Il dono di INTELLETTO.
[J.-J. Gaume: “Il trattato dello Spirito Santo”; vol. II, Cap. XXXII]
In mezzo alle tenebre della notte, il bambino distingue tra mille la voce di suo padre. Appena che lo sente, corre dove quella voce lo chiama. Così è dell’anima diretta dal dono di consiglio. Tra i diversi partiti che si presentano, e i vari movimenti che la sollecitano, ella distingue senza fatica il partito che bisogna prendere, il movimento che bisogna seguire. Operando sulla volontà, non meno che sull’intelletto, il dono di consiglio imprime all’anima un forte impulso, che la rende vittoriosa dei movimenti della natura e docile a quelli della grazia. – Di qui pure una rettitudine, d’intenzione, una purità d’ affetto e una sapienza di condotta, che rendono la sua vita tutta divina. Di qui una generosità costante e talora eroica, da fare tutti i sacrifici per liberarsi degli ostacoli alla perfezione. Se noi restiamo nel mondo, è il distacco dalle creature e soprattutto dalle ricchezze; se l’impulso è più forte, è l’abbandono completo dei beni creati, per mezzo dei tre voti di religione, principio di gloria per la Chiesa e di benefici per la società. Nel secolo come nel chiostro, è la liberazione dallo spirito d’avarizia, causa incessante della perdita di una infinità d’anime. – Tali sono in compendio gli effetti del dono di consiglio. – Più nobile altresì è il dono d’intelletto o d’intelligenza. – Per conoscere nella loro natura e nella loro estensione le incomparabili ricchezze di questo nuovo elemento deificatore, studieremo, come per gli altri le tre seguenti questioni: che cosa è il dono d’intelletto; quali ne sono gli effetti, quale la necessità. – 1°. Cosa è il dono d’intelletto? L’intelletto è un dono dello Spirito Santo che ci fa comprendere e penetrare le verità soprannaturali. [Donum intellectus est habitus, qui dicitur lumen supernaturale, superadditum lumini naturali, datum homini ad intelligendum et penetrandum ea quae nobis supernaturaliter innotescunt”. Vig., c. XIII, p. 410]. – La parola “intelletto” o intelligenza implica una certa conoscenza intima; imperocché viene dal latino intelligere, che significa legger dentro, intus legere. La cognizione degli esseri che ci viene dai sensi mediante la vista, l’udito, il gusto e il tatto, si limita alle qualità esteriori; ma la conoscenza intellettuale penetra sino all’essenza delle cose. – Ora, vi sono molte cose che sono nascoste sotto veli, e che l’intelligenza sola può penetrare. Cosi sotto le forme esterne si nasconde la sostanza degli esseri; sotto le parole, il significato delle parole; sotto i confronti e le figure, la verità figurata; sotto gli effetti, le cause. – Quanto più la luce del nostro intelletto è forte, tanto più innanzi può penetrare. La luce naturale del nostro intelletto non ha che una forza limitata, incapace di penetrare al di là di certi limiti. Però l’uomo è creato per un fine soprannaturale; ei non può raggiungerlo, finché non lo conosce in un coi mezzi di pervenirvi. L’uomo ha dunque bisogno di una luce soprannaturale per penetrare ciò che oltrepassa la forza naturale del suo intendimento. Questa luce soprannaturale, comunicata all’uomo, mediante lo Spirito Santo, si appella dono d’intelletto. [“Et illud lumen supernaturale homini datura, vocatur donum intellectus”. S. Th., 2a, 2ae, q. 8, art. 1, cor., et ad 1]. – Si vede già in che differisce il dono d’intelligenza dall’intelligenza naturale, dalla fede e dal dono di scienza. L’intelligenza naturale è la facoltà di conoscere le verità fondamentali che possono essere conosciute dalla ragione. L’intelligenza soprannaturale, o il dono d’intelletto va più oltre; viene, non dalla natura ma dalla grazia; egli penetra non solamente le verità dell’ordine puramente umano, ma le verità dell’ordine soprannaturale. [“Intellectus virtus est habitus naturalis primorum principio rum cognoscitivus, quae per se naturaliter cognoscuntur. Intellectus donum est habitus primorum principiorum cognoscitivus non naturalis, sed gratuitus, aliter tamen quam fìdes”. S. Anton., IV p., tit. XI, p. 169]. – Esso differisce dalla fede, la cui dote