S.S. GREGORIO XVII – Omelia per S. Giovanni, 24-6-1986

arca s.giov.

Tra la fine dell’XI e l’inizio del XII sec. si verificano a Genova due eventi di grande rilievo: nasce il Comune e i Genovesi partecipano trionfalmente alla prima Crociata. Genovesi, Baresi e Veneziani da tempo erano alla ricerca delle reliquie di San Nicola a Myra, in Asia minore; al ritorno dalla prima crociata, sotto la guida di Guglielmo Embriaco, i Genovesi sbarcarono in quei luoghi scoprendo di essere stati preceduti dai Baresi. Temendo un raggiro dei monaci scavarono comunque sotto l’Altare Maggiore e rinvennero così le ceneri di San Giovanni Battista; l’arrivo delle Ceneri a Genova su tre vascelli nel 1098 fu un avvenimento memorabile per la città e viene rievocato dalla suggestiva Sfilata del Corteo Storico in occasione della Regata delle Repubbliche Marinare che si svolge ogni anno, a rotazione nelle quattro città. La devozione al Santo cominciò a farsi sempre più fervente e a riflettersi in molti campi: iniziarono a sorgere numerose cappelle pubbliche e private oltre che edicole sacre dedicate al Battista. – Alla fine del Duecento si istituì la Confraternita intitolata a San Giovanni, con il compito di accompagnare le reliquie al Molo in caso di tempesta in mare; nel 1327 la Repubblica proclamò il Santo Patrono di Genova, affiancandolo a San Giorgio e San Lorenzo, decretando una processione da tenersi ogni anno. – Le ceneri di San Giovanni sono conservate nella cattedrale di Genova, luogo dove il Santo Padre in esilio, Giuseppe Siri, S. S. Gregorio XVII, di felice memoria, svolgeva il suo ufficio di Arcivescovo, mentre a Roma il “vicario dell’anticristo” dava inizio e proseguimento all’opera demolitiva della Santa Chiesa Cattolica. Ecco perché in ogni omelia di questo giorno il Santo Padre ricordava l’evento. Così avvenne anche il 24 giugno del 1986, tre anni circa prima della sua morte, avvenuta il 2 maggio del 1989. Riportiamo qui alcuni passaggi di quella omelia [da: omelie per l’anno liturgico]:

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“La divina liturgia nella solennità di S. Giovanni Battista in questa cattedrale freme, perché questa cattedrale custodisce da nove secoli quello che rimane di lui, le sue ceneri. – Ma dobbiamo guardare a lui. Ecco il quadro nel quale egli risalta. La storia dell’umanità intera si divide in due parti: avanti Cristo e dopo Cristo, e questo può essere dimostrato, anche se non è l’oggetto del mio parlare ora. Quest’uomo ha fatto il collegamento tra la prima e la seconda parte. Ha riassunto la prima, portandosi con la dignità e la fortezza di Elia, il più grande profeta dell’Antico Testamento, e ha aperto la seconda parte, facendo il precursore di Cristo. Questo è il quadro nel quale bisogna vedere S. Giovanni Battista. – Ma siccome la sua figura deve insegnare qualche cosa a noi, ecco mi domando: quale è stata la più grande virtù di S. Giovanni Battista? E stata la fedeltà. Quando gli hanno domandato se era lui il Messia, ha detto: “No, io non lo sono. Verrà uno dopo di me del quale io non sono degno neppure di sciogliere il legaccio dei calzari” (Gv. I, 27). Quando gli è stata rivolta in una seconda occasione la stessa domanda, ha risposto: “Io sono soltanto la voce che grida nel deserto” (Gv I, 23), insegnando questo: che un uomo vale quanto la sua missione, che se non la adempie vale nulla! Egli non era altro che la voce, cioè l’annunziatore di Cristo, il resto non lo riguardava. – Per essere fedele a questa missione visse nel deserto, vestì una tunica di peli di cammello, e tutti possono immaginare quanto fosse delizioso il portarla; visse di schiacciate di locuste (forse noi ne avremmo un profondo ribrezzo) e di miele selvatico. Abbiamo notato, quando circa quarant’anni fa, ho fatto esaminare le sacre ceneri nell’istituto di patologia della Università di Genova, che il responso scientifico dato tra l’altro portava questo: il soggetto di queste ceneri deve aver condotto una vita non di lavoro manuale, ma di lavoro spirituale ; non si trovano le tracce di fatica da lavoro. La fedeltà della missione, e cioè il dovere di prepararla degnamente, lo portò nel deserto e vi restò fin quasi a trent’anni. La fedeltà: quando i suoi discepoli gli parlarono di Gesù e, invidiosi, facevano notare che riempiva di miracoli lo spazio e il tempo, egli disse semplicemente: “E necessario che Lui cresca e io diminuisca” (Gv 3, 30). – La fedeltà lo rese rigido nella vita morale e nella asserzione della morale, e quando questo lo pose in opposizione ad Erode, accettò la prigione e accettò la morte. È morto martire per difendere la dignità dell’istituto familiare quale lo voleva Dio e resta ancora oggi “il martire di questa fedeltà alla legge di Dio nell’ordinamento della famiglia”, che parte della legislazione moderna ha sconquassato, con questo sconquassando tutto, perché quelli che vedranno, vedranno anche le conseguenze di questo, di questa sfida a Dio!Quest’uomo fedele si leva tra l’una e l’altra parte di storia del genere umano con questa caratteristica, e con questa caratteristica dice anche la sua voce di condanna, che sappiamo bene cade su coloro che non sono fedeli a Cristo. Così sia.

I fuochi di san Giovanni.

I fuochi di san Giovanni.

[Dom. Guéanger, l’anno liturgico, vol. II]

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Tre Messe celebravano la nascita di Giovanni, come quella di Colui che egli fece conoscere alla Sposa: la prima, di notte, ricordava il suo titolo di precursore; la seconda, allo spuntare del giorno, onorava il suo battesimo; l’ultima, a Terza, esaltava la sua santità (Sacr. Gregor. Amal. pseudo Alcuino, Ord. Rom.). Inoltre, come vi erano una volta due Mattutini nella notte di Natale, Durando di Mende ci riferisce, insieme con Onorio di Autun, che parecchi celebravano nella festa di san Giovanni, un duplice Ufficio {Ration., 7, 14). Il primo cominciava al tramonto; era senza alleluja, per significare il tempo della Legge e dei Profeti che durò fino a Giovanni (Lc. XVI, 16). Il secondo, si iniziava nel cuore della notte e terminava all’aurora; veniva cantato con alleluja, per indicare l’inizio dei tempi della grazia e del regno di Dio (ibid.). – La letizia, che è il carattere specifico di questa festa, dilagava anche fuori dei luoghi santi, e si spandeva finanche sui Musulmani infedeli. Se a Natale il rigore della stagione confinava accanto al focolare domestico le commoventi manifestazioni della pietà privata, lo splendore delle notti della solennità estiva porgeva alla viva fede dei popoli l’occasione di rifarsi. Completava così quello che le sembrava l’insufficienza delle sue dimostrazioni verso il Bambino Dio, con gli onori resi al Precursore nella sua culla. Appena si spegnevano gli ultimi raggi del sole, dal lontano Oriente fino all’estremo Occidente, sull’intera superficie del mondo, immensi falò si levavano dalle montagne, e salivano d’un tratto da tutte le città, in ogni borgata, nei più piccoli villaggi. Erano i fuochi di san Giovanni: testimonianza autentica, e continuamente rinnovata, nella verità delle parole dell’Angelo e della profezia la quale annunciava quella gioia universale che doveva salutare la nascita del figlio di Elisabetta. – Come una lampada ardente e risplendente, secondo l’espressione del Signore, egli era apparso nella notte senza fine. Per un tempo, la sinagoga aveva voluto rallegrarsi ai suoi raggi (Gv. V, 35); ma, poi sconcertata dalla sua fedeltà che le impediva di sacrificarsi per Cristo e per la vera luce (ibid. 1, 20), irritata alla vista dell’Agnello che Giovanni mostrava come la salvezza del mondo e non più soltanto di Israele (ibid. 29), si era rivolta subito nuovamente verso la notte e aveva messo da se stessa ai propri occhi la benda che la faceva rimanere nelle tenebre fino ai nostri giorni. Grata a colui che non aveva voluto né mutilare né ingannare la Sposa, la gentilità lo esaltò tanto più quanto più egli si era umiliato; raccolse gli ideali che avrebbe dovuto custodire la sinagoga ripudiata, e manifestò con tutti i mezzi in suo potere che, senza confondere la luce avuta dal Precursore con lo splendore del Sole di giustizia, ne salutava tuttavia con entusiasmo quella luce che era stata per l’umanità l’aurora dei gaudi nuziali.

Antichità dei fuochi di San Giovanni.

Si potrebbe quasi dire dei fuochi di san Giovanni che risalgono all’origine stessa del cristianesimo. Per lo meno, appaiono fin dai primi tempi della pace, come un frutto dell’iniziativa popolare, non senza stimolare talvolta la sollecitudine dei Padri e dei concili, pronti ad allontanare qualunque idea superstiziosa di manifestazioni che volessero sostituire, del resto così felicemente, le feste pagane dei solstizi. – Ma la necessità di combattere alcuni abusi, possibili oggi come allora non impedì alla Chiesa di incoraggiare un genere di manifestazioni che rispondeva così bene al carattere della festa. [I pagani celebravano da lungo tempo il solstizio d’estate, il 24 giugno, con fuochi di allegria in onore del sole. I cristiani adottarono tale usanza, In onore di colui che, fiaccola ardente fu il Precursore della vera luce (DAC, V, c. 1468)]. – I fuochi di san Giovanni completavano felicemente la solennità liturgica; mostrando unite in uno stesso pensiero la Chiesa e la città terrena. Infatti, l’organizzazione di questi festeggiamenti spettava ai comuni, e i municipi ne sopportavano tutte le spese. Così, il privilegio di accendere i fuochi era riservato di solito alle personalità eminenti nel campo civile. Gli stessi re, prendendo parte alla gioia di tutti, si facevano un onore di dare questo segnale di allegria ai loro popoli; Luigi XIV, nel 1648, mise ancora il fuoco alla pira della piazza di Grève, come avevano fatto i suoi predecessori. D’altronde, come si usa sempre in parecchi luoghi della cattolica Bretagna, il clero, invitato a benedire le cataste di legna, vi gettava poi la prima torcia, mentre la folla, recando altre torce accese, si spargeva nelle campagne intorno alle messi in maturazione, oppure seguiva sulle rive del mare le sinuosità della costa, con grida di gioia a cui rispondevano i fuochi accesi nelle vicine isole.

La « Girandola »

In alcuni luoghi, la girandola, disco infuocato che girava su se stesso e percorreva le strade della città o scendeva dalla cima dei monti, rappresentava il moto del sole che raggiunge il punto più alto della sua corsa per ridiscenderne subito; richiamava così le parole del Precursore riguardo al Messia: Bisogna che egli cresca e che io diminuisca (Gv. III, 30). Il simbolismo era completato dall’usanza che si aveva di bruciare le ossa e gli avanzi di ogni specie, in quel giorno che annunciava la fine della legge antica e l’inizio dei tempi nuovi, secondo il detto della Scrittura: Rigetterete ciò che è vecchio all’arrivo dei nuovi beni (Lev. XXVI, 10). – Beate le popolazioni che conservano ancora qualcosa delle usanze a cui la semplicità dei nostri padri attingeva una letizia più vera e più pura certamente di quelle chieste dai loro successori a certe feste in cui l’anima non prende più parte.

S. MASSIMO VESCOVO E CONFESSORE

MASSIMO VESCOVO E CONFESSORE

[23 GIUGNO – I Santi per ogni giorno dell’anno; Pia Soc. S. Paolo, Roma, 1933]

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A Torino, nell’anno 380 circa nacque il nostro santo da nobile famiglia cristiana. I suoi parenti dopo avergli impartita una educazione seria e santa, pensavano fare di lui un valente magistrato, ed a tal fine lo mandarono a Roma, a perfezionarsi negli studi dell’eloquenza e della filosofia, come usavano i figli dei nobili d’allora. Furono tali i suoi progressi, che salì presto in voce di uno dei primi oratori del suo tempo, e venne tosto laureato in Filosofia. – Però al vedere tante miserie e calamità, che in quei tempi erano spaventose, Massimo decise di consacrarsi totalmente al servizio del Signore. Era allora Pontefice S. Innocenzo I, nativo di Alba in Piemonte, il quale non poté stare indifferente a tanta virtù che si manifestava in Massimo. Perciò quando questi decise di darsi a Dio, lo animò ad essere perseverante negli studi per prepararsi degnamente al sacerdozio. – Ordinato sacerdote, e laureato in Sacra Teologia, si diede con zelo instancabile ad esercitare il sacro ministero, specialmente fra la gente povera di Roma. Tanto ardore fece impressione al santo Pontefice, che, illuminato dallo Spirito Santo, ordinò Massimo Vescovo, e lo mandò a Torino, sua città natia, a reggere quel popolo, e me primo loro pastore. Quantunque i Taurini fossero ancora in gran parte pagani, tuttavia lo zelantissimo apostolato di S. Massimo in pochi anni li vinse, e molti ricevettero il battesimo. – Abilissimo e dotto scrittore ci lasciò copiosissime omelie, ed altre opere. Le continue incursioni barbariche avevano di molto impoverito il popolo della campagna, onde questo ricorreva alla città per potersi sfamare. Il cuore paterno e generoso di Massimo sanguinava al veder tanti suoi figli così ridotti, onde cercava di sollevarne quanti più poteva. Ogni giorno distribuiva il cibo necessario a quanti gli era possibile, e la sua casa era sempre rigurgitante di derelitti e di mendici. – La sua carità giunse a tal segno, da divenirne suo distintivo precipuo; ed ai forestieri che domandavano dove abitasse il vescovo, veniva risposto: “Là, ove troverete tutti i mendici alla porta, ivi è la casa di Massimo”. – Che ancor non fece per il suo gregge? Durante una lunga siccità, egli stesso, vecchio di oltre 60 anni, fece un pellegrinaggio a piedi, da Torino a Roma sulle tombe di S. Pietro e di S. Paolo, dei quali era devotissimo. Infatti per le fervide preghiere del Santo pastore cessò la siccità; la pioggia venne abbondante e benefica, e al suo ritorno Massimo fu accolto trionfalmente dai suoi fedeli. – Figlio tenero di Maria, predicò senza riposo la divina sua Maternità e Verginità e stabili a Torino un culto tale alla Consolata, che Papi e principi vi andavano a pregarLa. La Consolata, detta la Madonna di S. Massimo, diventò la roccaforte della città, ed ancor oggi se ne ammira il quadro originale nella sua sontuosa basilica. Per esso Torino fu chiamata la città di Maria SS. – Inoltre manifestò pure la sua sapienza al concilio di Milano dove confutò sapientissimamente gli errori di Nestorio e di Eutiche, e anatematizzò tremendamente quelli che falsificavano la divina incarnazione del Verbo. – Finalmente dopo tante fatiche, si riposò nel Signore, andando a godere in cielo il premio del suo immenso lavoro.

FRUTTO. — Ad imitazione di S. Massimo consacriamoci al Signore fin dalla nostra giovinezza.

PREGHIERA. — O Signore, che ad istruire i popoli, hai decorato il Beato Alassimo, tuo Confessore e Vescovo, concedi che, seguiti i suoi esempi, possiamo anche noi giungere in Paradiso. Così sia.

 

I 5 Salmi del Nome di Maria

I 5 Salmi del Nome di Maria

Davide-renome di MariaMaria Regina

[ … per cui Pio VII, 13 giugno nel 1815, accordò ai fedeli tutti ogni volta: indulgenza di 7 anni e 7 quarantene; indulg. Plen. una volta al mese ad arbitrio a chi li avrà recitati per un mese intero, conf. e comun. pregherà secondo la mente del S. Pontefice (Gregorio XVIII, successore di Gregorio XVII, Card. Siri –ndr.-); Indulg. Plen. nella festa del Nome di Maria, alle sudd. condizioni a chi li avrà recitati di frequente tra l’anno – Manuale di Filotea del sac. G. Riva; XXX ed. Milano 1888-Imprim.]. Il Nome sublime e dolcissimo di Maria risulta composto dalla prima lettera di ogni salmo.

-I-

Magnificat : – “M

Ant. Mariæ Nomen.

“Magníficat anima mea Dóminum.

Et exsultávit spíritus meus: in Deo, salutári meo.

Quia respéxit humilitátem ancíllæ suæ: ecce enim ex hoc beátam me dicent omnes generatiónes.

Quia fecit mihi magna, qui potens est: et sanctum nomen eius.

Et misericórdia eius, a progénie in progénies: timéntibus eum.

Fecit poténtiam in bráchio suo: dispérsit supérbos mente cordis sui.

Depósuit poténtes de sede: et exaltávit húmiles.

Esuriéntes implévit bonis: et dívites dimísit inánes.

Suscépit Israël púerum suum: recordátus misericórdiæ suæ.

Sicut locútus est ad patres nostros: Ábraham, et sémini eius in sǽcula”.

Gloria Patri, etc.

Ant. Mariæ Nomen cunctas illustrat ecclesias, quia fecit mihi magna qui potens est, et sanctum Nomen ejus.

 

-II-

Salmo CXIX – A

Ant. A solis ortu.

“Ad Dominum cum tribularer clamavi, et exaudivit me.

Domine, libera animam meam a labiis iniquis et a lingua dolosa.

Quid detur tibi, aut quid apponatur tibi ad linguam dolosam?

Sagittae potentis acutæ, cum carbonibus desolatoriis.

Heu mihi, quia incolatus meus prolongatus est! habitavi cum habitantibus Cedar; multum incola fuit anima mea.

Cum his qui oderunt pacem eram pacificus; cum loquebar illis, impugnabant me gratis”.

Gloria Patri, etc.

Ant. A solis ortu usque ad occasum. Laudabile Nomen Domine et Mariæ matris ejus.

-III-

Salmo CXVIII – [Ghimel] – R

Ant. Refugium est.

“Retribue servo tuo, vivifica me, et custodiam sermones tuos.

Revela oculos meos, et considerabo mirabilia de lege tua.

Incola ego sum in terra, non abscondas a me mandata tua.

Concupivit anima mea desiderare justificationes tuas in omni tempore.

Increpasti superbos; maledicti qui declinant a mandatis tuis.

Aufer a me opprobrium et contemptum, quia testimonia tua exquisivi.

Etenim sederunt principes, et adversum me loquebantur; servus autem tuus exercebatur in justificationibus tuis.

Nam et testimonia tua meditatio mea est; et consilium meum justificationes tuae.

Adhæsit pavimento anima mea; vivifica me secundum verbum tuum.

Vias meas enuntiavi, et exaudisti me; doce me justificationes tuas.

Viam justificationum tuarum instrue me, et exercebor in mirabilibus tuis.

Dormitavit anima mea præ tædio; confirma me in verbis tuis.

Viam iniquitatis amove a me, et de lege tua miserere mei.

Viam veritatis elegi; judicia tua non sum oblitus.

Adhæsi testimoniis tuis, Domine; noli me confundere.

Viam mandatorum tuorum cucurri, cum dilatasti cor meum”.

 

Ant. Refugium est in tribulationibus: Mariæ Nomen omnibus illud invocantibus.

 

-IV-

Salmo CXXV – I

Ant. In universa terra.

“In convertendo Dominus captivitatem Sion, facti sumus sicut consolati.

Tunc repletum est gaudio os nostrum, et lingua nostra exsultatione.

Tunc dicent inter gentes: Magnificavit Dominus facere cum eis.

Magnificavit Dominus facere nobiscum; facti sumus lætantes.

Converte, Domine, captivitatem nostram, sicut torrens in austro.

Qui seminant in lacrimis, in exsultatione metent.

Euntes ibant et flebant, mittentes semina sua.

Venientes autem venient cum exsultatione, portantes manipulos suos”.

 

Ant. In universa terra: admirabiles Nomen tuum, o Maria.

 

-V-

Salmo CXXII – A

Ant. Annunciaverunt.

Ad te levavi oculos meos, qui habitas in cœlis.

“Ecce sicut oculi servorum in manibus dominorum suorum;

sicut oculi ancillæ in manibus dominæ suæ: ita oculi nostri ad Dominum Deum nostrum, donec misereatur nostri.

Miserere nostri, Domine, miserere nostri, quia multum repleti sumus despectione;

quia multum repleta est anima nostra opprobrium abundantibus, et despectio superbis”.

Ant. Annunciaverunt cœli, Nomen Mariæ; et viderunt omnes populi gloriam ejus.

V.: Sit Nomen Virginis Mariæ benedictum.

R.: Ex hoc nunc ed usque in speculum. 

Oremus.

“Concede quæsumus Omnipotens Deus, ut fidelis tui, qui sub sanctissimo virginis Mariæ Nomine et protectione lætantur, ejus pia intercessione, a cunctis malis liberentur in terris, et ad gaudia æterna pervenire mereantur in cœlis. Per Dominum, etc.”

CORONA DELLE SANTE PIAGHE Dì N.S.G.C.

CORONA DELLE SANTE PIAGHE Dì N.S.G.C.

o della Misericordia.

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Questa corona comincia con !e seguenti preghiere:

I– O Gesù divin Redentore, siate misericordioso per noi e per il mondo intero, – Amen.

 II- Dio santo, Dio forte, Dio immortale, abbiate pietà di noi e del mondo intero. – Amen.

III. – Grazia e misericordia, o mio Gesù, nei pericoli presenti; copriteci col vostro Sangue preziosissimo. Amen.

IV– O Padre Eterno, usateci misericordia per il Sangue di Gesù Cristo vostro unico Figlio: usateci misericordia, noi Ve ne scongiuriamo, – Amen, Amen. Amen.

