Processione dello Spirito Santo e la storia del FILIOQUE
[Trattato dello Spirito Santo, vol. II, cap. V e VI]
Processione dello Spirito Santo.
La Chiesa Cattolica, come organo infallibile del Verbo fatto carne per istruire l’uman genere, ha sempre creduto che la terza Persona dell’adorabile Trinità, eguale in tutto al Padre ed al Figliuolo, proceda dall’uno e dall’altro. Di questa invariabile credenza le prove abbondano nei quattro Simboli: quello degli Apostoli, di Nicea, di Costantinopoli e di sant’Atanasio, come negli scritti dei Padri greci e latini, primi testimoni dell’Insegnamento apostolico. Secondo la sua etimologia la parola procedere vuol dire passare da un luogo ad un altro. Nel figurato la si adopra per designare l’emanazione o la produzione di una cosa che esce da un’ altra. La Chiesa cattolica intende per processione : l’origine e la produzione eterna di una Persona divina da una altra Persona, o da due altre. Su di che bisogna notare, che allorquando si tratta della Trinità, la parola processione si prende in due sensi. Il primo, in quanto si applica alla produzione del Figliuolo e dello Spirito Santo, imperocché dice che l’uno e l’altro procedono. Il secondo, in quanto si applica alla produzione particolare dello Spirito Santo. Difatti il Figliuolo e lo Spirito Santo formando due Persone distinte, dicesi del Figliuolo che è generato, e dello Spirito Santo semplicemente che procede. Che nel senso teologico della parola vi sia processione in Dio, niente è più chiaramente insegnato dalla Scrittura, dalla tradizione, dalla ragione medesima. Chi non conosce quelle testimonianze dell’antico Testamento? « Il Signore mi ha detto: Tu sei mio Figlio ; sono io che oggi ti ho generato. Io ti ho generato nel mio seno innanzi 1’ aurora. » [Dominus dixit ad me : Filius meus es tu : ego hodie genui te. Ps. II, 7. — Ex utero ante Luciferum genui te. Ps. CIX, 8.] Nel contemplare il Verbo, aggiunge il profeta Michea: « La sua uscita é sin dal principio, sino dai giorni della eternità.» [Egressus ejus ab initio, a diebus aeternitatis. Mìch., v. 2.]. Ora l’idea di generazione, di uscita, di origine, implica necessariamente l’idea di processione.
Il Nuovo Testamento è ancor più esplicito. Nostro Signore, parlando di se stesso dice : « Io procedo da Dio e sono venuto. » Ego ex Deo processi et veni. [Joan., VIII, 42.] Breve e sublime parola con la quale il Verbo incarnato si rivela tutto intero ! Io procedo da Dio : ecco la sua generazione eterna : e Io sono venuto; ecco la sua generazione temporale e la sua missione nel mondo. Con la sua bocca augusta rende la stessa testimonianza allo Spirito Santo. « Quando sarà venuto il Paracleto, vi manderò dal Padre mio, lo Spirito di verità, il quale procede dal Padre. » [Cum autem venerit Paracletus, quem ego mittam vobis a Patre, Spiritum veritatis qui a Patre procedit. Joan., XV, 26. Il pensiero divino, cosi fedelmente raccolto dalla tradizione, viene formulato nel simbolo di sant’Atanasio che l’esprime con questa inappuntabile precisione: « Il Figliuolo è del solo Padre : né fatto, né creato, ma generato. Lo Spirito Santo, dal Padre e dal Figliuolo; né fatto, né creato, né generato, ma procedente. » [Filius a Patre solo est: non factus, nec creatus, sed genitus. Spixitus sanctus a Patre et Filio : non factus, nec creatus, nec genitus, sed procedens.].
