, con pentimento e relativo rinnovo dei buoni propositi, può accadere che noi possiamo diventare disorganizzati a tal punto da perire alla lunga miseramente, come in effetti accade ogni giorno con quei cristiani sbadati che non si avvalgono di questi mezzi. Il direttore cercherà, quindi, con uno sforzo Santo di inculcare questa pratica così vantaggiosa in tutti i suoi penitenti a qualunque classe possano essi appartenere. San Gregorio Magno spiega, mediante un paragone con la nostra vita corporale, il decadimento che quotidianamente si svolge nelle nostre anime e la necessità che c’è di fare buoni propositi di lacrime, di pentimento e di esame di coscienza. “I nostri corpi,” egli scrive, “sviluppano un decadimento insensibilmente, senza che noi possiamo percepirlo. Chi ha mai visto l’allungamento graduale e la crescita del corpo di un bambino in giovane età? Chi ha mai visto le membra di un uomo vecchio contrarsi e diventare decrepite e rimpicciolite? Chi è mai consapevole della crescita o del decadimento del proprio corpo? Gradualmente ed impercettibilmente i capelli diventano bianchi, la carne si raggrinza in rughe, gli arti si indeboliscono, il corpo diventa piegato e tutto l’insieme, senza che ce ne avvediamo, va lentamente deperendo fino a consumarsi. “Così, purtroppo,” va avanti il santo dottore, “lo spirito dentro di noi accrescere il suo decadimento senza che ne siamo coscienti; e così come anche le persone devote e diligenti, avanzano in virtù senza avvedersene, così le anime dei negligenti e dei pigri che, non tenendo conto giornaliero dei loro miglioramenti o peggioramenti, continueranno ad affondare verso il basso e a cadere nel disordine, senza che possano percepirlo”. “Quindi,” lo stesso santo Pontefice conclude, “spesso dobbiamo guardare in noi stessi; spesso la nostra coscienza deve esaminarsi e col pentimento sforzarsi di rinnovarsi per riconquistare il nostro stato migliore.” Ripeto, quindi, se un direttore agisce con zelo per la salvezza delle anime delle persone che si sono affidate alle sue cure, egli non mancherà di inculcare l’uso del quotidiano esame di coscienza. – Secondo suggerimento. L’insegnamento dei Santi, come è stato sottolineato già nei capitoli precedenti, è tale che questo esame di coscienza dovrebbe essere effettuato due volte al giorno, mattina e sera. Nelle prove che ne abbiamo riportato da S. Ephrem, S. Doroteo, S. Bernardo, i fondatori di ordini religiosi, seguendo gli insegnamenti dei Santi, lo hanno imposto come regola nelle associazioni dei loro seguaci. Ma, siccome al direttore può essere impossibile ottenere da ognuno questo doppio esame di coscienza, egli deve almeno fare attenzione che nessuno dei suoi penitenti lo ometta prima di coricarsi per riposare, essendo la fine della giornata il momento più adatto per esaminare la nostra coscienza e valutare tutto ciò che abbiamo fatto; infatti il buio stesso e la quiete della notte sono favorevoli per l’attenzione ed il raccoglimento, e di conseguenza per il pentimento per le nostre colpe. Il penitente dovrebbe essere poi così attento, da permettersi un esame attento e diligente, tale da sforzarsi di gettare uno sguardo almeno sugli ultimi giorni, per vedere quali siano le più gravi carenze che si gli presentano contemporaneamente alla mente per poterle emendare efficacemente con un atto di contrizione. Questo servirà non solo per pulire ancora una volta la coscienza dalle sue macchie, ma per renderla più attentamente custodita nel giorno successivo. Eviterà così un destino che è purtroppo molto comune a molti fedeli che, dopo aver iniziato una volta con l’intraprendere una strada sbagliata, gettano poi le redini — diciamo così — sul collo delle loro passioni, andando sempre più sprofondando nel peccato, senza ritegno e senza rimorso. Se il penitente si rifiuta di fare anche questa semplice azione, egli deve allora riconoscere che tiene davvero molto poco alla sua salvezza eterna. Proprio come un commerciante che, non riuscendo mai a trovare un equilibrio tra le sue entrate e le uscite, dà un chiaro segno di essere indifferente a guadagnare o perdere soldi. 