si è di farci aderire fermamente alle verità dell’ordine soprannaturale, mentre il dono d’intelligenza ci fa penetrare e comprendere queste verità, per quanto ne può esser capace un uomo. «Benché il dono d’intelletto, dice sant’Antonino, corrisponda alla fede, e la supponga, non ne segue che possa, come la fede, essere nell’uomo senza la grazia santificante. La ragione è che la fede implica un semplice consenso alla verità, assenso che può esistere con un lume dello spirito, indipendente dalla grazia. Ma il dono d’intelletto porta seco una certa penetrazione della verità nei suoi rapporti col nostro fine ultimo, penetrazione che non può esistere senza la grazia santificante. Così, il peccatore che conserva la fede, può comprendere le verità da credersi, ma non le comprende pienamente, né può penetrarle. » [“Quamvis peccatores habentes fidem, intelligant ea quae propomuitur credenda non tamen piene intelligunt, neque penetrant”. Vìg., c. XIII, p. 411 ; et £. Anton., ubi supra]. – Quanto all’uomo in stato di grazia, può rimanere in una certa oscurità intorno alle verità non necessarie alla salute; ma sempre rispetto a quelle che sono necessarie, lo Spirito Santo gli dà l’intendimento sufficiente. Questo limite recato al dono d’intelletto, è sovente un benefizio della sapienza di Dio, il quale vuole cosi allontanare, o rendere impotenti le tentazioni d’orgoglio. [Vig., ubi supra]. – Differisce dal dono di scienza. Il dono di scienza è opposto all’ignoranza, dinanzi alla quale la verità è come se ella non fosse; e il dono d’intelligenza, alla rozzezza o all’ottusità dello spirito, il quale si arresta alla superficie, senza poter penetrare il fondo. L’oggetto principale del dono di scienza è di farci distinguere con sicurezza la verità dall’errore; ma il dono d’intelletto ci fa penetrare, sin nelle sue profondità, la verità che il dono di scienza ci mostra prosciolta da ogni legame. [“Ad hoc quod intellectus humanus perfecte assentiat ventati fìdei, duo requiruntur: quorum unum est quod sane capiat ea quae proponuntur, quod pertinet ad donum intellectus. Aliud est ut habeat certum et rectum judicium de eis…. et ad hoc necessarium est domina scientiae”. S. Th., 2a 2ae, q. 9, art. 1, cor.]. – Così mediante la fede, l’uomo ha la conoscenza della verità; mediante il dono di scienza, la certezza ragionata; col dono d’intelletto, la comprensione e una sorta d’intuizione iniziale.- 2° Quali sono gli effetti del dono d’intelletto? Come gli altri doni dello Spirito Santo, così il dono d’intelletto è speculativo e pratico. Con ciò bisogna intendere ch’egli considera le verità da credere, e i doveri da praticare. – « Il dono d’intelletto, insegna la teologia, non si applica solamente alle cose che sono primitivamente e principalmente 1’oggetto della fede, ma ancora a tutte quelle che vi si riferiscono. Ora, le buone opere hanno un’intima relazione con la fede, poiché la fede opera mediante la carità. – « Così, il dono d’intelletto si estende agli atti, in tanto che essi debbono essere conformi alle leggi eterne, di cui la sola ragione non può comprendere, come conviene, né il senso né l’estensione. Certo, la ragione naturale, dirige l’uomo negli atti umani; ma la regola degli atti umani non è solamente la ragione umana, è altresì la ragione eterna, che sorpassa ogni ragione creata. Dunque la conoscenza degli atti, in tanto che essi debbono essere regolati dalla ragione divina, sorpassa la ragione umana, e reclama imperiosamente il lume soprannaturale del dono d’intelletto. » [S. Th., 2a 2ae, q. 8, art. 3, cor.; et S. Anton., ubi supra]. – Onde è. che questo dono, opera sull’intelletto e sulla volontà. Sull’intelletto, e vogliamo noi sapere ciò che egli vi produce? Tre luci ci illuminano: la ragione, la fede, il dono d’intelletto. La ragione è una lampada sepolcrale che non riverbera che una luce dubbia, bastante appena a ferire l’oscurità della notte, e farvi intravedere gli oggetti più vicini. La fede è una fiaccola più luminosa che brilla nelle tenebre, ma i cui raggi non illuminano che imperfettamente un orizzonte limitato. …. [“Cui benefacitis attendentes quasi lucernae lucenti in caliginoso loco donec dies elucescat”. II Petr., I, 19]. – Il dono d’intelletto è il sole che dissipa tenebre e nubi, e illumina da lontano tutte le cose, sotto e sopra e intorno a sé. – V’è egli bisogno di far notare la differenza di queste tre luci? Se io entro in un appartamento con una lampada, distinguo, ma a fatica, gli oggetti che vi si trovano. Se vi entro con una fiaccola più luminosa, io vedo gli oggetti con meno fatica ma imperfettamente. Se vi entro di pieno meriggio, io vedo’ tutti questi oggetti perfettamente, in tutta la loro bellezza e senza sforzo.