La ragione illuminata dalla fede reca alla sua volta al domma cattolico, il solido appoggio dei suoi ragionamenti. Essa dice : Dio è l’essere perfetto; la fecondità è una perfezione, dunque Iddio la possiede. « Se sono Io, domanda il Signore, che faccio generare gli altri, perché non genererò Io ? Io che dò la generazione agli altri, sarò Io sterile ? » Numquid ego qui alios parere facio, ipse non pariam?…. Si ego qui generationem caeteris tribuo, sterilis ero? Is., LXVIII, 9.]. Per l’organo di san Cirillo di Gerusalemme essa aggiunge: « Dio è perfetto, non solo perché è Dio, ma perché è Padre. Chi nega che Dio sia Padre, toglie la fecondità alla natura divina : l’annienta rifiutandoGli una perfezione essenziale, la fecondità. » [Tract. de Trinit., edit. Migne, t. IX.]. Spiegando questa divina fecondità, san Giovanni Damasceno continua: « La ragione non permette di sostenere che Dio sia privo della fecondità naturale. Ora in Dio, la fecondità, consiste in ciò che di Lui medesimo, vale a dire della sua propria sostanza, possa egli generare del pari secondo la sua natura. » De Fide ortod. lib. I, c. VIII. La distinzione delle Persone divine fornisce alla ragione un’altra prova senza replica. Vi sono in Dio tre Persone distinte, e questo l’abbiamo stabilito. Nelle divine Persone non si vedono che due cose: la natura e il rapporto d’origine o la processione: così nel Padre, la natura divina e la paternità; nel Figliuolo la natura divina e la generazione; nello Spirito Santo, la natura divina e l’a processione. Donde viene questa distinzione? Non appartiene alla natura, poiché è una e la medesima nelle tre Persone; resta dunque che essa venga dalla differente comunicazione di questa natura a ciascuna delle Persone divine. Per conseguenza l’Angelo della scuola, parlando dello Spirito Santo, dice con ragione: « Lo Spirito Santo è personalmente distinto dal Figliuolo, perché l’origine dell’uno è distinta dall’origine dell’altro. Ora la differenza d’origine consiste in questo, che il Figliuolo è solamente dal Padre, mentre lo Spirito Santo è dal Padre e dal Figliuolo. Le processioni non si distinguono altrimenti. » [I p., q. 36, art. 2, ad 7.] – Di qui quella profonda dottrina di san Gregorio Nazianzeno che i Greci appellano il Teologo: « Il Figliuolo non è il Padre, ma ciò che è il Padre; lo Spirito Santo non è il Figliuolo, ma ciò che è il Figliuolo. Questi tre son uno con la divinità; e quest’uno è tre per le proprietà distinte. » [Filius non est Pater…. sed hoc est quod Pater ; neque Spiritus sanctus est Filius…. sed hoc est quod Filius. Tria haec unum divinitate sunt, et unum hoc proprietatibus sunt tria . Orat. XXXVII]. Per spiegare l’unità della natura divina, la quale rimane intera e indivisibile nelle tre Persone perfettamente distinte, ricordiamo un paragone sovente adoperato dai Padri; « Avviene, dicono essi, della natura divina, come della natura umana: questa è una e la medesima in tutti gli uomini; moltiplicandosi, essi non la dividono. Qualunque siasi il numero degli uomini, non vi è altro che una natura umana. Pietro è Pietro e non Paolo; e Paolo non è Pietro. Pur nonostante essi sono indistinti per la loro natura. In tutti due la natura umana è una; ed essi posseggono senza alcuna differenza tutto ciò che costituisce l’unità naturale…. Pietro, Paolo e Timoteo sono tre persone, ma essi non hanno che una sola e medesima natura. «Cosi come non vi sono tre umanità; cioè l’umanità di Pietro, l’umanità di Paolo, l’umanità di Timoteo, non vi sono per conseguenza nemmeno tre divinità, la divinità del Padre, la divinità del Figlio, la divinità dello Spirito Santo. Dunque hi Dio vi è, come nel genere umano, distinzione e molteplicità di persone, ma comunità e unità di natura. » [S. Cyrill. Alexand lib. IX, Comment in Joan.].