SUI GRANI PICCOLI

Gesù mio, perdono e misericordia. – Per i meriti delle vostre Sante Piaghe.

SUI GRANI GROSSI

Eterno Padre, Vi offro le Piaghe di Nostro Signor Gesù Cristo. – Per guarire quelle delle anime nostre.

Terminata la corona si ripete tre volte: «Eterno Padre, Vi offro le Piaghe…”, ecc.

 

ORIGINE DI QUESTA DEVOZIONE

L’umile Conversa della Visitazione di Chambéry, Suor Maria Marta Chambon (morta in odore di santità il 21 marzo 1907), affermò di aver ricevuto le due invocazioni con magnifiche promesse dalle stesse labbra di N.S. Gesù Cristo.

Promesse 

   « Io accorderò tutto ciò che Mi si domanda per l’invocazione delle Mie Sante Piaghe. Bisogna spargere la devozione ».

 

« In verità questa preghiera non è della terra: ma del Cielo.., e può ottenere tutto».

« Le Mie Sante Piaghe sostengono il mondo … chiedimi di amarle costantemente, perché Esse sono sorgenti di ogni grazia. Bisogna invocarLe spesso, attrarvi il prossimo ed imprimerne la devozione nelle anime ».

« Quando avete delle pene da soffrire, portatele prontamente alle Mie Piaghe e saranno addolcite ».

« Bisogna ripetere spesso vicino agli ammalati questa Aspirazione: “Gesù mio perdono”, ecc.. Questa preghiera solleverà l’anima e il corpo ».

« E il peccatore che dirà: “Eterno Padre, Vi offro le Piaghe, etc.”, otterrà la conversione ».

« Le Mie Piaghe ripareranno le vostre ».

« Non vi sarà morte per l’anima che spirerà nelle mie piaghe. Esse danno la vera vita.

« Ad ogni parola che pronunziate della Corona della misericordia, Io lascio cadere una goccia del mio Sangue sull’anima di un peccatore ».

« L’anima che avrà onorato le Mie Sante Piaghe e le avrà offerte all’Eterno Padre per le anime del Purgatorio, sarà accompagnata il morte dalla SS. Vergine e dagli Angeli; ed Io, risplendente di gloria, la riceverò per incoronarla ».

« Le Sante Piaghe sono il Tesoro dei tesori per le anime del Purgatorio ».

« La devozione alle Mie Piaghe è il rimedio per questo tempo d’iniquità ».

« Dalle Mie Piaghe escono i frutti di Santità. Meditandole vi troverete sempre nuovo alimento d’amore ».

« Figlia mia se immergi le tue azioni nelle Mie Sante Piaghe acquisteranno valore, le vostre minime azioni ricoperte del Mio Sangue appagheranno il Mio Cuore ».

Pisa 3 marzo 1927

[Imprimatur mons. E. Attuoni V.G.]

CONSACRAZIONE AL CUORE IMMACOLATO DI MARIA

cuore immac.

CONSACRAZIONE AL CUORE IMMACOLATO DI MARIA

O Maria, Vergine potente e Madre di misericordia, Regina del cielo e rifugio dei peccatori, noi ci consacriamo al tuo Cuore Immacolato. Ti consacriamo il nostro essere e tutta quanta la nostra vita, tutto ciò che abbiamo, tutto ciò che amiamo, tutto ciò che siamo. A Te i nostri corpi, i nostri cuori, le anime nostre. A Te i nostri focolari, le nostre famiglie, la nostra patria. – Vogliamo che tutto in noi, tutto intorno a noi Ti appartenga e partecipi ai benefici delle tue materne benedizioni. E affinché questa consacrazione sia veramente efficace e duratura, rinnoviamo oggi ai tuoi piedi, o Maria, le promesse del battesimo e della prima Comunione. – C’impegniamo a professare con coraggio e sempre le verità della fede, a vivere come cattolici pienamente sottomessi a tutte le direttive del Papa e dei Vescovi in comunione con lui. – C’impegniamo a osservare i comandamenti di Dio e della Chiesa e, in modo particolare, la santificazione delle feste. – C’impegniamo a far entrare nella nostra vita, per quanto ci sarà possibile, le pratiche consolanti della religione cristiana e soprattutto la santa Comunione. – Ti promettiamo finalmente, o gloriosa Madre di Dio e tenera Madre degli uomini, di mettere tutto il nostro cuore al servizio del tuo culto benedetto, per affrettare e assicurare, col regno del tuo Cuore Immacolato, il regno del Cuore del tuo adorabile Figlio nelle anime nostre e in tutte le anime, nel nostro caro paese e in tutto l’universo sulla terra come in cielo. Così sia.

Il vizio dell’ IMPURITA’

IMPURITA’

[E. Barbier: I Tesori di Cornelio Alapide, 3 ed., vol. II, Torino, 1930]

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1.- L’impurità è un peccato mortale di sua natura. — 2. Avvilimento dell’impudico. — 3. Funesti effetti dell’impurità: 1° effetto, i tormenti; 2° danni spaventosi; 3° lo scandalo; 4° l’accecamento; 5° la schiavitù. – 6. In quanti modi si cade nel vizio della disonestà. – 7. Quanto sia difficile uscire dall’impurità. – 8. Castighi e dannazione dell’impudico. – 9. Rimedi contro l’impurità.

1.- L’impurità è un peccato mortale di sua natura. — L’impudico consacra il suo culto alla carne… Egli adora quello che adoravano i pagani; venera con loro il medesimo dio. Ora l’idolatria è un delitto enorme. « Il mio popolo, dice Iddio, ha cangiato la sua gloria per un idolo. Stupite, o cieli, e voi, o potenze del cielo, vestitevi a lutto » (Gerem. II, 11-12). «L’impudico cambia la gloria del Dio incorruttibile, nella sembianza dell’uomo corruttibile », dice S. Paolo (Rom. I, 23). Lo stesso Apostolo dice ancora: «Quelli che si deliziano nella carne, non possono piacere a Dio; se voi vivrete secondo gli appetiti della carne, morrete » (Rom. VIII, 8, 13). «Non illudetevi: né i lussuriosi, né gli idolatri, né gli adulteri possederanno il regno dei cieli » (I Cor. VI, 9-10); « perché la carne e il sangue non possono stare con Dio, né la corruzione immedesimarsi con l’incorruttibilità » (Ib. XV, 50). « Non sapete che voi siete il tempio di Dio, che i vostri corpi sono membri di Gesù Cristo e che in voi abita lo Spirito Santo? Adoprerete dunque i membri di Gesù Cristo per farne membri di una prostituta? Ma se alcuno profana il tempio santo di Dio, il qual tempio siete voi, Dio lo sterminerà » (Ib. III, 16-17; VI, 15). «Sappiate e vi stia ben fisso in mente, che nessun fornicatore o impudico avrà parte all’eredità del regno di Cristo e di Dio » (Eph. V, 5). Formale è il precetto di Dio: Non fornicare (Exod XX, 14), né meno chiara è la sua sentenza, che nella città di Dio non v’entrerà nulla di macchiato (Apoc. XXI, 27). « E Dio, dice S. Pietro, sa riservare i malvagi al giorno del giudizio per castigarli e quelli principalmente che accarezzano la carne vivendo secondo le voghe della carnale concupiscenza » (II, II, 9-10). Infatti è peccato così enorme l’impurità e cosi abbominato da Dio, che, come dice S. Agostino, è il più gradito a Dio l’abbaiare dei cani, il muggire dei buoi, il grugnire dei porci, che non il canto de’ suoi servi impudichi. « Non cambiate i vasi sacri in vasi d’ignominia », esclama S. Pier Damiani; ora, già l’abbiamo inteso dall’Apostolo, i cristiani sono i tempi, i vasi sacri del Dio vivente. Se un profanatore sacrilego dirocca una chiesa, abbatte un altare, spezza un vaso sacro, di quale odioso delitto non si rende colpevole! Ben più orrenda e indegna è la profanazione che fa il lussurioso della sua anima, del suo cuore, del suo corpo e infinitamente più enorme è il suo misfatto. Infatti, se è vera la sentenza di S. Tommaso, che per la lussuria l’uomo si allontana infinitamente da Dio », e se è vero che il peccato è un abbandono che fa l’uomo di Dio, ben può ciascuno calcolare l’enormità del peccato d impudicizia; quindi S. Bernardo non si contenta di dire: Guai, ma aggiunge, molti e grandi guai all’incontinente. E non si creda che per commettere peccato grave in questa materia, bisogni arrivare agli estremi limiti di questo abominevole vizio: sarebbe questo un deplorevole e grossolano inganno perché non solamente un’azione di tal genere è colpa mortale, ma anche un semplice pensiero, o desiderio, o sguardo fatto con consenso deliberato. – Possono i coniugati medesimi farsi rei di gravissime colpe in questa materia, quando non abbiano per iscopo e freno il santo timor di Dio. Ricordatevi, o sposi, la parola di S. Paolo: « Si porti rispetto da tutti al matrimonio e si conservi il talamo immacolato; perché Dio giudicherà i fornicatori e gli adulteri » (Hebr. XIII, 4); vi atterrisca la sentenza del Signore: «Il seme degli empi non attecchirà » — (Psalm. XXXVI, 28). Dio destinava alla vita ed al cielo tanti bambini; ora dove sono essi? O sciagurati che respingete nel nulla esseri destinati a benedire, lodare e godere Dio eternamente! La Scrittura ci narra che l’infelice Onan, perché impediva con un’azione detestabile che si compisse la volontà divina, fu dal Signore colpito di morte (Genesi XXXVIII, 9-10) Una tale profanazione è contraria alla legge naturale ed alla santità del matrimonio. Questo delitto è un omicidio. Vi sono dei genitori che si lagnano delle loro disgrazie, delle malattie, della morte dei loro ragazzi. Pensino se non sono forse castighi di Dio che li punisce in quello medesimo in cui hanno peccato. Dove si possono trovare parole che bastino a flagellare come conviene l’infame delitto dell’adulterio e tutti i mali che trascina con sé? L’adultero: 1° scioglie la fedeltà coniugale; 2° viola il matrimonio, perché la natura, e l’autore della natura, Iddio, esigono che gli sposi rispettino la loro unione (Gen. II, 24); 3° profana il sacramento; 4° fa grave ingiuria ai figli legittimi; 5° commette un’enorme ingiustizia; 6° si fa reo di un orrendo scandalo… L’adultero pecca contro Dio, di cui non vuole riconoscere l’autorità, rifiutando di adempirne il comando; pecca contro la persona che gli è unita, perché non le mantiene la data fede; pecca contro se medesimo, perché si macchia l’anima e il corpo; pecca contro i figli legittimi che danneggia; pecca contro il complice medesimo dell’adulterio, essendogli cagione od occasione di peccato… – « Non sapete, o adulteri, che l’amicizia di questo mondo è nemica di Dio? » — Adulteri, nescitis quia amicitia huius mundi inimica est Dei? (Iacob. IV, 4). Il mondo è adultero; amare il mondo è un adulterio spirituale; chi consacra l’anima sua al mondo, la ruba a Gesù Cristo sposo delle anime… – Il Signore nell’antica legge ordinava che l’adultero fosse lapidato; per bocca del Savio dice che sarà punito su la pubblica piazza; che si darà alla fuga come puledro scavezzato, ma sarà sorpreso là dove meno si pensa; sarà disonorato nel cospetto di tutti; lascerà la sua memoria in maledizione, e la sua infamia non sarà cancellata (Eccli. XXIII, 36). I castighi che piombano su Davide e la sua famiglia, a cagione del suo adulterio, sebbene da lui con amarissima penitenza espiato, bastano a darci un’idea di quello che deve aspettarsi dalla giustizia divina l’adultero impenitente.

2.- Avvilimento dell’impudico. — Una viva immagine dell’abbrutimento e della degradazione del lussurioso ce la fornisce il flgliuol prodigo del Vangelo, il quale si mise al servizio di un padrone e fu mandato a pascolare i porci (Luc. XV, 15); assai più vile di un gregge di maiali è la folla dei pensieri immondi, dei disonesti affetti, delle lubriche voglie che egli accoglie e custodisce nella sua anima. Ecco la sorprendente ma giusta metamorfosi del libertino e del suo stato! ecco il castigo inflitto alla sua licenza ed alla sua folle libertà! Colui che aveva rifiutato di essere devoto figlio di nobilissimo e generoso padre, si vede costretto a diventare schiavo di uno straniero, di un incognito, di un tiranno. Ecco l’impudico… respinge l’autorità di Dio, rifiuta di obbedirGli; non vuole rimanere con Lui ed eccolo obbligato a servire il diavolo più che da schiavo. Il prodigo non volle abitare nel palazzo del padre, è cacciato alla campagna tra il servitorame più abbietto, abbandonato alla fame, alla sete, alla nudità. Non volle avere per compagni di tavola e di casa il padre ed il fratello, è condannato a dividere il cibo e l’alloggio coi porci. Ebbe a nausea il pane e le eccellenti vivande della casa paterna, ora si stimerebbe fortunato se potesse empirsi dei miseri avanzi di schifosi animali! (Luc. XV, 16). « Che crudele, desolante condizione è mai questa, esclama il Crisostomo, non poter nemmeno mangiare del cibo dei porci, dovendo vivere coi porci! ». Ecco dove va a finire il lussurioso! S. Paolo ci avverte che Dio abbandona gli impudichi in balìa ai desideri immondi dei loro errori, alle ignominiose voglie della carne, affinché vituperino se medesimi nei loro corpi; finché disperando della loro salute, si abbandonano ad ogni sorta di più laida dissolutezza (Rovi. I, 24-26) (Eph. IV, 19); e si avvoltolano nel brago delle più schifose dissolutezze, appunto, dice S. Pietro, come un porco che si tuffa nel fango (II Petr. II, 22), e mettono, dice S. Giuda, in mostra le loro turpitudini (Iud. 13). – Non c è vizio più ributtante, più vergognoso, più degradante dell’impudicizia; a ragione S. Pietro raffigura l’impudico nel porco. Perché: 1° egli ama le cose sporche…; 2° è nei suoi portamenti sordido e stomachevole…; 3° si delizia, a somiglianza dei maiali, del fango e della mota…; 4° il porco non guarda che alla terra, non si occupa che del ventre, si corica sul suolo, non è che un informe massa di carne; non diversamente è dell’impudico…; 5° il porco è senza riconoscenza anche verso il suo padrone; il lussurioso non perde egli forse ogni sentimento e discernimento?… In lui si avvera l’imprecazione di David: « Copri la faccia loro d’ignominia» (Psalm. LXXXII, 15). – « Il dissoluto, scrive S. Eucherio, non si differenzia punto dalle pecore o dai porci, perché mette i suoi piaceri negli sfoghi carnali; fa suo dio della propria carne e volge in argomento di sua gloria quel che in lui vi è di più vergognoso  ». La stessa cosa già scriveva S. Paolo ai Filippesi: « Il cui dio è il ventre e la gloria nella propria vergogna » (III, 19). Anche Clemente Alessandrino lasciò scritto che gli « uomini lussuriosi guazzano nelle loro turpitudini come i lombrichi nella melma. Sono uomini porcini, poiché i porci preferiscono la lota all’acqua chiara ». – Si legge nella vita di S. Ignazio di Loyola, che per correggere un libertino il quale portavasi in una casa di mal affare, egli si tuffò un giorno nell’acqua, e quando vide passare di là quell’infelice, gli disse: Va, sciagurato, ai tuoi disonesti piaceri; non vedi la rovina che ti minaccia? Io mi sono imposte dure penitenze, per allontanare dal tuo capo i fulmini divini che stanno per incenerirti. La voluttà è giudicata da S. Gregorio Nazianzeno l’alimento di tutti i vizi, l’amo a cui facilmente restano colti gli animali vili ed abbrutiti. Perciò il Crisostomo afferma che se potessimo vedere l’avvilimento, la degradazione dell’anima di un lussurioso, preferiremmo un fetido sepolcro a un tale stato (Homil. XXIX, in Matth.); il profeta Abacuc piangeva su la sorte di coloro che fanno intorno a sé mucchi di spesso fango: (II, 6). E questi mucchi figurano, dice S. Gregorio (Lib. VI, Moral.), i desideri, le voglie, gli sfoghi d’una laida concupiscenza; da questo fango, il Salmista pregava Dio che lo preservasse (Psalm. LXVIII, 15). -Che cosa vi è di più corrotto e di più laido, domanda l’Ecclesiastico, del pensiero della carne? ogni pane, anche il più cattivo, riesce buono al fornicatore (XVII, 30) – (XXIII, 24). E non è forse vero che all’uomo abbrutito nell’incontinenza fa gola qualsiasi creatura? Sia bella o brutta, povera o ricca, pulita o sozza, giovane o vecchia, egli non guarda pel sottile; purché lo serva ai suoi brutali sfoghi, d’altro non gli importa; appunto come un affamato dà di morso in qualunque tozzo di pane, comunque nero, muffito o duro, gli capiti tra mano. -S. Bernardo osserva che gli uomini carnali non hanno un cuore di uomo, perché avendolo tutto imbrattato nelle vergognose passioni, è cambiato in cuore di bestia. Ed applicando a loro quelle parole del Salmista: « Il mio cuore si è liquefatto come cera in mezzo alle mie viscere » (Psalm. XXI, 14), dice: «Il loro cuore fuso al fuoco della passione carnale, esce dal suo luogo e cade nel fango, altro più non gustando che la passione, tutto confondendo, corrompendo e degradando, cambia l’affetto naturale e legittimo dell’amicizia in un appetito bestiale e sregolato; brama ciò che è illecito, ignominioso e vergognoso perfino alla carne stessa; dimenticata a tal punto la sua antica grandezza e nobiltà di figlio di Dio, che quelli ch’egli corrompe e coloro che corrompono lui, non lo credono ormai più altro se non un luogo di pubblica prostituzione, la sede naturale della lussuria. Infelici, mille volte infelici coloro che soffocando la voce della ragione e della coscienza sono discesi a tanto avvilimento, che più non stimano e prostituiscono a satana quell’anima che creata da Dio, apparteneva a Lui, ed essi ne hanno fatto la dimora e il trono del diavolo, la sentina di tutte le sporcizie, la fogna di tutte le più infami debolezze » (De nat. et dicjn. amoris, c. I). – Con tutta ragione pertanto Eusebio sentenzia che la lussuria abbassa e degrada l’uomo al disotto delle bestie; S. Pier Crisologo afferma che l’impudico « muore alla virtù, cresce ai vizi, oscura la sua gloria, seppellisce la sua riputazione e vedrà la sua follia crescere fino al furore ». Ah sì! bisogna dire col profeta, che l’uomo, posto in alto stato, non ha compreso il suo destino, si tenne uguale ai giumenti e divenne simile a loro (Psalm. XLVlll, 12); si corruppe e diventò abominevole (Psalm. Xlll, 1), perciò Dio li ha abbandonati all’ignominia eterna (Psalm. LXXVII, 66). L’uomo impuro, dice S. Agostino, invece di spiritualizzare il suo corpo, abbrutisce e materializza l’anima sua (De Morib. Eccl.), e ne forma il covo prediletto dei demoni i quali amano di stare nei lussuriosi più che in altri peccatori; come si vede figurato in quel fatto del Vangelo dove si narra che i demoni, scacciati dal corpo di un ossesso, chiesero in grazia a Gesù Cristo che li collimasse in un branco di maiali che stavano pascolando la vicino (Matth. 31-32). Quando un anima disprezza la gloria e la grandezza a cui era chiamata, allora alla riputazione succede lo scandalo e la follia; alla gloria, l’ignominia; alla ricchezza, la miseria; la grazia cede il luogo all’odio; il rispetto, al disprezzo; il guadagno, alla perdita; l’intenzione è corrotta, basso e vile il pensiero, disonesta l’azione… Osservate l’avvilimento, la degradazione in cui cadde e giace quell’adultero, quella donna da trivio, quella giovane spudorata. O Dio, come mettono schifo e ribrezzo non solo agli altri, ma ai loro medesimi corruttori! Il demonio medesimo, dopo di averle macchiate, le canzona, le disprezza, le calpesta. Obbrobrio della società e della famiglia esse si vedono fatte ludibrio agli scherni degli uomini e all’indignazione di Dio; sono la favola di tutto il mondo, derise dal cielo, dalla terra, dall’inferno, in uggia e abominio a se stesse… Donde può mai venire, domanda S. Bernardo, quella così grande e cosi miserabile abiezione, per cui una creatura così bella e nobile, capace dell’eterna beatitudine e del godimento di Dio; un essere creato a immagine di Dio, riscattato col sangue di un Dio, adottato dallo Spirito Santo, dotato della fede, nutrito di un Dio, fatto per Iddio e per l’immortalità; donde può mai essere, dico, che una tale creatura non arrossisca di tuffarsi e di vivere nella corruzione della carne e dei sensi? Ah! è questa una giusta punizione dell’avere abbandonato uno sposo quale è Gesù e di avere amato simili nefandezze; giusta punizione, il bramare i rifiuti degli animali e non averli! Giusto castigo, per questo orgoglioso che preferì custodire questi animali, anziché rimanersi nella Casa del padre suo! O stupido lavoro! o sudore male speso è questo mai col quale l’uomo si consuma intorno a un cadavere in putrefazione! « O insensati mortali], deh! non amate quello che amato v’insozza, posseduto vi schiaccia e perduto vi tormenta ». Finalmente, anche i saggi pagani convengono con la Scrittura e coi padri, che l’impudicizia è cosa laidissima e degradante e vergognosa più di qualunque altra. Platone e Cicerone, per esempio, dicono che la voluttà carnale è il nutrimento dei cuori abbietti e corrotti (De Sene et.). Orazio chiama i libidinosi « porci della mandria d’Epicuro ». — La libidine, dice Seneca, è propria non dell’uomo, ma della bestia . Il filosofo Panezio osservava che l’amore impuro è cosa vile tanto in colui che ama, quanto in colui che è amato. Poiché questo amore impuro non fa altro che convertire in putredine il corpo e quanto si prende in cibo e bevanda. L’oggetto che l’impudico ama di disonesto amore rimane nella sua memoria come una divinità nel suo tempio, divinità alla quale egli sacrifica non un toro né un capro, ma l’anima ed il corpo. Non si rende egli adunque quanto si può dire abbominevole e vile, se per un ignòbile piacere di un istante, si dà in balìa di una carne corrotta, o meglio si fa schiavo del più lurido dei demoni? (Anton. in Meliss.).