- Quali sono gli oggetti che il dono d’intelletto fa risplendere ai nostri occhi ? Essi non sono altro che la verità in tutti gli ordini e sotto tutti gli aspetti. Verità nell’ordine religioso. La Scrittura la contiene, ma coperta di veli, che il dono d’intelletto ha solo il potere di sollevare o di rendere trasparenti. Cosi avanti l’ascensione del loro Maestro, gli Apostoli avevano la ragione e la fede, e pure essi non comprendevano le Scritture. Il primo benefizio di Nostro Signore, dopo la sua Resurrezione, è di aprir loro lo spirito, a fine di dar luogo al dono d’intelletto, che doveva venire il giorno della Pentecoste, comunicar loro la cognizione chiara, e come la vista della verità, nascosta nei divini oracoli. “Nondum enim sciébant Scripturas”. Joan., XX, 9. — “Tane aperuit illis sensum ut intelligerent Scripturas”. Luc., XXIV, 45. — “Quum autem venerit ille Spiritus veritatis, docebit vos omnem veritatem”. Joan., XVI, 13]. – Lo Spirito d’intelletto è disceso nell’anima tenebrosa dei pescatori di Galilea, e sono divenuti tanti geni di prim’ordine, soli risplendenti, ì cui raggi illuminano l’intero mondo. Vedi con quale mirabile facilità Pietro, uscito appena dal Cenacolo, legge agli ebrei le Scritture, e mostra loro dapertutto il Verbo, redentore d’Israele e dei gentili, nominato nelle promesse, nascosto sotto le figure, annunziato nelle profezie, preparato da tutti gli avvenimenti. – Dinanzi a lui si dispiega il quadro magnifico dei misteri del regno di Dio, di cui gli stessi Angeli non avevano sino allora che una cognizione imperfetta: e questo quadro fulgido di luce e di bellezze, si offre all’ammirazione dei suoi uditori. Questi alla loro volta, illuminati dal dono d’intelletto, comprendono ciò che non avevano mai compreso, vedono ciò che non avevano visto mai; e con l’entusiasmo dell’amore abbracciano la verità, come dopo una lunga assenza, il figlio abbraccia una diletta madre, dalla quale niente può più separarlo. [Vedi Rupert, ubi supra : De dono intellectus. — “Qui piscatorem Spiritu suo docuit sapere et dicere: In principio erat Verbum, et Verbum erat apud Deum, et Deus erat Verbum”. S. Aug. De civ. Dei, lib. X, e. XXIX]. – Quel che ebbe luogo per gli Apostoli, avviene riguardo al cristiano. Egli può avere la fede;.ma se, per il peccato mortale, esso ha perduto il dono d’intelletto, la Scrittura sacra, con tutti i suoi tesori di verità, con tutte le sue bellezze, e tutti i suoi lumi, è per esso un libro chiuso. Egli legge la lettera che uccide, ma lo spirito che vivifica gli sfugge. Qualche raggio sparso colpisce la sua vista, ma il focolare non lo scorge. La lettura stessa di questo libro, sceso dal cielo, lo stanca e lo annoia. Cosi è del pari degli altri vasi, nei quali riposa la verità. Questi preziosi vasi sòno l’insegnamento della Chiesa, le opere di teologia e di filosofia cristiana, come i sermoni, il mondo fisico e gli avvenimenti della storia. – Ora, senza il dono d’intelletto tutti questi serbatoi di verità sono appena dischiusi, e le verità che racchiudono, malissimo conosciute, ancor meno comprese, pochissimo ammirate e meno altresì amate. [“Et erat Verbum istud absconditum ab eis”. Luc,. XVIII, 34]. – Se sopravviene lo Spirito d’intelletto, tutto s’illumina. L’Antico e il Nuovo Testamento si schiudono persino nelle loro profondità; e lasciano contemplare ì misteri del Verbo che era nella Legge, com’è nel Vangelo, l’Alfa e l’Omega di tutte le cose. Il Simbolo cattolico, il Decalogo ed i Sacramenti appariscono come il corpo di