La Scrittura, la tradizione, la ragione stessa, il cui unanime accordo ci mostra che vi è processione in Dio, c’insegnano con la stessa certezza, che vi sono due processioni in Dio, e che non ve ne ha che due. Innanzi tutto i sacri libri non ne contano che due. Poi è facile provare che non ve ne ha un numero maggiore. In Dio vi sono altrettante processioni, quante sono le Persone divine che procedono; e in Dio non vi sono che tre Persone. Ma il Padre come la prima, non procede da nessun altra, cosicché due solamente procedono. Inoltre in Dio non vi sono che due facoltà che operano interiormente: “Ad intra, seu immanenter”, come parla la teologia. Queste due facoltà sono l’intelletto e la volontà. Queste facoltà agiscono necessariamente: imperocché Dio non può non conoscersi e non amarsi. Esse agiscono sempre, poiché Dio è l’azione infinita.1 [ Vitass, de Trinit., quaest. V, art. 1 et 2, assert. 3.]. Stabiliti questi dommi, l’insegnamento cattolico aggiunge che lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figliuolo, vale a dire che esce dall’uno e dall’altro non per mezzo di generazione ma per ispirazione. Intorno a queste parole divine udiamo Bossuet: « Lo Spirito Santo, dice il vescovo di Meaux, il quale esce dal Padre e dal Figliuolo, è della stessa sostanza come l’uno e l’altro, un terzo consustanziale e con essi un solo e stesso Dio. Ma perché dunque non è egli Figliuolo, essendo egli per la sua produzione della stessa natura? Dio non l’ha rivelato. Ha detto pero che il Figliuolo era unico, [Joan., I, 1-18.] essendo perfetto, e tutto ciò che è perfetto è unico. Cosi il Figliuolo perfetto di un Padre perfetto, deve essere unico; e se potessero esservi due Figliuoli, la generazione del Figliuolo sarebbe imperfetta. Tutto ciò dunque che verrà dopo non sarà più Figliuolo, né verrà punto per generazione, quantunque della stessa natura. » [Elev. intorno i mist. II serm., Elev. 5.] Qual sarà dunque questa finale produzione di Dio ? È una processione senza nome particolare. Il padre come eternamente intelligente, si conosce eternamente, ed. eternamente produce, conoscendosi tanto il suo Verbo che il suo Figliuolo, eguale a Lui, e come Lui eterno. Il Padre ed il Figliuolo essendo eterni non possono essere senza conoscersi eternamente, né conoscersi senza amarsi di un amore eguale ad essi, infinito, eterno com’essi. Questo amore reciproco e consustanziale, è lo Spirito Santo. Egli procede dunque dal Padre e dal Figliuolo.
Bossuet continua a dire: «Questo è ciò che spiega la ragione mistica e profonda dell’ordine della Trinità. Se il Figliuolo e lo Spirito Santo procedono ugualmente dal Padre, senza nessun rapporto tra essi due, si potrebbe dire subito: Il Padre, lo Spirito Santo ed il Figliuolo, come il Padre, il Figliuolo e lo Spirito Santo. Ora, Gesù Cristo non parla a questo modo. L’ordine delle Persone è inviolabile, perché se il Figliuolo è nominato dopo il Padre perché succede a Lui, lo Spirito Santo viene altresì dal Figliuolo, dopo il Quale è nominato; ed Egli è Spirito del Figliuolo, come il Figliuolo è il Figliuolo del Padre. Quest’ordine non può essere arrovesciato. Noi dunque siam battezzati secondo quest’ordine; e lo Spirito Santo non può non essere nominato il secondo, come il Figliuolo non può essere nominato il primo. « Adoriamo quest’ordine delle tre Persone divine, come pure le mutue relazioni che trovansi tra i tre e che fanno la loro eguaglianza, come la loro distinzione e la loro origine. Il Padre intende sé medesimo, parla a sé medesimo, e genera il suo Figliuolo che è la sua parola. Egli ama questa parola prodotta dal suo seno e che vi conserva. E questa parola, che è nello stesso tempo la sua concezione, il suo pensiero, la sua Immagine intellettuale, eternamente sussistente, e sin da quell’istante suo Figliuolo unico, l’ama altresì come Figlio perfetto, ama un Padre perfetto. Ma che cosa è il loro amore se non è questa terza Persona, il Dio d’amore, il dono comune e reciproco del Padre e del Figliuolo, il loro vincolo, il loro nodo, la loro mutua unione, in cui si termina la fecondità, come le operazioni della Trinità? « Tutto è compiuto, tutto è perfetto, quando Dio è infinitamente espresso nel Figliuolo e infinitamente amato nello Spirito Santo, e che del Padre, del Figliuolo e dello Spirito Santo si fa una semplicissima e perfettissima unità. Tutto ritorna al principio, di dove tutto viene radicalmente e primitivamente, che è il Padre con un ordine invariabile : l’unità feconda moltiplicandosi in dualità, per terminarsi in trinità. Di maniera che tutto è uno, e tutto ritorna a un solo e medesimo principio.
