Omelia della Domenica fra l’ottava dell’Ascensione

 

Apparecchio alla Festa dello Spirito Santo-

[Del canonico G. B. Musso – Seconda edizione napoletana, Vol. II -1851-]

 

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Egli è Gesù Cristo, che nell’odierno Vangelo parla ai suoi discepoli nel seguente tenore: “Quando manderò sopra di voi lo Spirito Santo, Spirito di verità, che procede dal Padre, Ei vi darà di me la più ampia testimonianza, Ei vi farà conoscere la mia Persona, la mia dottrina e la Divinità che in me si asconde. Voi, poscia, da questo Spirito illuminati nell’intelletto, infiammati nel cuore renderete di me, dell’Evangelio mio, della mia fede, testimonio fedele e costante a tutte le nazioni, fino a suggellarlo col proprio sangue”. Per disporsi a ricevere questo Spirito santificatore, promesso dal divino Maestro, si congregarono i discepoli sul monte santo di Sion, sollecitando co’ più vivi desideri, colle più fervide preghiere la sua discesa. Vogliamo ancor noi, uditori amatissimi, ricevere lo Spirito Santo che illumini le nostre menti, che infiammi i nostri cuori? Convien prepararsi, convien disporsi. Due sono le disposizioni necessarie a premettersi, e che tutte le altre racchiudono: disposizione negativa, disposizione positiva. Disposizione negativa, che consiste nell’allontanarsi dal peccato; disposizione positiva, che consiste in praticare le cristiane virtù. Io leggo ne’ santi Vangeli che lo Spirito Santo venne in forma di colomba in riva al Giordano, e si fermò sul capo del Redentore, battezzato dal suo precursore Giovanni, e questo simbolo di colomba da noi richiede la disposizione negativa; Io leggo che lo Spirito discese sopra gli Apostoli nel cenacolo in forma di fuoco, e questo simbolo esige da noi una disposizione positiva. Vediamolo.

I . Lo Spirito Santo, disceso dal cielo in forma di colomba, assunse forse la natura di volatile? E allora che venne in forma di fuoco, prese la natura di questo elemento? E quella colomba, e quel fuoco furono e sono inseparabilmente uniti alla Persona del divino Spirito? No, risponde a queste domande il grand’Agostino (Lib. 4 de Trin.), né la natura della colomba, né quella del fuoco fu unita allo Spirito Santo, né queste reali figure, formate di purissimo aere per ministero degli Angeli, furono in Lui permanenti. Ciò premesso ad istruzione de’ men colti, io dicea che la colomba, in forma della quale apparve lo Spirito del Signore, richiede da noi per riceverlo una disposizione negativa, cioè l’allontanamento dal peccato. Infatti il reale Profeta, per volare a riposarsi in seno a Dio, desiderava e chieder ali di colomba, simbolo di innocenza. “Quis dabit mihi pennas sicut columbae, et volabo, et requiescam” (Ps. LIV,7)? Il nostro divin Salvatore, in raccomandare ai suoi Apostoli e a noi l’evangelica e virtuosa semplicità, ci propone l’esempio della colomba, “estote semplices sicut columbae” (Matt. X, 16). La colomba in realtà è un augello che di sua natura abborre le immondezze e le sozzure, fugge dalle fogne, dalle cloache e dalle limacciose paludi; amante di respirar l’aria più pura suol sempre spiccare il volo sulla cima delle più alte torri, ed ha pochi eguali nella nitidezza delle sue piume. Date uno sguardo alla colomba spedita dell’arca, dal Patriarca Noè. Spiccato il volo si aggirò per gl’immensi spazi dell’aere, e non scorgendo sotto di sé che acque mortifere e galleggianti cadaveri, non trovando ove fermare il piede senza macchiarsi, fece presto ritorno in seno all’arca. Quanto fece la colomba di Noè dopo il diluvio, altrettanto si protestò che fatto avrebbe riguardo all’uomo carnale il grande Iddio, pentito d’averlo creato: “Non permanebit Spiritus meus in homine in aeternum, quia caro est” (Gen. VI, 3). L’ uomo dimentico di essere stato da me creato a mia immagine e somiglianza, dimentico della nobiltà del suo spirito, si avvilisce a riporre la sua felicità negl’immondi piaceri, nella carne, nell’opere carnali? Ah dunque non abiterà lo spirito mio in esso lui in eterno, “non permanebit spiritus meus in homine in aeternum, quia caro est”. Chiunque ha il cuore imbrattato da questo fango, attaccato a questa pece, non isperi poter ricevere lo Spirito Santo. L’uomo carnale è l’oggetto di sua necessaria ed infinita abominazione; già lo fu con sommergerlo tutto in massa nell’acque micidiali di un universale diluvio, seguirà ad esserlo fino alla consumazione de’ secoli, e in tutt’i secoli eterni. “Non permanebit spiritus meus in aeternum, quia caro est”.