3) – Terzo suggerimento. L’esame particolare può essere proposto a persone che, liberate dai legami di gravi peccati, iniziano ad aspirare alla perfezione, essendo questo l’aiuto più efficace per il suo raggiungimento. Per garantire questo risultato, tuttavia, il direttore deve proporre l’oggetto su cui l’esame dovrà essere effettuato. Occorrerà quindi anche osservare, nel resoconto dello stato di coscienza che ha ascoltato dai penitenti, qual sia la passione predominante in ciascuno, così come la colpa più frequente e quindi l’ostacolo maggiore frapposto al suo progresso nello spirito; farà allora gli in modo da dirigere ciascuno nel fare il suo esame particolare essenzialmente su tale punto, prima di continuare ad istruire ognuno sul modo corretto di espletarlo secondo il metodo che abbiamo illustrato dettagliatamente sopra. Tuttavia, è bene fargli notare che, tra i vari difetti rilevati, è meglio iniziare con la correzione di quello più evidente esternamente, poiché questo può costituire comunemente occasione di scandalo, o almeno di scarsa edificazione, nei confronti del prossimo, ed anche perché essi sono più facilmente corretti rispetto ai difetti interiori, che sono radicati nelle nostre anime e sono, per così dire, parte della nostra natura. La comune prudenza impone che sia meglio iniziare con compiti più facili e semplici così da renderli un trampolino di lancio per imprese più ardue e difficili. – Quarto suggerimento. Il direttore dovrebbe impegnare i suoi penitenti nel rendersi conto dei progressi compiuti nell’ambito dei loro esami particolari. Egli stesso dovrebbe poi imporre le mortificazioni e le penitenze da eseguirsi in espiazione delle colpe che ognuno può aver commesso, e dovrebbe suggerire i mezzi da impiegare al fine di garantire una vittoria più ampia e solida. Ma se dovesse scoprire un notevole deterioramento o una colpevole disattenzione, egli può, a volte, per punizione della negligenza, privare il penitente della Santa Comunione, quando naturalmente, la persona stessa possegga virtù sufficienti a sopportarne la privazione con calma ed umiltà. Dranelius ci riferisce che tra alcune nazioni indiane, i maestri di quei giovani che si applicavano all’acquisizione della saggezza, giunta la sera, e prima che gli alunni stessi sedessero per i loro pasti, esigevano un resoconto accurato delle loro buone azioni durante il giorno, e quando scoprivano che essi erano stati disinteressati nell’ottenere progressi, li mandavano a letto digiuni, in modo che il giorno successivo potessero essere più diligenti nel perseguire la virtù. Un simile metodo rapido, nel nostro caso però spirituale, può essere a volte imposto ai nostri penitenti quando si percepisce che siano incuranti nei progressi, e soprattutto nel modificare una colpa per la quale l’esame particolare sarebbe stato efficace nell’aiutarli con facilità a superarla. – Il direttore deve applicare ulteriore attenzione nel timore che, invece di essere per i suoi penitenti un mezzo di miglioramento, l’esame particolare diventi per essi una fonte molto pregiudizievole per l’inquietudine che si potrebbe generare, come spesso accade nel caso delle donne di natura timida, e più specialmente quando a questa timidezza naturale si aggiungono le suggestioni suggerite dal diavolo. Così infatti, visto che, nonostante i loro esami così frequenti non avanzino che poco (almeno in confronto a quello che poteva essere il risultato sperato), e che tendono nuovamente a cadere sempre negli stessi difetti, potrebbero perdersi d’animo e cominciare a pensare che la perfezione per loro sia irraggiungibile, il direttore sarà pronto a deviare dalle loro menti questi allarmi ingiustificati. Egli insegnerà loro ad umiliarsi ma nella pace, per non perdere coraggio alla vista della loro fragilità, e di mettere così tutta la loro fiducia in Dio. Egli ricorderà loro che Dio permette queste ricadute e che le stesse passioni prevalgano su di loro, in modo che riconoscano e provino quanto grande sia la propria miseria, proponendosi in tutta umiltà, di diffidare di se stessi, e guardare unicamente a Dio per la loro liberazione con l’implorazione fatta con la massima fiducia. Egli farà loro capire che se noi dobbiamo fare la nostra parte con la massima serietà per sradicare i nostri difetti e superare le nostre passioni, la vittoria è però un dono di Dio che viene elargito con mani generose, e che bisogna trattenersi dal perdersi d’animo e dallo scoraggiarsi, non perdendo la sfiducia in se stessi, confidando però in Lui solo.