Quest’è la dottrina dei santi; la tradizione della Chiesa Cattolica. È la materia della nostra fede; noi lo crediamo. Quest’è il soggetto della nostra speranza e lo vedremo. È anche l’oggetto del nostro amore, poiché amare Dio, è amare in unità il Padre e il Figliuolo e lo Spirito, Santo, è amare la loro uguaglianza ed il loro ordine, amare e non confondere le loro operazioni, le loro eterne comunicazioni, i loro mutui rapporti e tutto quel che gli fa uno facendoli tre: perché il Padre che è uno e principio immutabile d’ unità, si diffonde, si comunica senza dividersi. E questa unione ci è data come il modello della nostra: 0 Padre, che sieno tutti una sola cosa in noi, come tu sei in me, o Padre, ed io in te; che sieno aneli essi una sola cosa in noi. » [Meditaz. sul Vangelo, 25° giorno. — Ut omes unum sint sicut tu Pater in me, et ego in te, ut et ipsi in nobis unum sint. (Giov. c. XVIII, 21.). Tre Persone in un solo Dio, eguali tra loro, ma distinte per il loro rapporto d’origine: il Padre non procedendo da nessuno; il Figliuolo procedente dal Padre per via dell’intelletto, come la parola procede dal pensiero; lo Spirito Santo procedente dal Padre e dal Figliuolo, mediante la volontà e lo scambievole amore; tale è intorno al principale e più profondo de’ nostri misteri, il domma cattolico nella sua più semplice espressione. La Chiesa, per difendere la sua fede contro i novatori, radunata successivamente a Nicea ed a Costantinopoli aveva aggiunto alcune spiegazioni al simbolo degli Apostoli. Eccettuati gli eretici, ai quali queste spiegazioni non permettevano d’ingannare i fedeli, l’Oriente e l’Occidente avevano applaudito a questa savia condotta. Per tutti era evidente che la Chiesa non aveva cangiato nulla alla dottrina, nulla innovato; ma usato del diritto di conservazione e di legittima difesa. Quel che fece essa allora, l’ha fatto sempre, e sempre lo farà, quando saranno attaccati i suoi dommi. Tale non è solamente il suo diritto ma il suo dovere ; poiché tale è l’ordine formale del suo divin fondatore. La dottrina della Chiesa non è sua dottrina: “Mea doctrina non est mea”. Essa non ne è proprietaria, ma depositaria. Le è stato detto : « Conservate ciò che vi è stato affidato e non è stato inventato da voi; ciò che voi avete ricevuto e non immaginato. Non è una cosa di genio ma di dottrina; non è una usurpazione della ragion privata, ma una tradizione pubblica. Essa è venuta verso di voi, nè viene da voi; come voi non ne siete l’autore, cosi voi non avete a suo riguardo fuorché il dovere di custode. « Perciò come guardiana vigile e prudente dei dommi il cui deposito le è stato confidato, essa non vi cambia mai nulla; nulla toglie, né nulla aggiunge. Ciò che è necessario essa non lo elimina, quel che è superfluo non l’ammette. Essa non perde il suo possesso, nè piglia quello d’altri. Piena di rispetto per l’antichità, conserva fedelmente ciò che tiene. Se ella trova delle cose che non hanno ricevuto primitivamente, né la loro forma né il loro compimento, tutta la sua sollecitudine consiste nel dilucidarle e pulirle. Se sono confermate e definite, essa le conserva. Il fissare per iscritto ciò che essa ha ricevuto dagli antenati per tradizione; racchiudere molte cose in poche parole; spesso anche impiegare una parola nuova, non per dare alla fede un senso nuovo, ma per meglio chiarire una verità; ecco ciò che la Chiesa cattolica, obbligata dalle novità degli eretici, ha fatto per i decreti dei Concilii; questo sempre e nulla di più. [Vincent, Lirin., Commonit. civ. med.]. « Con una fedeltà incorruttibile si sdebiterà di questo carico sino alla consumazione dei secoli : e quando verrà l’ultimo giorno, essa consegnerà a Dio, sulla tomba delle cose umane, il deposito di tutte le verità ricevute da Lei nel Cenacolo, e che risalgono per le loro basi, sino alla culla dell’umanità. » [Monsignor Gerbet, Istituzione intorno ai diversi errori del tempo presente, 1860].
Storia del “Filioque”.
Il vigilare sul deposito della fede e fissare con le sue decisioni infallibili i punti, in balia degli attacchi della eresia, è il diritto e il dovere della sposa del Verbo incarnato. Un mezzo secolo circa dopo il concilio di Costantinopoli, la Chiesa ebbe un nuovo motivo di fare uso di questo diritto inerente alla sua costituzione. Da una parte i settari di Macedonio eransi già sparsi a gran distanza dalla Tracia, nell’Ellesponto e nella Bitinia: [Socr. hist., lib. II, c. XLV; lib. V, c. VIII.], dall’altra i Vandali ed altri popoli usciti da quelle contrade, avevano portato seco il domma eretico nelle loro migrazioni e specialmente in Ispagna. Ivi i Priscillianisti attaccavano apertamente il domma della Trinità e della divinità dello Spirito Santo.