Se lo spirito del Signore (dicea fin da’ suoi tempi S. Vincenzo Ferrerio, quel gran Santo che ha predicato su quest’istesso pulpito, da cui ho l’onore di parlarvi) se lo Spirito Santo discendesse un’altra volta dal cielo in forma di colomba e venisse fra noi, ditemi dove fermerebbe il suo volo, dove poserebbe il suo piede? Nelle nostre contrade? ma no; l’allontanerebbero da queste le oscene parole, le maledizioni, gli scandali, le bestemmie. Forse nelle nostre case? Ma no; in molte abita il demonio della discordia, la guerra tra marito e moglie, la lite tra padre e figlio, l’odio tra fratello e sorella, l’invidia tra congiunti e congiunti; in questo sta la mala pratica, in quella la rea amicizia; qui è la conversazione dissoluta, là la veglia scandalosa. Nelle botteghe forse e nelle officine? Ma no; Lo metterebbero in fuga le bugie, le frodi, gl’inganni, le usure. Via, troverà luogo almen nelle Chiese; né pure, anche dal luogo santo dovrebbe ritirarsi con orrore per non sentire i cicalecci, i rumori sconvenevoli, i prolungati discorsi, per non vedere gli amoreggiamenti, le occhiate libere, le sacrileghe profanazioni della santa sua casa.

Ma dunque non vi sarà luogo alcuno fra noi, ove possa discendere lo Spirito del Signore? Si, miei dilettissimi, vi sarà, e quale? Torniamo alla colomba di Noè. Questa spedita la seconda volta dall’ arca adocchiò un arboscello di verde ulivo, su quello fermò il volo, e col rostro un ramicello, con quello in bocca ritornò all’arca. Simbolo di pace è l’ulivo; e perciò la colomba (mi servirò della frase del citato S. Vincenzo), la colomba dello Spirito Santo discenderà in que’ cuori che sono in pace con Dio per la giustificante grazia; in quei cuori che vogliono far pace con Dio per mezzo di una sincera penitenza, in quei cuori che sono in pace col prossimo per vera inalterabile carità. Simbolo di misericordia è il soave liquore che produce l’ulivo; verrà di buon grado a far altresì la sua mansione in quei cuori che d’olio di misericordia sono ripieni, che di misericordia son ridondanti a pro degli afflitti, a vantaggio de’ bisognosi, a sollievo de’ miserabili.

Ed eccoci entrati nella seconda disposizione positiva che nell’esercizio consiste delle cristiane virtù, le quali da noi esige lo Spirito Santo venuto in forma di fuoco.

II. Insegna l’angelico dottor S. Tommaso (3, P. q. 39, a 7), che lo Spirito Santo prese forma di fuoco per significare gli effetti meravigliosi ch’Egli produce nell’anime nostre, purché in noi ritrovi le necessarie disposizioni. Il fuoco illumina, e lo Spirito Santo, che luce si appella, rischiara le tenebre della nostra notte. Il fuoco consuma, ed Egli consuma i nostri vizi e le colpevoli abitudini: “Deus noster ignis consumens est” (Ebr. XII, 29). Il fuoco infiamma ed Egli infiamma i nostri cuori del suo santo amore; ma la massima parte dei cristiani resiste a questo fuoco a somiglianza degl’induriti Ebrei usciti dall’Egitto. Parlò Iddio a Mosè fra mezzo alle fiamme d’un ardente roveto per dimostrare l’eccesso amor suo, intento a liberarli dal tirannico giogo del Faraone, e in una colonna di fuoco si fece loro per condurli alla terra promessa. E pur quella gente di dura cervìce, e di cuore incirconciso, fu sempre insensibile e sconoscente a così amorevoli rimostranze. Ma che cerchiam di quel popolo? Volgiamoci a noi. Gesù Cristo si dichiara esser Egli disceso dal cielo per accendere nel nostro cuore questo divin fuoco, “ignem veni mittere in terram, et quid volo nisi ut accendatur” (Luc. XII, 49). E non ostante l’amoroso suo desiderio e l’espresso suo volere, a questo fuoco divino fa resistenza l’umana freddezza. Al fuoco elementare non resistono i più duri macigni, gli stritola in polvere, non reggono i più sodi metalli, gli fa correre liquidi. Solo la cenere gli fa resistenza, e giunge ad estinguere la sua fiamma, e a spegnere il suo calore. Or mirate, dice lo scrittore della Sapienza, se questa cenere ingrata non è il simbolo più espressivo della sconoscenza dell’uman cuore, che, dimentico di Chi lo creò, volge gli affetti suoi a tutt’altro, che al suo Fattore. “Cinis est cor eius … quoniam ignoravit qui se finxit (Sap. XV, 10, 12). Così è, miei cari, al fuoco dello Spirito Santo fa colpevole resistenza la cenere della nostra ingratitudine, quando si chiudono gli occhi a’ suoi lumi, quando si fa il sordo alle sue voci, alle sue sante ispirazioni, quando si soffocano i salutari rimorsi, che desta nella nostra coscienza per trarci a ravvedimento e a salute. Meritiamo, allora il rimprovero che S. Stefano fece ai caparbi Giudei: “Vos semper Spiritui Sancto resistitis” (Act. VII, 51).