Concilio di Trento e N.O.M. [il “novus (dis)ordo missae”].

Concilio di Trento e N.O.M. [il “novus (dis)ordo missae”].

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 L’esame del nuovo rito montiniano [N.O.M.], oltre agli anatemi di San Pio V e successori, (Clemente VIII e Bonifacio VIII), oltre alle evidenti influenze massonico-rosacrociane celate malamente nell’offertorio e nel sanctus, le espressioni emanatistico-panteiste tipiche della gnosi adottate da Simone Weil, intellettualoide marrana infiltrata tra i pretesi intellettuali cristiani dell’epoca, ed eretica ispiratrice di modernismi pseudo-teologici, che vedeva nei “frutti del lavoro dell’uomo” la fiammella divina che con la consacrazione “diventavano”, evolvendosi, [cioè non venivano sostituiti dal Corpo e Sangue di Cristo di cui sono solo apparenza – cfr. “Studio sulla missione divina dell’uomo campestre”], Corpo e Sangue offerti poi, con rituale rosacrociano, nientemeno che al “signore dell’universo”, il Prometeo-Lucifero, elucubrazioni fatte proprie dal massone Bugnini (Buan 1365/75) dietro la regia del marrano Montini, grande estimatore della marrana sua compatriota, l’antipapa sedicente Paolo VI, usurpatore, nonché sodomitico Patriarca degli Illuminati di Baviera, ed inserite nel diabolico “novus ordo missae”, evidenzia ancora come esso sia stato, con ampio anticipo, anatemizzato inappellabilmente in eterno, dal Concilio di Trento. Infatti il 17 settembre del 1562, nel corso della XXII sessione di quel Sacrosanto Concilio, vennero definiti, con la dottrina, i canoni sul Santissimo Sacrificio della Messa. I primi 8 capitoli della sessione sono dedicati ad illustrare le origini e le definizioni teologiche succedute nei secoli e costituenti la base dei misteri eucaristici contenuti nella Santa Messa. Nel capitolo 9 sono riportati i canoni con relativi anatemi. Leggiamoli insieme (*):

SESSIONE XXII (17 settembre 1562)

Dottrina e canoni sul santissimo sacrificio della Messa.

Il sacrosanto Concilio ecumenico e generale Tridentino, riunito legittimamente nello Spirito Santo, sotto la presidenza degli stessi legati della Sede Apostolica, perché sia mantenuta nella Chiesa cattolica e conservata nella sua purezza l’antica, assoluta, e sotto qualsiasi aspetto perfetta dottrina del grande mistero dell’eucaristia contro gli errori e le eresie, illuminato dallo Spirito Santo, insegna, dichiara e intende che su essa, come vero e singolare sacrificio, sia predicato ai popoli cristiani quanto segue.

CANONI SUL SANTISSIMO SACRIFICIO DELLA MESSA

1. Se qualcuno dirà che nella messa non si offre a Dio un vero e proprio sacrificio, o che essere offerto non significa altro se non che Cristo ci viene dato a mangiare, sia anatema.

2. Se qualcuno dirà che con quelle parole: Fate questo in memoria di me, Cristo non ha costituito i suoi apostoli sacerdoti o che non li ha ordinati perché essi e gli altri sacerdoti offrissero il suo Corpo e il suo Sangue, sia anatema.

3. Se qualcuno dirà che il Sacrificio della messa è solo un sacrificio di lode e di ringraziamento, o la semplice commemorazione del sacrificio offerto sulla croce, e non propiziatorio; o che giova solo a chi lo riceve; e che non si deve offrire per i vivi e per i morti, per i peccati, per le pene, per le soddisfazioni, e per altre necessità, sia anatema.

4. Se qualcuno dirà che col sacrificio della messa si bestemmia contro il sacrificio di Cristo consumato sulla croce; o che con esso si deroga all’onore di esso, sia anatema.

5. Chi dirà che celebrare messe in onore dei santi e per ottenere la loro intercessione presso Dio, come la Chiesa intende, è un’impostura, sia anatema.