3.Funesti effetti dell’impurità: 1° I tormenti. — Il primo dei funesti effetti dell’impudicizia è di accendere nel cuore e nelle ossa del libidinoso un fuoco che lo cruccia, lo cuoce, lo divora: perché come una fiamma che si apprende al solaio di una casa, scoppia ben presto in vasto incendio che consuma tutta la casa con tutto quello che si trova in essa, così l’impurità, appigliatasi ad un’anima, divampa, se tosto non è spenta, in tale incendio, che nell’uomo non vi rimane più nulla d’illeso, né mente, né cuore, né sensi, né membra. Inoltre, come il fuoco si dilata di casa in casa, finché riduce in cenere un’intera città, così la fiamma libidinosa facilmente si stende da uno o da più a molti e diventa un focolare d’incendio. L’impurità è poi ancora un fuoco, perché vicina al fuoco dell’inferno. L’inferno alimenta questo fuoco e questo fuoco popola l’inferno. Sodoma accesa di fuoco impuro, è divorata dalle fiamme di un fuoco disceso dal cielo. – « Il fuoco delle passioni divora la gioventù », dice il Salmista (Psalm. LXXVII, 63), e « la fiamma impura si accende tra i dissoluti e finisce per incenerirli » (Psalm. CV, 19). « L’impurità, dice Giobbe, è un fuoco che non si spegne se non quando più nulla vi resta da consumare » (Iob. XXXI, 12). Su queste parole, così scrive S. Gregorio « Che cosa è la passione impura, se non un fuoco e che cosa sono i pensieri disonesti, se non paglia? Ora chi non sa che una scintilla gettata nella paglia, in poco tempo incendia un intero pagliaio, se non si spegne subito? » (In Iob.). «L’impurità, dice S. Ambrogio, è un fuoco crudele che non cessa mai un istante; brucia notte e giorno e la sua vampa toglie perfino il sonno » (In Psalm. I). « O lussuria, fuoco infernale esclama S. Gerolamo, la cui materia è la gola, la cui fiamma è l’orgoglio, le cui scintille sono i discorsi disonesti, il cui fumo è la follia e il termine è l’inferno! ». Poiché, come dice S. Agostino, « quel che diletta passa, ma quel che tormenta e strazia dura in eterno ». « O impudichi, esclama Isaia, ecco che voi accendete il fuoco e, cinti di fiamme, camminate al loro bagliore e in mezzo all’incendio da voi acceso » (Isai. L, 11). . S. Gregorio vede in quella caldaia bollente di cui parla Geremia (I, 13), il cuore del lussurioso infiammato di voglie carnali, acceso da satana, scaldato dal consenso; escono da questa caldaia infocata, come tanti sprizzi, i desideri di abbandonarsi ad opere nefande. « L’anima impura è figurata in una caldaia bollente, dice S. Tommaso : 1° a cagione del fuoco della concupiscenza; 2° a cagione delle azioni brutali; 3° per la nerezza della macchia. Essa è poi riscaldata : 1° dal furore di un cieco amore; 2° dal fuoco della collera e del litigio; 3° dal fuoco dell’inferno » (De Peccat.). Ed ecco perché Osea paragona gl’impudichi ad un forno acceso (Ose. VII, 4); e la Scrittura parlando dei vecchioni incontinenti che attentarono alla pudicizia di Susanna, dice che furono investiti dalle fiamme della concupiscenza (Dan. XIII, 8). Il demonio si unisce alla passione e tutti e due fanno a gara per soffiare nel cuore del dissoluto il desiderio del peccato; essi gridano del continuo ai sensi e alle creature: Portate, portate… « Di tal natura sono i piaceri sensuali, dice S. Gregorio, che mentre non si hanno, ci accendono di desiderio; appena gustati, ce ne sentiamo ristucchi e nauseati. Per contrario i piaceri spirituali, finché non si hanno, ci dispiacciono; ma appena assaggiati, stimolano l’appetito e tanto più ardentemente si desiderano, quanto più copiosamente si godono ». Il desiderio delle cose spirituali, osserva il medesimo Papa, rallegra l’appetito delle carnali tormenta; questo è abbietto e vile, quello nobile e grande. I piaceri della carne presto saziano e la sazietà genera nausea; ma quelli dello spirito saziano senza disgusto e la sazietà sollecita il desiderio; perché quanto più si gustano, tanto più si conoscono e si amano. Perciò non può amarli chi già non li prova, perché non ne conosce le dolcezze. I diletti corporali escludono quelli spirituali e ne tolgono perfino il senso (Homil.). – 2° Danni spaventosi. — Un altro effetto, non meno deplorevole del primo, produce la libidine, col togliere ogni sorta di bene nell’anima e nel corpo della sua vittima: « Non vi può rimanere niente di salvo e intatto, dice S. Cesario, in colui che è investito dal fuoco della concupiscenza ». « E tutti coloro, dice Salviano, che cadono e rimangono nel fango delle lubriche passioni, si seppelliscono sotto le loro medesime rovine » (Lib. ad Ecclesiast.). E infatti, non si dice forse de’ figliuol prodigo, figura e modello dell’impudico, che andato in paese lontano, diede fondo ad ogni sua sostanza e fu ridotto sul lastrico dalla sua vita di libertinaggio? (Luc. XV, 13). – Questa è la sorte che tocca ai libertini di professione. Fanno getto di tutti i doni di natura e di grazia… : perdono la carità ed ogni sorta di virtù… Questo vizio acceca l’intelligenza, cosicché non si conosce più né Dio, né la virtù… Spegne la memoria della legge e dei benefizi di Dio… Indebolisce la volontà e la deprava a tal punto, che si preferisce il vizio alla virtù, la voluttà alla ragione, la creatura al Creatore, la carne allo spirito, il rimorso alla pace, la terra al cielo, il demonio a Dio, la morte alla vita, l’inferno al paradiso, il sommo ed eterno male al sommo ed eterno bene. Si svestono le insegne di Gesù Cristo e s’indossa la livrea di satana… – Il voluttuoso diventa stupido, sconsigliato, avventato, senza ragione, senza spirito, senza cuore, senz’animo… Tutte le forze dell’anima e del corpo, destinate a servire il Creatore, sono da lui sciupate dietro la creatura, la concupiscenza, i piaceri del senso. Disprezza i doni del senso. Disprezza i doni della grazia, calpesta le promesse del battesimo; la nobiltà scompare sotto il fango, e l’attitudine spirituale alle grandi cose ed alle sublimi virtù è spenta. – Udite come parla S. Cirillo: « Per la voluttà la carne si corrompe, il vigore dell’animo è fiaccato, l’ardore dei vizi imbaldanzito; il giogo delle virtù diventa intollerabile; le passioni entrano nel cuore e lo splendore della ragione si oscura. La voluttà ha prostrato Sansone prodigio di forza, ha abbattuto Davide modello dì santità, ha sedotto Salomone oracolo di sapienza. La voluttà avvelena col soffio di dragone; invita tutta dolce, penetra tutta soave, s’impadronisce da assassino e distrugge ogni cosa ». « L’impurità, continua S. Cipriano, è rabbia venefica, incendio della coscienza, madre dell’impenitenza, rovina della più bella età, onta del genere umano, nemica giurata del sangue e della famiglia ». «L’incontinente, come già notava il Savio, non rispetta né il principio della vita, né la santità del matrimonio (Sap. XIV, 24). Né v’è da stupire; poiché, come volete che rispetti ancora qualche cosa questa gente la quale è zimbello di un vizio tale che, come dice S. Bonaventura, schianta perfino le barbe di ogni virtù e, secondo S. Agostino, non lascia nemmeno più pensare all’avvenire ed ai novissimi , e per testimonianza di S. Ambrogio, fa traviare dalla retta fede? – A buon diritto S. Basilio chiama la libidine: «Amor del diavolo che trae a morte; madre del peccato, nutrice del verme che roderà in eterno ». S. Giovanni Damasceno la chiama: «Metropoli di tutti i mali »; e S. Ambrogio: « Semenzaio e origine di tutti i vizi ». S. Remigio poi si spinse fino ad asserire che la maggior parte dei reprobi si trova all’inferno a cagione di questo vizio (De Impurit.). – Su questo versetto dell’Esodo: «La terra li ha divorati» (XV, 12), così scrive Origene: «Se vedi una persona abbandonata ai piaceri del senso, una persona nella quale l’animo non ha più impero, ma che è dominata dalla lussuria, di’ pure che la terra l’ha divorata e ben presto la inghiottirà l’inferno ». – La lussuria è una catena che mette l’anima in balìa del corpo, che la vincola e l’assoggetta per tal modo alla carne, che non ascolta più altri che il corpo, non vive se non di lui e per lui, e diventa, come lui, materia e fango. Questa verità conobbero e confessarono anche i pagani. Euripide cantava che la massima delle pazzie è l’incontinenza (Laertius); era detto di Antistene, che preferiva di divenire pazzo piuttostochè voluttuoso; perché può bene un medico guarire talora un pazzo, ma quando la libidine si è impossessata di un’anima, diventa un male quasi incurabile {Anton. in Meliss.). – L’effeminatezza dei Romani fu, per testimonianza di Tito Livio, la cagione delle loro sconfitte sotto Annibale, perché ne aveva indebolito le forze e spento il cuore (Histor. Rom.). Cicerone riporta come sentenza di Archita tarentino, non esservi al mondo peste nè più pericolosa né più funesta della voluttà. Da lei i tradimenti della patria, i rovesciamenti dei troni, le guerre delle nazioni; non darsi misfatto o delitto al quale la libidine non spinga. Quanti avvelenamenti! quanti infanticidi! quante risse! (De Senect.). – I piaceri carnali hanno per conseguenza malattie, febbri, piaghe, mali di ogni sorta, perciò Claudiano dava per avviso : « Di tenere chiuso il cuore all’incantevole voce della voluttà carnale, poiché chi le dà retta, si compra la propria rovina per mezzo del dolore ». – La lussuria toglie all’uomo l’ingegno, il giudizio, la forza fisica e morale; uccide la ragione, abbrutisce l’uomo. Quest’abominevole passione ubriaca i sensi, indebolisce la vista, altera i lineamenti del volto, mena a precoce vecchiaia, distrugge ogni buona disposizione, fiacca il coraggio e rende, in una parola, simili a quelle statue che hanno occhi, orecchi, piedi e mani, e intanto non vedono, non odono e non fanno nulla. Inoltre, distrugge il buon nome, fa schiava la volontà, incatena i buoni desideri, istupidisce i sensi e fa dell’uomo un animale d’infima specie. Questa passione è un delirio dell’anima; una ubbriachezza in cui si perdono le ricchezze, la nobiltà, la dignità, la fama, la santità, la vita, la pace, la tranquillità, la felicità, l’anima, lo spirito, il cuore, il tempo, l’eternità… – 3° Lo scandalo. — Il terzo effetto dell’impurità è lo scandalo che ne deriva. « La terra è macchiata dalla lussuria, è infetta dalla prostituzione » (Psalm. CV, 37). Il voluttuoso è macchiato e macchia gli altri, egli manda un fetore di morte che uccide, secondo l’espressione di S. Paolo (II Cor. II, 16). L’impudicizia corrompe tutto dove essa penetra; è uno scandalo dovunque si mostri, sia nei conviti, sia nei festini, sia nei balli, sia nei teatri, sia nelle conversazioni, sia nelle veglie, sia nella solitudine, sia nei cattivi libri… Non vi è scandalo peggiore dello scandalo che dà l’impudico; egli scandalizza in tutto e dappertutto. Per lui non vi è nulla di santo, niente di sacro; non rispetta né l’innocenza, né l’età, né il sesso, né la debolezza, né le lagrime, né il tempo, né il luogo, nemmeno le cose e le persone sacre. – Ecco il quadro che degli impudichi scandalosi ci ha tracciato la Sapienza: « Essi dissero, folleggiando nei loro storti pensieri: Corto e tedioso è il tempo di nostra vita e non vi è riparo per l’uomo dopo il suo fine e non vi è, che si sappia, chi sia tornato dall’inferno. Noi siamo nati dal nulla e saremo come se non fossimo stati mai, perché il fiato delle nostre narici è un fumo; la loquela è una scintilla che viene dal movimento del nostro cuore: spenta questa, il corpo nostro sarà cenere e lo spirito si dissiperà come un’aura leggera e la nostra vita passerà come la traccia di una nuvola e si scioglierà come nebbia battuta dai raggi del sole e sciolta dal calore di esso… Su via dunque, godiamo dei beni presenti e serviamoci in fretta delle creature, finché siamo giovani. Coroniamoci di rose prima che appassiscano, non vi sia prato per cui non passeggi la nostra lussuria. Non vi sia nessuno di noi che non partecipi alla nostra lubrica vita, lasciamo per ogni dove le tracce della nostra dissolutezza, che questa è la nostra porzione e la sorte nostra… Così hanno pensato e sono caduti in errore; perché la loro malizia li ha accecati » (Sap. II, 1-10, 21). -Rapire l’onore, l’onestà, la salute, la felicità, la vita alle vittime de’ suoi sfoghi brutali è per il lussurioso un nulla, una galanteria. Ah! quanto è vera la sentenza di S. Cirillo, « che la furibonda lussuria non vede nulla perché è cieca ». 4° L’accecamento. — Queste parole di S. Cirillo non solo ci spiegano i tanti scandali che seminano i lussuriosi, ma ci svelano ancora il quarto effetto dell’impudicizia, che è l’accecamento, effetto già avvertito da S. Paolo : «L’uomo animalesco non capisce nulla di ciò che appartiene allo spirito di Dio; poiché questo egli tiene per follia e non lo può capire » (I Cor. II, 14). – Il voluttuoso ha occhi, ma non vede, ha mente, ma non comprende, perché e quelli e questa sono per l’impurità divenuti una massa di carne. Egli è come uccello che si lascia invischiare nella pania, o pesce che morde nell’amo. Esso gode quando, non vedendo l’amo, ingoia l’esca; ma quando il pescatore comincia a tirarlo, si sente prima straziare le viscere, poi cavare e gettare fuori dell’acqua che è l’elemento di sua vita; e così quel cibo ingannatore che formava poco prima la sua delizia, si è fatto causa della sua morte e della sua distruzione. Viva imagine della sorte che tocca al lussurioso!… – Non c’è vizio che tanto oscuri la ragione, quanto il nefasto vizio dell’impudicizia. Essa è la madre e la nutrice della frivolezza, dell’incostanza, della precipitazione, dell’imprudenza, dell’amore di sé, dell’odio di Dio, del desiderio sregolato della vita presente, dell’orrore della morte e del giudizio… Dove trovare accecamento simile a quello di quei giovani i quali si vituperano, corrono mille avventure, affogano in un mare di pene, vanno incontro a un’infinità di disgusti, distruggono il loro avvenire, per un momento di follia?… Accecamento prima della passione, per studiare il modo di appagarla… Accecamento nel soddisfare la passione… Accecamento dopo sbramata la passione, per stordirsi e giacere nel disonore e nel delitto… – 5° La schiavitù. — Se per sentenza infallibile di Gesù Cristo, chiunque si fa reo di un peccato, si rende per ciò schiavo del peccato (Ioann. VIII, 34), ognuno può, da quanto si è detto delle conseguenze della disonestà, rilevare in quale dura e infamante schiavitù essa trae i suoi amanti. Il prodigo del Vangelo, che ridotto alla miseria dalle dissolutezze, si fa schiavo di un padrone duro e spietato il quale lo condanna ad abitare e mangiare coi porci, è una sbiadita imagine della triste schiavitù in cui cade il disonesto. -Egli è come quel cieco giumento che gira continuamente attorno ad una macina essendo l’impudicizia la catena e la prigione dell’anima. E la sciagurata vittima della lussuria non è forse continuamente affaccendata, non corre notte e giorno, non parla, non supplica per soddisfare la sua vile e animalesca inclinazione?… Schiavo della più infame delle passioni, schiavo della creatura che egli ha sedotto o da cui fu sedotto; schiavo de suoi capricci; schiavo di quanto in lui vi è di più vile; schiavo del demonio…; non è questa la più ignobile, la più obbrobriosa, la più degradante delle schiavitù? – « O miserabile servitù, esclama S. Agostino, miserabile schiavitù, è quella della lussuria! Lo schiavo dell’uomo, stanco dei duri trattamenti del suo padrone, può talvolta sottrarsi con la fuga; ma dove può mai rifugiarsi, per ricuperare la sua libertà, lo schiavo dell’impudicizia? Dovunque vada, vi trascina se stesso » (Tract. XLI). – « La carne, dice S. Bernardo, è lo strumento, o piuttosto la fune, con cui Satana arresta e lega il disonesto» (Serm. XXXIX). Il demonio se ne fa suo zimbello, ora lo spinge, ora lo ferma, lo conduce dove a lui talenta, per le spine, i sassi, i bronchi, nei burroni, nei precipizi. Lo fa cadere e ricadere, finché il vizio diventa abitudine e l’abitudine una necessità che lo tiene tra le sue morse, come schiavo tra i ceppi, secondo l’osservazione di S. Agostino: «La consuetudine cui non si resiste, si cangia in natura ». Il lussurioso non ha più volontà propria, l’ha mancipata alla passione; e siccome senza volontà non si può fare nulla, perciò egli rimane stordito nella sua dura schiavitù i cui ceppi gli vengono ribaditi.san Luigi gonz.

San Luigi Gonzaga, santo della purezza. Ci sia di esempio e sprono!