dottrina la più nobile, il meglio legato e il più perfetto che l’uomo abbia mai conosciuto. – La teologia risplende come la regina delle scienze, degna degli studi e delle preferenze di qualunque spirito serio. Sui suoi passi cammina la sua maggior figlia, la filosofia cristiana; i cui insegnamenti non sono meno necessari ai re, per il governo dei popoli, che agli stessi sudditi per il governo della loro vita. I sermoni, i catechismi, le istruzioni religiose, qualunque sia la forma che rivestono, non sono più vani suoni che colpiscono le orecchie del corpo, senza pervenire alle orecchie del cuore. Dentro all’anima è lo spirito d’intelletto che gli traduce a ciascuno, gli fa comprendere, gustare, ritenere e praticare secondo la parola dell’Apostolo: Tutti saranno istruiti da Dio: “Erunt omnes docibiles Dei”. – Come scrutatore dei più profondi misteri del mondo soprannaturale, il meno che lo spirito d’intelletto scruti e sveli sono i segreti del mondo fisico. Per colui che lo possiede, l’universo materiale ridiventa ciò che deve essere, ciò che é in realtà, un velo diafano gettato sul mondo spirituale, un raggio dell’invisibile, uno specchio in cui si riflettono la potenza, la sapienza, la bontà, l’eternità, la divinità del Creatore; un libro scritto di dentro e di fuori, che insegna a tutti i benefici di Dio e i doveri dell’uomo. – Quanto agli avvenimenti della storia, eccetto le creature materiali, non hanno essi punta oscurità per lo spirito d’intelligenza. Con uno sguardo che abbraccia la durata delle età, egli vede tutto il periodo anteriore al Messia, con la esaltazione e la caduta dei suoi grandi imperi, con le sue guerre, le sue battaglie, le sue rivoluzioni incessanti, i suoi moti cosi vari e profondi, riassumentisi in una sola parola: Tutto per far nascere il Cristo a Bethlem. – Non meno luminoso è il periodo posteriore alla venuta del Desiderato delle genti. Per quanto abbracci avvenimenti, prosperità e rovesci, esso si traduce con questa sola parola: Tutto per stabilire, conservare e propagare il regno del Re immortale dei secoli. E il fine di questo regno non è altro che la deificazione dell’uomo sulla terra e la sua glorificazione nell’eternità. Il dono d’intelletto non opera solamente sull’intelletto, ma anche sulla volontà. Ora i movimenti della volontà sono in ragione diretta tanti lumi dello spirito. – Quanto più lo spirito vede chiaramente una cosa, tanto più il cuore ne è tocco, cioè dire, disposto ad amarla o a temerla. Per l’anima che possiede il dono d’intelletto, la religione, come fatto divino, non ha più tenebre. I fondamenti dell’edificio sono messi a nudo. Senza comprenderne la natura, essa vede il luogo e la necessità dei misteri; vede i fatti e la ragione dei fatti, l’armonia dei mezzi col fine, e il maestoso insieme che ne risulta. La fede gli diventa cosi facile, che non ha quasi più merito a credere; tanto chiara che essa non intende, perché non si vegga da tutti ciò che essa vede; tanto ferma che niente può farla scuotere. Che il demonio armato d’inganni, il sofista armato di menzogne, il mondano armato di scandali, pretendono strapparle una negazione, oppure un dubbio: quest’anima si ride dei loro attacchi. È il cedro del Libano che resta incrollabile in mezzo alle tempeste, è il martire che sul rogo canta il suo Credo; è la verginella che dal fondo della solitudine manda al mondo questi sublimi accenti: « Quando tutti gli uomini-cangiassero di religione, e riunissero i loro sforzi per farmi titubare nella mia fede, non guadagnerebbero nulla. Mi parrebbe di vincerli tutti con la forza della fede: essa è cosi profondamente radicata nel mio cuore che lo stesso inferno con tutte le sue legioni non sarebbe capace a scuoterla. » – Si capisce che generosità di cuore dee produrre una conoscenza cosi rilevante e cosi sicura delle cose divine. « Mercé il dono d’intelletto, esclamava Davide, io amo i comandamenti del mio Dio a petto all’oro e al topazio. » [Ps. CXVIII]. – Di qui nasce il fervore in servigio di Dio, la resistenza vittoriosa alle tentazioni, il disprezzo del mondo e de’ suoi falsi beni: la pazienza nel dolore, la