San Leone Magno occupava allora la cattedra di san Pietro. La notizia di questa eresia e delle stragi ch’ella faceva in Ispagna, gli fu inviata da san Turibio, vescovo d’Astorga. Il sovrano Pontefice gli scrisse di radunare in Concilio tutti i vescovi di Spagna, a fine di condannare l’eresia, e di estirpare ad ogni costo questa nuova zizzania dal campo del Padre di famiglia. San Leone nella sua lettera diceva : « Essi insegnano che nella santa Trinità non vi é che una sola Persona ed una sola cosa, chiamata ora il Padre, ora il Figliuolo, ora lo Spirito Santo; che Colui che genera, non è distinto da quello che è generato, né da Colui che procede dall’ uno e dall’altro. [S. Leo Magn. epist. 93, c. VI. ». Il concilio ebbe luogo a Toledo 1’anno 447. Presieduto dal santo vescovo di Astorga, egli condannò gli eretici. A fine di tagliare il male alla radice, e di mettere l’Occidente al coperto da tutti questi errori, fu deciso di inserire .nel simbolo di Costantinopoli la parola del vicario di Gesù Cristo che definiva sì bene la processione dello Spirito Santo, del Padre e del Figliuolo : “De utroque processit” [Battaglinì, Istor. univ. De’ conc., q. 217, 218.] L’aggiunta della quale si tratta, non era punto una innovazione, ma una spiegazione, simile a quella che il Concilio di Nicea aveva inserito nel simbolo degli Apostoli, ed il Concilio di Costantinopoli in quello di Nicea. San Tommaso osserva con ragione, che essa è d’altronde contenuta virtualmente nel Concilio stesso di Costantinopoli, approvato da tutti gli Orientali- « I greci medesimi, dice egli, capiscono che la processione dello Spirito Santo ha qualche rapporto col Figliuolo. Essi convengono che lo Spirito Santo è lo spirito del Figliuolo, e che esso è del Padre mediante il Figliuolo. Dicesi pure che parecchi accordano che lo Spirito Santo è del Figliuolo e che egli deriva da Lui, ma che non procede: distinzione che sembra fondata sull’ignoranza o sull’orgoglio.
« Di fatti, se vogliamo farvi attenzione, troveremo che la parola Processione, tra tutte quelle che esprimono l’origine di una cosa qualunque, è la più comune. Noi ce ne serviamo per indicare 1’origine di qualunque siasi natura; per esempio che la linea procede dal punto, il raggio dal sole, il fiume dalla sorgente. Tutti questi esempi ed altri ancora, autorizzano a dire con verità, che lo Spirito Santo procede dal Figliuolo…. Cosi questo domma é implicitamente contenuto nel simbolo di Costantinopoli, che insegna che lo Spirito Santo procede dal Padre. Ora ciò che è detto del Padre fa d’uopo necessariamente dirlo del Figliuolo, poiché essi non differiscono in nulla, se non che l’uno è il Figliuolo e l’altro il Padre. » [S. Th., I p., q. 36, art. 3. Cor. — Et De Potent, q. 10, art. 4, ad 13]. D’altronde san Leone scrivendone così nettamente in una lettera dottrinale, che lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figliuolo, non era che l’eco dei vicari di Gesù Cristo suoi predecessori: “Petrus per Leonem locutus est. Al tempo stesso del concilio di Costantinopoli il Papa san Damaso insegnava questa dottrina: « Lo Spirito Santo non è solamente lo spirito del Padre o del Figliuolo, poiché è scritto: Se qualcuno ama il mondo, lo Spirito del Padre non è in luì. E altrove : Se qualcuno non ha lo Spirito di Gesù Cristo, non gli appartiene. Questa nominazione del Padre e del Figliuolo, indica bene che si tratta dello Spirito Santo, del quale lo stesso Figliuolo dice nel Vangelo : Egli procede dal Padre; prenderà del mio e ve Io annunzierà. » [Joan. XV]. Dopo il Concilio di Toledo, tutti i cattolici di Spagna e delle Gallie recitarono il Simbolo di Costantinopoli con l’addizione Filioque. Dalla parte della Santa Sede nessuna opposizione; da quella degli Orientali nessuna reclamazione venne ad opporsi a quest’ usanza. Durava da quattro secoli, allorché Carlomagno rientrò nei suoi stati, dopo di essere stato coronato imperatore a Roma da Papa Leone III.