4. – I piaceri della carne sono cosa da poco, pieni di amarezza e di molestie. — L’uomo è fatto per Iddio e nessuna creatura può appagarlo; il suo cuore è insaziabile perché è quasi immenso ne’ suoi desideri; solo Iddio, come bene immenso ed infinito, può appagarli. «Può bene, dice S. Bernardo, l’anima ragionevole occuparsi di mille oggetti, ma nessuno non può riempirla ». Se ciò è vero in quanto ad ogni sorta di beni, di piaceri, di gioie che l’uomo può ricavare dalla terra, dal mondo, dalle passioni, è più che mai evidente se si applica ai piaceri che il disonesto trae dalla carne. Che cosa resta infatti all’incontinente, dopo lo sfogo della sua passione?… Perché cerca avido nuovi godimenti?… O come è povera la voluttà! Non può nutrire né l’anima, né la mente, né il cuore e intanto stanca e uccide il corpo; scava un abisso spaventoso nell’interno dell’uomo. Ecco tutto il guadagno! – Che cosa trova l’uomo nei piaceri carnali? V’incontra la viltà e la miseria…, l’inutilità…, l’insaziabilità…, la brevità…, l’instabilità…, la falsità …, l’insensibilità…, l’infedeltà…, il disinganno…, l’incertezza…, un monte di croci. – « La voluttà è tanto poca cosa, dice Seneca, che svanisce l’istante medesimo in cui si gusta; tocca già al fine, quando è appena cominciata ». Ma pensate, dice S. Agostino, che « se momentaneo è ciò che diletta, eterno sarà quello che tormenta ». – Se per ogni peccato, come osserva S. Bernardo, il godimento passa e più non torna, ma l’affanno rimane e più non parte; tanto più questo si avvera nel peccato dell’incontinenza. Quindi nei piaceri carnali succede al voluttuoso il rovescio dei suoi desideri. Egli vorrebbe che il diletto rimanesse sempre e non mescolato di angoscia e questo non ha luogo. Vorrebbe che la melanconia e l’affanno non venissero mai a intorbidare il godimento, ed essi sono sempre alle porte del suo cuore per cacciarne il piacere non appena vi ha posto piede. Vorrebbe la soddisfazione della carne senza la punizione del peccato, e prova il castigo senza gustare il piacere. Infatti la suprema giustizia di Dio non si regola, né può regolarsi a norma dei colpevoli desideri del dissoluto. No, Dio non consulta, per punire giustamente, i voti e i disegni del lussurioso, che sono così ingiusti. Impudico, tu brami adunque piaceri eterni senza mistura di amarezza; ma sappi che non ti sarà mai dato di trovare ciò nelle tue passioni. Soffoca le tue passioni e allora avrai ucciso l’affanno; ritorna a Dio con animo ravveduto e sincero e vedrai pienamente soddisfatta la tua voglia di veri piaceri ed eterni. Questo desiderio di godere sempre dei piaceri, afferma che il tuo cuore è fatto per Iddio. Quello che nella voluttà solletica e blandisce, presto scompare; quello che è triste, amaro, vergognoso e pungente viene di galoppo e rimane. Questa è giustizia… « Osservate, dice Platone, la differenza che vi passa tra la virtù ed il vizio: all’effimera dolcezza della voluttà, succede una pena continua, dolori ed ansietà perpetue; alle corte e lievi pene della virtù succedono la pace e la felicità eterna » (Lib. de Republ). – « Me infelice! esclamava Gionata, ho appena gustato un po’ di miele, ed eccomi condannato a morte » (I Reg. XIV, 43). Non cessino mai queste parole dal risonare nelle orecchie dei disonesti e se ne facciano l’applicazione. Sì, la voluttà spreme su le labbra dell’impudico una sola stilla di miele, per poi affogarlo in un mare di fiele; mentre nella purità una leggera amarezza si perde ben tosto in un oceano di dolcezza… « Un istante di voluttà, dice S. Agostino, prepara all’anima infelice un obbrobrio ed un tormento eterno ». « È stoltissimo, dice San Cirillo, colui che si uccide col piacere e tanto più grande è la sua stoltezza quanto più irreparabile è la sua rovina ». La dolcezza del piacere carnale è la lubricità del verme che si pasce della corruzione(Iob. XXIV, 20); e ai lussuriosi si può applicare quel detto di Osea: — Comedistis frugem mendacii (Ose. X, 13). Voi avete mangiato il frutto di menzogna; perché la concupiscenza promette la felicità e non dà che tormenti; è una sirena incantatrice che attira, ammalia, addormenta, per divorare. – « La voluttà, dicono i Proverbi, distilla il miele su le labbra, ma in fondo alle viscere diventa assenzio e le strazia come spada a doppio taglio » (Prov. V, 3-4). Come queste parole piene di verità si adempiono esattamente nei disonesti! L’amarezza di quest’assenzio e la punta di questa spada, si sentono dai lussuriosi nelle loro malattie, nella perdita della fortuna, della sanità, del riposo, della tranquillità; nella confusione, nel disonore, nei rimorsi, nei litigi, nelle risse, nelle noie, nei dispiaceri, nel pianto, nella disperazione, nella morte, nella condanna, nella eterna riprovazione che li aspetta. – La dissolutezza avvelena la vita, abbrevia i giorni; è un piacere pernicioso, simile al frutto di cui Dio aveva proibito ad Adamo di mangiare, sotto pena di morte:(Gen. II, 17). La concupiscenza, il demonio, il mondo dicono, come satana al primo uomo: Vana paura; invece di morirne, se gustate di questa dolcezza, sarete felici come Dio (Ib. III, 4-5). Maledetta concupiscenza! Tu prometti al disonesto diletti e gioie, ma se questi ti dà retta, gl’ene deriva disgusto, rimorso, vergogna; sì, egli diventa simile agli dèi, ma agli dèi delle favole, dèi adulteri ed infami, dèi corrotti e bestiali, degni idoli dei lupanari. « O cielo, esclama S. Agostino, quante calamità, quanti affanni vanno insieme con i piaceri carnali! quante sollecitudini e angosce non costano in questa vita, senza contare poi l’inferno. Guardati, o lussurioso, che tu già non sii inferno a te stesso fin d’ora ». – « Vivo è il colore delle rose, dice S. Fulgenzio, ma il gambo loro è irto di spine; bella figura della libidine! Ha anch’essa il suo rossore per l’obbrobrio che fa alla verecondia, ma non si può toccare senza essere lacerati dalla spina del peccato. E come la rosa diletta, ma in breve svanisce, così la voluttà solletica un momento, poi fugge per sempre ». Ma fuggendo vi lascia, nefasta eredità! I germi di perniciosissima malattia, come scrive S. Leone; o, come dice S. Pier Damiani, vi abbandona, vittime destinate alla morte eterna, in balìa del demonio, il quale si ciberà di voi come di ghiottissima vivanda. – Nei voluttuosi si avvera quella minaccia di Dio al popolo d’Israele: « Io li ciberò di assenzio, li abbevererò di fiele; li perseguiterò con la spada finché di loro non rimanga più orma » Gerem. IX, 15-16). Sì, per i disonesti tutto si risolve in pena, tormento ed affanno. Le acque dolci dei fiumi, sboccate in mare, prendono del salmastro; ogni diletto carnale cominciato nella dolcezza termina nell’amarezza. Non vi sia chi si lusinghi, avverte il Crisostomo, di cogliere dall’albero della concupiscenza il frutto del piacere senza sentirsi lacerare e insanguinare dal rimorso e dall’angoscia; è ciò tanto impossibile, quant’è impossibile il maneggiare rovi spinosi senza sentirsene punte le mani. A buon diritto pertanto conchiude S. Cesario, che per l’impudico non vi è giorno di gioia e di festa, ma sempre roso dal rimorso e dall’affanno, si consuma di melanconia e di tristezza.

5. –Quali sono le principali cause dell’impurità? — « La lussuria, dice S. Bernardo, è il cocchio del delitto, della morte, del demonio, dell’inferno; poggia su quattro ruote, che sono l’indolenza, la vanità, la ghiottoneria, l’immodestia; è tirato da due focosi cavalli, che sono la prosperità e l’abbondanza; vi siedono poi a cassetta l’indifferenza e la falsa confidenza » (Serm. XXXIX in Cantic.). – I gradi per i quali si precipita nell’impurità, sono: 1° il lauto vivere; 2° il bere troppo; 3° gli spettacoli i quali sono pericolosissimo scoglio alla castità ed al pudore, perché i più ci vanno per vagheggiare ed essere vagheggiati; 4° i canti osceni, i libri cattivi, le pitture disoneste; 5° i regali offerti ed accettati; 6° l’amore eccessivo del riposo; 7° la compagnia dei dissoluti; 8° i geniali convegni con persone di diverso sesso. – Pensate alla caduta di Sansone, di Davide, di Salomone e riconoscendo quanto voi siate lungi dalla fortezza del primo, dalla santità del secondo, dalla sapienza del terzo, temete e tremate. Pensate se potrete tenervi saldi in mezzo ai pericoli, voi deboli canne, voi fragili vetri, mentre caddero di quelli che erano cedri robusti, saldi macigni. L’impurità è fuoco, non forniamogli alimento.

6.In quanti modi si cade nel vizio della disonestà. — Cinque strade mettono al baratro della disonestà: i pensieri, i desideri, le parole, gli sguardi, le azioni. 1° I pensieri; perché i pensieri disonesti allontanano da Dio (Sap. I, 3) al quale sono in abbominio (Prov. XV, 26). Infatti, come dice S. Cesar o d’Arles, si sprigiona da essi un tale fetore che al suo paragone la puzza della più fetida cloaca è un nulla. Dove è il vostro pensiero, scrive S. Bernardo, vi è il vostro affetto: se esso si porta a cose brutte, lo Spirito Santo si allontana da voi e il tempio di Dio diventa il castello del demonio, perché Satana s’impadronisce di ciò che Dio abbandona. Perciò, quando si affaccia alla vostra mente un pensiero cattivo, scacciatelo subito, non acconsentitegli, non lasciatelo entrare nel vostro cuore. Respingetelo subito e vi lascerà più facilmente. Un pensiero disonesto genera il piacere; il piacere muove al consenso; il consenso porta all’azione; l’azione diventa abitudine; l’abitudine si cambia in necessità; la necessità porta con sé la morte. Ecco a quale precipizio conduce un pensiero cattivo! – I pensieri cattivi sono scintille le quali se non sono spente su l’istante, accendono il fuoco della concupiscenza che cova nella cenere de la carne e suscita un vasto incendio. Quindi ogni ragione vuole che loro non si dia tregua, ma si combattano e scaccino inesorabilmente, da qualunque parte vengano, sia dalle creature, sia dalla nostra propria concupiscenza. 2° Si cade nell’impurità con i desideri. È chiarissima la sentenza di Gesù Cristo: « Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso in cuor suo adulterio con essa » (Matth. V, 28). Perciò S. Paolo inculca ai Romani, che non accarezzino la carne nei corrotti suoi desideri (Rom. XIII, 14). – 3° Si va all’impurità per mezzo delle parole. « La bocca dà di quello di cui abbonda il cuore », dice Gesù Cristo (Matth. XII, 34). Un parlare osceno è dunque segno ed effetto di un cuore impuro. Ciò nondimeno, quante persone non si fanno leciti discorsi disonesti! È per burla, si risponde; ma badate che col peccato non si burla; la violazione della legge di Dio, lo scandalo del prossimo non sono cose da burla. -Date ascolto all’avviso di S. Cesario: « Innanzi tutto, in qualunque luogo vi troviate, non vi escano mai di bocca parole disoneste o turpi ». E di quello che sa di lussuria, non se ne faccia nemmeno parola, come conviene a cristiani (Eph. V, 3). 4° Si cade nell’impurità con gli sguardi. Leggiamo nell’Ecclesiastico, che la persona si conosce negli occhi (Eteli, XIX, 26), e vi sono tali occhi, dice S. Pietro, che riboccano d adulterio e di malizia(II, II, 14). Quindi S. Agostino scriveva: « Nessuno dica che ha l’anima pura, se ha gli occhi impudichi: l’occhio lussurioso è il segnale di un’anima disonesta, di un cuore impuro ». Grandissima è la forza degli occhi per ferire mortalmente l’anima e il cuore. L’oggetto veduto e tanto più se considerato, passa dalla pupilla nell’interno dell’uomo, vi stampa la sua imagine la quale vi resta impressa e come scolpita, anche dopo che l’oggetto non è più presente e questo non può avvenire senza che se ne generi o l’amore o l’odio nello spirito e nel cuore… Ah! lo sguardo è saetta infuocata che penetra nelle midolle del cuore e le consuma. Davide cadde nell’adulterio e nell’omicidio, perché non fu vigilante a contenere la vista. Gli occhi sono le guide e le scorte di Cupido ossia dell’amore impuro: è impossibile che freni la passione chi non frena gli occhi; Il fuoco brucia da vicino, gli occhi bruciano da vicino e da lontano. « È cosa certa, dice S. Bernardo, che quando gli occhi si sono fermati con compiacenza sopra un oggetto disonesto, l’anima resta subito macchiata d’impurità, poiché lo sguardo è il precursore, la guida dell’impudicizia, come le mani e il tatto ne sono i ministri. Bisogna guardarsi dalle occhiate immodeste, come dal morso di una vipera ». -« La morte, dice Geremia, salì per le nostre finestre e introdottasi in casa nostra, mena strage dei ragazzi e dei giovani » (IX, 21). Le finestre della nostra casa sono, gli occhi e per essi entra la disonestà nell’anima. Come non servono a nulla i bastioni e le torri se restano aperte all’entrata del nemico le porte della cittadella, così tutti i ripari, tutti i mezzi di difesa che ci fornisce la grazia a nulla valgono, se teniamo aperte le porte dei sensi a ricevere nell’anima i pensieri e i desideri della carne. Severissima pertanto ha da essere la chiusura e vigilantissima la guardia da farsi ai sensi e principalmente agli occhi, giacché per mezzo loro entra nell’anima o la vita o la morte. Chi condusse i due infami vecchioni a desideri nefandi verso la casta Susanna? i loro occhi (Dan. XIII, 8). Il consenso al peccato tien sempre dietro allo sguardo volontario… O Dio! quanti dannati nell’inferno per occhiate impure! – Seneca medesimo cosi esclama: « O quanto spaziosa e facile strada è aperta alle passioni per mezzo degli occhi e quanto meglio sarebbe che fossero strappati, anziché lasciare che vedano cose le quali corrompono il cuore! Gli occhi mostrano a questo l’adulterio, a quello l’incesto, a un terzo il potere; ed è fuori di dubbio che gli occhi sono gli strumenti attivi del vizio, i precursori dei misfatti » (Lib. de Remed. fortuit.). -5° Si va alla lussuria per mezzo delle azioni disoneste, sia sul proprio corpo, sia su la persona altrui; e in tutte queste varie maniere d’impurità vi è peccato mortale, quando vi si trova la volontà ed il consenso deliberato.

7.Quanto sia difficile uscire dall’impurità. — È cosa facilissima il cedere alle seduzioni della voluttà, perché questa passione si accende più facilmente che la paglia al fuoco; ma quanto difficile riesce il liberarsene e spegnere gli ardori di tale incendio! Come dura e laboriosa impresa è quella di correggersi e uscire da tale cloaca, per chi vi è affogato con frequenti cadute e con lunga abitudine! E infatti, chi li aiuterà a togliersi da tale pantano? Forse Dio? Sì, Dio è pronto ad aiutarli e a sé li invita con le chiamate del divino Spirito, ma essendo la vita loro tutta di carne, sono divenuti carne e l’uomo carnale, ossia animalesco, poco intende la voce dello spirito (Rom. VIII, 5)(I Cor. II, 19). « In essi non è più traccia, dice S. Giacomo, della sapienza che viene dall’alto, non vi rimane che la terrena, l’animalesca, la diabolica » (Iacob. III, 15). Ora, si può sperare che una tale sapienza si pieghi a darsi vinta ai puri e dolci influssi della sapienza divina? – Forse la vergogna naturale, il ribrezzo che certe nefandezze provocano negli animi onesti? Nemmeno questo; perché abbandonati da Dio al furore delle loro malnate cupidigie, lasciati in balìa al reprobo senso, si spogliano di ogni rossore, non distinguono più la sconcezza della lussuria dalla bellezza dell’onestà : sono, come li chiama S. Giuda, uomini di vita animale, privi di senno (Iud. 19). -Si lasceranno almeno commuovere e guadagnare alla grazia? Non possono, risponde S. Bernardo; « perché, come chi ha gustato le dolcezze della grazia, trova insipidi tutti i piaceri della carne, così chi trova appettosi i piaceri del corpo, non sente più nessun gusto nelle dolcezze, nelle attrattive della grazia ». – Sarà il terrore dei divini giudizi che rimetterà in senno i lussuriosi e li spingerà a togliersi dal fango? Non ci credete, dice S. Agostino, perchè l’incontinenza distoglie dal pensiero dei novissimi. – Non hanno maggiore forza su l’animo degli impudichi gli avvertimenti, i consigli, le ammonizioni; nessuna di queste cose, per testimonianza del Crisostomo, non può scuotere e salvare dal naufragio l’anima che affoga nella lussuria. Anzi, come osserva S. Cirillo, « il libidinoso invece di accogliere di buon grado gli ammonimenti, con cui si cerca di strapparlo alla vergognosa sua condizione, li prende in mala parte ». Egli diventa un impasto di caparbietà’, di orgoglio, di accecamento, di stupidezza, cosicché invano intorno a lui si adopera e Dio e l’uomo. – « Colti in questa diabolica rete di satana, oh! quanto è difficile e raro esclama S. Gerolamo, che ne usciamo! ». Perciò, dice S. Tommaso, il demonio si rallegra quando riesce a prendere un’anima nella lussuria, perché è cosa vischiosissima e difficilmente si riesce a liberarsene. Questo vizio è come una palude fangosa in cui, se si estrae un piede, si affonda l’altro. – Questo spiega perché Clemente d’Alessandria chiami l’impurità « male incurabile »; Tertulliano, vizio immutabile » e S. Cipriano «madre dell’impenitenza ». S. Dionigi di Chartres afferma che non si trova tra i voluttuosi abituati, chi abbia dolore del suo peccato perciò quasi tutti gli impudichi si dannano (In Vita). « E’ quasi impossibile, scrive Pietro di Blois, che uno riesca a trionfare della carne, quando la carne ha già di lui trionfato ». Infatti, osserva S. Agostino, « con lo sfogare la libidine, se ne contrae l’abitudine la quale, a lungo andare, diventa necessità. La caduta è una catena, la ricaduta e l’abitudine gettano in prigione, l’abitudine poi, diventa necessità, mura la porta di questa medesima prigione ». – Purtroppo la quotidiana esperienza di tanta gioventù che si abbandona al vizio e non si ravvede nemmeno tra il gelo della vecchiaia, è mallevatrice della verità delle sopraddette sentenze!

8.-Castighi e dannazione dell’impudico. — Bastano a darci un’idea dei castighi che porta con sé l’impurità i mali e le disgrazie che piombano come la folgore e la tempesta in capo all’impudico; e quella vita di nefandezza, di avvilimento di degradazione, d’illusione, d’inganno, di agitazione, di accecamento, di schiavitù, di rimorso, di affanno in cui lo vediamo trascinare i suoi giorni. E poi non è forse il più terribile dei castighi il fatto che Dio li abbandona ai corrotti appetiti della carne, al reprobo loro senso? « Deh! non v’illudete, esclama S. Paolo, Dio non si beffa. L’uomo raccoglierà quello che ha seminato: chi semina nella carne, raccoglierà dalla carne, corruzione; chi semina nello spirito, raccoglierà dallo spirito, vita eterna» (Gal. VI, 7-8). Ed agli Ebrei ricorda, che Dio farà giudizio dei fornicatori e degli adulteri (Hebr. XIII, A). La stessa cosa predica anche Pietro la ove dice che Dio sa riservare al giorno del giudizio quelli che devono essere castigati e tra questi sono in prima fila coloro che si danno ai piaceri sensuali (II Petr. II, 9-10).- « Iddio, scrive S. Agostino, fa servire gli stessi peccati ai disegni della sua giustizia, per modo che quello che è stato strumento di piacere in mano al peccatore, diviene strumento di castigo in mano a Dio vendicatore ». Il disonesto è dal Crisostomo paragonato all’indemoniato che non è padrone di se stesso (Hom. XXIX in Matth.). « Chi fa lega con persone di mala vita, diverrà sfacciato, dice l’Ecclesiastico: avrà in retaggio la putredine e i vermi; sarà proposto ad esempio di terrore e di spavento e cancellato dal numero dei viventi » (Eccli. XIX, 3). Il più spaventoso castigo che abbia veduto il mondo, è certamente il diluvio; ora chi l’ha attirato su la terra? L’impurità del genere umano; ogni carne si era corrotta e Dio, per purgare il mondo, lo affogò in un diluvio d’acqua. Chi fece piovere su Sodoma e Gomorra fuoco e zolfo? l’impudicizia… Chi atterrò i grandi imperi? la dissolutezza… Donde sbucano la maggior parte delle eresie che scompigliano la Chiesa di Dio? Dal vizio impuro. Percosso da disgrazie e da castighi nei giorni della sua vita il lascivo incontra una morte orrenda e spaventosa…; terribile sarà il suo giudizio…; l’inferno sarà la sua dimora eterna… Ah sì! l’impurità è un fuoco che si converte in fiamme eterne e termina nel fuoco dell’inferno. « I disonesti, scrive il cardinale Gaetano, portano già in questo mondo dentro se stessi l’inferno e termineranno coll’andare ad alimentare il fuoco dell’inferno. L’inferno sarebbe vuoto, cesserebbe, per così dire, la sua fiamma, quando l’impurità degli uomini cessasse dal fornirle alimento. La voluttà si cambierà in pece che nutrirà un fuoco cocentissimo nelle viscere dei lascivi per tutti i secoli. Oh che infelicità, che sventura prepara mai a se stesso l’impudico, nel tempo e nell’eternità!»

9.- Rimedi contro l’impurità. — « La voluttà è simile al cane, osserva S. Giovanni Crisostomo; se lo cacciate, si allontana; se lo carezzate, più non vi lascia ». Bisogna dunque scacciare e fuggire questa sirena incantatrice che è l’impurità, come già ne avvisava i giovani Seneca medesimo (Ap. Laert. lib. II). Altro rimedio ci suggerisce S. Basilio, ed è che si castighi il corpo e si tenga custodito e domato come animale furioso, malmenando con penitenze e rigori questo nostro vestimento di carne e di sozzura, come lo chiama l’apostolo S. Giuda (Iud. 23). Poiché la mortificazione del corpo, dice S. Basilio, forma la sanità e il vigore dell’anima. Siccome questa passione invita con le lusinghe, attrae col solletico della felicità e del piacere, si impadronisce per uccidere e rovina quanto trova nell’uomo, è necessità non mai porgerle orecchio, non prestarle fede, non affidarsele, ma diffidarne, temerla, studiosamente e prontamente fuggirla. « Chi vuole praticare le virtù, scrive S. Gregorio, e non impedirne il crescere, deve spegnere in se stesso il fuoco impuro in modo tale che a forza di vigilanza non se ne lasci mai toccare neppure leggermente » (Moral.). Il rimedio che ci premunisce contro le fiamme del fuoco impuro, sta nell’averne un grande orrore; nel non accostarvisi; nel fuggirne più lontano che si può; e questo si ottiene con la vigilanza e con la preghiera, dicendo Gesù: «Vigilate e pregate, acciocché non v’incolga tentazione; perché anche dove lo spirito è pronto, la carne è debole » Matth. XXVI, 41). Mezzi validissimi a vincere la voluttà sono: considerare la brevità del piacere e la lunghezza dei patimenti che vengono dopo; conviversi che la lussuria è il più pericoloso e mortale nemico dell’uomo e la causa principale di tutte le sue sciagure; meditare attentamente sulla differenza immensa che passa tra le ricchezze, le consolazioni, le soavità della grazia, della continenza e la miseria, l’amarezza, l’angoscia, gli strazi dell’impurità, dell’incontinenza. L’umiltà è buon talismano contro gli incantesimi della lussuria: dove non vi è umiltà, rarissimamente vi è castità. Adamo per orgoglio si ribella a Dio, ed ecco tosto ribellarsi a lui la carne; si vede nudo, arrossisce ed è costretto a nascondersi… Bisogna che si sottometta a Dio, che a lui obbedisca chi vuole avere la carne soggetta e obbediente allo spirito… Per respingere gli assalti della voluttà, è pure ottima difesa il lavoro. « La libidine resta fiaccata e spenta dalle fatiche corporali », scrive S. Isidoro; quindi quell’aureo avviso di S. Gerolamo: « Bada che il demonio ti trovi sempre occupato al lavoro »; non dimenticare però di unire al lavoro la preghiera la quale è, come dice S. Gregorio, « la guardia del pudore ». Finalmente il digiuno, i sacramenti, il pensiero della presenza di Dio, la divozione alla Vergine Maria, la considerazione dei novissimi sono tali mezzi che vincono sicuramente e prostrano il vizio dell’impurità.