rassegnazione nella povertà, il sacrificio di sé per gli altri, il distacco della vita, e la costante aspirazione verso la futura realtà. Cotali disposizioni, tradotte in atti pubblici, diventano per le famiglie, per le città e per le campagne, per tutta quanta la città, una fonte di virtù che nobilitano l’umanità, di benefici che la consolano, e di sacrifici che la preservano dai castighi tante volte meritati a cagione delle iniquità del maggior numero. – 3° Qual è la necessità del dono d’intelletto? La risposta a questo quesito era in quel che già si è detto. Il dono d’intelletto produce effetti positivi ed effetti negativi. Come l’abbiamo già visto, gli effetti positivi sono di illuminare lo spirito e nobilitare il cuore. Ora niente è più necessario di questa duplice azione dello spirito d’intelligenza. Voi avete la fede, e credete che Dio è dappertutto, che vi vede, che vi sente e che vi giudicherà. – Avete la fede, e credete che la grande vittima sacrificata sul patibolo del Calvario è il vostro Dio e il vostro modello. Avete, la fede, e sapete d’avere un’anima da salvare, non ne avete che una, e nessun altro che voi può salvarla: e che se la perdete, sarete eternamente la più infelice delle creature. Voi avete la fede, e credete che un solo peccato mortale condanni a tormenti senza fine. Voi avete la fede, e credete che la religione creduta e praticata, non secondo i vostri capricci, ma come Dio la vuole e come la Chiesa l’insegna, è l’unico mezzo di evitare l’inferno e di meritare il cielo. – Voi credete fermamente tutte queste verità. Donde deriva frattanto che facciano cosi poca impressione sopra di voi? Perché non capite: e voi non capite perché il dono d’intelletto vi manca. Dio, co’ suoi diritti, il battesimo con i suoi impegni, la vita col suo fine, l’eternità co’ suoi spaventi ed i suoi splendori, vi appariscono come tante ombre lontane e fuggitive. Di tutte queste grandi realtà non avete che una conoscenza vaga, confusa, secca e sterile. Avete occhi e non vedete; orecchie e non udite; una volontà e non volete. Frutto del dono d’intelletto il senso cristiano, questo sesto senso dell’uomo battezzato vi manca. [“Nos autem sensum Christi habemus”. I Cor., II, 16]. – Esso manca alla maggior parte degli uomini d’oggidì e ad un troppo grande numero di donne. Manca alle famiglie, manca alla società, manca ai governanti ed ai governati, manca al mondo attuale. O Mondo di pretesi lumi e di preteso progresso! non ti resta se non che un ultimo voto da formare, ed, è che lo spirito d’intelletto ti sia dato di nuovo, e ti mostri a nudo l’abisso inevitabile, verso il quale ti conduce a grandi passi lo spirito di tenebre, tornato ad essere, in punizione del tuo orgoglio, la tua guida e il tuo maestro. [“Gens absque oonsilio est et sine prudentia : utinam saperent et intelligerent, ac novissima providerent”. Deut., XXXII, 28, 29]. – Difatti, rispetto a questo dono, come rispetto agli altri, l’uomo trovasi posto in una alternativa dalla quale non può sfuggire. Vivere sotto l’influenza dello spirito d’intelletto, o sotto l’influenza dello spirito opposto: non vi è via di mezzo. La partenza dell’uno è immediatamente seguita dall’arrivo dell’altro. Qual’è questo spirito contrario al dono d’intelletto? Sant’Antonino risponde: che è lo spirito di gola. [“Spiritus intellectus removet spiritum gulae quae mentem offuscat ut nihil spiritale valeat intelligere, fumositatibus repleto cerebro”. VI p., tit. X, p. 153]. -Come giustificare l’affermazione del grande dottore? Mostrando ciò che è la gola in sé medesima e nei suoi effetti. – La gola è l’amore sregolato del bere e del mangiare. È il sensualismo che usurpa il luogo dello spiritualismo. È la carne vittoriosa nella sua lotta contro lo spirito. – Col mangiare, l’uomo si pone nella maniera più intima in comunicazione con le creature materiali, creature inferiori a lui e tutte ripiene di maligne influenze del demonio. Essendo sotto qualsivoglia titolo sregolato, il mangiare, fa prevalere la vita dei sensi sulla vita dello spirito, il corpo sull’anima. Se lo sregolamento si muta in abitudine, concatena ai cibi il pensiero, la vista, il gusto, l’odorato, e getta l’uomo in ginocchio dinanzi al dio ventre.