Ora, aveva egli ottenuto per le chiese del suo vasto impero, l’autorizzazione di cantare alla messa il simbolo di Costantinopoli. I vescovi riuniti ad Aquisgrana nell’807 gli domandarono se si poteva cantarlo in pubblico, come lo si recitava in privato, inserendovi l’addizione, Filioque. Il gran principe rispose che non apparteneva a lui il decidere, e che bisognava consultare il sovrano Pontefice. In conseguenza due vescovi e l’abate di Corbia, deputati del Concilio, si recarono a Roma. Il Papa gli accolse con benevolenza, ma rifiutò nettamente il permesso d’ inserire nel simbolo le quattro sillabe Filioque : « Senza dubbio, disse loro, è un articolo di fede inviolabile che lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figliuolo; ma non si può inserire nel simbolo tutti gli articoli di fede. D’altronde non bisogna modificare neppur di una sillaba i simboli decretati dai concilii ecumenici. » [Bini., ad Synod. Aquisgran., t. IlI, Concil.; Làbbé, t. VII, p. 1198; Bar., an. 809, n. 67.]. Per mostrare che la sua risoluzione era immutabile, il Papa ordinò di incidere subito in greco ed in latino il simbolo di Costantinopoli, senza l’aggiunta del Filioque sopra due scudi d’argento del peso di ottantacinque libbre, e li fece porre nella Basilica di san Pietro a destra e a sinistra della Confessione. [Anast Biblioth. in Leon. III, apud Bar., an. 809, n. 62.]. Diciamolo di volo, questo fatto e quello che riferiremo sono due prove monumentali della incorruttibile fedeltà della Chiesa Romana alle tradizioni del passato. Non solamente rifiuta alle preghiere di Carlo Magno suo benefattore d’inserire nel simbolo di Costantinopoli quattro sillabe che esprimono nettamente un articolo di fede; ma essa medesima non canta alla Messa nessun simbolo. Mentre tutte le sue figlie, le chiese d’Oriente e d’Occidente, fanno risuonare le loro basiliche del simbolo di Costantinopoli, essa si attiene a quello degli Apostoli : tuttavia non lo recita altro che nell’amministrazione del Battesimo, e quando l’uso prescrive la professione di fede. I secoli però camminano e le circostanze mutano coi secoli. La Chiesa romana sempre diretta dallo Spirito Santo, più tardi farà quel che essa ha da prima rifiutato, ugualmente infallibile nelle sue concessioni e nei suoi rifiuti. Finché la processione dello Spirito Santo non è attaccata, essa persevera nelle antiche sue tradizioni. Subito si fanno sentire sordi rumori, come pure verso l’anno 866, ai rumori succedono pubbliche negazioni: le quali hanno per organi in Occidente, il Patriarca d’Aquileja, ed in Oriente Fozio, patriarca intruso di Costantinopoli. Roma, per rispondere ad essi come aveva risposto ad Ario ed a Macedonio, fa inserire nel simbolo di Costantinopoli 1’aggiunta di Filioque. Essa stessa che, durante la Messa, non ha cantato mai alcun simbolo, canta quello di Costantinopoli, cosi spiegato, e ordina di cantarlo dappertutto. D’allora in poi un immenso concerto di voci cattoliche risponde dì e notte alle bestemmie dei novatori. [Bar., au. 883, n. 34.]. La maniera con cui ebbe luogo questa memorabile aggiunta offre un nuovo esempio della sapienza della Santa Sede, e della sua prudente lentezza. Fu convocato a Roma un numeroso Concilio, ove si rappresentò al Sovrano Pontefice che da molto tempo, le Chiese di Spagna, delle Gallie, d’Inghilterra e della Germania erano in libertà di cantare pubblicamente il simbolo di Costantinopoli; che Roma le approvava, ma che nelle attuali circostanze il suo prolungato rifiuto d’inserire l’aggiunta Filioque poteva passare agli occhi dei malevoli per un tacito biasimo, o per un timore di professare altamente la fede: che i nemici della Chiesa non mancherebbero di prevalersene, e quindi far nascere delle divisioni, forse uno scisma; che in ogni caso, quest’era il miglior mezzo di confondere Fozio ed i suoi aderenti. [Bar on., an. 888, n. 87; e an. 447, n. 23.].