 

 

La strana sindrome di nonno Basilio: 24

nonno

La strana sindrome di nonno Basilio -24-

   Egregio direttore, mi presento ancora alla sua attenzione proseguendo quella che oramai è divenuta una consuetudine, spero non angusta per lei, ma certamente per me ricca di spunti e considerazioni importanti da proporre ai miei cari nipoti ed ai suoi lettori, se ancora ce ne sono che hanno voglia di leggere le mie amenità. In una bella mattinata ombrosa, ero all’ascolto attento di un capolavoro musicale che lei certamente conoscerà, il quintetto per pianoforte ed archi di Franz Schubert in La maggiore D 667 “Die Forelle”, (la Trota). Lei certamente saprà che in questa meraviglia di suoni già la strumentazione si presenta apparentemente stravagante, perché il quartetto d’archi non si compone dei due soliti violini, viola e violoncello, ma un violino viene sostituito dal contrabbasso, e questo conferisce all’insieme una profondità timbrica tutta speciale, sulla quale si stagliano poi i guizzi melodici, i trilli e gruppetti violinistici, capaci di rendere estremamente suggestiva, quasi visibile, la scena descritta. È una goduria per le orecchie, di cui purtroppo i giovani di oggi non sospettano neppure l’esistenza, occupati ad ascoltare feccia acustica, spazzatura di frastuoni, lurida ferraglia spacca-orecchi. Le ricordo, solo per inciso, che questa meraviglia della creatività umana, si sviluppa anche melodicamente su di un tema che già Schubert aveva composto in un suo Lied, l’opera 32, appunto “Die Forelle”, il cui testo è del poeta quasi omonimo Schubart. Gliene riporto uno stralcio tradotto: “In un chiaro ruscelletto, guizzava lieta e svelta la trota capricciosa, veloce come una freccia. Io stavo sulla riva e osservavo in dolce calma il bagno del bel pesciolino nel limpido ruscelletto. Un pescatore con la lenza si mise sulla sponda e guardò, a sangue freddo, dove andava il pesciolino. Fin che l’acqua chiara, pensavo, non verrà meno, non potrà catturare la trota col suo amo. Ma infine al disonesto l’attesa sembrò lunga. Rese il ruscello torbido, il perfido, e prima che me ne accorgessi, fece scattare la sua lenza, il pesciolino si agitava, preso, ed io col sangue sconvolto guardai la vittima ingannata”. L’opera strumentale viene però completata da un finale allegro, mirabolante, musicalmente stupendo figurando la liberazione che infine la trota ottiene, devincolandosi e liberandosi dalla lenza, sembra quasi di vedere una scena biblica, come quelle descritte dal Re-Profeta, ad esempio nel salmo XVII: “Misit de summo, et accepit me; et assumpsit me de aquis multis. Eripuit me de inimicis meis fortissimis, et ab his qui oderunt me. Quoniam confortati sunt super me, praevenerunt me in die afflictionis meae; et factus est Dominus protector meus. Et eduxit me in latitudinem; salvum me fecit, quoniam voluit me” [stese la mano dall’alto e mi prese, mi sollevò dalle grandi acque, mi liberò da nemici potenti, da coloro che mi odiavano ed eran più forti di me. Mi assalirono nel giorno di sventura, ma il Signore fu mio sostegno; mi portò al largo, mi liberò perché mi vuol bene”] (vv.17-20), o nel salmo LXVIII: “Salvum me fac, Deus, quoniam intraverunt aquae usque ad animam meam. Infixus sum in limo profundi et non est substantia. Veni in altitudinem maris; et tempestas demersit me. Laboravi clamans, raucae factae sunt fauces meae; defecerunt oculi mei, dum spero in Deum meum. Multiplicati sunt super capillos capitis mei qui oderunt me gratis. Confortati sunt qui persecuti sunt me inimici mei injuste …” [Salvami, o Dio: l’acqua mi giunge alla gola. Affondo nel fango e non ho sostegno; sono caduto in acque profonde e l’onda mi travolge. Sono sfinito dal gridare, riarse sono le mie fauci; i miei occhi si consumano nell’attesa del mio Dio. Più numerosi dei capelli del mio capo sono coloro che mi odiano senza ragione], o, tanto per completare, anche nel salmo CXXIII: “forsitan aqua absorbuisset nos; torrentem pertransivit anima nostra; forsitan pertransisset anima nostra aquam intolerabilem. Benedictus Dominus, qui non dedit nos in captionem dentibus eorum. Anima nostra sicut passer erepta est de laqueo venantium; laqueus contritus est, et nos liberati sumus. Adjutorium nostrum in nomine Domini, qui fecit caelum et terram”. [Le acque ci avrebbero travolti; un torrente ci avrebbe sommersi, ci avrebbero travolti acque impetuose. Sia benedetto il Signore, che non ci ha lasciati in preda ai loro denti. Noi siamo stati liberati come un uccello dal laccio dei cacciatori: il laccio si è spezzato e noi siamo scampati. Il nostro aiuto è nel nome del Signore che ha fatto cielo e terra”] (vv.4-8). A questo tripudio di ricchezza inventiva e di frizzante comunicativa sembra ora partecipare, in una felicità favolosa, anche la trota risorta. Caro direttore le parlerei per giorni di questa leccornia musicale, davanti alla quale la mia memoria miracolosamente risorge: Exsurge Basilie!! Nell’illustrare la scena ai miei nipoti, i soliti Mimmo e Caterina, nel frattempo giunti ed attenti all’ascolto, cominciamo a ragionare su come, per ingannare e prendere al laccio le … trote “cristiane”, è bene confondere ed intorbidire le acque cristalline nelle quali ci si può orientare facilmente tanto da sfuggire all’accalappiatore infido. Ma, guardi direttore, come il risveglio della mia memoria, mi porta davanti agli occhi la grande enciclica “Pascendi”, del Santo Padre Pio X, nella quale appunto egli metteva in guardia dalla tattica confusionale dei novatori modernisti, tattica attuata gettando nella cristallina acqua dell’insegnamento evangelico di Cristo, della Tradizione Patristica, della teologia scolastica dell’Angelico, del “Depositus Fidei” della Cattedra di Pietro, la melma filosofica razionalista figlia della mai sopita rivendicazione gnostica procedente da Cartesio, Kant, Rousseau, Voltaire, Hegel, e via via fino ai nostri attuali nichilisti, teologi compresi, passando per Nietsche e Feud. Mi toccherà pure, se la mia memoria migliorerà a furia di ascoltare bella musica sacra, canti gregoriani, messe solenni, requiem, stabat Mater e così via (l’unica terapia che, salmodia in latino a parte, finora sia servita a qualcosa … alla faccia dei professoroni tirasoldi presuntuosi “bla, bla, bla”… ), illustrare, soprattutto a Mimmo, che in questo è a dir poco carente, il pensiero di questi filosofi e personaggi bislacchi che condizionano ancora pesantemente la nostra vita, la nostra società irrimediabilmente corrotta, mettendo oltretutto con la “nuovelle théologie”, via certa per sprofondare nell’inferno, in pericolo la nostra anima, secondo le lezioni dello zio Tommaso, buon’anima (e qui ci scappa la lacrimuccia!). Ci diceva tra l’altro il santo sacerdote mio zio, che l’enciclica “Pascendi dominici gregis”, promulgata l’8 settembre 1907, riassume tutta l’offensiva condotta dal Papa San Pio X contro l’errore del modernismo. Come ogni eresia, il modernismo è un sistema in cui tutto è strettamente collegato, un sistema costituito ” non da vaghe dottrine non unite da alcun nesso, ma di un unico corpo e ben compatto, ove “chi una cosa ammetta  uopo è che accetti tutto il rimanente”. Ma, a differenza di altre eresie, si tratta di un sistema che non si presenta come tale. Ad una prima lettura essa presenta una apparenza di oscurità e di equivoco che, su ogni singolo punto particolare ed isolato, potrebbe indurre una benevola interpretazione dal punto di vista dell’ortodossia. Giusto per dare un esempio,al punto n° 3 di tale documento, San Pio X ricorda che i modernisti “niuno li supera di accortezza e di astuzia”, essi usano una “sì fina simulazione da trarre agevolmente in inganno ogni incauto “. E al n° 2 afferma che si tratta di nemici ” tanto più perniciosi quanto meno sono in vista”. Non è dunque senza motivo che San Pio X paragona questa eresia del tutto nuova e senza precedenti ad una “fogna”: il modernismo è il ricettacolo di tutte le eresie, ci confermava lo zio. Una fogna è invisibile perché è sotterranea ed il modernismo è esattamente una eresia sotterranea, un’eresia che si diffonde nascostamente. Esso si potrebbe paragonare anche ad un camaleonte, che possiede la capacità di cambiare il colore della pelle in funzione dell’ambiente in cui si trova. Questa caratteristica gli permette di dare l’impressione che sia cambiato, mentre in realtà è rimasto lo stesso. Questo secondo paragone ci permette di comprendere perché l’analisi di San Pio X conserva ad oggi tutta la sua attualità. Gli insegnamenti del così detto concilio Vaticano II, infatti, in particolare la Lumen Gentium [speriamo che non sia il solito documento macchietta di Mimmo!] di cui mi parlerà prossimamente, come mi ha promesso, Caterina, per capire fino a qual punto si sia spinta la follia modernista, hanno mutato il colore del modernismo senza cambiarne la natura profonda, anzi rendendolo più operativo. Il principio primo di questo modernismo analizzato da San Pio X (lo ricordava spesso lo zio) è duplice: Vi è un primo fondamento costituito dall’agnosticismo, secondo il quale sarebbe impossibile entrare in relazione con Dio tramite la conoscenza intellettuale. E tuttavia il modernismo non è un ateismo al quale sfugge grazie però solo all’immanenza vitale, che costituisce il secondo fondamento del sistema, [scoprendo la maschera della gnosi – n.d. Bas.]: si entra in relazione con Dio non tramite la conoscenza, ma per il bisogno. Questo bisogno divenuto cosciente è la fede ed è anche la rivelazione. Fede e rivelazione derivano dall’interno (la coscienza del soggetto) e non più dall’esterno (la proposizione oggettiva del dogma offerta dal magistero della Chiesa): siamo all’immanenza, dove fede e rivelazione corrispondono non ad una conoscenza, ma ad un bisogno o ad un vissuto. È il vitalismo. Sostenendo che il bisogno o l’esperienza del divino sono alla base della rivelazione e della fede, esso si sostituisce come principio della religione, la vita alla verità. Il problema è, allora, di mantenere e dunque di trasmettere la fede e la rivelazione. Occorre quindi assicurare la permanenza del vissuto grazie alla Tradizione e alla Chiesa. Per comunicare l’esperienza occorre viverla insieme. La Chiesa, che è questo vissuto collettivo, è definita come ” il frutto della coscienza collettiva “. Questa esperienza vissuta in comune dà vita alla tradizione vivente, cioè alla serie, continua nel tempo, delle esperienze religiose fatte in comune. Ne deriva che la costituzione della Chiesa non è più quella di una società monarchica, ma quella di una comunione o di un governo democratico, in cui l’autorità diviene il portavoce della comunità. Da ciò deriva anche un “relativismo” unico nel suo genere: tutte le religioni sono più o meno vere [ergo: tutte false!]. Dal momento che la religione sarebbe la comunicazione di una esperienza, la migliore religione, e dunque la più vera, sarà quella in cui la comunicazione corrisponde meglio ai bisogni della coscienza umana e meglio perdura. Questa religione esiste: è il cattolicesimo, la religione che in fondo è solo più vera delle altre, mentre le altre, corrispondendo più o meno a questi bisogni, rimangono buone e legittime. Vede direttore su quali idiozie si fonda il modernismo, che dunque, può riassumersi in tre grandi postulati: 1) la fede e la rivelazione consistono nel vivere un’esperienza; 2) la Chiesa è la comunione di coloro che vivono questa esperienza; 3) il cattolicesimo è solo il coronamento o la pienezza di questa esperienza. Ecco quindi come scaturisce da questi anomali postulati, tutta una serie di eresie ampiamente condannate dai Vicari di Cristo e riproposte, con faccia bronzea dal “Concilio tradimentino”, e dal postconcilio “in forma apostasiae” in un crescendo che alla fine si concluderà in un intervento divino che, col soffio della sua bocca, libererà le … povere trote dai pescatori, o se preferite, gli uccelli dal laccio del cacciatore, come promesso nei salmi, e alfine il povero cattolico … dal modernista di ogni risma. S. Ignazio da Loyola negli “Esercizi Spirituali” (n°318) scrive che in tempi di confusione non si deve cambiare proposito di agire, ma restar fermi e fare come prima senza pretendere di vederci chiaro, poiché “nel torbido pesca il demonio”. Quindi nei casi di oscurità, aridità, desolazione, ‘notti dei sensi e dello spirito’, occorre andare avanti come prima, anche senza vedere, anzi ci si deve accontentare di non aver lumi, poiché Dio permette tale oscurità per purificare l’anima dei suoi fedeli, spingendoli ad una maggior fiducia in Lui che non in se stessi e a “sperare contro la speranza”, senza vedere nell’inevidenza (quod repugnat). Anche S. Teresa d’Avila e S. Giovanni della Croce insegnano la stessa dottrina, che è comune in teologia ascetica e mistica. Exsurge Basilie, exsurge Directore! Dopo i momenti oscuri e tenebrosi del “lento lugubre”, quelli del modernismo e dell’ecumenismo conciliare, esploderà un finale gioioso “allegro con fuoco”, nella brillante e “frizzante” tonalità di Re maggiore, alla maniera Schubertiana, o forse, ancora più incisivamente, in un crescendo rossiniano. Direttore, sulle righe di un ideale pentagramma, la saluto caramente. Sursum corda! Christus vicit, Christus regnat, Christus imperat! Alla prossima, direttore, stia tranquillo, tanto “non praevalebunt…” anzi: “… irridebit eos, et Dominus subsannabit eos”, perché il Cuore Immacolato di Maria alla fine trionferà et “Ipsa conteret caput eorum”!

Due Papi, un destino comune: l’esilio!

Papa SILVERIO e Papa Gregorio XVII

SILVERIO PAPA E MARTIRE 20 GIUGNO.

[da: I Santi, per ogni giorno dell’anno. Soc. S. Paolo, Roma 1933]

San Silverio Papa

 Quando l’aprile 536, moriva Papa S. Agapito, succedeva in Roma l’anarchia e già si prevedeva, a sola vista umana, difficile l’elezione d’un successore. Ma l’elezione del Papa è opera dello Spirito Santo ed ecco, all’annuncio del novello Papa, nella persona di Silverio, rifarsi la bonaccia. – Nella politica intanto avvenivano rovesci per l’Italia meridionale: Belisario, generale degli eserciti di Giustiniano, occupava la Sicilia e l’anno dopo il napoletano; poscia si spinse su, su, fino all’occupazione di Roma. Teodora, moglie di Giustiniano Imperatore, seguace dell’eresia di Eutiche, approfittò dell’occupazione di Roma per cercare di ottenere dal Papa che fosse ristabilito Antimo, della sua setta, nella sede episcopale di Costantinopoli. – Belisario, cui fu affidata l’impresa, si presentò al Papa ed espose la sua domanda. Questi però si oppose energicamente: — “Non possumus!” – Non possiamo affidare le pecorelle redente dal sangue, di Cristo, ad un eretico. Ne potrà andar la vita: non importa. Sta scritto nei Vangeli che il buon pastore dà la sua vita per le pecorelle, e noi la daremo se sarà necessario: il Signore è il nostro aiuto ed il nostro sostegno! Dopo altre inutili preghiere, minacele e promesse, Belisario se ne ritornò alla Regina. – Per segreta intesa dei due iniqui, si sparsero calunnie d’ogni sorta contro il santo Pontefice e non mancarono i falsi testimoni. – Condotto dinanzi alla regina lo spogliarono degli abiti pontificali e lo vestirono da semplice monaco; poscia su d’una nave lo relegarono a Pàtara nell’Asia Minore. – AI popolo poi, nel quale già si sentivano i sintomi d’una sollevazione per il malcontento suscitato da questo fatto, si fece credere ch’egli spontaneamente aveva chieste comunicazione col popolo, non poteva palesare la verità. – A Patara, dove sbarcò, fu accolto con grande stima dal vescovo e n’ebbe da questi promessa d’un ricorso a Giustiniano, il quale godeva stima di cristiano e dal quale perciò si sperava giustizia. – Dapprima egli si mostrò dispiacente del fatto e mostrò volontà di adoprarsi onde il Papa fosse rimesso nella sua sede. Giunse anche persino ad ordinare che fosse ricondotto a Roma ma poi, lasciatosi influenzare dalla moglie e dagli eutichiani, accondiscese vilmente che fosse relegato nell’isola di Ponza del gruppo delle Pontine. – In relegazione il santo Pontefice ebbe a soffrire grandi dolori, sete, fame, umiliazioni; ma sempre stette forte nei suoi doveri di cristiano e di Pontefice. – Egli coronò dell’aureola dei martiri la sua vita che, quanto fu poco attiva per la lunga prigionia, altrettanto fu proficua. Perché è sempre vero, e più tangibilmente vero a questi tempi, l’aforisma di Tertulliano: “Sanguis Martyrum semen Christianorum”: il sangue dei Martiri è semenza di cristiani. – Morì abbandonato da tutti il 20 giugno del 538.

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Quante affinità con Gregorio XVII, Cardinal Siri, indicato già come suo successore da Pio XII ed eletto Papa all’unanimità nel conclave del 1958 e subito destituito dai “poteri forti” che manovravano i marrani della “quinta colonna” infiltrati nel conclave e nella Chiesa, con minacce di ogni genere, non escluso l’impiego di armi atomiche. Il Santo Padre fu esiliato così nella sua Genova, costretto a fingere una carica arcivescovile, senza poter esercitare il suo “vero” mandato Apostolico atteso ed accettato, al quale lo aveva designato lo Spirito Santo, dovendo subire ed assistere alle imposizioni sacrileghe degli usurpanti occupanti il soglio di Pietro, come da profezie mariane, che mandavano al massacro [si fueri potest] la Chiesa di Cristo, minandola dal suo interno e propagando perniciose eresie, sempre protetti dai “poteri forti”, braccio operativo di satana. Sofferenza dell’anima vissuta per ben 31 anni, quella di Gregorio XVII, che amava la Chiesa di Cristo al di sopra di ogni altro bene, donando tutto se stesso, in uno stato di sorveglianza continua e totale isolamento pratico, offerto come sofferenza al Gesù del Getsemani, prima di essere stroncato dalle “goccine” di digitale e probabilmente da aqua tofana: martirio nel quale aveva profuso sangue spirituale accomunandosi a Gesù nella Passione dell’orto degli ulivi, passione durata oltre trent’anni in un lento stillicidio offerto per la salvezza della Chiesa e dei suoi veri fedeli. Ma il Signore scrive dritto sulle righe contorte, a dimostrazione della sua potenza che si irride dei vani disegni dell’uomo, anche di quelli che possono utilizzare le armi atomiche ed i mezzi di comunicazione di massa, pensando così di essere arbitri delle sorti del mondo … “irridebit eos Dominus”, ed ha utilizzato questo mezzo per perpetuare la successione Apostolica nella sua Chiesa, fedele all’impegno evangelico di essere alla guida della sua Chiesa fino all’ultimo giorno del mondo, con una serie ininterrotta di suoi Vicari. Che Papa S. Silverio, uno dei Papi esiliati della storia, esaudisca le nostre preghiere ed interceda affinché la Santa Chiesa Cattolica possa essere liberata finalmente dai lacci degli empi e mostri orgogliosa e visibile a tutti, dai sotterranei in cui è costretto, il Sommo Pontefice “vero”, il Santo Padre, il Vicario di Cristo. Amen!