- Il primo effetto di un tal disordine è l’indebolimento dell’intelligenza, hebetudo. L’anima e il corpo sono tra di loro come i due piatti di una bilancia, quando uno sale, e l’altro scende. Per l’eccesso del bere e del mangiare, l’organismo si sviluppa, e lo spirito s’indebolisce, si aggrava e diviene pesante, pigro, inabile allo studio ed alle funzioni puramente intèllettuali: questo risultato è forzato. Dimmi chi pratichi, io ti dirò chi sei. L’uomo in contatto intimo, abituale e colpevole con la materia, con l’animalità, diventa materia, diventa bestia, animalis homo. Di qui quel vecchio dettato: « Colui che mangia una volta al dì è un Dio; uomo quegli che mangia due volte, e bestia chi mangia tre volte.» [“Qui semel est, Deus est; homo qui bis; bestia, qui ter.”]. – L’esperienza conferma il dettato: quanto più si mangia, tanto meno si pensa. Quanto più si mangia delicatamente, tanto meno si pensa sensatamente: «La buona faccia, dice la Scrittura, è incompatibile con la sapienza. » [“Sapientia non habitabit in terra suaviter viventium”. Job., XXXVIII, 18]. – E altrove: « Io ho risoluto.di astenermi dal vino, all’oggetto di applicare la mia mente alla sapienza. » [“Cogitavi in corde meo abstrahere a vino caraem meam, ut animum meum transferrem ad sapientiam“. Eccl.,II. 3]. – Nessun genio fu mai goloso. I più illuminati degli uomini, i santi sono stati tanti modelli di sobrietà. Mercé il loro trionfo sulla materia, essi si erano spiritualizzati sino al punto da vedere la verità, per cosi dire, faccia a faccia e senza velo. – Avviene diversamente a chi è schiavo della gola. Le verità più importanti sono per lui come se le non fossero: ei non capisce niente, e non è guari più commosso che da una favola o da una chimera. San Paolo verificava il fatto, or sono 1800 anni. «L’uomo animale, dice, non comprende nulla di ciò che riguarda il dominio dello spirito di Dio. » [“Animalis autem homo non percipit ea quae sunt Spiritus Dei”. I Cor., II, 14]. Ora, ciò che è del dominio dello Spirito Santo, è, né più, né meno, il magnifico complesso di verità, di leggi, d’armonie, di bellezze delle quali l’universo è il raggio. – « Lo specchio appannato e sudicio, aggiunge un Padre, non riflette distintamente l’immagine degli oggetti. – Cosi l’intelletto, oscurato dai fumi delle vivande e ebetito dalla sovrabbondanza degli alimenti, non scorge più la verità. » [“Speculum sordibus obsitum non exprimit distincte objectam formam, et intellectus saturitate obtusus ae hebetatus non suscipit Dei cognitionem”. S. Nilus, Tract, de octo spiritib. malit., c. II]. – San Crisostomo tiene lo stesso linguaggio; «Nulla di più pernicioso della gola, né di più ignominioso: essa rende lo spirito ottuso e grossolano, l’anima carnale; acceca l’intelletto, né gli permette di vedere più nulla. » [“Nihil gula perniciosius, nihil ignominius; haec obtusum et crassum ingenium, haec carnalem animam reddit; haec excaecat intellectum, nec sinit ut quidquam percipiat. Homil, XLIV in Joan.]. – Intorno a questo punto, come intorno a tutti gli altri, la Chiesa è dunque l’organo infallibile di una legge fondamentale, quando nel prefazio della Quaresima essa ricorda al mondo intero quelle verità così poco intese a’ giorni nostri. « Il digiuno reprime le viziose inclinazioni del corpo, eleva lo spirito, dà il vigore e la virtù, e conduce alla vittoria: “Vitia comprìmis, mentem elevas, vìrtutem largiris et praemia. » – Il secondo effetto dello spirito di gola, è la folle gioia, “inepta laetitia”. La carne divenuta per l’eccesso degli alimenti padrona dello spirito, manifesta il suo insolente trionfo. Risa immoderate, facezie ridicole, proposizioni spessissimo oscene, gesti inconvenienti o puerili, canti, grida, balli, piaceri rumorosi, feste teatrali, sono l’inevitabile espressione. « Il popolo, dice la Scrittura, si pone a sedere per bere e per mangiare, e si alza per giocare. » [“Sedit populus manducare et bibere, et surrexerunt ludere”. Exod. XXXII, 6]. – E altrove : « Godiamo del miglior Vino e dei profumi, incoroniamoci di rose; che nulla sfugga ai nostri diletti. » – “Vino pretioso et unguentis nos impleamus…. coronemus nos rosis, nullum pratum sit, quod non pertranseat lux uria nostra”. Sap., XI, 7, 8; Is.., XXII, 13 et LVI, 12]. – Altrove ancora: « Il vino getta l’anima nella spensieratezza e nella allegria. » [“Vinum omnem mentem convertit in securitatem. et jucunditatem”. III Esdr., III, apud S. Th. 2a, 2ae, q. 148, art. 6, corp.]