Affinché non si rinnovi in noi, o non si confermi questa mostruosa resistenza, convien disporre, in questa già cominciata novena, convien preparare il nostro cuore, acciò lo Spirito Santo accenda del suo santo amore. Volete ch’io ve ne accenni il modo? Rammentatevi il profeta Elia, allorché per confondere i falsi profeti di Baal, e far conoscere al popolo astante che il Dio d’Israele era il vero Dio, si accinse a far discendere fuoco dal cielo per accendere e consumare un olocausto. Scelse egli dodici pietre, secondo il numero delle Tribù d’Israele, e ne formò un altare; su quello dispose le legna, e sopra la massa delle medesime collocò le parti della vittima immolata; indi per ben tre volte sparse acqua abbondevole sopra la vittima, le legna e l’altare; finalmente con fervide preghiere invocò il Dio di Abramo, d’Isacco e di Giacobbe, e al tempo stesso ecco cadere dal cielo un’ardentissima fiamma che divorò vittima, legna e le stesse pietre che componevano l’altare. Ecco fedeli amatissimi, ecco la norma. Acciò sopra di noi discenda il fuoco del vivificante Spirito del Signore, fa d’uopo comporre l’altare con mistiche pietre. Saranno queste le astinenze, i digiuni, la mortificazione de’ sensi, le opere di spirituale e corporale misericordia. Edificato l’altare, si devono su quello preparare le legna. Legna opportune a formar questo mistico rogo, sono le lezioni spirituali, le limosine ai poverelli, le volontarie penitenze. Su di tal rogo dobbiamo collocare la vittima. Vittima non v’è, non v’è sacrifizio a Dio più accettevole d’uno spirito contristato, d’un cuore umiliato e contrito pel dolore de’ propri peccati: “Sacrificium Deo spiritus contribulatus, cor contritum et humiliatum, Deus, non despicies” ( Ps. L, 19). Su questa vittima di cuor contrito bisogna versare acqua abbondante, acqua di lacrime, acqua d’amarissima pena, lacrime che partano dall’intimo del cuor compunto, ad imitazione di S. Pietro che in questi giorni nel cenacolo, in aspettazione dello Spirito Santo, quantunque certo del perdono delle sue colpe, non cessava di piangere i suoi spergiuri; ad imitazione di S. Tommaso, che piangeva la sua incredulità; ad imitazione di tutti gli Apostoli congregati, che piangevano la loro fuga e l’abbandono del loro divino Maestro. Finalmente siccome la preghiera di Elia ottenne la prodigiosa discesa del fuoco del Signore, che consumò l’olocausto, così le nostre preghiere muoveranno il cuore di Dio a mandarci il Santo suo Spirito che in noi distrugga ogni colpa, purghi ogni macchia, dissipi ogni affetto terreno, e ci accenda del fuoco dell’eterna sua carità. Così avvenne nella Pentecoste agli Apostoli, alle pie donne, ai devoti fedeli con Maria Vergine nel cenacolo adunati. Essi tutti concordemente uniti in viva orazione e perseverante preghiera, sollecitarono l’arrivo del loro promesso Spirito del Signore che sopra ciascuno di essi si fece vedere in forma di lucidissime fiamme. “Hi omnes erant perseverantes unanimiter in oratione cum Maria matre lesu” (Act. I, 14.)

Felici noi se al termine di questa santa novena che è da Gesù Cristo istituita e a tutte l’altre ha dato il nome, si troveranno in noi le fin qui indicate disposizioni. Lo Spirito Santo verrà nelle nostre anime, e vi farà la sua mansione: co’ sette suoi doni, colla superna sua luce diraderà le tenebre del nostro intelletto, ci farà conoscere la vanità delle cose terrene, e la grandezza ed importanza delle eterne: ci renderà luminosa, convincente testimonianza della Persona, della Divinità, della dottrina e della fede di Gesù Cristo. E noi rischiarati nella mente, infiammati nel cuore, Gli daremo, ad imitazione degli Apostoli, prove e testimonianze di fedeltà, di riconoscenza coll’integrità della nostra fede, coll’osservanza della sua legge, coll’esemplarità de’ nostri costumi, coll’imitazione de’ suoi esempi, coll’esercizio delle cristiane virtù, fino a pervenire ove col Padre e con lo Spirito Santo vive e regna ne’ secoli de’ secoli. Così sia.

Autore: Associazione Cristo-Re Rex regum

Siamo un'Associazione culturale in difesa della "vera" Chiesa Cattolica.