Il sovrano Pontefice si arrese a queste ragioni, e l’autorizzazione fu accordata; se ne riporta la data all’anno 883. Pur nonostante, Roma medesima non cominciò a cantare il simbolo che 129 anni più tardi, nel 1014, dietro le istanze dell’imperatore sant’Enrico. Questo gran principe, degno di Carlo Magno, per le sue virtù e i servigi eminenti che aveva resi alla Santa Sede, essendo venuto a Roma per farsi coronare, fu sorpreso a non sentir cantare il Credo alla Messa, e ne chiese il perché. « Ecco, scrive l’abate Bernone, quel che gli fu risposto, presente me : La Chiesa di Roma non è stata mai macchiata di alcuna eresia; ma fedele alla dottrina di san Pietro, resta immutabile nella fede cattolica. Essa dunque non ha bisogno di professare la sua fede; questo è dovere delle chiese, che hanno potuto o che possono alterarla o perderla. ». [Bern. Abbas augen., De rebus ad miss. spectant, apud Baron an. 447, n. 24.]. « Magnifica risposta! Par tuttavia dietro le istanze dell’imperatore, papa Benedetto VIII decise che Roma stessa canterebbe da quind’ innanzi il simbolo che fu quello di Costantinopoli, con l’aggiunta Filioque. » [Baron an. 447, n. 24.]. In qualunque punto di vista noi ci poniamo, si scorge che nulla di più legittimo, né di più regolare vi fu di questa inserzione. Come le spiegazioni del simbolo a Nicea ed a Costantinopoli, cosi questa era richiesta dalle circostanze. È lo stesso vicario di Gesù Cristo che presiede un Concilio e che l’ordina. Infine essa non modifica la fede, ma la spiega. « Nessuno può, scrive un antico autore, prendere occasione d’accusare la santa e grande Chiesa di Roma, madre e maestra di tutte le altre, d’avere scritto, composto e insegnato una fede nuova. Lo spiegare l’antico simbolo in vista di prevenire l’alterazione della fede, non vuol dire né fare, né insegnare, né tramandarne un altro. « Sebbene depositaria dell’autorità sovrana, non rifiuta umiliarsi, rispondendo ciò che il concilio di Calcedonia rispose anticamente ai suoi detrattori, cioè: che mi si accusa ingiustamente. Io non stabilisco una nuova fede, rinnuovo soltanto la memoria dell’antica. Rischiarare un punto oscuro del simbolo, non vuol dire alterarlo. Io ho rinnovata la fede come i Padri dei secoli passati ; ed ho aggiunto ai concilii di Nicea, di Costantinopoli e di Calcedonia: ma non ho nulla insegnato che sia ad essi contrario. Fedele nel camminare sulle loro tracce, ho riscontrato dei punti attaccati, che al tempo loro non erano stati mai discussi. Ciò che non era da tutti bene compreso, ho dovuto schiarirlo con una parola d’interpretazione: questo è ciò che io ho fatto. » [Aeterian., apud Bar., an. 883, n. 38.]. Con tutto ciò i Greci, spinti dallo spirito d’orgoglio, rifiutarono ostinatamente di sottoscrivere l’aggiunta del Filioque. L’ambizioso settario che gli sviava, voleva ad ogni costo separare la chiesa orientale dalla chiesa occidentale; imperocché egli sperava, disconosciuta una volta l’autorità del sovrano Pontefice, farsi proclamare patriarca universale; intanto la morte fece svanire i suoi rei progetti, ma non spense lo spirito di ribellione ch’egli aveva soffiato.
Nel 1054, Michele Cerulario, altro patriarca di Costantinopoli, più audace di Fozio, negò formalmente che lo Spirito Santo procede dal Figliuolo. In una lettera diretta a Giovanni, vescovo di Trani, ardì manifestare la sua eresia, invitandolo a farne parte al sovrano Pontefice. Leone IX vi rispose, siccome si addice al custode della fede, scomunicando l’innovatore. Dal canto suo Cerulario, scomunicò il Papa e con lui tutta la Chiesa latina. La rottura fu completa, ed i Greci caddero nello scisma e nell’eresia. Tale fu, come più sotto vedremo, la fonte di tutte le loro sciagure. La Chiesa latina intanto nulla trascurò per ricondurre la sua sorella alla fede dei suoi padri. Dopo molti secoli d’inutili sforzi, questo ritorno tanto desiderato, si compie nel concilio di Lione nel 1274. Riuniti sotto la presidenza del Papa Gregorio X, i vescovi d’Oriente e d’Occidente espressero la loro fede in questi termini: « Noi facciamo professione di credere fedelmente e con pietà, che lo Spirito Santo procede eternamente dal Padre e dal Figliuolo, non come da due principii, ma come da un principio; non da due spirazioni, ma da una sola spirazione. » [Labbe Conc, , .t. II, p. 967]. La riunione era stata giurata per la tredicesima volta. Sventuratamente essa non fu più durevole delle altre. 