. – Questo fatto, tanto spesso ripetuto nei sacri libri non è sfuggito all’ osservazione di san Gregorio. « Quasi sempre, dice, la buona cera è accompagnata dalla voluttà. Allorché il corpo si diletta nel godimento del cibo, il cuore si spande in folli gioie. [“Pene omnes epulas comitatur voluptas; nam cum corpus in refectionis delectationem resolvitur, cor ad inane gaudium relaxatur”. Moral., lib. I, c. IV]. – Ogni popolo spensierato, è un popolo di ballerini: tale é l’assioma formulato dalla filosofia e confermato dall’esperienza. In tutte le epoche si veggono i piaceri della tavola precedere le manifestazioni della gioia sensuale, e quelle manifestazioni di sangue ed oscene, sono sempre in ragione diretta della causa che le produce. – Ora, che vuol dire tutto questo, se non l’indebolimento visibile dello spirito d’intelletto? Lo schiavo della gola non comprende più la natura, nè la condizione fondamentale della vita terrena. La vita è una prova, o come dice il concilio di Trento, una penitenza perpetua: “Vita Christiana quae est perpetua paenitentia”. Il goloso, finché può, ne fa un godimento perpetuo. Egli dimentica, disconosce, ha in orrore la parola del giudice supremo: “Se voi non fate penitenza, perirete tutti, niuno eccettuato”. [Luc . XIII, 3]. – Compromettere la sua salute, calpestando le leggi del digiuno e dell’astinenza, gli costa meno che il bere un bicchier d’acqua. È il profano Esaù che vende il suo diritto di primogenitura per un piatto di lenticchie, e se ne va, curandosi poco di ciò che ha fatto : “Abiit parvi pendens”. – Il terzo effetto della gola é l’immodestia, immunditia. – Immodestia di parole, immodestia di gesti, immodestia di sguardi, immodestia di pensieri, immodestia di azioni: questi tristi effetti dell’eccesso del bere e del mangiare sono troppo incontrastabili, perché vi sia bisogno di stabilirne la genealogia. – Ricordiamo soltanto alcuni degli assiomi della universale sapienza: “Chi nutrisce con delicatezza la sua carne sopporterà vergognose ribellioni”. — Lo schiavo grasso e corpacciuto disobbedisce. — Non vi è cosa più lussuriosa del vino. — Nel vino risiede la lussuria. — La gola è madre della lussuria, e il carnefice della castità. — Essere goloso, e pretendere di esser casto, è volere spengere un incendio con l’olio. — La gola è lo spengitoio dell’intelligenza. — Il goloso è un idolatra; egli adora il dio ventre. — Il tempio del dio ventre è la cucina: l’altare, la tavola: i sacerdoti i cuochi: le vittime, i piatti: l’incenso, l’odore delle vivande: questo tempio è la scuola dell’impurità. — La moltitudine dei piatti e delle bottiglie attrae la moltitudine degli spiriti immondi: il più cattivo di tutti, é il demonio del ventre. — La salute fisica e morale dei popoli, si calcola dal numero dei cuochi. [Vedi i testi nella nostra opera : Il segno della croce nel XIX secolo, lettera 19]. – Giunto a un certo grado, lo spirito di gola conduce il suo schiavo all’ubriachezza ed alla crapula, alla trascuratezza degli affari, alla perdita della fortuna, alla miseria ed alla rovina della salute. Mantenendo nell’uomo la subordinazione naturale del corpo rispetto all’anima, lo spirito d’intelletto diviene la salute dell’uno e dell’altro. [“Per sapientiam sanati sunt quicumquem placuerunt tibi, Domine, a principio”. Sap., IX, 9. — “Sanitas est anima et corpori sobrius potus”. Eccl, XXXI, 37, etc., etc.]