LO SPIRITO SANTO: La quarta creazione: “IL CRISTIANO”

SPIRITO SANTO: La quarta creazione: “IL CRISTIANO”

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[Mons. Gaume: Trattato dello Spirito Santo: vol. II Capp. XVIII, XIX, XX – Firenze 1887]

Le tre prime creazioni dello Spirito Santo nel Nuovo Testamento si riferiscono alla quarta. Maria per il Verbo incarnato; il Verbo incarnato per la Chiesa; la Chiesa per il cristiano; il cristiano medesimo per divinizzare la creazione tutta intera e ricondurla al suo principio, moltiplicando dappertutto i fratelli del Verbo incarnato: “ut sit Deus omnia in omnibus”. Studiamo questo nuovo capo d’opera che compendia tutti gli altri. Che cosa è infatti il cristiano? È il fratello del Verbo incarnato [Joan XX, 17] è un altro Gesù Cristo. Ora il Verbo incarnato è Dio, figliuolo di Dio ed erede di tutti i beni di suo Padre sulla terra e nel cielo, nel tempo e nell’eternità. Nel significato in cui noi stiamo per spiegarlo, il cristiano è tutto ciò: Dio, figliuolo di Dio, coerede di tutte le cose col Verbo suo fratello maggiore. Egli è Dio: “Io ho detto: voi siete Dii e figli di Dio vivente”. [Ps. 81. — Osea, I, 10]. « In virtù dello Spirito Santo, aggiunge san Basilio, i santi sono Dii. » [“Sanctos propter inhabitantem Spiritum sanctum esse Deos”. Homil. de Spir. Sanct.] E sant’Àtanasio: «In quella guisa che nell’incarnarsi Iddio si è fatto uomo, cosi per il Verbo incarnato, l’uomo si è fatto Dio. » [“Ut enim Dominis; induto corpore factus est homo; ita et nos homines ex Verbo Dei fìamus dii”. Serm. iv, Cont. Arian.]. Il Verbo è Figliuolo di suo Padre per mezzo di una generazione eterna: questa generazione è il tipo di quella del cristiano. Fin da “ab eterno”, Iddio Padre genera un Figlio consustanziale ed eguale a Lui in tutte le cose. Egli genera nel tempo, dei figli che sono per cagion della grazia, ciò che il suo Figlio unico è per natura. Cosi il cristiano è un essere a parte, e il risultato di un fiat speciale.1 Corn. a Lapid Osea, I, 10. Egli non è figlio né di dèi morti, né di idoli muti, né del sangue, né della carne, né della volontà dell’uomo; Egli è Figlio di Dio vivente: Fìlli Dei viventis. È simile al Verbo, il cui Padre dice eternamente: Tu sei mio figlio, io medesimo ti ho generato. [Hebr., i, 5]. Egli è coerede di tutte quante le cose. Il Verbo incarnato, dice san Paolo, è l’universale legatario di Dio. Id., I,  Tutto appartiene a Lui, tanto in cielo che sulla terra; ed aggiunge: “E noi siamo tutti coeredi del Verbo”. [Rom. VII, 17]. II cielo e la terra non sono stati fatti né per gli angeli cattivi, né per i malvagi; ma per il cristiano. Il cielo è il suo regno, il suo paese, la sua dimora nell’eternità. La terra è il suo luogo di passaggio. Quando l’ultimo cristiano avrà ricevuto il battesimo e rimessa l’anima sua tra le mani del suo divin Padre, il mondo finirà, e finirà, perché avrà perduta la sua ragione di essere: “Omnia propter electos: consummatum est”. Grandezza ineffabile! anzi ineffabile bontà! far uscire dal nulla il cielo con gli astri e con gli Angeli, la terra con le sue ricchezze e co’ suoi abitanti è una magnifica creazione, giustamente attribuita al Padre. Ve ne è un’altra più magnifica, e la cui gloria ritorna allo Spirito Santo; ed è la creazione del cristiano. « Un’opera forse appellata grande, dice san Tommaso, a causa della stessa grandezza dell’opera. Sotto questo rapporto la giustificazione dell’uomo, che ha per fine la partecipazione eterna alla natura divina, é più grande della creazione del cielo e della terra, che si termina col godimento di una natura peritura. Perciò, sant’Agostino, dopo aver detto che il fare un giusto di un peccatore è una più gran cosa che il trarre dal nulla l’universo, aggiunge: “Poiché il cielo e la terra passeranno, ma la giustificazione e la salute dei giusti non passeranno”. » [la q. 113 corp.]. Che l’uomo tratto dal niente del peccato, sia innalzato fino alla partecipazione della natura divina; che il figlio della polvere diventi il figlio di Dio; che Dio appelli l’uomo suo figlio; che l’uomo appelli Dio suo Padre; e che questa appellazione reciproca sia l’espressione della realtà: « Ecco, continua san Leone, la creazione più meravigliosa, il dono che sorpassa tutti i doni. O cristiano, riconosci dunque la tua dignità: nel partecipare della natura divina, bada di non degradarti con una condotta indegna della tua grandezza. » [Id. ibid., Serm. I]. Qual è il principio di questa generazione, causa della nostra incomparabile nobiltà? come si compie essa? quali sono in particolare gli effetti che ne risultano? dove si compie? O spirito di luce, degnatevi illuminarci nel momento in cui, nell’interesse della vostra gloria, tentiamo di rivelare a’ vostri figli il mirabile e profondo mistero della loro origine. Qual è il principio della generazione del cristiano? La grazia; ma che cosa è la grazia, e come dire la sua eccellenza e la sua natura intima ? « La grazia, dice san Pietro, é tutto quello che Vi abbia di più eccellente nei tesori di Dio. È un dono che rende l’uomo partecipe della natura divina. [II Pietr. I, 4].» L’angelo della teologia parla come il principe degli apostoli. Secondo san Tommaso: « La grazia è una partecipazione della natura stessa di Dio. È la trasformazione dell’uomo in Dio, essendo rincominciamento della gloria in noi. [“….Ipsum lumen gratiae quod est participatio divinae naturae”. l a 2ae, q. 110, art. III, corp. “Gratia nihil aliud est quam quaedam inchoatio gloriae in nobis”. 2a 2ae, q. 24, art. 3, ad 2]. I catechismi spagnuoli aggiungono: «La grazia é un principio divino che ci fa figli di Dio ed eredi della sua gloria. » [La gracia es un ser divino que nos hace hijos de dios y herederos de su gloria]. Ma qual è nella sua natura intima questo dono deificatore? La grazia non è solamente come troppo spesso la si definisce, un aiuto dato da Dio in vista della nostra salute. L’aiuto è l’effetto della grazia e non la grazia, nella sua essenza. La grazia non è più un dono esterno all’anima, ma è nell’essenza stessa dell’anima. È un principio divino, un nuovo elemento, sopraggiunto alla nostra natura, una qualità suprema che risiede nella stessa essenza dell’anima, che opera sull’anima e su tutte le potenze; come la stessa anima opera sul corpo e su tutti gli organi. « Senza dubbio, continua san Tommaso, la grazia non è la sostanza stessa dell’anima, o la sua forma sostanziale; ma è la sua forma accidentale. [Si sa che la parola forma, nell’antica teologia, vuol dire principio o causa che determina e perfeziona una cosa : come l’anima nel corpo. Lagrazia santificante” è un principio divino che ci fa figli di Dio ed eredi della sua gloria. La grazia santificante è un dono creato, cioè dire che, quale si sia la perfezione di questo dono, questo dono non ‘è la sostanza stessa di Dio. Infatti questo dono è inerente all’ anima, vale a dire che modifica l’anima ma non la distrugge, né la cambia sino al punto di cessare d’essere anima. E inerente e sotto forma d’abitudine, cioè dire d’inclinazione, di propensione a fare il bene. Ora se questo dono fosse la sostanza stessa di Dio, non vi sarebbe solamente inclinazione a fare il bene, ma vi sarebbe azione continua del bene, perché Dio è sovranamente e eternamente autore del bene. La grazia santificante, come dice san Pietro, è ima partecipazione alla natura divina! Quaggiù nessuna creatura può intendere il significato, né la natura di questa parola; noi la comprenderemo in cielo, e questa intelligenza sarà parte della nostra felicità in patria. La causa produttiva della grazia è lo Spirito Santo, autore di ogni dono naturale e soprannaturale. La causa meritoria, è il Verbo incarnato. Sua causa strumentale sono i sacramenti: la causa formale, la natura della grazia, posta nell’anima, è la vita divina comunicata a quest’anima. La causa finale, o la ragione per la quale Dio la comunica nell’anima, è la gloria di Dio; la gloria del Verbo incarnato; la deificazione dell’uomo che gli dà diritto alla gloria di Dio ed a tutti i suoi beni della grazia e della gloria – l a 2ae, q. 110, art. 2, ad 2. — Vedi anche il testo di san Basilio in Corn. a Lap., in II, Petr. I, 4]. Difatti, per mezzo della grazia, ciò che è sostanzialmente in Dio, diviene accidentalmente nell’anima, resa partecipe delle perfezioni divine. » – Ora, chi è sostanzialmente in Dio, se non Dio medesimo: il Padre, il Figliuolo, lo Spirito Santo, l’Adorabile Trinità. Per cagione della grazia è dunque Dio, il Padre il Figliuolo, lo Spirito Santo, l’adorabile Trinità che è accidentalmente nel cristiano. Dio è sostanzialmente vita, santità, forza, luce, perfezione, beatitudine eterna. Il cristiano è dunque accidentalmente vita divina, santità divina, forza divina, luce divina, perfezione divina, beatitudine divina. Tutto questo egli è accidentalmente, vale a dire, ch’egli può cessare d’esserlo, mentre Dio non lo può. – L’anima del cristiano è dunque la dimora, il tempio, il trono di Dio. Al cristiano, Dio è dunque infinitamente più unito che non lo sia alle altre creature, per la sua essenza, per la sua presenza e per la sua potenza. È a tal punto che se, per impossibile, Dio non fosse nell’anima, come è con tutti gli esseri creati con l’essenza, con la presenza e con la potenza, ei vi sarebbe per grazia. Come il corpo del Verbo incarnato diviene presente sotto la specie del pane mediante le parole della consacrazione; o come la sua divinità divenne presente all’umanità nel momento della incarnazione; di guisa che, se fino allora essa ne fosse stata assente, avrebbe essa cominciato allora ad esserle presente ed esistere personalmente in lei; cosi avviene dell’unione di Dio con l’uomo mediante la grazia. Questa unione è talmente intima, che è la più perfetta a cui possa pretendere una pura creatura. [Corn. a Lapid Act. apost II, 4]. Come si compie in noi questa unione divina, alla quale dobbiamo l’essere non solamente chiamati ma essere realmente figli di Dio? La risposta a questa questione ci fa scandagliare uno degli abissi dell’amore infinito. Comunicando a noi la grazia, lo Spirito santificante avrebbe potuto renderci solamente giusti e santi senza farci suoi figli. Un simile favore avrebbe meritata una eterna riconoscenza. Avrebbe potuto onorarci di questa adozione, contentandosi di darci la grazia e i doni creati; imperocché la grazia, come vedemmo, è la partecipazione alla natura divina. Questo secondo favore sarebbe stato più grande del primo : lo Spirito Santo non se n’è contentato. Co’ suoi doni Egli ha voluto dare se stesso, e da sé medesimo in persona deificarci e adottarci. Per questo scopo Ei si é volontariamente unito a’ suoi doni. Di modo che, allorquando Ei gli versa nell’anima, Egli medesimo vi si versa per essi e con essi, personalmente, sostanzialmente, a fine di contrarre con noi una unione superata solamente dall’unione ipostatica di Dio e dell’uomo nel Verbo incarnato. Tale è dunque l’amore immenso dello Spirito Santo, e la suprema elevazione del cristiano. Nel momento della nostra generazione divina, non è solamente la grazia e gli altri doni dello Spirito Santo che si sono versati in noi, ma è lo Spirito Santo medesimo, dono increato e autore di tutti i doni. Mescolato e come identificato co’ suoi doni, questo divino Spirito in persona abita in noi, ci vivifica, ci adotta e ci divinizza. [Corn. a Lap., in Osee, I, 10]. Vogliamo noi qualche cosa ancora di più grande? Lo Spirito Santo discendendo personalmente nel cristiano, è accompagnato dal Padre e dal Figliuolo, da’ quali non può essere separato. Così tutta l’augusta Trinità personalmente e sostanzialmente abita in lui, tanto tempo quanto egli persevera nella giustizia. Chi osserverà la mia parola, diceva il Verbo incarnato, “noi verremo da lui e faremo dimora presso di lui“. [Joan. XIII, 14]. Così per la grazia, Iddio dimora personalmente in noi, e noi dimoriamo personalmente in Dio. Guardiamoci dal paragonare questa abitazione di Dio in noi, all’abitazione di un re in un palazzo, oppure alla presenza di Dio in qualunque altra pura creatura; sarebbe un errore. L’abitazione di Dio nell’anima giusta, è una unione attiva, che tende alla trasformazione dell’uomo in Dio. Tale fu l’immensa gloria chiesta e ottenuta dal Verbo, nostro fratello maggiore, nella preghiera eh’Egli fece al Padre prima di morire: « Che siano tutti una sola cosa: come tu sei in me, o Padre, ed io in te, che siano anch’essi una sola cosa in noi. » [Joan., XVII, 21]. Quali sono i principali effetti di questa unione, o piuttosto della nostra generazione divina? Il primo è la vita : « Io sono venuto diceva il Redentore, perché abbiano vita, e siano nell’abbondanza». [Ibid., X, 10]. Allo Spirito Santo, successore e continuatore del Verbo, appartiene il diritto di tenere lo stesso linguaggio. Ma qual vita ci dà Egli? Vi sono quattro sorte di vite: la vita vegetativa che è quella delle piante; la vita sensitiva che è quella degli animali, la vita ragionevole che é quella degli uomini; la vita divina che è quella di Dio medesimo e degli Angeli. Quando lo Spirito Santo discese sulla terra, la vita vegetativa, la vita sensitiva, la vita della semplice ragione, scorrevano strabocchevolmente. Non é dunque per renderle più abbondanti che lo Spirito d’amore e di verità lasciava le altezze dei cieli. Ma la vita divina era quasi spenta. Chi viveva di essa? Chi pur la conosceva? I savi, i dotti, i virtuosi si erano degradati sino al punto di non vivere altro che della vita delle bestie [Ps. XLVIII]. È dunque la vita di Dio che lo Spirito Santo ci comunica per via della grazia. Questa vita dominante, assorbente ogni altra vita, espelle dall’anima il peccato, principio di morte, e soprannaturalizza ciò che è puramente naturale. « La grazia, dice san Tommaso, sana l’anima, le fa volere il bene e praticare il bene ch’essa vuole; la fa perseverare nel bene e giungere alla gloria. Essa nobilita tutte le sue potenze e le rende capaci di atti sublimi, in relazione col principio divino che le mette in azione. [“Sicut ab essentia animae effluunt ejus potentiae, quae sunt ejus operum principia, ita etiam ab ipsa gratia effluunt virtutes in potentias animae, per quas potentiae moventur ad actus”. l a 2“ , q. 110, art. 4, ad 1.]. A questa vita divina le nazioni cristiane hanno dovuto e devono ancora, tutta la superiorità intellettuale e morale che le distingue. Se avessero la disgrazia di perderla non resterà loro, come al mondo pagano, se non che la povera vita della ragione, dominata ben tosto dalla vita della pianta e della bestia. Se l’Europa non si sollecita a rientrare nello stato di grazia, questa nuova caduta dell’umanità è infallibile: tra l’uomo antico e 1’uomo moderno la sola differenza è quella che vi ha posto il Cristianesimo. – Il secondo effetto della generazione divina è “l’adozione divina”. La nostra adozione divina non rassomiglia in nulla 1’adozione che ha luogo fra gli uomini. In questa, i figli non ricevono nulla della natura fisica del loro padre adottivo. Essi gli debbono soltanto un nome che dà loro il diritto all’eredità. Altra cosa è l’adozione divina: « Osservate, dice san Giovanni, qual carità ha dato il Padre a noi che siamo chiamati e siamo figliuoli di Dio. » [I Joan., III, 1]. – Infatti, con la grazia il cristiano riceve da Dio la stessa natura divina, alla quale egli partecipa, non solamente per accidente, ma come sostanzialmente. Noi siamo dunque figli di Dio, e come tanti dei, poiché Dio ci comunica realmente la sua natura. [Qua adoptione accipimus summam dignitatem filiationis divinae, ut reipsa non tantum accidentaliter per gratiam, sed et quasi substantiaiiter per naturam simus fìlii Dei, et quasi Dii. Deus enim suam naturam realiter nobis communicat et donat. Com. a Lap., in Osee, I, 10. — In un altro luogo, il dotto commentatore spiega le due parole accidentalmente e sostanzialmente. “Accidentalmente”, il cristiano è partecipe della natura divina mediante la grazia santificante che è un dono accidentale versato nell’anima, in virtù del quale egli partecipa della maniera più elevata e più perfetta della natura divina. “Sostanzialmente”, perché partecipa realmente della natura divina che gli è comunicata; imperocché la grazia dell’adozione non può più essere separata dallo Spirito Santo, come l’adozione dello Spirito Santo non può essere separata dalla grazia, in quella guisa che il raggio non può essere separato dal sole, come il sole dal raggio.”Nec enim gratia adoptans a Spiritu sancto, nec Spiritus sancti adoptio a gratia divelli potest : sicut radius a sole, et sol a radio divelli nequit“. In II Petr., I, 4]. – Se noi siamo veramente figli di Dio, Dio altresì è veramente nostro Padre. Difatti, quegli è veramente padre che comunica la sua natura a suo figlio, è dunque con ragione, che Dio è chiamato non solamente il Padre di Nostro Signore Gesù Cristo, ma Padre nostro, poiché ci comunica la sua natura mediante la grazia, come Ei la comunica mediante la unione ipostatica a Nostro Signore, facendoci veramente suoi fratelli.1. Corn. a Lap., in Osea, I, 10]. Quest’è l’insegnamento formale dello stesso Spirito Santo. « Coloro che Egli ha preveduti, dice san Paolo, gli ha anche predestinati ad essere conformi all’immagine del Figliuol suo, ond’Egli sia il primogenito tra molti fratelli. » Rom VIII, 29]. E san Giovanni : « Egli diede potere di diventar figliuoli di Dio a quelli che credono nel suo nome; i quali non per via di sangue, né per volontà della carne, né per volontà d’uomo, ma da Dio son nati. » [Joan. I, 12]. – Che cosa dire di una gloria simile? Come figliuoli di Dio prestiamo orecchie alle parole dello stesso apostolo, rapito d’ammirazione in presenza a tanta grandezza; «Carissimi, noi siamo adesso figliuoli di Dio, ma non ancora si è manifestato quel che saremo. Sappiamo che quand’Egli apparirà sarem simili a Lui, perché Lo vedremo qual’ Egli è » [1 Giov. III, 2]. O cristiano, essere sublime, se tu sai comprenderti! Essere figlio di Dio, erede di Dio, è essere infinitamente più che re, imperatore, Papa, monarca di tutto l’universo: più che essere angelo, arcangelo, cherubino, serafino. Essere figlio di Dio, essere Dio sulla terra, “terrenus Deus”; assimilarsi mediante il cibo tutte le creature inferiori; nutrirsi della carne e del sangue di Dio medesimo, e partecipare realmente della sua natura: ecco il “panteismo cattolico. La ragione ne è offuscata. Che c’è da meravigliarsi dell’immenso successo di Satana, allorquando egli lo contraffà, e che offre all’uomo la contraffazione in luogo dell’originale? Oh quanto é dunque degna d’invidia la filiazione divina! o uomo, come tu devi amarla! con che sollecitudine tu devi conservarla; e se per disgrazia vieni a perderla, con qual prontezza tu dei recuperarla! Come un figlio si conduce con suo padre, cosi dee condursi con Dio. Vivi di fiducia, d’ amore e di rispetto figliale. Dietro l’esempio de’tuoi avi, Noè, Enoch, Abramo, sii perfetto in tutte le vie. Che la tua società si componga piuttosto d’Angeli che di uomini. Niente attiri, niente offuschi gli sguardi di colui che sa d’essere figliuolo di Dio. Egli si degraderebbe, se dopo Dio potesse ammirare qualche cosa. [S. Cypr., De Spectacul.]. – Il terzo effetto della generazione, o figliolanza divina, è il “diritto all’eredità paterna”! Questa eredità, alla quale nessun’altra può essere paragonata, si compone della grazia e della gloria: tesori infiniti che comprendono tutti i beni del padre nostro sulla terra e nel cielo. Ne nominerò soltanto alcuni: al momento della sua adozione, il cristiano riceve con la remissione dei suoi peccati e con la perfetta purificazione dell’ anima sua, le tre virtù teologali : la fede, la speranza, la carità; le quattro virtù morali soprannaturali: la prudenza, la giustizia, la forza, la temperanza, i sette doni dello Spirito Santo, che discesero primitivamente sul Verbo, suo maggior fratello. – Di più ancora: poiché in Lui discendono, a Lui si danno lo Spirito Santo, autore di tutti i doni, il Figliuolo ed il Padre, tutta l’augusta Trinità sostanzialmente e personalmente. [S. Th., l a 2ae q. 08, art. 8 corp.; Conc. Trid., sess. VI, c. vii. Falluntur qui in justifìcatione et adoptione censent dari Spiritum sanctum duntaxat quoad sua dona, non autem quoad suam substantiam et personam”. Corn., a Lap., in Qsee., I, 10]. – Tutti questi doni versati sino nella profondità dell’anima, fanno del cristiano un essere nuovo, nato ad una vita nuova e capace di opere divine. Lavorando sino alla morte 1’uomo non adottato può guadagnare dell’oro e dell’argento che con lui periscono; ma il cristiano può guadagnare ogni giorno, ogni ora un accrescimento di grazia, il cui minimo grado vale più dell’intero universo. [“Bonum gratiae unius majus est quam bonum naturae totius universi”. S. Th., la 2a q. 113, art. 9, ad 2]. – La ragione è che le sue opere sono le opere di un figlio, in qualche modo sostanziale di Dio, procedente da Dio medesimo e dallo Spirito Santo che ne è il motore ed il cooperatore. [Corn. a Lap., in Osee, I, 10]. – Pur tuttavia non è questa che una parte de’ nostri tesori e il principio della nostra nobiltà. Tutte le opere del cristiano sono semi di gloria. Come l’albero e il frutto nascono dal grano, cosi la gloria e la felicità eterna nascono dalla grazia. Per calcolare tutta la dignità del cristiano bisogna dunque aggiungere che la sua adozione cominciata sulla terra si consumerà in cielo. Ivi, in possesso di un regno del quale quaggiù niente potrebbe darcene l’idea, in seno alla visione beatifica, egli sarà trasformato in Dio in modo cosi perfetto, unito di una unione cosi intima, che andrà, senza confondere le nature, sino alla consumazione nella unità [Joan., XVIII, 28]. – Alla vista di tanta grandezza, la parola spira sulle sue labbra. Non rimane altra forza che per dire al cristiano: Nobiltà obbliga, ed ai sacerdoti: Fate conoscere a questo figliuolo di Dio la sua dignità e gli obblighi che ne derivano. Oggi specialmente che l’uomo tende a disprezzarsi sino al punto di assomigliarsi alla bestia, gridategli: “Sollevate i cuori. Stirpe divina, la terra è indegna di te; che gli istinti grossolani della natura, che le pallide faci della ragione siano le scorte degli altri uomini; per te, la regola dei tuoi pensieri, delle tue affezioni e delle tue opere, è la parola del tuo divino fratello, il Verbo incarnato: “Siate perfetti come lo stesso Padre vostro celeste è perfetto”. Queste misteriose operazioni che abbiamo descritte essendo la base della formazione del cristiano, crediamo utile di riassumerle in poche parole. Esse renderanno, bene intese, facile lo studio particolareggiato della quarta e magnifica creazione dello Spirito Santo.Come l’uomo è figlio dell’uomo per la generazione umana, così egli è figlio di Dio per una generazione divina. Questa generazione che lo rende partecipe della natura stessa dì Dio, si fa mediante la grazia. La grazia è un dono, un elemento divino che fa l’uomo, figlio di Dio ed erede della sua gloria. Il mistero si compie cosi: lo Spirito Santo discende personalmente nell’uomo, e se lo unisce con l’unione che é più intima dopo la unione ipostatica.In virtù di questa unione la carità, di cui lo Spirito Santo è la sorgente, si trasfonde tosto nella essenza dell’anima. Essa vi porta tutte le virtù, tutti i principi costitutivi della vita soprannaturale o divina, essendo essa medesima questa vita. Senza perdere della sua natura, l’anima al contatto dell’elemento divino si divinizza, in quel modo che rimanendo ferro il ferro immerso nel fuoco, ne prende tutte le qualità.Mediante la grazia santificante o abituale, l’uomo, divenuto figlio di Dio, è capace di qualunque bene soprannaturale. Nondimeno per compierlo, ha bisogno di un impulso che deve rinnovarsi cosi spesso quanto l’obbligo di operare. Cosi il succo che è nell’albero e che è la sua vita, deve essere messo in movimento per mezzo dei raggi del sole, per circolare nei rami e formare i fiori ed i frutti. Nell’uomo questo impulso è la grazia attuale. Come lo indica il suo nome, la grazia attuale è un movimento, un impulso, una ispirazione transitoria dello Spirito Santo, che a un dato momento pone in azione la grazia abituale, e comunica all’anima, secondo il bisogno, la luce, la forza, i rimorsi, il desiderio, necessari per compiere il bene che si presenta. [“Hujusmodi gratiae actualis auxilmm necessarium est ad eas omnes exercendas operationes quae aliquo modo naturae vires excedunt. Montagn., De gratia, quaest. Proaem., p. 53, ediz. in-4. — Quoties bona agimus, dum in nobis et nobiscum est, ut operemur, operatur. Conc, arausic., XI, c. IX. — Hac gratia agitur, non solum ut diligenda credamus verum etiam ut credita diligamus. S. Aug., Lib . de Grat. Christi, c. XII].