2 [Battaglini, Istor ecc., p. 660, n. 11]. – Finalmente, il concilio di Firenze riunì di nuovo i Greci ed i Latini. Per soddisfare i primi, il domma della processione dello Spirito Santo fu, per ordine del Papa di nuovo esaminato; non vi fu mai discussione più profonda, più lunga, né più completa. Sofismi, sotterfugi, negative, semiconcessioni, immenso flusso di parole, avendo i Greci ricorso a tutti i mezzi per difendere il loro errore. Nella diciottesima sessione tenuta il 10 marzo 1439, Giovanni da Montenegro provinciale dei Domenicani di Lombardia, chiuse loro la bocca con un argomento senza replica: « Che cosa intendete voi per processioni?, domandò egli ai Greci. Che volete voi dire, quando affermate che lo Spirito Santo procede dal Padre? — Marco, arcivescovo di Efeso, rispose: Io intendo una produzione per la quale lo Spirito Santo riceve da Lui l’Essere e tutto ciò che egli è propriamente. — Benissimo, riprese il frate predicatore, noi tragghiamo pure questa conclusione : lo Spirito Santo riceve dal Padre l’essere, o ne procede, che è la medesima cosa. Ecco dunque come io ragiono: da chi lo Spirito Santo riceve l’Essere, da quello pure Egli procede. Ora, lo Spirito Santo riceve l’Essere dal Figliuolo, dunque lo Spirito Santo procede dal Figliuolo» secondo il proprio significato della parola processione, come voi stessi l’avete definito. Che lo Spirito Santo riceva Tessere dal Figliuolo, lo possiamo dimostrare con molte testimonianze. « Ma, interruppe Marco d’Efeso, di dove ricavate voi che lo Spirito Santo riceva l’Essere dal Figliuolo? La vostra domanda mi piace, replicò Frate Giovanni; ed io vi risponderò subito: che lo Spirito Santo riceva dal Figliuolo l’Essere, ciò si prova con la testimonianza indiscutibile da voi come da noi, di sant’Epifanio, il quale cosi si esprime: io chiamo Figliuolo quegli che è da Lui, e lo Spirito Santo Colui che solo è dei due. Secondo questa parola di sant’Epifanio, se lo Spirito è dei due, riceve dunque dai due l’Essere. Poiché secondo voi, ricevere l’Essere, o procedere, è la stessa cosa. Sappiamo da sant’Epifanio, ch’Egli riceve il suo Essere dal Padre e dal Figliuolo. » [Mansi, t. XXXI, col. 728. — Rohrhacher, Hist univ. t. XXI, p. 584, seconda ediz.]. L’argomento era tanto migliore, quanto più sant’Epifanio è uno dei Padri greci più antichi, e più venerato degli Orientali.
Finalmente il 6 luglio 1439, giorno dell’ottava degli Apostoli, san Pietro e san Paolo, fu celebrata l’ultima sessione del concilio. Alla presenza dell’augusta assemblea, ed in mezzo agli applausi dei Greci e dei Latini, vi si lesse il decreto d’unione, che cosi comincia : « Si rallegrino i cieli ed esulti la terra! Il muro che divideva la Chiesa d’Oriente e la Chiesa d’Occidente, è stato tolto di mezzo. La pace e la concordia è ristabilita, sulla pietra angolare, Gesù Cristo, il quale di due popoli non ne ha fatto che un solo. Noi definiamo, e vogliamo che tutti credano e professino, che lo Spirito Santo è eternamente dal Padre e dal Figliuolo; ch’egli ha la sua essenza ed il suo essere sussistente insieme al Padre ed ai Figliuolo; ch’Egli procede in eterno dall’uno e dall’altro, come da un solo principio e da una sola spirazione. Inoltre noi definiamo che la spiegazione Filioque é stata legittimamente e con ragione aggiunta al simbolo, per schiarire la verità, e per una necessità allora imminente. » [Defìnìmus explicationem verborum illorum Filioque, veritatis declarandae gratia, et imminente necessitate, licite et rationabiliter, fuisse symbolo appositam, ecc. Apud Labbe, ecc.].
La gioia della Chiesa non fu di lunga durata; simile all’infedele Samaria, lo scismatico Oriente ricadde il giorno di poi negli errori che aveva abiurati la vigilia: ma la misura era colma. Salmanazar risuscitò in Maometto; e tredici anni solamente dopo il concilio di Firenze, l’impero dei Greci subì la sorte del regno di Israele.