6. Si quis dixerit canonem Missae errores continere ideoque abrogandum esse: a.s. (Se qualcuno dirà che il canone della messa contiene degli errori, e che, quindi, bisogna abolirlo, sia anatema).[Denz.953]

7. Se qualcuno dirà che le cerimonie, le vesti e gli altri segni esterni, di cui si serve la Chiesa cattolica nella celebrazione delle messe, siano piuttosto elementi adatti a favorire l’empietà, che manifestazioni di pietà, sia anatema.

8. Se qualcuno dirà che le messe, nelle quali solo il sacerdote si comunica sacramentalmente, sono illecite e, quindi, da abrogarsi, sia anatema.

9. Si quis dixerit, Ecclesiae Romanae ritum, quo submissa voce pars canonis et verba consecrationis proferuntur, damnandum esse; aut lingua tantum vulgari Missam celebrari debere, … a.s. (Se qualcuno dirà che il rito della Chiesa Romana, secondo il quale parte del canone e le parole della consacrazione si profferiscono a bassa voce, è da riprovarsi; o che la messa debba essere celebrata solo nella lingua del popolo; o che nell’offrire il calice non debba esser mischiata l’acqua col vino, perché ciò sarebbe contro l’istituzione di Cristo, sia anatema. [Denz. 956].

paolo III Sebastiano_Ricci_034(Paolo III)

Pius_IV_2Pio IV

 Quelli che saltano immediatamente agli occhi, e da noi sottolineati, sono i punti 6 e 9, con i relativi anatemi irreformabili e di eterna applicazione. Ora nell’obbrobrio del “novus ordo” non solo il canone è stato soggetto a critiche, ma è stato addirittura eliminato nella sua essenza e finanche nelle formule consacratorie, che sono così blasfeme, eretiche, e quantomeno illecite, cioè sacrileghe. Ma non contenti, i Santi Padri di Trento, guidati da Papi “veri” (Paolo III prima e, alla sua morte, Pio IV), non certamente “buffoncelli” istrionico-mediatici, “principi dell’esilio”, giullari mossi da burattinai “che odiano Dio e tutti gli uomini”, hanno aggiunto il punto 9 ove si comanda di pronunciare le parole del Canone a bassa voce ed esclusivamente in latino, evitando espressamente il vernacolo, o la barbara ed aliturgica “lingua del popolo”. Ecco che allora celebrare (… si fa per dire, naturalmente) un tale rito, o semplicemente il parteciparvi, carica di ulteriori anatemi, cioè di scomuniche, oltre a quelli già saldamente acquisiti di “execrabilis”, “ex apostolatus officio”, “quo primum” etc. etc., ponendo “ipso facto” ancor più fuori dalla “Chiesa Cattolica” che, essendo l’unica Chiesa di Cristo, attraverso la quale soltanto si può ottenere la salvezza eterna, preclude all’ignaro fedele (reo però di colpevole ignoranza!) la eterna salvezza, condannandolo al fuoco eterno. Potremmo andare avanti per molto ancora su questa sessione del Concilio tridentino, ma ci fermiamo qui, perché ce n’è abbastanza già per una seria riflessione sul come cercare di evitare il fuoco eterno dell’inferno, nel quale molti sono già immersi fino alla gola, magari presumendo di essere già pronti per una canonizzazione sicura e per essere elevati sugli altari! Il disprezzo e l’ignoranza delle leggi immutabili della Chiesa produrrà, Dio ci scansi, inevitabili “pianti e stridor di denti”. Si realizza la parola del Signore in Malachia “ et maledicam benedictionibus vestris, et maledicam illis …” [“Se non mi ascolterete e non vi prenderete a cuore di dar gloria al mio nome, dice il Signore degli eserciti, manderò su di voi la maledizione e cambierò in maledizione le vostre benedizioni. Anzi le ho già maledette, perché nessuno tra di voi se la prende a cuore” – Mal. II, 2]. Ve lo chiedo supplicandovi in ginocchio, con le lacrime agli occhi: fratelli, salvatevi dal fuoco eterno!

(*) [Il testo si trova in: Conciliorum Oecumenicorum Decreta, 3a ed. bilingue a cura di. G. Alberigo et al., EDB, Bologna 2003].