Nascita del cristiano: il Battesimo

     Noi conosciamo la realtà e l’eccellenza della nostra generazione divina, ma dove si compie? Nella, vita del cristiano havvi un’ora solenne tra tutte, ora unica, ora di gloria e di benedizioni eterne; l’ora cioè del battesimo. Allora si opera un miracolo più grande della creazione del cielo e della terra; il figlio dell’uomo diventa il figlio di Dio. Che c’è da meravigliarsi, se ogni volta che questo prodigio si rinnova, le trombe della Chiesa militante, le campane prorompono in suoni giocondi per annunziarlo al cielo e alla terra? Che fa meraviglia, se il più gran re del più bel regno segnava, non il nome della sua famiglia, ma quello del luogo dove aveva ricevuto il battesimo, e si chiamava Luigi di Poissy? Che è necessario meravigliarsi, se ogni anno i nostri padri celebravano con una festa solenne detta Pasqua annotina, l’anniversario della loro nascita divina? No; tutto ciò nulla ci deve meravigliare. Ciò che sorprende ed affligge è di vedere il giorno più grande della vita, divenuto, per la maggior parte dei cristiani d’oggigiorno, un giorno come un altro. Che nelle acque del battesimo l’uomo diventi figlio di Dio, è una verità di fede. « Chiunque, dice il Verbo incarnato, non rinasce con l’acqua e con lo Spirito Santo non può entrare nel regno di Dio.» [Joan., III, 3]. E il santo concilio di Trento interprete infallibile del Maestro, dice : « La causa strumentale della santificazione è il Sacramento del battesimo. » [Justificationis causa instrumentalis item, sacramentum Baptismi; quod est sacramentum fìdei, sine qua nulli unquam contigit justifìcatio”. Sess. VI, c. VII et c. IV]. Qui ricomparisce con un nuovo splendore razione creatrice dello Spirito Santo, e la profonda armonia che Dio ha posta tra il mondo della natura e il mondo della grazia. Poiché il soggetto ci porta, parliamo di questi misteri oggi cosi poco ammirati, e però cosi degni, d’esserlo.

L’acqua è la materia del battesimo. Perché l’acqua e non un altro elemento ? L’incertezza cesserà con la risposta a questa questione: che cosa è l’acqua? Tra’ tanti ozi perduti, non ci è mai accaduto di consacrarne un solo, per breve che sia, a cercare qual è questo elemento, il più amico dell’uomo, questa bella e benefica creatura di cui facciamo un uso cosi frequente? Tentiamo almeno ima volta questo studio. Rivelandoci la cagione per la quale Iddio impiega l’acqua nella più magnifica delle sue opere, essa ci ispirerà nobili concetti e nobili sentimenti. L’acqua è la madre del mondo e il sangue della natura. A definirla in tal modo siamo autorizzati, come bentosto vedremo, dal più dotto dei geologi, san Pietro, il principe degli Apostoli. Avendo imparato la geologia alla scuola medesima del Creatore, nessuno meglio di lui conosce l’origine delle cose. L’acqua è la madre del mondo, se dal suo seno e dalla sua sostanza sono usciti la terra ed i cieli. Ecco ora ciò che noi leggiamo in capo al Genesi: « In principio Iddio creò il cielo e la terra ; e la terra era informe e vuota, e le tenebre erano sopra la faccia dell’abisso. » La materia primitiva, lanciata nello spazio dal Verbo creatore, formava una massa informe in stato liquido. La terra, che ne era parte integrante, subiva la comune condizione. Acqua non condensata era essa, come dice la Scrittura, senza consistenza e senza forma determinata. « Questa materia informe, che Iddio trasse dal nulla, dice sant’Agostino, fu da principio chiamata cielo e terra. Ed è detto: “In principio Iddio fece il cielo e la terra”. Non che ciò fosse già, ma perché poteva esserlo; imperocché è scritto che il cielo fu fatto. Perciò, quando noi consideriamo il grano di un albero, diciamo che in esso sono le radici, il tronco, i rami, le foglie, i frutti, non che già queste cose sieno; ma perché devono essere. Nello stesso senso è stato detto: “Nel principio Iddio fece il cielo e la terra”, sebbene la materia del cielo e della terra fosse ancora in stato di caos. Ma perché da questo caos dovevano con certezza uscire il cielo e la terra, di già la medesima materia era chiamata il cielo e la terra. » [De Gen. contr. Maniche lib. I, c. VII, opp. t. I, p. 1052, ediz. Novis]. Udiamo adesso il principe degli Apostoli. A tempo suo vi erano (come oggi dei Renan, dei Proudhon, dei Quinet, degli Strauss) degli scolaretti del piccolo Epicuro, i quali negavano la creazione del mondo, il suo libero governo mediante la Provvidenza e la sua distruzione finale. San Pietro risponde : « Questi beffatori ignorano perché lo vogliono, che furono da prima per la parola di Dio i cieli e la terra uscita dall’acqua, e che ha consistenza per l’acqua. » [“Latet enim eos hoc volentes quod, coeli erant prius et terra de aqua et per aquam, consistens Verbo Dei”. II Piet.,III, 5. — Benché al singolare la parola consistens confermata, si riferisca del pari al cielo ed alla terra, gli Ebrei hanno l’usanza di fare accordare l’aggettivo con l’ultimo sostantivo]. Cosi il cielo e la terra con quanto racchiudono di creature materiali, sono stati formati dall’acqua, alla quale il Verbo creatore ha dato, condensandola, una forma decretata e mantenuta in uno stato permanente. Presso i Padri ed i commentatori, l’interpretazione delle parole dell’apostolo è invariabile. Per primo troviamo il Papa San Clemente, discepolo di san Pietro, che assicura tenerla dalla bocca del suo augusto maestro: « Io vi insegnerò, mi diceva Pietro, come e per qual motivo il mondo è stato fatto. In principio Iddio fece il cielo e la terra, come un solo edilìzio. L’acqua che occupava il mondo, Iddio la condensò come una ghiacciaia, la rese solida come il cristallo: essa formò il firmamento che avvolge tutto lo spazio, compreso tra il cielo e la terra » [“Repetamus…. quomodo vel a quo factus sit mundus…. In principio cum fecisset Deus coelum et terram tamquam domum unam…. aqua, quae erat intra mundum.,.. quasi gelu concreta et crystallo solidata distenditur, et hujusmodi firmamento velut intercluduntux media coeli ac terrae spatia”. Recognita lib. I, c. XXVI et XXVII]. Come si vede, non si tratta dell’acqua come materia elementare. Iddio l’ha separata in due parti: una, ridotta allo stato concreto, forma la terra : l’altra, tenuta in sospeso nel vuoto, si chiama firmamento, e forma intorno alla terra come una corona di cristallo smaltata di diamanti.11 [Vedi Fabricius, Teologia delV acqua, lib. II, c. I]. Ecumenio parla come San Clemente. « Il cielo e la terra, dice, sono state create dall’acqua. Il cielo non è che l’acqua vaporizzata, o nello stato aeriforme; e la terra, l’acqua consolidata o in stato di concrezione.» [“Sicut coelo et terra ex aqua constitutis…. nam aer ex aquarum exhalatione, terra ex eorum concretione consistit”. In II Petr. III, 5]. Sant’Agostino non è meno esplicito. « Nel principio, i cieli e la terra furono creati dall’acqua e per mezzo dell’acqua. Non è dunque assurdo il dire che 1′ acqua era la materia primitiva; imperocché tutto ciò che nasce sulla terra, gli animali, le erbe e gli altri esseri simili, ripetono dal1’acqua la loro formazione e il loro nutrimento. » [De Gen, conir. Manich., lib. I, c. VII , p. 1058]. Tale è il sentimento degli altri dottori, a cui il terzo versetto della Genesi viene a dare, a quanto sembra, una splendida conferma. [Vedi Corna Lap., in Eccles., XXIX, 28]. E lo Spirito di Dio si muoveva sopra le acque. Perché la Scrittura non dice: “sul cielo e sulla terra”, da lei nominati, e soli ? Non è forse evidente che dice cosi, perché esistevano in stato d’acqua, e che l’acqua era l’elemento generatore dell’uno e dell’altro? – La memoria della primitiva origine degli esseri materiali non si era interamente perduta presso i pagani. Dall’Oriente, culla della tradizione, era passata in Occidente. La prima scuola filosofica della Grecia, quella di Talete, stabiliva per principio che l’acqua aveva dato l’origine a tutto quello che noi vediamo. [Aquam principem rebus creandis dixere. Auson., De Lud. Sapiente] Plinio, il naturalista più erudito che fosse tra i romani, scrive: « L’acqua è la regina di tutto, essa conserva la terra, uccide il fuoco, sale in alto e possiede l’impero del cielo. Cadendo, essa fa nascere ciò che produce la terra. Prodigio della natura! Se si considera come nascono le messi, come vivono gli alberi e le piante, come l’acqua sale al cielo, e come ne discende per dar vita alle erbe, confesseremo con verità che la terra deve ogni cosa all’acqua. » [Hist. nat., lib. XXXI, c. I, ediz. in-8, Parigi, 1827]. Festo e altri grammatici pagani, danno alla parola acqua un’etimologia che significa madre di tutto ciò che esiste. [Corn. a Lap., in Joan., IV, 9].All’insegnamento della tradizione universale, la chimica, quando sarà più avanzata, verrà, non ne dubitiamo, ad aggiungere l’autorità delle sue esperienze. In luogo di cinquanta corpi semplici, riconoscerà che un elemento solo è bastato al Creatore per formare tutto ciò che noi vediamo. Ora, questo elemento primitivo è l’acqua. Tale è di già l’opinione di una parte del mondo colto. Come il bambino esce dal seno e dalla sostanza di sua madre, cosi la creazione materiale è dunque uscita dall’acqua. Parimente i cieli e la terra e tutto ciò che essa produce, sono figli e nipoti dell’acqua : Ex aqua et per aquam. Ché nobile madre, che bella e numerosa famiglia! Volgiamo i nostri sguardi sull’immensa varietà di alberi, di vegetali, di piante, d’erbe, di fiori e di frutti, nei quali non si sa che più ammirare, o l’utilità del loro legname e della loro fronda, la ricchezza dei loro colori, la graziosità delle loro forme, l’odore squisito dei loro profumi, o le loro proprietà medicinali. Con tutto ció, questa non è la più bella parte dei figli dell’acqua. – Da essa altresì sono nati gli animali che riempiono la terra, i pesci ché popolano il mare, la cui grassezza o piccolezza, la forma è la struttura, le industrie e i mezzi d’attacco e di difesa, del pari ci sorprendono. – Qualche cosa di più grazioso e altresì di più brillante. Gli uccelli sono fratelli dei pesci. Per la gentilezza delle loro forme, la vivacità del loro portamento, lo splendore, la magnificenza e la varietà delle loro piume, la sicurezza del loro istinto e l’armonia dei loro canti; queste incantevoli creature offrono uno spettacolo che non si cessa mai di ammirare. Che più? Dalla terra è uscito il capolavoro della creazione materiale, il nostro corpo, come la terra medesima è uscita dall’acqua. Se dunque la terra è nostra madre, l’acqua è l’ava nostra. Qualunque uomo è nato da lei: “Initium vitae hominis aqua”. [Hydrogiologia, sect. i, c. III, auct. Marco Ani. Marsilio, Columna archiep. Salernit]. – Il Creatore che ha tratto la terra dall’acqua, ha voluto che questa figlia, in qualunque tempo, riposasse come un bambino nel seno di sua madre. Egli ha fondato la terra sull’acqua: “super maria fundavit eam”, dice il profeta. [Ps, XXIII]. L’acqua in vero, le serve di punto d’appoggio, di cuna e di fascie. Di fatti la conservazione degli esseri non è che la loro continua creazione; ciò significa che essi vivono degli stessi elementi di cui sono formati. Se dunque l’ acqua è l’elemento generatore degli esseri materiali, essa deve rappresentare una parte sovrana nella loro conservazione. Ora è un fatto, che l’acqua entra in tutti gli alimenti; che è il rimedio diretto a una quantità di malattie, che serve di veicolo alla maggior parte dei medicamenti. Siccome nelle opere di Dio tutto è fatto per istruzione dell’uomo, perciò sant’Ambrogio applica la lezione che ci è data da questa indissolubile unione della terra con l’acqua. « Vedete, dice egli, che buona madre è l’acqua! Essa nutrisce ciò che partorisce, né mai se ne separa. E tu, o uomo, tu hai insegnato al padre ed alla madre l’abbandono dei propri figli, le separazioni, gli odi, le offese; impara dall’acqua quali siano gli intimi legami che debbono unire fra loro i genitori ed i figliuoli. – Hexaem.,lib. V, c. IV. – Apprendiamo altresì quanto grandi debbano essere la nostra umiltà e il nostro distacco dalle creature. Che cosa è il nostro corpo ? Acqua rappresa. E gli animali, le piante, la terra, e tutte le creature materiali? Acqua rappresa. E per un poco d’acqua rappresa noi vorremo inorgoglire e perdere l’anima nostra fatta ad immagine di Dio? L’acqua non è solamente la madre del mondo, ma è eziandio il sangue della natura. – Come il sangue è necessario alla vita del corpo; cosi l’acqua è necessaria alla vita dell’universo. Nel corpo umano il sangue ha i suoi serbatoi; di lì esce per alimentare tutte le nostre membra; vi torna per rinfrescarsi, e ne esce di nuovo per seguitare le sue funzioni indispensabili. Avviène la stessa cosa nel gran corpo della natura. I mari senza fondo, le ampie cavità delle montagne sono i serbatoi del suo sangue. Per un moto non interrotto di flusso e riflusso, l’acqua purificata, rinfrescata, impregnata di tutte le sue natie qualità, continua ad infondere la vita in mille svariate produzioni: l’avvicendarsi delle quali in un modo regolare, non é il carattere meno ammirabile. È la sapienza infinita che fa uscire dai suoi ricettacoli il sangue, che lo spartisce e lo dirige per cento canali, di diversa grandezza secondo i bisogni di ciascun organo. – Nella natura la stessa sapienza presiede alla distribuzione delle acque; ed apre, ai suoi tempi, quelle grandi conserve, ne spartisce la massa, le mostra i canali per cui deve passare, per bagnare, rinfrescare, e mantenere da per tutto la bellezza e la vita. In questi canali, alcuni come fiumi, sono le arterie del gran corpo della natura; le riviere, i ruscelli, le fontane, le infiltrazioni sotterranee, sono le vene, le fibre, i vasi capillari, per dove l’acqua penetra nelle più minute parti della terra: come il sangue nelle estremità più deboli dei nostri organi, e le più lontane dal centro. È un fatto comprovato che trovasi acqua da per tutto. Su tal proposito i pozzi artesiani sono venuti, come tutte le altre scoperte, a confermare gli insegnamenti della teologia. Che sarebbe se l’uomo possedesse una scienza più completa, oppure se potesse adoprare strumenti più perfetti? La precisione con la quale Dio misura la quantità dei sangue, che dee entrare in ciascun vaso, la rapidità o la lentezza con cui deve scorrere, è tale che non v’é mai, tranne un caso strano, né un ingorgo, né una perturbazione nell’organismo. Con un arte del pari meravigliosa lo stesso Creatore si fa gloria d’aver misurato, equilibrato e spartite le acque nel corpo della natura, per modo, che ciascuna parte ne riceve la quantità che gli bisogna. « Sono io che ho messo l’acqua nella bilancia; io che segnai il corso all’impetuosa pioggia, e la strada al tuono rumoreggiante. » [Job., XXVIII, 25,26]. – Ma se l’uomo si rende meritevole di qualche grave castigo, l’ordine é sospeso. Siccome nella famiglia quella a cui tocca più spesso di correggere il figlio colpevole è la madre: cosi nella natura è l’acqua, che vendica il Padre celeste oltraggiato. A lei Iddio intima di rinchiudersi nei suoi serbatoi, e di far languire la terra e i suoi prodotti; o di cadere in piogge dirotte e funeste che inondando la prima, alterando i secondi, costringono l’uomo colpevole a chiedere mercé. – Si può dunque ripetere a buon diritto con un autore pagano: « L’acqua è l’elemento più amico che si abbia l’uomo; non ve ne sono altri che gli arrechino tanti vantaggi; senza l’acqua nulla potrebbe nascere, né conservarsi, né essere adattato ai nostri usi. » [Vitruv., lib. VIII, c. IV]. Aggiungiamo con Eusebio, che di tutti gli elementi, l’acqua è quella che sembra rendere maggiore gloria agli attributi di Dio. I fiumi e le riviere che scorrono di continuo in sì grande abbondanza, fanno conoscere la magnificenza del Creatore. Le fonti inesauribili che notte e giorno scaturiscono dagli abissi nascosti all’occhio umano, mostrano la bontà di Dio che le alimenta. La grandezza della sua potenza si rivela mediante la immensa massa delle acque racchiuse nell’abisso degli oceani, e per mezzo degli audaci flutti che innalzandosi fino alle nubi, fanno paura alla terra, ma vengono a rompere l’orgoglio contro un grano di sabbia. [De Laud. Constant., p. 605]. – Tale è l’acqua in se stessa e nell’ordine naturale. Non è egli giusto che a motivo del supremo ufficio di cui è onorata, canti ella la gloria di Dio, e che l’uomo associandosi alla madre sua, l’aiuti a pagare il debito della riconoscenza? Perciò nel cantico in cui invoca tutte le creature ad esaltare, a sopra esaltare il loro autore, il profeta, dopo essersi indirizzato agli Angeli, gloriosi abitatori del mondo superiore, passa alla creazione inferiore e appella immediatamente l’acqua, sua madre sempre feconda: “Benedicite aquae omnes quae super coelos sunt Domino”. – Ecco dunque, gli onori resi all’acqua. È un fatto poco notato e però tanto più degno d’esserlo, quanto è universale: tutti i popoli inciviliti dell’Oriente e dell’Occidente, ebrei, pagani, o cristiani, hanno posto una parte della loro gloria nell’adornare le fonti. Essi hanno voluto che la lor madre, giungendo presso di loro, fosse ricevuta non da vasi di pietra o di legno rozzamente lavorati, ma in vasche e bacini di marmo, di bronzo, di porfido, riccamente adorne di sculture e di bassorilievi. – Le acque non sgorgano punto da orifizi semplici e senza arte: ma graziosi e vari sono i loro canali. Escono esse ora dal becco di un uccello, ora da una gola di leone, o dalla bocca di qualsiasi altra creatura animata, e il rumore della loro caduta, dolce e risuonante, forma un concerto che è, secondo l’espressione del Profeta, il battito di mani delle acque: “Flumina plaudent manu”. Nessuno intese il culto delle acque meglio dei due più grandi popoli dell’antichità, cioè gli Ebrei ed i Romani. Gli acquedotti di Salomone erano di una magnificenza incredibile, di una grandezza e larghezza che sembrerebbero favolose, se le prove scritte e materiali non le rendessero certe. I Cesari non entrarono mai in Roma con tanta pompa come le acque, chiamate ad abbellire la eterna città. Per esempio l’acqua detta Paola e Vergine, la cui abbondanza e purezza fanno ancora della Roma attuale la città delle belle fontane, arrivavano, come tante regine, sopra archi trionfali della lunghezza di dieci o quindici leghe. I nostri acquedotti, scriveva Plinio, sono le meraviglie del mondo; orbis miracula [Lib. XXXVI, c. XV]. Non deve dunque fare meraviglia se la grande scimmia di Dio, satana, si é impadronita di questa venerazione istintiva per le acque, e la fa volgere a suo profitto. Egli, per corrompere l’uomo e fare insultare Dio dalla più bella delle sue creature, si è messo con accanimento a profanare le acque e le fontane: le prime furono popolate di una moltitudine di divinità impure: delle seconde, ha fatto uno spettacolo di lubricità. Uscendo dalla bocca o dalla conca, sirene, naiadi, tritoni, vale a dire demoni provocatori, le fontane ridiventate pagane non cantano più gli attributi del Creatore, ma le infamie di satana, dei suoi angeli e del suo culto. [Vedi Corn. a Lap., in Zach., XIV, 6; et Cant, IV, 16]. – Lo stupore raddoppia, o piuttosto la scienza si svolge, quando si considera l’ufficio importante dell’acqua nell’ordine morale. Qual elemento ha più spesso servito alle meraviglie dell’Onnipotente! Il diluvio, il passaggio del Mar Rosso, il monte di Horeb, il passaggio del Giordano, il culto mosaico con le sue numerose cerimonie, di cui l’acqua forma quasi sempre una parte integrante; non attestano essi che l’acqua è l’elemento preferito del Creatore? Quante volte il Verbo incarnato l’ha fatto servire a’ suoi misteri ed a’ suoi miracoli, sarebbe lungo il narrarlo. Citiamo un sol fatto: al limitare della sua vita pubblica egli vuol manifestare la sua divinità con un irresistibile splendore. Il primo suo miracolo sarà, come la sua lettera credenziale. Per operarlo qual’elemento adopera? L’acqua. – « Cosa degna di nota, dice a questo proposito il dotto Fabricio, il cambiamento dell’acqua in vino alle nozze di Cana; il Verbo rigeneratore continua ad operarlo tutti i giorni con un lusso di varietà, davanti a cui si cade in ginocchio. Egli fa cosi bene unire l’acqua con la virtù del ceppo della vigna, che le uve si empiono non d’acqua ma di un succo delizioso. Chi potrebbe annoverare tante specie di vini, tante sorte di altri vini, di olii e di frutti succulenti ; nei quali l’acquasi cangia al contatto delle virtù racchiuse nei loro semi? » [Teologia dell’acqua, lib. I, c. IV]. . Se la miracolosa trasformazione dell’acqua si compie al contatto di un elemento creato, perché non potrebbe essa compiersi dietro l’ordine immediato di Colui che ha creato l’acqua e l’elemento trasformatore? – Era necessario di far conoscere l’eccellenza naturale dell’acqua, mostrando ciò che è nel mondo fisico, per avere la ragione della scelta costante, che Dio ne fa sin dall’origine, come elemento delle cose più grandi nel mondo morale. Ora queste antiche meraviglie non erano che il preludio di una maraviglia ancor molto più grande. Noi vogliamo parlare della nascita del cristiano: all’acqua ridonda questo onore. Esso, come unico, incomparabile ed immortale, pone in evidenza una delle armonie che più rapiscono tra le opere divine, né forma la minor prova che l’ acqua è bene l’elemento generatore di tutte le cose. Vedremo ciò a breve. Non é dunque perché essa si trovi dappertutto, ma bensì, perché è cosa profondamente misteriosa, che l’acqua sia stata scelta per l’elemento del battesimo.