. – Per la contraria ragione, lo spirito di gola che rompe l’equilibrio, produce infallibilmente la malattia. – Per l’anima, la malattia è l’indebolimento della ragione e dell’intelletto, per il corpo, è il patimento seguito da morte. Ascoltiamo tremando i diversi oracoli. “La gola uccide più uomini che la spada”. [Eccl., XXXI, 23 et XXXVII, 34]. – Cosi Nabuccodonosor, Faraone, Alessandro, Cesare, Tamerlano e tutti i carnefici coronati, che cuoprirono il mondo di cadaveri, hanno fatto perire meno uomini della gola. Ciò che è vero degli individui, è vero altresì dei popoli. – Quando lo Spirito d’ingordigia, vale a dire, di gusti, di delicatezze, d’eccessi negli alimenti, del lusso della tavola, o come si parla oggi, dell’amore del confortabile, s’impadronisce di un’epoca, voi vedrete estendersi nelle stesse proporzioni, l’indebolimento dell’intelligenza, l’abbrutimento dell’umanità e l’intisichimento della razza. A quest’epoca che si vanterà dei suoi lumi, non parlate né del mondo soprannaturale, né delle sue leggi, né de’ suoi agenti, né de’suoi rapporti incessanti col mondo inferiore, essa non comprenderà: “Animalis homo non percipit”. – Le rimane appena intelligenza per apprezzare, come l’animale, ciò che vede co’ suoi occhi e tocca con le sue mani; per dirigere una operazione mercantile, concepire una speculazione di borsa, costruire delle macchine, fabbricare dei tessuti e giudicare delle qualità di un prodotto. I suoi lumi non vanno al di là. – L’attività umana, l’industria e la civiltà si riferiranno al culto dei sensi. Per praticarlo in tutto il suo splendore, egli si stabilirà mille professioni più materiali e più matèrialiste le une delle altre. – La stessa politica procederà in questa via. Invece di essere l’arte di moralizzare i popoli, sarà l’arte di materializzarli. – Allorché i continui assalti scuotono tutti i dommi, fondamenti delle società e dei troni, ella se ne inquieterà poco. Ma se perviene a metter l’uomo in istato di ben mangiare, di bere bene, di ben digerire e di ben dormire, essa crederà aver adempiuto ogni giustizia, e proclamerà che tutto è per il meglio nel migliore dei mondi. – Politica da educatori di bestie! chi è colui che capisca più, che l’uomo non vive solamente di pane, e che un popolo non si rigenera ingrassandolo? Politica da ciechi! che conduce il mondo ad una ripetizione di Ninive con Sardanapalo, di Babilonia con Baldassarre, di Roma con Eliogabalo. Ma allora, dall’uomo divenuto carne si ritrarrà lo spirito di Dio; e come gli imperi che abbiamo nominati, cosi il mondo perirà soffocato nella cloaca dei suoi costumi. – Tendiamo forse noi a questo? Quello che noi possiamo affermare, poiché colpisce gli occhi di tutti, è il disprezzo generale del sacerdote rappresentante dell’ordine morale: è il discredito delle scienze che non hanno per oggetto diretto l’aumento del benessere; è la difficoltà sempre crescente di far entrare in capo ai fanciulli le verità elementari della religione; è nelle generazioni formate, l’indebolimento visibile del sentimento cristiano, e la stupida indifferenza per tutto ciò che s’innalza al di sopra del livello degli interessi materiali; è rammento rapido delle taverne e dei luoghi ove si mangia. [Dall’ultimo censimento fatto in Francia costoro avevano raggiunto la cifra mostruosa di 500,000, in seguito non hanno diminuito, ma tutt’al contrario]. Che cosa provano, con mille altri, questi fenomeni fin qui sconosciuti? Quello che provano, è il dilagamento del sensualismo. Ciò che provano è che noi camminiamo a gran passi verso quella indescrivibile epoca della decadenza romana, dove la vita si compendiava in due parole: pane e piaceri, panem et circenses. Quel che provano infine, è che una infinità d’uomini sono caduti dalle altezze dello spiritualismo cristiano per vivere unicamente di sensi, con i sensi e per i sensi. Ora, non bisogna dimenticarlo: gli uomini parassiti o avidi di godimenti diventano ingovernabili. Lo schiavo ingrassato si ribella; [“Incrassatus…. recalcitravit : incrassatus, impinguatus, dilatatus, dereliquit Deum”. Deuter., XXXII, 15.]; s’ei giunge a svincolarsi dalle sue catene, le spezza sul capo di quelli che chiama suoi tiranni. Allora i delitti succedono ai delitti, le catastrofi alle catastrofi, i dolori ai dolori. Preservarci da simili calamità è il benefìzio viepiù necessario del dono d’intelletto. È egli facile misurarne l’estensione?