Magnificenza del battesimo dei cristiani

Nel primo giorno del mondo, lo Spirito Santo riposa sulle acque, simile all’uccello che cova il suo nido per tarlo schiudere. Dalle acque primitive cosi fecondate sorgono le brillanti e innumerevoli legioni d’esseri organici, viventi, animati e destinati a vivere sulla terra, uscita confessi dal seno delle acque. Nella pienezza dei tempi, lo stesso Spirito riposa sulle acque del battesimo, le feconda e per tutta la durata dei secoli ne fa uscire l’innumerevole famiglia dei figli di Dio, destinati a popolare il cielo. Questo spettacolo rapisce i Padri e i dottori della Chiesa. Come gli antichi profeti si erano dilettati a cantare la prima creazione uscente dal seno delle acque, cosi essi celebrano a gara la seconda creazione uscita dallo stesso elemento. « Quel che fu il seno di Maria per il Verbo, dicono essi, Io è per noi il fonte battesimale; seno materno in cui è ricevuta la grazia generatrice e donde noi usciamo fratelli e coeredi del Verbo incarnato. Oh l’ammirabile artefice che è lo Spirito Santo! » [“Fons aquae elementaris, hoc Spiritu interveniente, fìt uterus Ecclesiae, uterus gratiae, etc.” – Rupert, de Spirit. Sanct., lib. III, c. CIII. — Qui si vede la ragione per la quale l’acqua elementare o naturale è l’unica materia del battesimo. E sola che lo Spirito Santo ha santificata e resa feconda. – « Che utilità reca l’acqua, domanda san Crisostomo, per dare una seconda nascita al mondo? Sono grandi misteri. Io non ne dirò che un solo. In virtù della legge che presiede alla trasformazione o al perfezionamento degli esseri, nell’acqua battesimale si compie un mistero di morte e un mistero di vita. Morte, sepoltura, vita, risurrezione, tutto si fa nello stesso tempo. L’acqua battesimale è una tomba. Noi vi discendiamo, e l’uomo vecchio vi é sepolto e immerso tutto intero. Noi ne usciamo, e l’uomo nuovo n’esce pieno di vita. Per quanto sia a noi facile d’immergersi nell’acqua e ritornare a galla, è altrettanto facile a Dio il seppellire l’uomo vecchio e creare il nuovo…. Ciò che è il seno della madre per il bambino, cosi è il battesimo per il cristiano: essendo nell’acqua fatto e formato. In principio fu detto: “Che le acque producano i rettili animati”. Dacché il Verbo Redentore è disceso nel Giordano, non è più la razza dei rettili prodotti dalle acque, ma la famiglia delle anime dotate di ragione e piene dello Spirito Santo.2 » [“….Quod est matrix embryoni, hoc est aqua fìdeli: in aqua enim fìngitur et formatur, etc.” in Joan., homil. xxv, n. 2; et homil. xxv, n. 1, opp. t. VIII, p. 168 et 171, ediz. Novis.] – Non vi è alcuno che abbia colori più graziosi e più vivi di Tertulliano, per dipingere le maraviglie della seconda creazione, tanto più magnifica che la prima. « Fortunato mistero della nostra acqua battesimale! Esclama questo grand’uomo. In esso noi siamo purificati delle nostre antiche colpe e resi liberi per la vita eterna. La vipera, voglio dire l’eresia, ama i luoghi asciutti e aridi. Per noi, piccoli pesci, secondo il nostro pesce Gesù Cristo, nasciamo nell’acqua e non viviamo della vita divina se non rimanendo nell’acqua. » [“…. Sed nos piscienti secundum iktun nostrum, Jesum Christum, in aqua nascimur; nec aliter quam in aqua permanendo salvi sumus”. De Baptism., c. I]. Quest’acqua potente ebbe la sua figura nella creazione del mondo. Allora lo Spirito Santo era portato sulle acque e le santificava. Sino da quel momento l’acqua santificata ebbe la virtù di santificare essa medesima; imperocché è una legge che la creatura inferiore prenda le qualità dell’essere superiore che influisce su di lei, specialmente se si tratta della materia riguardo allo spirito. Tutte le acque essendo venute da quelle acque primitive, partecipano della stessa virtù. Perciò poco importa che si sia battezzati in mare, in un lago, in un fiume o in una fonte, in Oriente o in Occidente, da Giovanni nel Giordano, o da Pietro nel Tevere. Appena che è invocato il nome di Dio, lo Spirito dalle altezze dei cieli discende sulle acque, le santifica da sé medesimo, e così santificate, bevono esse la virtù di santificare. [“Invocato Deo, supervenit enim statini Spiritus de coelis, et aquis superest, sanctifìcans eas de semetipso, et ita sanctifìcatae vim sanctifìcandi combibunt”. Id., c. IV]. È dunque vero che il mondo morale e il mondo fisico sono usciti dallo stesso elemento rigeneratore, sotto l’azione dello stesso Spirito. I cieli e la terra nascono dall’acqua e vivono nell’acqua, et per aquam, dice san Pietro; e il mondo cristiano nasce dall’acqua e non può vivere che nell’acqua: “In aqua nascimur; nec aliter quam in aqua permanendo salvi sumus”. – Meglio che tutti i discorsi, questo fatto ci mostra l’eccellenza deill’acqua e il posto ch’essa occupa nelle opere divine. Per questo appunto essa sarà 1’oggetto inevitabile dell’odio privilegiato del demonio. Se dunque il gran nemico del Verbo incarnato aveva profanato l’acqua, considerata solamente come principio della creazione materiale, noi dobbiamo vederlo raddoppiare di rabbia per profanarla, per disonorarla come elemento della creazione spirituale e speciale istrumento dei miracoli dell’uomo Dio. Infatti è cosi: riferire ciò che il principe delle tenebre ha fatto per corrompere l’acqua; e, di questo elemento santificante, fare un istrumento di male morale e fisico, sarebbe quasi impossibile. Si direbbe che avendo avuto cognizione dei destini sublimi dell’acqua per la rigenerazione del mondo, Satana ha scaricato il suo odio su questo elemento due volte misterioso, come l’aveva scaricato sulla donna. Tertulliano che lo vedeva all’opera, cita qualcuna delle sue contraffazioni sacrileghe e delle sue perfide scelleratezze: « Egli ha, dice, il suo battesimo per iniziare i suoi adepti ai misteri d’Iside e di Mitra. Da ogni parte veggonsi i suoi adoratori purificare con acqua le campagne, le case, i templi, le città intere. Nei giochi di Apollo e di Peluso, i combattenti si immergono nell’acqua col pensiero di rigenerarsi e di ottenere il perdono delle loro colpe. Presso gli antichi l’uomo che aveva commesso un omicidio si purificava con acqua. Riconosciamo qui satana geloso di Dio, poiché ha pure esso il suo battesimo. Ma qual rapporto tra il suo e il nostro? L’immondo purifica, l’uccisore vivifica, il dannato assolve! distruggerà egli l’opera sua cancellando i delitti che egli stesso ispira? «Indipendentemente da ogni pratica superstiziosa, il demonio é il corruttore delle acque. I pagani non l’ignorano, ché negando essi l’ azione di Dio sull’ acqua, ammettono la caricatura. Che forse gli spiriti immondi non riposano sulle acque contraffacendo la posizione dello Spirito Santo sulle acque primitive? Tutte le fontane ombrate sanno ciò, tutti i ruscelli solitari, le piscine dei bagni pubblici, e, nelle case particolari, tutte le gore, cioè dire le cisterne e i pozzi chiamati euripi poiché attraggono a sé, mediante lo spirito maligno quelli che vi si accostano. I disgraziati che quelle acque hanno uccisi, o resi pazzi, o colpiti di panico, le appellano linfatiche e idrofobe.1 » [Tertull., De baptismo, c. V]. Porre indubbio la realtà di questi fenomeni satanici sarebbe semplicemente ridicolo. Tertulliano non gli ha inventati, gli autori pagani attestano ciò. Essi citano nelle differenti parti’ del mondo un gran numero di queste acque che producono gli effetti segnalati dal grande apologista. Plinio nomina una di queste gore omicide o malefiche nell’Arcadia, tre nella Tauride, altre in Lidia, in Etiopia, in Beozia, nell’isola di Cèos, nella Frigia, in Ispagna, nella Tracia e nella Sicilia.2 [Lib. XXXI, c. I et c. XI. — In Cea insula fontem esse quo hebetes fìant. Id., Id., c. XII. — Necare aquas Theopompus et in Thracia apud Cychros dicit: Lycus in Leontinis, tertio die quam quis biberit. Ibid., c. XIX.]. – Il gran teologo del paganesimo, Porfirio, conferma gli stessi fatti, e riporta quell’oracolo di Apollo ad Alessandro : «O figlio d’Eaco, bada di non accostarti all’acqua di Acherusa e di Pandosia, poiché ti attende una morte inevitabile » [Oracul. Veter., orac. Apoll. ab Obsapaeo, p. 62]. — « Vi è, dice Psello, un genere di demoni, chiamati demoni acquei perchè s’immergono nell’acqua, frequentano volentieri i laghi ed i fiumi, eccitano le tempeste e fanno perire molte navi e persone in quelle acque. » [De daemonib., cit. init.] – Questi fatti e molti altri permettono dunque di affermare con sicurezza che tra le creature animate, 1’oggetto privilegiato dell’odio di Satana, è la donna ; e tra le creature inanimate, l’acqua. La donna, perché in Maria è la madre del Verbo incarnato; l’acqua, perché nel battesimo è la madre del cristiano, fratello del Verbo incarnato. Quindi la sollecitudine particolare con cui la Chiesa veglia sulla donna, e specialmente sulla giovinetta. Di qui pure viene che di tutti gli elementi, l’acqua è quella che più spesso purifica, e di cui ella si serve per purificare le creature. Tertulliano conclude dicendo: « Perché abbiamo noi riferite tutte queste cose? Perché nessuno stenti a credere all’azione degli Angeli buoni sulle acque per la salute dell’uomo, poiché gli angeli cattivi hanno commercio con lo stesso elemento per la perdita dell’ uomo. » [Tertull. ubi supra. II . 13].Ma contro l’incredulità moderna non abbiamo bisogno di simili prove. La virtù miracolosa dell’acqua del battesimo è un fatto splendidissimo come il sole. Io sfido il negatore più intrepido del soprannaturale e gli domando: Evvi si o no una differenza tra il mondo pagano e il mondo cristiano? tra un mondo prostrato ai piedi di mille idoli più terribili, più crudeli, più impuri, gli uni degli altri, ai quali offra in sacrificio migliaia di vittime umane; e un mondo adoratore di un solo Dio tre volte santo, che egli onori con un culto di una purità irreprensibile? Se risponde di no; è detto tutto; con la follia non si ragiona. Se risponde affermativamente, io gli domando: in qual luogo questo mondo cristiano tanto superiore al mondo pagano ha egli preso nascita? Se non vuol cadere nel ridicolo, negando l’ evidenza, egli è ben costretto a mostrarmi i fondamenti del battesimo. Da questi infatti è uscito il mondo cristiano. Il fatto è talmente vero, che tutti i popoli antichi dell’Oriente e dell’Occidente, tutte le repubbliche tanto vantate di Sparta, d’Atene e di Roma, malgrado i loro filosofi, i loro poeti, i loro capitani, le loro arti, la loro civilizzazione materiale, sono rimasti adoratori delle più mostruose divinità, schiavi dei più vergognosi errori, fino a che non sono venuti ad immergersi nell’acqua battesimale. Affinché la permanenza del miracolo rendesse l’incredulità non scusabile, che cosa vediamo noi ancora oggi?Quando l’africano adoratore del serpente, l’oceanico antropofago, cessano d’essere adoratori di serpenti e mangiatori d’uomini? Il giorno del loro Battesimo. È dunque eternamente vera la bella parola di Tertulliano : “I cristiani sono piccoli pesci che nascono nell’ acqua”: “Pisciculi in aqua nascimur”. Non meno vera quell’altra che aggiunge; E noi non possiamo vivere che stando nell’ acqua: “Nec aliter quam in aqua permanendo salvi sumus”. Infatti se i cristiani, uomini e popoli, vengono a degenerare, la storia mostra, come data precisa della loro decadenza, il giorno in cui essi si sono allontanati dalle acque del battesimo, dalla vita che vi avevano ricevuta e dallo Spirito che gliel’aveva data. [A motivo dell’ importante ufficio che essa adempie nell’ordine naturale, l’acqua è ben degna di servire a questo miracolo come a tutti gli altri. Come appunto abbiamo visto, essa possiede con la grazia numerosi e notevoli rapporti. Citiamo altresì questa bella armonia. L’acqua che sorge da una collina e che attraversa una valle, risale la collina opposta, fino al livello della sua sorgente ; è una legge fisica. Avviene lo stesso nell’ ordine soprannaturale. Parlando della Samaritana, il figlio di Dio gli promette di dare al mondo un’acqua che risalirà sino alle altezze del cielo. Dunque la sorgente di quest’acqua è nello stesso cielo. Ora questa sorgente è stata aperta al battesimo; essa non si è mai seccata. Scorrendo sulla terra sino all’ultimo giorno del mondo, essa risalirà all’altezza della sua sorgente, portando seco l’uomo rigenerato, pieno di vita e ricco di virtù che il paganesimo, né la filosofia conobbero mai. Anche questo è un fatto.] – Prendere nascimento nel più magnifico degli elementi, non è la più gran gloria del cristiano. La sua prerogativa per eccellenza è che il suo battesimo ha per tipo il Battesimo del Verbo incarnato. Tutti gli augusti misteri, che noi vediamo rifulgere nel Giordano, si rinnovano in ciascuno di noi. « Il nuovo Adamo, dice san Tommaso, ha voluto essere battezzato, per consacrare il nostro battesimo col suo. Cosi nel primo ha dovuto rivelarsi con splendore tutto ciò che mostra l’efficacia del secondo. Su ciò tre cose sono da considerare. La prima, la suprema virtù che dà al battesimo la sua efficacia. Questa virtù viene dal cielo. Ecco perché quando “il Cristo fu battezzato, il cielo fu aperto”, per mostrare che da qui innanzi la virtù celeste santificherebbe il battesimo. La seconda, la fede della Chiesa e del battezzato che concorre all’ efficacia del battesimo. Di qui la professione di fede pronunziata dal battezzato, e il nome del Sacramento della fede dato al battesimo. Ora per mezzo della fede noi vediamo le realtà dell’ordine soprannaturale che sorpassano i sensi e la ragione. – Questa veduta superiore è significata con queste parole: “Battezzato il Cristo, i cieli furono aperti”. La terza, l’ingresso del cielo aperto dal battesimo del Verbo incarnato: all’uomo che se l’era chiuso col peccato. Di qui pure la parola profondamente misteriosa: “Battezzato il Cristo, i cieli furono aperti”, per mostrare che la via del cielo è aperta ai battezzati. Ma per seguirla costantemente, il battezzato deve di continuo ricorrere alla preghiera. Difatti, se il battesimo rimette il peccato, ei lascia sussistere il focolare del peccato che ci assale interiormente; il mondo e il demonio che ci assalgono esternamente. Per conseguenza quelle parole significanti: Quando Gesù fu battezzato e mentre pregava, il cielo fu aperto. » [P. III, 89, art. 5, corp.]. – Qual’é questa virtù sovrana che opera tanti miracoli? È lo Spirito Santo. Perciò noi lo vediamo appaiare immediatamente sotto una forma sensibile, nel battesimo del nuovo Adamo: misteriosa colomba che noi non vediamo coi nostri occhi posarsi sul capo di ciascun battezzato, ma che nonostante vi si posa. A lei ed a lei sola, il mondo battezzato deve la purità, la dolcezza, la fecondità del bene, la trasformazione intellettuale e morale che lo distingue tanto nobilmente dai pagani di un tempo e dagli idolatri odierni. Vivificata dallo Spirito Santo, l’acqua ha prodotto un piccolo pesce, il cristiano, sul tipo del gran pesce, Nostro Signore Gesù Cristo. Che rimane se non che il Padre eterno riconosca suo figlio in presenza del cielo e della terra: “Ed ecco una voce dal cielo che dice: questi è il diletto mio Figlio, nel quale io mi sono compiaciuto” [Matth., III, 17]. – Per annunziare la perpetuità di questo mistero durevole quanto il tempo, ed esteso quanto il mondo, la voce del Padre che risuonò sulle rive del Giordano, diciotto secoli fa, non cessa mai di farsi sentire sul fonte battesimale, allorché un fratello del Verbo incarnato viene a prendervi nascimento. Ecco il bel pensiero di sant’Ilario: «La voce del Padre, dice, si fece sentire a fine di avvertirci che i miracoli di Nostro Signore si compiono in noi; che la divina colomba discende su di noi, e che la voce del padre annunzia la nostra divina adozione. » [“Super Jesum baptizatum descendit Spiritus sanctus, et vox Patris audita est dicentis: Hic est filius meus dilectus; ut ex his quae consummabantur in Christo, cognosceremus post aquae lavacrum et de coelestibus portis sanctum in non Spiritum involare, et patemae vocis adoptione Dei fìlios fieri.” Super Matth. c. I. in fin.]. – Niente’di più vero, poiché niente sulla terra è più bello, più degno delle compiacenze del Padre eterno, quanto l’anima all’uscire dal fonte battesimale. Di questa creazione dello Spirito Santo, di questo cielo terrestre dove risiede l’augusta Trinità, si può dire ciò che l’apostolo ha detto del cielo empireo: L’occhio dell’uomo non ha visto niente, il suo orecchio non ha udito nulla, il suo spirito nulla concepito, che possa essere paragonato a Lui, per la felicità e per la gloria.